MENSILE DI CULTURA SPETTACOLO COSTUME Redazione via Cardinale Mimmi, 32 - 70124 Bari. Spediz. in Abb.to Postale 70% CNSA BA - Anno XVII N. 4 (158). Aprile 2011 Michele Damiani, acquerello - Nel 150° anniversario dell’Unità continua a essere mortificata la cultura in Italia Al Petruzzelli più che una divampante teatralità della regia è mancato lo scoop I guardoni, Sgarbi li prese tutti per i fondelli La «Salome» in salsa politica? Ci speravano i guitti della politica S e dobbiamo parlare della «Salome» di Richard Strauss andata in scena al Petruzzelli, parliamo di musica ossia dell’opera. Era la prima volta che tale opera sarebbe stata rappresentata a Bari (una prima assoluta per Strauss al Petruzzelli, mentre la sua «Arianna a Nasso» si era data nel 2004 al Piccinni), eppure la vigilia, sulle pagine dei giornali, è stata quasi spasmodicamente vissuta intorno alle esternazioni di Vittorio Sgarbi, incaricato della regia. Ma di questo intendiamo parlare dopo, più tardi. Ricordando infatti quel che abbiamo scritto due mesi fa, che insomma, riavuto il Petruzzelli, ora ci troviamo di fronte al problema di «ri-formare» il pubblico (almeno una generazione in quel teatro non aveva mai messo piede), quale occasione migliore avrebbe potuto darsi, se non grazie ad una netta svolta nella scelta del repertorio? Esattamente quello che il sovrinten- dente Giandomenico Vaccari ha fatto, proponendo un titolo come «Salome», un’opera del 1905 che per primo Mahler considerò geniale, uno dei maggiori capolavori del nostro tempo. Sull’estetismo decadente del dramma di Oscar Wilde intriso di fosche suggestioni dall’indiscutibile carica di teatralità – bisogna rammentarlo – il musicista bavarese aveva scatenato poderose ondate di suoni, divampanti esplosioni di virtuosismo strumentale insieme con luminosi squarci di delicato lirismo. Una partitura, la «Salome», che vive nella violenza e nel parossismo del poderoso sinfonismo straussiano, nella ricchezza melodica e lussureggiante, nell’intensità e nelle sfumature delle tinte, nell’abbagliante vivacità dei ritmi. Ma so- Franco Chieco (continua a pag. 2) CONTRAPPUNTI pag. 2 / Aprile 2011 Dalla prima pagina I guardoni, Sgarbi li prese tutti per i fondelli prattutto «Salome» è un’opera teatrale, dalle caratteristiche chiaramente distinte rispetto ai grandi poemi sinfonici perché dinamica e sviluppo degli eventi ovvero tensione e acceso realismo sono perfettamente fusi nella musica e nell’azione del testo straussiano. E a coglierne il senso è la lettura del maestro Ralf Weikert artefice di un’esecuzione musicale convincente, frutto di una solida specifica esperienza puntualmente trasmessa all’orchestra del Petruzzelli, una formazione ovviamente alla ricerca di un’identità. Parimenti adeguato si è mostrato il numeroso cast vocale a cominciare dalla protagonista, Erika Sunnegärdh impeccabile nel rendere con lucidità la densità della scrittura e la ricca gamma dei colori. Altrettanto dicasi del possente Jokanaan di Samuel Youn e dell’incisivo Erode di Scott Macallister, di buon livello gli altri, Katja Lytting (Erodiade), Eric Fennel (Narraboth), Stefanie Iranyi, Aldo Orsolini, Alexander Kaimbacher, Antonio Feltrocco, Michele D’Abundo, Carlo Di Cristoforo, Aleksey Yakymov, Rogelio Marin, Paolo Battaglia, Marco De Carolis. J Ma si può togliere la teatralità alla «Salome»? Una bella responsabilità, eppure si è voluto a tutti i costi reclamizzare (brutta parola, certo) l’evento, affidando la regia ad un «personaggio» famoso, tanto che i cronisti – che raramente s’intendono di musica – ci hanno sguazzato alla vigilia fino a toccare il ridicolo. Che cosa, del resto, potevano capire, se han confuso la tragedia con una farsa, sol perché lo stravagante Sgarbi aveva annunciato di immaginare nel personaggio di Salomè la Ruby Rubacuori di Arcore e in quello di Erode addirittura il libertino Silvio, al secolo Berlusconi detto il Cavaliere? Addirittura, l’incontenibile Michele Emiliano (sindaco di Bari e perciò presidente della fondazione), incapace di tenere la bocca chiusa, tutto eccitato aveva esclamato «Ne vedremo delle belle…». Si era capito, insomma, che il nostro Strauss (Richard, non Johann quello del «Danubio blu») sarebbe finito in politica, e in quale politica. Poi queste trovate si sono rivelate (non era difficile prevederlo) una beffarda presa per i fondelli a scorno soprattutto dei politici di bocca buona (ce ne sono, ce ne sono). Gli oggetti del desiderio, sul palcoscenico, non si son visti. Non è mancato lo spettacolo perché Franca Squarciapino ha disegnato costumi orientaleggianti bellissimi, mentre alla fantasia di Ezio Frigerio si deve l’allestimento, apparentemente tradizionale, riproducente gli interni in stile moresco del castello di Sammezzano (Toscana), il tutto rielaborato al computer col supporto della tecnica digitale. Manca invece quella che dev’essere l’invenzione dell’uomo di teatro. A soffrirne è soprattutto il personaggio Salome sminuito in quella tensione musicale laddove seduzione, erotismo si disperdono nell’isterismo di avulsi e geometrici movimenti ritmici come nella scena più famosa e avvincente, la danza dei sette veli. Proprio qui lo scatenamento musicale terrificante, sconcertante fino alla dolcissima melodia conclusiva, svanisce inopinatamente, sostituito da una fredda quanto gratuita esibizione coreografica di gruppo: invece è questo il momento culminante della tragedia, son quei «gesti» di irrefrenabile lussuria (scritti in partitura) che fanno impazzire Erode. J Dunque, in scena niente Ruby la maliarda, niente Berlusconi il puttaniere. Mi pare di aver capito che il pubblico pagante non si sia sentito assolutamente defraudato. Ci saranno rimasti male quei porcelloni di impenitenti guardoni ai quali tuttavia Sgarbi, gran mandrillo ancorché furbacchione, grato per la sontuosa ospitalità ricevuta, uno sgarbo non gli ha fatto mancare quando alla fine dell’opera ha portato alla ribalta una figurante che impersonava un personaggio estraneo all’opera ma abbastanza importante: aveva una parrucca fulva e indossava una toga, somigliava del tutto ad un magistrato di Milano dalla fama terribile, Ilda Boccassini. Una grave, vergogonosa provocazione, hanno tuonato da sinistra. Qualcuno ha fischiato. Se dobbiamo rendere a Cesare quel che è di Cesare, resta però il quesito: erano fischi di sinistra o di destra? Gli uni indignati per il …vilipendio delle istituzioni, gli altri per solidarietà …ai perseguitati da taluni magistrati. Troviamo, eccola, la chiave di lettura sui giornali indipendenti quantunque scrupolosamente «orientati». Ma a questi, evidentemente, interessava lo scoop sulla scena non già la musica di Strauss. Premeva vedere Ruby la maliarda magari accovacciata in grembo al puttaniere Berlusconi. E c’erano andati, a teatro, per «vederne delle belle» senza nemmeno sapere che il Richard Strauss autore di «Salome» non era quello del «Danublio blu» e nemmeno amico o sodale dell’autore del «Paese dei campanelli». E tutto perché, mentre ci ostiniamo a credere nella assoluta necessità di «riformare» il pubblico, è sempre più evidente che il benedetto Petruzzelli, più che per le esigenze di una Musica castigata e mortificata per ben diciotto anni, sia stato ricostruito – fosse pubblico o privato, quisquilie – per gli usi, nobili o meno, dei detentori del potere. Dunque, è proprio inevitabile che a decidere delle sorti del nostro teatro sia la politica, soprattutto quella dei guitti? A chi dobbiamo chiederlo? Temo che qualcuno, annuendo, sia pronto a rispondere: «Ebbene sì… oportet…». Buona notte. Franco Chieco MENSILE DELL’ASSOCIAZIONE «POLTRONA AGGIUNTA» FRANCO CHIECO direttore responsabile Redazione: via Cardinale Mimmi, 32 - 70124 Bari - Tel. (080) 561.0992 - Fax (080) 557.5251 La corrispondenza va inviata a MAIL BOXES ETC - Viale Unità d’Italia, 22/A http://www.contrappuntiweb.it Una copia e 2,00 - Abbonamento annuo e 21,00 (incluse le spese di spedizione) Conto corrente postale n. 21682703 - Cod. fisc. P. Iva 04699910727 Prestampa e fotoliti: La Matrice - Bari, Via Trevisani, 196/a - Tel. (080) 5231546 Stampa: Tipolito Mare - Bari, Via Torre dei Cani, 1 - Tel. (080) 5341413 Registrazione Tribunale di Bari n. 1213 del 2-3-1995 La Rassegna «Giustizia a Teatro» Per il ciclo della rassegna «Giustizia a Teatro» organizzata dalla Fondazione Pertruzzelli e dalla Procura della Repubblica di Bari il prossimo 11 aprile sarà giudicato il personaggio Lucrezia Borgia. Nei panni dell’affascinante misteriosa castellana rinascimentale apparirà l’on. Gabriella Carlucci, attualmente sindaco di Margherita di Savoia. CONTRAPPUNTI pag. 3 / Aprile 2011 Da Webern a Darmstadt, le perplessità di un famoso fisico teorico Il 900 della musica, questo sconosciuto Le idee «adiabatiche»? Forse Igor aveva ragione Sorprende non poco rilevare come ancora tra il 2009 e i primi mesi di quest’anno, il ‘900 della musica sia stato messo sotto la lente di ingrandimento della storiografìa (americana), ma anche della divulgazione di qualità (europea) che si sono affiancati allo scopo di chiarire taluni aspetti del Secolo Breve sub specie musicale. Nei fatti, alcuni testi e saggi e articoli che qui di seguito analizzeremo «a volo di uccello» hanno cercato di rilanciare una questione non di poco conto, in quanto il giro di boa del XXI secolo è troppo vicino perché non sia condannato a portarsi dietro l’onda lunga di una rivoluzione epocale che va sotto l’etichetta di estetica della musica moderna. Una di queste recenti riflessioni, avanzata dal sottoscritto, storico della musica che lavora alla università in facoltà umanistiche (Pierfranco Moliterni, Lessico musicale del ‘900, Pro- gedit, Bari 2011) parte da una dichiarazione di principio che così recita: «La musica che abbiamo appena lasciato dietro di noi, quella del ‘900, è causa di tutti gli sconvolgimenti stilistici con cui essa si è accompagnata e dunque ci chiede di essere capita, magari ricorrendo alla intermediazione delle discipline artistiche che le sono state contemporanee. È necessario quindi superare l’impasse di una non raccontabilità dei fenomeni musicali presenti nel Secolo Breve […] restando consapevoli che il ‘900 è finito ma che l’ombra lunga della sua storia in musica si allunga sino ad oltre la soglia degli anni che stiamo vivendo. Dobbiamo subito ricordare la quasi simultanea pubblicazione, avvenuta tra il 1910 e il 1912, del Manuale di Armonia (Harmonielehre) di Schoenberg e de Lo spirituale nell’arte di Kandisky. Due opere che segnano una cesura nello scorrere Suona il Quartetto Felix, immagini di Andrea Ceglie Viaggio in punta di archetto La sera dell’undici marzo duemilaundici, umida e fredda, in uno dei luoghi più antichi della città, dove un tempo si celebravano riti di fede religiosa, si è celebrata la liturgia della diversità e del contrappunto. Intendiamoci, voglio dire diversità in arte. Dati i tempi meglio precisare. Contrappunto, che pur volendo dire: «linee melodiche indipendenti che si combinano secondo regole», in questo caso viene a significare: «combinazioni apparentemente indipendenti tra suoni e immagini, il tutto atto a produrre poesia in leggerezza di cuore». Comodamente seduti tra le sobrie architetture della Vallisa, abbiamo potuto godere di un breve delizioso viaggio in punta di archetto, guidati dalla professionalità, da molti anni collaudata, del Quartetto Felix. Violini Marzia Mazzoccoli e Domenico Strada, viola Amanda Palombelli, al violoncello Massimo Mannaccio. Giusto per mettere le cose in chiaro, riportiamo qui ciò che due Maestri hanno detto di questo Quartetto: «Ho avuto modo di apprezzare il rispetto e la coerenza della partitura, insieme alla fantasia e ricchezza di idee, e la ricerca di un suono compatto, attento all’unità di intenti», Carlo Maria Giulini. E ancora: «Sono quattro notevolissimi strumentisti, che lavorano insieme con coraggio e determinazione, ottenendo buonissimi livelli. Io credo che il loro attaccamento al quartetto, li porta ad arricchire e soprattutto ad affermarsi nel mondo musicale», Piero Farulli. Lentamente il miracolo ha coinvolto il pubblico fino a diventarne parte integrante del concerto. Le note si depositavano sulle colonne e nel cuore degli spettatori. Le immagini di Andrea Ceglie proiettate sulla pietra bianca hanno accompagnato in un misurato sincretismo Mozart e Schubert passando per Saint-Saëns fino a Gershwin. Una sosta troppo breve in una Parigi vestita di grigio Prevert, illuminata a tratti dalle opere di Kiki de Saint Phalle ci ha fatto ricordare Chagall, che non si è mostrato al pubblico. Ma, miracolo della musica, per meglio dire dell’arte, ci ha pensato il nostro Domenico Modugno. Un «Volare» eseguito con un solo colore, il blu. Blu Chagall. Con gli strumenti che sorridevano insieme ai musicisti si è conclusa la serata. Un viaggio troppo breve per la verità. Se è possibile vorremmo, per il prossimo, prenotarci per un viaggio un po’ più lungo, magari partendo dal Petruzzelli. Michele Damiani estetico tra secondo ‘800 e primo ’900 mediante l’abbandono dell’oggetto in pittura e la dissoluzione della melodia secondo le leggi del tonalismo. Da allora in poi la pittura andò verso l’astrazione e la musica verso l’atonalità, mentre i materiali stessi delle due arti venivano posti in reciproca relazione mediante un fitto scambio di sinestesie in cui alla dimensione del tempo (che è propria della musica) accede la pittura, mentre e alla dimensione dello spazio (che è propria della pittura) accede la musica». Dunque, la parola d’ordine per scavare dentro l’in-comprensibile musicale novecentesco; la panacea per tutti i mali delle astruserie modernistiche sarebbe la sinestesia, ovvero la intermediazione, la compenetrazione, lo scambio estetico tra i linguaggi, tra le altre arti che con la musica novecentesca intrattengono fecondi «rapporti incestuosi». Tutto al fine di chiarire, spiegare, giustificare, avvalorare la felice contiguità tra Stravinskij e Berio, Britten e Sciarrino, Battiato e Nyman… Processo sinestetico a cui invece non sembrano dar peso i due prestigiosi divulgatori che rispondono ai nomi di Alessandro Baricco e di Umberto Eco. Essi si chiedono se il divario tra musica d’arte (colta) novecentesca e prodotti «di consumo» (extracolti) sia mai superabile, colmabile, causa la divaricazione, netta e senza appelli, tra l’una e l’altra: «…vi è mai accaduto di visitare una mostra in cui accanto a Raffaello ci sia Pollock, e accanto a Gérome il pompier si mostri Basquiat?» Evidentemente nonostante la separatezza assoluta tra arte impegnata e artigianato popolare. E dunque, copiare piuttosto che creare è diventata la parola d’ordine della pittura di cartapesta o della musica «facile facile» di chi ha creato l’immaginario pacchiano e che ha costituito l’humus della cultura popolare (di massa e delle masse): essa sembra aver avuto la meglio sulla musica moderna sempre troppo difficile, poco affascinante, drammatica, al limite della incomunicabilità assoluta tra «chi ama Leoncavallo e chi non può sopportare Schoenberg». L’americano europeizzato (o se si preferisce, l’europeo americanizzato) che di nome fa Alex Ross, aveva per la Pierfranco Moliterni (continua a pag. 4) CONTRAPPUNTI pag. 4 / Aprile 2011 Dalla terza pagina Il 900 della musica, questo sconosciuto verità aperto questa «provocazione novecentesca» scrivendo un librone di ben 874 pagine, il cui titolo, azzeccatissimo, «Il resto è rumore. Ascoltando il XX secolo» (Bompiani Overlook) si sforza di spiegare con dovizia di particolari, incroci, argomentazioni, schematizzazioni, persino semplificazioni divulgative, il nocciolo della questione: è poi tanto complicata la musica del ‘900? Si potrebbero amare, nello stesso tempo e da parte della stessa persona, Schoenberg e Bob Dylan, Boulez e Philip Glass, Debussy e Brassens partendo dalla constatazione storico-psicologica che la musica tonale non è affatto tutto l’universo musicale possibile? In effetti, anche Eco si e ci pone un tale interrogativo: è vero che il nostro cervello riconosce come naturale solamente la musica tonale? E allora, dobbiamo rassegnarci ad alzare bandiera e darla definitivamente vinta alla musica «di consumo», canzoni e canzonette in testa… e buttare a mare, cancellare affatto dal repertorio della musica del ‘900 il Pierrot Lunaire quanto il Sacre, Laborintus quanto Al gran sole carico d’amore, The Rake’s Progress quanto Ofanim? Come si può ben intuire, è questa, nel suo insieme, una questione epocale; è il problema dei problemi della musica d’oggi, quando oramai i fantasmi della storia del Grande ‘900 si sono dileguati per lasciare il posto, tutt’al più, alle circonvoluzioni sperimentali dei compositori fautori del cosiddetto materismo sonoro; o alla finto-semplicità di quelli postmoderni con alla testa i minimalisti e la loro musica avvolgente, incantatoria, anestetizzante. Forse è bene accettare ciò che suggerisce chi combatte, quotidianamente e da lustri dopo lustri, con la ignoranza-indifferenza dei giovani d’oggi, partendo dalla dura ma oggettiva constatazione che «la musica d’arte del nostro tempo sembra sprofondata in una nicchia solitaria e appartata» e che quindi urge approntare nuove strategie dell’attenzione cominciando con il respingere le semplificazioni, le banalizzazioni, le approssimazioni degli ultimi arrivati. Ad esempio, quelle propugnate da un cervello appartenente ad un mero appassionato di musica, e di musica del ‘900, s’intende, come il fisico teorico Andrea Frova che ha il pregio di saper parlare con chiarezza e semplicità di una cosa complicata come la termodinamica (sic!). Il suo amore per la musica lo ha spinto, nel saggio Armonia celeste e dodecafonia (BUR 2006), ad indagare la molteplicità degli aspetti fisici presenti nelle leggi che governano i principi musicali, cominciando dall’evoluzione della musica classica e più in particolare dell’armonia. Dalla musica della Grecia antica sino al primo ventennio del ‘900, tutto si può spiegare secondo la evoluzione dei principi di consonanza e dissonanza che governano le leggi naturali e a cui da sempre la musica ha fatto riferimento. Ma la faccenda si complica con l’arrivo di Schönberg-Berg-Webern – dice Frova – i quali sviluppano un’idea compositiva del tutto nuova, rivoluzionaria, soprattutto dal punto di vista dei rapporti tra le note. E sin qui niente di nuovo. Se non che la mano del fisico teorico va giù pesante quando egli afferma che i tre viennesi iniziano a produrre composizioni con idee «adiabatiche». In termodinamica, una trasformazione adiabatica è una trasformazione nel corso della quale un sistema fisico non scambia calore con l’ambiente esterno; quindi un sistema, come quello dodecafonico, chiuso in se stesso, in-capace di scambiare relazioni, e cioè autoreferenziale. Quindi non-comprensibile dai più. E di qui nasce la ragione della sconfitta della musica moderna colta tout-court, da Webern a Darmstadt, su su… sino ai giorni nostri. Alla fin fine, la relativa semplificazione della questione posta da Frova obbliga noi stessi a non trarre alcuna conclusione, poiché nessuno la vuol mettere sul piano dell’agonismo artistico-musicale: non ci sono gare, né guerre epocali, né tanto meno vinti o vincitori nel gran crogiuolo della musica del ‘900. Forse, aveva ancora una volta ragione da vendere la mente del grande Igor, l’apolide della musica, quando scriveva che il compositore della musica del ‘900 non può fare altro che segnalare agli altri, come dopo un naufragio, «i rottami» della musica. La musica, s’intende, tanto del passato più o meno remoto, come del presente più o meno futuribile. Pierfranco Moliterni Maria Grazia Pani a Taranto Cavour e la musica sulle ali di ... VERDI Quando l’Orchestra della Magna Grecia di Taranto, ha chiesto a Maria Grazia Pani un concerto spettacolo sull’Unità d’Italia, la soprano barese, che già in passato, con i suoi spettacoli «Viva Verdi», «La Traviata allo specchio», «Otello il sinistro incanto» aveva dedicato molta attenzione a Giuseppe Verdi, ha ideato «Sulle ali di … V.E.R.D.I», azione scenica di musica, canto, prosa ispirata, in modo originale, al rapporto tra il Conte di Cavour ed il grande musicista del Risorgimento. Su questo rapporto si sofferma anche l’illustre storico e saggista, Luciano Canfora, in una intervista rilasciata per l’interessante Programma di sala dello spettacolo. Spettacolo che debutta, nella stagione dell’Orchestra della Magna Grecia, l’8 aprile in anteprima a gioia del Colle ed il 10 a Taranto. Saranno eseguiti, nella tessitura musicale della trama, brani famosi: «Ave Maria» da «Otello» a «Pietà, rispetto, amore» da «Macbeth», il Preludio della «Traviata», il duetto Violetta-Germont sempre da «Traviata». Quindi «Va pensiero» dal «Nabucco» e l’aria «Eri tu che macchiavi» da «Un ballo in maschera». Ancora «Morrò, ma prima in grazia» e «Alla vita che t’arride» sempre da «Un ballo in maschera», «Tu che le vanità» da «Don Carlo», «Cortigiani vil razza dannata» da «Rigoletto». Da «Aida», «Ritorna vincitor» ed il duetto «Rivedrai le foreste imbalsamate». Infine «La vergine degli angeli» da «La forza del destino» e «Lacrymosa» dal Requiem. L’Orchestra della Magna Grecia sarà diretta da Ettore Papadia, Soprano Maria Grazia Pani, Baritono Valentino Salvini, affermato baritono che debutta per la prima volta in Puglia. L’attore che interpreta il Segretario-testimone del Conte di Cavour sarà Ivan Dell’Edera. Il Verdi anziano del 1876. Il giovane Camillo Benso Conte di Cavour. CONTRAPPUNTI pag. 5 / Aprile 2011 Fra scetticismo ed emozione, autorevoli riscontri al progetto Lo Stabile di prosa, sia il benvenuto La lezione di Paolo Grassi no agli sprechi, all’effimero Abbiamo chiesto ad Egidio Pani, che vanta una lunga militanza di critico teatrale oltre che una stretta vicinanza con personalità come Paolo Grassi, Carmelo Bene, Luca Ronconi, Roberto de Monticelli, Franco Quadri di intervenire nel dibattito sul Teatro Stabile in Puglia. A Martina Franca, con puntuale attenzione, è stato ricordato Paolo Grassi, l’inventore dei Teatri Stabili in Italia, a trent’anni dalla sua scomparsa, in un bel convegno organizzato dalla Fondazione Grassi ed introdotto da Franco Punzi che ha letto anche un Egidio Pani e Paolo Grassi nel 1975 a Bari messaggio del Presidente Napolitano. Il Presidente della Repubblica, con parole di alto segno morale, ha sottolineato il ruolo svolto, nel più ampio Vincenzo Di Mattia da Roma, la voce della «pugliesità» spazio di tutta la cultura italiana oltre lo spettacolo, di Paolo. Infatti qual è la vera importanza dell’azione culturale del grande martinese (tale Mi accingevo a scrivere per Vivaverdi, il bollettino della Siae, alcune riflessioni ormai lo riteniamo anche se nato a Milano sulla «solitudine del drammaturgo. AUTORI senza scena», quando ho letto con da genitori di Martina)? Innanzitutto la sua vivo interesse su ContrAppunti l’iniziativa per la costituzione del Teatro Stabile lezione etica e morale. Egli non era per gli sprechi, per l’effimero e, pur tollerando aldi Bari, e anzi si sia a buon punto dal momento che si sta elaborando lo Statuto. La «notizia» mi ha originato un duplice stato d’animo: scetticismo ed emo- cune eccedenze di un peraltro straordinazione. Le lunghe, travagliate gestazioni inesorabilmente portano a vivere questa rio artista, regista e divo, come Giorgio schizofrenia: incredulità e fiducia. Al di là di personali reazioni emotive, ben Strehler, guidò con grande rigore la sua venga questo parto: sarebbe un atto di vitalità in un tempo di «cancellazione delle creatura: il Piccolo Teatro di Milano. E poi il suo legare, sempre , l’azione culidee». Sono le idee che, nel contesto di una struttura drammaturgica, veicolano turale all’impegno civile. Indimenticabile, dall’«hortus conclusus» della pagina i processi e i conflitti che mutano la società. ad esempio, è il periodo in cui fu Presidente Dice il filosofo, pensare è dubitare, pertanto è il dubbio che pone in gioco le co- della Rai, in cui, sgomento dinnanzi alla scienze nella specularità della scena. È questa la funzione del teatro. Così è (se realtà di una Rai burocratizzata e subpoliticizzata, cercò, nel momento di avvio della vi pare) docet. A un patto, a patto cioè che non si faccia voyeurismo museale, o manutenzione Terza Rete, di mutarne il destino, nel senso e duplicazione dell’esistente. Sono anni che nei teatri, pubblici e privati, si rap- del decentramento (prima, molto prima del presentano doppioni di Gemelli veneziani e Malati immaginari. Pigrizia intellet- leghismo!) e del rinnovamento. Invano, natuale, paura del nuovo, esperimenti di regie stravaganti che travisano e ridicoliz- turalmente! Nel momento in cui a Bari ed in Puglia zano testi consacrati, come quell’Amleto che recita l’essere non essere davanti si apre (ancora?!?!) la questione Teatro Staall’orinatoio di Duchamp? Via gli archivi, via le manipolazioni dei classici, come giustamente dice l’a- bile non è male ricordare come e perchè mico Saponaro. Non si può delegare il repertorio nella formazione dei cartelloni. nacque il primo Stabile pubblico italiano, garantito dai finanziamenti prima del CoS’è fatta strage di un paio di generazioni di Autori: spreco e dolore. Ad ogni inizio di stagione la nostra curiosità va delusa: un Goldoni, uno sco- mune poi dello Stato. Fu l’avvio, nel magnosciuto londinese venduto dalle tenutrici dei diritti, un filmetto passato in salsa gio del 1947, nel mitico piccolo – verateatrale, una Traviata-escort tra finanza e poteri forti e, per scrupolo, un Liolà o mente piccolo! – Teatro di via Rovello, di una rivoluzione nella organizzazione del un Ultimo nastro di Krapp... e il gioco è fatto. È tempo di usare la frusta nel tempio, è tempo di spalancare le finestre ed esporsi teatro italiano. Ma non fu soltanto questo: fu soprattutto a folate di vento fresco. Si rischia di disertare il teatro, come mi sta capitando a una rivoluzione culturale! Perché il teatro Roma, la capitale che perde sempre più attrattiva, e spinge ad eventuali ritorni. Del resto, nonostante i molti anni che vivo a Roma (per oltre trenta ho curato, italiano trovava nuove ragioni di essere e in Rai, i grandi sceneggiati: Dostoevskij, Mann, Dürrenmatt, Palazzeschi , di esistere: nuovi repertori, nuove tecniche Stendhal, Silone, Brancati) la mia «pugliesità» la sento sempre più stimolante. di recitazione, invenzione del teatro di reDal mio primo romanzo, «La lunga guerra col pane», sulle occupazioni delle terre, gia – non come elucubrazione di uccellacci vincitore del Premio Città di Bari, fino a «Petruzzelli», acre commedia sul de- solitari – ma come elaborazione di progetti, grado morale, pubblicato da Levante Editori, nella raccolta «Su il sipario. Viag- perfino di vita. Poi? Poi il teatro italiano, partito da Migio nella drammaturgia pugliese», a cura di Rino Bizzarro. Ma questa è un’altra avventura, l’avvenimento del giorno è la nascita dello Sta- lano grazie al genio costruttivo di un meriEgidio Pani bile di Bari. Che sia il benvenuto! La solitudine del drammaturgo Vincenzo Di Mattia (continua a pag. 6) CONTRAPPUNTI pag. 6 / Aprile 2011 Teodosio Saluzzi spettatore a «Proscenio per due» di Rino Bizzarro Commozione, il sipario del dopo-teatro Botta e risposta con simpatia fra gente del mestiere Nel mese di dicembre 2010, la Compagnia Puglia Teatro è stata impegnata al Teatro Duse di Bari nella rappresentazione dello spettacolo «Proscenio per due: “Volevo fare la ballerina” e Dovevo fare il tenore”», due atti di Rino Bizzarro. Ad una delle rappresentazioni c’era fra il pubblico il commediografo Teodosio Saluzzi, che alla fine dello spettacolo venne a salutare gli attori in camerino, portando con sé la testimonianza di una commozione che io non avevo mai visto prima di allora fra la gente di teatro. Una partecipazione, una condivisione, una commozione vera, autentica, sincera, irrefrenabile, che ai miei occhi aprì un «sipario» nuovo e diverso per un nuovo e diverso modo di concepire i rapporti fra autori ed uomini di teatro. Da quell’episodio io sono uscito diverso, non ho difficoltà a confessarlo, e non solo io. Ne è nato un simpatico «Botta e Risposta». (R. B.) Caro Teo, quando venisti a salutarmi, alla fine dello spettacolo «Proscenio per due», secondo una tradizione teatrale che tutti noi continuiamo a rispettare e che sappiamo fa sempre molto piacere a chi ha appena finito il suo lavoro in palcoscenico, mi portasti in dono la tua sincera commozione, che per un attimo trasmettesti anche a me. commozione che molto raramente viene espressa fra uomini di teatro, solitamente un po’cinici, chiusi alla manifestazione delle proprie emozioni più profonde. Vedere quella commozione così autentica sul tuo volto fu per me una folgorante rivelazione. «Ma guarda!...», pensai,… «questo è davvero il dono più grande e prezioso che potevo ricevere per il mio lavoro! Altro che i soldi, che vanno e vengono!... Altro che gli articoli del giornale, che lasciano il tempo che trovano e che servono solo per vanagloria personale…!» Caro Teo, mi facesti toccare con mano le cose che contano davvero, e questo non accade tanto di frequente; ti devo ringraziare per questo; la tua commozione così esplicita, sincera, innocente, ti fa onore ed ai miei occhi fa di te un poeta, quale sei davvero. Mi dicesti persino: «…questa è arte!...», lasciandomi letteralmente senza più parole. Io non so davvero se ci sia un po’ di arte in quel mio spettacolo, ma sentirlo dire da te non può che riempirmi di orgoglio. Tu sai poi che quando un autore scrive qualcosa, sia essa poesia, o narrativa, o teatro, come noi, ci mette dentro tanti messaggi, tanti concetti; il lavoro, come si diceva nel sessantotto, «è fruibile a diversi livelli»; ci mettiamo dentro messaggi espliciti, altri più nascosti da metafore o allegorie, altri ancora più subliminali, chi li coglie li coglie, altre cose ancora le mettiamo solo per noi, sicuri che saranno in pochissimi a coglierle, eventualmente. Ed infatti il pubblico poi, secondo la sensibilità che gli è propria e secondo la sensibilità di ciascuno spettatore, prende quello che vuole e può; c’è chi si ferma alle cose più esteriori, chi vuol solo sorridere e ridere, chi è capace di impegnarsi di più e coglie il messaggio che è più in profondità; c’è poi chi è persino in grado di cogliere tutto quello che l’autore ha voluto esprimere, cosa estremamente più rara però. Tu hai colto proprio tutto quello che avevo voluto esprimere nei miei due atti; sicché per un attimo le tue corde emozionali hanno vibrato delle stesse emozioni che io avevo affidato allo scritto prima ed alla realizzazione teatrale poi. Perciò è scattata la scintilla di quella commozione così rara ed irripetibile. Ti sono grato per tutto questo. Caro Rino, in una tua nota parli del tuo spettacolo «Proscenio per due» ed evidenzi che in esso la «Pugliesità» e la «Meridionalità» in senso più lato, si fanno largo e dicono la loro in un panorama teatrale che li vede non più sudditi ma partecipi con tanta dignità. Caro Rino, con l’affetto che ti ho sempre dimostrato e con la stima che ho per te, ti dico che quella tua nota è estremamente riduttiva. Ma quale «Pugliesità», ma quale «Meridionalità»? I tuoi due atti unici sono di una bellezza struggente perché toccano l’anima dell’uomo, l’essenza dell’uomo, dell’uomo come facente parte di questo pianeta, dell’uomo destinato ad eterno rimpianto proprio perché «uomo». Volevo fare la ballerina, volevo fare il calciatore, volevo fare il medico, volevo fare il sacerdote, volevo fare l’esploratore e non è stato così perché... che importanza hanno i perché? Il perché vero, autentico è solo questo: perché siamo uomini e siamo destinati, forse per disegno sovrumano, non all’appagamento ma al rimpianto e dimentichiamo le cose che comunque abbiamo fatto. Se l’avessi fatta la ballerina, avrei voluto essere come Carla Fracci; se l’avessi fatto il calciatore avrei voluto essere come Maradona; se l’avessi fatto... avrei voluto essere come... ed è l’eterno ritornello! Se... se... se... Ma tutto questo, paradossalmente, è meraviglioso caro Rino: è proprio l’essenza dell’uomo non un suo difetto. Siamo fatti così e vederci rappresentati sulla scena in maniera così autentica, commuove non fa ridere. Sei un grande, Rino, proprio perché con questi tuoi due atti unici, hai fotografato non la realtà ma l’anima, l’essenza dell’uomo ed hai dato corpo e vita a quel «rimpianto» che chi non ha visto il tuo lavoro continua a pensare sia una cosa «astratta». Un altro grande ha affrontato nei suoi lavori il tema del «rimpianto». Fra tutti, ricordo molto bene l’atto unico «Gennareniello». Alla fine della messa in scena la battuta «...papà ti piaceva la signorina...?» nel chiudere l’atto unico, evidenzia la grandezza di Eduardo che fa del rimpianto la malinconica amica di tutta la sua vita. I sogni muoiono all’alba; la speranza come diceva Turandot, ogni notte nasce ed ogni giorno muore; soltanto i rimpianti non muoiono mai. Si acquietano soltanto quando si acquieta, con il sonno eterno, chi con essi è pensoso compagno. Ti abbraccio. dionale, Paolo Grassi, si risollevò grazie anche ai finanziamenti che cominciarono ad aumentare prima dal Ministero e poi, in maniera sempre più consistente, delle Regioni. Eppure non esiste una, dico una indagine che abbia accertato la massa monetaria investita dal 1970 in poi nei settori culturali dagli Enti pubblici (Stato, Regioni, Enti Locali, Enti diversi) e la sua finalizzazione. E quello spirito fu tradito, il Ministero non riuscì a creare ordinamento e coordinamento e il teatro è divenuto un istrumentum Regni. Oggi è difficile operare, unire mentre sarebbe necessario coordinare energie ma soprattutto avere una idea di cultura, oltre quella di come chiedere nuovi finanziamenti. Altro che tagli sui fondi della cultura il futuro ( dopo il Giappone e la Libia,) ci riserva! Ed i settori deboli, come quelli culturali, di più, inevitabilmente ne risentiranno ma perché la cattiva politica (senza idee, né progetto) ha creato il cattivo, cattivissimo teatro! Anche un po’imbroglione! Teodosio Saluzzi Egidio Pani Rino Bizzarro Dalla quinta pagina La lezione di Paolo Grassi no agli sprechi, all’effimero CONTRAPPUNTI pag. 7 / Aprile 2011 Volti e storie dei protagonisti nelle proiezioni multimediali di Gianni Cataldi Nel gioco del jazz vince il coraggio Una rassegna che sa mescolare tutti i generi musicali Continua (fino al 13 maggio, con ca- proprio in una città che, al riguardo, è sassofonista Francesco Bearzatti in ocdenza mensile), sul palcoscenico del- sempre piuttosto distratta: poche e rare casione del Malcom X Suite, un concept l’Auditorium Vallisa di Bari, la stagione le mostre espositive, non parliamo poi album del sassofonista dedicato al leadei concerti, denominata «Nel gioco del di una casa della fotografia… der afroamericano. jazz», organizzata per il secondo anno In un programma assai ricco e varieLe immagini selezionate sono di pardall’omonima associazione. La specifi- gato, ha fatto piacevole eccezione il ticolare impatto visivo, e via via ci accità dell’iniziativa sta nella mescolanza concerto intitolato Musica dentro te- compagnano in un viaggio nella mudei generi musicali. Non a caso nel- nuto nell’hotel Sheraton con il trom- sica, reso ancor più stimolante da un’ l’ambito della rassegna troviamo Fuo- bettista Paolo Fresu che ha incontrato i impaginazione originale curata dall’erigioco, una sezione classica affidata al talenti locali che compongono L’Apu- sperto audiovisual Michele Falcone, pianoforte di Pietro Laera che, già nel- lian Pocket Orchestra (Fabio Accardi, che in un bianco e nero molto efficace, l’anteprima (18 novembre scorso) ha Mirko Signorile, Giorgio Vendola, Al- esalta i giochi di luce e ombra, che riaffiancato il sassofonista Roberto Otta- berto Parmigiani, Andrea Sabatino, creano l’atmosfera coinvolgente dei viano, infaticabile direttore artistico Giuseppe Doronzo, Vincenzo Presta, concerti. Dal video apprendiamo del della manifestazione, che per l’occa- Abbracciante, Gaetano Partipilo, Raf- grande amore di Cataldi per il jazz, «il sione si sono confrontati con le musi- faele Casarano, diretti dal M. Luigi mio genere musicale preferito», racche di Handel, Grieg, Fauré, Bizet, Ra- Giannatempo). Il concerto è stato pre- contato «attraverso un percorso artivel, Weill e Sakamoto. Ad arricchire ceduto dalla proiezione multimediale stico, un mondo, una ricerca volta a cerquesta sezione, nei mesi scorsi hanno Puglia in jazz (da Paolo Fresu a Mal- care in Puglia, presenze, spazi, dove la suonato il pianista Piero Di Egidio e la com X) a cura di Gianni Cataldi. musica esprime tutta la sua ricflautista Francesca Salvemini, ai quali La proiezione, che per i suoi 18 mi- chezza…Così inseguire i musicisti nel si aggiungeranno i concerti delle piani- nuti di durata si avvale di una ottima so- jazz club, piazzi, teatri, castelli, chiese ste Gemma Dibattista e Marilena Liso norizzazione, è servita soprattutto agli e cattedrali della Puglia, mi ha permesso con il Tributo a Gershwin & Ravel e del- spettatori per passare in rassegna i volti di raccogliere le loro storie, le emol’Ensemble di violoncelli in OranCelli e le storie di alcuni protagonisti del jazz zioni, le sperimentazioni di improvvidi Giuseppe Carabellese. nazionale ed internazionale, filtrati dal- satori radicali e raccontarle attraverso Dopo il concerto di Cristina Pal- l’obiettivo dell’ormai affermato foto- le immagini, creando, altresì, una sorta miotta (Nubigena, progetto musicale grafo barese, che «ha la dote di riuscire di dialogo tra i ritmi del cuore e la belsulla tradizione etnica) e le musiche go- a unire una cristallina tecnica fotogra- lezza dei luoghi». Di questi ultimi, rispel di Katie Graham nel Tributo a fica a una competenza musicale, ani- cordiamo le location riguardanti la Mahalia Jackson, va ricordato il lavoro mata da una indiscutibile passione per prima edizione di «Nel gioco del jazz» per i più piccoli di Lina Manosperta (I un genere musicale che è anche una cul- e il Festival Bari in jazz, e poi Barletta ladri delle favole), omaggio alle musi- tura e uno stile di vita». Il sottotitolo (da jazz, Le voci dell’anima, Time Zones, che disneyane, a marzo è stata la volta Paolo Fresu a Malcom X) accosta vo- Talos di Ruvo, teatro Forma, Monopoli, dell’interessante progetto Admir lutamente il nome di uno dei migliori Locus Fest di Locorotondo, AlberoShkurtaj Trio che fonde jazz, musica jazzisti italiani a una figura epocale bello, Jazz ed Altro di Bari e Andria contemporanea e tradizione balcanica. nella lotta per i diritti del popolo di co- jazz. A maggio sarà il nuovo progetto Apo- lore, che proprio nel jazz ha trovato una Per la cronaca, le immagini (tutte icageo del grande contrabbassista Gio- delle sue più importanti forme d’e- sticamente suggestive) riguardano Envanni Tommaso, accompagnato da spressione. L’indubbia capacità tecnica rico Rava, Paolo Fresu, Enrico PieranClaudio Filippini, Daniele Scanna- di Gianni Cataldi esalta la numerosa nunzi, Fabrizio Bosso, Bili Frisell, Keith pieco, Bebo Ferra e Anthony Pinciotti, raccolta di volti dei musicisti nostrani e Tippett, Evan Parker, Gianluigi Trovesi, a chiudere gli appuntamenti di questa di altre eccellenze col risultato di resti- Cristina Zavallone, Michel Portal, Galedizione che sta riscuotendo grande tuirci un racconto ben articolato, che liano, Godard, Jan Garbarek, Gianluca successo di pubblico e critica. inizia dalla fine degli anni Novanta, Petrella, Livio Minafra, Francesco BearScarsamente sostenuta da enti e isti- fino ai nostri giorni, all’incontro con il zotti, Nicola Conte, Fabio Accardi, tuzioni, solitamente prodiVince Abbracciante, Pietro ghi per le più vacue (e inuLeveratto, Ornette Coleman, tili) manifestazioni, l’AssoRoberto Gatto, James Carter, ciazione Nel Gioco del Jazz Sarah Jane Morris, Pino Miha continuato nella coragnafra, Roberto Ottaviano, giosa intrapresa di presenPaola Arnesano, Vincenzo tare al pubblico degli appasMazzone, Al McDowell, sionati un’offerta culturale Gianmaria Testa, Cecil Taydi grande caratura artistica lor, Giovanni Tommaso… ANCA OPOLARE che può usufruire di un proUn piccolo empireo del congetto ben pensato e meglio temporaneo jazz nazionale ed DI UGLIA E ASILICATA attuato (per giunta, in un internazionale. Alfonso Marrese luogo non istituzionale), B P P B CONTRAPPUNTI pag. 8 / Aprile 2011 Nella Settimana Santa lo «Stabat» di Pergolesi e una Messa di Marcello Panni L’Orchestra di Lecce, tutto Beethoven Interpreti di prestigio per le sinfonie e i concerti per pianoforte e violino Annunciata sul filo di lana, ha preso il via ed è in corso di svolgimento la Stagione Sinfonica di Primavera dell’Orchestra della Fondazione «Tito Schipa» di Lecce, con la direzione artistica e principale di Marcello Panni. Il cartellone è caratterizzato dall’integrale delle Sinfonie di Beethoven, tuttavia programmate in ordine vario, tanto che il concerto inaugurale ha visto l’esecuzione della creazione estrema e testamentaria del genio di Bonn, ovvero la Nona Sinfonia. Particolare anche l’accostamento proposto: nella seconda parte del concerto è stato infatti eseguito in prima leccese Un sopravvissuto di Varsavia di Schönberg (nella traduzione italiana di Fedele D’Amico dall’originale in inglese), come a dire il più alto monumento alla speranza di fratellanza e solidarietà tra gli uomini accostato alla più disperata e terribile testimonianza della barbarie e fine dell’ umanità. La programmazione dei concerti, tuttavia, non insegue un’idea unitaria: fermo restando il fil rouge della presenza beethoveniana – peraltro non limitata alle sole Sinfonie ma comprendente anche i primi tre Concerti per pianoforte e quello per violino – non ci sono altre corrispondenze o particolari rimandi tematici e repertoriali, lasciando così la configurazione dei singoli concerti libera di spaziare alla ricerca di pagine significative e nuove per l’orchestra leccese. Si segnalano così le proposte della Sinfonia n. 2 di Aleksandr Borodin, della Burleske di Richard Strauss e del Concerto per clarinetto di Aaron Copland, il cui ruolo solista è affidato all’affermato Giampiero Sobrino. Proprio nel campo degli interpreti troviamo nomi di assoluto e ormai «storico» valore, quali Salvatore Accardo, Alexander Lonquich e Boris Petrushansky, i primi due impegnati nella doppia veste di direttore e solista. Il grande violinista italiano interpreta, naturalmente, il celeberrimo Concerto in re magg., in una serata tutta beethoveniana che prevede anche la Quarta Sinfonia e l’Ouverture Leonora; il famoso pianista tedesco esegue invece le Variazioni sinfoniche di César Franck e dirige la Seconda di Beethoven e Burleske di Strauss, mentre alla maestria di Petrushansky è affidato il Primo KlavierKonzert, in una serata ancora tutta beethoveniana (anche l’Ouverture La consacrazione della casa e l’Ottava) diretta dall’inglese Jan Latham Koenig, altro nome di prestigio. Ma anche di grande rilievo la presenza di Lilya Zilberstein, che ha eseguito il Terzo Concerto, e in genere tutto il prospetto degli artisti si mostra affidabile: i direttori Oleg Caetani, Günter Neuhold, Alfonso Scarano, e ancora i solisti Susanna Stefani Caetani (nel «Jeunehomme» di Mozart), Vittorio Ceccanti (Concerto per violoncello e orchestra di Dvorák), mentre, a chiusura della rassegna e nel Secondo Concerto di Beethoven, debutta con l’Orchestra della Fondazione la giovane pianista leccese Beatrice Rana. Al direttore artistico-musicale sono affidate quattro delle dieci produzioni, compresa quella fuori abbonamento e gratuita del Concerto Spirituale per la Settimana Santa, che prevede l’esecuzione dello Stabat Mater di Pergolesi e della Missa brevis per coro di voci bianche, tenore, fiati e percussioni (prima esecuzione a Lecce) dello stesso Marcello Panni. Antonio Farì Docente ad una master class Mirella Freni torna a Bari e ricorda «i bei momenti» «La preghiera nell’opera» è stato il tema della Master Class tenutasi in febbraio a Bari con la partecipazione straordinaria di Mirella Freni, una delle figure artistiche più rappresentative del teatro d’opera mondiale, accompagnata dai giovani cantanti dell’Accademia di Alto Perfezionamento di canto lirico di Modena. L’evento è stato organizzato dalla Fondazione Frammenti di Luce in collaborazione con la Fondazione Nicolai Ghiaurov, il CUBEC e la Pontificia Basilica di San Nicola di Bari. La Fondazione Frammenti di Luce è impegnata ormai da diversi anni nel territorio barese e nazionale in un progetto di formazione e promozione del valore della Bellezza come processo educativo e formativo, attraverso le molteplici forme dell’Arte. In sostanza la Fondazione, animata da tre fervidi operatori religiosi e musicali, Don Maurizio Leggi, Suor Cristina Alfano e Don Mario Castellano, propone una coinvolgente e profonda esperienza artistico spirituale volta a far incontrare la vita di fede con l’esperienza artistica. Il progetto è rivolto alla comunità ecclesiale, in tutti i suoi ambiti, ma in maniera particolare si apre al mondo giovanile, accogliendo l’invito dello stesso Pontificio Consiglio della Cultura ad «impegnarsi a educare i giovani alla bellezza». In tal ottica, è precipuo obiettivo di Frammenti di Luce con i propri spettacoli fornire un messaggio artistico e morale alla sensibilità dei giovani e suggerire con la forza delle immagini, delle parole e della musica una via verso una maturità cristiana più completa. In piena sintonia con tali intendimenti, la Fondazione ha organizzato una settimana di studio articolata in diversi momenti che citiamo tutti per il loro indubbio interesse: dal 21 al 23 febbraio una Master Class di canto lirico tenuta da Mirella Freni presso la Sala del Catapano, all’interno della Basilica di San Nicola. Il 24 febbraio al teatro Piccinni si è svolta, a ingresso Francesco Scoditti (continua a pag. 14) CONTRAPPUNTI pag. 9 / Aprile 2011 Libri & Recensioni PIU’ FORTI DELLA NON SPERANZA Quasi una autobiografia in versi di Michele Campione Raccolte in un volume le poesie dal 1948 al 2003, intenso omaggio alla memoria del giornalista-scrittore. Arricchiscono le pagine i delicati acquerelli di Michele Damiani e la «voce» di Vito Signorile (in un CD). Daniele Giancane e la letteratura per l’infanzia: da Levante uno strumento di piacevole consultazione La foto lo ritrae assorto, quasi nascosto dalla nuvola di fumo ganizzazione sono destinati i proventi della vendita del libro). della pipa, con l’aria di chi attende l’ispirazione per una nuova C’è anche un corposo intervento critico di Raffaele Nigro che depoesia. E intanto nei suoi pensieri ci sono sempre Cettina e i ra- finisce questa raccolta di poesie una sorta di autobiografia in versi gazzi. È giovane, in quella foto. Ed è giusto così. Michele Cam- o colloca il lavoro creativo di Michele nella storia culturale del pione, da buon poeta, era rimaSud, ricordando fra l’altro i suoi sto giovane dentro pur avvertesti di narrativa e gli scritti teatendo problemi epocali, drammi trali. Vivido l’intervento di Vito e tensioni sociali. È il doppio biSignorile, alla cui consumata nario di chi, pur sfrenando la fanabilità di fine dicitore è legato il tasia, non può non tener conto piacere di ascoltare le poesie racdella realtà. Nel caso di Camcolte in un CD che fa parte intepione, poi, c’era di mezzo il megrante del volume. stiere, la professione di giornaCommovente «A papà, padre lista: sempre vissuta in primo poeta» scritto da Alessandra piano, anche quando aveva la reCampione che giustamente sotsponsabilità di un agguerrito tolinea l’impegno della famiglia team di colleghi Rai. a non disperdere il patrimonio Queste riflessioni sono ingenerosamente investito da Midotte dalla lettura di «Più forti chele. della non speranza», poesie dal La lettura si apre dunque alla 1948 al 2003. È una raffinata poesia: un mondo ricco, edizione Gelsorosso, impreziocom’era ricca di stimoli e calore sita da delicati acquerelli di Miumano la sua vita. Non c’è anchele Damiani che al vecchio golo lasciato in ombra. Panoamico – sodale di tante battaglie rami solenni e maestosi, il vocìo – ha dedicato anche intense padelle piazze affollate. La Bari di gine di ricordi e annotazioni poeSan Nicola, odalisca pigra. Le tiche. pietre, la storia, la memoria. Le Al contributo di Damiani si afantiche radici. E il mare, con i fianca in apertura del volume la suoi venti; le sue vele, e il potestimonianza di Francesco polo delle barche. Schittulli, qui nella sua veste di E poi – con variazioni ora iroAntonnio Rossano presidente della Lega italiana Uno degli acquerelli di Michele Damiani (continua a pag. 10) per la lotta ai tumori (alla cui or- Un saggio di Alessandro Mormile sulle mitiche voci dei castrati Controtenori, la rinascita dei nuovi angeli dell’opera buffa Alessandro Mormile rappresenta per i cultori della musica barocca e di tutto ciò che ruota intorno ad essa, uno degli studiosi italiani più attenti nella capacità di restituire i codici stilistici e interpretativi legati, attraverso i suoi interpreti, alla prassi esecutiva dell’opera barocca, che ne ha fatto un autentico cultore. Partendo dagli inevitabili riferimenti storici degli «evirati cantori», i cosiddetti castrati (non si dimentichi che la Puglia ha dato i natali all’andriese Carlo Broschi alias Fari- nelli e al martinese Giuseppe Aprile), il critico musicale piemontese ha messo insieme una tale mole di informazioni tecniche, stilistiche, espressive da scrivere un interessante volume dal titolo «Controtenori – La rinascita dei “nuovi angeli” nella prassi esecutiva dell’opera barocca», pubblicato dall’editore Zecchini di Varese, unico nel suo genere il cui universo ruota attorno alla figura moderna del «controtenore» termine entrato di prepotenza nel linguaggio dell’appassionato me- dio contemporaneo a seguito del massiccio impiego, nelle moderne esecuzioni delle opere barocche, sempre più apprezzati dal pubblico. Mormile attraverso l’uso di una prosa altamente comunicativa è riuscito ad analizzare le ragioni che hanno portato alla valorizzazione di un registro vocale maschile così particolare, collocabile fra la più acuta del soprano e quella del «tenor», al Dino Foresio (continua a pag. 10) CONTRAPPUNTI pag. 10 / Aprile 2011 Al Collegium Musicum una interessante novità di Alain Margoni La voce della musica, un poemetto I versi di Giovanni Dotoli ispirano un compositore francese «….Ma è veramente necessario catalogare l’inafferrabile?». Con questa frase ad effetto che racchiude, nell’interrogazione, tutta la angosciante chimera della musica contemporanea, si apriva il concerto del Collegium Musicum al teatro Kursaal di Bari che ri-passava (passava nuovamente), storicamente, alcuni snodi della musica, appunto, del nostro tempo. Certo, i bravi solisti e musicisti del complesso cameristico barese legati da un sodalizio lungo oramai sedici anni, si cimentano e spesso con la musica del ‘900. Forse spinti dal loro méntore-direttore, il maestro Rino Marrone, che da sempre sa coniugare antico e moderno, tradizione e avanguardia. Non dimentichiamo infatti che fu proprio il maestro barese ad inaugurare la prima stagione della cosiddetta êra-Pinto al Petruzzelli, allora teatro di super-tradizione, con l’opera di Igor Stravinskij La carriera di un libertino (The Rake’s Progress) che è del 1951. Un fatto memorabile per la Bari musicale che si perde nella notte dei tempi, e che solo recentemente è stato rispolverato grazie ad una attenzione rinnovata nei confronti del Secolo Breve fatto musica finalmente paracadutato anche nella sala rinnovata del nuovo teatro. Il programma del concerto bagnato da uno scatenato Giove Pluvio locale vedeva infatti alcuni brani cameristici (o ridotti alle dimensioni di un ensemble) di Debussy, Francais e soprattutto Alain Margoni: quest’ultimo un musicista vivente, poliedrico, di cui si eseguiva, in prima assoluta, un concerto per baritono, tromba, violoncello e Dalla nona pagina Più forti della non speranza niche, ora dolenti – la famiglia, gli affetti più cari: i raduni a Palese, gli inevitabili addii ai figli che si emancipano, alle fanciulle che «vanno spose», all’amata Cettina cui dedica – fra l’altro – un divertito acrostico. Un libro più che godibile, intenso, corposo: meritato tributo all’impegno civile di un collega esemplare. J I tempi sono maturi per ordinare cronologicamente autori, editori ed illustratori che in Puglia si sono dedicati alla letteratura per l’infanzia. Impresa comunque non facile, nella quale Daniele Giancane ha speso la sua specifica esperienza di docente universitario, chiamando a raccolta altri studiosi e saggisti: Giuseppe Capozza, Maria Forina, Angela Giannelli, Maria Pia Latorre, Cosimo Rodia, Caterina Rotondo, Francesco Spilotros e Francesco Urbano. Il libro è edito da Levante che da anni dedica un’intera sua collana ai racconti per l’infanzia, cui si sono presto aggiunte opere teatrali e saggi critici. Un volume di piacevole consultazione, punto di riferimento per ulteriori ricerche. Antonio Rossano pianoforte, dal titolo Voix de la musique. Un poemetto di nove strofe di quartine che della musica vuole rendere il senso misterioso, sfumato, crepuscolare e che l’autore del testo, il noto professore universitario Giovanni Dotoli, ha scritto in lingua francese e poi tradotto in italiano. Secondo un percorso all’incontrario e non di poche difficoltà per chi, come il notissimo francesista nativo di Volturino ma barese d’adozione, pensa e scrive oramai più nella lingua di Prévert che in quella di Caproni. Tanto per intenderci. Musica dunque accattivante e destinata da Margoni ad un mixage di antico e moderno, con incursioni nel serialismo ma con opportune punte tonali. Risultato dunque assai gradevole e ben in linea con lo stile moderno, ermetico, dell’eloquio poetico del poeta-Dotoli. Questa prima parte del programma si incastrava bellamente nella versione per 11 strumenti del famoso Preludio di un fauno di Claude Debussy che Schoenberg aveva cemeristicamente ridotto all’epoca in cui, a Vienna, egli organizzava le serate musicali della modernità insieme a Berg e Webern. Nulla da dire infine sulla verve ritmica del Dixtuor di Jean Francais, lavoro del 1986 di un autore ancora poco noto in Italia, ma che noi imparammo a conoscere (e a suonare) tanti anni fa… nel mitico Conservatorio barese diretto da Rota. Il quale, non a caso, spesso spigolava proprio nella musica francese di scuola raveliana. A tacer d’altro! Successo vivissimo e meritato per tutti. Controtenori, la rinascita dei nuovi angeli dell’opera buffa quale a conti fatti si deve riconoscere la dignità che merita soprattutto rispetto a quelle tenorile e di bass-bariton, e il cui utilizzo si è andato imponendo, nel corso del Novecento, sia a seguito dei repêchage del teatro musicale seicentesco e settecentesco (i nostri compositori da Leo a Piccinni, da Traetta a Paisiello hanno scritto pagine memorabili in tal senso), e dell’opera handeliana in particolare, sia dell’utilizzazione in non pochi titoli contemporanei. Mormile considerando la figura, per certi versi rivoluzionaria, rappresentata da René Jacobs, ha posto un punto fermo su cosa ha rappresentato il cantante inglese e quale strada ha aperto alle nuove generazioni di controtenori in ambito nazionale e internazionale. È proprio partendo da questo nuovo corso che la voce di controtenore, dopo essere uscita dall’esclusivo ambito delle musiche vocali rinascimentali, dalle cappelle e dalle cantorie delle chiese, è riuscita ad imporsi sulle scene operistiche, per mezzo di una nuova consapevolezza interpretativa e, soprattutto, perfezionando la tec- Pierfranco Moliterni nica al punto da oltrepassare i limiti imposti all’utilizzo del falsetto. Un canto, scrive lo stesso autore, in grado di «concedere all’uomo adulto la possibilità di trasformare la virilità in innocente candore infantile […] o in una prolungata e incerta adolescenza». L’esistenza di diverse scuole vocali portatrici di differenti approcci stilistici e culturali, ha contribuito ad offrire nuovi stimoli alle esecuzioni (tutte verificate sul campo dell’autore) da qui tutta una serie di apparati cronologici di grande interesse a completamento del volume: i controtenori nella discografia delle opere di Händel, nella discografia degli oratori e serenate di Händel, nella discografia delle opere barocche in genere, nei recitals, nelle raccolte discografiche e video, oltre alle principali presenze in moderne esecuzioni di opere prevalentemente di Händel. Così il lettore può scoprire tutto sui propri beniamini da Andreas Scholl a David Daniels, da Bejun Mehta a Philippe Jarrousky a Lawrence Zazzo per segnalare i controtenori più blasonati. Un volume di 218 pagine che si lascia leggere con leggerezza senza che mai vengano meno il rigore scientifico e l’interesse. Dino Foresio CONTRAPPUNTI pag. 11 / Aprile 2011 A Bari la rassegna «Dimensioni spirituali in musica arte cultura» La colonna sonora della Nazione Italia Un suggestivo itinerario storico dal coro d’opera alla canzone La voce nel canto corale parla all’anima trasducendola in un microcosmo poetico musicale che ripercorre le vie di una comune identità. La musica corale canta emozioni di intimità violate, l’integrazione negata, le miserie materiali, l’eroismo della resistenza, la forza della tradizione, la gioia di vivere. La musica corale ha sempre rivestito un ruolo molto importante nella storia, e non solo nell’ambito dell’italico Paese. Il coro offre al singolo individuo un’opportunità di aggregazione, di accoglienza senza giudizio, di contenimento, rappresenta una fonte di amicizia e di energia, di gratificazione, un ausilio per la solidarietà, per la preghiera: attraverso il canto. Cantare è un po’ come suonare … il corpo di colui che ascolta, mediante la voce, concretizzante il dono di se stessi… «Cantare richiede l’ascolto dell’altro e l’autoascolto», affermava Tomatis. Un’importante valenza educativa e terapeutica ha acquisito la realtà corale, nell’evolversi dei secoli, scandendone il percorso storico-politico-culturale con significativa incisività. Merita pertanto plauso la Rassegna concertistica «Dimensioni Spirituali in Musica Arte Cultura», nel cui ambito la musica corale riveste un ruolo privilegiato, organizzata dalla Chiesa di S. Ferdinando nei mesi da novembre 2010 a maggio 2011. Ciascuna manifestazione è strutturata con un concerto preceduto da una riflessione culturale-scientifica riguardante le tematiche su cui verte il concerto, tenuta da un’esimia personalità di studioso. Si colloca quale appuntamento di pregio, nell’ambito della Rassegna, la manifestazione dedicata alla musica corale omaggiante il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Dopo l’introduzione del Parroco di S. Ferdinando, Don Pasquale Muschitiello, e la dotta prolusione/lectio magistralis tenuta dal prof. Gianfranco Liberati (Docente dell’Università di Bari), sul tema: «La cultura del Risorgimento: la musica e la parola», il programma musicale ha focalizzato la tematica: «Dal coro d’opera alla canzone: itinerario musicale dal XIX al XXI secolo». Nel concerto sono state eseguite musiche che hanno costituito la colonna sonora della nazione Italia, dal Risorgimento alla can- zone napoletana, proposte dai cori: «S. Ferdinando» (direttore e organista Giuseppe Nanna), insieme con il gruppo strumentale della Scuola Media «Carducci» (direttore e organista Donida Lopomo); «Chorus Harmony» (direttore Giovanni Lomurno); «Musica Mundi»: direttore Vincenzo Bartolomeo); dal tenore Vito Piscopo, insieme con il coro «Nuova Armonia», e l’ensemble corale-strumentale dei diversamente abili di «Casa C.E.D.I.S.», con l’educatore assistente alle percussioni Fabrizio Calò (Presidente di «Casa C.E.D.I.S.» a Pia Piepoli). La peculiarità e l’eccezionalità del concerto sono veicolate dalla tipologia degli interpreti, estremamente eterogenei per età anagrafiche, professioni, caratteristiche psicofisiche, costituiti da cori «non professionisti», studenti delle scuole medie, e diversamente-abili, perfettamente e totalmente e reciprocamente integrati nel nome della musica e dell’italico sentimento celebrativo. La Rassegna «Dimensioni spirituali in Musica Arte Cultura», a ingresso libero, si propone anche quale screening della realtà corale «amatoriale» territoriale, testimonianza dell’interesse e del grado di diffusione, e nel contempo input propulsore, della cultura musicale nel tessuto sociale. Né va trascurata la considerazione che i soggetti costituenti i cori, proprio in virtù di un acquisito gusto musicale, possono efficacemente sostanziare il pubblico dei concerti delle varie associazioni e fondazioni musicali: a queste ultime va quindi ascritto il compito di incentivarne la partecipazione alle proprie manifestazioni musicali mediante iniziative «dedicate», promozionali in relazione al biglietto d’ingresso. La cospicua valenza artistico-culturale della musica corale, e del coro, espressione di una voce del sentimento, molteplice nell’unità, potrebbe incantevolmente sintetizzarsi nella delicata magica profonda levità della poesia di Muriel Barbery (da «L’eleganza del riccio»): «È come se le note musicali creassero una specie di parentesi temporale, una sospensione, un Altrove in questo luogo, un sempre nel mai». Adriana De Serio «Come eravamo», un concorso omaggio a Vito Maurogiovanni L’urgenza più significativa del nostro tempo è saper riannodare i fili spezzati del racconto della vita tra le generazioni. Una urgenza da cui non possono tirarsi fuori tutti gli uomini e le donne di buona volontà, qualunque professione essi compiano. Trasmettere ai giovani il bagaglio di esperienza di vita è molto di più che un impegno civile e sociale per un comunicatore, é un obbligo morale, qualunque sia la forma del comunicare. Ricordare Vito Maurogiovanni, cantore popolare della tradizione barese, e cercare di adempiere al compito di legare le generazioni nel racconto del cammino della vita, attraverso la condivisione delle esperienze e dei valori etici che hanno accomunato persone, identità territoriali, popoli interi per secoli e secoli, è l’intento unitario che l’UCSI di Puglia (Unione Cattolica Stampa Italiana) ha voluto attuare con il progetto di un Premio dedicato a Vito Maurogiovanni nelle scuole di Bari e provincia, dal titolo «Come eravamo». Ed è in una pagina quella rubrica che Vito Maurogiovanni ha tenuto per anni su La Gazzetta del Mezzogiorno, che troviamo una spiegazione chiara di questo percorso. Sotto il titolo «Ringraziamenti per i miei lettori», Vito oltre a ringraziare, tra gli altri, l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi, «che ha letto i miei scritti dedicati ai tempi in cui fu a Bari», riportò uno stralcio di una lunga lettera che aveva ricevuto dal Direttore Generale dell’ANSA, Paolo De Palma, che così scriveva. Il giornale, così, permette a noi anziani di riandare ai nostri ricordi; alla generazione dei nostri figli di riascoltare, come eco della voce dei loro padri, avve- nimenti, storie, curiosità di cui sentirono parlare da bambini; ai nostri nipoti, i giovani di oggi, di riproporre valori che, se pur attualmente in gran parte obnubilati, riescono poi alla fine a mantenere intatta la loro suggestione, la loro attualità». Non si può vivere pienamente e coscientemente senza il racconto delle generazioni. Molti mali della nostra contemporaneità derivano da questo filo spezzato nella storia del novecento. Il desiderio di rimozione, pur legittimo per la tanta sofferenza della guerra, dei nostri nonni e dei nostri genitori ha consentito terreno fertile all’inutilità dell’edonismo che dagli anni cinquanta in poi si è affermato con una nuova etica della libertà Enzo Quarto Presidente UCSI Puglia (continua a pag. 14) pag. 12 / Aprile 2011 CONTRAPPUNTI Una carrellata di immagini che rifiutano il conformismo e la banalità Le 80 maschere di Mimmo Castellano Quasi sotto silenzio (ma perché?) il ritorno dell’artista a Bari Più volte abbiamo ribadito quanto la «memoria» difetti dalle nostre parti, a nocumento delle giovani generazioni, sprovvedute culturalmente, perché travolte dall’esterofilia del vacuo. Quando poi vi è un barlume di ritrovati sensi, la città pecca di adeguati mezzi massmediali, scadendo nell’irriguardoso. Specie se trattasi di un «riconoscimento» ufficiale a una straordinaria carriera poliedrica e rara di un nostro artista, svoltasi principalmente in quella Milano mitteleuropea, che valorizzando le capacità di un innato talento, lo ha lanciato nel firmamento della notorietà globale. «Omaggio» dunque a Mimmo Castellano, figlio di una Puglia (ingrata) che gli diede i natali (Gioia del Colle 1932) e ambasciatore per il mondo che ne apprezza le singolari doti. Bari lo accoglie di tanto in tanto (la precedente sortita, 2005/06, «cinquant’anni di grafica» al Castello Svevo); stavolta fra le antiche mura di un restaurato «Fortino» (S. Antonio Abate sec.XIV). Organizzandogli una mostra dei suoi più recenti lavori di rielaborazioni computerizzate, dal titolo «Fuorischema», 80 personaggi adattabili tutti senza procedure burocratiche. Ambientati espositivamente nella parte inferiore della torre, che restaurata nella sua integrità architettonica, rimane uno spazio sconosciuto (!), che reclama adeguata visibilità, per non vanificare le manifestazioni, augurabili selezionate. Ottanta immagini, quelle dell’artista pugliese, in uno stringatissimo allestimento a mo’ di totem, che meritavano ben altro (!!?), e almeno un catalogo, come documento storicoinformativo! Non per noi, consapevoli la lunga storia internazionale del conterraneo, considerato fra i protagonisti indiscussi dell’arte contemporanea e applicata agli universi simbolici, quanto per farlo conoscere a quelle generazioni plagiate di concettualità dell’effimero; colmando l’ignoranza sui nostri antefatti storici, e acquistando coscienza della lezione esistenziale di un maestro e docente, contraddistintosi per un singolare senso intellettuale dell’immaginario. Condensato di vocazione, studio, ricerca, tecnica, sperimentazione, acuta intuizione, persuasione, strategia, messaggio, curiosità e gioco, di uno spettro infinito, flessibile e dinamico alla duttilità dei materiali, affinché la rappresentazione nella sua immediata comprensione, ieri come oggi, trasmetta emozioni coinvolgenti. Un complesso variegato di potenzialità e processi evolutivi. Tant’è Mimmo Castellano ha un bagaglio di esperienze che vengono da lontano; è persino fra gli autori di quelle opere pittoriche del famoso «Maggio» (1960), sepolte sotto la polvere dell’indifferenza. Fotoreporter nel 1962, documentò impavido e malmenato con la sua rolleiflex, i moti degli edili, per informare sui fatti «reali», condirettore con l’ineffabile scomparso Peppino Schito della Rivista Sud. Designer, art director per una messe di editori, La- terza, De Donato, Dedalo, Vallecchi, Feltrinelli, Einaudi, Leonardo da Vinci, etc. Disegnò fra l’altro nel 1970 la copertina del libro Contrappunti di Franco Chieco e scritto con inchieste e illustrazioni Moods, Paese Lucano per l’ENI, La valle dei trulli con testi di Sinisgalli, Minchilli, Cocchiara, Santomaso in Puglia di Haftmann, Terra di Bari per l’ACI, Noi Vivi presentato da Eco, Levantazzo, Le pietre di Ulisse. Recensito da Russoli, Dorfles, Sinisgalli, Zannier, Selearte, Graphis Annual, The Architectural Review, Domus. Ha ideato marchi e loghi per le migliori aziende, tutte le campagne pubblicitarie dell’EpT di Bari, il Maggio e manifestazioni nicolaiane. Progettista d’importanti Padiglioni alla Fiera del Levante, per la Rai, l’Iri a Londra, la Montedison a Milano, Italsider, Ina, ha affrescato la volta originalissima del ricostruito Teatro Regio di Torino; presente alle Triennali di Milano, alla Biennale di Brno, riportando entusiastici consensi e premi internazionali a tantissime altre ideazioni per il Coni, l’Eni, Alitalia, Ice, Datamont, etc. Nel clima delle celebrazioni dei Centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, è stato l’autore unico per il «Centenario» all’Expo di Torino di Puglia 61. Un volumetto raro, che racconta la Puglia con scritti storici del Novecento, fotografie e disegni in bianconero e monocromatici, su siti, monumenti, paesi, braccianti, vegetazioni, come evoluzione di una terra dalle origini contadine; aprendo col granaio d’Italia, sovrastato da un verso dalle canzoni di re Enzo: «E vanne in Puglia piana, la Magna Capitana, là dove è lo mio core notte e dìa». E poi memorie, poesie, interventi di storici, politici, economisti, meridionalisti, viaggiatori; per chiudere sui futuri insediamenti industriali: quei «draghi», subentrati a stravolgere una terra con guasti inimmaginabili. Intanto questi 80 personaggi di Castellano rappresentano le ultime tarsie colorate, le pulsioni che governano l’occhio dell’artista. Un «fuorischema» rielaborativo, sapiente tecnicamente dell’uso satirico, anche politicamente delle maschere, che si prestano ad ottenere a tutto tondo una contraffazione, quasi a raffigurare con efficacia antropomorfica l’essenza scenica o sottolinearne il carattere e la funzione, divertita e grottesca. Oppure immagini mnemoniche di un Castellano fiabesco, mitico o umoristico; in bilico tra le simbologie apotropaiche poste sull’arco dei portoncini del paese natìo scolpite alla maniera naif, cariche di valenze magico-rituali o esornative, e la chiave ingenua di stilizzazione figurale infantile con curiosità futuriste. Insomma il magico e l’immaginario o giustappunto l’occhio artistico, che rifiuta il conformismo, la banalità, il caricaturale, la sclerosi del realismo e del naturalismo, in concatenamenti volumetrici multicromatici di accattivante plasticismo. Omaggi a Mimmo Castellano! Manlio Chieppa CONTRAPPUNTI pag. 13 / Aprile 2011 Le origini del celebre istituto risalgono ai primi del Settecento Quel Liceo faro di cultura classica Conversano con orgoglio celebra i suoi 150 anni Al di là di ogni polemica intorno al 150° anniversario dell’Unità d’Italia, nonostante i continui moniti del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, la cittadinanza di Conversano ha ben ragione di festeggiare l’eventoalmeno per un duplice motivo. Il primo si riferisce al prestigioso riconoscimento pervenuto con decreto del Presidente della Repubblica, firmato il 30 dic. 2010 e sopraggiunto alle autorità competenti proprio nell’anno del 150°, con cui Giorgio Napolitano, accogliendo la richiesta della Giunta Municipale e riconoscendo la sussistenza delle condizioni storiche culturali artistiche e politiche, concede al Comune di Conversano il titolo ono- rifico di CITTA’. Un riconoscimento che, inorgoglisce, ma che responsabilizza ancor più il governo locale. La consegna ufficiale verrà il 2 aprile con una solenne cerimonia pubblica al Pala «San Giacomo». L’altro motivo si lega ancor più profondamente e con forte sentimento popolare alla coincidente celebrazione dei 150 anni del Liceo-Ginnasio di Conversano, ancor oggi «faro di cultura classica ed umanistica»: da un lato, in perfetta conformità con le sue prime origini e, dall’altro, in felice adeguamento al corso dei tempi. Di fatto, la sua storia è molto più antica, in quanto la sua «culla» risale al 1703 con la nascita del Collegio, prestigiosa istituzione voluta dall’autorità vescovile della Diocesi di Conversano. La sua «fisionomia» fu subito ben chiara, allorché mons. Filippo Meda, milanese, all’età di 35 anni, nel 1704, fu chiamato a reggere la Chiesa conversanese. Il giovane Presule seppe subito crearsi intorno al Seminario e al Collegio un ambiente culturale (al quale si era abituato nella sua Milano), capace di diffondere fede e sapere. Ma il pieno sviluppo scolastico-culturale, oltre che teologico, del Collegio si ebbe nel XIX sec. con il Vescovo Giuseppe Maria Mucedola (dal 1849 al 1865), già parroco di S.Paolo di Civitate (Foggia), mentre «imperava» il regime borbonico. Con lui «la storia del Collegio diventa storia di educatori dalla forte personalità e dalla cultura aperta che diffondono nel circondario diocesano e in tutto l’ambiente meridionale le idee nuove di libertà, unità nazionale e indipendenza» . Mons. Mucedola si rendeva conto che «la sua opera sarebbe stata duratura solo se il Collegio avesse avuto buoni maestri, dalla mente aperta alle idee nuove, ma non contrastanti con gli insegnamenti della Chiesa». Perciò chiamò a sé i migliori studenti, istruendoli personalmente ed aiutandoli economicamente, non rinunciando ad inviarli a sue spese a frequentare istituti superiori di alto livello come quelli di Napoli, Roma e Montecassino. Fra i tanti giovani che potettero godere del mecenatismo del Vescovo-patriota Mucedola fu il promettente sac. Domenico Morea, nativo di Alberobello, considerato in seguito tra i migliori Maestri che hanno onorato il Collegio di Conversano. Il Morea, profondo studioso, allievo dell’illustre storico, padre abate Luigi Tosti, a Montecassino, ove portò a termine un suo lavoro, faticoso e poderoso come il noto Chartularium Cupersanense (opera ancor oggi molto consultata da ricercatori e storici), in cui l’autore, attraverso l’esame di documenti di diritto pubblico e privato, di bolle e sovrane concessioni, riuscì a cogliere la vita del popolo pugliese nel suo dinamismo. Tornato a Conversano nel suo Collegio, chiamato a reggerlo in qualità di rettore-preside (aveva solo 28 anni), lo rimodellò, in sintonia con il suo Vescovo Mucedola, su quello di Montecassino, non mancando di utilizzare le Domenico Roscino (continua a pag. 14) CONTRAPPUNTI pag. 14 / Aprile 2011 Dalla ottava pagina Mirella Freni torna a Bari e ricorda «i bei momenti» libero, una lezione aperta al pubblico. In questa occasione è stato possibile assistere a una tipica giornata di lavoro dei giovani cantanti dell’Accademia di alto perfezionamento di Modena, ragazzi tutti preparati e provenienti da ogni parte del mondo per far parte della più prestigiosa scuola di canto lirico in Italia. Infine il 25 febbraio la settimana si è conclusa, sempre al teatro Piccinni, con un concerto a tema «La preghiera nell’opera», basato appunto su esempi di preghiere liriche, pagine bellissime ma talvolta poco note, tratte da opere e composizioni del repertorio vocale ottocentesco, da Rossini a Donizetti, da Tchaikovsky a Dvorak. Si sono quindi esibiti, accompagnati al pianoforte dalla brava e ferrata Paola Molinari, artisti provenienti dalla Spagna, Moldavia, Armenia, Messico, Cina, Kazakistan e Italia, alcuni, come il baritono moldavo Caraja Valeriu e l’agile tenore cinese Lu Yuan, già dotati di tecnica sicura e vocalità adeguata all’attività professionale, tutti comunque in grado di migliorare e aspirare a una futura carriera di buon livello. La serata ha inoltre previsto la prestigiosa partecipazione del compositore monsignor Marco Frisina, che ha presentato con colte annotazioni tutto il concerto e ha condotto una vivace e piacevolissima intervista-dialogo con la famosa soprano, in tal maniera condividendo con il pubblico presente le esperienze artistiche di una vita dedicata alla musica. Interprete straordinaria, stimata da direttori come Karajan, Giulini, Kleiber, Muti e Abbado, voce dotata di un timbro particolarissimo e di innumerevoli sfumature, come dimostrato anche dall’ascolto di due preziose registrazioni, Mirella Freni è stata anche a Bari. Cito a riguardo, oltre a una presenza con Bohème, lo sfortunato episodio risalente a più di quarant’anni fa (1967), quando in seguito alla travagliata interpretazione di Violetta alla Scala a causa della contestazione organizzata dai sostenitori «vedovi» della Callas, la Freni rinunciò all’ultimo momento dell’invito del Petruzzelli ad esibirsi a Bari proprio in Traviata, nonostante i tenaci tentativi del critico Franco Chieco, suo amico personale, nel cercare di convincerla di quanto il pubblico barese la attendesse con entusiasmo, riservandole sicuramente ben altra accoglienza. Pieno merito quindi a Frammenti di Luce per aver riportato nella nostra città una artista di questo livello, fra l’altro in una condizione inusuale ma ugualmente accattivante, una familiare intervista in cui la Freni ha ricordato i più bei momenti della sua vita artistica e ha illustrato con fervore il suo nuovo e amato ruolo di docente a tutto tondo, una straordinaria insegnante in grado, come dimostrano i risultati, di garantire ai suoi «ragazzi» un’offerta formativa di altissimo livello. Dalla undicesima pagina «Come eravamo», un concorso omaggio a Vito Maurogiovanni sue amicizie negli ambienti culturali nazionali per acquisire i migliori docenti e di proporre programmi dei corsi di studio al giudizio di personalità come lo stesso abate Tosti, Alessandro Manzoni, il filosofo conversanese Donato Jaia (maestro a Pisa di Giovanni Gentile), il cardinale Alfonso Capecelatro, arcivescovo di Capua ed insigne cultore di Lettere. Anche Giovanni Pascoli, che fu a Conversano in visita ministeriale in occasione degli esami di Stato, ebbe parole di apprezzamento per le condizioni didattiche della scuola. Pertanto, nel 1861, proprio con il rettore Morea, l’istituzione scolastica conversanese, che era già all’apice della sua fervida attività formativa, riconosciuta «palestra intellettuale e morale di tanti giovani che lì si formarono e di lì presero il volo per un meritorio impegno nella società, si trovò pronto ad applicare la legge Casati – la prima legge scolastica del Governo dell’Italia Unita – che trasformava i vecchi istituti di «umanità maggiore e minore» in Regi Licei Ginnasi con materie di insegnamento e programmi uniformi a quelli che regolavano le scuole governative dell’unificato Regno d’Italia. E da allora la storia del Liceo-Ginnasio di Conversano, allogato nel vecchio risistemato edificio, già convento dei Paolotti, di proprietà della Curia vescovile, e che dopo la morte del suo grande Maestro, mons. Domenico Morea, avvenuta nel 1902 e al quale poi meritoriamente intitolato, ha continuato ad operare in una chiara e felice visione unitaria: formata dai Vescovi, dai dirigenti scolastici e dai Sindaci per gli atti che la legge scolastica italiana attribuisce all’Ente Locale. Ancor oggi, dunque, il Liceo «D. Morea», costituisce il segno d’identità comune con la sua indefettibile fedeltà all’originario motto paolino «Crescamus in IIlo per Omnia», ben leggibile sul fastigio del prospetto neoclassico dell’edificio-sede del SeminarioConvitto, opera dell’architetto conversanese Sante Simone (1823-1894). che ha letteralmente «ubriacato», fino al nichilismo, le nuove generazioni, consentendo loro di pensare che ogni cosa fosse legittima e degna di essere vissuta. La liceità dei comportamenti degli anni cinquanta e sessanta, nasce, dunque, anche dal racconto spezzato tra le generazioni. «Tutto nuovo. Ciò che è vecchio non serve». Eppure l’umanità per millenni ha vissuto con un concetto ben diverso: «Tutto ciò che è servito continua a servire ed è la base per nuove scoperte». La società cosiddetta avanzata dell’occidente opulento, in particolare, si é messa alla ricerca del nuovo in assoluto, come unico principio etico di vita. Un nuovo da produrre, da incentivare, da essere motivo delle nostre stesse esistenze, si pensi alla predominanza delle tecnologie, divenute presto iperteconologie, non più strumento ma fine stesso del vivere quotidiano, dimenticando che l’uomo è nella sua essenza relazione, conoscenza, confronto con i suoi simili. Di qui molti malesseri psicosomatici che affliggono l’umanità globalizzata priva di certezze semplici quanto consolidate nei valori essenziali della vita. Ma la relazione, la conoscenza, il confronto si imparano, grazie appunto al racconto della vita tra le generazioni, che dia stimoli di pensiero e di agire verso il futuro con fiducia, forza, come solo le radici forti di un albero possono dare alle gemme e alle giovani foglie. Ecco. Con il concorso «Come eravamo» nelle scuole, condiviso con la Famiglia Maurogiovanni, il Comune e la Provincia di Bari e l’Ufficio Scolastico per la Puglia, vogliamo riaprire il confronto con il già vissuto di chi ci ha preceduto perché ci arricchisca nei sentimenti e nella cultura, perché questi siano la forza per i giovani di guardare con serenità e fiducia al domani, partendo dalla consapevolezza di una vita degnamente condivisa nei suoi valori intimi e sociali con i nostri nonni, i nostri padri, le nostre madri. Un Premio dedicato a Vito Maurogiovanni, dunque, per cercare nelle tante manifestazioni delle tradizioni popolari del nostro territorio che egli ha saputo così bene raccontare, con viva poesia, le ragioni di un racconto rinnovato che sappia dare stimoli a tutti. Presto sarà noto il bando del premio, che si concluderà in questa prima edizione nella tarda primavera del 2012, e che speriamo possa trovare partecipi molti gruppi di studenti delle scuole di ogni ordine e grado di Bari e provincia con tanti progetti in piena libertà di manifestazione artistica o meno, come riterranno meglio rappresentarli e con gli strumenti che riterranno più opportuni. Domenico Roscino Enzo Quarto Francesco Scoditti Dalla tredicesima pagina Quel Liceo faro di cultura classica CONTRAPPUNTI DISCHI pag. 15 / Aprile 2011 Le pagine più famose del «Tristano e Isotta» e del «Parsifal» dirette da Daniel Barenboim con i Berliner Philharmoniker Wagner, fascinose notti d’amore Il «Falstaff» a Liegi, protagonista Ruggero Raimondi, nel fantasioso visionario allestimento di Stefano Podo. Un’ampia panoramica della produzione bachiana: insieme ai capolavori per organo e clavicembalo, le Cantate e le Passioni secondo Matteo e Giovanni. «Bach & Battiato»: il pianista Francesco Libetta ricerca la coerenza accostando musiche antiche alle espressioni più recenti «Night of Love» è il titolo di un cd che raccoglie pagine d’amore di due opere wagneriane, «Tristano e Isotta» e «Parsifal». Cantano Waltraud Meier e Siegfried Jerusalem, sul podio dei Berliner Philharmoniker è Daniel Barenboim, le incisioni effettuate nella mitica sala della Philharmonie della capitale tedesca risalgono rispettivamente al 1989 e al 1994. Naturalmente i brani selezionati ripropongono sei fra i momenti più affascinanti dei due capolavori: dal «Tristano» la scena finale ovvero la morte di Isotta e i suoi duetti con Tristano e con Brangania; dal «Parsifal» la grande scena nel giardino di Klingsor e la conclusiva invocazione al Graal. Non dobbiamo però considerare una mera antologia un programma che riesce a cogliere lo spirito, il messaggio di una musica grazie alla quale, è stato detto, il tempo diventa spazio. La tensione emotiva delle pagine del «Tristano» è di un’avvincente intensità, soprattutto in quell’incantevole affresco poetico che è il second’atto. Al fianco del tenore Siegfried Jerusalem interprete di Waltraud Meier schietta musicalità, ad imporsi è la luminosità della voce della Meier, splendida nei fiati e nei timbri ricchissimi. Ed ancor più fresca e seducente, nel ruolo di Kundry, irrompe nella drammatica, serrata violenza sensuale nel lungo duetto del «Parsifal». (Un cd Warner Classics 2564 67605-9). J Non ha limiti la fantasia dei registi dì oggi. Al teatro dell’Opéra Royal de Wallonie di Liegi, nel novembre 2009, il «Falstaff» di Verdi è stato messo in scena da Stefano Poda, trentino, esponente di spicco del «pensiero» La Vanguardia che, soprattutto nella Spagna da lui molto frequentata, lo definisce il Faust della modernità, il mago prodigioso. Lo spettacolo, registrato in DVD, viene accreditato da quella critica come espressione di un decadentismo tragico. Va da sé che non dovremo meravigliarci se della famosa Osteria della Giarrettiera non troveremo la minima traccia. E non soltanto di quel luogo che ci fa venire in mente il buon William Shakespeare. Avremo invece uno spettacolo strepitoso, tutto inventato grazie alla smisurata fantasia degli effetti speciali: il vero trionfo della tecnologia. Ambienti astratti che più astratti non si può. Della commedia che conoscemmo in gioventù, in palcoscenico è rimasta solo la cesta nella quale Sir John verrà rinchiuso per essere gettato nelle acque del Tamigi. Quanto alla musica, l’esecuzione, diretta dal maestro Paolo Arrivabeni, pare finalizzata ad assecondare il fermo intento di misurarsi nell’immenso personaggio verdiano di Ruggero Raimondi la cui vocalità tuttora non ci fa dimenticare il forbito basso di un tempo. Il pubblico belga lo ripaga doviziosamente. Luca Salsi, l’altro baritono, è un ottimo Ford. E bene si può dire sia del quartetto femminile (Virginia Tola, Sabina Puértolas, Cinzia De Mola, Liliana Mattei), sia del Fenton di Tiberius Simu. Completano il cast Gregory Bonfatti, Pietro Picone e Luciano Montanaro. Se il regista ha inventato uno spettacolo al limite del visionario, al video-director Matteo Ricchetti va il merito di avercelo portato in casa. (Un dvd Dynamic, distribuz. Jupiter 33649). J Due ore e mezza con Bach. Per la fortunata collana «Experience» (due cd in un unico contenitore, una intelligente iniziativa dell’etichetta Warner) è il turno del sommo musicista tedesco. Vengono proposti 33 brani di vari generi incisi fra il 1964 e il 2001: una metà sono Cantate, ma non mancano le opere organistiche e clavicembalistiche, espressioni tra le più significative del patrimonio musicale universale. Il minimo che possa bastare per ricordare che Johann Sebastian Bach è stato un torrente di dottrina, un vulcano di idee. E a dimostrarlo sono le straordinarie esecuzioni offerteci da interpreti autorevoli come Nikolaus Harnoncourt con il suo Concentus Musicus Wien, Gustav Leonhardt con l’omonimo Consort, Marie-Claire Alain, Jörg Baumann, Alan Curtis,Ton Koopman, Herbert Tachezi, Thomas Zehetmair. Con il concorso di prestigiosi solisti e complessi corali Harnoncourt e Leonhardt riscoprono la magnificenza degli affreschi polifonici delle Cantate. Suonano i capolavori per l’organo e il clavicembalo, pagine della più alta maturità bachiana, un impareggiabile Koopman e una raffinata Marie-Claire Alain. Non sarebbe una testimonianza esaustiva senza la presenza delle due celebri «Passioni»: quella monumentale secondo Matteo con il contrappunto vocale e strumentale che raggiunge la più alta espressione del sentimento umano, e quella secondo Giovanni, opera di elegiaca tenerezza, concisa nella forma quanto ricca di tensione nell’affascinante epilogo. Di entrambe, è ancora Nikolaus Harnoncourt a rendere una lettura ispirata nella drammaticità dei recitativi e nell’asciutto vigore delle arie e dei cori. (Due cd in uno Warner Classics 2564 68082-1). J Francesco Libetta, pianista leccese ormai di alto rango, è protagonista di un cd intitolato «Bach & Battiato» in cui, suonando su un pianoforte moderno, si propone di ricercare, mediante la cura della linea melodica, una coerenza accostando musiche antiche alle espressioni più recenti. Tutt’altro che velleitaria, l’operazione ha una ferrea logica, facendoci ascoltare, intervallate fra loro, brevi composizioni di Johann Sebastian Bach (1685-1750), Mattia Vento (1735-1776), Bernardo Pasquini (1637-1710), Giovan Battista Lulli (1632-1687), Giovan Battista Martini (17061784), Gesualdo da Venosa (1561-1613), Michelangelo Rossi (1601-1656), Domenico Zipoli (1688-1726), Francesco Turini (1740-1812), Jean-Philippe Rameau (1683-1764) insieme a cinque brani, trascritti per pianoforte, di Franco Battiato, nato nel 1945 ancorché impegnato prevalentemente nel genere extracolto. E infatti dei cinque pezzi registrati – rileva Eraldo Martucci, animatore dell’editrice Nireo – «solo uno è di un’opera (Genesi), gli altri sono di musica pop dove neanche una sola armonia è stata mutata. Un brano come “La Cura”, strutturato come una passacaglia-fantasia tripartita, è intrisa di classicismo». Rigorose e raffinate le esecuzioni. (Un cd Nireo MMVIII 040). Franco Chieco