le sei mosse del pettirosso aldo vetere ad est dell’equatore © 2016 ad est dell’equatore vico orto, 2 80040 pollena trocchia (na) www.adestdellequatore.com [email protected] “Se la morte è la morte che ne sarà dei poeti e delle cose addormentate che più nessuno ricorda?”. F. G. Lorca, Canzone d’Autunno ad Emma ed Ettore uno napoli capitale del regno borbonico quartiere di san lorenzo e vicaria Quel venerdì fu una giornata memorabile per la vecchia Maria Assunta di Dio che a novanta anni e passa poteva dire di averne viste di tutti i colori. Era accaduto che alla quinta ora del mattino in punto un bagliore improvviso tra il blu cobalto e il rosso melograno aveva squarciato il cielo di Napoli con un boato così terrificante che le folaghe avevano abbandonato in tutta fretta le covate ed erano uscite dai canneti per riprendere la rotta verso oriente. In pochi minuti tutta la linea dell’orizzonte visibile dal forte di Sant’Elmo, uno dei punti più alti della città, si era colorata di un viola intenso e l’alba era rimasta impietrita dietro il crinale del monte Somma e non ne voleva sapere di affacciarsi, come ogni mattina faceva dalla notte dei tempi, sul grande specchio d’acqua salata del golfo per illuminare il nuovo giorno. Il cielo era rimasto livido e minaccioso per tutta la giornata mentre il vento si era messo a soffiare con una forza straordinaria, come mai nel regno di Ferdinando IV a memoria d’uomo. Le nuvole gonfie avevano rotto improvvisamente le acque e una grande quantità di pioggia, quanta ne poteva a malapena contenere il cielo, 8 intervallata da una fitta grandine, si era rovesciata improvvisa sulla città. Come un’onda di piena impazzita aveva trascinato a valle ogni manufatto o cosa che la sorte poneva sul suo cammino, inzuppando strade, cortili, palazzi, chiese, animali e persino i sogni mattutini dei napoletani che, rintanati sotto le coperte o fuggiti sotto ripari di fortuna o chiusi a doppia mandata negli scantinati dei palazzi, invocavano San Gennaro perché compisse il miracolo di far cessare il diluvio che si era abbattuto sulla città a causa dei loro peccati. Maria Assunta di Dio fu condotta in tutta fretta nella sala capitolare di San Lorenzo davanti ai rappresentanti dei sette Sedili di Napoli perché esprimesse un parere su quanto stava accadendo e in particolare su quella nuvolaglia viola ametista che si era impossessata del corpo e dell’anima della città. La vecchia, che nel quartiere delle cavaiole alla Stella era considerata una fattucchiera di tutto rispetto per le sue profezie puntualmente verificatesi (tanto che in alcuni casi qualcuno poco timorato di Dio l’aveva preferita allo stesso patrono di Napoli per le suppliche e le invocazioni di grazie), chiese prima di tutto una bacinella di sale bianco grosso, sette semi di cipolla e un vasetto di crisma consacrato prelevato direttamente dal tabernacolo degli oli santi dell’Arcivescovo. Quando ebbe ciò che aveva chiesto, donna Assunta sistemò i sette semi di cipolla in corrispondenza dei rappresentanti dei sette Sedili della città, versò su ogni seme una goccia di olio santo e, come se seminasse un campo di fave, sparse sul pavimento manciate di sale grosso per tutto il perimetro della sala. Fatta quest’operazione preliminare, roteò sette volte sette la testa e con essa la lunga treccia d’aglio che le correva lungo la schiena e, dopo un profondo sospiro che qualcuno associò al verso del pipistrello, cadde in uno stato di semi incoscienza accompagnato da un respiro affannoso e da un tremito incontrollato. Poi, come se si fosse improvvisa- 9 mente risvegliata da quella improvvisa sonnolenza, recuperò le forze, aprì gli occhi che si accesero di una luce soprannaturale e fece la sua profezia guardando fisso verso le nuvole: «Vedo un uccello con la gola macchiata del sangue di Cristo volare sopra le nostre teste insieme ad un angelo nero vestito con un giustacuore di raso e fibbie d’argento al ginocchio. Avverto intorno a me un forte odore di zolfo e vedo un Vescovo con la testa mozzata piangere lacrime rosse come rubini». Qualcuno dalle finestre delle case vicine giurò di avere visto un fulmine azzurro arrotolarsi intorno al dito di Maria Assunta, preceduto da un lampo nero come la pece che, dopo aver graffiato l’aria con un sibilo sottile simile al rantolo di un neonato, si perse nel nulla. Ciò che impressionò di più i presenti non fu tanto il rituale grottesco né il contenuto della profezia, che come tutte le profezie andava interpretato, quanto il fatto che Maria Assunta l’avesse pronunciata in perfetta lingua, una lingua a lei sconosciuta e non consona a una persona della sua condizione sociale, che non aveva avuto nessuna istruzione e che a stento sapeva balbettare qualche parola in dialetto cavaiolo, come tutti quelli che nel 1500 si erano stabiliti da Cava dei Tirreni nel quartiere della Stella a Napoli. Nessuno dei presenti né i nobili né i rappresentanti del popolo dette molto peso alle parole della vecchia Maria Assunta che furono comunque minuziosamente verbalizzate dal segretario della Deputazione nel registro delle sedute straordinarie. La fattucchiera fu ricompensata con due carlini d’argento e riaccompagnata nel suo quartiere a dorso di mulo, nonostante le raffiche di pioggia e la fanghiglia che imbrigliava gli zoccoli dell’animale. Per la verità i rappresentanti dei Sedili di Forcella e di Portanova che facevano parte anche della Deputazione della Cappella del Tesoro di San Gennaro si domandarono ad alta voce se non fosse il caso di informare il Re di quella riu- 10 nione ma, poiché nessuno degli altri eletti mostrò di accettare quell’ipotesi, si decise di soprassedere anche in considerazione del fatto che Ferdinando se ne stava a Caserta per la “Festa dell’Assunzione di Maria” e non parve opportuno disturbarlo per una grande “arraqquata” d’acqua come un eletto del Sedile di Forcella sintetizzò la situazione contingente e per le esternazioni di una vecchia visionaria per quanto accreditata come maga dalla popolazione. Eppure quell’“arraqquata” fu l’inizio di una serie di fatti apparentemente inspiegabili.