STAGIONE 2007-2008 DELIRI E ARMONIE Settimane Martedì 26 febbraio 2008 ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Janine Jansen violino Maxim Rysanov viola Torleif Thedéen violoncello 14 Consiglieri di turno Direttore Artistico Alberto Conti Marco Janni Paolo Arcà Con il patrocinio e il sostegno di Con il contributo di Con il patrocinio e il contributo di Con il contributo di Sponsor istituzionali Sponsor “Settimane Bach” Con la partecipazione di Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione e al pubblico il clima più favorevole all’ascolto, si prega di: • spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici; • limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse ...); • non lasciare la sala prima del congedo dell’artista. Si ricorda inoltre che registrazioni e fotografie non sono consentite, e che l’ingresso in sala a concerto iniziato è possibile solo durante gli applausi, salvo eccezioni consentite dagli artisti. Janine Jansen violino Maxim Rysanov viola Torleif Thedéen violoncello Johann Sebastian Bach (Eisenach 1685 – Lipsia 1750) 15 Invenzioni a due voci BWV 772 – 786 Alfred Schnittke (Engels, Urss 1934 – Amburgo 1998) “String Trio” per violino, viola e violoncello Intervallo Johann Sebastian Bach Partita n. 2 in re minore per violino solo BWV 1004 Sinfonie a tre voci BWV 787 – 801 Le Settimane Bach sono sostenute dal Comune di Milano Johann Sebastian Bach 15 Invenzioni a due voci BWV 772 – 786 15 Sinfonie a tre voci BWV 787 – 801 Partita n. 2 in re minore per violino solo BWV 1004 Allemande - Courante - Sarabande - Gigue - Chaconne L’arte della trascrizione risale agli inizi stessi della notazione musicale, anzi ne costituisce per così dire il naturale complemento. L’idea che un segno grafico esprimesse un concetto valido nel tempo, oltrepassando la dimensione fisica immediata del suo manifestarsi come fenomeno percepito dall’orecchio, svincolava per sempre la nota dal mezzo tramite il quale essa esisteva. Questa rivoluzione d’immensa portata, che ha dato origine al linguaggio musicale della nostra civiltà, era avvenuta dapprima nell’ambito della voce umana, per propagarsi in seguito al regno della musica strumentale, man mano che quest’ultima andava acquistando un’espressione autonoma sempre più vigorosa. Il carattere platonico del concetto di notazione poneva dunque nella sfera ideale il valore autentico dell’opera musicale, che proprio per il suo essere scritta e non improvvisata di volta in volta diventava degna di assurgere al rango di pensiero. La prima e più radicale conseguenza di questa visione consisteva nella possibilità di replicare all’infinito un testo, in grado di mantenere la propria identità anche nel corso del tempo, nonostante che fosse eseguito in luoghi diversi, da interpreti diversi e in circostanze diverse. La paternità dell’autore rimaneva indiscutibile e certa, benché la sua presenza fisica non fosse più un requisito indispensabile alla riproduzione materiale del testo. Naturalmente nella concreta realtà storica il processo abbozzato in questa sintesi si è svolto in maniera molto più complessa e controversa, ma in sostanza la direzione di fondo di questa lenta formazione di una scrittura musicale, durata vari secoli, non è mai cambiata. All’interno di questo processo, dunque, la pratica della trascrizione costituisce un fenomeno particolarmente significativo. Grazie allo sviluppo tecnico della costruzione di strumenti e all’introduzione della stampa musicale, divenuta nel corso del XVIII secolo un autentico fenomeno industriale, i musicisti dell’epoca di Bach ebbero a disposizione un patrimonio di opere di gran lunga maggiore di quanto non fosse mai accaduto prima. La trascrizione finiva dunque per svolgere compiti di varia natura, risolvendo in parte la contraddizione che pure rimaneva aperta tra la concezione dominante della musica come arte speculativa e la sua insopprimibi- le natura fisica, in quanto fenomeno sonoro sottoposto alle leggi dell’acustica e promosso dalla concreta organizzazione sociale di artigiani, liutai, musici e copisti necessari alla sua impresa. Bach, come del resto la maggior parte dei grandi musicisti della storia, da Josquin des Prez a Luciano Berio, amava trascrivere sia musiche proprie, sia di altri autori. Anche l’abitudine di copiare semplicemente, tali e quali, le partiture dei maestri costituiva un tempo, nemmeno troppo lontano, un esercizio utilissimo e raccomandato a ogni aspirante compositore, per apprendere nel lento processo di riscrivere nota per nota un lavoro d’orchestra l’esatta distribuzione delle voci e la maniera più appropriata di strumentare. Trascrivere dunque rappresenta una maniera molto personale di stabilire un dialogo con il pensiero musicale di un autore, seguendo i percorsi del suo ragionamento e coltivando il gusto di studiare la maniera particolare con la quale ciascun musicista forma il suo concetto di suono. Non desta dunque sorpresa che una giovane violinista come Janine Jansen, nel momento migliore del suo slancio strumentale, si presenti al pubblico con un concerto imperniato su una serie di trascrizioni da Bach. Ha scelto questa strada con l’intenzione di condurre un dialogo tra un paio d’opere per così dire originali, una dello stesso Bach e l’altra di Alfred Schnittke, con la dimensione contrappuntistica del linguaggio di Bach, incarnata nella maniera più limpida e inventiva dai lavori presentati in questa particolare versione per archi. Le Invenzioni e le Sinfonie formavano in origine un ciclo di brevi pezzi per strumenti a tastiera, scritti allo scopo di fornire agli allievi delle musiche adatte a sviluppare gradualmente la padronanza del linguaggio contrappuntistico e il gusto per la varietà di carattere dell’espressione. Il lavoro comprende una serie di quindici musiche a due voci, chiamata inventio, e una di altre quindici a tre, con il titolo di sinfonia. Le due serie sono organizzate dal punto di vista tonale in maniera identica, salendo per gradi congiunti nel modo maggiore e in quello minore. Non c’è dubbio dunque che Bach abbia concepito le due parti all’interno di una cornice comune. La conferma indiretta consiste nell’autografo in bella copia del 1723, dove sul frontespizio dei due fascicoli l’autore esplica il contenuto: “nel quale agli amatori degli strumenti a tastiera, e specialmente a quelli zelanti, viene mostrato in maniera chiara non solo come s’impara a suonare pulito a due voci, ma anche, dopo ulteriori progressi, a far fronte in maniera soddisfacente e corretta a tre parti obbligate; allo stesso tempo non solo a saper fare delle buone invenzioni, ma a sviluppare le stesse in maniera soddisfacente, e soprattutto a raggiungere una maniera di suonare cantabile, il tutto mentre si acquista un forte gusto per il comporre”. La pubblicazione a stampa delle Invenzioni e Sinfonie avvenne solo nel 1801, ma la cospicua quantità di copie manoscritte della seconda metà del Settecento dimostra che questi testi erano largamente usati nella didattica dell’epoca e che questo aspetto della musica di Bach rimase ancora vivo dopo la sua scomparsa, benché la sua produzione maggiore fosse ormai del tutto passata di moda. Il termine usato da Bach, Inventio, appartiene al vocabolario della retorica, largamente diffusa negli studi tedeschi del XVIII secolo. In particolare, si riferisce al De Inventione di Cicerone, che distingueva le cinque fasi dell’orazione (inventio, dispositio, elocutio, memoria e pronuntiatio). Nel contesto di questi veri e propri studi in forma musicale, la inventio corrisponde al concetto più moderno di tema. Lo scopo didattico di Bach consisteva nell’insegnare che un’idea risulta buona in base alla maniera in cui viene sviluppata, non solo seguendo le regole della composizione, ma anche rispettando la giusta espressione del suo carattere. Il progresso nell’abilità tecnica non doveva mai essere disgiunto dalla formazione del gusto, elemento essenziale per conferire alla forma musicale il pieno significato del suo progetto. L’approccio graduale indicato da Bach nell’avvertimento ricordato sopra intendeva guidare lo sviluppo armonico di entrambe le dimensioni nel giovane allievo, secondo una tradizione di musica didattica che risaliva ai tempi di Lutero. Georg Rhau, antico predecessore di Bach nel ruolo di Thomaskantor, dichiarava nella prefazione della sua maggiore opera polifonica, Vesperarum precum officia (1540), il suo desiderio “di assistere gli scolari fornendo loro il mezzo per lodare Dio e imparare le verità delle Sacre Scritture, e tramite il quale possano anche amare e studiare l’onorata disciplina della musica”. L’approccio della Jansen e dei suoi colleghi a queste musiche non corrisponde in senso stretto a una trascrizione, se non per aver impiegato in qualche punto un arrangiamento fatto nella prima metà dell’Ottocento da Ferdinand David, il grande violinista amico di Mendelssohn. I musicisti leggono infatti la propria parte così com’è, direttamente dal manoscritto. Le voci corrispondono al registro di ciascuno strumento, tranne appunto alcune trasposizioni d’ottava tecnicamente necessarie. Si tratta dunque di una trascrizione circoscritta alla dimensione fisica del timbro e del colore del suono. In sostanza, però, il passaggio dalla tastiera agli strumenti a corda accentua un aspetto sottolineato da Bach nella sua visione di questi studi, ovvero la capacità di “suonare in maniera cantabile”. Nel contesto del primo Settecento, la musica acquista un carattere cantabile quando ciascuna voce raggiunge la piena indipendenza dalle altre e la sua corretta espressione. Le Invenzioni e le Sinfonie, malgrado l’indiscutibile origine didattica per la tastiera, sono il frutto di una mente musicale così ricca di forza espressiva, da tollerare e quasi incoraggiare ogni genere di trasposizione, specie se consente, come in questo caso, di apprezzare meglio l’esatto valore della scrittura. Diverso è il caso della Partita in re minore per violino solo, sebbene anch’essa abbia subito numerose trascrizioni per altri strumenti. La Partita nasce all’in- terno di un ciclo di lavori concepiti per un grande virtuoso, racchiudendo forse il culmine dell’idea barocca di somma abilità tecnica congiunta al massimo grado d’espressione, la celebre Ciaccona. Dal punto di vista meramente storico, infatti, la Partita fu scritta forse per il Konzertmeister della cappella musicale di Köthen, Joseph Spiess, nel 1720, ma in senso più generale ambiva a raggiungere una sintesi pressoché impossibile tra il linguaggio polifonico della grande tradizione contrappuntistica tedesca e il carattere espressivo della nuova musica degli affetti, secondo lo stile francese e italiano largamente diffuso nel XVIII secolo. Il violino dovrebbe trasformarsi di volta in volta in un grande attore tragico e in un possente coro drammatico, all’interno di forme strumentali ereditate dall’antica tradizione della Suite. L’ardire di una tale concezione e l’incredibile flessibilità richiesta allo strumento destano sempre stupore in chi ascolta e il desiderio di misurare se stesso in chi suona, senza mai esaurire le meraviglie nascoste nel testo. Ogni epoca, a partire dal secondo Ottocento, quando il grande violinista Joseph Joachim riportò in vita questi capolavori, ha trovato nelle Sonate e Partite uno specchio nel quale riflettere i problemi musicali del proprio tempo. Oggi, per esempio, un musicista che decida di affrontare la Partita in re minore, e soprattutto la Chaconne, difficilmente potrebbe prescindere dal nuovo approccio tecnico e stilistico apportato dagli studi filologici e dalla prassi esecutiva barocca. La Jansen, benché cresciuta in una famiglia di musicisti coinvolti in questo movimento di recupero del repertorio antico (il padre clavicembalista e uno zio cantante di musica barocca), si pone in maniera diversa. «Conoscere l’autentico stile di suonare naturalmente condiziona l’approccio a questa musica – sostiene la violinista – ma in fin dei conti ritengo che ciascuno debba seguire i propri sentimenti e il proprio istinto musicale. Per me è la maniera di respirare con la musica e di articolare il fraseggio che definisce la personalità artistica. La musica barocca tende un po’ a richiuderti, se non si fa attenzione». Alfred Schnittke “String Trio” per violino, viola e violoncello Moderato Adagio Per completare un programma imperniato sulla musica di Bach, i musicisti hanno scelto di rivolgersi a un lavoro di Alfred Schnittke, compositore russo ed esponente di spicco di quel composito gruppo di tendenze eterogenee emerse negli anni Ottanta e riunite sotto l’etichetta abbastanza generica di “post- moderno”. Con questo termine la critica tentava d’individuare un filo rosso tra musicisti delle più disparate provenienze, ma accomunati dall’esigenza di recuperare un rapporto con la storia, nettamente reciso nei decenni precedenti dall’ala più radicale della nuova musica. Ciascuno di questi nuovi autori interpretava naturalmente in maniera del tutto personale la necessità di tornare a esprimere nuove dimensioni spirituali con il linguaggio tradizionale, anche per le diversissime storie personali che ciascuno di loro aveva alle spalle. Schnittke era cresciuto in una famiglia ebrea d’origine tedesca, trasferitasi in Unione sovietica nel 1926. Grazie alla professione del padre, Schnittke aveva avuto la possibilità da giovane di recarsi per qualche anno a Vienna e in generale di conoscere un po’ meglio la situazione musicale internazionale rispetto ai suoi compagni di studi. Malgrado l’aiuto e la stima di personalità autorevolissime come Dmitrij Šostakovič, Schnittke rimase tuttavia confinato ai margini della scena musicale russa, sbarcando il lunario soprattutto come autore di musiche per il cinema. La sua maniera beffarda di sottrarsi alla ritualità ideologica del regime sovietico e anche il mai sopito antisemitismo serpeggiante in tutti gli strati della società russa contribuirono a tenere Schnittke in una condizione di sostanziale isolamento, dalla quale riuscì a sottrarsi principalmente grazie all’aiuto di musicisti come Gidon Kremer, che si prodigò moltissimo per far conoscere la sua musica a livello internazionale. Il Trio per archi risale appunto alla metà degli anni Ottanta, nella fase forse più favorevole alla sua musica. Schnittke scrisse il lavoro su commissione dell’Alban Berg Stiftung di Vienna, per celebrare il centenario della nascita dell’autore. Il Trio è composto da due movimenti lenti, “Moderato” e “Adagio”, strettamente connessi l’uno all’altro tramite riferimenti tematici e uniti da molteplici caratteristiche di scrittura. Per festeggiare un compleanno, Schnittke aveva scelto di sicuro una maniera piuttosto insolita, scrivendo una musica calata in un clima livido e animata da uno spirito grottesco, a tratti quasi allucinato. L’autore mostra nel Trio il lato più tragico della sua musica, rinunciando anche a quel travestimento ironico spesso usato come paravento, per mascherare il terribile pessimismo della sua visione della vita. Ma il senso del suo intervento appare giustificato dal legame di Berg con il mondo espressivo di Mahler, che figura senza dubbio tra le fonti del suo stile, sebbene in una dimensione resa ormai del tutto problematica e quasi disseccata dalla distanza storica. In ogni caso Schnittke mostra anche in questo lavoro cupo e in sostanza disperato la grande forza espressiva della sua musica, che ha saputo scuotere la scena musicale un po’ impigrita e confusa dello scorcio conclusivo del secolo scorso, generando un salutare scandalo e una maggiore attenzione alle molteplici possibilità dei linguaggi musicali. Oreste Bossini JANINE JANSEN violino La violinista olandese Janine Jansen ha studiato con Coosje Wijzenbeek, Philipp Hirshhorn al Conservatorio di Utrecht e si è diplomata con Boris Belkin. Nel settembre 2003 ha ricevuto il Premio del Ministero per la Cultura, il più importante riconoscimento olandese. Nel 1997 ha debuttato al Concertgebouw di Amsterdam, nel novembre 2002 con la Philharmonia Orchestra e Vladimir Ashkenazy. Da allora si è esibita con le più importanti orchestre del mondo (Gewandhausorchester di Lipsia, Radio Symphonie Orchester Berlin, Orchestre National de France, Orchestre de la Suisse Romande, Mozarteum di Salisburgo, Kirov Orchestra, Israel Philharmonic, NHK Symphony Orchestra di Tokyo, Academy of St. Martin-inthe-Fields) con direttori quali Frans Brüggen, Neeme Järvi, Riccardo Chailly, Valery Gergiev, Sakari Oramo, Mikhail Pletnev e Leonard Slatkin. Nel 2003 ha debuttato ai BBC Proms per la serie “BBC New Generation Artist”, nel 2005 ha inaugurato i BBC Proms con il Concerto di Mendelssohn diretta da Roger Norrington. Appassionata camerista, ha fondato l’International Chamber Music Festival di Utrecht e, dal 1998, fa parte di Spectrum Concerts Berlin, una serie di concerti alla Philharmonie di Berlino. Nella stagione 2005/2006 ha debuttato negli Stati Uniti dove si è esibita con le maggiori orchestre sinfoniche ed è stata in tournée con la Orpheus Chamber Orchestra. Ha al suo attivo numerose registrazioni (Edison Classic Public Award nel 2004 e 2005). Recente è la registrazione dei Concerti di Mendelssohn e Bruch con Riccardo Chailly e la Gewandhausorchester di Lipsia. Suona il violino di Antonio Stradivari “Barrere” (1727) affidatole dalla Elise Mathilde Foundation tramite la Stradivari Society of Chicago. È per la prima volta ospite della nostra Società. MAXIM RYSANOV viola Originario dell’Ucraina, Maxim Rysanov ha iniziato gli studi alla Scuola Centrale di Mosca. Vive a Londra dove ha studiato alla Guildhall School of Music and Drama. Premiato in concorsi internazionali tra i quali la Lionel Tertis International Viola Competition e il Concorso di Ginevra, dal 2007 fa parte del “BBC New Generation Artist Scheme”. Come solista e in formazioni cameristiche è ospite di festival e istituzioni musicali in tutto il mondo (Royal Albert Hall, Wigmore Hall, Bridgewater Hall e St. John’s Smith Square). Dedica parte della sua attività alla musica contemporanea; ha eseguito in prima mondiale il Duo Concertante per viola e violoncello di Artyom Vassiliev allo Spitalfields Festival. Nella stagione scorsa ha debuttato in Giappone e Cina con Julian Rachlin e Mischa Maisky in un arrangiamento per trio delle Variazioni Goldberg di Bach e ha eseguito al Festival di Pechino la Sinfonia Concertante di Mozart, ripresa con Janine Jansen, la European Union Youth Orchestra e Vladimir Ashkenazy a Londra. Tra gli impegni recenti il debutto in Germania nel Concerto di Bartók, le Variazioni Goldberg di Bach per trio nei maggiori centri musicali europei (South Bank Centre a Londra, National Concert Hall a Dublino, Philharmonie a Berlino, Konzerthaus a Vienna) e un concerto da solista al Mostly Mozart Festival alla Barbican Hall a Londra. Da qualche anno si dedica inoltre alla direzione d’orchetra. Il suo debutto discografico in duo con Evelyn Chang ha meritato una nomination per il premio Editor’s Choice della rivista Gramophone. Suona una viola di Giuseppe Gaudagnini del 1780 della Elise Mathilde Foundation. È per la prima volta ospite della nostra Società. TORLEIF THEDÉEN violoncello Il violoncellista svedese Torleif Thedéen si è imposto all’attenzione internazionale per aver vinto nel 1985 tre tra i più importanti concorsi per violoncello del mondo: “The Hammer-Rostropovich Prize” a Los Angeles, “Pablo Casals Competition” a Budapest e il premio dell’“European Broadcasting Union's International Tribune” per giovani interpreti a Bratislava. Da allora suona regolarmente non solo con le maggiori orchestre svedesi, ma anche con orchestre quali BBC Philharmonic Orchestra, City of Birmingham Symphony Orchestra, Konzerthausorchester Berlin, Orchestra Filarmonica di Mosca, Orchestra Filarmonica Ceca, Rotterdam Philharmonic, Netherlands Philharmonic Orchestra e Israel Sinfonietta con direttori di primo piano tra i quali Esa-Pekka Salonen, Paavo Berglund, Neeme Järvi, Franz Welser-Möst e Gennady Rozhdestvensky. In ambito cameristico è ospite regolare di istituzioni musicali quali Wigmore Hall a Londra, Carnegie Recital Hall a New York, Concertgebouw di Amsterdam e Berliner Philharmonie e di festival di primo piano (Primavera di Praga, Schleswig-Holstein, Bordeaux, Oslo, Bath, Stavanger e Kuhmo). La sua registrazione del Concerto per violoncello di Šostakovič ha vinto nel 1995 il “Cannes Classical Award”, le Suites per violoncello solo di Bach l’Editor’s Choice del BBC Music Magazine nel 2001. Dal 1992 è docente al Conservatorio Reale di Copenhagen e, dal 1996, anche al Edsberg’s Music Institute di Stoccolma. Nel 2003 ha ricevuto la medaglia svedese “Litteris et Artibus”. Suona un violoncello costruito da David Tecclar nel 1711. È per la prima volta ospite della nostra Società. Prossimi concerti: Martedì 4 marzo 2008, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Andrea Lucchesini pianoforte Mario Brunello violoncello Marco Rizzi violino Jörg Widmann clarinetto Alessio Allegrini corno Alcuni tra i nomi di spicco della nuova generazione di solisti italiani incontrano il clarinettista tedesco Jörg Widmann, ormai perfettamente affermato anche come compositore, per dar vita a un omaggio alla musica da camera di Brahms. Due lavori splendidi, benché appartenenti a epoche diverse, come il Trio con corno op. 40 e il Trio con clarinetto op. 114 dialogano con la musica del nostro tempo, nel Trio espressamente dedicato a Brahms da György Ligeti e in un Notturno dello stesso Widmann. Il raffinato omaggio scaturisce dalla radice ancora piena di linfa della musica da camera del grande maestro, senza la quale non sarebbe neppure nata gran parte della storia musicale del Novecento. Programma (Discografia minima) J. Widmann Nachtstück J. Brahms Trio per clarinetto, violoncello e pianoforte in la minore op. 114 (Jörg Widmann, Jan Vogler, Ewa Kupiec, Berlin Classics BER 1749) G. Ligeti Trio per corno, violino e pianoforte “Hommage à Brahms” J. Brahms Trio per corno, violino e pianoforte in mi bemolle maggiore op. 40 (William Purvis, Rolf Schulte, Alan Feinberg, Daniel Phillips, Richard Goode, Bridge Records BRI 9012) martedì 11 marzo 2008, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Quartetto Rosamunde Haydn, Larcher, Beethoven Società del Quartetto di Milano via Durini 24 - 20122 Milano tel. 02.795.393 – fax 02.7601.4281 www.quartettomilano.it e-mail: [email protected] Quartetto per Brera – Primavera 2008 Torna, dopo il successo dello scorso anno, la rassegna Quartetto per Brera, organizzata dalla Società del Quartetto in collaborazione con la Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Etnoantropologico della Lombardia Occidentale: quattro appuntamenti in marzo, il sabato pomeriggio alle 17 nella Sala VIII della Pinacoteca di Brera, per ammirare i capolavori della pinacoteca milanese e ascoltare un concerto affidato a interpreti italiani. Si esibiranno il Trio Matisse pianoforte, violino e violoncello (1° marzo), il Trio Rosso-De Martini-Biraghi flauto, violino e chitarra (8 marzo), Ruggero Laganà clavicembalo (15 marzo), Fulvio Luciani e Massimiliano Motterle violino e pianoforte (29 marzo). Ingresso alla Pinacoteca e al concerto € 5. I primi 20 Soci che acquisteranno il biglietto avranno un posto riservato nelle prime file. Per informazioni e prenotazioni rivolgersi alla segreteria della Società (tel. 02 795.393, [email protected]). Anche quest’anno la Soprintendenza, in occasione dei concerti, offre quattro visite guidate a Capolavori scelti della Pinacoteca. Prenotazione obbligatoria (per un massimo di 25 persone) dal lunedì al venerdì precedenti (tel. 02 72263.204, ore 9.30 - 12.30).