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Prima edizione, ottobre 2014 - Le Tormente 6
L’artwork in copertina è di Davide Maspero
Stampato nel mese di ottobre 2014 da GESP - Città di Castello (PG)
ISBN: 978-88-96131-67-1
Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, in qualsiasi formato,
senza l’autorizzazione scritta dell’Editore
La presente opera di saggistica è pubblicata con lo scopo di rappresentare un’analisi
critica, rivolta alla promozione di autori ed opere di ingegno, che si avvale del diritto di
citazione. Pertanto tutte le immagini e i testi sono riprodotti con finalità scientifiche,
ovvero di illustrazione, argomentazione e supporto delle tesi sostenute dall’autore.
Si avvale dell’articolo 70, I e III comma, della Legge 22 aprile 1941 n.633 circa le
utilizzazioni libere, nonché dell’articolo 10 della Convenzione di Berna.
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INDICE
PREFAZIONE, di Francesco Coniglio....................................... 9
INTRODUZIONE: IN VIAGGIO PER IL VIGORELLI...............21
PARTE PRIMA
IL VOLO DEL DIRIGIBILE
I
II
LA NASCITA DEL MITO................................................. 29
ALLA CONQUISTA DEL MONDO................................ 45
INTERLUDIO .......................................................................... 61
PARTE SECONDA
IL BEL PAESE
III
IV
V
VI
ANNI DI PIOMBO......................................................... 65
1971, SEI MESI DI FUOCO.............................................85
MUSICA ITALIANA........................................................ 93
IL CANTAGIRO............................................................ 109
PARTE TERZA
L’ATTERRAGGIO
VII I LED ZEPPELIN IN ITALIA..........................................127
VIII A MILANO.....................................................................143
INTERLUDIO.......................................................................... 157
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IX
X
XI
“SONO VENUTI SOLO PER GLI ZEPPELIN”............. 169
“PIACERE, SONO JIMMY”.......................................... 199
BATTLE OF EVERMORE: LOTTA CONTINUA............209
PARTE QUINTA
IL GIORNO DOPO
XII CRONACA DI UNA GUERRIGLIA ANNUNCIATA...... 229
XIII IL FUMO SI DIRADA................................................... 243
EPILOGO: LA CANZONE (NON) RIMANE LA STESSA......273
APPENDICE 1: LE VOCI NARRANTI..................................... 287
APPENDICE 2: TRACCE SONORE....................................... 291
IMMAGINI ............................................................................ 293
FONTI.................................................................................... 295
RINGRAZIAMENTI................................................................301
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PARTE QUARTA
LA LUNGA NOTTE DEL VIGORELLI
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Francesco Coniglio
PREFAZIONE
11 dicembre 1974, ore 17.00, Aula Magna del Liceo Classico Giulio
Cesare di corso Trieste, uno degli istituti più autorevoli di Roma. Concerto Jazz dei gruppi della scuola. In ordine di apparizione: Bass Reflex
(Avevano due batterie ed erano tutti ragazzi del IV ginnasio: inutile dire
che il rumore fu immenso ma di musica non se ne sentì minimamente), I
Ciliati (noi entrammo per secondi e iniziammo il nostro repertorio di pezzi
originali che il pubblicò dimostrò di gradire abbastanza), King Lumumba
Danda & Co. (che fecero schifo), Il Tallone d’Achille (che dopo un inizio
fichissimo degenerarono), Seduta Stante (che fecero più schifo di tutti). I
corsivi, evidentemente partigiani, sono tratti da un quaderno dell’epoca
del mio compagno di scuola, il batterista Massimo Cilia. Fu il primo
concerto “ufficiale” organizzato nel prestigioso e serioso liceo romano, dedicato alla musica pop. Quando parlammo con il vicepreside, il
prof. Dini, sponsorizzati dal nostro illuminato professore di Filosofia
Lauretta, accolse con molto interesse la nostra proposta di organizzare
un concerto di musica pop in Aula Magna, ma ci pregò di definirlo
Concerto Jazz, poi ciascun gruppo poteva suonare quello che voleva.
Era una questione d’immagine, la musica “pop”, come veniva definita
allora, portava con sé un pesante fardello di politicizzazione estremista
e nell’accezione comune dei moderati, ma anche della sinistra tradizionale, il “concerto pop” era assimilato a “casino e disordini” e “botte
e lacrimogeni”. Figuriamoci in un titolato Liceo Classico individuato
come “fascio”.
Ma la musica pop era trasversale, se in un importante liceo della
Capitale sei gruppi erano in grado di esibirsi, ce n’erano il doppio che
suonavano nelle loro cantine. La musica attiva, suonata, coinvolgeva
più del 20% della popolazione studentesca. Un ragazzo su cinque in
Italia tra il 1970 e il 1975 suonava uno strumento. E tutti cercavano
di costituire dei gruppi. Era comunissimo l’effetto Stu Sutcliffe (era un
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Scriveva Dario Salvatori nel suo coraggioso libro Contro l’industria
del Rock del 1973: «Fino al 1970 non esistevano regolari tournée che
si svolgevano in Italia. Capitava qualcuno così, ogni tanto, una volta
l’anno. Poi dalle brume del nord, dal sottobosco milanese arrivano Mamone e Sanavio, con un minimo di capitale, con idee apparentemente
chiare, portano in Italia i Jethro Tull. È un grande successo; primo
perché è il momento d’oro dei Jethro di Ian Anderson, poi perché è
il momento giusto e soprattutto perché i ragazzi vedono per la prima volta un concerto come si deve. Venti giorni dopo i due compari
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amico di John e Paul che non sapeva suonare, fu convinto a comprarsi
il basso e a suonarlo perché mancava un bassista al gruppo per esibirsi):
in quasi tutti i complessi c’era almeno un elemento “arruolato” solo perché amico e compagno di scuola o perché i genitori erano benestanti e
potevano acquistargli uno strumento, ma non sapeva suonare e doveva
imparare per forza. Questa ondata di giovani che si dedicavano alla
musica era più estesa e coinvolgente della precedente degli anni ’60,
perché in quel quinquennio si incrementarono a dismisura le vendite
dei dischi in vinile a 33 giri, definiti comunemente LP, contemporaneamente alla diffusione dei registratori a cassette (il celeberrimo K7
EL 3302 della Philips), che consentivano rapidamente di riprodurre i
dischi su audiocassetta e diffonderne copie a basso costo fra gli amici e
di registrare musica pop direttamente dai programmi radio. In edicola
ci fu la massima fioritura di riviste specializzate in musica pop sia in
termini di copie vendute che di diversificazione di testate. Questa serie
di circostanze, a tutt’oggi mai indagate e approfondite dagli storici,
ampliarono esponenzialmente il desiderio e la domanda di fruizione
di musica pop. E in quegli anni nacquero le prime scuole di musica
“popolari” fondate e gestite da musicisti dove si poteva iscriversi a costi
contenuti al corso di chitarra elettrica, di tastiere, di flauto traverso, di
batteria e di basso. Centinaia di migliaia di ragazzi su tutto il territorio,
entusiasmati dalla musica pop, decidevano di imparare a suonare uno
strumento e si riunivano per suonare insieme. In quegli anni si ricorda
il boom di aperture di negozi di strumenti musicali, persino nelle più
piccole città di provincia. In questo contesto anche i primi concerti di
musica pop avrebbero dovuto avere un successo clamoroso. Ma non
andò esattamente così.
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portano i Ten Years After; palasport pieni anche per loro. Poi comincia
la routine, dove questi stessi due gruppi vengono portati in Italia annualmente con esibizioni sempre più brutte. Ma ormai per Mamone e
Sanavio questo non è più un problema; la musica, la scelta dei gruppi,
sono quesiti vecchi, ormai la loro è industria, perfettamente programmata e con tanto di società alle spalle. Il resto non conta».
Le contestazioni ai prezzi dei biglietti iniziano il 1° ottobre del 1970
al concerto conclusivo dei Rolling Stones, al Palalido di Milano, e proseguono con i concerti dei Santana, dei Chicago e di Elton John nel
1971. Ma non si tratta di contestazioni fini a se stesse, c’è per la prima
volta una teorizzazione politica alla base e i contestatori sono intellettualmente sollecitati dalle pagine del quotidiano «Lotta Continua», del
mensile «Re Nudo» e dai Volantini di «Stampa Alternativa».
«Garibaldi guidava, Jo vicino a lui faceva da secondo pilota (era già
stato a Milano) dietro io (il Bocca) e il Nada. L’auto era una 500. 30 gennaio 1971. Tutti avevamo un soprannome: Garibaldi perché aveva la barba bionda, Jo perché aveva i capelli da afroamericano alla Hendrix, Nada
perché era magrissimo, io perché avevo le labbra carnose come Mick Jagger,
il Bocca appunto.
Da Desenzano del Garda a Milano c’erano 120 km, ma in 500, nel
1971, era un viaggio. Un Viaggio vero. Era il mio primo concerto, ma a
quei tempi era come andare a New York. Un viaggio Mistico.
Avevo 16 anni, ero il più piccolo, per cui tutti si sentivano in dovere
di spiegarmi come sarebbe stato. Arriviamo davanti al teatro Smeraldo. I
Jethro Tull avevano già suonato alle 16 e noi eravamo lì per il concerto delle
20.
I miei genitori non sapevano niente, avevo detto che restavo fuori per un
compleanno. Fu meraviglioso! Quella sera presentarono il nuovo disco di cui
nessuno sapeva nulla. Per tornare (120 km) ci mettemmo 4 ore!! Per anni
Aqualung è stato uno dei miei dischi preferiti.
Si partiva spesso in autostop, due alla volta. Riuscivamo a vedere anche
due concerti a settimana. I soldi erano molto pochi, a volte non mangiavamo
nulla, bevevamo acqua dalle fontane, per cui cercavamo di non pagare. I miei genitori già mi supportavano negli acquisti di fumetti, non potevano certo finanziarmi quelle continue trasferte. Trasferte che per me erano
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indispensabili. La musica di quegli anni era la colonna sonora del cambiamento del mondo. Sentire la musica era indispensabile, come mangiare. Il
mio cervello voleva ascoltare i nuovi suoni, le nuove melodie, il nuovo modo
di porsi al mondo.
Andare a un concerto era come essere introdotto al livello superiore della
conoscenza del nuovo mondo. L’unico difetto era che le ragazze erano poche. Il rock era roba da maschi. Solo ai Festival di Re Nudo c’erano anche
le ragazze: Ballabio, Erba, Alpe del viceré. Nei concerti le ragazze erano
indistinguibili dai ragazzi, avevamo tutti i blue jeans, t-shirt o camicia e
capelli lunghi cresciuti senza taglio da parrucchiere. Mentre i nostri coetanei
andavano in discoteca per rimorchiare, noi andavamo ai concerti per stare
insieme, per stare tra noi, a world apart. E nessuno poteva speculare su
quella nostra passione. La musica era nostra, era di tutti noi. Non potevamo
certo pagare per quello che consideravamo un diritto. Eccheccazzo!
Rory Gallagher, Genesis, Roxy Music, Audience, Van Der Graaf, Yes,
Grand Funk, Rod Stewart, Humble Pie, Elton John, Procol Harum, Led
Zeppelin, Santana, Chicago, Incredible String Band, Black Widow, Black
Sabbath, Ten Years After... ascoltavamo di tutto. E i lacrimogeni erano nel
conto. Bastava portarsi un limone e via.
Ci si trovava ai lati dell’entrata dei palasport. A Reggio Emilia per
King Crimson, a Udine per Traffic, a Milano per Emerson Lake & Palmer,
a Vicenza per West Bruce e Laing, a Roma per Cat Stevens. E si sfondava.
La musica era un diritto e noi ce lo prendevamo. Ovunque fosse il concerto.
Una sera, vicino a Brescia, c’erano gli Amazing Blondel ed eravamo solo
sette persone. Ci hanno fatto entrare gratis e accomodare sul palco. Il gruppo
ha suonato senza amplificazione solo per noi. Fantastico. La ragazza che
avevo portato al concerto mi ha lasciato dicendo: “Resto qui con il cantante,
se vuoi ci rivediamo a Viareggio fra tre giorni, sai loro suonano lì”.
Così è stato. Tre giorni dopo sono andato a rivederli a Viareggio e a riprendermi la ragazza. Altri tempi!
Eravamo giovani e ci siamo divertiti un casino.
Comunque poi non mi sono certo perso: Clash, Sex Pistols, Ramones,
Talking Heads, Devo, Contorsions, Lydia Lunch, B52, Police e lì, devo
dire, che le ragazze erano di più, molte di più». (Giancarlo Soldi, regista,
scrittore, documentarista, storico dell’immagine – dichiarazioni rese al
prefatore)
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«Sono stata a un paio di concerti in cui già avveniva “il tuffo”: la gente
in alto nel palasport, che pagava il biglietto molto meno di quanto costasse
giù dove c’era il palco, a un certo punto del concerto si buttava giù, e naturalmente c’erano un po’ di disordini. È lì che ho cominciato a pensare che le
cose sarebbero peggiorate. Non mi sono impaurita per nulla, semplicemente
temevo che avrebbero sospeso i concerti, e così è stato.
Quando al primo concerto, in prima fila con la mia amica americana
Gioia (era lei che mi aveva portata, era un po’ più grande di me, io avevo
14 anni), avevamo il palco a quattro metri e forse meno, ci siamo messe a
chiacchierare con i membri del gruppo prima dell’inizio del concerto, mentre
posizionavano gli strumenti. Una cosa divertentissima. Loro carini, gentili, molto orgogliosi che due ragazzine stessero lì a sentirli.
I Deep Purple strepitosi... ero come sempre giù, ma non vicinissima al palco, quindi a un certo punto col mio amico, il mio vicino di casa Claudio G.,
che era alto un metro e novanta, decidiamo di salire sulle sedie. Quando siamo
usciti ci siamo messi a camminare cercando di arrivare a casa a piedi, senza
sapere la strada. Ci siamo persi, abbiamo camminato fino alle cinque quando
è passato un taxi... ma sentendo a tutto volume col registratore portatile a
nastro quello che avevamo registrato... pazzesco. Bisogna averlo provato...
C’era un clima bellissimo. Quando andavamo ai concerti era normale
parlare con tutti, e se c’erano i concerti nei parchi ti appoggiavi schiena contro schiena al vicino chiunque fosse, per stare più comodo. Se qualcuno aveva
la macchina (si girava quasi tutti a piedi e con il bus) accompagnava chi
poteva, pure se erano sconosciuti. Si tornava a casa in sei in 500... non riesco
a capire come fosse possibile, ma era così.
Al concerto dei Pink Floyd grande delusione. Avevano deciso, gli organizzatori, di tenere tutte le luci accese. Palasport, luci da ospedale, orrendo.
Non ci siamo gustati per niente la musica. Avevano paura che al buio ci
potessero essere disordini...
Tutto avveniva sulla pelle del pubblico, cioè nostra, e degli artisti se i
concerti si facevano se i dischi si vendevano, i meno scemi di noi sapevano
benissimo che a guadagnarci veramente erano organizzatori, discografici e
tutta quella gente lì, a cui magari di quella musica non importava nulla e
forse addirittura la schifavano. Se i concerti non si facevano il danno era
per noi e per gli artisti. I prezzi dei concerti? Ma per favore... costavano
tanto se volevi avere posti comodi sotto il palco, questo però solo nei teatri,
altrimenti erano accessibilissimi.
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«Il primo concerto in assoluto, ufficiale, per il quale avevo risparmiato
tascate di paghette fu quello dei Rokes ed Equipe 84 al cinema Lux di Pistoia, credo 1966/67. Io avevo già comprato due 45 giri degli Who, per dirti
a 11/12 anni quali erano i miei gusti... ma a Pistoia era già un evento se
venivano Rokes e Equipe...
Poi, tra i 15/16 anni, cominciai ad andare al Piper di Viareggio che tra
il ’70 e il ’71 avevano riciclato da discoteca beat a locale per concerti rock...
era un capannino cubico prefabbricato sulla passeggiata del lungomare... un
buco per 2/300 persone a stiparle. Ma furono un paio di anni di orgasmi, ci
passarono tutti... vidi i Genesis della primissima tournée per il tentativo di
lancio di Nursery Crime, eravamo in 15, credo... forse compresi loro cinque.
Ero seduto per terra ai piedi di Peter Gabriel (non c’era il palco), aveva una
piccola cassa a pedale legata al piede che si ruppe subito e io gliela tenevo
ferma per tutto il concerto. Gli enormi Orange li avevo a mezzo metro dal
naso e quando scoppiò il crescendo dell’assolo di chitarra di Steve Hackett su
The Musical Box mi si scoperchiò il cervello... e a tutt’oggi sono a cervello
scoperchiato. Poi i Van Der Graaf, Soft Machine, Colosseum, le Orme, Il
Banco del Mutuo Soccorso...
L’anno dopo cominciai ad allontanarmi ancora di più da casa (a Pistoia):
Bologna per i Jethro Tull, Reggio Emilia per Emerson Lake & Palmer e per
la seconda volta i Jethro che si portarono come band di supporto i clamorosi
Gentle Giant, altra folgorazione fotonica-valvolare... fecero così successo tra
il pubblico che non li lasciavamo andar via, musica mai sentita, celestiale e
bestiale... Jan Anderson dovette salire sul palco, incazzato come una biscia
per farli smettere di suonare prendendosi una grandinata di fischi scemoscemo e vaffanculo. Poi nottate a Firenze allo Space Electronic, anche lì
per un periodo passarono tutti. A Firenze Rifredi, vidi uno dei primissimi
concerti degli Area, dove davano una specie di Long-Playing casareccio con
un paio di pezzi del primo disco, Arbeit Macht Frei, non ancora uscito
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Tra quelli che si scatenavano non tutti capivano di musica. Si faceva
casino tanto per farlo. “Riprendiamoci la musica” e “La musica deve essere
gratis” erano gli slogan. Dietro c’era anche qualche “geniale” pensatore che
dovrebbe fare perlomeno autocritica, ma che non l’ha mai fatta.
(Susanna Schimperna, scrittrice e saggista)
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ufficialmente. Pioveva a dirotto, ci stipammo dentro il locale e Tofani (che è
fiorentino) cercava di calmarci perché eravamo incazzati tutti per l’attesa
sotto la pioggia... il caos era crescente, non si capiva un cazzo... ogni tanto
sfumacchiava e sfrigolava qualche amplificatore... c’era un’elettricità pazzesca... Demetrio Stratos, che nessuno di noi sapeva chi cazzo fosse, ebbe la
formidabile idea di intrattenerci con un giochino basato sull’energia statica
che collegata a cavi e a un paio di sintetizzatori si trasformava in strani
suoni... lui teneva in una mano i cavi e con l’altra prese la mano di uno
del pubblico, incitandolo a prendere a sua volta la mano del vicino... più
le mani aumentavano più i sintetizzatori articolavano suoni sempre più
complicati e distorti... poi Stratos collegò al tutto anche la sua voce con un
microfono che si era appiccicato alla bocca con lo scotch... per un po’ il giochino
fu magico e sentimmo dei suoni bellissimi e modulati ma dopo un po’ cominciammo a sentire delle schicchere pazzesche, sempre più forti... delle scariche
di volts in tutto il corpo, ci lasciammo le mani urlando, un casino pazzesco...
vidi che Demetrio dalla schicchera in bocca era finito col culo per terra travolgendo la gran cassa della batteria. Tornai a casa in autostop, come quasi
sempre, bagnato come un topo bagnato tenendo in mano ’sto pezzo di cartone
(bagnato fradicio) con dentro un improbabile LP... Quando però la mattina
dopo, tornato da scuola, lo misi sul piatto e partirono le prime note di Luglio
Agosto Settembre Nero! decisi all’istante che quella ERA LA MUSICA.
Non mi è mai fregato nulla delle contestazioni ai concerti, le ho sempre
trovate fuori luogo a dir pochissimo. Erano strumentalizzazioni di pochissimi, mi davano un fastidio profondo, anche perché essendo addentro alla
situazione del movimento politico studentesco conoscevo benissimo quelli che
cominciarono con le violenze e gli sfondamenti... spesso erano quelli con più
soldi in famiglia, quelli che qualche anno prima invidiavo perché potevano
permettersi di comprare dischi, moto... io da squattrinato vero, volevo la
musica. E volevo pagare quel prezzo giusto, perché all’epoca era davvero
giusto il prezzo per due-tre a volte quattro! ore di musica meravigliosa.
Con il tempo poi diventai anche amico di parecchi musicisti, che seguivo
spesso nei loro giri per localacci e sgangherati palasport... un lavoro bellissimo
ma durissimo, i gruppi all’epoca si dovevano arrangiare, caricavano la strumentazione, l’amplificazione, guidavano i furgoni traballanti, allestivano
i palchi, sistemavano le luci, si occupavano del mixer... poi facevano le prove e degli pseudo sound-check pochi minuti prima dell’inizio del concerto...
tutto questo per sentirsi insultare e aggredire da quattro fighetti incazzati
-15-
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«Ho cominciato bene, il primo concerto a cui sono stato è stato quello dei
Beatles all’Adriano a Roma, nel 1965, avevo 14 anni, e poi (ma non erano
considerati concerti, anche se in realtà lo erano) nell’autunno di quell’anno
i Giganti e i Camaleonti al Piper: erano tutti e due belli tosti e suonavano
cose molto tirate, con bella padronanza del palco. Poi mi ricordo al mare
in Toscana, una sera ascoltai fuori dal cancello del dancing i Ribelli, era il
1967. Ma non andavo mai fuori Roma, primo perché non mi era permesso
e poi perché non avevo i soldi per farlo.
Quando si sono scatenate le prime contestazioni ai prezzi dei biglietti
provavo una sensazione di fastidio, soprattutto perché pensavo a quelli (e
c’ero anch’io tra di loro) che si erano fatti il mazzo per comprarsi il biglietto
e che vedevano saltare tutto il programma.
In parte erano giustificate, ma non giustificavo né la musica gratis a ogni
costo né le violenze contro le forze dell’ordine che erano lì per tutelare la
sicurezza di quelli che al concerto volevano andarci.
Il concerto più bello è quello che non sono riuscito a vedere... Dopo i Beatles potevo mancare i Rolling Stones a Roma? No, naturalmente. E così
racimolai un po’ di soldi per il mio compleanno e comprai il biglietto per gli
Stones al Palasport. Ma una settimana prima mi venne il morbillo, a sedici
anni! Quando si dice la sfortuna... Riuscii a piazzare il biglietto e a non
perdere i soldi, ma la rabbia fu tale che non mi ricordo a chi lo diedi e, col fatto che dovetti tornare a scuola parecchio tempo dopo, non chiesi neanche mai
nulla del concerto alla persona a cui avevo ceduto il biglietto. Molto bello il
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perché avevano dovuto pagare 1000 o 2000 lire... e magari all’ingresso ne
avevano sborsati più del doppio per le dosi di droghe varie, perché c’è anche
da ricordare che la maggioranza erano fatti e strafatti cronici.
Magari anche all’epoca c’era già qualche squalo in nuce tra i vari organizzatori di concerti e manager musicali, ma la stragrande maggioranza era gente che lo faceva quasi esclusivamente per passione e gli eventuali
incassi servivano per organizzare subito un altro evento o prolungare la
tournée in corso. I profittatori e gli squaloni veri cominciarono a entrare in
scena due o tre lustri dopo... era dopo la metà degli anni Ottanta e guarda
caso nessuno più contestò un cazzo.
(Riccardo Mannelli, artista, uno dei più grandi illustratori italiani)
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secondo Festival Pop di Caracalla, quello del 1971, i due Festival di Villa
Pamphili, quello del 1972 e quello del 1974, Joe Cocker, Emerson, Lake &
Palmer, gli Who nel 1972, i Genesis nel 1973, Mia Martini nel 1973, in
un piccolo club a Civita Castellana, in provincia di Viterbo, Terry Riley a
Contemporanea nel 1974, nel parcheggio sotterraneo di Villa Borghese, Fabrizio De André nel 1975 a Piazza Navona, i concerti di Leonard Cohen
nel maggio 1993, prima a Roma poi a Milano, De Gregori al Folkstudio
nel 1973 che canta le canzoni della Pecora in anteprima, Dalla e De Gregori allo Stadio Flaminio di Roma nel 1978, un anno prima di Banana
Republic, Lèo Ferré al Teatro Olimpico negli anni Ottanta, Donovan in un
minuscolo giardino dell’Eur per pochi intimi, in una sera d’estate di inizio
Novanta, voce e chitarra acustica... (Luciano Ceri, storico della musica)
_____
Nel corso del 1971, quasi tutti i concerti organizzati in Italia subirono le contestazioni per il prezzo dei biglietti e conseguenti scontri più
o meno violenti con le forze dell’ordine. La stampa quotidiana enfatizzava le cronache degli eventi e la grande maggioranza degli studenti e
del potenziale pubblico dei concerti iniziò a percepire una sensazione
di pericolo all’idea di recarsi a un concerto.
Il 5 luglio, al Velodromo Vigorelli di Milano, l’idiozia e la dabbenaggine degli organizzatori innesca una serie di insidiosi malintesi che
provocheranno il più tragico e violento scontro con le forze dell’ordine. L’idea di abbinare un concerto dei Led Zeppelin a una tappa
del Cantagiro fu la più grande stronzata della storia dei grandi eventi
musicali in Italia. Il libro di Giovanni Rossi, a cui ci è stato concesso
il privilegio di introdurre queste nostre note e testimonianze, è una
straordinaria ricostruzione storica di quell’evento. Un’approfondita e
meritoria ricerca di testimonianze dirette e cronache dei giornali del
tempo, un missaggio avvincente e oggettivo di fonti scritte e storia orale, un lavoro appassionato e pionieristico alla ricostruzione della storia
della musica italiana. Non cessiamo mai di stupirci che in questo Paese,
a livello istituzionale e accademico, si continui indefessamente a ignorare l’importanza dell’indagine storica. Da vent’anni un drappello di
studiosi appassionati, indipendenti e avulsi dalle pastoie accademiche,
indaga e produce, con risorse proprie, testi fondamentali sulla storia
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della musica. Giovanni Rossi e Tsunami realizzano un altro tassello
fondamentale che si aggiunge ai pochi lavori esistenti sull’argomento
di Marco Revelli, di Alessandro Carrera e di pochi altri benemeriti.
Dopo gli sconsiderati fatti del Vigorelli, per tutto il 1972 non si verificarono ulteriori contestazioni alla stagione di quei concerti, ma dal
1973 in poi fu l’inferno. E quella sensazione di pericolo per la propria
incolumità fisica divenne il deterrente numero uno che impedì a decine di migliaia di ragazzi di prendere in considerazione l’idea di andare
a un concerto live per tutti gli anni a seguire. E per tantissimi della nostra generazione resta il rimpianto di non aver potuto godere appieno
di un momento storico della musica irripetibile. Vi prego, accendiamo
altre luci, approfondiamo le ricerche, intervistiamo le persone prima
che sia troppo tardi, realizziamo altri libri come questo!
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Introduzione
IN VIAGGIO PER IL VIGORELLI
“Andatevene, qui stanno massacrando tutti!”
Q
uando arrivano dalle parti del Vigorelli, Giovanni Melis e i suoi
due amici si trovano di fronte ad un uomo che fugge spaventato.
Il velodromo non è ancora in vista, ma la strada è piena di persone
che scappano. E provengono da lì, senza ombra di dubbio. La direzione è quella.
Giovanni e i suoi amici si guardano smarriti, incerti sul da fare.
Classe 1953, Melis e i suoi compagni non hanno ancora compiuto
diciott’anni. Giovanni è nato a Usellus, in provincia di Oristano, ma
all’età di cinque anni arriva a Fidenza, una cittadina collocata sulla via
Emilia a metà strada tra Parma e Piacenza, anticamente chiamata Borgo San Donnino in onore del soldato romano martirizzato per la sua
conversione al cristianesimo. A Fidenza frequenta prima il seminario
vescovile, poi il Liceo Classico. E in questi anni turbolenti conosce la
musica rock, l’incontro che cambia la vita a lui ed ai suoi amici.
“Andatevene!”, gli urla ancora l’uomo in camicia e pantaloni eleganti
prima di scomparire dietro l’angolo di una piccola traversa. Ma non è
che i tre studenti abbiano una gran voglia di girare i tacchi e tornarsene
a casa, soprattutto dopo un viaggio come quello. Un viaggio iniziato
di primo pomeriggio ad un centinaio di chilometri di distanza, quando decidono di partire per Milano dirigendosi a piedi all’ingresso del
casello autostradale di Fidenza. Tutto pur di vedere i Led Zeppelin.
La cittadina emiliana non è vicinissima al capoluogo lombardo, un
centinaio di chilometri abbondanti, e per questo è prudente partire
presto, soprattutto quando non si dispone di un mezzo proprio e ci si
deve affidare all’autostop. Un primo automobilista li raccoglie dando
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loro un passaggio fino a poco dopo Piacenza. Un viaggio piacevole che
trascorre parlando di musica, della grande passione che in questo periodo è in grado di fare da collante universale per un’intera generazione
ed allo stesso tempo di disgregare irrimediabilmente chi non condivide
gli stessi gusti. O gli stessi ideali politici. Ma il tema della giornata, di
quella particolare giornata, sono i Led Zeppelin, ed allora tutto scorre
a meraviglia.
Il cortese automobilista accosta e fa scendere i tre, il suo viaggio finisce lì e non può accompagnarli oltre. Ma di questi tempi viaggiare in
autostop non è un problema, e gli amici fidentini ne hanno la riprova
immediata: non sono passati neppure dieci minuti, quando in risposta
al loro pollice teso si fermano alcuni motociclisti.
Cosa desiderare di più? Il secondo tratto di strada viene così percorso nel migliore dei modi, a cavallo di tre motociclette di un gruppetto
di ragazzi milanesi.
“Eravamo freschi della
visione di ‘Easy Rider’ ed entrare a Milano in quel modo
ci era sembrata una cosa fantastica”, ricorda Melis. Le
motociclette si fermano
alle porte di Milano, a San
Donato, non esattamente a
due passi dal Vigorelli, ma il viaggio è stato perfetto e c’è tutto il tempo
per una scarpinata. Dieci chilometri abbondanti non sono un problema per tre adolescenti, specialmente se il premio del pellegrinaggio è
la possibilità di vedere dal vivo il gruppo rock del momento, quello per
cui i giornali già sprecano aggettivi, iperboli e perifrasi, tra le quali la
più abusata e ripetuta è “i successori dei Beatles”.
Lasciata la via Emilia, la stessa che attraversa Fidenza, il gruppetto
passa per via Rogoredo, corso di Porta Romana, piazza Missori, corso
Magenta. Milano è un brulicare di auto, bici, motociclette, un negozio dietro l’altro. Melis pensa alla sua Fidenza, sembra di vedere Via
Cavour e Via Berenini ripetersi all’infinito, un rosario interminabile di
colori, vetrine, gente indaffarata. È lunedì, Milano sta correndo come
solo una città delle sue dimensioni è in grado di fare. Le fabbriche e
gli uffici stanno chiudendo, è già ora di cena, eppure le vie brulicano di
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gente che si muove velocemente, indaffarata, noncurante della calura
estiva che ancora arroventa il cemento. Sull’imbrunire, le vie del centro
sono ancora più luminose ed affascinanti, la maggior parte dei negozi
ancora aperti, molte le famiglie con bambini ancora in giro per le strade alla ricerca di un ristorante in cui passare una serata estiva diversa
dal solito, per allungare la festa della domenica appena conclusa e già
dimenticata in una nuova settimana di lavoro.
La città che rappresenta insieme a Torino e Genova la rinascita
industriale italiana degli anni Sessanta sembra vivere al doppio della
velocità, se paragonata alla placida provincia raccontata dalla penna
di Giovannino Guareschi; un mondo in cui semplicità e ripetitività
sono due costanti di vita, come lo scrittore narra molto abilmente nel
suo ‘Don Camillo’: “Nelle grandi città la gente si preoccupa soprattutto di
vivere in modo originale e così saltano poi fuori cose sul genere dell’esistenzialismo, che non significano un accidente, ma danno l’illusione di vivere in
modo diverso dai vecchi sistemi. Invece nei paesi della Bassa si nasce, si vive,
si ama, si odia e si muore secondo i soliti schemi convenzionali. E la gente se
ne infischia se si trova immischiata in una vicenda che è una scopiazzatura
del ‘Sangue Romagnolo’ o di Giulietta e Romeo o dei Promessi Sposi o della
Cavalleria Rusticana e altre balle di letteratura. Quindi è un eterno ripetersi di vicende banali, vecchie come il cucco, ma alla fine, tirate le somme,
quelli della Bassa finiscono sottoterra preciso come i letterati”.
Ma adesso, per i tre ragazzi immersi nel brusio di Milano, la placida
pianura padana che si adagia tra le rive dello Stirone e quelle più misteriose del Po è un lontanissimo ricordo. Non si sentono né il familiare rumore dei Landini due tempi a testa calda, e neppure il vociare dei ragazzini che schiamazzano correndo lungo i fossi a ridosso della primissima
periferia, dove la campagna non è ancora stata rosicchiata dall’avanzare
della città ed i poderi conservano intatto il loro antico fascino.
Giunti dalle parti di via Vincenzo Monti, le prime avvisaglie di
qualcosa che non va. C’è fumo, molto fumo. Segnale insolito. Un odore
acre, nauseabondo, penetrante, diffuso ovunque. E poi c’è gente che
corre. Molta.
“C’era questa nuvola di lacrimogeni”, ricorda Melis, “con gente che scappava dappertutto, una cosa a cui all’epoca non eravamo nemmeno abituati”.
I tre capiscono subito che sta succedendo qualcosa, non ci vuole un’esperienza di vita mondana di chissà quale tipo per fiutare
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l’inconfondibile odore dei guai. E gli amici di Fidenza sono molto
svegli, si rendono conto che la serata non sta girando per il verso giusto.
La città avvolta dall’imbrunire vibra e si dimena. Via Arona non è
dietro l’angolo, eppure la sensazione immediata è che la causa di tutto
quel movimento sia esattamente lì. Possibile? Cosa sta succedendo?
La sensazione fulminea che attraversa il gruppetto è la stessa: ci
devono essere dei problemi al Vigorelli. Lo pensano quasi in contemporanea, non c’è neppure bisogno che lo dicano, basta scambiarsi una
rapida occhiata. Purtroppo il binomio musica-disordini è di grande
attualità ultimamente, lo sanno benissimo anche i ragazzi che vivono
in provincia. Ma nessuno di loro propone di abbandonare la posizione.
I Led Zeppelin sono a portata di mano, non sono mai stati così vicini,
chissà quando ricapiterà di nuovo un viaggio del genere, una spedizione così ben riuscita, l’occasione di poter avere nuovamente vicino a casa
il gruppo dei sogni. Un bel dilemma. E mentre se ne stanno piantati in
mezzo alla strada per decidere il da farsi, viene incontro loro quell’uomo, correndo trafelato, i vestiti inzuppati dal sudore della calura estiva.
“Andatevene, qui stanno massacrando tutti!”.
Dopo di lui ne arrivano altri. Non lo stanno inseguendo, semplicemente provengono dalla stessa direzione. E scappano. A gambe levate,
senza neppure voltarsi. È successo qualcosa di grosso. Senza ombra di
dubbio
Melis ripercorre quei momenti come in un film:“Quel pomeriggio a
Milano fu una cosa impressionante. Vedevamo tutta la gente scappare, ci
venivano incontro e semplicemente ci dicevano ‘dovete andarvene, qui stanno massacrando tutti’. Noi non conoscevamo Milano, così abbiamo cercato
un riparo e ci siamo allontanati alla chetichella. In quel momento quella situazione
ci sembrava decisamente pericolosa”.
Dopo un rapidissimo confronto
l’ultima decisione che i tre vorrebbero prendere, quella di tornare a casa,
sembra la più logica e necessaria. Restare a Milano è troppo pericoloso. I
fumogeni, i boati di scoppi sempre più
vicini, le urla delle persone in fuga,
volti insanguinati e vestiti strappati.
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Le cronache dei giornali degli ultimi scontri tra polizia e manifestanti
non raccontavano nulla di buono. Milano aveva inaugurato la sua scia
di morti a partire dal 19 novembre 1969, con l’uccisione dell’agente di pubblica sicurezza Antonio Annarumma, che durante un corteo
dell’Unione Comunisti Italiani Marxisti–Leninisti era stato colpito a
morte da un tubo d’acciaio scagliato da uno dei manifestanti contro
la camionetta della polizia su cui viaggiava. L’eco della morte di Annarumma si era diffuso anche in un piccolo angolo di provincia come
quello di Fidenza. Milano aveva reagito in modo composto, ma deciso,
con un coro di protesta che andò a formare quella che i quotidiani
chiamarono “la maggioranza silenziosa”, con cui la città invocò con insistenza da parte delle forze dell’ordine
l’utilizzo del pugno di ferro contro le
manifestazioni studentesche, promosse
dalle numerose sigle della contestazione giovanile che pianificavano lo scontro politico nella città.
E i tre amici sapevano benissimo,
per la molta cronaca letta sui giornali e per i racconti dei compagni più
grandi, che in occasioni del genere volano sampietrini, molotov, lacrimogeni e, soprattutto, tante manganellate. Decisamente, non la serata
migliore per un concerto rock.
Melis e i suoi due compagni di sventura decidono così di tornare
a Fidenza, ma senza il rimpianto di non essere riusciti a vedere i Led
Zeppelin. Quello arriverà solo più tardi. In questo momento l’istinto
di conservazione ha la meglio, e consiglia a tutti e tre di tornare il più
velocemente possibile a casa, di mettere quanta più strada tra loro e i
disordini che stanno devastando le strade di Milano.
“Ci sarà un’altra occasione per vedere gli Zeppelin”, si dicono, dando
di spalle mentre un automobilista li raccoglie lungo la strada. “Sarà per
la prossima volta”. Si fanno forza l’un l’altro mentre la sagoma scura
dei palazzi di Milano si allontana all’orizzonte.
Non sanno ancora quanto si stiano sbagliando, non possono saperlo.
Eppure andrà proprio così, perché il dirigibile non farà mai più rotta
per l’Italia.
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