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BAND: THE NEW YEAR
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ONDAROCK
http://www.ondarock.it/recensioni/2008_newyear.htm
Quindici anni trascorsi ad attraversare generi e temperie musicali, a rincorrere una timidezza intrisa di
malinconia, che li ha fatti rifuggire l'apparenza e finanche quella visibilità che i sempre troppo poco
considerati (e poco citati) Bedhead avrebbero meritato. È un destino in penombra, quello dei fratelli Bubba e
Matt Kadane che, mandata prematuramente in soffitta la loro prima band, giungono al terzo album con la
nuova formazione The New Year, licenziando questo breve self-titled (trentaquattro minuti di durata), che
pure è il prodotto di ben quattro anni di scrittura e un anno di registrazione.
Se la sono presa comoda Bubba e Matt, trasferendo anche nella fase di elaborazione di questo lavoro
l'approccio indolente e disincantato da sempre caratteristico della loro musica, concentrato su una sensibilità
melodica al rallentatore, applicata a retaggi chitarristici eredi del rock alternativo americano della prima metà
degli anni 90 e tradotti in una forma idealmente collocabile tra slow-core e post-rock, ma tanto peculiare da
non collimare con nessuna delle due definizioni.
Proprio l'ampia forbice temporale trascorsa dal precedente "The End Is Near" sta a testimoniare la
rilassatezza creativa che la band texana può permettersi, aliena com'è da ogni aspettativa e da ogni
pressione che non sia quella di un'ispirazione ancora una volta incentrata sui classici temi post-adolescenziali
del trascorrere del tempo e della fallacia del desiderio, trattati adesso con una maturità ben distante da
qualsiasi retorica.
Così, anche questo terzo lavoro di The New Year ripresenta l'abituale accostamento tra melodie ondeggianti
e raffinate trame chitarristiche, a tratti solcate da increspature rumoriste. Il tutto viene, appunto, filtrato
attraverso una maturità evidente tanto nei temi quanto nei suoni; basti pensare che quasi metà dei brani
sono incentrati sul pianoforte, mentre persino le componenti elettriche più spigolose (che affiorano
soprattutto in "The Door Opens" e nella conclusiva "The Idea Of You") risultano quasi sempre sfumate,
affiancate da melodie oblique e ritmiche uniformi, a sostegno di un contesto morbido e in apparenza
distaccato.
Accanto a residui di febbrile chitarrismo e accenni di insistita frammentazione ritmica, l'album assume toni in
prevalenza compassati, esaltati dal contributo del pianoforte anche nei brani che si dipanano poi in veste
maggiormente elettrica, come avviene nell'ottima "The Company I Can't Get" e in "MMV". Non mancano
nemmeno spunti di esplicito romanticismo, in crescendo accompagnati da un minuzioso lavorio strumentale,
né trasformazioni di rallentate asperità in forma quasi di southern-rock, in maniera non così dissimile da
quanto posto in essere da Geoff Farina con le ultime opere dei suoi Karate e di recente con i Glorytellers.
Quali che siano le componenti dei loro brani, The New Year mantengono una quieta imperturbabilità di
fronte a una sottile sofferenza, declinata senza eccessi, secondo una sensibilità umbratile ed espressa in
armonie fluide, di lenta e accuratissima suggestione.
Non graffiano più i fratelli Kadane, né oggi avrebbero validi motivi per farlo, eppure, distaccati e incuranti
delle mode e dei contesti musicali, riescono ancora a lasciare la loro impronta in canzoni del tutto prive di
pretese, ma pregevoli e dalla scrittura inappuntabile.
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BAND: THE NEW YEAR
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PAG. 13
AUDIODROME
http://www.audiodrome.it/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=3835
Siamo al terzo inizio per i fratelli Matt e Bubba Kadane. Dopo essere stati pionieri dello slowcore con i
seminali – per una volta la parola è veritiera – Bedhead, erano rinati sotto il nome di The New Year,
continuando a distillare il proprio slow-rock diluito e basato su intrecci piuttosto elaborati di tre chitarre.
Terzo disco in dieci anni questo self-titled, che può essere considerato un’ulteriore svolta/ripartenza. Non
solo per la scelta di non titolarlo, dato che nei primi rivestiva importanza anche quello. I titoli, infatti, erano
giochi di parole con la loro ragione sociale: Newsness Ends e The End Is Near, forse dettata da leggi
“mercantili”, ma di sicuro anche per via dell’ulteriore evoluzione sonora raggiunta. Questa scelta è
evidenziata prima di ogni altra cosa dall’aver composto metà della scaletta con un pianoforte. Soffuse ballate
pianistiche come “MMV” o “Body And Soul” non si sarebbe mai pensato potessero essere “roba” per loro. Ma
tutto muta, per caso o per un voler indistinto che si rivela solo a cose fatte, come pare avvenuto qui. I
trambusti delle vite personali e professionali di Matt, Bubba e gli altri hanno condotto alla realizzazione di un
disco compatto, elegante e dalle basi solide. Mai noioso - eterna trappola del genere, chiedere ai Low per
conferme – eppure sottile e penetrante, anche quando la batteria si fa sostenuta, nonostante i ritmi non
siano mai da tornado impazzito. Anzi, rispetto al passato i tempi si fanno ancora più dilatati, a lasciar
crescere pian piano le lievi e mai troppo levigate melodie fuori dal tempo di canzoni come “My
Neighborhood” o “Folios”, acustica e con la voce ad entrare in scena quasi a fine pezzo, ulteriore
testimonianza di una maggior varietà rispetto al passato. Passato che si intravede solo in “The Door Opens”,
squadrata e meno emotiva del resto. La chiusa è tutta per “The Idea Of You”, fiero ritorno ai gorghi di
chitarre da brividi a sostegno di una melodia potentemente soffice, perfetta per un rompete le righe che si
spera non duri troppo come accaduto per i precedenti cd.
Mezza stella, nel pieno del suo baluginio, in più al voto.
OUTUNE
http://www.outune.net/dischi/mainstream-rock-indie/indie-rock-the-new-year-the-new-year-touch-a-go2008.html
I fratelli Kadane rappresentano il vero succo dell'indie rock made in Usa. Capacità, crucialità musicale,
spessore del songwriting. Altre caratteristiche: pacatezza, arrivare al cuore dell'ascoltatore, produrre dischi in
tempi blandi. Si sono auto-traghettati fino a questi tempi dagli importanti anni 90 del post rock in cui hanno
dato alle stampe tre album a nome Bedhead (recuperate assolutamente "Transaction De Novo"). La loro
musica a cavallo tra il 1992 e il 1998 è stata troppo poco considerata dal panorama internazionale. E questo
è un male.
Dal 1999 hanno cambiato ragione sociale e si chiamano The New Year, prendendo nelle loro fila anche l'ex
Codeine e Come Chris Brokaw.
Il primo disco "Newness Ends" era discreto, molto compatto, e scorreva via con gran sincerità. Il secondo
era davvero convincente. "The End Is Near" ha regalato lacrime e brividi a non finire.
Ed ora siamo al terzo che esce dopo ben quattro anni di scrittura ed un lungo periodo in studio, a dimostrare
ancora la loro figura aliena ad ogni pressione esterna.
Le coordinate rimangono indirizzate verso Red House Painters e Leonard Cohen. Rimane un senso di intimità
portante. Ma rispetto ai dischi precedenti cambia molto.
Si nota in tutti i brani molta più sensibilità, basti pensare quante volte le melodie sono incentrate e sorrette
dal pianoforte. Spariscono quasi del tutto le spigolosità, favorendo un'indolenza romantica. La partenza
ricorda l'ultima traccia dell'ultimo disco dei Bedhead ma poi, mentre si aspetta il crescendo e riempimento di
strumenti, l'opening si stoppa. E per trovare un'apertura davvero elettrica si deve aspettare l'accensione del
meccanismo tanto caro al Kadane-core solo alla fine dell'ultimo brano.
Mancano molti incastri e forse non si trovano proprio dei pezzi che fanno gridare la malinconia interna di
ognuno. E a conti fatti l'album rappresenta un passo indietro, anche se stiamo parlando di una discreta
raccolta di canzoni, cosa che, decontestualizzando il loro percorso negli anni, è un risultato finale che spesso
manca a molte band attuali.
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BAND: THE NEW YEAR
TITLE: S/T
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PAG. 14
LOSING TODAY
http://www.losingtoday.com/it/reviews.php?review_id=4785
"So this is the new year/And I don't feel very different..." cantava Ben Gibbard in uno degli album migliori
dei suoi Death Cab for Cutie.
Niente a che vedere con la band di cui parliamo: i The New Year, gruppo fondato da ex-membri dei
Bedhead, che tornano con un omonimo disco: per loro terzo, anche se hanno lasciato passare non poche
primavere dal precedente (The End Is Near del 2004).
La versatilità stilistica della band è l'impatto più forte del disco: voce e pianoforte sembrano bastare per
'MMV' e 'Body And Soul'; mentre 'X Off Days' è di quei pezzi che solo i Pinback sanno fare meglio, con un riff
veloce e la sezione ritmica che dà il suo meglio. Segue poi 'Seven Days And Seven Night', quasi la classica
ballata acustica che ci si aspetta da un cantautore.
Insomma quale sia la vera identità musicale della band non è ben chiaro, e forse non serve che lo sia. La
firma e il tocco personale c'è però quasi in tutti i pezzi (anche i meno riusciti), e si manifesta soprattutto in
un indugiare placido su alcuni passaggi di chitarre: si noti ad esempio come nell'apertura di 'Folios' si deve
aspettare quasi 4 minuti prima che il cantato possa finalmente entrare in scena. Rimasugli di post-rock,
chiamiamoli così, in simpatia.
Un ascolto facile quindi, e allo stesso tempo di spessore: this is The New Year.
KDCOBAIN
http://www.kdcobain.it/pagine/recensioni/newyear.htm
Avete bisogno di crogiolarvi nella vostra tristezza? Ci pensano i fratelli Kadane ad enfatizzare la vostra
malinconia con la loro musica. I New Year, ormai giunti al loro terzo lavoro, non cambiano di una virgola lo
stile che li ha contraddistinti fin dalle origini quando ancora si chiamavano Bedhead. Le atmosfere
profondamente meste della musica dei New Year sono ciò che meglio può cullare il vostro lato malinconico.
Le progressioni chitarristiche scandiscono uno stile di scrittura altamente evocativo e coinvolgente. Le
delicate melodie di "My neighborhood" o "Seven Days and Seven Nights" e "MMV" lasciano spazio anche a
un approccio leggermente più rock come quello di "The idea of you".
Il terzo lavoro dei New Year è come sempre una medicina che va presa a piccole dosi se l'umore non poggia
su solide basi. I fratelli Kadane sembrano infatti non volerne sapere di regalare ai propri ascoltatori uno
spiraglio di luce in tanta tristezza suonata e cantata. Nel complesso i New Year comunque crescono
stilisticamente confezionando un songwriting sempre più convincente ed entrando di diritto nelle più alte
vette dello slow-core.
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BAND: THE NEW YEAR
TITLE: S/T
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PAG. 15
INDIE-ROCK
http://www.indie-rock.it/recensioni_look.php?id=526
GENERE: songwriting, alt-rock.
PROTAGONISTI: Matt Kadane (voce e chitarra), Bubba Kadane (voce e chitarra), Peter Schmdit (chitarra),
Mike Donofrio (basso), Chris Brokaw (batteria).
SEGNI PARTICOLARI: prima dei New Year c'erano i Bedhead ed il nucleo di entrambi i progetti è composto
da Matt e Bubba Kadane, attivi sin dagli inizi degli anni '90 e autori di lavori preziosi come 'Bedheaded' o
'Transaction De Novo'. Sciolta la prima formazione nel '99, i fratelli ripartono con una ragione sociale tutta
nuova, con Chris Brokaw (già membro di Come e Codeine) alla batteria e con la collaborazione di Steve
Albini che li accompagna seguendo la produzione di 'Newness Ends' e del successivo 'The End Is Near'.
L'ultimo omonimo disco, sempre edito dalla Touch & Go, è il terzo della band texana.
INGREDIENTI: in quasi un decennio e mezzo di carriera i fratelli Kadane sono riusciti a codificare uno stile
peculiare, facilmente riconoscibile e con notevoli elementi di originalità. E' un suono dalle sfumature leggere
ma che non ha paura di scoprirsi lento né di impennarsi in progressioni improvvise. Assorbite le inquietudini
a fil di voce degli Slint, queste vengono riproposte in una dimensione più intima, quasi quotidiana, in modo
da creare con pochi tratti un caratteristico strato di rassegnazione romantica a volte amara altre
compiaciuta. La propensione ai rallentamenti li avvicina ai maestri del genere come i Low o i Red House
Painters, mentre le figure pianistiche che spesso avvolgono le chitarre richiamano il pop dai contorni sfocati
di Gibbard.
DENSITÀ DI QUALITÀ: i fratelli Kadane devono essere spaventati e allo stesso tempo attratti dall'idea della
fine. Basta scorrere i titoli dei lavori precedenti per capirlo. 'The End Is Near' avevano preannunciato quattro
anni fa e sembrava quasi che la fine del loro percorso artistico fosse arrivata implacabile e che li avesse
inghiottiti. E invece sono tornati, con la consueta discrezione. Probabilmente il senso di instabilità, questo
peso vagamente malinconico che si portano dietro da sempre, non li ha abbandonati del tutto. Un po' di
leggerezza è arrivata (e forse il tempo non è passato invano) ma non abbastanza da riuscire a spazzare via
tutta la tristezza volatile con cui hanno convissuto. L'album però si sviluppa velocemente infilando una
manciata di brani brevi e con la struttura simile. Ballate tiepide accompagnano la voce di Matt, irrobustite a
volte da spinte elettriche, altre volte diluite in code o pause strumentali. Nonostante il tocco sia
inconfondibile e i pezzi siano costruiti su piccole variazioni, ogni canzone scorre in maniera autonoma senza
seguire strade necessariamente lineari ma aprendosi in esplosioni soffocate o richiudendosi su se stessa.
Rimane intatto il fascino evocativo delle melodie anche se sporcate dalle trame delle chitarre o sciolte nello
scivolare del piano opaco che riempie i vuoti di 'MMV' e 'Body And Soul'. E' un piacere sottile riscoprire il
timbro familiare di Matt inserirsi sull'ultimo minuto di 'Folios', il brano di apertura, che era iniziato con
un'intro strumentale di acustiche secche prima di essere sollevato da basso e batteria. Un piccolo esempio di
canzone costruita su un equilibrio asimmetrico, in cui la voce timida ha un ruolo secondario ed interviene
solo quando l’atmosfera è già stata disegnata. Non bisogna sentirsi disorientati nel passare da episodi ricchi
di divagazioni e astrattismi a momenti più coesi, è più facile lasciarsi trasportare da un'emotività che alterna,
grazie ad una personalissima vena cantautorale, confidenza ed abbandono, gioie sommesse e delusioni.
Spicca poi 'The Company I Can Get', brano diretto ed efficace. Le liriche tra l’amaro e l’ironico si appoggiano
su una traccia lontana di piano e su una chitarra che improvvisamente si fa tremolante. Colpisce anche la
ruvidezza lo-fi di 'The Door Opens' che con la sua elettrica immediatezza svolge anche la funzione di snodo
del disco separando una prima parte diretta ed istintiva da una seconda decisamente più dimessa. Costruite
su strutture essenziali, alle canzoni della seconda metà bastano pochi sussurri e qualche linea di piano. La
voce arriva dopo, gradualmente prende corpo, e trova il coraggio necessario per seguire i crescendo di 'My
Neighborhood' o della conclusiva 'The Idea Of You'. Qui la tensione sotterranea esplode, le energie si
sciolgono insieme alle chitarre in un’apertura liberatoria che sa di rabbia e di ossigeno. (7/10)
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BAND: THE NEW YEAR
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PAG. 16
KALPORZ
http://www.kalporz.com/recensioni/new-year-new-year.htm
Una chitarra insegue una nota, ostinata e gentile. E poco a poco, tutti gli altri strumenti la circondano,
riempiono l’aria: ogni cosa è semplice, ma tutto è cesellato con la stessa cura che uno scultore metterebbe
nel realizzare una piccola statuina di legno. “Folios”, la canzone che apre silenziosamente il nuovo album dei
New Year, è un esempio perfetto di ciò che i fratelli Kadane hanno fatto fin dai tempi dei Bedhead. Non
musica, ma intaglio: ogni nota è un gesto di bilanciamento da sommare a mille piccoli movimenti simili.
E appare tutto naturale da superare i primi ascolti senza lasciare traccia. Facile liquidare “The New Year”
come qualcosa di ben fatto e ben scritto, sì, ma con ben poco di memorabile: eppure, proprio mentre riponi
il cd sullo scaffale, il ritornello triste e sbilenco di “The company I can get” si infila in quell’angolo della
mente che guarda il mondo con gli occhi bassi, e da lì non se ne va più.
E allora torni di nuovo a questo disco (il primo che, nel titolo, non comprende l’idea della fine, come
facevano invece i precedenti “Newness ends” e “The end is near”), e scopri molto altro: l’irruenza di una
“The door opens” seduta tra le pagine migliori di Pinback e Silver Jews, una “Wages of sleep” che ha in sé la
stessa luce estatica dei Mazzy Star, i rimpianti sussurrati di “MMV” o l’abbraccio discreto del pianoforte di
“Body and soul”, fino una “The idea of you” che prova a scrollarsi di dosso la malinconia a colpi di elettricità,
fino a rinchiudersi in un sorriso silenzioso.
E così che queste canzoni se ne vanno, senza clamore né strepiti: nuove pagine di un’America dimessa e
pensosa, che canta guardando la sera che scende, appena al di là di una finestra di casa.
KRONIC
http://www.kronic.it/artGet.aspx?cID=35032
Assuefazione alla qualità. Nel genere, la migliore, quantunque manchi il pezzo raro, quello oltre ogni
valutazione per pregio. Tuttavia quel che c’è basta. Eccome.
Il nuovo disco dei New Year, quindi, altro non è che un normalissimo (per inerzia ottimo) disco dei fratelli
Kadane. Non sono più i Bedhead col loro manifesto di certo slow core ( al periodo le rarità abbondavano
come le ciliegie a primavera), manca il clamore dei dieci-singoli-dieci offerti con l’esordio della nuova griffe,
forse è stata un po’ scrollata la complessa inquietudine dell’ultimo “The End Is Near”. Eppure, fatte le debite
sottrazioni, nulla manca ad un album in cui la narcolessia (l’incipit rarefatto d “Folios”) si adagia sulla
melodia, vivendo attraverso rintocchi di piano mai così approfonditi (“MMV” e Body And Soul”), rifuggendo
nel consueto pathos emotivo sulfureo (“The Company I Can Get”), mentre la ballata trova perfetto
compimento prima nella delicatezza (“My Neighborhood”) e poi nel rumore (“The Idea Of You”). Con un
tuffo nostalgico in quel passato così abbagliante (sempre di Bedhead si parla) che tutto può sembrare
eccetto che sgradito (“X Off Days”).
Non sono certo un segreto, oggi, i Kadane, eppure, ogni volta, restiamo sorpresi, come fosse il primo
incontro. Con commozione annessa.
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BAND: THE NEW YEAR
TITLE: S/T
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PAG. 17
ULTRASONICA
http://www.ultrasonica.it/site/modules/recensioni/index.php?op=r&rev_id=448&cat_id=1
Tornano sulla lunga distanza, ben quattro anni, i fratelli Kadane con il loro progetto 'The New Year' che in
questa veste dà anche il titolo all'album. Un omaggio a se stessi o forse il sintomo che si stia cambiando
direzione, anche perché di un'abitudine fatta di chitarre troviamo solo più uno strascico trainato da un
pianoforte che domina almeno un buon cinquanta percento dello spettro armonico di questo nuovo lavoro.
Ci stiamo allontanando poco per volta dai paragoni con i Bedhead, precedente formazione dei due meno
dissimile dai precedenti lavori. Qui si parla di frustrazione, di cambiamenti e di vuoti mal celati che
difficilmente si sa come riempire, eppure ad un primo ascolto, il brio di alcune composizioni non lascia intuire
questa sorta di disagio interiore. Ma la musica è soggettiva ed umorale magari domani lo riascolto e scrivo
qualcosa di totalmente diverso. Prendetela così, un disco di piacevole Indie-folk ben scritto, suonato e
cantato. Ormai Matt e Bubba ci hanno abituati bene, cambiano un po' linea ma alla fine troviamo sempre
loro ed il loro modo di fare musica dietro ogni nota e ogni frase di questo disco.
INDIE-EYE
http://www.indie-eye.it/recensore/2008/10/the-new-year/
Chi ha seguito con passione e dedizione tutta l’epopea di Matt e Bubba Kadane a partire dagli anni ’90 sa
che i due fratelli hanno bisogno di tempo per comporre un disco. Pochi e imprescindibili sono stati gli album
dei Bedhead, pochi e significativi sono stati i lavori firmati con la sigla The New Year. Tutto suona così
familiare eppure, a un tratto, diverso in questo nuovo e omonimo capitolo della saga. Si intuisce fin dal
crescendo iniziale di “Folios” che è cambiato qualcosa. Una sensazione, un’atmosfera che pervade l’intero
album e che si fa largo tra le consuete melodie, tra le chitarre profonde e gli arrangiamenti minimali. Se la
continuità con il passato sad-slow-core è comunque garantita dalla discreta presenza di Chris Brokaw (uno
che di ‘lentezza’ se ne intende…) e da quella di Steve Albini, per la prima volta il suono dei fratelli Kadane è
improntato alla ‘leggerezza’. Rispetto ai Bedhaed già le precedenti prove a nome The New Year si
distinguevano per uno spiccato avvicinamento a una forma-canzone più tradizionale, ma qui il passo è
ulteriore. La malinconia che ha sempre caratterizzato il loro suono si fa quasi romantica, rassicurante,
compiaciuta. La morsa della disperazione che prima attanagliava durante l’ascolto lasciando incapaci di fare
qualunque cosa che non fosse fumare l’ennesima sigaretta è qui attutita, come spuntata. Non c’è più rabbia,
ma si respira piuttosto il profumo di una triste, rassegnata pace. Nella conclusiva “The Idea Of You” si
intravede addirittura della speranza. Tutto ciò non vuol dire che si tratti di un brutto disco anzi, la presenza
di queste due dimensioni antitetiche e così immediatamente percepibili produce un effetto spiazzante che
assicura un ascolto intenso. Se siete pronti a seguire i fratelli Kadane anche su questo nuovo sentiero, “The
New Year” vi regalerà delle canzoni splendide, animate come sempre da una scrittura fuori dal comune.
Meritano senza dubbio la citazione il singolo “The Company I Can Get” e la bellissima “Seven Days And
Seven Night”, così come le spigolosità anni ’90 di “The Door Opens” e “X Off Days”.
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BAND: THE NEW YEAR
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PAG. 18
SOUNDCONTEST
http://www.soundcontest.com/recensione.php?id=241&categoria=
Come una cascata d’acqua nel cadere diventa piu' lenta e sospesa, cosi' la musica dei New Year diluisce e
stempera la sua potenza espressiva in un flemmatico processo “in fieri” fatto di alte e basse maree, risacche
ritmiche e improvvisi flussi emozionali. È una questione di lenta dilatazione la ricetta sonora tanto cara ai
fratelli Bubba e Matt Kadane, forgiata dapprima nella fucina a meta' strada tra il post rock e il slow-core dei
gloriosissimi Bedhead e successivamente raffinata nel sottoscala liricamente cantautorale della ditta New
Year. Il terzo capitolo discografico del quintetto texano giunge a quattro anni di distanza da The End Is
Near, un lavoro estremamente conciso (soli trentaquattro minuti, parenti della mezz’ora spesa per il debutto
Newness Ends), prodotto ancora da Steve Albini e prevalentemente arroccato sul suono del piano, sontuoso
e solenne in The Company I Can Get e My Neighborhood ma anche crepuscolare e malinconico in MVV e
nella bellissima Body And Soul. Restano comunque peculiari le asciutte ed estese code strumentali su cui la
band erige in progressione dialoghi chitarristici armonicamente tersi ma tonalmente contrapposti, refrain
melodici su cui il canto oscilla austeramente velato tra le corde dell’anima (Folios, Seven Days And Seven
Nights), scoprendo la sua pungente urgenza in X Off Days e The Door Opens, due pezzi che insieme alla
vena rumoristicamente pop di The Idea Of You rammentano come i New Year sappiano ancora cavalcare il
ritmo con la sanguigna visceralita' e spiritualita' indie rock delle vecchie stagioni. Inutile pretendere
rivoluzioni e innovazioni da chi ne ha gia' fatte e forse, a buon ragione, reputa meglio lasciare tali
incombenze alle nuove leve. I valori degni di nota di The New Year sono piuttosto il carattere e la coerenza,
unitamente al fatto che vi dimorano ottime canzoni, genuine, digeribilissime e senza colestero. (7/10)
FREAKOUT
http://www.freakout-online.com/album.aspx?idalbum=1535
The New Year è il progetto di Matt e Bubba Kadane, già leader dei seminali Bedhead, e il loro ultimo disco
– il terzo in quasi dieci anni - è un piccolo capolavoro.
Un disco autunnale, che qualche anno fa si sarebbe definito senza esitazione “slow-core” (si usa ancora
questa definizione, nel 2008?). Un disco dove non c’è una nota fuori posto, ogni cambio di accordo è
soppesato a dovere, ogni cambio di tonalità è una piccola scossa alla base di una struttura sonora solida e
ricamata con grandissima cura.
“The company I can get” dondola su di un piano malinconico, “X Off Days” abbina una voce dimessa ad un
turbine ritmico ossessivo (alla batteria, per la cronaca, c’è Chris Brokaw, ormai considerabile vero e proprio
guru della scena indie americana), “The Doors open” sfodera un basso ruggente, “MMV” è una piano-ballad
da brividi, l’elettro-acustica “Seven Days and Seven Nights” da’ la sensazione di esplodere da un momento
all’altro, ma il suo crescendo non sfocia mai in qualcos’altro, arrivando fino alla fine tanto lento ed
impercettibile quanto emozionante. Ma in quasi tutti i pezzi la costante è un fantastico lavoro di intreccio tra i
riff e i brevi assoli delle chitarre, che si sovrappongono, compaiono, scompaiono, dialogano costruendo
percorsi circolari, ossessivi, austeri e minimalisti. L’intensa “The Idea Of You”, ultima traccia del cd,
racchiude un po’ tutti gli umori e le dinamiche del disco: una ballad lenta ma intervallata da intense
esplosioni di chitarre in distorsione, una voce quasi rassegnata è accompagnata da musica intensa e
profonda. Gran bel disco davvero.
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BAND: THE NEW YEAR
TITLE: S/T
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PAG. 19
ROCKSHOCK
http://www.rockshock.it/news.asp?id=3581
The New Year è il disco perfetto per chi predilige il motto radioheadiano “No alarms and no surprises”.
Che la musica dei fratelli Kadane non fosse particolarmente vivace, lo si sapeva già dai tempi della loro
prima band , i Bedhead.
Una svolta un po’ più decisa sembrò avvicinarsi con la fondazione dei The New Year, all’inizio del terzo
millennio: un nuovo anno per un nuovo stile? Macchè, ma va bene così. Evviva la coerenza, perché ci vuole
coraggio dopo quasi vent’anni a rimanere sempre gli stessi: placidi, timidi, disincantati.
E così i nostri continuano a crogiolarsi in un’originalissima mestizia anche in questo terzo album firmato The
New Year (di nome e di fatto): fughe malinconiche che durano il tempo di un’emozione, progressioni
chitarristiche che partono leggere, come sentimenti appena emersi, per poi svilupparsi in un’intensità così
coinvolgente da assumere caratteristiche universali, anche quando l’apporto vocale quasi è assente (Folios).
Agli uditi più grezzi e impazienti The New Year potrà sembrare un unicum apatico dalle melodie uniformi, ma
l’apparenza inganna: questo album necessita di grande attenzione per sprigionare la sottile magia che
nasconde.
Sotto una scorza di indifferenza c’è infatti una tenue nostalgia, amministrata con dolcezza tramite sonorità
arrangiate con cura e tappeti di chitarre per lo più compassati (Seven Days and Seven Nights, MMV) ma a
tratti rock, come dimostra l’altalena ritmica di The Idea of You, unico momento del disco in cui si
susseguono repentinamente accelerazioni e pause.
Nonostante le parti vocali siano vagamente sonnacchiose (My Neighborhood), il torpore non prevale, tanta è
la grazia che l’avvolge: esemplificativo in questo senso l’utilizzo del piano nella ballata Body and Soul,
ennesimo gioiellino di rara intensità.
Un’esperienza emozionante, di equilibrata grandiosità anche nelle parentesi più “normali”(il rock pop di The
Company I Can Get): basta possedere un minimo di sensibilità e concedersi il privilegio di una quarantina di
minuti liberi per ascoltare.
“No alarm and no surprises people”, questo è l’album per voi. (8/10)
LOUDVISION
http://www.loudvision.it/musica_recensioni-the-new-year-the-new-year--2248.html
Lo slowcore come unico modo per rendere in note un'urgenza che dura da anni, tre lustri di malinconia
rabbiosa stretta tra i pugni e riversata sulle chitarre con una timidezza solo apparente. Mettersi a nudo nelle
proprie debolezze, le proprie paure e i propri problemi. Sbucare dalla penombra protendendosi verso la luce
che è lì, lo sai, e non provi altro che ad afferarla. Questa è la (difficile) via che hanno intrapreso i fratelli
Bubba e Matt Kadane, con i Badhead prima e con i The New Year adesso. Questo il percorso che li ha portati
al terzo album con nuovo moniker, frutto di 5 anni di lavoro.
Ma non sono più gli anni novanta e i giovani slow-corer di un tempo si sono trasformati in una crisalide
matura fatta di paesaggi chitarristici e pianistici dipinti con maestria, scalfiti da indolenti pennellate di
rumore, che per l'occasione diventa leggiadro, come in "The Door Opens" e nella conclusiva "The Idea Of
You". Viene in mente Geoff Farina, ascoltando pezzi come "The Company I Can't Get", ma non come
ispirazione, quanto più come rimpianto per ciò che poteva essere.
Il suono non graffia, ma fa male lo stesso. La ritmica è più costante, ma la testa si muove in fluttuanti
infinite oscillazioni tra un battito e l'altro. La voce non piange più, ma fa piangere più di prima.
E senza accorgertene sono già passati i 34 minuti che compongono questo album, e sempre senza
accorgertene il primo brano è già reiniziato.