Tipi di fotografie astronomiche

ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI URBINO
Corso di Scenografia
Tesi di diploma
di
FOTOGRAFIA
FOTOGRAFIA ASTRONOMICA
per ASTROFILI
relatore
Prof. Massimo Tosello
allievo
Andrea Pagnoni
anno accademico 2006/2007
sessione autunnale
Indice
Prefazione
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Introduzione
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La fotografia astronomica
come ricerca scientifica
Onde radio
Infrarosso
Ultravioletto
Raggi X e gamma
Onde gravitazionali
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15
Tipi di fotografie astronomiche
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Materiali
19
Tecniche a grande campo
Cavalletto
Fotografia in parallelo
24
24
34
Tecniche a piccolo campo
Afocale
Fotografia al fuoco diretto
Proiezione da oculare, barlow
e riduttore di focale
Webcam
41
41
45
Elaborazioni
Sistema solare
Grande campo e oggetti deboli
56
57
58
Conclusioni
60
Siti internet
61
Ringraziamenti
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49
50
3
Prefazione
All’interno di una stella atomi di idrogeno si scontrano producendo, dopo
varie reazioni, atomi di elio e fotoni ad altissima energia.
I fotoni prodotti dissipano energia spostandosi verso l’esterno della stella
e ne escono alla fine come luce visibile ed altre forme di radiazione
elettromagnetica.
La luce viaggia poi per decine, centinaia, migliaia, milioni di anni indisturbata
nello spazio vuoto.
Saranno “pochi” i fotoni che alla fine, dopo il lungo viaggio, raggiungeranno
le lenti di un obiettivo e si poseranno su di una pellicola fotosensibile o
ecciteranno i pixel di un sensore.
Riuscire a catturare questi fotoni nel modo migliore è lo scopo di chi, come
Andrea, si dedica alla fotografia astronomica.
Nella sua Tesi vengono esposte e documentate con molte foto sia le tecniche
classiche sia le più recenti della fotografia astronomica.
Un lavoro interessante, svolto con pazienza e passione.
Michelangelo Rocchetti
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Introduzione
Il cielo stellato è uno degli spettacoli più belli che la natura ci offre e da sempre l’uomo ne
rimane affascinato.
Sin dalle prime civiltà conosciute, Sole, stelle e pianeti rappresentavano una parte significativa
nella vita degli individui. Molto spesso erano parti integranti delle culture primitive, giocando
un ruolo fondamentale nelle tradizioni, negli usi e costumi, nella religione.
I nostri primi antenati vivevano a stretto contatto con la natura e davanti ai loro occhi si
manifestavano di continuo fenomeni che la loro ragione non poteva comprendere. Tali fenomeni
venivano allora associati ad entità superiori, capaci quindi di far piovere, scagliare fulmini,
illuminare e riscaldare.
Ecco che nacquero, così, una serie di dei, personaggi e racconti fantastici legati a quegli
avvenimenti che oggi ci fanno quasi sorridere data la semplicità delle loro dinamiche. Basta
pensare al più banale e ripetitivo fenomeno astronomico: il sorgere e tramontare del Sole.
Indagando tra le diverse culture, si viene a conoscenza, ad esempio, di come il passaggio del
Sole in cielo venisse attribuito dai greci al dio Elios che, ogni mattina, guidava il carro del
Sole, trainato da cavalli, sopra l’orizzonte, preceduto di poco dalla sorella Eos, dea dell’Aurora.
Oppure al dio Ra, per gli egiziani, spesso rappresentato a bordo di una barca, mentre solca il
cielo, da Est verso Ovest.
In questa mappa sono visibili le figure relative alle costellazioni
Emisfero Celeste Boreale. Uranometria, 1603
Emisfero Celeste Australe. Uranometria, 1603
Con il passare dei secoli, le scoperte scientifiche iniziarono a spiegare quei fenomeni prima
incomprensibili e l’uomo abbandonò le motivazioni attribuite alle divinità; ma la sua curiosità
verso il cielo non andava attenuandosi; piuttosto si evolse, e lo sguardo passò da una semplice
contemplazione di avvenimenti a una osservazione più attenta a capire i meccanismi celesti.
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I primi semplici strumenti astronomici riuscivano a calcolare
e prevedere la posizione degli astri, facilitando di molto le
osservazioni; ma è con l’avvento del telescopio che si aprì,
a partire dal 1608, grazie allo scienziato Galileo Galilei,
una nuova era per l’astronomia.
Questo oggetto meraviglioso poteva mostrare centinaia di
crateri sulla Luna, alcune delle lune di Giove, il sistema
di anelli di Saturno, e man mano che si perfezionava si
scoprivano nebulose lontane, ammassi di stelle, nuove
galassie…
Gli astronomi per divulgare le loro scoperte, o semplicemente
per prendere appunti, erano soliti disegnare ciò che vedevano
attraverso gli oculari dei loro strumenti. E’ del 1781 la
pubblicazione del Catalogo Messier, che recensiva 103
oggetti dall’aspetto nebulare, molti dei quali accompagnati Galileo Galilei (1564-1642)
da accurati disegni. Stupisce ancor oggi la loro precisione e l’assomiglianza che hanno con le
moderne riprese fotografiche.
Appunti di Galileo Galilei sulle osservazioni di Giove
e dei suoi quattro principali satelliti eseguite col suo
cannocchiale
Disegni di Galileo in seguito all’osseravazione delle fasi lunari
Per quanto ben fatti, però, i disegni erano sempre legati all’abilità dell’astronomo e alla sua
sensibilità personale. Occorreva qualcosa che quasi meccanicamente riuscisse a prelevare la
debole luce proveniente dal cielo e restituirla, fedele, su un supporto permanente.
Tutto ciò iniziò a svilupparsi nei primi del 1800, e nel 1826 Joseph Nicephore Niepce ottenne
la prima fotografia della storia.
Il nuovo sistema per creare immagini fu migliorato, e negli anni quaranta dell’ottocento, per
mezzo del dagherrotipo, ne vennero realizzate di soddisfacenti della Luna e del Sole, dei quali
si distinguevano numerosi dettagli. Era nata la fotografia astronomica.
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Una moderna ripresa di M42, la celebre Nebulosa di Orione, e nel riquadro un disegno di Lord Rosse eseguito a metà dell’800
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In seguito tale disciplina divenne utile
per lo studio vero e proprio del cielo,
analizzando ad esempio le caratteristiche
superficiali del Sole, che ben si prestava
ad essere fotografato data la sua grande
luminosità.
Si susseguirono procedimenti sempre
nuovi fino ad arrivare a produrre fotografie
capaci di registrare migliaia di stelle
e nebulose che l’occhio, nemmeno al
telescopio, riusciva a scorgere.
La pratica dell’osservazione visuale e del
La prima fotografia della storia (Joseph Nicephore Niepce, 1826)
disegno astronomico caddero lentamente
in disuso e la fotografia astronomica si affermò sempre più.
Passando dal dagherrotipo, alla pellicola, sino al digitale di oggi, i procedimenti sono diventati
molto più semplici. Si sono anche drasticamente ridotti i tempi per produrre fotografie e, altra
cosa molto importante, i costi sono diventati accessibili anche ai non professionisti del settore,
rendendo di fatto la fotografia astronomica molto diffusa anche tra gli astrofili.
Quando si guarda attraverso un telescopio si rimane spesso delusi dalla piccola, sbiadita
immaginetta che si vede proiettata. E’ la tipica reazione di chi non ha mai osservato il cielo con
uno strumento e di chi, di solito, è abituato a vedere le meravigliose immagini a colori (di Luna,
pianeti o galassie che siano) che si trovano nei libri..
La maggior parte degli astrofili, seppur estasiati dalla mesta visione telescopica, dopo diverso
tempo di “pratica” e di osservazione visuale, tendono quasi naturalmente al grande passo verso
la fotografia.
E’ una strada tutt’altro che facile, che richiede una discreta conoscenza del cielo, tanti sacrifici
ed infinita pazienza, provando e riprovando, fino a raggiungere i primi, sudatissimi, discreti
risultati. Allora sarà immensa la soddisfazione nel veder impressa, su pellicola o supporto
elettronico, anche il più semplice dei soggetti astronomici, con dettagli, colori o sfumature
tipiche che fino a poco tempo prima era quasi impensabile riuscire a riprendere.
Come nella maggior parte delle cose, anche qui, la pratica è la miglior maestra. Le notti passate
e apparentemente sprecate sopra una macchina fotografica e un telescopio sono fondamentali
per prendere confidenza con i mezzi e le tecniche. Si comprende cosa funziona e cosa no, qual
è il sito giusto per determinati soggetti, se la serata è adatta…oppure è meglio lasciar perdere,
al fine di ottenere una buona immagine. Tante sono le variabili che solo l’esperienza (nostra e/o
altrui) può aiutarci.
La passione, la pazienza e la costanza, prima di tutto.
Di seguito verranno proposte e spiegate diverse tecniche di astrofotografia, procedendo con
ordine dalle più semplici ed economiche, fino a quelle più complesse.
L’esposizione è tesa ad illustrare quei procedimenti che di sicuro accompagneranno l’aspirante
astrofotografo ai primi risultati soddisfacenti, utilizzando una comune strumentazione amatoriale
o poco più.
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La fotografia astronomica
come ricerca scientifica
A che cosa serve la fotografia astronomica?
Fondamentalmente possiamo dividere il suo utilizzo in tre parti ben distinte: la fotografia estetica,
che mira solamente ad ottenere belle riprese di soggetti astronomici, e che è la protagonista di
questa Tesi, la fotografia impiegata nell’astronomia di posizione, utile a studiare le traiettorie
dei corpi celesti, e la fotografia impiegata in astrofisica (fisica degli astri), che sostanzialmente
attraverso l’analisi della luce emessa o assorbita dai vari corpi consente di stabilirne la genesi,
le dimensioni, la massa, la velocità e l’età.
Quest’ultimo aspetto è forte e presente tutt’oggi, e la maggior parte del lavoro in tal senso
viene svolto dalle strutture professionali specializzate, come i grandi osservatori in cui sono
posizionati potenti strumenti che tentano di guardare sempre più lontano nello spazio, e di
conseguenza, più lontano nel tempo. Non deve sorprendere l’accoppiamento spazio-tempo
come fossero due cose strettamente legate. In effetti, più il soggetto che guardiamo è lontano,
più tempo impiegherà la sua luce ad arrivare fino a noi. La velocità della luce è di circa 300.000
chilometri al secondo, e per quanto sia di gran lunga la cosa più veloce all’universo, le distanze
in esso in gioco sono talmente grandi che anche tale velocità risulta poca cosa; ad esempio la
luce che parte ora dalla stella più vicina a noi (Sole escluso), Proxima Centauri, viaggerà per
più di quattro anni prima di arrivare sulla Terra. Quando arriverà, quindi, noi vedremo la stella
non come sarà in quel momento preciso, ma così come era quando quella luce è partita, cioè
quattro anni prima, in un tempo passato. Le galassie sono distanti milioni e miliardi di anni luce,
per cui le vediamo com’erano da giovani, dando agli astronomi informazioni importantissime
sulle prime fasi di vita dell’Universo. Il tempo viene quindi considerato la vera e propria quarta
dimensione spaziale.
Una ricerca forte è presente anche
tra gli astrofili, che essendo tanti e
sparpagliati per i vari continenti, hanno
un fortissimo potere indagatore. I loro
campi vertono ovviamente su quelle
tematiche alla portata dei loro strumenti
amatoriali, sfornando a volte foto
ugualmente interessanti. Gli astrofili
ad esempio si dedicano alla ricerche
di comete (la cometa Hale Bopp, che
passò nel 1997, venne scoperta proprio
da due astrofili). Oppure alla ricerca di
supernove che esolodono in galassie
lontane. Eseguendo ripetute fotografie
La cometa Hale-Bopp che passò nel 1997
a distanza di più giorni dello stesso
soggetto, si potrebbe scoprire una
supernova e seguirne lo sviluppo. Anche le perturbazioni nelle atmosfere dei pianeti vicini
e gli sciami meteorici interessano gli astrofili, che ad esempio, cercano i bagliori generati da
meteoroidi che cadono nella mezzaluna buia, se la fase lunare lo consente.
Le immagini che vengono ottenute dai professionisti per la ricerca sono completamente diverse
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da quelle spettacolari che invece nascono con fini puramente estetici. Spesso si mostrano come
foto a “falsi colori”, ovvero con tonalità non reali, fatte di colori accesi e puramente indicativi
per riconoscere in tali zone valori di temperature definite e altre caratteristiche proprie del
campo inquadrato. A volte appaiono piene di punti luminosi, come una normale ripresa stellare,
celando ancor di più il reale valore scientifico dello scatto. Ce ne sono di tanti tipi diversi, a
seconda di quale è stata la tecnica usata e in quale zona dello spettro elettromagnetico ci si è
esposti.
Lo spettro, infatti, è piuttosto ampio, e comprende, nella sua interezza, onde con lunghezze
molto differenti, e quindi con energie diverse. Partendo dalla parte più “debole” dello spettro,
e proseguendo verso la più energetica, troviamo: le onde radio, l’infrarosso, la parte visibile,
l’ultravioletto, i raggi x e i raggi gamma.
Lo spettro elettromagnetico
L’universo è un serbatoio pressoché infinito di tali energie, scaturite da processi molto complessi
e di proporzioni immense. Tutti gli astri, le galassie (nonché la nostra), le nubi interstellari, le
nebulose, le esplosioni di supernove, ecc., emettono radiazioni nelle varie lunghezze d’onda.
In ogni oggetto predomina una porzione di spettro, che non sempre coincide con quella che
siamo in grado di percepire a occhio nudo. L’occhio umano è infatti sensibile solo per una
sua piccolissima parte, alle lunghezze comprese indicativamente tra i 400 nanometri (nm),
per il rosso e i 700 per il violetto. Un nanometro è un milionesimo di millimetro. Le onde alle
estremità dello spettro vanno circa dalle decine di chilometri per le onde radio, ai 0,0005 nm
per i raggi gamma. Si capisce quindi che la maggior parte dell’universo, ci è di fatto invisibile.
Nell’ultimo secolo gli enormi progressi scientifici hanno portato a risultati inimmaginabili,
tanto che oggigiorno gli astrofisici, tramite sofisticate attrezzature e telescopi specifici,
riescono a vedere anche nelle bande dello spettro interdette all’occhio umano. In questo modo
la quantità di informazioni a disposizione per tentare di comprendere l’universo aumentano
notevolmente.
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Onde radio
Lo studio del cielo nelle onde radio prese il via negli anni ’30 del novecento, quasi per caso.
Nei primi anni del secolo si stava enormemente affermando la comunicazione radiofonica ed
erano tanti gli esperimenti che si facevano tramite le antenne per cercare di sviluppare sempre
più, e meglio, questa tecnologia. Diversi erano i laboratori dedicati, ma i Bell Laboratories
americani erano forse i più avanzati, disponendo di numerosi strumenti e dedicando ampio
spazio alla ricerca. Indagando su alcuni disturbi che affliggevano le comunicazioni un tecnico
Bell, Karl Jansky, trovò che in direzione della costellazione del Sagittario, in piena Via Lattea,
provenivano costantemente segnali radio. Era proprio l’emissione scaturita dalla nostra Galassia.
Nel corso degli anni la radioastronomia divenne importantissima, ma è nel 1964 che, sempre
casualmente e sempre dai Bell Laboratories, si fece una tra le scoperte più importanti per la
storia dell’evoluzione scientifica: due ingegneri, Robert Wilson e Arno Penzias scoprirono una
sorta di disturbo che interferiva nelle comunicazioni, debole ma costante e proveniente allo
stesso modo da qualsiasi zona del cielo. Anche se inconsciamente avevano scoperto sul campo
ciò che un fisico russo, George Gamow, ipotizzò due decenni prima: la radiazione cosmica di
fondo. Ossia la “traccia fossile” del Big Bang; una debolissima radiazione nelle microonde
(onde radio con lunghezza d’onda di 21 centimetri) della temperatura di 3° K.
La famosa immagine scattata dal satellite COBE nel 1992. Le macchie rappresentano le variazioni di temperatura
Questa scoperta fu una prova fortissima della validità della teoria cosmologica del Big Bang.
Un’ulteriore conferma si ha dalla fotografia scattata dal satellite COBE, nel 1992. Essa
mostra, a seguito di milioni di misurazioni nella banda delle microonde, che la radiazione
non è uniforme, e le seppur piccolissime variazioni della sua temperature significavano un
universo capace di formare galassie, miliardi di anni fa.
Oltre questa avventurosa parentesi storica (doverosa)
la radioastronomia ha continuato e continua tutt’ora
a essere di fondamentale importanza per la ricerca e la
comprensione dell’Universo. Vengono studiati il Sole,
i pianeti ma anche esplosioni e resti di supernove, lenti
gravitazionali (spiegati grazie alle teorie di Einstein) e
oggetti lontani miliardi di anni luce, come quasar (giovani
galassie, estremamente brillanti).
Immagine radio di un quasar sdoppiato per effetto di una lente gravitazionale
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Infrarosso
La banda dell’infrarosso (Ir) è più energetica della radio, si avvicina alla luce visibile, ma rimane sempre invisibile all’occhio umano. E’ molto interessante indagare l’universo in questa
banda poiché essa è emessa da un grandissimo numero di oggetti celesti, come il Sole, la Luna
e i pianeti. Inoltre è anche possibile osservare la polvere cosmica, la formazione di stelle e di
nuovi sistemi solari, la Via Lattea e le galassie più distanti. L’infrarosso è la radiazione termica
di un corpo, e anche il corpo umano ne emette. Per riprenderla occorre un sensore estremamente raffreddato, in modo che la ripresa non sia alterata dal calore del sensore stesso. L’atmosfera
terrestre (o meglio le goccioline d’acqua che in essa è contenuta) è un debole schermo per l’Ir,
lasciandolo passare abbastanza. Da Terra, quindi, anche se la finestra di lavoro è un po’ limitata
si può tentare di riprendere questa radiazione. I migliori risultati si ottengono però nelle zone
particolarmente sopraelevate rispetto il livello del mare e piuttosto fredde. L’Antartide, con
un’altitudine elevata, temperature glaciali e ottime trasparenza e secchezza del cielo, risulta
essere uno dei luoghi più adatti per l’indagine all’Ir. Oppure, ovviamente, lo spazio. Il primo
satellite per l’infrarosso fu IRAS, lanciato nel 1983, fornendo numerose fotografie in grado di
coprire tutto il cielo.
Ripresa a grande campo delle regioni del Toro, Auriga e
Orione dal satellite IRAS
La Nebulosa di Orione in Ir
Ultravioletto
L’ultravioletto (Uv) Segue la luce visibile, pertanto ne è di poco più energetica. Lo studio del
cielo nell’ultravioletto permette di reperire informazioni su corpi celesti quali le stelle calde, le
novae e le supernovae, i dischi d’accrescimento nei sistemi binari, i nuclei galattici attivi.
Anche la radiazione Uv è quasi totalmente schermata dalla nostra atmosfera (fortunatamente,
dato che è estremamente dannosa per il nostro corpo) quindi è dallo spazio che si possono
compiere le migliori osservazioni. Nel 1978 è stato lanciato il satellite IUE che ha segnato l’inizio
della astronomia nell’ultravioletto.
Grazie alle immagini che ha catturato
ininterrottamente per più di 13 anni
(circa 11mila oggetti osservati) ad
esempio, IUE ha fornito il primo studio
sistematico delle variazioni d’attività
di una cometa durante il suo viaggio
attraverso il sistema solare, ha rivelato
la presenza di fenomeni d’aurora su
Giove ed ha permesso di studiare le
loro variazioni all’interno del ciclo
solare che ha una durata di 11 anni.
Ancora più lontano dal nostro Sistema
Solare, IUE ha permesso la prima
osservazione diretta dell’alone nella
Planisfero Celeste ripreso dal satellite IUE
nostra galassia - un’enorme quantità di
materia caldissima nelle zone estreme della Via Lattea - ed anche di misurare le dimensioni di
un buco nero presente nel nucleo di una galassia attiva. Inoltre, l’unico quasar ad alto redshift
studiato nell’UV è stato scoperto proprio da IUE.
La galassia Vortice (M51) nei Cani da caccia ripresa in Uv
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Raggi X e gamma
L’astronomia nei raggi X e gamma si occupa delle parti più energetiche dello spettro
elettromagnetico. Queste onde sono emesse ogni volta che ci sono degli avvenimenti
estremamente violenti, di maestosa portata. Più nello specifico ci vengono fornite informazioni
interessanti riguardo le stelle di neutroni, i quasar, la caduta di materiale dentro i buchi neri,
i gamma ray burst (ossia violentissime esplosioni con rilascio di raggi gamma), ammassi di
galassie, nuclei galattici attivi, resti di supernova, e tanti altri. L’atmosfera ci protegge da
entrambe queste radiazioni per cui, anche in questo caso, lo spazio è il luogo migliore da dove
poter compiere osservazioni. Non sono quindi mancati lanci di satelliti per fotografare il cielo
in queste bande.
Per quanto riguarda i raggi X nel 1996 è stato lanciato il satellite Beppo SAX, dedicato al fisico
fossempronese Giuseppe Occhialini, padre dell’astrofisica italiana. Il satellite era equipaggiato
di telescopi particolari e rilevatori che gli permettevano di raccogliere informazioni in tutta la
banda degli X; Beppo SAX ha dato un notevole contributo alla comprensione dei gamma ray
burst, identificandoli come lontani da noi miliardi di anni luce.
Fasi finali di un Gamma Ray Burst, riprese dal satellite Beppo SAX
Una data storica nello sviluppo dell’astronomia gamma fu il 1991, quando la NASA lanciò
in orbita il Compton Gamma Ray Observatory (CGRO). In circa dieci anni di operatività ha
rivelato circa 2 milioni di fotoni gamma; di questi, molti costituiscono il fondo di radiazione
gamma diffusa di origine galattica ed extragalattica, e in parte sono riconducibili a sorgenti
gamma quali le pulsar e i nuclei galattici attivi. Inoltre, sono stati rilevati migliaia di Gamma
Ray Burst.
Immagine ai raggi gamma di un resto di supernova nella
costellazione dello Scorpione
Il Sole ripreso nei raggi X dal satellite SkyLab
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Onde gravitazionali
La ricerca delle onde gravitazionali è un campo ancora in attesa dei primi risultati. Sebbene ci
siano diversi centri e strutture imponenti per il rilevamento e lo studio di queste onde, ancora
manca purtroppo un’osservazione diretta che dia la prova della loro effettiva esistenza.
Le onde gravitazionali sono state ipotizzate e descriverebbero la propagazione di un campo
gravitazionale deformando e increspando lo spazio-tempo entro cui gli oggetti si trovano.
Riuscire a rilevarle significherebbe un notevole passo in avanti nell’astrofisica e nella scienza in
generale. Strumenti appositi, allora, sarebbero in grado di “mostrarcele”, nascoste sotto forma
di immagini che indicano le concentrazioni di tali increspature.
Aspettiamo ansiosi.
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Tipi di fotografie astronomiche
Ma cosa possono realizzare gli astrofili, in termini di fotografie astronomiche?
Parlando di fotografia astronomica è quasi obbligatorio fare delle distinzioni e imporsi delle
categorie in modo da non racchiudere, in maniera disordinata, entro questa pratica, aspetti
molto diversi. Esistono numerose possibilità infatti per riprendere i più svariati soggetti. La
distinzione che propongo è un po’ inusuale e non si rifà, come spesso avviene, alla tecnica usata
o al soggetto, ma piuttosto al campo inquadrato nella foto.
Quindi, in questo caso, la divisione proposta è: fotografia a “grande campo” (o “campo largo”)
e a “piccolo campo” (o “campo stretto).
Per “campo inquadrato” si intende quanto spazio riusciamo a far entrare nella nostra fotografia.
Ad esempio se si inquadra solo la Luna, in modo che occupi tutta la foto, il campo inquadrato
sarà minore piuttosto che, se oltre alla Luna, in foto si vedono anche le stelle attorno e parti di
paesaggio terrestre.
Nel grande campo possiamo includere riprese di intere costellazioni, le classiche fotografie del
sorgere e del tramontare del Sole (considerando che è, come accennato in precedenza, un vero
e proprio fenomeno astronomico), oppure le tracce naturalmente disegnate dalle stelle, che con
il passare del tempo sembrano ruotare attorno alla stella Polare. Anche foto di scorci di Via
Lattea entrano prepotentemente in questa categoria, evidenziando talvolta forma e struttura
della nostra galassia.
Viene perciò qui esclusa la possibilità di vedere singoli particolari piuttosto ingranditi dei vari
oggetti celesti;
Fotografia a grande campo. Si vedono la Luna piena che sta sorgendo e parti di paesaggio terrestre
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Il piccolo campo si concentra invece proprio ad immortalare tali particolari, selezionando la
piccola porzione di cielo entro cui si trovano. Quindi Sole, Luna, pianeti, galassie, nebulose,
ammassi, stelle doppie… vengono fotografati in maniera precisa e dettagliata, diventando il
soggetto principale dell’immagine. Si riconosceranno qui le nature stesse dei soggetti. I pianeti,
ad esempio, non appariranno come semplici puntini luminosi, ma come veri e propri deschetti,
all’interno dei quali (o anche all’esterno, per Saturno) si vedranno più o meno caratteristiche
dell’atmosfera e della morfologia a seconda dei momenti.
Oppure le nebulose ad emissione, oltre che come semplici “batuffoli di cotone”, si mostrano
come complesse trame di gas brillanti spesso aventi colori precisi, di solito tendenti al rosso.
In alcuni casi le tecniche esposte sono simili, se non identiche, per entrambe le categorie. Quello
che cambia è l’utilizzo di strumenti diversi, che sviluppano più o meno ingrandimenti. Ad alti
ingrandimenti è molto più difficile eseguire una buona foto, in quanto si deve far fronte ad
un maggior numero di problemi. In linea di massima, quindi, anche se hanno diversi punti in
comune, le fotografie a grande campo sono le più semplici, e adatte quindi, per fare le prime
esperienze.
Due particolari della
superficie lunare, nei
pressi del terminatore.
Il campo inquadrato è
molto piccolo
Entrambe le categorie comunque sono estremamente affascinanti, e se ben sviluppate, serbano
foto di grande spettacolarità. La scelta dell’una o dell’altra è determinata da numerosi fattori:
•
In primo luogo, da cosa si vuol fotografare. Ovvero da quale si voglia che sia il risultato
finale. Ognuno, inoltre, predilige uno dei due campi e tende a specializzarsi e a ritrarlo più
frequentemente.
•
Si sceglie anche in base al materiale che si ha a disposizione. Il campo stretto necessita
di strumenti specifici (ad esempio è necessario un telescopio) ed è un percorso più laborioso da
affrontare.
•
Il sito di ripresa è fondamentale. Se siamo in presenza di un forte inquinamento luminoso,
ad esempio, è sconsigliata la fotografia a grande campo e di oggetti deboli, in quanto il cielo
anziché nero risulterebbe chiarissimo non permettendo la visibilità di numerose stelle.
•
Le condizioni della serata in cui si effettuano le riprese sono molto importanti e spesso
influenzano le decisioni del fotografo. Ovviamente con “condizioni” non si intende se il
cielo è sereno o meno (in caso di cielo nuvoloso o coperto non ha senso parlare di fotografia
astronomica), piuttosto si parla di “seeing” e di “trasparenza”, termini che indicano appunto
la qualità del cielo. Un buon seeing prevede che le immagini appaiano ferme, a fuoco, nitide
e precise nei contorni. Di solito si ha quando c’è poca turbolenza nell’aria. Quindi il vento e
le masse d’aria di diverse temperature che si spostano ad alta quota causano cattivo seeing.
La trasparenza dell’aria, invece, indica proprio se il cielo è trasparente, cioè ad esempio, se
riusciamo o meno a vedere numerose stelle, magari anche quelle più deboli. Solitamente si
scelgono foto di astri del Sistema Solare quando il seeing è migliore, degli oggetti deboli e in
generale foto a grande campo quando è migliore la trasparenza. Non è detto che buoni seeing e
trasparenza siano presenti assieme.
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Materiali
Per realizzare fotografie astronomiche, al contrario di quello che si potrebbe pensare, non
occorrono strumenti particolarmente strani o complessi. Certo è che non basta una qualsiasi
macchina fotografica da puntare a mano verso il cielo e scattare: non uscirebbe fuori nemmeno
una stella!
A seconda se vogliamo dedicarci ad una o l’altra categoria di foto astronomiche abbiamo
bisogno di attrezzature differenti.
Per quel che riguarda il grande campo, è obbligatorio premettere che sono necessari, nella
maggior parte dei casi, tempi di esposizione piuttosto lunghi (si parla di decine di secondi),
in modo da fissare le deboli luci delle stelle. Fondamentale è quindi una fotocamera che sia
in grado di farlo. Tale caratteristica si trova sia nelle analogiche che nelle digitali. In entrambi
i casi, però, bisogna far attenzione: le più diffuse macchine fotografiche che si trovano nella
maggior parte delle case, sono le cosiddette “compatte”, adatte alle foto terrestri e senza la
possibilità di cambiare obiettivi e gestire i comuni parametri di ripresa (tempi e diaframmi),
che sono invece indispensabili in astronomia. Solo alcune compatte di fascia medio-alta hanno
queste caratteristiche, che le rendono, di fatto, più adatte per il cielo.
Le migliori macchine sono dunque le “reflex”, analogiche
o digitali che siano, che si prestano meravigliosamente
alla fotografia astronomica. La completa gestione delle
opzioni di ripresa ci permette di adattare la macchina
ad ogni situazione, semplificando non poco la vita del
fotografo. Cambiando gli obiettivi, inoltre, la gamma di
possibilità si estende notevolmente riuscendo a spaziare
tra numerosi soggetti diversi, passando talvolta dal
grande al piccolo campo.
La fotocamera compatta Kodak DX7630. La possibilità di
gestire manualmente alcuni parametri la rende una delle
poche compatte adatte alla fotografia astronomica
La reflex digitale Canon 350D è una delle più
comuni fotocamere utilizzate dagli astrofili
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Volendo spendere alcune parole sugli obiettivi, occorre precisare quali sono le loro caratteristiche
che ci interessano, in campo prettamente astronomico: ogni obiettivo ha un paio di numeri
che ci danno informazioni importanti. Il primo è la lunghezza focale, espressa in millimetri,
ossia la distanza che c’è tra la lente dell’obiettivo e il piano in cui l’immagine va a fuoco. Di
solito, i più comuni obiettivi che sono venduti assieme alle macchine, variano circa tra i 20 e
200 mm. Esistono dei modelli zoom che hanno la focale variabile. In sostanza, più il numero
è basso, più campo si riesce a inquadrare nel fotogramma. A titolo indicativo, a 20 mm si
riprendono, nella stessa foto, numerose costellazioni, a 200 mm solo parte del Grande Carro.
Il secondo numero indica il rapporto focale. E’ il rapporto che c’è tra la lunghezza focale e il
diametro dell’obiettivo (in mm) e si presenta come una frazione con al numeratore la lettera
“f” o una divisione dove al dividendo c’è il numero “1”. Alcuni esempi, tra i più comuni,
possono essere: 1:3,5 oppure f/3,5 – 1:2,8 o f/2,8. Nei modelli zoom si trovano due numeri:
uno corrispondente alla focale minima e uno alla massima, ad esempio f/3,5 – 5,6. Questo
numero è utile per due cose: sapere la luminosità dell’obiettivo e determinare la profondità
di campo, cioè lo spazio entro cui le immagini riprese risultano essere a fuoco. Ad un numero
piccolo corrisponde maggiore luminosità e minore profondità di campo. Il valore riportato
indica sempre la massima luminosità, quindi il numero è il più piccolo possibile. Lo si può
aumentare chiudendo il diaframma (quindi diminuisce la luminosità, occorrono tempi più
lunghi, ma aumenta la profondità di campo). In base alle esigenze si cambiano gli obiettivi e si
modificano i valori. Anche se al momento il neofito risulta disorientato, rassicuro dicendo che
basta veramente poco per prendere confidenza con i numeri, e in seguito tutto sarà alquanto
immediato.
Utile, ma non indispensabile, potrebbe essere
uno scatto flessibile che evita le vibrazioni
causate dal dito premuto nel pulsante
dell’otturatore.
Dati i lunghi tempi di posa è obbligatorio
munirsi di un cavalletto sul quale fissare
la fotocamera, onde evitare di ottenere
immagini mosse. Con le sue numerose
possibili regolazioni, è utilissimo per
cambiare inquadratura in pochissimi
secondi ed essere subito operativi per
altri scatti. In casi di emergenza, nulla
vieta comunque, di appoggiare la macchina
sopra un qualsiasi supporto di fortuna.
L’obiettivo fornito insieme alla Canon 350D.
Si notino i numeri descritti nel testo
Altra cosa fondamentale, da tener presente per chi
lavora in analogico, è la scelta della pellicola, che dovrà
avere una sensibilità adatta al tipo di ripresa. Si potrebbe
pensare che un numero ISO maggiore sia consigliato data la debolezza dei soggetti, in realtà è
meglio utilizzare pellicole a media sensibilità, diciamo comprese tra i 200 e gli 800 ISO. Più
saliamo in questa scala, maggiore è la grana prodotta e visibile in foto. Si tratta di un disturbo
creato dagli alogenuri d’argento (le particelle fotosensibili della pellicola) che sono tanto più
grandi quanto più è sensibile la pellicola. Ai massimi valori, tranne in alcuni casi eccezionali, la
grana è visibilissima e crea un notevole disturbo in tutta l’immagine. Il tempo di posa, inoltre,
influisce negativamente: più si espone, maggiore diventa la dimensione dei grani. Occorre
quindi trovare il compromesso giusto tra i vari fattori onde evitare spiacevoli sorprese.
Chi lavora con il digitale deve tenere presente un problema analogo. Anche nelle reflex
20
digitali è possibile variare gli ISO e anche qui impostando un valore alto si aumenta, oltre
che la sensibilità, un “rumore” fastidiosissimo che va a deturpare l’immagine finale. Si tratta
dell’equivalente della grana analogica, ma in questo caso è dovuta alla corrente elettrica che
scalda il sensore; i pixel rispondono in maniera diversa e a caso, nella foto, si vedono punti più
o meno luminosi. Anche qui maggiore il tempo, maggiore il rumore.
Un altro tipo di fotografia a grande campo, detta “in parallelo”,
necessita obbligatoriamente dello strumento astronomico
per eccellenza: il telescopio. Ovviamente non lo si usa per
fotografarci attraverso, ma come supporto della fotocamera,
come fosse un cavalletto. Serve come “guida” per compensare
il moto di rotazione terrestre. Infatti, una fotografia dal cavalletto
tradizionale non potrà avere tempi di posa lunghissimi, in quanto
la Terra, girando su se stessa, produrrà un effetto di mosso sulle
stelle, che invece rimangono fisse.
La maggior parte dei telescopi hanno la possibilità, invece, di
inseguire gli oggetti celesti, che apparentemente si muovono
in cielo, agendo su delle manopole o più comodamente,
attivando dei particolari motori elettrici. In questo modo,
se l’inseguimento è preciso, i tempi di posa si possono
allungare notevolmente senza avere la percezione
del mosso. Così si riescono a far risaltare anche i
dettagli più deboli.
Occorre perciò un accessorio che sia in
grado di collegare i due strumenti.
Alcuni telescopi hanno un vite a
passo fotografico installata nella
sommità della montatura. Altrimenti
è possibile, con un po’ d’ingegno,
costruirsi qualcosa che possa fare al
caso nostro.
Un oculare di media focale con un
reticolo illuminato all’interno, anche
se non fondamentale, può essere
utile per essere più precisi durante
l’inseguimento, o per correggere
eventuali errori dei motori.
Il piccolo telescopio (Ø 114 mm) che utlizzo in alcune fotografie astronomiche.
Si noti la montatura di tipo “equatoriale” sprovvista di motori. Tramite le due leve
flessibili è possibile effettuare piccole correzioni di puntamento, utili, ad esempio, per
inseguire gli oggetti celesti.
Le fotografie a piccolo campo sono equamente divise
tra quelle che necessitano di lunghe e corte pose e gli
strumenti necessari sono un po’ più specifici, alcuni dei
quali di largo utilizzo per coloro che già da un po’ sono
appassionati praticanti di astronomia.
Il telescopio, indispensabile nel “piccolo campo” dovrà
essere adatto al tipo si soggetto.
Ciò che è importante ai fini della fotografia è il rapporto
focale del telescopio, che esattamente come in un obiettivo
fotografico, ne indica la luminosità. Gli strumenti
amatoriali hanno luminosità, per così dire, abbastanza
Ecco cosa si vede guardando attraverso un telescopio con reticolo illuminato.
Nel centro dei filamenti luminosi si posiziona una stella e si cerca di mantenerla ferma
agendo sui movimenti micrometrici
21
standardizzate, ovvero i “riflettori” sono in genere più luminosi, (poiché hanno diametri
generosi) e quindi adatti per gli oggetti deboli (nebulose, galassie, comete, ammassi globulari),
mentre i “rifrattori” hanno rapporti focali maggiori, quindi sono più bui e meglio si adattano
alle riprese in alta definizione di oggetti luminosi (Sole, Luna e pianeti).
Esistono anche rifrattori a corta focale, combinando un’elevata luminosità ad una eccellente
lavorazione delle ottiche, ma qui i prezzi salgono parecchio.
I miei oculari. Partendo dal primo in alto a sinistra, fino all’ultimo in basso a destra,
le focali sono: 25mm - 20mm - 20mm - 12mm - 12mm - 10mm - 6mm - 4mm - 4mm
Per il metodo “afocale” occorre un
telescopio, una gamma di oculari
vasta il più possibile e una macchina
fotografica. Va bene, in questo caso,
anche una semplice compatta (molto
meglio digitale, dato che consente di
visualizzare la foto appena scattata, ed
eventualmente, di apportare subito le
dovute correzioni). In questo modo,
con un po’ di pratica, si riusciranno
ad ottenere foto interessanti degli
astri più brillanti.
Per il “fuoco diretto” sono indispensabili un paio di raccordi posti tra la macchina fotografica
priva di obiettivo (dunque si può usare solo una reflex, in questo caso) e il focheggiatore del
telescopio (che funge così da obiettivo). Il primo è il cosiddetto “anello T2”. Da una parte
si applica al posto dell’obiettivo della macchina, dall’altra ha una filettatura per l’innesto di
altri accessori, anche non astronomici. Il secondo è un raccordo specifico che andrà avvitato
nell’estremità libera dell’anello e poi inserito nel focheggiatore, come un comune oculare.
I due raccordi descritti nel testo smontati
Gli stessi raccordi avvitati insieme e pronti per l’uso
E’ importante, soprattutto se il soggetto è debole e richiede un tempo di posa assai lungo,
che il telescopio insegua piuttosto bene, con margini di errore bassissimi o praticamente nulli,
altrimenti, data la focale spinta, i soggetti risulteranno allungati. E’ opportuno quindi che la
montatura sia motorizzata (lo sono ormai la maggior parte) o che si provveda a montare un altro
piccolo telescopio, in parallelo, con il quale inseguire a mano anche se è piuttosto difficile ed
impegnativo. Si può incrementare ulteriormente l’ingrandimento frapponendo tra la macchina
e il telescopio un oculare o una lente di Barlow; ma attenzione, perché le difficoltà aumentano
in proporzione all’ingrandimento sviluppato.
22
Infine, uno strumento utilissimo, e di recente
impiego, è una comune webcam.
Queste piccole ed economiche telecamere
da applicare al computer sono utilissime
per la fotografia degli oggetti del sistema
solare. L’unica accortezza è di sceglierne
una con risoluzione di almeno 640 x 480
px e con la possibilità di essere smontata. Il
suo obiettivo, infatti, non serve, e la camera
viene usata con le ottiche del telescopio.
Una tra le webcam più quotate per l’uso astronomico:
la Philips Toucam Pro III (SPC900NC)
23
Tecniche a grande campo
Le tecniche a grande campo sono le più semplici da realizzare.
Per questo sono le prime che gli astrofili prendono in considerazione per iniziare a far foto
astronomiche. Si possono realizzare in molti casi e da molti siti. Anche quando il seeing e la
trasparenza non sono ottimali, si riescono a fare foto abbastanza buone. La città, contrariamente
a quanto si possa credere, può essere un buon punto di partenza, dove fare le prime esperienza
e prendere dimestichezza con gli strumenti.
Volendo essere il più precisi possibile, possiamo dividere queste tecniche in due categorie: le
fotografie “da cavalletto” e “in parallelo”. Per le prime occorre semplicemente una fotocamera
e un cavalletto, mentre nella seconda è necessario anche un telescopio.
I soggetti che è possibile riprendere in questa categoria sono numerosissimi, e alcuni sembrano
addirittura non essere attinenti con l’astronomia.
Fotografia “da cavalletto”
La fotocamera posizionata sul
cavalletto, ponta per scattare
•
Procedendo con ordine, le foto più semplici da realizzare sono quelle dei tramonti e
delle albe, quando il Sole è quindi vicinissimo all’orizzonte e il cielo assume la caratteristica
colorazione rossastra. In questo caso, data la grande luminosità, non è nemmeno necessario il
più delle volte, il cavalletto. I parametri tecnici da regolare sono pochissimi e anche settate in
“automatico”, le macchine di solito producono ottime immagini. Si usano corte o medie focali,
perciò va benissimo anche una qualsiasi compatta. E’ importante qui, più di ogni altra fotografia
astronomica, preoccuparsi dell’inquadratura, in modo da rendere piacevole l’immagine e
conferire originalità ad un soggetto gia molto in voga tra i fotografi. Utilissimi sono i particolari
terrestri che fanno da contorno al fenomeno. E’ consigliato, infatti, far rientrare in foto anche
il paesaggio terrestre onde evitare di produrre immagini con solo cielo, prive di identità, che
potrebbero essere state scattate in qualsiasi parte del pianeta e da chiunque. Possono essere
molto interessanti luoghi dove dominano imponenti gru, cantieri, strade trafficate, grandi
strutture architettoniche. Anche elementi naturali come montagne, colline, corsi d’acqua, sono
importanti e di grande aiuto. Attenzione particolare va posta alla linea dell’orizzonte: salvo i
rari casi dove potrebbe essere interessante qualche gioco di simmetria, è opportuno attenersi
alla “regola dei terzi”, ponendola a 1 o 2 terzi dal bordo dell’inquadratura. Di grande impatto
sono le fotografie effettuate con obiettivi a cortissima focale e diaframmati di qualche stop
(per sfruttare una maggior profondità di campo ed avere, così, tutto a fuoco) dove si vedono
ampissime porzioni di cielo e terra.
L’ultima cosa da dover decidere è, a questo punto, la scelta dell’esposizione; cioè se vogliamo
che sia correttamente esposto il paesaggio, o il cielo con il Sole. Le due varianti producono effetti
diversi: nel primo caso il cielo verrà sovraesposto, si perde un po’ l’effetto alba o tramonto, ma
si vedranno molto bene i particolari terrestri. Nel secondo il cielo sarà della giusta tonalità, con
il Sole ben visibile, e l’orizzonte apparirà come un’unica sagoma nera.
•
Un soggetto altrettanto semplice da fotografare è il “parelio solare”. Si tratta di un
riflesso solare che è visibile ogni tanto in cielo, durante le ore diurne, quando sono presenti
particolari nubi, alte e stratiformi: i cirri. Il parelio si manifesta come un piccolo bagliore di
luce a lato del Sole e talvolta è visibile sia a destra sia a sinistra. E’ dovuto alla rifrazione dei
reggi solari nei piccoli cristalli di ghiaccio dei cirri. In questo modo la luce viene scomposta e
il parelio assume i colori tipici dell’arcobaleno. Il rosso è sempre verso il Sole. I parametri e
le modalità di ripresa sono gli stessi che per i tramonti e le albe. La cosa più difficile, quindi, è
trovarsi nel posto giusto al momento giusto.
•
Un tipo di fotografia molto in voga tra i principianti (e non solo) è la classica strisciata
attorno la stella Polare. Si tratta di lasciare aperto l’otturatore della macchina per un tempo
sufficientemente lungo da mostrare le tracce prodotte dalle stelle mentre ruotano (apparentemente,
dato che in realtà è la Terra a ruotare) attorno alla stella Polare. Dal punto di vista tecnico si
capisce subito la semplicità di questo tipo di foto. Anche qui, però, ci sono accortezze da tenere a
mente: innanzi tutto è bene non scegliere una sensibilità troppo elevata, altrimenti il fondo cielo
diverrebbe troppo chiaro. Meglio non superare gli 800 ISO. E’ opportuno inoltre, diaframmare
di uno o due stop l’obiettivo per avere immagini più incise, una maggior profondità di campo,
e poter usufruire di più tempo di posa (= strisciate più lunghe) mantenendo accettabile il fondo
cielo. E’ anche importante sapere che parte di cielo si sta inquadrando per determinare il corretto
tempo di posa. Si consideri che le stelle in cielo non ruotano tutte con la stessa velocità lineare
(in un dato tempo percorrono lunghezze diverse): la stella Polare rimane fissa (in realtà quasi
fissa, dato che non si trova esattamente sul Polo Nord celeste), e man mano che le stelle si
trovano più lontano da lei ruotano sempre più velocemente, raggiungendo il massimo lungo
l’Equatore celeste. Puntando in quest’ultima direzione, piuttosto che in un’altra, quindi, a parità
di tempo, la strisciata risulterà maggiore. Anche il tipo d’obiettivo è importante per determinare
i tempi. Una focale lunga produrrà velocemente l’effetto mosso, mentre una corta necessita,
25
in casi estremi, anche di diversi minuti. Anche in questo caso è importante l’inquadratura,
che potrà essere solo “astronomica”, includendo solo stelle, o “ibrida”, incorporando parte di
paesaggio.
•
Riducendo opportunamente i tempi, si possono riprendere intere costellazioni, senza
però far apparire le strisciate. Sono foto molto belle, se ben eseguite, e di grande soddisfazione
per l’astrofotografo alle prime armi, perché talvolta si riescono ad individuare le deboli strutture
di qualche galassia, o nebulosa. Oppure la Via Lattea, con le sue zone oscure all’interno. In
ogni caso, comunque, si contano in foto tante stelle in più di quelle che si vedono ad occhio
nudo. Di seguito è riportata una tabella con i tempi massimi, in base alla focale utilizzata e alla
declinazione dell’area inquadrata.
Focale in mm
18
28
35
50
80
135
200
300
T max a 0°
30”
19”
15”
11”
7”
4”
3”
2”
T max a 15°
32”
20”
16”
12”
7”
4”
3”
2”
T max a 30°
35”
23”
18”
13”
8”
5”
4”
2”
T max a 45°
43”
28”
22”
16”
10”
6”
5”
3”
T max a 60°
61”
39”
31”
22”
13”
8”
6”
4”
La tabella si riferisce specificatamente alle classiche macchine analogiche, con pellicola 35mm.
Lavorando in digitale i valori esatti saranno leggermente diversi.
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Tramonto
Canon 350D - 55 mm - f/5,6 - 1/1000 sec - iso 100
Falce di Luna e Venere al tramonto
Canon 350D - 38 mm - f/8 - 3,2 sec - iso 100
Venere e Mercurio al tramonto
Canon 350D - 31 mm - f/22 - 4 sec - iso 200
Parelio solare
Kodak DX7630 - 39 mm - f/8 - 1/1000 sec - iso 100
Tracce stellari attorno alla Stella Polare
Canon 350D - 18 mm - f/3,5 - circa 400 sec - iso 800
Scorcio di Via Lattea nei pressi del Sagittario
Canon 350D - 18 mm - f/3,5 - 31 sec - iso 800
Traccia di una perseide (stella cadente del 10 agosto)
Canon 350D - 18 mm - f/3,5 - 30 sec - iso 800
Fotografia in parallelo
Il telescopio con la Canon montata nella barra del contrappeso pronta all’uso.
Si notino lo scatto remoto autocostruito e il sostegno per la fotocamera, anch’esso autocostruito
La fotografia in parallelo è forse quella che, tra le tecniche più semplici, da maggiori soddisfazioni.
La tecnica è molto semplice: la fotografia si realizza con l’ottica della macchina.
Il fotografo deve osservare nell’oculare del telescopio una stella guida usando il massimo
ingrandimento possibile. Questa inizia naturalmente a spostarsi, a causa della rotazione terrestre.
Quindi bisogna cercare di compensare il movimento e mantenere la stella il più possibile
ferma nella sua posizione agendo sulle leve del telescopio. Si muoverà così anche la macchina
fotografica che gli è attaccata, e la foto risulterà ferma.
Ovviamente più si è precisi nell’inseguimento manuale, migliore risulterà essere la foto, ma
non bisogna spaventarsi: una volta presa la mano è piuttosto semplice inseguire e la cosa più
importante è che sono ammessi errori abbastanza grossolani (in base all’obiettivo usato: focali
corte = ammessi errori maggiori). Il campo inquadrato dall’obiettivo, infatti, è molto maggiore
di quello inquadrato dal telescopio, quindi il movimento apparente è molto meno marcato.
Minore è il campo, più velocemente gli astri sembrano spostarsi, ed è per questo che è meglio
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inseguire con ingrandimenti molto alti, così si è molto più precisi!
E’ molto utile un oculare con un reticolo illuminato all’interno. Si tratta di un filamento
luminoso, inserito dentro l’oculare, che forma una croce. Un ulteriore punto di riferimento nel
quale posizionare la stella guida. Non è tuttavia un accessorio indispensabile, soprattutto se la
posa non supera i 4-5 minuti.
La macchina dovrà, per forza, consentire pose piuttosto lunghe, almeno di trenta secondi,
per essere certi di ottenere qualcosa di soddisfacente. Sono quindi consigliate le reflex che,
impostando la posa B (bulb), permettono un qualsiasi tempo voluto dal fotografo.
Per quanto riguarda gli obiettivi anche qui, come per la tecnica precedente, è bene mantenersi su
focali corte e numeri f/ piccoli (obiettivi luminosi). Salendo con la focale si riesce a selezionare
una piccola parte di cielo, ma è molto più difficile ottenere immagini ferme.
La messa a fuoco è forse la cosa più difficile. Deve essere perfetta per ottenere stelle puntiformi.
Se si lavora in digitale, sono utili delle prove da rivedere al momento, e correggere in fase di
ripresa gli eventuali errori. Posizionare la ghiera della messa a fuoco su “infinito” non sempre
garantisce la massima precisione. Diaframmando di un paio di stop e allungando quindi la
profondità di campo, si ha un fuoco sicuramente migliore. Inoltre chiudere il diaframma
comporta anche ridurre notevolmente le aberrazioni dell’obiettivo. Indicativamente sono spesso
buone, le foto realizzate tra f/4 e f/5.6, anche se richiedono tempi un po’ più lunghi.
La procedura da effettuare per poter essere operativi richiede qualche passaggio fondamentale,
ma tutto si può dire, tranne che sia complicata.
Innanzi tutto occorre precisare che il telescopio dovrà essere equipaggiato di una montatura
“equatoriale”, adatta all’inseguimento degli oggetti celesti. Sebbene anche le montature
“altazimutali” permettano di farlo, le fotografie con essa effettuate risulteranno affette dalla
“rotazione di campo”. (Vediamo in seguito che significa).
La prima cosa necessaria è lo “stazionamento” del telescopio. Tecnicamente significa renderlo
parallelo con l’asse terrestre, facendo puntare l’asse polare del telescopio verso un polo celeste
(ovviamente per noi, si parla di polo Nord), in modo da renderlo effettivamente pronto per
l’inseguimento. Le istruzioni per lo stazionamento si trovano solitamente nel manuale allegato
allo strumento oppure facilmente, facendo una ricerca sul Web. Dopo le prime volte, lo
stazionamento risulterà molto semplice e intuitivo e non richiederà più di una manciata di
minuti. E’ importante curare questa prima fase poiché uno stazionamento ben fatto semplifica
notevolmente l’inseguimento.
Il passo successivo è collegare la macchina al telescopio. Alcune montature hanno una vite
con passo fotografico sulla sommità. In questo caso i due strumenti appaiono perfettamente
allineati e paralleli. Quindi ognuno punterà la stessa zona di cielo. Oppure esistono numerosi
raccordi, da applicare in diverse parti della montatura, per fissare la macchina in parallelo.
Quello proposto è un pezzo da me progettato e fatto realizzare da un fabbro.
Il sostegno in dettaglio.
Consente di fissare qualsiasi fotocamera mediante la vite a passo fotografico
(di fianco a destra) e di eseguire fotografie in parallelo sfruttando un allineamento disassato, utile per essere più precisi nell’inseguimento
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Consente anche l’inseguimento “dissasato”, che può essere talvolta vantaggiosa: il telescopio
e la macchina puntano zone differenti. Si usa quando si vogliono ottenere inseguimenti
particolarmente precisi. In questo caso la macchina si punta verso il soggetto, mentre il
telescopio verso una stella guida posta lungo l’Equatore celeste o in prossimità di questo. In
quella direzione il moto apparente risulta molto più veloce, quindi si sarà costretti a continue,
piccole, precise correzioni.
Le foto potrebbero però essere affette dalla “rotazione di campo” se il telescopio non è stato
allineato al polo con sufficiente precisione. Essa appare come una sorta di leggero mosso, con
le tracce stellari arcuate, con centro nella stella guida, maggiore man mano che da lei ci si
allontana, e proporzionale a tempo di posa.
Fatto questo, si puntano gli strumenti. Se l’inseguimento è in asse (perfettamente parallelo),
non è detto che nel campo dell’oculare ci sia una stella luminosa adatta per fare da guida. In tal
caso basta muoversi in ascensione retta o in declinazione fino a trovarne una. Se ci si muove di
poco, l’inquadratura della fotocamera rimarrà praticamente la stessa.
Ora è tutto pronto per scattare. Conviene iniziare a inseguire un po’ prima, così da prendere
confidenza con il movimento da fare e conviene anche, se la macchina lo consente, sollevare
prima lo specchio, aspettare qualche secondo che finiscano le vibrazioni, e successivamente
aprire l’otturatore. Alcuni telescopi, la maggior parte ormai, sono equipaggiati di un motore
elettrico sull’asse di ascensione retta (alcuni anche in declinazione) per inseguire in automatico.
I motori sono effettivamente molto utili, e fanno gran parte del lavoro, ma l’inseguimento va
sempre controllato attraverso l’oculare, anche qui meglio se illuminato. Ogni tanto, a causa di
uno stazionamento non perfetto e dell’errore periodico (imperfezioni meccaniche tipiche delle
montature, anche delle più costose), la stella guida tende comunque a muoversi. Qui si interviene
manualmente, con i movimenti micrometrici, e si riporta la stella alla posizione iniziale. Questa
operazione si chiama “posa guidata”, oltre che essere, ovviamente, “inseguita”.
La guida è utilissima, e quasi indispensabile (soprattutto nelle foto a piccolo campo dove gli errori
di inseguimento sono molto più visibili). E’ possibile anche guidare in automatico, servendosi
di una telecamera da inserire nel portaoculari che, collegata ad un computer, collegato a sua
volta al telescopio, calcola lo spostamento della stella guida e fornisce i dati necessari per far
muovere i motori e riportarla nella giusta posizione. E’ tuttavia un processo un po’ laborioso, e
più che altro, necessita di strumenti che non sono in possesso di un neofito che si avvicina per
la prima volta all’astrofotografia, per questo non mi soffermo a trattarlo.
La nebulosa Nord America ripresa in parallelo. A sinistra è stato sovrapposto il disegno della nebulosa, da confrontare con la foto originale di destra.
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La galassia di Andromeda (M31) in parallelo.
Media di tre pose - 102 mm - f/5,6 - 30 sec - iso 800
La galassia di Andromeda (M31) in parallelo. Si notano le stelle leggermente elongate a causa di un inseguimento non perfetto
Media di cinque pose - 200 mm - f/5,6 - 30 sec - iso 800
Nebulosa di Orione (M42). In alto si vedono le tre stelle della “cintura di Orione”.
Media di sette pose - 102 mm - f/5,6 - 30 sec - iso 800
Nebulosa di Orione (M42). Come in precedenza, a focali più spinte, si notano i soliti problemi di inseguimento.
Media di quattro pose - 200 mm - f/5,6 - 30 sec - iso 800
Tecniche a Piccolo campo
Le tecniche a piccolo campo, come si è detto, sono volte a riprendere piccole parte di cielo.
I soggetti preferiti sono tutti gli astri del sistema solare (Luna, Sole, pianeti, comete) e i più
svariati oggetti di “profondo cielo” (stelle, nebulose, ammassi, galassie). Non tutto questo può
essere però fotografato nello stesso modo e con le stesse condizioni esterne: per i soggetti del
Sisema Solare anche la città va benissimo, anzi, dato che non si riscontrano particolari differenze
nei risultati, rimanere ad esempio nel cortile di casa, o anche in un terrazzo, può talvolta essere
molto più comodo. Gli oggetti di profondo cielo, invece, sono bisognosi di lunghe pose che
farebbero risaltare il cielo inquinato della città. In questo caso un sito buio è indispensabile.
Buoni seeing e trasparenze, e assenza di turbolenza, aiutano in ogni caso.
Come già molte volte detto, più il soggetto è luminoso, più semplice sarà eseguire la foto, in
quanto occorre esporre per meno tempo. Il sole e la Luna sono quindi i favoriti. Contrariamente
a quanto si possa pensare, tra i due, è la Luna l’astro più semplice. Il Sole è talmente luminoso
che se osservato attraverso un’ottica (ma anche ad occhio nudo) recherebbe gravi danni ai
nostri occhi … e alle ottiche stesse. E’ quindi necessario un filtro (appositamente creato per usi
astronomici) per fotografarlo.
Per ogni tecnica qui presentata è fondamentale avere un telescopio, meglio se dotato di
montatura equatoriale motorizzata, attraverso il quale fotografare. In queste tecniche l’ottica
usata è sempre quella del telescopio che potrà essere abbinata o meno ad altre, ad esempio a
quella di una macchina digitale.
Metodo Afocale
Il metodo afocale
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E’ il metodo più facile per ottenere foto discrete e a buona risoluzione, con diversi dettagli
quindi, di Luna, pianeti e, se dotati dell’apposito filtro, anche del Sole.
Si tratta di rendere il telescopio operativo per l’osservazione visuale e scattare accostando la
macchina fotografica all’oculare. Conviene far pratica sulla Luna, dispensatrice infinita di
banchi di prova. La maggior parte di coloro che si sono avvicinati alle riprese in alta risoluzione
hanno cominciato con il nostro satellite, data la sua luminosità, il suo generoso diametro e la
ricchezza di dettagli e paesaggi mozzafiato di cui è ricca. Inoltre è visibile molto spesso in
cielo, anche se in ore e zone diverse, e non ci sono, come invece accade per gli altri soggetti,
lunghi momenti dell’anno in cui non si presenta mai sopra l’orizzonte. E ogni giorno è sempre
un po’ diversa, riproponendo ciclicamente ogni ventinove giorni l’intera varietà delle sue fasi.
Fornisce, quindi, spunti costanti per gli astrofotografi, anche i più esperti.
Dettagli lunari ripresi in afocale con una piccola digitale
compatta, appoggiandola a mano nell’oculare.
f/4,5 - 1/60 sec - iso 100
Stessa tecnica della foto precedente. Si noti la marcata vignettatura attorno il soggetto.
f/2,8 - 1/60 sec - iso 100
La procedura è piuttosto semplice e possiamo spiegarla in pochi passaggi.
Prima cosa da fare è puntare con il telescopio il soggetto (facciamo l’esempio proprio della
Luna), e osservarlo con un oculare. Si possono fare prove con diversi oculari, determinando
ingrandimenti tali da far rientrare tutta la Luna nel fotogramma o solo alcuni suoi dettagli. Poi
si è quasi pronti per scattare. Paradossalmente con una compatta (meglio digitale) le operazioni
risultano più semplici e immediate che con una reflex. Infatti settando la macchina in automatico
(ricordandosi però di escludere il flash), rimane una sola operazione prima dello scatto: la
messa a fuoco.
Come in ogni tecnica, la messa a fuoco, è molto importante e richiede un po’ di pazienza.
In questo caso si deve impostare “infinito” sulla macchina, e focheggiare direttamente dal
telescopio, finche attraverso il display l’immagine sembra nitida. Sicuramente si vedrà una
vignettatura (calo di luminosità nei bordi della foto) molto marcata, o addirittura intorno
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al soggetto, la sagoma nera del bordo dell’oculare. Più piccolo è il diametro della lente
dell’oculare, maggiore sarà tale difetto. Si può eliminarlo sia in post-produzione, tramite
fotoritocco al computer, sia direttamente in fase di ripresa, ma solo se la macchina è dotata di
zoom. Prendiamo in considerazione solo uno zoom ottico, escludendo a priori quello digitale,
che deteriora incredibilmente l’immagine. Zoomando, quindi, si estende a tutto fotogramma, o
a gran parte di esso, l’immagine che ci interessa, evitando di sprecare pixel utili con un fondo
completamente nero.
Deciso l’uso o meno dello zoom, tutto è pronto. Tenendo il tutto molto fermo si provare a scattare.
La prima cosa da fare è controllare nel display il risultato. E’ questa il grande vantaggio della
fotografia digitale, potendo eventualmente correggere al momento eventuali errori. Per vedere
meglio se l’immagine è a fuoco è opportuno zoomare il “review” al massimo. Per la Luna non
dovrebbero esserci grandi difficoltà, in quanto i suoi dettagli sono molto ben visibili, anche
attraverso un piccolo display. Quindi la messa a fuoco, dopo alcuni tentativi, dovrebbe riuscire
abbastanza bene. Inoltre è un soggetto luminosissimo per cui la macchina setterà un tempo
veloce, indispensabile, date le numerosi vibrazioni che scaturiscono nel tenerla appoggiata
a mano all’oculare. Per i pianeti, invece, le cose sono un po’ più complesse, in quanto sono
soggetti piuttosto piccoli. Il fotogramma rimane per lo più nero, e la macchina imposta un
tempo lungo. Meglio, se possibile, impostare la modalità manuale decidendo i tempi opportuni.
Si consideri che non tutti sono fotografabili. Si può tentare con gli unici cinque visibili anche ad
occhio nudo, che nell’ordine di luminosità, sono: Venere, Giove, Saturno e Marte (dipende dai
periodi quale è il più brillante tra i due), e Mercurio. Di solito sono i primi tre, a dare qualche
soddisfazione in più.
Eclisse parziale di Sole del 29 marzo 2006
Kodak DX 7630 - 39 mm - f/2,8 - 1/32 sec - iso 100
Telescopio riflettore, Ø 114 mm - lunghezza focale 1000 mm
con filtro solare
Alcuni pianeti ripresi in afocale usando diversi oculari
Facendo delle prove, si riesce ad identificare il proprio set-up migliore, decidendo, ad esempio,
qual è l’oculare migliore o se è opportuno o meno usare lo zoom della macchina. (Personalmente
lo sconsiglio dato che a focali spinte, il numero f/ sale, la luminosità cala, e la posa si allunga
ulteriormente.) E’ importante anche non esagerare nel voler immagini grandi.
La ricerca dell’ingrandimento è una caratteristica tipica dei neofiti, tesi ad ingrandire al massimo
i soggetti, sia in visuale che in fotografia. Ma c’è un limite tecnico, consentito in primo luogo
dagli strumenti usati e in secondo dalle condizioni del cielo, che va rispettato.
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E’ meglio una immagine più piccola ma nitida, che una grande ma mossa e priva di dettagli.
Anche scattando con una reflex si ottengono risultati positivi. E’ solo un po’ più impegnativa
la preparazione prima di arrivare allo scatto. Intanto non è possibile osservare attraverso il
display, ma per forza attraverso il mirino. Quindi dobbiamo stare attaccati alla macchina anche
con la testa, aumentando le vibrazioni. Anche durante lo scatto, visto che specchio e otturatore
si muovono, il mosso è in agguato. Sono fotocamere più ingombranti, e risulta più complesso
tenerle con una mano sola, mentre con l’altra si agisce sul focheggiatore del telescopio. E’
comunque tutta questione di pratica. Prendendo dimestichezza con una reflex, che generalmente
ha un’ottica e una resa migliori, le foto risulteranno sicuramente meglio riuscite.
Volendo scattare in condizioni di minor precarietà, è possibile acquistare delle staffe
appositamente create per sostenere le fotocamere vicino l’oculare. Sono regolabili in più modi,
così da adattarle a qualsiasi situazione e apparecchiatura. Se si è provvisti di una spiccata
manualità e ingegno, è possibile provare a costruirsi da soli tale accessorio.
Luna in afocale. L’oculare a lunga focale ha permesso la ripresa dell’intera Luna
Kodak DX 7630 - 39 mm - f/2,8 - 1/45 sec - iso 100
Telescopio rifrattore, Ø 70 mm - lunghezza focale 910 mm
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Fotografie al fuoco diretto
La fotocamera al fuoco diretto del telescopio.
Si inserisce nel portaoculari mediante due raccordi.
La fotografia al fuoco diretto sfrutta appieno il telescopio. Questo diventa infatti l’obiettivo
della macchina fotografica. E’ scontato, quindi, che per questa tecnica la macchina deve per
forza essere una reflex. Non vanno bene le compatte.
Fotografare in questo modo non è molto semplice se scegliamo soggetti molto deboli che
richiedono tempi lunghi, come nebulose o galassie. Il problema è sempre lo stesso: data la focale
spinta del telescopio, il campo inquadrato sarà piccolo, e il movimento apparente del soggetto
risulterà maggiore. L’inseguimento deve essere perfetto per non evidenziare il mosso.
I motori non sempre, anzi quasi mai, sono sufficienti a garantire la precisione necessaria per
pose di alcuni minuti. Inoltre non è possibile guidare a mano usando un oculare poiché il
focheggiatore è occupato dalla fotocamera. In realtà esistono accessori particolari che permettono
sia l’innesto della fotocamera sia di un oculare che inquadra un campo di poco a lato a quello
del soggetto; occorre essere abbastanza fortunati di riuscire qui a trovare una stella abbastanza
luminosa per la guida. La tecnica prende il nome di “guida fuori asse”.
Si può anche fissare un altro telescopio, in parallelo al primo, dove poter inserire un oculare
illuminato, o una telecamera per la guida automatica. Ovviamente la montatura deve essere
molto robusta, in quanto dovrà sopportare il peso di due telescopi più la macchina fotografica.
Il tutto dovrà essere ben bilanciato affinché i motori facciano al meglio il loro lavoro.
Si capisce che tale soluzione non è né di semplice realizzazione né economica, pertanto in
questa tecnica l’autoguida è quantomai utile.
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Le cose cambiano se si fotografano gli oggetti del Sistema
Solare. Qui bastano pose al massimo di qualche secondo.
Inutile dire che la Luna è il miglior soggetto per iniziare.
Tecnicamente servono dei raccordi per collegare la macchina
fotografica al telescopio. Sono due: il primo è un anello che
va applicato al posto dell’obiettivo della macchina. Si chiama
“Anello T2”. Da una parte ha l’innesto per la macchina (le
Saturno al fuoco diretto di un grande telescopio
diverse marche, e alcuni modelli, avranno il loro anello
(Ø 40 cm, f/8)
dedicato), dall’altra una vite con filettatura adatta a vari
accessori fotografici. In questa estremità andrà avvitata una estremità del secondo adattatore,
appositamente creato per l’astrofotografia;
l’altra si inserisce al posto dell’oculare del telescopio.
Per mettere a fuoco si agisce sul focheggiatore. Non è semplicissimo trovare il giusto fuoco
guardando dentro il mirino della reflex, quindi alcune prove iniziali sono fondamentali. Onde
evitare di creare vibrazioni è opportuno utilizzare uno scatto flessibile e anche in questo caso,
così come in precedenza, è meglio sollevare anticipatamente lo specchio della reflex.
Occultazione di Saturno (in basso a destra; si vede metà pianeta. L’altra metà è nascosta dietro la Luna) del 22/05/2007
Canon 350D al fuoco diretto di un rifrattore 70/700. Posa di 1/10 sec a 800 iso
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Nebulosa di Orione (M42), parte centrale.
Canon 350D al fuoco diretto di un Ritchey Chrétien di 400 mm e 3200 di focale.
Media di 4 pose da 311 sec (iso 400), 289 sec (iso 800), 60 sec (iso 200), 74 sec (iso 200)
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strisciata dell’eclisse da aprire
Fasi dell’eclisse totale di Luna del 3/03/2007.
Canon 350D al fuoco del rifrattore 70/700
48
Luna
Canon 350D al fuoco del piccolo rifrattore 70/700
1/80 sec - iso 100
Proiezione da oculare, da Barlow e da riduttore di focale
Per queste tecniche il set-up è simile alla tecnica precedente. Qui, in più, si posiziona un oculare
o una lente di barlow (che aumenta la focale del telescopio) tra il telescopio e la macchina.
Solitamente i raccordi hanno una filettatura interna adatta all’innesto degli oculari, mentre la
lente si posiziona direttamente nel portaoculari e poi, di seguito, il raccordo con la reflex. Il
risultato sarà quello di avere una immagine più ingrandita del soggetto inquadrato, aumentando
come sempre in questi casi, le difficoltà per ottenere una buona foto.
Oppure si applica un riduttore di focale, che invece serve per diminuire la focale dello strumento
e aumentare la luminosità e il campo inquadrato.
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Webcam
Il set-up pronto all’uso per fare fotografie con la webcam (inserita nel focheggiatore del telescopio) e il pc dal quale controllare le riprese
e i parametri
Recentemente sono di grandissimo utilizzo le webcam, le piccole telecamere che si collegano
al computer nate perlopiù per effettuare videoconferenze o simili. Sono utilissime anche in
campo astronomico e permettono di ottenere risultati di gran lunga migliori che ne usando una
macchina fotografica.
Il campo d’azione utile delle webcam si riduce alla fotografia degli oggetti del Sistema Solare:
Sole, Luna e pianeti.
Il concetto è abbastanza semplice: si sfrutta la possibilità della telecamera di eseguire filmati.
Questi sono fondamentalmente una serie di fotografie (fotogrammi) scattate in rapidissima
successione, con tempi piuttosto brevi, che vanno bene quindi per gli oggetti brillanti. Di solito,
la maggior parte delle camere, permettono di arrivare fino un massimo di 30 fotogrammi al
secondo (30 fps). In seguito, con appositi software (alcuni fortunatamente gratuiti) si elabora
il filmato usando i fotogrammi migliori. Tecnicamente significa prendere tutti i fotogrammi
scelti, sovrapporli perfettamente e fare una media matematica delle loro luminosità, in modo da
ottenerne uno unico, finale, che sia esente da numerosi errori.
Ad esempio, mediando molti scatti, si migliora il rapporto s/n (signal/noise = segnale/rumore),
dove per segnale si intende sostanzialmente l’immagine del soggetto, che è più o meno la stessa
in ogni fotogramma, e per rumore il rumore di fondo dei sensori, che è casuale, andandosi ad
50
“appiattire” dopo molti fotogrammi mediati. Anche l’effetto turbolento delle immagini distorte
tende ad annullarsi con l’aumentare dei fotogrammi mediati. La procedura, che sembra complessa,
viene in realtà completamente eseguita in qualche minuto dai software dedicati. Infine, tramite
un qualsiasi programma di elaborazione digitale, si applicano le ultime correzioni.
Quasi ogni webcam dovrebbe essere adatta.
Per esserlo deve rispettare alcune caratteristiche fondamentali:
•
l’obiettivo deve essere removibile. Solitamente, dopo aver tolto le coperture esterne,
l’obiettivo si può svitare ed estrarre completamente, lasciando “scoperto” il piccolo sensore;
•
La risoluzione reale (numero di pixel del sensore) deve essere almeno 640x840
permettendoci di ottenere immagini sufficientemente grandi e dettagliate;
•
Il software che gestisce la webcam deve permettere la regolazione manuale di alcuni
parametri fondamentali: esposizione e guadagno primi fra tutti, che opportunamente modificati
servono per determinare la giusta luminosità del soggetto, prima di iniziare l’acquisizione.
Questo punto può essere garantito da altri software gratuiti dedicati;
•
E’ indispensabile un computer portatile, al quale collegare la webcam. Il computer e
il telescopio dovrebbero vicini, in modo da vedere in tempo reale l’immagine fornita dalla
camera, regolarla, e correggere gli eventuali errori;
Le webcam si possono usare al fuoco diretto, ovvero si svita il piccolo obiettivo, e la si fissa,
tramite un raccordo (spesso autocostruito) al portaoculari del telescopio, oppure, come nel
precedente caso delle reflex, con oculari e lenti di Barlow, per aumentare l’ingrandimento
(molto utile nei pianeti, dove si cerca il massimo ingrandimento utile).
Il consiglio è comunque di far pratica senza questi accessori.
La webcam da me utilizzata sprovvista del suo obiettivo e con
l’adattatore inserito
Da questa angolazione si nota il sensore di piccolissime dimensioni
51
Le fasi per procedere alla realizzazione di una fotografia sono le seguenti:
•
una volta scelto il soggetto (consiglio sempre la Luna – specialmente con le webcam per fare esperienza) vi si punta il telescopio e si inserisce la webcam, già collegata al computer,
nel portaoculari. Il raccordo può essere facilmente realizzato con un contenitore di pellicole
fotografiche. Sono cilindretti di plastica che si prestano perfettamente in quanto hanno un
diametro di circa 32 mm, esattamente come la maggior parte dei portaoculari. Eliminato il
fondo, si fissa saldamente una estremità del raccordo (di solito la più grande, dove si incastrava
il tappo) alla webcam sprovvista di obiettivo, cercando di mantenere l’asse del raccordo
perpendicolare al sensore. E’ importante essere precisi: viste le ridotte dimensioni del sensore,
è difficile inquadrare i pianeti se la camera non è perfettamente allineata al telescopio;
•
Quando nel monitor del computer si vede la superficie lunare occorre regolare la
messa a fuoco, tramite il focheggiatore del telescopio, e trovare la giusta combinazione tra
esposizione e guadagno fino a vedere bene tutte le parti e i dettagli, senza saturare alcuna parte
dell’immagine;
•
A questo punto è possibile iniziare ad acquisire il filmato. Dovrà essere acquisito alla
massima risoluzione possibile (consigliata 640 x 480, o più). Se il telescopio è sprovvisto di
motori, si vedrà l’immagine del soggetto attraversare molto velocemente il fotogramma, fino
a scomparire. In questo caso consiglio di far partire e fermare il video quando il soggetto è
interamente visibile. Conviene impostare il massimo numero di frame per secondo. Avremo
così un filmato di non moltissimi fotogrammi, ma in ognuno di essi il soggetto è presente
totalmente. In fase di elaborazione quindi, il programma allineerà tutti i fotogrammi per poi
prendere i migliori. Conviene ripetere più volte questa operazione, salvando sull’hard disk
numerosi filmati, da elaborare separatamente, avendo più possibilità di ottenere una valida
immagina finale.
Il pianeta Giove, ripreso con la webcam al
fuoco diretto di un piccolo rifrattre 70/910.
Media di circa 50 fotogrammi
Per questa foto ho utilizzato un telescopio da Ø 250 mm a f/10.
Media di quattro fotografie ottenute da altrettanti filmati diversi.
I due satelliti sono Ganimede e Io
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Congiunzione Venere-Saturno.
E’ stata prima eseguita una foto in afocale, per stabilire le posizioni dei pianeti all’interno del campo dell’oculare, poi tramite un
fotomontaggio sono stati applicati nei punti corretti i due pianeti elaborati singolarmente da alcuni filmati
Dettagli lunari.
Mosaico di due foto ottenute tramite webcam.
Telescopio da 2500 mm di focale
53
Altri esempi di dettagli lunari ottenuti
con il riflettore 114/1000.
Dove si vede molto rumore di fondo, sono
stati mediati pochi fotogrammi
Mosaico dell’intera superficie lunare pochi istanti prima che occultasse Saturno
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Mosaico lunare composto da venti diverse fotografie, ognuna ottenuta da un filmato
Elaborazioni
Elaborare una fotografia significa sottoporla a dei trattamenti che permettono di renderla
migliore.
Tali trattamenti vengono eseguiti tramite software dedicati all’elaborazione di immagini digitali
o più in particolare alle immagini astronomiche. Alcuni sono a pagamento altri invece sono
gratuitamente rapibili tramite la rete. In ogni caso, i parametri su cui intervenire per apportare
le giuste modifiche, sono i principali, che dovrebbero pertanto essere riportati su ogni software,
anche gratuito, dedicato all’”imaging”.
Segnalo e raccomando due programmi freeware (gratuiti) molto utili all’astrofotografo. Sono
di facile utilizzo, ed essendo concepiti appositamente per l’astronomia, prevedono dei passaggi
completamente automatici aiutando chi è alle prime armi, permettendo comunque di ottenere
ottimi risultati. Il primo è “Deep Sky Stacker”, utile nelle riprese a grande campo, e degli
oggetti deboli. Il secondo è “Registax”, che permette di elaborare i filmati delle webcam, ed è
pertanto indispensabile per le foto del Sistema Solare.
In questo capitolo vengono prese in considerazione le fotografie realizzate con un supporto
elettronico, vale a dire una macchina digitale o un sensore ccd dedicato all’astronomia.
Nel nostro specifico caso, migliorare una fotografia astronomica, significa in genere cercare di
eseguire due operazioni fondamentali:
•
eliminare, o quantomeno ridurre, i difetti dell’immagine;
•
estrapolare più informazioni possibili dal soggetto che si è ripreso senza alterare la
veridicità della foto stessa.
Per quanto riguarda il primo punto occorre intanto descrivere brevemente i difetti più comuni
ai quali sono affette le fotografie astronomiche.
•
In primo luogo, come già più volte ripetuto, il rumore di fondo determinato dal sensore
è forse il più fastidioso.
•
Il cielo molto chiaro, magari dovuto all’inquinamento luminoso, può andare a nascondere
parti del soggetto, soprattutto se è debole e non ben definito, come una nebulosa, ad esempio.
•
Così come escono dalla macchina, le foto spesso appaiono un po’ basse nei toni e nei
contrasti, e il soggetto tende un po’ ad impastarsi con lo sfondo.
Per il secondo punto bastano alcune precisazioni: spesso si cerca, con l’elaborazione, di fare dei
piccoli miracoli, e di ottenere belle foto anche se in partenza, gli scatti sono pessimi.
E’ bene tenere a mente, che la fase più importante è la ripresa sul campo. Una buona immagine
di partenza si presta meglio ad essere elaborata, ed è una sicura base per arrivare ad avere ottime
fotografie finali. Bisogna fare attenzione a non elaborare troppo le immagini, andando a creare
artefatti, cioè dettagli che in realtà non fanno parte del soggetto ma si sono resi appunto visibili
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dopo un’elaborazione troppo forzata. Questo è l’errore in cui spesso cadono i neofiti, abbagliati
dalle meravigliose fotografie degli astroimagers esperti, e vogliosi di imitare i loro risultati.
Le operazioni viste sopra sono tipiche di tutte le foto, ma per effettuarle si usano tecniche diverse
a seconda se le riprese sono state ottenute con una webcam (per il Sistema Solare), disponendo
quindi di un filmato, o con una macchina fotografica (per gli altri soggetti), ottenendo singoli
scatti.
Fotografie del Sistema Solare
In questo caso tutto il lavoro necessario per l’elaborazione viene svolto dal software. Come già
scritto in precedenza, Registax fa al caso nostro, essendo un programma gratuito, e di facile
utilizzo.
Propongo una prima serie di passaggi da effettuare per trasformare il filmato in una fotografia.
Sono i più semplici, indispensabili almeno all’inizio, quando ancora non si è pratici. In rete si
trovano comunque guide più complete, che aiutano nelle operazioni più evolute.
•
Una volta aperto il programma, importare il filmato tramite il comando “select” in alto
a sinistra;
•
A questo punto occorre selezionare il fotogramma migliore, in modo da farlo comparare
con gli altri e determinare tra tutti, quali sono da scartare e quali da tenere per la media finale.
Si fa scorrendo a mano la lista dei fotogrammi, visualizzando la cartella “framelist”, in basso a
destra. Trovato il migliore, si clicca in un dettaglio del soggetto, che sarà il riferimento usato dal
programma per allineare tutti gli altri. Cliccare in seguito su “Align”. Il programma provvede
all’allineamento di tutti i frames.
•
Il tasto “limit” elimina i fotogrammi non buoni, in base a quanto sono differenti dal
primo selezionato. Tale differenza la possiamo stabilire impostando la percentuale che troviamo
in alto, nella sezione “quality estimete”. Indicativamente conviene non scendere sotto al 70%.
•
Con “Optimize and Stack” il programma elabora tutti i fotogrammi scelti, creandone
uno finale. Passando infine alla scheda “Wavelet”, si possono apportare notevoli migliorie
spostando i vari cursori posti in basso a sinistra. Il contrasto dell’immagine, e i dettagli
superficiali miglioreranno sensibilmente in quest’ultima fase. Attenzione a non tirare troppo
l’elaborazione, altrimenti è qui che inizieranno ad essere visibili gli artefatti di cui sopra ho
parlato.
•
Infine si salva l’immagine, meglio in formato Tiff, per evitare che una compressione
esagerata vada a deturpare la fotografia.
Differenze tra i fotogrammi singoli (sinistra) e l’elaborazione di quelli scelti
e mediati con Registax (destra) delle foto di Giove già viste in precedenza
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Fotografie a grande campo e di oggetti deboli
Per ridurre il rumore di fondo esistono parecchie tecniche.
Alcuni programmi offrono dei filtri appositi, ma non sono mai precisi come dovrebbero e
andrebbero evitati.
Il modo migliore per abbassare il noise, è probabilmente fare la media di molte pose. In fase di
ripresa, conviene quindi scattare molte foto al soggetto, e mediarle successivamente.
Il concetto è semplice: ogni foto avrà un rumore diverso dalle altre (dato che perlopiù esso è
casuale, i pixel “rumorosi” saranno diversi in ogni foto). Mediando più scatti, cioè facendo la
media matematica delle varie luminosità, riusciremo a livellare questi picchi isolati, e rendere
abbastanza uniforme il fondo cielo. Più scatti si fanno, migliore sarà il risultato finale.
Già questa media, potrebbe bastare per ottenere ottime foto. In più, oltre ad avere la componente
casuale, il noise ha un valore fisso, tipico per ogni singolo pixel. Come dire cioè che ogni pixel
ha il suo rumore costante, che si ripropone in ogni scatto, da sommare ogni volta al valore
dettato dal caso. Sapendo i singoli valori costanti, possiamo andarli ad eliminare completamente
con una sorta di “operazione inversa”: occorre ottenere una foto completamente nera (dark
frame) in cui siano presenti solamente tali punti che poi si andranno a sottrarre dalla foto vera
e propria. Anche in questo caso è opportuno ottenere una media dei dark (master dark) da
sottrarre ad ogni singola posa.
Quindi, riassumendo, le operazioni sono le seguenti:
•
In fase di ripresa fare numerosi scatti allo stesso soggetto (light frame). E’ bene, se la
macchina digitale lo consente, riprendere in modalità RAW, in modo da avere memorizzate nel
file molte più informazioni che nel formato JPG.
•
Sempre in fase di ripresa, fare i dark frame. Essi sono sostanzialmente delle foto
identiche a quelle del soggetto, ma con il tappo sull’obiettivo. Devono avere gli stessi parametri
dei light frame: tempo, iso, temperatura esterna, ecc. Procedere sempre in RAW.
•
Tramite Deep Sky Stacker, ad esempio, ottenere la media dei dark e la sua sottrazione per
ogni posa light. Mediare infine tutte le pose risultanti. Sembra questa un’operazione complessa.
In realtà fa tutto il software automaticamente. Dobbiamo solo dirgli quali sono i dark, quali i
light, e lui ci restituisce l’immagine finale.
A questo punto, possiamo intervenire sui parametri tipo “luminosità/contrasto”, “curve” e
“livelli” per tentare di scurire il fondo cielo, rendere più visibili le stelle e soprattutto enfatizzare
la presenza e la struttura dei soggetti deboli, contrastandoli contro il cielo.
Con un po’ di pazienza si troveranno le combinazioni migliori e i giusti valori di queste
importanti regolazioni.
Differenze tra la singola posa (sinistra) e
la media di sette diverse pose (destra).
Si vede la drastica riduzione del rumore di
fondo
Due versioni della stessa fotografia (M31):
Canon 350D - 112 mm - 76 sec - f/6,3 - iso 1600.
- in alto non è stata eseguita alcuna elaborazione. Così è come si presenta la foto appena scaricata dalla memory card
della fotocamera
- in basso la foto è stata elaborata tramite i comandi “livelli” e “luminosità/contrasto”. Oltre alla galassia emerge molto
rumore di fondo
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Conclusioni
Queste pagine scritte da un astrofotografo che è quasi alle prime armi, devono semplicemente
essere d’aiuto a chi inizia a muoversi in questo affascinante mondo.
Non vogliono nel modo più assoluto essere considerate una guida completa ed esaustiva sulla
fotografia astronomica. In esse sono comunque riportati i temi e i concetti fondamentali di questa
impegnativa e bellissima disciplina al fine di poterla affrontare con la giusta consapevolezza.
L’obiettivo era quello di esporre le principali tecniche in modo sufficiente per iniziare a provare,
a divertirsi, ad appassionarsi, a fotografare…
Prendendo queste pagine come spunto, l’astrofilo non deve perciò fermarsi e credere di essere
arrivato, anzi, tutt’altro; armato dalla smodata passione per il cielo stellato dovrà essere pronto
a passare intere serate senza che possa uscire una foto decente; a spendere un po’ di risparmi
per la strumentazione più appropriata; a confrontarsi con persone più esperte di lui chiedendo
lumi; a gioire quando finalmente i risultati lo permettono.
60
Siti Internet
Astronomia generale:
www.nasa.gov
www.esa.it
www.astronomia.com
Pagine personali di Astrofili
www.danilopivato.com
http://marcobracale.altervista.org
http://digilander.libero.it/skyimages
http://xoomer.alice.it/astrosergio
http://astrotillo.altervista.org
www.danielegasparri.com
www.renzodelrosso.com
www.astropix.it
www.ar-dec.net
Siti internet dei software
Registax:
http://www.astronomie.be/registax/index.html
Deep Sky Stacker:
http://deepskystacker.free.fr/english/index.html
nota: alcune informazioni inserite nel capitolo “La fotografia astronomica come ricerca
scientifica” sono state reperite dai portali “www.wikipedia.it” e “http://it.encarta.msn.com/”
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Ringraziamenti
Desidero infine ringraziare vivamente tutti coloro che hanno partecipato attivamente alla mia
vita accademica durante questi quattro anni, e in particolare:
•
Francesco Calcagnini e Christian Cassar, per la passione costante dimostrata in questi
anni di insegnamento;
•
Massimo Tosello, per l’assoluta disponibilità, pazienza e dedizione mostrata nei miei
confronti durante gli ultimi due anni e in questo periodo di compilazione della tesi, nonché per
gli insegnamenti sulla Tecnica e Storia della Fotografia;
•
Cecilia Marino, da molti anni carissima amica e compagna di studi;
•
Tutti i compagni del corso di Scenografia;
e soprattutto ringrazio chi ha svolto un ruolo fondamentale per la stesura di questa tesi, e in
particolare:
•
Massimo Tosello, docente relatore;
•
Ivaldo Cervini, esperto astrofotografo, per il preziosissimo contributo dato, leggendo e
correggendo più volte, queste pagine;
•
Michelangelo Rocchetti, Eugenio Bertozzi e Giovanni Coltro, colleghi di lavoro, per
aver messo a mia disposizione il loro tempo e le loro competenze;
•
La mia famiglia e Alice, per il sostegno, la comprensione e la pazienza;
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