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Pubblicato il 30 Dicembre 2016
Ottimo successo per il prestigioso appuntamento dedicato alla chitarra classica
Cronache dal XXIX Convegno Chitarristico
servizio di Edoardo Farina
BENEVENTO - Il “Convegno Chitarristico”, tenutosi a Benevento sabato 15 ottobre 2016, ha raggiunto
la ventinovesima edizione: un evento che costituisce motivo di prestigio per la chitarra classica e il suo
splendido repertorio, il cui interesse è cresciuto enormemente negli ultimi decenni con insospettata
rapidità, organizzato dal Comitato Scientifico del progetto Chitarra in Italia, ponendosi un incontro di
studio e approfondimento di consolidato valore. Dopo la presenza a Modena per alcuni anni presso le
sale del palazzo Coccapani - D’Aragona di Corso Vittorio Emanuele II, nella stessa che aveva accolto
nel 1933 la prima assoluta, a partire dal 2013 l’iniziativa ha avuto di nuovo un carattere itinerante in
linea con la tradizione avviata dal M° Romolo Ferrari (1894-1959) fautore della rinascita chitarristica
italiana, ripresa ufficiale avvenuta nel 2009 dall’ultimo appuntamento risalente addirittura al 1962.
Facendo seguito alle edizioni di Sanremo, Brescia e Roma, la nuova è approdata nella città campana grazie alla
collaborazione del M° Piero Viti e del Conservatorio Statale di Musica ‘Nicola Sala’, importante Ente che ha offerto il proprio
patrocinio, tenutosi anche quest’anno in una cornice di particolare pregio, il Teatro De Simone.
Il programma come di consueto ha previsto interventi musicali affiancati a relazioni su temi di ricerca a cura di maestri e
studiosi di chiara fama, nell’obiettivo di approfondire la storia chitarristica nel suo svolgimento storico dal Rinascimento ad
oggi.
L’appuntamento decreta l’indiscutibile successo raggiunto nel promuovere cultura musicale di elevata rinomanza, premiata
dalla felice risposta del pubblico nei passati svolgimenti e dal rinnovato interessamento verso un preciso intento di
diffondere una particolare forma di espressione artistica ponendosi come incontro di studio e approfondimento di
consolidato valore, volto alla conoscenza del repertorio e della storia dello strumento più poliedrico del mondo. Pregio
fondamentale del Convegno fin dal primo incontro, così come l’intelligente impostazione che lo ha sempre contraddistinto, è
stato da un lato l’alta professionalità dei solisti invitati, chitarristi di comprovata fama mondiale con proposte di programmi
altamente appetibili per una presenza eterogenea, dall’altro e nello stesso tempo, lo spazio alle interessanti conferenze
storico didattiche, rivolte non necessariamente solo agli “addetti ai lavori”, coinvolgendo per la prima volta anche il sud Italia
vivaio negli ultimi anni di una grandissima rinascita della “seicorde”.
Questo significativo traguardo è stato possibile già a suo tempo grazie all’impegno congiunto di alcune persone, in primo
luogo ancora Romolo Ferrari che per primo si è adoperato a suo tempo presso il Ministero, impegnandosi per anni e
contribuendo in modo decisivo all’avvio di un cammino rivelatosi lungo e faticoso verso il riconoscimento ufficiale
dell’insegnamento della chitarra negli istituti statali.
Sotto la direzione artistica di Simona Boni, dopo il saluto del Direttore del Conservatorio, Giuseppe Ilario e il docente di
chitarra classica Piero Viti, l’incontro si è rivelato ancora una volta un’occasione per approfondire la conoscenza con
concertisti, liutai e studiosi, riconfermando la tradizione riportata in auge come qualificato evento capace di coinvolgere
numerosi collaboratori e una platea sempre più partecipe e propositiva, attraverso il supporto del comitato scientifico,
costituito da Giuliano Balestra, Giovanni Indulti, Vincenzo Pocci, Enrico Tagliavini e la stessa Boni, progettando la giornata
affiancando interventi musicali a relazioni su diversi temi di ricerca, in seguito riportati, e contribuendo così, anche grazie al
grande pregio artistico e culturale del contesto, a rendere davvero speciale questa nuova versione.
«Al di là dell’evento, che sancisce un nuovo capitolo della storia della chitarra in Italia, - spiega Simona Boni - le ragioni che
rendono davvero forte il nesso tra il nostro strumento e la città di Benevento sono molteplici e si combinano in modo
inscindibile con l’impegno di concertisti, compositori e didatti attivi nel contesto meridionale che nel tempo passato e
presente hanno dato il loro contributo all’arte chitarristica. Per questo motivo nel programma del Convegno, in linea con lo
spirito che muove questo progetto, abbiamo voluto ancora una volta dare spazio ad alcune fra le tante personalità legate
biograficamente alla Scuola Napoletana, affiancandole ad altre testimonianze artistiche provenienti da tutta l’Italia, in modo
da raggiungere sempre una dimensione ricca ed articolata.»
Ad apertura lavori, il primo intervento tradizionalmente in ordine cronologico e dedicato quindi al repertorio antico della
chitarra, è stato tenuto da Marcello Vitale con il tema “I labirinti della chitarra. Idee per un approccio creativo alle chitarre
antiche”.
Come sostiene, nell’interpretazione di ogni esecutore, se veramente un artista e non solo sotto l’aspetto tecnico e
meramente virtuosistico, c’è qualcosa di alchemico. Egli diviene effettivamente “un ponte” che unisce l’autore dell’opera con i
suoi fruitori e anche se questi non sono esperti saranno gratificati pienamente dall’ascolto. Questo è il compito supremo da
parte dei grandi interpreti, ridare voce ad un foglio pieno di simboli da decodificare in modo il più possibile autentico e fedele,
ma soprattutto vivo e attuale. La musica composta nel Barocco, non sarà mai quella di allora, proprio perché diversi sono i
contesti differenti tra loro. Attualizzare, tuttavia, non vuol dire riproporre Gaspar Sanz con la chitarra elettrica, anche se non lo si
esclude a priori: è un processo più complesso che deve contestualizzare nuovamente brani destinati ad altri spazi, altri usi e
finalità, altre motivazioni e altri ascoltatori ove la chiave di lettura storica può risultare riduttiva se non inserita in una tradizione
viva e continuativa. Seguendo questa ottica, l’attenzione va all’universo popolare e alla musica ad esso legata e
‘sopravvissuta’, dovendo integrare difatti le fonti scritte con quelle connesse alla tradizione orale. Dallo studio degli strumenti
‘etnici’, delle loro caratteristiche costruttive, del loro impiego sociale e delle tecniche esecutive, affiorano sentieri che ci
conducono direttamente, anche se in maniera piuttosto articolata, allo spirito e alla prassi di una determinata epoca storica,
quindi più che una mappa, un labirinto concettuale.
Non esiste una sola rilettura autentica del testo, ma possono essere molteplici e tutte valide e veritiere a condizione che a
farlo sia un musicista competente e intellettualmente corretto.
La successiva presenza di Damiano Rosa in “Johann Kaspar Mertz, un chitarrista romantico nella Vienna di metà Ottocento”
ha preso in esame il periodo storico appartenuto a Mertz caratterizzato da un lato dal tranquillo estetica borghese stile
Biedermeier, dall’altro dalle violente rivolte che infiammarono Vienna e il resto d’Europa nel 1848. Un quadro articolato della
situazione della chitarra in Europa nel periodo in cui egli visse è delineato dal chitarrista, scrittore e lessicografo Nikolaj
Petrovic Makarov (1810-1890) che ci rivela attraverso le sue memorie una fervente attività di chitarristi, editori e liutai anche
se, per sua stessa ammissione, molto spesso la qualità e l’originalità delle opere era scarsa in quanto per lo più destinata
ad una fruizione dilettantistica. Makarov incontrò Mertz a Vienna nel 1851 rimanendo molto colpito sia dalle sue qualità di
esecutore ma soprattutto da quelle di compositore.
Rosa ha illustrato quindi alcuni lavori di Mertz, le trascrizioni ed opere originali nonché la sua sintetica quanto interessante
Schule für die Guitare in una prospettiva didattica utile ad avvicinare i giovani studenti alla tecnica e alla prassi esecutiva del
repertorio romantico eseguito su strumenti originali ove nella presente occasione è stata impiegata una chitarra Vincenzo
Chalet costruita a Roma nel 1851 e più in generale ad un periodo storico denso di connessioni con vari ambiti non solo
musicali.
Paolo Lambiase - Piero Viti con il tema “L’integrale delle opere per due chitarre di J.K. Mertz: una nuova versione discografica
dopo 25 anni dalla prima incisione” ha ricordando l’aneddotica frase celebre di Fryderyk Chopin “Niente è più bello di una
chitarra, eccetto due” da lui pronunciata pare dopo avere ascoltato il più importante duo chitarristico di allora, formato da
Dionisio Aguado e Fernando Sor. Basando l’intervento prevalentemente sulla ricerca editoriale delle opere del chitarrista
slovacco, nel corso degli anni successivi ai nuovi ritrovamenti, è stato possibile ampliare il catalogo dei lavori per due
chitarre. Alcuni di questi sono stati inclusi nelle registrazioni di duo operanti sulla scena internazionale, anche se tutte le
recenti monografie riguardanti l’autore risultano a vario titolo curiosamente mancanti della lista completa dei brani originali.
In quest’anno, 2016, nel quale ricorrono insieme i 35 anni della fondazione del duo chitarristico formatosi nel lontano 1981 e
i 25 anni dall’uscita del loro primo compact disc, hanno quindi intrapreso un nuovo progetto discografico, in collaborazione
con l’etichetta “dotGuitar” guidata da Lucio Matarazzo, che ha previsto, per l’appunto, la riedizione dell’integrale delle opere
per due chitarre di Johann Kaspar Mertz completa di tutti i 17 lavori sin qui riscoperti, illustrando i brani di più recente
revisione, eseguendone dal vivo alcuni e occasione per sottolineare e porre ancora una volta l’accento su uno tra i repertori
più validi e affascinanti di pagine originali dell’Ottocento destinate al duo chitarristico.
A seguire, Flavio Nati con la figura di “Giulio Regondi: da ‘enfant prodige’ a virtuoso polistrumentista”. Insieme a Johann
Kaspar Mertz e Napoléon Coste, Giulio Regondi (Ginevra 1822 o Genova? - Londra 1872) rientra in quella triade di chitarristicompositori che seppero dare un proprio originale contributo al repertorio concertistico del nostro strumento, offrendo
un’interpretazione del tutto personale dello spirito romantico, seppure in un clima di profonda crisi per le sei corde. Spesso
descritto come personalità di animo mite e sensibile, Giulio Regondi ebbe un’infanzia tutt’altro che facile: i suoi primi ricordi
erano infatti legati all’intransigenza del padre, forse adottivo, Giuseppe Regondi, sedicente insegnante di musica.
Questi infatti, intuendo le possibilità del figlio, lo costringeva a studiare svariate ore al giorno chiuso a chiave nella loro casa
di Lione, situazione che però il piccolo Giulio pare accettasse di buon grado. Già all’età di sette anni, spiega Nati, egli si
ritrovò così ad esibire il proprio talento di enfant prodige, divenendo ben presto un virtuoso di caratura internazionale tanto da
conquistarsi l’ammirazione di Fernando Sor e Matteo Carcassi, i quali dedicarono al giovane alcune delle loro opere. La sua
notorietà tuttavia accrebbe ancora di più dopo aver preso ‘confidenza’ con la concertina, simile ad una fisarmonica ma di
forma esagonale, ideato dal fisico ed inventore britannico Charles Wheatstone.
Sarà proprio questo strumento ad incoronare Regondi come un virtuoso senza pari offrendogli l’opportunità di esibirsi
trionfalmente in numerose tournée in Inghilterra, suo paese d’adozione, e in tutta Europa, duettando con celebri artisti quali:
Clara Schumann, Ignaz Moscheles, Maria Malibran, Franz Xaver Wolfgang Mozart.
A conclusione, Nati ha analizzato dal punto di vista stilistico e tecnico-strumentale il repertorio per chitarra, avvalendosi anche
di alcune recenti aggiunte al suo catalogo: i 10 Studi e la Fantasia su un tema dai Montecchi e Capuleti di Bellini, nonché le
uniche opere didattico-teoriche, entrambe pensate per la concertina: il New Method e i Rudimenti del Concertista, da cui è
possibile attingere informazioni preziose che attengono al suono, l’ornamentazione, l’articolazione, la dinamica e
l’esecuzione di musica polifonica.
Antonio Rugolo, supportato dalla partecipazione di Marco Caiazza e Angelo Gillo, ha inteso riscoprire la figura di “Guido
Santorsola: storia di un didatta amante delle seicorde”. Nella poliedrica attività artistica del maestro italo-brasilianouruguayano Guido Santorsola (Canosa di Puglia 1904 - Montevideo 1994, violinista, violista, direttore d’orchestra,
compositore, docente di armonia contrappunto e composizione), la didattica ha sempre ricoperto un ruolo di fondamentale
importanza. Il suo primo incontro con la scrittura per chitarra risale al 1942 quando un alunno, fortemente convinto delle
potenzialità del suo maestro, lo convince a scrivere un concerto per chitarra ed orchestra da camera in soli dodici giorni per
partecipare ad un concorso di composizione indetto dal S.O.D.R.E. (l’ente radiofonico nazionale uruguayano).
Santorsola vince il primo premio e da questo momento la chitarra diviene strumento prediletto per esprimere la sua estetica
sia nei brani da concerto che in poche ma rilevanti opere didattiche come le tre raccolte di Estudios e le due Suite all’Antica
per una e due chitarre. Fortemente convinto della valenza formativa della musica da camera per il percorso di crescita
musicale e artistica dei discenti, scrive anche due Concertini per tre chitarre e per tre chitarre e piano, recentemente
ripubblicati a cura dello scrivente dalle edizioni Bèrben di Ancona, prima disponibili solo in manoscritto.
Rara interpretazione da parte del trio chitarristico di un autore ingiustamente dimenticato nel corso degli ultimi decenni, è
stato proposto l’ascolto del Preludio della Suite all’Antica per chitarra sola scritto su richiesta di Isais Savio che colpito dalla
bellezza del concerto vincitore del concorso sopra citato, chiese al collega di comporre per i suoi allievi un’opera in stile
classico che non fosse però troppo difficile. Accanto ad alcune pagine dell’altra Suite all’Antica per due chitarre, grazie alla
collaborazione di Marco Caiazza e Angelo Gillo, abbiamo ascoltato l’intero Concertino n. 1 scritto in stile neoclassico nel
1978, periodo dichiaratamente dodecafonico, riservando spesso ritorni alla scrittura tonale mai abbandonata del tutto,
lasciando solo alle pagine da concerto di ampio respiro l’utilizzo della sua originale composizione seriale.
Al termine della mattinata i maestri si sono riuniti per la fotografia d’insieme compresi tutti i partecipanti a ricordo della
giornata, procedendo con il consueto momento conviviale svoltosi nelle sale dell’adiacente Conservatorio; tra varie
degustazioni e conversazioni tra gli intervenuti, si è ripreso con la seconda parte con l’intervento di Stefano Aruta “Teresa de
Rogatis: una musicista ed un pensiero tra le pieghe dell’oblio”, senza ombra di dubbio una musicista alla quale la
storiografia chitarristica non ha dedicato tutta l’attenzione che la sua caratura artistica ed umana meritano; nata a Napoli nel
1893 e ivi scomparsa nel 1979, singolare e rara avis, per il suo tempo, poliedrica e coltissima, fu allieva per il pianoforte di
Florestano Rossomandi e per la composizione di Camillo de Nardis presso il Conservatorio “San Pietro a Majella”, mentre
per la chitarra il suo unico maestro fu il padre, Tommaso de Rogatis, eccellente chitarrista che pare sia stato allievo a sua
volta di un allievo di Carulli. In questo breve incontro, Aruta non si è voluto tanto soffermare su un agiografico elenco di
successi raccolti, quanto farsi latore del suo pensiero musicale e non, del quale è stato testimone diretto considerando
affetto che Teresa de Rogatis gli ha sempre personalmente profuso a piene mani nei suoi confronti, sentendo di dovere a
Teresa questa testimonianza affinché tutto non si perda definitivamente negli anni a venire.
Antonio Grande in “La musica per chitarra a Napoli dal secondo Novecento ai giorni nostri”, fatta eccezione per i lavori di
Raffaele Calace e Teresa De Rogatis, un primo nucleo di composizioni per chitarra si delinea a Napoli nel secondo
dopoguerra: con diversa incisività e pretesa esse manifestano un’istanza di novità, forse qualcosa di stravagante e
marginale, ma nuovo. Non bisogna dimenticare infatti il peso preponderante che ha avuto il pianismo lungo tutto l’arco del
Novecento napoletano, musica neobarocca, espressione della tradizione e del ‘mestiere’ caratteristici della antica Scuola di
S. Pietro a Majella.
Nessuno di questi lavori può definirsi epocale, ma testimonianza di maestria e proprietà di stile; essi sono legati alla
presenza accademica in città, dal 1959 al 1973, di Mario Gangi, virtuoso internazionale ed esperto di nuove musiche. Un
isolato cammeo è poi costituito dal brano Azulejos del compositore e direttore d’orchestra Eleuterio Lovreglio pubblicato
postumo da Max Eschig nel 1977, nella versione originale su doppio pentagramma. L’ultimo ventennio è stato poi
contrassegnato da una produzione più ampia, trasversale: si va dallo sperimentalismo più ardito al recupero neo-tonale. Sul
fronte cameristico si sviluppa inoltre una nuova letteratura, su sollecitazione dei Duo stabili operanti sul territorio.
Fabio Fasano ha esposto “Le Sonate per chitarra di Raffaele Iervolino”, attraverso l’intervento incentrato sulla presentazione e
sulla descrizione delle stesse scritte dal compositore campano (1963) e pubblicate dalle edizioni Esarmoniam. In particolare
è stata eseguita integralmente la Sonata Eduardo (Sonata trascendentale op. 26, omaggio a Eduardo De Filippo, dedicata ad
Angelo Gilardino) nei quattro movimenti: Disoccupazione, Canzone disperata, Scherzo, Grido al mondo, la cui prima stesura
risale al 1991, è la prima di importanti proporzioni scritta dall’autore raccontando la sua storia personale sofferta ma ricca di
umanità e di profonda sensibilità, descrivendo inoltre le matrici più autentiche della sua ispirazione. Lo stile è personale ed
originale fondendo la lezione di compositori che appartengono alla storia della chitarra quali Margola e Gilardino con l’anima
e l’essenza della musica e della cultura partenopea.
Antonella Col ha parlato invece del “Metodo globale di musica bioenergetica: come diventare atleti della musica e suonare
con gioia” attraverso una particolare sinergia, frutto di un percorso di studio e di ricerca che ha condotto dopo anni di
esperienza in campo concertistico e didattico. Si tratta di una nuova metodologia di sostegno il cui obiettivo è il superamento
dello stress e il ripristino dell’armonia psico-fisico-emozionale per condurre una professione musicale in salute e protetta
dall’usura psicofisica. Il Metodo utilizza una tecnica di consapevolezza ed espressione corporea ideata negli anni ‘60 dal
medico americano Alexander Lowen come base per migliorare la consapevolezza del corpo e del potenziale emozionale ed
energetico a disposizione di ognuno.
Nel presente incontro ha quindi illustrato le quattro fasi salienti della disciplina e il suo lavoro con i musicisti nell’affrontare le
problematiche più frequenti che vanno dalla correzione della postura al miglioramento della performance artistica,
dall’affrontare l’ansia da concerto all’interpretazione materiale dello spartito, dall’allenamento aerobico alle tecniche di
comunicazione per sapersi proporre nel mondo del lavoro, attraverso un sunto storico dei casi più significativi e una breve
esperienza riportata in uditorio compatibilmente con i tempi concessi a disposizione.
Mario Fragnito in “Elementi di fisica applicati alla tecnica strumentale esecutiva” ha inteso fornire il suo contributo per
chiarire alcuni aspetti inerenti allo studio della chitarra. Ciò che ha descritto è il risultato dell’ormai trentennale lavoro di
didatta, partendo dallo sforzo, o almeno tentare di farlo, per azzerare le informazioni attinte negli anni che non fossero
supportate da regole scientifiche. Come spiega, suonare in concreto significa tradurre il pensiero partendo quindi da un’idea
che necessita di un insieme di esatti spostamenti per essere rappresentata, essenza concreta per qualsiasi esecuzione ed
ogni strumentista, ove creare una mappa di corrette posizioni a cui rifarsi durante l’esposizione. Tutto ciò che è fisico,
l’essere umano incluso, è sottoposto e regolato dalle stesse leggi della fisica, specificamente della meccanica, della statica,
della dinamica, della cinetica e della cinematica.
Da questo presupposto se ne deducono tante interessanti indicazioni e relative conclusioni inerenti al posizionamento dello
strumento, alla postura dello strumentista, all’ottimizzazione delle sequenze dei movimenti che egli deve compiere in modo
tale da rispondere strettamente ai propri principi interpretativi. Questo lavoro tende a stimolare riflessioni su aspetti di
primaria importanza: la progettazione e la realizzazione dell’articolazione, la produzione del suono, gli schemi motori.
La conclusione della giornata è stata affidata al celebre chitarrista Bruno Battisti D’Amario, noto al grande pubblico già negli
anni ’70 per la realizzazione dei primi dischi stereofonici italiani prodotti dall’etichetta “Vedette - Phase 6 Super Stereo” allora
gestita dal direttore d’orchestra e violinista Armando Sciascia nel genere della musica leggera, quindi la collaborazione nelle
colonne sonore dei film western di Sergio Leone attraverso i capolavori di Ennio Morricone, ove al tempo ne era tra l’altro
eccellente esecutore alla chitarra elettrica.
Da “Quel suono magico” ne riportiamo interamente la breve e interessante biografia da lui stesso raccontata: “Malgrado
avessi un padre musicista, era il primo violino dell’orchestra “B” della Rai, mi sono avvicinato alla chitarra per merito di mio
nonno materno che un giorno, alla fine della guerra, mi fece ascoltare con la sua chitarra, un delizioso strumento francese
del 1836 con il re volante, un breve e semplice brano: non so quale fosse, ma ancora oggi ricordo molto intensamente quel
suono interiorizzante e caldo. Fui fulminato e con l’opposizione di mio padre, che considerava la chitarra strumento relegato
al dilettantismo mi dedicai completamente al suo studio. Nel 1956 mi convinsi a entrare al “Santa Cecilia” di Roma, dove tra
l’altro incontrai la mia futura moglie. Il primo Corso sperimentale di ‘chitarra classica’ della durata di sette anni era
cominciato… esperienza straordinaria! Mi piace ricordare i compagni di questo viaggio meraviglioso: in primis il M°
Benedetto Di Ponio e a seguire i compagni di corso Oscar Ghiglia, Giuliano Balestra, Gianluigi Gelmetti, Giovanna Marini,
Massimo Gasbarroni, Pasqualino Garzia, ove insieme a loro penso di essere stato tra i pionieri e promotori anche della
chitarra moderna, iniziando così un percorso concertistico e didattico che dura ormai da più di cinquant’anni e che mi ha
portato a esplorare direi tutti i campi della musica del Novecento contemporaneo; particolarmente interessanti i contatti con
Petrassi, Maderna, Boulez, “Nuova Consonanza” e tanti altri, poi la musica d’insieme e i concerti con il quartetto d’archi “I
solisti di Roma”, le prime esecuzioni di importanti compositori e innumerevoli concerti in Italia e all’estero...
Ho cominciato ad insegnare nel 1969 al Conservatorio Luisa D’Annunzio di Pescara proseguendo con i Conservatori San
Pietro a Maiella di Napoli, Luigi Cherubini di Firenze e quindi Santa Cecilia tenendo contestualmente molti corsi di
perfezionamento insieme a musicisti di chiara fama quali Gazzelloni, Végh, Giuranna, Aldulescu, Zecchi e altri. Sono molti i
chitarristi miei allievi che oggi insegnano negli istituti statali onorando la chitarra con un’attività concertistica di alto livello: e
guardando a loro e alle nuovissime splendide realtà chitarristiche, penso di avere contribuito insieme agli altri colleghi della
mia generazione a mantenere nell’aria la spiritualità di quel suono magico che ho incontrato dopo la guerra a casa del mio
vecchio nonno”.
Ottimo lavoro ancora una volta da parte di tutto il Comitato Scientifico, competente e professionale rendendo l’appuntamento
estremamente completo, degno di alta considerazione storico culturale e didattico per via dei numerosi confronti tecnici
artistici riguardanti il mondo della chitarra classica. Come nelle precedenti edizioni, a corredo e completamento dei contenuti
proposti in questa giornata di studi musicali, sono state consegnate al pubblico le cartelline di sala con materiali di
approfondimento, inoltre è stata organizzata una mostra documentaria dedicata ai più importanti maestri chitarristi a Napoli,
da Ferdinando Carulli a Teresa De Rogatis, attraverso l’esposizione di diversi strumenti d’epoca.
"Fortunatamente vi è chi giunge in tempo a far rivivere la pura opera d’arte, riconoscendone i pregi e dando ad essa il giusto
valore che merita". Romolo Ferrari
Crediti fotografici: Ufficio stampa “Chitarra in Italia”
Nella miniatura in alto: Simona Boni
Sotto: Mario Fragnito
Al centro in sequenza: Antonio Grande, Damiano Rosa, Stefano Aruta, Flavio Nati, Paolo Lambiase e Piero Viti, Fabio Fasano, Bruno Battisti D'Amario,
Antonella Col
Sotto: il Trio Rugolo (Antonio Rugolo, Marco Caiazza, Angelo Gillo)
In fondo: foto di gruppo dei partecipanti al XXIX Convegno Chitarristico