AVVENTO
Il suo vero significato
Chi ha paura del Natale?
di Domenico Volpi
iniziato l’Avvento, che è appunto l’attesa di un Bambino. I Latini chiamavano adventus il momento del supposto ingresso della divinità invocata nei riti dei templi. I
Cristiani hanno dedicato quattro settimane di preparazione al mistero dell’Incarnazione. Dicembre è infatti un
mese di fine e di inizio: termina l’anno
solare, inizia l’anno liturgico. Quel
Bambino è, come tutti i bambini, “un
amore diventato visibile” (Novalis).
Possiamo scrivere la parola Amore
con la maiuscola, per indicare l’Amore
di Dio Padre, che ci dona il Figlio, e
l’Amore di Gesú, che accetta di divenire uomo e di patire come noi e con noi.
Possiamo usare, con i bambini di altre
religioni e tradizioni, la lettera minuscola, ma il Natale non deve restare una
festa alla quale partecipano solo i credenti, quelli che vi vedono un Evento
superiore. Per ciascuna persona può essere comunque la Festa di un bambino,
di un compleanno, del valore di una
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nuova vita, ed è possibile accettare l’idea di fare festa insieme, sia pure con
visioni diverse, invece di rinunciare barattando il nostro patrimonio culturale e
religioso con il pretestuoso rispetto per
le altre credenze.
È chiaro che questo atteggiamento
nelle scuole e nelle famiglie non deve
introdurre l’idea di un sincretismo religioso. Piú i cristiani sanno mantenere la
propria identità profonda, piú il dialogo
è possibile: dialogo fra differenze che si
rispettano per capirsi e non opporsi, e
non per confondersi in un minestrone
culturale.
Infatti il Papa, nel ricevere alcune
centinaia di bambini il 6 gennaio dello
scorso anno, ha spiegato che «la celebrazione del Natale non ci propone solo
degli esempi da imitare, quali l’umiltà e
la povertà del Signore, la sua benevolenza e amore verso gli uomini; ma è
piuttosto l’invito a lasciarci trasformare
totalmente da Colui che è entrato nella
nostra carne».
Il pericolo, l’insidia che riguarda tutti, anche in tempo di crisi, è che la Festa “che affascina oggi come una volta”
sia guastata dal consumismo, dalle apparenze, dalla materia, quando invece
dovrebbe essere animata dal «desiderio
di accogliere quel Bambino che porta la
novità di Dio, che è venuto per donarci
la vita in pienezza». Le luci, gli addobbi, i dolci e i regali dovremmo saperli
additare ai bambini come un riflesso di
quel “qualcosa di sconvolgente” che è
accaduto nella notte dell’umanità.
Buon Natale, dunque, ai grandi e ai
piccoli, con molta concentrazione verso
il Mistero della Nascita. Con il rispetto
delle tradizioni senza sentimentalismi.
Con il presepio, come memoria ma senza moralismi. Con l’albero, se vogliamo: esso è una realtà presente nella mitologia e nella religione di molti popoli
sia come simbolo della vita che dalle
radici alla cima collega la Terra al Cielo, sia come capolavoro della Creazione, sia per i monoteisti come ricordo
dell’Eden.
Altre piante simboleggiano aspetti
positivi dell’esistenza: dal biancospino,
che gli inglesi vedono come immagine
di Cristo in quanto germoglia dal giorno di Natale e fiorisce a Pasqua, al vischio e all’agrifoglio, cari ai popoli
nordici come segno di vita perenne in
quanto sempreverdi. C’era una volta
l’usanza, ormai quasi tramontata, del
ciocco natalizio che, messo nel camino
la sera della Vigilia, bruciava lentamente e ardeva fino all’Epifania cioè per 12
giorni equivalenti ai 12 mesi, cioè all’intero ciclo solare.
Molti simboli sono di origine antichissima, fin dal paganesimo, ed anche
nel Presepio si possono trovare simboli
non esplicitati nei Vangeli, ma suscitati
da riflessioni successive: la nascita porta la Luce nell’oscurità di una grotta, i
pastori che si muovono verso di essa
rappresentano la speranza per un mondo nuovo, la Stella è un barlume dello
splendore dei cieli, il “Meravigliato” è
lo stesso nostro stupore, le luci e gli addobbi raccontano la gioia, i tre doni dei
Magi hanno ciascuno un significato…
Qualsiasi attribuzione di un simbolo
a un oggetto o a un episodio ha la sua
importanza nell’educazione dei bambini perché li abitua a interpretare il mondo secondo dei valori e a “vedere oltre”, a superare sempre la bruta materialità. Arricchiamo dunque il nostro
Natale con le tradizioni delle nostre
contrade: a condizione, ripetiamo, di
non cadere nel vuoto consumismo. ●