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MENSILE DI CULTURA SPETTACOLO COSTUME
Redazione via Cardinale Mimmi, 32 - 70124 Bari. Spediz. in Abb.to Postale 70% CNSA BA - Anno XVII N. 4 (158). Aprile 2011
Michele Damiani, acquerello - Nel 150° anniversario dell’Unità continua a essere mortificata la cultura in Italia
Al Petruzzelli più che una divampante teatralità della regia è mancato lo scoop
I guardoni, Sgarbi li prese tutti per i fondelli
La «Salome» in salsa politica? Ci speravano i guitti della politica
S
e dobbiamo parlare della «Salome» di Richard Strauss
andata in scena al Petruzzelli, parliamo di musica ossia dell’opera. Era la prima volta che tale opera sarebbe
stata rappresentata a Bari (una prima assoluta per Strauss al
Petruzzelli, mentre la sua «Arianna a Nasso» si era data nel
2004 al Piccinni), eppure la vigilia, sulle pagine dei giornali,
è stata quasi spasmodicamente vissuta intorno alle esternazioni di Vittorio Sgarbi, incaricato della regia. Ma di questo
intendiamo parlare dopo, più tardi. Ricordando infatti quel
che abbiamo scritto due mesi fa, che insomma, riavuto il Petruzzelli, ora ci troviamo di fronte al problema di «ri-formare» il pubblico (almeno una generazione in quel teatro
non aveva mai messo piede), quale occasione migliore
avrebbe potuto darsi, se non grazie ad una netta svolta nella
scelta del repertorio? Esattamente quello che il sovrinten-
dente Giandomenico Vaccari ha fatto, proponendo un titolo
come «Salome», un’opera del 1905 che per primo Mahler
considerò geniale, uno dei maggiori capolavori del nostro
tempo. Sull’estetismo decadente del dramma di Oscar Wilde
intriso di fosche suggestioni dall’indiscutibile carica di teatralità – bisogna rammentarlo – il musicista bavarese aveva
scatenato poderose ondate di suoni, divampanti esplosioni
di virtuosismo strumentale insieme con luminosi squarci di
delicato lirismo.
Una partitura, la «Salome», che vive nella violenza e nel
parossismo del poderoso sinfonismo straussiano, nella ricchezza melodica e lussureggiante, nell’intensità e nelle sfumature delle tinte, nell’abbagliante vivacità dei ritmi. Ma so-
Franco Chieco
(continua a pag. 2)
CONTRAPPUNTI
pag. 2 / Aprile 2011
Dalla prima pagina
I guardoni, Sgarbi li prese
tutti per i fondelli
prattutto «Salome» è un’opera teatrale, dalle caratteristiche chiaramente
distinte rispetto ai grandi poemi sinfonici perché dinamica e sviluppo degli
eventi ovvero tensione e acceso realismo sono perfettamente fusi nella musica e nell’azione del testo straussiano.
E a coglierne il senso è la lettura del
maestro Ralf Weikert artefice di un’esecuzione musicale convincente, frutto
di una solida specifica esperienza puntualmente trasmessa all’orchestra del
Petruzzelli, una formazione ovviamente alla ricerca di un’identità. Parimenti adeguato si è mostrato il numeroso cast vocale a cominciare dalla protagonista, Erika Sunnegärdh impeccabile nel rendere con lucidità la densità
della scrittura e la ricca gamma dei colori. Altrettanto dicasi del possente
Jokanaan di Samuel Youn e dell’incisivo Erode di Scott Macallister, di buon
livello gli altri, Katja Lytting (Erodiade), Eric Fennel (Narraboth), Stefanie Iranyi, Aldo Orsolini, Alexander
Kaimbacher, Antonio Feltrocco, Michele D’Abundo, Carlo Di Cristoforo,
Aleksey Yakymov, Rogelio Marin,
Paolo Battaglia, Marco De Carolis.
J
Ma si può togliere la teatralità alla
«Salome»? Una bella responsabilità,
eppure si è voluto a tutti i costi reclamizzare (brutta parola, certo) l’evento,
affidando la regia ad un «personaggio»
famoso, tanto che i cronisti – che raramente s’intendono di musica – ci hanno
sguazzato alla vigilia fino a toccare il
ridicolo. Che cosa, del resto, potevano
capire, se han confuso la tragedia con
una farsa, sol perché lo stravagante
Sgarbi aveva annunciato di immaginare nel personaggio di Salomè la Ruby
Rubacuori di Arcore e in quello di
Erode addirittura il libertino Silvio, al
secolo Berlusconi detto il Cavaliere?
Addirittura, l’incontenibile Michele
Emiliano (sindaco di Bari e perciò presidente della fondazione), incapace di
tenere la bocca chiusa, tutto eccitato
aveva esclamato «Ne vedremo delle
belle…». Si era capito, insomma, che il
nostro Strauss (Richard, non Johann
quello del «Danubio blu») sarebbe finito in politica, e in quale politica. Poi
queste trovate si sono rivelate (non era
difficile prevederlo) una beffarda presa
per i fondelli a scorno soprattutto dei
politici di bocca buona (ce ne sono, ce
ne sono). Gli oggetti del desiderio, sul
palcoscenico, non si son visti. Non è
mancato lo spettacolo perché Franca
Squarciapino ha disegnato costumi
orientaleggianti bellissimi, mentre alla
fantasia di Ezio Frigerio si deve l’allestimento, apparentemente tradizionale,
riproducente gli interni in stile moresco del castello di Sammezzano (Toscana), il tutto rielaborato al computer
col supporto della tecnica digitale.
Manca invece quella che dev’essere
l’invenzione dell’uomo di teatro. A soffrirne è soprattutto il personaggio Salome sminuito in quella tensione musicale laddove seduzione, erotismo si disperdono nell’isterismo di avulsi e geometrici movimenti ritmici come nella
scena più famosa e avvincente, la danza
dei sette veli. Proprio qui lo scatenamento musicale terrificante, sconcertante fino alla dolcissima melodia conclusiva, svanisce inopinatamente, sostituito da una fredda quanto gratuita
esibizione coreografica di gruppo: invece è questo il momento culminante
della tragedia, son quei «gesti» di irrefrenabile lussuria (scritti in partitura)
che fanno impazzire Erode.
J
Dunque, in scena niente Ruby la maliarda, niente Berlusconi il puttaniere.
Mi pare di aver capito che il pubblico
pagante non si sia sentito assolutamente defraudato. Ci saranno rimasti
male quei porcelloni di impenitenti
guardoni ai quali tuttavia Sgarbi, gran
mandrillo ancorché furbacchione,
grato per la sontuosa ospitalità ricevuta, uno sgarbo non gli ha fatto mancare quando alla fine dell’opera ha portato alla ribalta una figurante che impersonava un personaggio estraneo all’opera ma abbastanza importante:
aveva una parrucca fulva e indossava
una toga, somigliava del tutto ad un
magistrato di Milano dalla fama terribile, Ilda Boccassini.
Una grave, vergogonosa provocazione, hanno tuonato da sinistra. Qualcuno ha fischiato. Se dobbiamo rendere
a Cesare quel che è di Cesare, resta però
il quesito: erano fischi di sinistra o di
destra? Gli uni indignati per il …vilipendio delle istituzioni, gli altri per solidarietà …ai perseguitati da taluni magistrati. Troviamo, eccola, la chiave di
lettura sui giornali indipendenti quantunque scrupolosamente «orientati».
Ma a questi, evidentemente, interessava lo scoop sulla scena non già la musica di Strauss. Premeva vedere Ruby
la maliarda magari accovacciata in
grembo al puttaniere Berlusconi. E c’erano andati, a teatro, per «vederne delle
belle» senza nemmeno sapere che il Richard Strauss autore di «Salome» non
era quello del «Danublio blu» e nemmeno amico o sodale dell’autore del
«Paese dei campanelli».
E tutto perché, mentre ci ostiniamo a
credere nella assoluta necessità di «riformare» il pubblico, è sempre più evidente che il benedetto Petruzzelli, più
che per le esigenze di una Musica castigata e mortificata per ben diciotto
anni, sia stato ricostruito – fosse pubblico o privato, quisquilie – per gli usi,
nobili o meno, dei detentori del potere.
Dunque, è proprio inevitabile che a
decidere delle sorti del nostro teatro sia
la politica, soprattutto quella dei guitti?
A chi dobbiamo chiederlo? Temo che
qualcuno, annuendo, sia pronto a rispondere: «Ebbene sì… oportet…».
Buona notte.
Franco Chieco
MENSILE DELL’ASSOCIAZIONE «POLTRONA AGGIUNTA»
FRANCO CHIECO
direttore responsabile
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La Rassegna «Giustizia a Teatro»
Per il ciclo della rassegna «Giustizia a
Teatro» organizzata dalla Fondazione
Pertruzzelli e dalla Procura della Repubblica di Bari il prossimo 11 aprile
sarà giudicato il personaggio Lucrezia
Borgia. Nei panni dell’affascinante misteriosa castellana rinascimentale apparirà l’on. Gabriella Carlucci, attualmente
sindaco di Margherita di Savoia.
CONTRAPPUNTI
pag. 3 / Aprile 2011
Da Webern a Darmstadt, le perplessità di un famoso fisico teorico
Il 900 della musica, questo sconosciuto
Le idee «adiabatiche»? Forse Igor aveva ragione
Sorprende non poco rilevare come
ancora tra il 2009 e i primi mesi di quest’anno, il ‘900 della musica sia stato
messo sotto la lente di ingrandimento
della storiografìa (americana), ma anche della divulgazione di qualità (europea) che si sono affiancati allo scopo
di chiarire taluni aspetti del Secolo
Breve sub specie musicale. Nei fatti, alcuni testi e saggi e articoli che qui di
seguito analizzeremo «a volo di uccello» hanno cercato di rilanciare una
questione non di poco conto, in quanto
il giro di boa del XXI secolo è troppo
vicino perché non sia condannato a portarsi dietro l’onda lunga di una rivoluzione epocale che va sotto l’etichetta di
estetica della musica moderna.
Una di queste recenti riflessioni,
avanzata dal sottoscritto, storico della
musica che lavora alla università in facoltà umanistiche (Pierfranco Moliterni, Lessico musicale del ‘900, Pro-
gedit, Bari 2011) parte da una dichiarazione di principio che così recita: «La
musica che abbiamo appena lasciato
dietro di noi, quella del ‘900, è causa
di tutti gli sconvolgimenti stilistici con
cui essa si è accompagnata e dunque ci
chiede di essere capita, magari ricorrendo alla intermediazione delle discipline artistiche che le sono state contemporanee. È necessario quindi superare l’impasse di una non raccontabilità dei fenomeni musicali presenti nel
Secolo Breve […] restando consapevoli che il ‘900 è finito ma che l’ombra
lunga della sua storia in musica si allunga sino ad oltre la soglia degli anni
che stiamo vivendo. Dobbiamo subito
ricordare la quasi simultanea pubblicazione, avvenuta tra il 1910 e il 1912,
del Manuale di Armonia (Harmonielehre) di Schoenberg e de Lo spirituale
nell’arte di Kandisky. Due opere che
segnano una cesura nello scorrere
Suona il Quartetto Felix, immagini di Andrea Ceglie
Viaggio in punta di archetto
La sera dell’undici marzo duemilaundici, umida e fredda, in uno dei luoghi più
antichi della città, dove un tempo si celebravano riti di fede religiosa, si è celebrata
la liturgia della diversità e del contrappunto. Intendiamoci, voglio dire diversità in
arte. Dati i tempi meglio precisare. Contrappunto, che pur volendo dire: «linee melodiche indipendenti che si combinano secondo regole», in questo caso viene a significare: «combinazioni apparentemente indipendenti tra suoni e immagini, il tutto
atto a produrre poesia in leggerezza di cuore».
Comodamente seduti tra le sobrie architetture della Vallisa, abbiamo potuto godere di un breve delizioso viaggio in punta di archetto, guidati dalla professionalità,
da molti anni collaudata, del Quartetto Felix. Violini Marzia Mazzoccoli e Domenico Strada, viola Amanda Palombelli, al violoncello Massimo Mannaccio. Giusto
per mettere le cose in chiaro, riportiamo qui ciò che due Maestri hanno detto di questo Quartetto: «Ho avuto modo di apprezzare il rispetto e la coerenza della partitura, insieme alla fantasia e ricchezza di idee, e la ricerca di un suono compatto, attento all’unità di intenti», Carlo Maria Giulini. E ancora: «Sono quattro notevolissimi strumentisti, che lavorano insieme con coraggio e determinazione, ottenendo
buonissimi livelli. Io credo che il loro attaccamento al quartetto, li porta ad arricchire e soprattutto ad affermarsi nel mondo musicale», Piero Farulli.
Lentamente il miracolo ha coinvolto il pubblico fino a diventarne parte integrante
del concerto. Le note si depositavano sulle colonne e nel cuore degli spettatori.
Le immagini di Andrea Ceglie proiettate sulla pietra bianca hanno accompagnato in
un misurato sincretismo Mozart e Schubert passando per Saint-Saëns fino a Gershwin.
Una sosta troppo breve in una Parigi vestita di grigio Prevert, illuminata a tratti dalle
opere di Kiki de Saint Phalle ci ha fatto ricordare Chagall, che non si è mostrato al
pubblico. Ma, miracolo della musica, per meglio dire dell’arte, ci ha pensato il nostro
Domenico Modugno. Un «Volare» eseguito con un solo colore, il blu. Blu Chagall. Con
gli strumenti che sorridevano insieme ai musicisti si è conclusa la serata. Un viaggio
troppo breve per la verità. Se è possibile vorremmo, per il prossimo, prenotarci per un
viaggio un po’ più lungo, magari partendo dal Petruzzelli.
Michele Damiani
estetico tra secondo ‘800 e primo ’900
mediante l’abbandono dell’oggetto in
pittura e la dissoluzione della melodia
secondo le leggi del tonalismo. Da allora in poi la pittura andò verso l’astrazione e la musica verso l’atonalità,
mentre i materiali stessi delle due arti
venivano posti in reciproca relazione
mediante un fitto scambio di sinestesie
in cui alla dimensione del tempo (che
è propria della musica) accede la pittura, mentre e alla dimensione dello
spazio (che è propria della pittura) accede la musica».
Dunque, la parola d’ordine per scavare dentro l’in-comprensibile musicale novecentesco; la panacea per tutti
i mali delle astruserie modernistiche
sarebbe la sinestesia, ovvero la intermediazione, la compenetrazione, lo
scambio estetico tra i linguaggi, tra le
altre arti che con la musica novecentesca intrattengono fecondi «rapporti incestuosi». Tutto al fine di chiarire, spiegare, giustificare, avvalorare la felice
contiguità tra Stravinskij e Berio, Britten e Sciarrino, Battiato e Nyman…
Processo sinestetico a cui invece non
sembrano dar peso i due prestigiosi divulgatori che rispondono ai nomi di
Alessandro Baricco e di Umberto Eco.
Essi si chiedono se il divario tra musica d’arte (colta) novecentesca e prodotti «di consumo» (extracolti) sia mai
superabile, colmabile, causa la divaricazione, netta e senza appelli, tra l’una
e l’altra: «…vi è mai accaduto di visitare una mostra in cui accanto a Raffaello ci sia Pollock, e accanto a Gérome il pompier si mostri Basquiat?»
Evidentemente nonostante la separatezza assoluta tra arte impegnata e artigianato popolare. E dunque, copiare
piuttosto che creare è diventata la parola d’ordine della pittura di cartapesta
o della musica «facile facile» di chi ha
creato l’immaginario pacchiano e che
ha costituito l’humus della cultura popolare (di massa e delle masse): essa
sembra aver avuto la meglio sulla musica moderna sempre troppo difficile,
poco affascinante, drammatica, al limite della incomunicabilità assoluta tra
«chi ama Leoncavallo e chi non può
sopportare Schoenberg».
L’americano europeizzato (o se si
preferisce, l’europeo americanizzato)
che di nome fa Alex Ross, aveva per la
Pierfranco Moliterni
(continua a pag. 4)
CONTRAPPUNTI
pag. 4 / Aprile 2011
Dalla terza pagina
Il 900 della musica,
questo sconosciuto
verità aperto questa «provocazione novecentesca» scrivendo un librone di
ben 874 pagine, il cui titolo, azzeccatissimo, «Il resto è rumore. Ascoltando
il XX secolo» (Bompiani Overlook) si
sforza di spiegare con dovizia di particolari, incroci, argomentazioni, schematizzazioni, persino semplificazioni
divulgative, il nocciolo della questione: è poi tanto complicata la musica
del ‘900? Si potrebbero amare, nello
stesso tempo e da parte della stessa persona, Schoenberg e Bob Dylan, Boulez
e Philip Glass, Debussy e Brassens partendo dalla constatazione storico-psicologica che la musica tonale non è affatto tutto l’universo musicale possibile?
In effetti, anche Eco si e ci pone un
tale interrogativo: è vero che il nostro
cervello riconosce come naturale solamente la musica tonale? E allora, dobbiamo rassegnarci ad alzare bandiera e
darla definitivamente vinta alla musica
«di consumo», canzoni e canzonette in
testa… e buttare a mare, cancellare affatto dal repertorio della musica del
‘900 il Pierrot Lunaire quanto il Sacre,
Laborintus quanto Al gran sole carico
d’amore, The Rake’s Progress quanto
Ofanim?
Come si può ben intuire, è questa, nel
suo insieme, una questione epocale; è
il problema dei problemi della musica
d’oggi, quando oramai i fantasmi della
storia del Grande ‘900 si sono dileguati
per lasciare il posto, tutt’al più, alle circonvoluzioni sperimentali dei compositori fautori del cosiddetto materismo
sonoro; o alla finto-semplicità di quelli
postmoderni con alla testa i minimalisti e la loro musica avvolgente, incantatoria, anestetizzante. Forse è bene accettare ciò che suggerisce chi combatte, quotidianamente e da lustri dopo
lustri, con la ignoranza-indifferenza
dei giovani d’oggi, partendo dalla dura
ma oggettiva constatazione che «la musica d’arte del nostro tempo sembra
sprofondata in una nicchia solitaria e
appartata» e che quindi urge approntare nuove strategie dell’attenzione cominciando con il respingere le semplificazioni, le banalizzazioni, le approssimazioni degli ultimi arrivati.
Ad esempio, quelle propugnate da un
cervello appartenente ad un mero appassionato di musica, e di musica del
‘900, s’intende, come il fisico teorico
Andrea Frova che ha il pregio di saper
parlare con chiarezza e semplicità di una
cosa complicata come la termodinamica
(sic!). Il suo amore per la musica lo ha
spinto, nel saggio Armonia celeste e dodecafonia (BUR 2006), ad indagare la
molteplicità degli aspetti fisici presenti
nelle leggi che governano i principi musicali, cominciando dall’evoluzione
della musica classica e più in particolare
dell’armonia. Dalla musica della Grecia
antica sino al primo ventennio del ‘900,
tutto si può spiegare secondo la evoluzione dei principi di consonanza e dissonanza che governano le leggi naturali
e a cui da sempre la musica ha fatto riferimento.
Ma la faccenda si complica con l’arrivo di Schönberg-Berg-Webern – dice
Frova – i quali sviluppano un’idea
compositiva del tutto nuova, rivoluzionaria, soprattutto dal punto di vista dei
rapporti tra le note. E sin qui niente di
nuovo. Se non che la mano del fisico
teorico va giù pesante quando egli afferma che i tre viennesi iniziano a produrre composizioni con idee «adiabatiche». In termodinamica, una trasformazione adiabatica è una trasformazione nel corso della quale un sistema
fisico non scambia calore con l’ambiente esterno; quindi un sistema, come
quello dodecafonico, chiuso in se
stesso, in-capace di scambiare relazioni, e cioè autoreferenziale. Quindi
non-comprensibile dai più. E di qui nasce la ragione della sconfitta della musica moderna colta tout-court, da Webern a Darmstadt, su su… sino ai giorni
nostri.
Alla fin fine, la relativa semplificazione della questione posta da Frova
obbliga noi stessi a non trarre alcuna
conclusione, poiché nessuno la vuol
mettere sul piano dell’agonismo artistico-musicale: non ci sono gare, né
guerre epocali, né tanto meno vinti o
vincitori nel gran crogiuolo della musica del ‘900. Forse, aveva ancora una
volta ragione da vendere la mente del
grande Igor, l’apolide della musica,
quando scriveva che il compositore
della musica del ‘900 non può fare altro che segnalare agli altri, come dopo
un naufragio, «i rottami» della musica.
La musica, s’intende, tanto del passato
più o meno remoto, come del presente
più o meno futuribile.
Pierfranco Moliterni
Maria Grazia Pani a Taranto
Cavour e la musica
sulle ali di ... VERDI
Quando l’Orchestra della Magna
Grecia di Taranto, ha chiesto a Maria
Grazia Pani un concerto spettacolo sull’Unità d’Italia, la soprano barese, che
già in passato, con i suoi spettacoli
«Viva Verdi», «La Traviata allo specchio», «Otello il sinistro incanto» aveva
dedicato molta attenzione a Giuseppe
Verdi, ha ideato «Sulle ali di …
V.E.R.D.I», azione scenica di musica,
canto, prosa ispirata, in modo originale,
al rapporto tra il Conte di Cavour ed il
grande musicista del Risorgimento.
Su questo rapporto si sofferma anche
l’illustre storico e saggista, Luciano
Canfora, in una intervista rilasciata per
l’interessante Programma di sala dello
spettacolo. Spettacolo che debutta,
nella stagione dell’Orchestra della Magna Grecia, l’8 aprile in anteprima a
gioia del Colle ed il 10 a Taranto. Saranno eseguiti, nella tessitura musicale
della trama, brani famosi: «Ave Maria»
da «Otello» a «Pietà, rispetto, amore»
da «Macbeth», il Preludio della «Traviata», il duetto Violetta-Germont sempre da «Traviata». Quindi «Va pensiero» dal «Nabucco» e l’aria «Eri tu
che macchiavi» da «Un ballo in maschera». Ancora «Morrò, ma prima in
grazia» e «Alla vita che t’arride» sempre da «Un ballo in maschera», «Tu che
le vanità» da «Don Carlo», «Cortigiani
vil razza dannata» da «Rigoletto». Da
«Aida», «Ritorna vincitor» ed il duetto
«Rivedrai le foreste imbalsamate». Infine «La vergine degli angeli» da «La
forza del destino» e «Lacrymosa» dal
Requiem.
L’Orchestra della Magna Grecia sarà
diretta da Ettore Papadia, Soprano Maria Grazia Pani, Baritono Valentino Salvini, affermato baritono che debutta per
la prima volta in Puglia. L’attore che interpreta il Segretario-testimone del
Conte di Cavour sarà Ivan Dell’Edera.
Il Verdi anziano del 1876. Il giovane
Camillo Benso Conte di Cavour.
CONTRAPPUNTI
pag. 5 / Aprile 2011
Fra scetticismo ed emozione, autorevoli riscontri al progetto
Lo Stabile di prosa, sia il benvenuto
La lezione di Paolo Grassi
no agli sprechi, all’effimero
Abbiamo chiesto ad Egidio Pani, che vanta una lunga militanza di critico teatrale oltre che una stretta vicinanza con
personalità come Paolo Grassi, Carmelo Bene, Luca Ronconi, Roberto de Monticelli, Franco Quadri di
intervenire nel dibattito sul Teatro Stabile in Puglia.
A Martina Franca, con puntuale attenzione, è stato ricordato
Paolo Grassi, l’inventore dei Teatri Stabili in Italia, a trent’anni
dalla sua scomparsa, in un bel convegno organizzato dalla Fondazione Grassi ed introdotto da Franco Punzi che ha letto anche un
Egidio Pani e Paolo Grassi nel 1975 a Bari
messaggio del Presidente Napolitano. Il Presidente della Repubblica, con parole di alto segno morale, ha
sottolineato il ruolo svolto, nel più ampio
Vincenzo Di Mattia da Roma, la voce della «pugliesità»
spazio di tutta la cultura italiana oltre lo
spettacolo, di Paolo.
Infatti qual è la vera importanza dell’azione culturale del grande martinese (tale
Mi accingevo a scrivere per Vivaverdi, il bollettino della Siae, alcune riflessioni ormai lo riteniamo anche se nato a Milano
sulla «solitudine del drammaturgo. AUTORI senza scena», quando ho letto con da genitori di Martina)? Innanzitutto la sua
vivo interesse su ContrAppunti l’iniziativa per la costituzione del Teatro Stabile lezione etica e morale. Egli non era per gli
sprechi, per l’effimero e, pur tollerando aldi Bari, e anzi si sia a buon punto dal momento che si sta elaborando lo Statuto.
La «notizia» mi ha originato un duplice stato d’animo: scetticismo ed emo- cune eccedenze di un peraltro straordinazione. Le lunghe, travagliate gestazioni inesorabilmente portano a vivere questa rio artista, regista e divo, come Giorgio
schizofrenia: incredulità e fiducia. Al di là di personali reazioni emotive, ben Strehler, guidò con grande rigore la sua
venga questo parto: sarebbe un atto di vitalità in un tempo di «cancellazione delle creatura: il Piccolo Teatro di Milano.
E poi il suo legare, sempre , l’azione culidee».
Sono le idee che, nel contesto di una struttura drammaturgica, veicolano turale all’impegno civile. Indimenticabile,
dall’«hortus conclusus» della pagina i processi e i conflitti che mutano la società. ad esempio, è il periodo in cui fu Presidente
Dice il filosofo, pensare è dubitare, pertanto è il dubbio che pone in gioco le co- della Rai, in cui, sgomento dinnanzi alla
scienze nella specularità della scena. È questa la funzione del teatro. Così è (se realtà di una Rai burocratizzata e subpoliticizzata, cercò, nel momento di avvio della
vi pare) docet.
A un patto, a patto cioè che non si faccia voyeurismo museale, o manutenzione Terza Rete, di mutarne il destino, nel senso
e duplicazione dell’esistente. Sono anni che nei teatri, pubblici e privati, si rap- del decentramento (prima, molto prima del
presentano doppioni di Gemelli veneziani e Malati immaginari. Pigrizia intellet- leghismo!) e del rinnovamento. Invano, natuale, paura del nuovo, esperimenti di regie stravaganti che travisano e ridicoliz- turalmente!
Nel momento in cui a Bari ed in Puglia
zano testi consacrati, come quell’Amleto che recita l’essere non essere davanti
si apre (ancora?!?!) la questione Teatro Staall’orinatoio di Duchamp?
Via gli archivi, via le manipolazioni dei classici, come giustamente dice l’a- bile non è male ricordare come e perchè
mico Saponaro. Non si può delegare il repertorio nella formazione dei cartelloni. nacque il primo Stabile pubblico italiano,
garantito dai finanziamenti prima del CoS’è fatta strage di un paio di generazioni di Autori: spreco e dolore.
Ad ogni inizio di stagione la nostra curiosità va delusa: un Goldoni, uno sco- mune poi dello Stato. Fu l’avvio, nel magnosciuto londinese venduto dalle tenutrici dei diritti, un filmetto passato in salsa gio del 1947, nel mitico piccolo – verateatrale, una Traviata-escort tra finanza e poteri forti e, per scrupolo, un Liolà o mente piccolo! – Teatro di via Rovello, di
una rivoluzione nella organizzazione del
un Ultimo nastro di Krapp... e il gioco è fatto.
È tempo di usare la frusta nel tempio, è tempo di spalancare le finestre ed esporsi teatro italiano.
Ma non fu soltanto questo: fu soprattutto
a folate di vento fresco. Si rischia di disertare il teatro, come mi sta capitando a
una rivoluzione culturale! Perché il teatro
Roma, la capitale che perde sempre più attrattiva, e spinge ad eventuali ritorni.
Del resto, nonostante i molti anni che vivo a Roma (per oltre trenta ho curato, italiano trovava nuove ragioni di essere e
in Rai, i grandi sceneggiati: Dostoevskij, Mann, Dürrenmatt, Palazzeschi , di esistere: nuovi repertori, nuove tecniche
Stendhal, Silone, Brancati) la mia «pugliesità» la sento sempre più stimolante. di recitazione, invenzione del teatro di reDal mio primo romanzo, «La lunga guerra col pane», sulle occupazioni delle terre, gia – non come elucubrazione di uccellacci
vincitore del Premio Città di Bari, fino a «Petruzzelli», acre commedia sul de- solitari – ma come elaborazione di progetti,
grado morale, pubblicato da Levante Editori, nella raccolta «Su il sipario. Viag- perfino di vita.
Poi? Poi il teatro italiano, partito da Migio nella drammaturgia pugliese», a cura di Rino Bizzarro.
Ma questa è un’altra avventura, l’avvenimento del giorno è la nascita dello Sta- lano grazie al genio costruttivo di un meriEgidio Pani
bile di Bari. Che sia il benvenuto!
La solitudine del drammaturgo
Vincenzo Di Mattia
(continua a pag. 6)
CONTRAPPUNTI
pag. 6 / Aprile 2011
Teodosio Saluzzi spettatore a «Proscenio per due» di Rino Bizzarro
Commozione, il sipario del dopo-teatro
Botta e risposta con simpatia fra gente del mestiere
Nel mese di dicembre 2010, la Compagnia Puglia Teatro
è stata impegnata al Teatro Duse di Bari nella rappresentazione dello spettacolo «Proscenio per due: “Volevo fare
la ballerina” e Dovevo fare il tenore”», due atti di Rino Bizzarro. Ad una delle rappresentazioni c’era fra il pubblico
il commediografo Teodosio Saluzzi, che alla fine dello spettacolo venne a salutare gli attori in camerino, portando con
sé la testimonianza di una commozione che io non avevo
mai visto prima di allora fra la gente di teatro. Una partecipazione, una condivisione, una commozione vera, autentica, sincera, irrefrenabile, che ai miei occhi aprì un «sipario» nuovo e diverso per un nuovo e diverso modo di concepire i rapporti fra autori ed uomini di teatro. Da quell’episodio io sono uscito diverso, non ho difficoltà a confessarlo, e non solo io. Ne è nato un simpatico «Botta e Risposta». (R. B.)
Caro Teo, quando venisti a salutarmi, alla fine dello spettacolo
«Proscenio per due», secondo una tradizione teatrale che tutti noi
continuiamo a rispettare e che sappiamo fa sempre molto piacere a
chi ha appena finito il suo lavoro in palcoscenico, mi portasti in dono
la tua sincera commozione, che per un attimo trasmettesti anche a
me. commozione che molto raramente viene espressa fra uomini di
teatro, solitamente un po’cinici, chiusi alla manifestazione delle proprie emozioni più profonde. Vedere quella commozione così autentica sul tuo volto fu per me una folgorante rivelazione. «Ma
guarda!...», pensai,… «questo è davvero il dono più grande e prezioso che potevo ricevere per il mio lavoro! Altro che i soldi, che
vanno e vengono!... Altro che gli articoli del giornale, che lasciano
il tempo che trovano e che servono solo per vanagloria personale…!»
Caro Teo, mi facesti toccare con mano le cose che contano davvero, e questo non accade tanto di frequente; ti devo ringraziare
per questo; la tua commozione così esplicita, sincera, innocente, ti
fa onore ed ai miei occhi fa di te un poeta, quale sei davvero. Mi
dicesti persino: «…questa è arte!...», lasciandomi letteralmente
senza più parole. Io non so davvero se ci sia un po’ di arte in quel
mio spettacolo, ma sentirlo dire da te non può che riempirmi di orgoglio. Tu sai poi che quando un autore scrive qualcosa, sia essa
poesia, o narrativa, o teatro, come noi, ci mette dentro tanti messaggi, tanti concetti; il lavoro, come si diceva nel sessantotto, «è
fruibile a diversi livelli»; ci mettiamo dentro messaggi espliciti, altri più nascosti da metafore o allegorie, altri ancora più subliminali, chi li coglie li coglie, altre cose ancora le mettiamo solo per
noi, sicuri che saranno in pochissimi a coglierle, eventualmente.
Ed infatti il pubblico poi, secondo la sensibilità che gli è propria
e secondo la sensibilità di ciascuno spettatore, prende quello che
vuole e può; c’è chi si ferma alle cose più esteriori, chi vuol solo
sorridere e ridere, chi è capace di impegnarsi di più e coglie il messaggio che è più in profondità; c’è poi chi è persino in grado di cogliere tutto quello che l’autore ha voluto esprimere, cosa estremamente più rara però. Tu hai colto proprio tutto quello che avevo
voluto esprimere nei miei due atti; sicché per un attimo le tue corde
emozionali hanno vibrato delle stesse emozioni che io avevo affidato allo scritto prima ed alla realizzazione teatrale poi. Perciò è
scattata la scintilla di quella commozione così rara ed irripetibile.
Ti sono grato per tutto questo.
Caro Rino, in una tua nota parli del tuo spettacolo «Proscenio per due» ed evidenzi che in esso la «Pugliesità» e la «Meridionalità» in senso più lato, si fanno largo e dicono la loro in
un panorama teatrale che li vede non più sudditi ma partecipi
con tanta dignità. Caro Rino, con l’affetto che ti ho sempre dimostrato e con la stima che ho per te, ti dico che quella tua
nota è estremamente riduttiva. Ma quale «Pugliesità», ma quale
«Meridionalità»?
I tuoi due atti unici sono di una bellezza struggente perché
toccano l’anima dell’uomo, l’essenza dell’uomo, dell’uomo
come facente parte di questo pianeta, dell’uomo destinato ad
eterno rimpianto proprio perché «uomo».
Volevo fare la ballerina, volevo fare il calciatore, volevo fare
il medico, volevo fare il sacerdote, volevo fare l’esploratore e
non è stato così perché... che importanza hanno i perché? Il
perché vero, autentico è solo questo: perché siamo uomini e
siamo destinati, forse per disegno sovrumano, non all’appagamento ma al rimpianto e dimentichiamo le cose che comunque abbiamo fatto.
Se l’avessi fatta la ballerina, avrei voluto essere come Carla
Fracci; se l’avessi fatto il calciatore avrei voluto essere come
Maradona; se l’avessi fatto... avrei voluto essere come... ed è
l’eterno ritornello! Se... se... se... Ma tutto questo, paradossalmente, è meraviglioso caro Rino: è proprio l’essenza dell’uomo
non un suo difetto. Siamo fatti così e vederci rappresentati sulla
scena in maniera così autentica, commuove non fa ridere.
Sei un grande, Rino, proprio perché con questi tuoi due atti
unici, hai fotografato non la realtà ma l’anima, l’essenza dell’uomo ed hai dato corpo e vita a quel «rimpianto» che chi non
ha visto il tuo lavoro continua a pensare sia una cosa «astratta».
Un altro grande ha affrontato nei suoi lavori il tema del «rimpianto». Fra tutti, ricordo molto bene l’atto unico «Gennareniello». Alla fine della messa in scena la battuta «...papà ti piaceva la signorina...?» nel chiudere l’atto unico, evidenzia la
grandezza di Eduardo che fa del rimpianto la malinconica
amica di tutta la sua vita.
I sogni muoiono all’alba; la speranza come diceva Turandot, ogni notte nasce ed ogni giorno muore; soltanto i rimpianti non muoiono mai. Si acquietano soltanto quando si
acquieta, con il sonno eterno, chi con essi è pensoso compagno.
Ti abbraccio.
dionale, Paolo Grassi, si risollevò grazie anche ai finanziamenti
che cominciarono ad aumentare prima dal Ministero e poi, in maniera sempre più consistente, delle Regioni. Eppure non esiste una,
dico una indagine che abbia accertato la massa monetaria investita
dal 1970 in poi nei settori culturali dagli Enti pubblici (Stato, Regioni, Enti Locali, Enti diversi) e la sua finalizzazione. E quello
spirito fu tradito, il Ministero non riuscì a creare ordinamento e
coordinamento e il teatro è divenuto un istrumentum Regni.
Oggi è difficile operare, unire mentre sarebbe necessario coordinare energie ma soprattutto avere una idea di cultura, oltre quella
di come chiedere nuovi finanziamenti. Altro che tagli sui fondi
della cultura il futuro ( dopo il Giappone e la Libia,) ci riserva! Ed
i settori deboli, come quelli culturali, di più, inevitabilmente ne risentiranno ma perché la cattiva politica (senza idee, né progetto)
ha creato il cattivo, cattivissimo teatro! Anche un po’imbroglione!
Teodosio Saluzzi
Egidio Pani
Rino Bizzarro
Dalla quinta pagina
La lezione di Paolo Grassi no agli sprechi, all’effimero
CONTRAPPUNTI
pag. 7 / Aprile 2011
Volti e storie dei protagonisti nelle proiezioni multimediali di Gianni Cataldi
Nel gioco del jazz vince il coraggio
Una rassegna che sa mescolare tutti i generi musicali
Continua (fino al 13 maggio, con ca- proprio in una città che, al riguardo, è sassofonista Francesco Bearzatti in ocdenza mensile), sul palcoscenico del- sempre piuttosto distratta: poche e rare casione del Malcom X Suite, un concept
l’Auditorium Vallisa di Bari, la stagione le mostre espositive, non parliamo poi album del sassofonista dedicato al leadei concerti, denominata «Nel gioco del di una casa della fotografia…
der afroamericano.
jazz», organizzata per il secondo anno
In un programma assai ricco e varieLe immagini selezionate sono di pardall’omonima associazione. La specifi- gato, ha fatto piacevole eccezione il ticolare impatto visivo, e via via ci accità dell’iniziativa sta nella mescolanza concerto intitolato Musica dentro te- compagnano in un viaggio nella mudei generi musicali. Non a caso nel- nuto nell’hotel Sheraton con il trom- sica, reso ancor più stimolante da un’
l’ambito della rassegna troviamo Fuo- bettista Paolo Fresu che ha incontrato i impaginazione originale curata dall’erigioco, una sezione classica affidata al talenti locali che compongono L’Apu- sperto audiovisual Michele Falcone,
pianoforte di Pietro Laera che, già nel- lian Pocket Orchestra (Fabio Accardi, che in un bianco e nero molto efficace,
l’anteprima (18 novembre scorso) ha Mirko Signorile, Giorgio Vendola, Al- esalta i giochi di luce e ombra, che riaffiancato il sassofonista Roberto Otta- berto Parmigiani, Andrea Sabatino, creano l’atmosfera coinvolgente dei
viano, infaticabile direttore artistico Giuseppe Doronzo, Vincenzo Presta, concerti. Dal video apprendiamo del
della manifestazione, che per l’occa- Abbracciante, Gaetano Partipilo, Raf- grande amore di Cataldi per il jazz, «il
sione si sono confrontati con le musi- faele Casarano, diretti dal M. Luigi mio genere musicale preferito», racche di Handel, Grieg, Fauré, Bizet, Ra- Giannatempo). Il concerto è stato pre- contato «attraverso un percorso artivel, Weill e Sakamoto. Ad arricchire ceduto dalla proiezione multimediale stico, un mondo, una ricerca volta a cerquesta sezione, nei mesi scorsi hanno Puglia in jazz (da Paolo Fresu a Mal- care in Puglia, presenze, spazi, dove la
suonato il pianista Piero Di Egidio e la com X) a cura di Gianni Cataldi.
musica esprime tutta la sua ricflautista Francesca Salvemini, ai quali
La proiezione, che per i suoi 18 mi- chezza…Così inseguire i musicisti nel
si aggiungeranno i concerti delle piani- nuti di durata si avvale di una ottima so- jazz club, piazzi, teatri, castelli, chiese
ste Gemma Dibattista e Marilena Liso norizzazione, è servita soprattutto agli e cattedrali della Puglia, mi ha permesso
con il Tributo a Gershwin & Ravel e del- spettatori per passare in rassegna i volti di raccogliere le loro storie, le emol’Ensemble di violoncelli in OranCelli e le storie di alcuni protagonisti del jazz zioni, le sperimentazioni di improvvidi Giuseppe Carabellese.
nazionale ed internazionale, filtrati dal- satori radicali e raccontarle attraverso
Dopo il concerto di Cristina Pal- l’obiettivo dell’ormai affermato foto- le immagini, creando, altresì, una sorta
miotta (Nubigena, progetto musicale grafo barese, che «ha la dote di riuscire di dialogo tra i ritmi del cuore e la belsulla tradizione etnica) e le musiche go- a unire una cristallina tecnica fotogra- lezza dei luoghi». Di questi ultimi, rispel di Katie Graham nel Tributo a fica a una competenza musicale, ani- cordiamo le location riguardanti la
Mahalia Jackson, va ricordato il lavoro mata da una indiscutibile passione per prima edizione di «Nel gioco del jazz»
per i più piccoli di Lina Manosperta (I un genere musicale che è anche una cul- e il Festival Bari in jazz, e poi Barletta
ladri delle favole), omaggio alle musi- tura e uno stile di vita». Il sottotitolo (da jazz, Le voci dell’anima, Time Zones,
che disneyane, a marzo è stata la volta Paolo Fresu a Malcom X) accosta vo- Talos di Ruvo, teatro Forma, Monopoli,
dell’interessante progetto Admir lutamente il nome di uno dei migliori Locus Fest di Locorotondo, AlberoShkurtaj Trio che fonde jazz, musica jazzisti italiani a una figura epocale bello, Jazz ed Altro di Bari e Andria
contemporanea e tradizione balcanica. nella lotta per i diritti del popolo di co- jazz.
A maggio sarà il nuovo progetto Apo- lore, che proprio nel jazz ha trovato una
Per la cronaca, le immagini (tutte icageo del grande contrabbassista Gio- delle sue più importanti forme d’e- sticamente suggestive) riguardano Envanni Tommaso, accompagnato da spressione. L’indubbia capacità tecnica rico Rava, Paolo Fresu, Enrico PieranClaudio Filippini, Daniele Scanna- di Gianni Cataldi esalta la numerosa nunzi, Fabrizio Bosso, Bili Frisell, Keith
pieco, Bebo Ferra e Anthony Pinciotti, raccolta di volti dei musicisti nostrani e Tippett, Evan Parker, Gianluigi Trovesi,
a chiudere gli appuntamenti di questa di altre eccellenze col risultato di resti- Cristina Zavallone, Michel Portal, Galedizione che sta riscuotendo grande tuirci un racconto ben articolato, che liano, Godard, Jan Garbarek, Gianluca
successo di pubblico e critica.
inizia dalla fine degli anni Novanta, Petrella, Livio Minafra, Francesco BearScarsamente sostenuta da enti e isti- fino ai nostri giorni, all’incontro con il zotti, Nicola Conte, Fabio Accardi,
tuzioni, solitamente prodiVince Abbracciante, Pietro
ghi per le più vacue (e inuLeveratto, Ornette Coleman,
tili) manifestazioni, l’AssoRoberto Gatto, James Carter,
ciazione Nel Gioco del Jazz
Sarah Jane Morris, Pino Miha continuato nella coragnafra, Roberto Ottaviano,
giosa intrapresa di presenPaola Arnesano, Vincenzo
tare al pubblico degli appasMazzone, Al McDowell,
sionati un’offerta culturale
Gianmaria Testa, Cecil Taydi grande caratura artistica
lor, Giovanni Tommaso…
ANCA
OPOLARE
che può usufruire di un proUn piccolo empireo del congetto ben pensato e meglio
temporaneo jazz nazionale ed
DI UGLIA E ASILICATA
attuato (per giunta, in un
internazionale.
Alfonso Marrese
luogo non istituzionale),
B
P
P
B
CONTRAPPUNTI
pag. 8 / Aprile 2011
Nella Settimana Santa lo «Stabat» di Pergolesi e una Messa di Marcello Panni
L’Orchestra di Lecce, tutto Beethoven
Interpreti di prestigio per le sinfonie e i concerti per pianoforte e violino
Annunciata sul filo di lana, ha preso il via ed è in corso
di svolgimento la Stagione Sinfonica di Primavera dell’Orchestra della Fondazione «Tito Schipa» di Lecce, con
la direzione artistica e principale di Marcello Panni. Il cartellone è caratterizzato dall’integrale delle Sinfonie di
Beethoven, tuttavia programmate in ordine vario, tanto
che il concerto inaugurale ha visto l’esecuzione della
creazione estrema e testamentaria del genio di Bonn, ovvero la Nona Sinfonia. Particolare anche l’accostamento
proposto: nella seconda parte del concerto è stato infatti
eseguito in prima leccese Un sopravvissuto di Varsavia di
Schönberg (nella traduzione italiana di Fedele D’Amico
dall’originale in inglese), come a dire il più alto monumento alla speranza di fratellanza e solidarietà tra gli uomini accostato alla più disperata e terribile testimonianza
della barbarie e fine dell’ umanità.
La programmazione dei concerti, tuttavia, non insegue
un’idea unitaria: fermo restando il fil rouge della presenza
beethoveniana – peraltro non limitata alle sole Sinfonie
ma comprendente anche i primi tre Concerti per pianoforte e quello per violino – non ci sono altre corrispondenze o particolari rimandi tematici e repertoriali, lasciando così la configurazione dei singoli concerti libera
di spaziare alla ricerca di pagine significative e nuove per
l’orchestra leccese. Si segnalano così le proposte della
Sinfonia n. 2 di Aleksandr Borodin, della Burleske di Richard Strauss e del Concerto per clarinetto di Aaron Copland, il cui ruolo solista è affidato all’affermato Giampiero Sobrino.
Proprio nel campo degli interpreti troviamo nomi di assoluto e ormai «storico» valore, quali Salvatore Accardo,
Alexander Lonquich e Boris Petrushansky, i primi due impegnati nella doppia veste di direttore e solista. Il grande
violinista italiano interpreta, naturalmente, il celeberrimo
Concerto in re magg., in una serata tutta beethoveniana
che prevede anche la Quarta Sinfonia e l’Ouverture Leonora; il famoso pianista tedesco esegue invece le Variazioni sinfoniche di César Franck e dirige la Seconda di
Beethoven e Burleske di Strauss, mentre alla maestria di
Petrushansky è affidato il Primo KlavierKonzert, in una
serata ancora tutta beethoveniana (anche l’Ouverture La
consacrazione della casa e l’Ottava) diretta dall’inglese
Jan Latham Koenig, altro nome di prestigio. Ma anche di
grande rilievo la presenza di Lilya Zilberstein, che ha eseguito il Terzo Concerto, e in genere tutto il prospetto degli artisti si mostra affidabile: i direttori Oleg Caetani,
Günter Neuhold, Alfonso Scarano, e ancora i solisti Susanna Stefani Caetani (nel «Jeunehomme» di Mozart), Vittorio Ceccanti (Concerto per violoncello e orchestra di
Dvorák), mentre, a chiusura della rassegna e nel Secondo
Concerto di Beethoven, debutta con l’Orchestra della Fondazione la giovane pianista leccese Beatrice Rana.
Al direttore artistico-musicale sono affidate quattro
delle dieci produzioni, compresa quella fuori abbonamento e gratuita del Concerto Spirituale per la Settimana
Santa, che prevede l’esecuzione dello Stabat Mater di Pergolesi e della Missa brevis per coro di voci bianche, tenore, fiati e percussioni (prima esecuzione a Lecce) dello
stesso Marcello Panni.
Antonio Farì
Docente ad una master class
Mirella Freni torna a Bari
e ricorda «i bei momenti»
«La preghiera nell’opera» è stato il tema della Master Class
tenutasi in febbraio a Bari con la partecipazione straordinaria
di Mirella Freni, una delle figure artistiche più rappresentative
del teatro d’opera mondiale, accompagnata dai giovani cantanti dell’Accademia di Alto Perfezionamento di canto lirico
di Modena. L’evento è stato organizzato dalla Fondazione
Frammenti di Luce in collaborazione con la Fondazione Nicolai Ghiaurov, il CUBEC e la Pontificia Basilica di San Nicola di Bari. La Fondazione Frammenti di Luce è impegnata
ormai da diversi anni nel territorio barese e nazionale in un
progetto di formazione e promozione del valore della Bellezza
come processo educativo e formativo, attraverso le molteplici
forme dell’Arte. In sostanza la Fondazione, animata da tre fervidi operatori religiosi e musicali, Don Maurizio Leggi, Suor
Cristina Alfano e Don Mario Castellano, propone una coinvolgente e profonda esperienza artistico spirituale volta a far
incontrare la vita di fede con l’esperienza artistica. Il progetto
è rivolto alla comunità ecclesiale, in tutti i suoi ambiti, ma in
maniera particolare si apre al mondo giovanile, accogliendo
l’invito dello stesso Pontificio Consiglio della Cultura ad «impegnarsi a educare i giovani alla bellezza». In tal ottica, è precipuo obiettivo di Frammenti di Luce con i propri spettacoli
fornire un messaggio artistico e morale alla sensibilità dei giovani e suggerire con la forza delle immagini, delle parole e
della musica una via verso una maturità cristiana più completa.
In piena sintonia con tali intendimenti, la Fondazione ha organizzato una settimana di studio articolata in diversi momenti
che citiamo tutti per il loro indubbio interesse: dal 21 al 23 febbraio una Master Class di canto lirico tenuta da Mirella Freni
presso la Sala del Catapano, all’interno della Basilica di San
Nicola. Il 24 febbraio al teatro Piccinni si è svolta, a ingresso
Francesco Scoditti
(continua a pag. 14)
CONTRAPPUNTI
pag. 9 / Aprile 2011
Libri & Recensioni
PIU’ FORTI DELLA NON SPERANZA
Quasi una autobiografia in versi di Michele Campione
Raccolte in un volume le poesie dal 1948 al 2003, intenso omaggio alla memoria del giornalista-scrittore. Arricchiscono le pagine i delicati acquerelli di Michele Damiani e la «voce» di Vito Signorile (in un CD). Daniele Giancane e la
letteratura per l’infanzia: da Levante uno strumento di piacevole consultazione
La foto lo ritrae assorto, quasi nascosto dalla nuvola di fumo ganizzazione sono destinati i proventi della vendita del libro).
della pipa, con l’aria di chi attende l’ispirazione per una nuova C’è anche un corposo intervento critico di Raffaele Nigro che depoesia. E intanto nei suoi pensieri ci sono sempre Cettina e i ra- finisce questa raccolta di poesie una sorta di autobiografia in versi
gazzi. È giovane, in quella foto. Ed è giusto così. Michele Cam- o colloca il lavoro creativo di Michele nella storia culturale del
pione, da buon poeta, era rimaSud, ricordando fra l’altro i suoi
sto giovane dentro pur avvertesti di narrativa e gli scritti teatendo problemi epocali, drammi
trali. Vivido l’intervento di Vito
e tensioni sociali. È il doppio biSignorile, alla cui consumata
nario di chi, pur sfrenando la fanabilità di fine dicitore è legato il
tasia, non può non tener conto
piacere di ascoltare le poesie racdella realtà. Nel caso di Camcolte in un CD che fa parte intepione, poi, c’era di mezzo il megrante del volume.
stiere, la professione di giornaCommovente «A papà, padre
lista: sempre vissuta in primo
poeta» scritto da Alessandra
piano, anche quando aveva la reCampione che giustamente sotsponsabilità di un agguerrito
tolinea l’impegno della famiglia
team di colleghi Rai.
a non disperdere il patrimonio
Queste riflessioni sono ingenerosamente investito da Midotte dalla lettura di «Più forti
chele.
della non speranza», poesie dal
La lettura si apre dunque alla
1948 al 2003. È una raffinata
poesia: un mondo ricco,
edizione Gelsorosso, impreziocom’era ricca di stimoli e calore
sita da delicati acquerelli di Miumano la sua vita. Non c’è anchele Damiani che al vecchio
golo lasciato in ombra. Panoamico – sodale di tante battaglie
rami solenni e maestosi, il vocìo
– ha dedicato anche intense padelle piazze affollate. La Bari di
gine di ricordi e annotazioni poeSan Nicola, odalisca pigra. Le
tiche.
pietre, la storia, la memoria. Le
Al contributo di Damiani si afantiche radici. E il mare, con i
fianca in apertura del volume la
suoi venti; le sue vele, e il potestimonianza di Francesco
polo delle barche.
Schittulli, qui nella sua veste di
E poi – con variazioni ora iroAntonnio Rossano
presidente della Lega italiana
Uno degli acquerelli di Michele Damiani
(continua a pag. 10)
per la lotta ai tumori (alla cui or-
Un saggio di Alessandro Mormile sulle mitiche voci dei castrati
Controtenori, la rinascita dei nuovi angeli dell’opera buffa
Alessandro Mormile rappresenta per
i cultori della musica barocca e di tutto
ciò che ruota intorno ad essa, uno degli studiosi italiani più attenti nella capacità di restituire i codici stilistici e
interpretativi legati, attraverso i suoi
interpreti, alla prassi esecutiva dell’opera barocca, che ne ha fatto un autentico cultore. Partendo dagli inevitabili
riferimenti storici degli «evirati cantori», i cosiddetti castrati (non si dimentichi che la Puglia ha dato i natali
all’andriese Carlo Broschi alias Fari-
nelli e al martinese Giuseppe Aprile),
il critico musicale piemontese ha
messo insieme una tale mole di informazioni tecniche, stilistiche, espressive da scrivere un interessante volume
dal titolo «Controtenori – La rinascita
dei “nuovi angeli” nella prassi esecutiva dell’opera barocca», pubblicato
dall’editore Zecchini di Varese, unico
nel suo genere il cui universo ruota attorno alla figura moderna del «controtenore» termine entrato di prepotenza
nel linguaggio dell’appassionato me-
dio contemporaneo a seguito del massiccio impiego, nelle moderne esecuzioni delle opere barocche, sempre più
apprezzati dal pubblico.
Mormile attraverso l’uso di una
prosa altamente comunicativa è riuscito ad analizzare le ragioni che
hanno portato alla valorizzazione di
un registro vocale maschile così particolare, collocabile fra la più acuta
del soprano e quella del «tenor», al
Dino Foresio
(continua a pag. 10)
CONTRAPPUNTI
pag. 10 / Aprile 2011
Al Collegium Musicum una interessante novità di Alain Margoni
La voce della musica, un poemetto
I versi di Giovanni Dotoli ispirano un compositore francese
«….Ma è veramente necessario catalogare l’inafferrabile?». Con questa frase ad effetto che racchiude, nell’interrogazione, tutta la angosciante chimera della musica contemporanea, si apriva il concerto del Collegium
Musicum al teatro Kursaal di Bari che ri-passava (passava
nuovamente), storicamente, alcuni snodi della musica, appunto, del nostro tempo.
Certo, i bravi solisti e musicisti del complesso cameristico barese legati da un sodalizio lungo oramai sedici
anni, si cimentano e spesso con la musica del ‘900. Forse
spinti dal loro méntore-direttore, il maestro Rino Marrone, che da sempre sa coniugare antico e moderno, tradizione e avanguardia. Non dimentichiamo infatti che fu
proprio il maestro barese ad inaugurare la prima stagione
della cosiddetta êra-Pinto al Petruzzelli, allora teatro di
super-tradizione, con l’opera di Igor Stravinskij La carriera di un libertino (The Rake’s Progress) che è del 1951.
Un fatto memorabile per la Bari musicale che si perde
nella notte dei tempi, e che solo recentemente è stato rispolverato grazie ad una attenzione rinnovata nei confronti del Secolo Breve fatto musica finalmente paracadutato anche nella sala rinnovata del nuovo teatro.
Il programma del concerto bagnato da uno scatenato
Giove Pluvio locale vedeva infatti alcuni brani cameristici (o ridotti alle dimensioni di un ensemble) di Debussy,
Francais e soprattutto Alain Margoni: quest’ultimo un
musicista vivente, poliedrico, di cui si eseguiva, in prima
assoluta, un concerto per baritono, tromba, violoncello e
Dalla nona pagina
Più forti della non speranza
niche, ora dolenti – la famiglia, gli affetti
più cari: i raduni a Palese, gli inevitabili
addii ai figli che si emancipano, alle fanciulle che «vanno spose», all’amata Cettina cui dedica – fra l’altro – un divertito
acrostico.
Un libro più che godibile, intenso, corposo: meritato tributo all’impegno civile
di un collega esemplare.
J
I tempi sono maturi per ordinare cronologicamente autori, editori ed illustratori che in Puglia si sono dedicati alla letteratura per l’infanzia. Impresa comunque
non facile, nella quale Daniele Giancane
ha speso la sua specifica esperienza di docente universitario, chiamando a raccolta
altri studiosi e saggisti: Giuseppe Capozza, Maria Forina, Angela Giannelli,
Maria Pia Latorre, Cosimo Rodia, Caterina Rotondo, Francesco Spilotros e Francesco Urbano.
Il libro è edito da Levante che da anni
dedica un’intera sua collana ai racconti per
l’infanzia, cui si sono presto aggiunte
opere teatrali e saggi critici. Un volume di
piacevole consultazione, punto di riferimento per ulteriori ricerche.
Antonio Rossano
pianoforte, dal titolo Voix de la musique. Un poemetto di
nove strofe di quartine che della musica vuole rendere il
senso misterioso, sfumato, crepuscolare e che l’autore del
testo, il noto professore universitario Giovanni Dotoli, ha
scritto in lingua francese e poi tradotto in italiano. Secondo un percorso all’incontrario e non di poche difficoltà per chi, come il notissimo francesista nativo di Volturino ma barese d’adozione, pensa e scrive oramai più
nella lingua di Prévert che in quella di Caproni. Tanto per
intenderci. Musica dunque accattivante e destinata da
Margoni ad un mixage di antico e moderno, con incursioni nel serialismo ma con opportune punte tonali. Risultato dunque assai gradevole e ben in linea con lo stile
moderno, ermetico, dell’eloquio poetico del poeta-Dotoli.
Questa prima parte del programma si incastrava bellamente nella versione per 11 strumenti del famoso Preludio di un fauno di Claude Debussy che Schoenberg aveva
cemeristicamente ridotto all’epoca in cui, a Vienna, egli
organizzava le serate musicali della modernità insieme a
Berg e Webern.
Nulla da dire infine sulla verve ritmica del Dixtuor di
Jean Francais, lavoro del 1986 di un autore ancora poco
noto in Italia, ma che noi imparammo a conoscere (e a
suonare) tanti anni fa… nel mitico Conservatorio barese
diretto da Rota. Il quale, non a caso, spesso spigolava proprio nella musica francese di scuola raveliana. A tacer
d’altro! Successo vivissimo e meritato per tutti.
Controtenori, la rinascita
dei nuovi angeli dell’opera buffa
quale a conti fatti si deve riconoscere
la dignità che merita soprattutto rispetto a quelle tenorile e di bass-bariton, e il cui utilizzo si è andato imponendo, nel corso del Novecento, sia a
seguito dei repêchage del teatro musicale seicentesco e settecentesco (i
nostri compositori da Leo a Piccinni,
da Traetta a Paisiello hanno scritto pagine memorabili in tal senso), e dell’opera handeliana in particolare, sia
dell’utilizzazione in non pochi titoli
contemporanei.
Mormile considerando la figura, per
certi versi rivoluzionaria, rappresentata da René Jacobs, ha posto un punto
fermo su cosa ha rappresentato il cantante inglese e quale strada ha aperto
alle nuove generazioni di controtenori
in ambito nazionale e internazionale.
È proprio partendo da questo nuovo
corso che la voce di controtenore,
dopo essere uscita dall’esclusivo ambito delle musiche vocali rinascimentali, dalle cappelle e dalle cantorie
delle chiese, è riuscita ad imporsi sulle
scene operistiche, per mezzo di una
nuova consapevolezza interpretativa
e, soprattutto, perfezionando la tec-
Pierfranco Moliterni
nica al punto da oltrepassare i limiti
imposti all’utilizzo del falsetto. Un
canto, scrive lo stesso autore, in grado
di «concedere all’uomo adulto la possibilità di trasformare la virilità in innocente candore infantile […] o in una
prolungata e incerta adolescenza».
L’esistenza di diverse scuole vocali
portatrici di differenti approcci stilistici e culturali, ha contribuito ad offrire nuovi stimoli alle esecuzioni
(tutte verificate sul campo dell’autore) da qui tutta una serie di apparati
cronologici di grande interesse a completamento del volume: i controtenori
nella discografia delle opere di Händel, nella discografia degli oratori e
serenate di Händel, nella discografia
delle opere barocche in genere, nei recitals, nelle raccolte discografiche e
video, oltre alle principali presenze in
moderne esecuzioni di opere prevalentemente di Händel. Così il lettore
può scoprire tutto sui propri beniamini
da Andreas Scholl a David Daniels, da
Bejun Mehta a Philippe Jarrousky a
Lawrence Zazzo per segnalare i controtenori più blasonati. Un volume di
218 pagine che si lascia leggere con
leggerezza senza che mai vengano
meno il rigore scientifico e l’interesse.
Dino Foresio
CONTRAPPUNTI
pag. 11 / Aprile 2011
A Bari la rassegna «Dimensioni spirituali in musica arte cultura»
La colonna sonora della Nazione Italia
Un suggestivo itinerario storico dal coro d’opera alla canzone
La voce nel canto corale parla all’anima trasducendola in un microcosmo poetico musicale che ripercorre le vie di una comune
identità. La musica corale canta emozioni di intimità violate, l’integrazione negata, le miserie materiali, l’eroismo della resistenza,
la forza della tradizione, la gioia di vivere. La musica corale ha
sempre rivestito un ruolo molto importante nella storia, e non solo
nell’ambito dell’italico Paese. Il coro offre al singolo individuo
un’opportunità di aggregazione, di accoglienza senza giudizio, di
contenimento, rappresenta una fonte di amicizia e di energia, di
gratificazione, un ausilio per la solidarietà, per la preghiera: attraverso il canto. Cantare è un po’ come suonare … il corpo di colui
che ascolta, mediante la voce, concretizzante il dono di se stessi…
«Cantare richiede l’ascolto dell’altro e l’autoascolto», affermava
Tomatis. Un’importante valenza educativa e terapeutica ha acquisito la realtà corale, nell’evolversi dei secoli, scandendone il percorso storico-politico-culturale con significativa incisività. Merita
pertanto plauso la Rassegna concertistica «Dimensioni Spirituali
in Musica Arte Cultura», nel cui ambito la musica corale riveste
un ruolo privilegiato, organizzata dalla Chiesa di S. Ferdinando nei
mesi da novembre 2010 a maggio 2011. Ciascuna manifestazione
è strutturata con un concerto preceduto da una riflessione culturale-scientifica riguardante le tematiche su cui verte il concerto, tenuta da un’esimia personalità di studioso. Si colloca quale appuntamento di pregio, nell’ambito della Rassegna, la manifestazione
dedicata alla musica corale omaggiante il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Dopo l’introduzione del Parroco di S. Ferdinando,
Don Pasquale Muschitiello, e la dotta prolusione/lectio magistralis tenuta dal prof. Gianfranco Liberati (Docente dell’Università di
Bari), sul tema: «La cultura del Risorgimento: la musica e la parola», il programma musicale ha focalizzato la tematica: «Dal coro
d’opera alla canzone: itinerario musicale dal XIX al XXI secolo».
Nel concerto sono state eseguite musiche che hanno costituito
la colonna sonora della nazione Italia, dal Risorgimento alla can-
zone napoletana, proposte dai cori: «S. Ferdinando» (direttore e
organista Giuseppe Nanna), insieme con il gruppo strumentale
della Scuola Media «Carducci» (direttore e organista Donida Lopomo); «Chorus Harmony» (direttore Giovanni Lomurno); «Musica Mundi»: direttore Vincenzo Bartolomeo); dal tenore Vito Piscopo, insieme con il coro «Nuova Armonia», e l’ensemble corale-strumentale dei diversamente abili di «Casa C.E.D.I.S.», con
l’educatore assistente alle percussioni Fabrizio Calò (Presidente di
«Casa C.E.D.I.S.» a Pia Piepoli). La peculiarità e l’eccezionalità
del concerto sono veicolate dalla tipologia degli interpreti, estremamente eterogenei per età anagrafiche, professioni, caratteristiche psicofisiche, costituiti da cori «non professionisti», studenti
delle scuole medie, e diversamente-abili, perfettamente e totalmente e reciprocamente integrati nel nome della musica e dell’italico sentimento celebrativo. La Rassegna «Dimensioni spirituali
in Musica Arte Cultura», a ingresso libero, si propone anche quale
screening della realtà corale «amatoriale» territoriale, testimonianza dell’interesse e del grado di diffusione, e nel contempo input propulsore, della cultura musicale nel tessuto sociale. Né va
trascurata la considerazione che i soggetti costituenti i cori, proprio in virtù di un acquisito gusto musicale, possono efficacemente
sostanziare il pubblico dei concerti delle varie associazioni e fondazioni musicali: a queste ultime va quindi ascritto il compito di
incentivarne la partecipazione alle proprie manifestazioni musicali
mediante iniziative «dedicate», promozionali in relazione al biglietto d’ingresso. La cospicua valenza artistico-culturale della musica corale, e del coro, espressione di una voce del sentimento, molteplice nell’unità, potrebbe incantevolmente sintetizzarsi nella delicata magica profonda levità della poesia di Muriel Barbery (da
«L’eleganza del riccio»): «È come se le note musicali creassero
una specie di parentesi temporale, una sospensione, un Altrove in
questo luogo, un sempre nel mai».
Adriana De Serio
«Come eravamo», un concorso
omaggio a Vito Maurogiovanni
L’urgenza più significativa del nostro tempo è saper
riannodare i fili
spezzati del racconto della vita tra le generazioni. Una urgenza da cui non possono tirarsi fuori tutti gli uomini e le donne di
buona volontà, qualunque professione essi
compiano. Trasmettere ai giovani il bagaglio di esperienza di vita è molto di più che
un impegno civile e sociale per un comunicatore, é un obbligo morale, qualunque
sia la forma del comunicare. Ricordare Vito
Maurogiovanni, cantore popolare della tradizione barese, e cercare di adempiere al
compito di legare le generazioni nel racconto del cammino della vita, attraverso la
condivisione delle esperienze e dei valori
etici che hanno accomunato persone, identità territoriali, popoli interi per secoli e secoli, è l’intento unitario che l’UCSI di Puglia (Unione Cattolica Stampa Italiana) ha
voluto attuare con il progetto di un Premio
dedicato a Vito Maurogiovanni nelle scuole
di Bari e provincia, dal titolo «Come eravamo».
Ed è in una pagina quella rubrica che Vito
Maurogiovanni ha tenuto per anni su La
Gazzetta del Mezzogiorno, che troviamo
una spiegazione chiara di questo percorso.
Sotto il titolo «Ringraziamenti per i miei
lettori», Vito oltre a ringraziare, tra gli altri, l’allora Presidente della Repubblica
Carlo Azelio Ciampi, «che ha letto i miei
scritti dedicati ai tempi in cui fu a Bari», riportò uno stralcio di una lunga lettera che
aveva ricevuto dal Direttore Generale dell’ANSA, Paolo De Palma, che così scriveva. Il giornale, così, permette a noi anziani di riandare ai nostri ricordi; alla generazione dei nostri figli di riascoltare,
come eco della voce dei loro padri, avve-
nimenti, storie, curiosità di cui sentirono parlare da
bambini; ai nostri
nipoti, i giovani di oggi, di riproporre valori che, se pur attualmente in gran parte
obnubilati, riescono poi alla fine a mantenere intatta la loro suggestione, la loro attualità».
Non si può vivere pienamente e coscientemente senza il racconto delle generazioni. Molti mali della nostra contemporaneità derivano da questo filo spezzato
nella storia del novecento.
Il desiderio di rimozione, pur legittimo
per la tanta sofferenza della guerra, dei nostri nonni e dei nostri genitori ha consentito terreno fertile all’inutilità dell’edonismo che dagli anni cinquanta in poi si è affermato con una nuova etica della libertà
Enzo Quarto
Presidente UCSI Puglia
(continua a pag. 14)
pag. 12 / Aprile 2011
CONTRAPPUNTI
Una carrellata di immagini che rifiutano il conformismo e la banalità
Le 80 maschere di Mimmo Castellano
Quasi sotto silenzio (ma perché?) il ritorno dell’artista a Bari
Più volte abbiamo ribadito quanto la «memoria» difetti dalle
nostre parti, a nocumento delle giovani generazioni, sprovvedute culturalmente, perché travolte dall’esterofilia del vacuo. Quando poi vi è un barlume di ritrovati sensi, la città
pecca di adeguati mezzi massmediali, scadendo nell’irriguardoso. Specie se trattasi di un «riconoscimento» ufficiale a una
straordinaria carriera poliedrica e rara di un nostro artista,
svoltasi principalmente in quella Milano mitteleuropea, che
valorizzando le capacità di un innato talento, lo ha lanciato
nel firmamento della notorietà globale.
«Omaggio» dunque a Mimmo Castellano, figlio di una Puglia (ingrata) che gli diede i natali (Gioia del Colle 1932) e ambasciatore per il mondo che ne
apprezza le singolari doti. Bari
lo accoglie di tanto in tanto (la
precedente sortita, 2005/06,
«cinquant’anni di grafica» al
Castello Svevo); stavolta fra le
antiche mura di un restaurato
«Fortino» (S. Antonio Abate
sec.XIV). Organizzandogli una
mostra dei suoi più recenti lavori
di rielaborazioni computerizzate, dal titolo «Fuorischema»,
80 personaggi adattabili tutti
senza procedure burocratiche.
Ambientati espositivamente
nella parte inferiore della torre,
che restaurata nella sua integrità
architettonica, rimane uno spazio sconosciuto (!), che reclama
adeguata visibilità, per non vanificare le manifestazioni, augurabili selezionate.
Ottanta immagini, quelle dell’artista pugliese, in uno stringatissimo allestimento a mo’ di totem, che meritavano ben
altro (!!?), e almeno un catalogo, come documento storicoinformativo! Non per noi, consapevoli la lunga storia internazionale del conterraneo, considerato fra i protagonisti indiscussi dell’arte contemporanea e applicata agli universi
simbolici, quanto per farlo conoscere a quelle generazioni
plagiate di concettualità dell’effimero; colmando l’ignoranza
sui nostri antefatti storici, e acquistando coscienza della lezione esistenziale di un maestro e docente, contraddistintosi
per un singolare senso intellettuale dell’immaginario. Condensato di vocazione, studio, ricerca, tecnica, sperimentazione, acuta intuizione, persuasione, strategia, messaggio,
curiosità e gioco, di uno spettro infinito, flessibile e dinamico
alla duttilità dei materiali, affinché la rappresentazione nella
sua immediata comprensione, ieri come oggi, trasmetta emozioni coinvolgenti. Un complesso variegato di potenzialità e
processi evolutivi. Tant’è Mimmo Castellano ha un bagaglio
di esperienze che vengono da lontano; è persino fra gli autori di quelle opere pittoriche del famoso «Maggio» (1960),
sepolte sotto la polvere dell’indifferenza. Fotoreporter nel
1962, documentò impavido e malmenato con la sua rolleiflex, i moti degli edili, per informare sui fatti «reali», condirettore con l’ineffabile scomparso Peppino Schito della Rivista Sud. Designer, art director per una messe di editori, La-
terza, De Donato, Dedalo, Vallecchi, Feltrinelli, Einaudi,
Leonardo da Vinci, etc. Disegnò fra l’altro nel 1970 la copertina del libro Contrappunti di Franco Chieco e scritto con
inchieste e illustrazioni Moods, Paese Lucano per l’ENI, La
valle dei trulli con testi di Sinisgalli, Minchilli, Cocchiara,
Santomaso in Puglia di Haftmann, Terra di Bari per l’ACI,
Noi Vivi presentato da Eco, Levantazzo, Le pietre di Ulisse.
Recensito da Russoli, Dorfles, Sinisgalli, Zannier, Selearte,
Graphis Annual, The Architectural Review, Domus. Ha
ideato marchi e loghi per le migliori aziende, tutte le campagne pubblicitarie dell’EpT di Bari, il Maggio e manifestazioni nicolaiane. Progettista
d’importanti Padiglioni alla
Fiera del Levante, per la Rai,
l’Iri a Londra, la Montedison a
Milano, Italsider, Ina, ha affrescato la volta originalissima del
ricostruito Teatro Regio di Torino; presente alle Triennali di
Milano, alla Biennale di Brno,
riportando entusiastici consensi
e premi internazionali a tantissime altre ideazioni per il Coni,
l’Eni, Alitalia, Ice, Datamont,
etc.
Nel clima delle celebrazioni
dei Centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, è stato l’autore
unico per il «Centenario» all’Expo di Torino di Puglia 61.
Un volumetto raro, che racconta
la Puglia con scritti storici del
Novecento, fotografie e disegni
in bianconero e monocromatici,
su siti, monumenti, paesi, braccianti, vegetazioni, come evoluzione di una terra dalle origini contadine; aprendo col granaio d’Italia, sovrastato da un verso dalle canzoni di re Enzo:
«E vanne in Puglia piana, la Magna Capitana, là dove è lo
mio core notte e dìa». E poi memorie, poesie, interventi di storici, politici, economisti, meridionalisti, viaggiatori; per chiudere sui futuri insediamenti industriali: quei «draghi», subentrati a stravolgere una terra con guasti inimmaginabili. Intanto
questi 80 personaggi di Castellano rappresentano le ultime
tarsie colorate, le pulsioni che governano l’occhio dell’artista. Un «fuorischema» rielaborativo, sapiente tecnicamente
dell’uso satirico, anche politicamente delle maschere, che si
prestano ad ottenere a tutto tondo una contraffazione, quasi a
raffigurare con efficacia antropomorfica l’essenza scenica o
sottolinearne il carattere e la funzione, divertita e grottesca.
Oppure immagini mnemoniche di un Castellano fiabesco, mitico o umoristico; in bilico tra le simbologie apotropaiche poste sull’arco dei portoncini del paese natìo scolpite alla maniera naif, cariche di valenze magico-rituali o esornative, e la
chiave ingenua di stilizzazione figurale infantile con curiosità
futuriste. Insomma il magico e l’immaginario o giustappunto
l’occhio artistico, che rifiuta il conformismo, la banalità, il caricaturale, la sclerosi del realismo e del naturalismo, in concatenamenti volumetrici multicromatici di accattivante plasticismo. Omaggi a Mimmo Castellano!
Manlio Chieppa
CONTRAPPUNTI
pag. 13 / Aprile 2011
Le origini del celebre istituto risalgono ai primi del Settecento
Quel Liceo faro di cultura classica
Conversano con orgoglio celebra i suoi 150 anni
Al di là di ogni polemica intorno al
150° anniversario dell’Unità d’Italia,
nonostante i continui moniti del Capo
dello Stato, Giorgio Napolitano, la cittadinanza di Conversano ha ben ragione di
festeggiare l’eventoalmeno per un duplice motivo. Il primo si riferisce al prestigioso riconoscimento pervenuto con
decreto del Presidente della Repubblica,
firmato il 30 dic. 2010 e sopraggiunto
alle autorità competenti proprio nell’anno del 150°, con cui Giorgio Napolitano, accogliendo la richiesta della
Giunta Municipale e riconoscendo la
sussistenza delle condizioni storiche
culturali artistiche e politiche, concede
al Comune di Conversano il titolo ono-
rifico di CITTA’. Un riconoscimento
che, inorgoglisce, ma che responsabilizza ancor più il governo locale. La consegna ufficiale verrà il 2 aprile con una
solenne cerimonia pubblica al Pala «San
Giacomo».
L’altro motivo si lega ancor più
profondamente e con forte sentimento
popolare alla coincidente celebrazione
dei 150 anni del Liceo-Ginnasio di Conversano, ancor oggi «faro di cultura classica ed umanistica»: da un lato, in perfetta conformità con le sue prime origini
e, dall’altro, in felice adeguamento al
corso dei tempi. Di fatto, la sua storia è
molto più antica, in quanto la sua «culla»
risale al 1703 con la nascita del Collegio,
prestigiosa istituzione voluta dall’autorità vescovile della Diocesi di Conversano. La sua «fisionomia» fu subito ben
chiara, allorché mons. Filippo Meda, milanese, all’età di 35 anni, nel 1704, fu
chiamato a reggere la Chiesa conversanese. Il giovane Presule seppe subito
crearsi intorno al Seminario e al Collegio un ambiente culturale (al quale si era
abituato nella sua Milano), capace di
diffondere fede e sapere. Ma il pieno sviluppo scolastico-culturale, oltre che teologico, del Collegio si ebbe nel XIX sec.
con il Vescovo Giuseppe Maria Mucedola (dal 1849 al 1865), già parroco di
S.Paolo di Civitate (Foggia), mentre «imperava» il regime borbonico. Con lui «la
storia del Collegio diventa storia di educatori dalla forte personalità e dalla cultura aperta che diffondono nel circondario diocesano e in tutto l’ambiente meridionale le idee nuove di libertà, unità nazionale e indipendenza» . Mons. Mucedola si rendeva conto che «la sua opera
sarebbe stata duratura solo se il Collegio
avesse avuto buoni maestri, dalla mente
aperta alle idee nuove, ma non contrastanti con gli insegnamenti della
Chiesa». Perciò chiamò a sé i migliori
studenti, istruendoli personalmente ed
aiutandoli economicamente, non rinunciando ad inviarli a sue spese a frequentare istituti superiori di alto livello come
quelli di Napoli, Roma e Montecassino.
Fra i tanti giovani che potettero godere
del mecenatismo del Vescovo-patriota
Mucedola fu il promettente sac. Domenico Morea, nativo di Alberobello, considerato in seguito tra i migliori Maestri
che hanno onorato il Collegio di Conversano. Il Morea, profondo studioso, allievo dell’illustre storico, padre abate
Luigi Tosti, a Montecassino, ove portò a
termine un suo lavoro, faticoso e poderoso come il noto Chartularium Cupersanense (opera ancor oggi molto consultata da ricercatori e storici), in cui
l’autore, attraverso l’esame di documenti di diritto pubblico e privato, di
bolle e sovrane concessioni, riuscì a cogliere la vita del popolo pugliese nel suo
dinamismo. Tornato a Conversano nel
suo Collegio, chiamato a reggerlo in
qualità di rettore-preside (aveva solo 28
anni), lo rimodellò, in sintonia con il suo
Vescovo Mucedola, su quello di Montecassino, non mancando di utilizzare le
Domenico Roscino
(continua a pag. 14)
CONTRAPPUNTI
pag. 14 / Aprile 2011
Dalla ottava pagina
Mirella Freni torna a Bari
e ricorda «i bei momenti»
libero, una lezione aperta al pubblico. In
questa occasione è stato possibile assistere a una tipica giornata di lavoro dei
giovani cantanti dell’Accademia di alto
perfezionamento di Modena, ragazzi
tutti preparati e provenienti da ogni parte
del mondo per far parte della più prestigiosa scuola di canto lirico in Italia.
Infine il 25 febbraio la settimana si è
conclusa, sempre al teatro Piccinni, con
un concerto a tema «La preghiera nell’opera», basato appunto su esempi di
preghiere liriche, pagine bellissime ma
talvolta poco note, tratte da opere e composizioni del repertorio vocale ottocentesco, da Rossini a Donizetti, da
Tchaikovsky a Dvorak. Si sono quindi
esibiti, accompagnati al pianoforte dalla
brava e ferrata Paola Molinari, artisti
provenienti dalla Spagna, Moldavia, Armenia, Messico, Cina, Kazakistan e Italia, alcuni, come il baritono moldavo Caraja Valeriu e l’agile tenore cinese Lu
Yuan, già dotati di tecnica sicura e vocalità adeguata all’attività professionale,
tutti comunque in grado di migliorare e
aspirare a una futura carriera di buon livello.
La serata ha inoltre previsto la prestigiosa partecipazione del compositore
monsignor Marco Frisina, che ha presentato con colte annotazioni tutto il concerto e ha condotto una vivace e piacevolissima intervista-dialogo con la famosa soprano, in tal maniera condividendo con il pubblico presente le esperienze artistiche di una vita dedicata alla
musica. Interprete straordinaria, stimata
da direttori come Karajan, Giulini, Kleiber, Muti e Abbado, voce dotata di un
timbro particolarissimo e di innumerevoli sfumature, come dimostrato anche
dall’ascolto di due preziose registrazioni, Mirella Freni è stata anche a Bari.
Cito a riguardo, oltre a una presenza con
Bohème, lo sfortunato episodio risalente
a più di quarant’anni fa (1967), quando
in seguito alla travagliata interpretazione di Violetta alla Scala a causa della
contestazione organizzata dai sostenitori
«vedovi» della Callas, la Freni rinunciò
all’ultimo momento dell’invito del Petruzzelli ad esibirsi a Bari proprio in Traviata, nonostante i tenaci tentativi del
critico Franco Chieco, suo amico personale, nel cercare di convincerla di quanto
il pubblico barese la attendesse con entusiasmo, riservandole sicuramente ben
altra accoglienza.
Pieno merito quindi a Frammenti di
Luce per aver riportato nella nostra città
una artista di questo livello, fra l’altro in
una condizione inusuale ma ugualmente
accattivante, una familiare intervista in
cui la Freni ha ricordato i più bei momenti della sua vita artistica e ha illustrato con fervore il suo nuovo e amato
ruolo di docente a tutto tondo, una straordinaria insegnante in grado, come dimostrano i risultati, di garantire ai suoi
«ragazzi» un’offerta formativa di altissimo livello.
Dalla undicesima pagina
«Come eravamo», un concorso
omaggio a Vito Maurogiovanni
sue amicizie negli ambienti culturali nazionali per acquisire i migliori docenti e
di proporre programmi dei corsi di studio al giudizio di personalità come lo
stesso abate Tosti, Alessandro Manzoni,
il filosofo conversanese Donato Jaia
(maestro a Pisa di Giovanni Gentile), il
cardinale Alfonso Capecelatro, arcivescovo di Capua ed insigne cultore di Lettere. Anche Giovanni Pascoli, che fu a
Conversano in visita ministeriale in occasione degli esami di Stato, ebbe parole
di apprezzamento per le condizioni didattiche della scuola.
Pertanto, nel 1861, proprio con il rettore Morea, l’istituzione scolastica conversanese, che era già all’apice della sua
fervida attività formativa, riconosciuta
«palestra intellettuale e morale di tanti
giovani che lì si formarono e di lì presero il volo per un meritorio impegno
nella società, si trovò pronto ad applicare
la legge Casati – la prima legge scolastica del Governo dell’Italia Unita – che
trasformava i vecchi istituti di «umanità
maggiore e minore» in Regi Licei Ginnasi con materie di insegnamento e programmi uniformi a quelli che regolavano
le scuole governative dell’unificato Regno d’Italia.
E da allora la storia del Liceo-Ginnasio di Conversano, allogato nel vecchio
risistemato edificio, già convento dei
Paolotti, di proprietà della Curia vescovile, e che dopo la morte del suo grande
Maestro, mons. Domenico Morea, avvenuta nel 1902 e al quale poi meritoriamente intitolato, ha continuato ad
operare in una chiara e felice visione unitaria: formata dai Vescovi, dai dirigenti
scolastici e dai Sindaci per gli atti che la
legge scolastica italiana attribuisce all’Ente Locale. Ancor oggi, dunque, il Liceo «D. Morea», costituisce il segno d’identità comune con la sua indefettibile
fedeltà all’originario motto paolino
«Crescamus in IIlo per Omnia», ben leggibile sul fastigio del prospetto neoclassico dell’edificio-sede del SeminarioConvitto, opera dell’architetto conversanese Sante Simone (1823-1894).
che ha letteralmente «ubriacato», fino al nichilismo, le nuove generazioni, consentendo loro di pensare che ogni cosa fosse
legittima e degna di essere vissuta. La liceità dei comportamenti degli anni cinquanta e sessanta, nasce, dunque, anche dal
racconto spezzato tra le generazioni. «Tutto
nuovo. Ciò che è vecchio non serve». Eppure l’umanità per millenni ha vissuto con
un concetto ben diverso: «Tutto ciò che è
servito continua a servire ed è la base per
nuove scoperte».
La società cosiddetta avanzata dell’occidente opulento, in particolare, si é messa
alla ricerca del nuovo in assoluto, come
unico principio etico di vita. Un nuovo da
produrre, da incentivare, da essere motivo
delle nostre stesse esistenze, si pensi alla
predominanza delle tecnologie, divenute
presto iperteconologie, non più strumento
ma fine stesso del vivere quotidiano, dimenticando che l’uomo è nella sua essenza
relazione, conoscenza, confronto con i suoi
simili.
Di qui molti malesseri psicosomatici che
affliggono l’umanità globalizzata priva di
certezze semplici quanto consolidate nei
valori essenziali della vita. Ma la relazione,
la conoscenza, il confronto si imparano,
grazie appunto al racconto della vita tra le
generazioni, che dia stimoli di pensiero e
di agire verso il futuro con fiducia, forza,
come solo le radici forti di un albero possono dare alle gemme e alle giovani foglie.
Ecco. Con il concorso «Come eravamo»
nelle scuole, condiviso con la Famiglia
Maurogiovanni, il Comune e la Provincia
di Bari e l’Ufficio Scolastico per la Puglia,
vogliamo riaprire il confronto con il già vissuto di chi ci ha preceduto perché ci arricchisca nei sentimenti e nella cultura, perché questi siano la forza per i giovani di
guardare con serenità e fiducia al domani,
partendo dalla consapevolezza di una vita
degnamente condivisa nei suoi valori intimi e sociali con i nostri nonni, i nostri padri, le nostre madri. Un Premio dedicato a
Vito Maurogiovanni, dunque, per cercare
nelle tante manifestazioni delle tradizioni
popolari del nostro territorio che egli ha saputo così bene raccontare, con viva poesia,
le ragioni di un racconto rinnovato che sappia dare stimoli a tutti. Presto sarà noto il
bando del premio, che si concluderà in questa prima edizione nella tarda primavera del
2012, e che speriamo possa trovare partecipi molti gruppi di studenti delle scuole di
ogni ordine e grado di Bari e provincia con
tanti progetti in piena libertà di manifestazione artistica o meno, come riterranno meglio rappresentarli e con gli strumenti che
riterranno più opportuni.
Domenico Roscino
Enzo Quarto
Francesco Scoditti
Dalla tredicesima pagina
Quel Liceo faro di cultura classica
CONTRAPPUNTI
DISCHI
pag. 15 / Aprile 2011
Le pagine più famose del «Tristano e Isotta» e del «Parsifal» dirette da Daniel Barenboim con i Berliner Philharmoniker
Wagner, fascinose notti d’amore
Il «Falstaff» a Liegi, protagonista Ruggero Raimondi, nel fantasioso visionario allestimento di Stefano Podo. Un’ampia panoramica della produzione bachiana: insieme ai capolavori per organo e
clavicembalo, le Cantate e le Passioni secondo Matteo e Giovanni. «Bach & Battiato»: il pianista
Francesco Libetta ricerca la coerenza accostando musiche antiche alle espressioni più recenti
«Night of Love» è il titolo di un cd che raccoglie pagine d’amore di due opere wagneriane, «Tristano e Isotta» e «Parsifal». Cantano Waltraud Meier e Siegfried Jerusalem, sul podio dei Berliner Philharmoniker è Daniel Barenboim, le incisioni effettuate nella mitica sala della Philharmonie della capitale tedesca risalgono rispettivamente al 1989 e al 1994. Naturalmente i brani selezionati ripropongono sei fra i momenti
più affascinanti dei due capolavori: dal «Tristano» la scena finale ovvero la morte di Isotta e i suoi duetti con Tristano e con
Brangania; dal «Parsifal» la grande scena nel giardino di Klingsor e la conclusiva invocazione al Graal.
Non dobbiamo però considerare una mera
antologia un programma che riesce a cogliere lo spirito, il messaggio di una musica
grazie alla quale, è stato detto, il tempo diventa spazio. La tensione emotiva delle pagine del «Tristano» è di un’avvincente intensità, soprattutto in quell’incantevole affresco poetico che è il second’atto. Al fianco
del tenore Siegfried Jerusalem interprete di Waltraud Meier
schietta musicalità, ad imporsi è la luminosità della voce della Meier, splendida nei
fiati e nei timbri ricchissimi. Ed ancor più fresca e seducente,
nel ruolo di Kundry, irrompe nella drammatica, serrata violenza sensuale nel lungo duetto del «Parsifal». (Un cd Warner
Classics 2564 67605-9).
J
Non ha limiti la fantasia dei registi dì oggi. Al teatro dell’Opéra Royal de Wallonie di Liegi, nel novembre 2009, il
«Falstaff» di Verdi è stato messo in scena da Stefano Poda,
trentino, esponente di spicco del «pensiero» La Vanguardia
che, soprattutto nella Spagna da lui molto frequentata, lo definisce il Faust della modernità, il mago prodigioso. Lo spettacolo, registrato in DVD, viene accreditato da quella critica
come espressione di un decadentismo tragico. Va da sé che non
dovremo meravigliarci se della famosa Osteria della Giarrettiera non troveremo la minima traccia. E non soltanto di quel
luogo che ci fa venire in mente il buon William Shakespeare.
Avremo invece uno spettacolo strepitoso, tutto inventato grazie alla smisurata fantasia degli effetti speciali: il vero trionfo
della tecnologia. Ambienti astratti che più astratti non si può.
Della commedia che conoscemmo in gioventù, in palcoscenico è rimasta solo la cesta nella quale Sir John verrà rinchiuso
per essere gettato nelle acque del Tamigi.
Quanto alla musica, l’esecuzione, diretta dal maestro Paolo
Arrivabeni, pare finalizzata ad assecondare il fermo intento di
misurarsi nell’immenso personaggio verdiano di Ruggero Raimondi la cui vocalità tuttora non ci fa dimenticare il forbito
basso di un tempo. Il pubblico belga lo ripaga doviziosamente.
Luca Salsi, l’altro baritono, è un ottimo Ford. E bene si può
dire sia del quartetto femminile (Virginia Tola, Sabina Puértolas, Cinzia De Mola, Liliana Mattei), sia del Fenton di Tiberius Simu. Completano il cast Gregory Bonfatti, Pietro Picone
e Luciano Montanaro. Se il regista ha inventato uno spettacolo
al limite del visionario, al video-director Matteo Ricchetti va
il merito di avercelo portato in casa. (Un dvd Dynamic, distribuz. Jupiter 33649).
J
Due ore e mezza con Bach. Per la fortunata collana «Experience»
(due cd in un unico contenitore, una intelligente iniziativa dell’etichetta Warner) è il turno del sommo musicista tedesco. Vengono
proposti 33 brani di vari generi incisi fra il 1964 e il 2001: una metà
sono Cantate, ma non mancano le opere organistiche e clavicembalistiche, espressioni tra le più significative del patrimonio musicale universale. Il minimo che possa bastare per ricordare che
Johann Sebastian Bach è stato un torrente di
dottrina, un vulcano di idee. E a dimostrarlo
sono le straordinarie esecuzioni offerteci da interpreti autorevoli come Nikolaus Harnoncourt con il suo Concentus Musicus Wien, Gustav Leonhardt con l’omonimo Consort, Marie-Claire Alain, Jörg Baumann, Alan Curtis,Ton Koopman, Herbert Tachezi, Thomas
Zehetmair. Con il concorso di prestigiosi solisti e complessi corali Harnoncourt e Leonhardt
riscoprono la magnificenza degli affreschi polifonici delle Cantate. Suonano i capolavori per
l’organo e il clavicembalo, pagine della più alta maturità bachiana,
un impareggiabile Koopman e una raffinata Marie-Claire Alain.
Non sarebbe una testimonianza esaustiva senza la presenza delle
due celebri «Passioni»: quella monumentale secondo Matteo con
il contrappunto vocale e strumentale che raggiunge la più alta
espressione del sentimento umano, e quella secondo Giovanni,
opera di elegiaca tenerezza, concisa nella forma quanto ricca di
tensione nell’affascinante epilogo. Di entrambe, è ancora Nikolaus
Harnoncourt a rendere una lettura ispirata nella drammaticità dei
recitativi e nell’asciutto vigore delle arie e dei cori. (Due cd in uno
Warner Classics 2564 68082-1).
J
Francesco Libetta, pianista leccese ormai di alto rango, è protagonista di un cd intitolato «Bach & Battiato» in cui, suonando
su un pianoforte moderno, si propone di ricercare, mediante la
cura della linea melodica, una coerenza accostando musiche antiche alle espressioni più recenti. Tutt’altro che velleitaria, l’operazione ha una ferrea logica, facendoci ascoltare, intervallate fra
loro, brevi composizioni di Johann Sebastian Bach (1685-1750),
Mattia Vento (1735-1776), Bernardo Pasquini (1637-1710), Giovan Battista Lulli (1632-1687), Giovan Battista Martini (17061784), Gesualdo da Venosa (1561-1613), Michelangelo Rossi
(1601-1656), Domenico Zipoli (1688-1726), Francesco Turini
(1740-1812), Jean-Philippe Rameau (1683-1764) insieme a cinque brani, trascritti per pianoforte, di Franco Battiato, nato nel
1945 ancorché impegnato prevalentemente nel genere extracolto.
E infatti dei cinque pezzi registrati – rileva Eraldo Martucci, animatore dell’editrice Nireo – «solo uno è di un’opera (Genesi), gli
altri sono di musica pop dove neanche una sola armonia è stata
mutata. Un brano come “La Cura”, strutturato come una passacaglia-fantasia tripartita, è intrisa di classicismo». Rigorose e raffinate le esecuzioni. (Un cd Nireo MMVIII 040).
Franco Chieco
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