anno XIX - numero 48 - 18 giugno 2013 L’intervista Parlano il direttore Campanella ed il regista Cappuccio A Pag. 2 La Storia dell’Opera Dieci giorni di lavoro dietro al Don Pasquale A Pag. 6 L’Analisi musicale Un’opera buffa che attraverso la musica sa tingersi d’amarezza A Pag. 7 Patti pre-matrimoniali Una pratica vietata in Italia, ma con qualche eccezione A Pag. 8e9 La maschera di Don Pasquale Da sempre protagonista nella commedia buffa A Pag. 12 don pasquale di Gaetano Donizetti Don Pasquale 2 Il Giornale dei Grandi eventi Parlano il direttore Bruno Campanella ed il regista Ruggero Cappuccio «Uno spartiacque tra due mondi musicali, ma anche un’opera comica che si trasforma in dramma» E ’ la terza volta che il direttore d’orchestra Bruno Campanella ed il regista Ruggero Cappuccio lavorano insieme. Tre volte a Roma e tre volte con titoli belcantistici: la prima con L’elisir d’amore di Donizetti nel febbraio 2011, quindi nell’aprile 2012 con Il barbiere di Siviglia di Rossini ed ora con questo Don Pasquale, pentirsene. «E’ un vero spartiacque. Da qui l’opera cambia completamente atmosfera – sottolinea il maestro Campanella 70 anni, barese, con alle spalle anche un’incisione del Don Pasquale a Torino nel 1989 con la regia di Giancarlo Menotti che gli valse il premio della critica ed un Disco d’oro – e quindi proprio questo punto io cerco di sottoli- Bruno Campanella Ruggero Cappuccio anch’esso donizettiano, opera che al Costanzi mancava dal maggio 2003. E Campanella e Cappuccio, quasi all’unisono, sottolineano, come primo aspetto, il fatto che il Don Pasquale va considerata l’ultima opera comica della grande stagione italiana. Dopo, in questa tradizione, saranno episodicamente solo il Gianni Schicchi nel Trittico di Puccini ed il Falstaff di Verdi. Quest’opera è dunque momento culmine del puro repertorio comico, anche se nel terzo atto c’è un passaggio cruciale in cui il comico si trasforma in triste, ovvero quando Norina, volendo sposare Ernesto, colpisce con uno schiaffo l’anziano Don Pasquale, per poi quasi nearlo con una sorta di sospensione musicale, per far capire che sta divenendo forse un’altra opera. Infatti, se apparentemente continua in maniera giocosa, nello spettatore rimane come un fondo d’amarezza». Il filo conduttore del Don Pasquale è argomento comune in teatro, con l’anziano e ricco personaggio che vorrebbe sposare una giovane fanciulla. «Nell’opera Don Pasquale mi ha colpito la capacità straordinaria di Donizetti di allineare il registro comico con quello malinconico», dice il 49enne regista Ruggero Cappuccio, al suo debutto con questo titolo. «Due registri che fino allora erano stati separati, lui li fa convivere e questo sarà poi dominante nella storia del teatro italiano fino a De Filippo». Il G iornale dei G randi eventi Direttore responsabile Andrea Marini Direzione Redazione ed Amministrazione Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma e-mail: [email protected] Editore A. M. Stampa Tipografica Renzo Palozzi Via Vecchia di Grottaferrata, 4 - 00047 Marino (Roma) Registrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995 © Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore Visitate il nostro sito internet www.ilgiornalegrandieventi.it dove potrete leggere e scaricare i numeri del giornale Quindi, come affrontare registicamente questo tema, per non cadere nel banale? «Nel melodramma – spiega Cappuccio – ci sono due grossi problemi: o si affronta un’opera con una messa in scena filologica, o la si cerca di tradurre ad ogni costo. Non ho voluto fare nulla di ciò ed in particolare non ho voluto la facile strada - soprattutto ora - dell’anziano politico che guarda a qualche giovane ragazza. Tale forma di cronachismo sarebbe nata già morta, poiché nulla invecchia prima della cronaca. Quello che m’interessa è cogliere gli elementi di dialogo tra moderno e classico che sono insiti nel lavoro donizetiano, guardando piuttosto ad un allestimento sospeso nel tempo e nelle forme: un allestimento atemporale, anche se la visione che propongo parte da immagini reali del Palazzo Altemps di Roma, immaginato come la casa di Don Pasquale. Si passa così attraverso dissolvenze incrociate, simili a vecchie foto Alinari, proiettate durante l’Overture, per arrivare ad un acquerello che è la concretizzazione della favola». Sono sfumature tenui, ariose, come la musica di Donizetti, il quale nella sua musica e nelle sue note pare cogliere i colori delicati dell’alba e del tramonto. «La casa di Don Pasquale – continua – è ariosa, minimalista, con due grandi porte divise da un alto pendolo immobile. Ma nel terzo atto la stessa casa, in pratica trasformata nel bazar dei capricci di Norina, si popola di tavoli sartoriali dove i cantanti salgono e scendono, creando confusione. E’ tutto un lavoro costruito su suggestioni luminose: non è uno spazio reale con tavoli veri, maniglie vere, ma un mondo totalmente onirico». Dal punto di vista musicale, l’opera è proposta in maniera integrale. «Non ho cambiato nulla – sottolinea il direttore Bruno Campanella – ho solo accentuato certe pause: adoro i “rubati”, quell’accelerare e rallentare per adeguare la musica alle parole, elemento che all’epoca gli autori non scrivevano sulla partitura, visto che i cantanti si basavano sulla lingua italiana e questo nel Belcanto portava la parola ad essere quasi più importante della musica. Il problema è che l’orchestra deve suonare piano anche quando è scritto “forte”, “fortissimo”, perché tali indicazioni all’epoca erano per strumenti a suoni naturali e quindi ora, dopo la temperie Wagneriana che ha mutato strumenti e tecnica alzando tutto di tono, corrispondono a nemmeno un “mezzo forte”». andrea Marini stagione 2013 del Teatro dell’opera di Roma 16 - 23 luglio nabucodonosoR di Giuseppe Verdi Riccardo Muti Direttore stagione estiva alle Terme di caracalla 2 - 7 luglio TeRRa e cIelo Coreografia Direttore di Nino Rota Micha van Hoeche Gaetano D’Espinosa cavalleRIa RusTIcana di Pietro Mascagni 1 - 6 agosto Tosca di Giacomo Puccini Renato Palumbo Direttore 23 - 31 ottobre TuRandoT di Giacomo Puccini Pinchas Steinberg Direttore ~~ La Locandina ~ ~ Teatro Costanzi, 18 - 25 giugno Don Pasquale Dramma buffo in tre atti Musica di Gaetano Donizetti Libretto di Giovanni Ruffini e Gaetano Donizetti Prima rappresentazione: Parigi, Théâtre Italien, 3 gennaio 1843 Direttore Regia Maestro del Coro Scene Costumi Luci Bruno Campanella Ruggero Cappuccio Roberto Gabbiani Carlo Savi Carlo Poggioli Agostino Angelini Personaggi / Interpreti Norina (S) Ernesto (T) Don Pasquale (Bar) Dottor Malatesta (B) Un notaro (B) Eleonora Buratto / Rosa Feola 19, 21, 23 Joel Prieto / Edgardo Rocha 19, 21, 23 Nicola Alaimo / Andrea Concetti 19, 21, 23 Mario Cassi / Alessandro Luongo 19, 21, 23, 25 Giorgio Gatti ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA Nuovo allestimento ~ ~ La Copertina ~ ~ Illustrazione del Don Pasquale tratta da un calendarietto artistico da barbiere del 1935. (Rielaborazione grafica di Carlo Incisa di Camerana). Il Don Pasquale Giornale dei Grandi eventi E’ il grande repertorio popolare quello che torna al Teatro dell’Opera con il Don Pasquale. Il repertorio polare del Belcanto, della grande opera comica del repertorio italiano ottocentesco, della quale questo titolo ne rappresenta l’ultimo vero esempio, anche se si registrerà qualche successiva, sporadica ripresa. Composto in appena dieci giorni nel 1842 ed andato in scena per la prima volta a Parigi il 3 gennaio 1843, il Don Pasquale dimostra la straordinaria capacità creativa del 45enne Gaetano Donizetti, capacità che quì trova la sua forma più compiuta con il perfetto equilibrio tra elementi comici, melodi- ci e la leggerezza dei personaggi. Donizetti aveva alle spalle successi come quello dell’Elisir d’amore (1832), della Lucia di Lammermoor (1835) e del Roberto Devereux (1837), e con il ritiro dalla composizione di Rossini e la morte di Bellini, rimaneva l’operista italiano più richiesto, insieme al nascente Verdi, che nel 1842, a 29 anni, aveva portato in scena la sua terza opera, il Nabucco. Un lavoro donizettiano, questo del Don Pasquale che dal Teatro Costanzi mancava da ben 10 anni (era il maggio del 2003). Vi torna ora con un cast giovane, il quale però non manca di quel carisma interpretativo che si è forse ultimamente un po’ perso nei cantanti. 3 A dominare in questo titolo del principe del Bel- Mercoledì 19 giugno, h. 20.00 canto è la voce, Giovedì 20 giugno, h. 20.00 Venerdì 21 giugno, h. 20.00 con alcune delle Sabato 22 giugno, h. 18.00 arie più belle, co- Domenica 23 giugno, h. 16.30 me quella per ba- Martedì 25 giugno, h. 20.00 ritono del Dottor Malatesta “Bella siccome un angelo” (testo che Verdi e Francesco Maria Piave, dieci anni dopo nella Traviata, “ruberanno” con quell’aria di Germont “Pura siccome un angelo”) e la cavatina iniziale, alla sua entrata in scena, della furba Norina “So anch’io la virtù magica”. Le Repliche Il Don Pasquale, finale trionfo del Belcanto L’opera originariamente è divisa in tre atti, di circa 45 minuti ciascuno. In questo allestimento primo e secondo atto sono stati accorpati, così che ci sia un solo intervallo prima del terzo atto. La Trama La vicenda si ambienta a Roma, all’inizio del XIX secolo. atto I: Sala in casa di Don Pasquale. L’anziano scapolo Don Pasquale, deciso a sposarsi per diseredare il nipote Ernesto, è in attesa del dottor Malatesta, il quale ha promesso di trovargli moglie. Il dottore arriva e gli propone di prendere in moglie sua sorella Sofronia, donna modesta e virtuosa. Eccitato all’idea delle nozze, Don Pasquale comunica ad Ernesto la sua decisione di diseredarlo e allontanarlo di casa se non sposerà una donna scelta da lui. Ernesto, invece, è innamorato di una vedova, la bella e povera Norina e, venuto a sapere del matrimonio dello zio con la sorella del dottore, si dispera: infatti rimarrà privo di eredità, oltre ad essere stato tradito dall’amico Malatesta che ha fatto da sensale allo zio. In casa di Norina. La maliziosa Norina legge la favola del cavalier Riccardo e attende Malatesta che deve comunicarle un piano per gabbare Don Pasquale. In quel mentre riceve una lettera di Ernesto che si accomiata da lei e le comunica le intenzioni dello zio e il presunto tradimento del dottore. Malatesta allora spiega alla donna il suo piano: sarà proprio lei, Norina, ad impersonare Sofronia e a unirsi a Don Pasquale con un falso matrimonio. I due si divertono a fare le prove della scena in cui Norina incarnerà Sofronia. vane. Si celebra il matrimonio ed Ernesto, che dopo un momento di stupore viene messo a parte dell’imbroglio, si presta a fare il testimone. Non appena un falso notaio stipula il contratto, secondo cui Don Pasquale dona la metà del suo patrimonio alla moglie, Sofronia si trasforma in una furia scatenata, diventa impertinente, mette a soqquadro tutta la casa ed inizia a spendere senza ritegno il denaro del marito. atto III: Sala in casa di Don Pasquale. Nella casa regna il caos e le fatture si accumulano. Sofronia annuncia di volersi recare a teatro e, quando Don Pasquale cerca di dissuaderla, ella risponde con un sonoro schiaffone. Quindi esce di corsa, lasciando cadere a bella posta un biglietto. Don Pasquale lo legge e scopre così che Sofronia ha un appuntamento amoroso la notte in giardino. Deciso a vendicarsi, il vecchio chiede l’aiuto di Malatesta per liberarsi della moglie e i due decidono di appostarsi in giardino all’ora del convegno, per sorprendere gli amanti. Nel frattempo, però, Malatesta, ha persuaso Ernesto a fingere di essere l’amante di Sofronia. La notte, nel giardino di Don Pasquale. Ernesto canta una serenata a Sofronia. Mentre i due si scambiano parole d’amore, Don Pasquale e il dottore escono dal nascondiglio e sorprendono la ragazza. Esasperato, Don Pasquale caccia via Sofronia, ammettendo di essere disposto piuttosto ad accettare le nozze fra Ernesto e Norina. Ernesto finge di arrivare in quel momento e così Don Pasquale viene messo a conoscenza di tutti gli intrighi operati a suo danno. Troppo felice di sapere di non essere davvero legato alla terribile Sofronia, Don Pasquale perdona tutti per l’inganno e acconsente alle nozatto II: Sala in casa di Don Pasquale. Disperato, Ernesto è deciso ad ab- ze fra Ernesto e Norina. bandonare la città. In quel momento giunge Malatesta per presentare la La morale, secondo Norina, è che non conviene ammogliarsi in tarsua falsa sorella Sofronia - in realtà Norina - a Don Pasquale. Il vecchio da età; mentre secondo i tre protagonisti la morale è che la donna sasi innamora immediatamente della bellezza e della modestia della gio- rà sempre più astuta di loro. Il Giornale dei Grandi eventi Don Pasquale 5 Mario Cassi e Alessandro Luongo Nicola Alaimo e Andrea Concetti Malatesta, furbo architetto dell’inganno Don Pasquale, anziano scapolo credulone A i baritoni Mario cassi (18, 20, 22 giugno) e alessandro luongo (19, 21, 23, 25 giugno) è affidato il ruolo del dottor Malatesta. Mario cassi, nato ad Arezzo nel 1973, ha debuttato nel 2001 con il Laboratorio Voci in Musica di Musica per Roma interpretando Guglielmo in Così fan tutte e il Signor Lupo in Pollicino. Nel 2002 ha vinto il Concorso Toti Dal Monte e il premio speciale Cesare Bardelli al Concorso Viotti di Vercelli, e nel 2003 si è aggiudicato il premio Zarzuela al Concorso Plácido Domingo Operalia. Nel 2004, ha vinto il secondo premio al Concorso Spiros Argiris. Nella sua carriera ha collaborato con direttori del calibro di Muti, Oren, Mariotti, Antonini, Rovaris, Fournillier, Renzetti e Olmi. alessandro luongo, nato a Pisa, si è perfezionato con Alessandro Corbelli, Renato Bruson, Robert Kettelson e Mirella Freni. Ha vinto vari concorsi internazionali fra cui il 56° Concorso As.Li.Co (2005) e l’11° Concorso Spiros Argiris (2010). Ha già avuto modo di Mario Cassi e Nicola Alaimo calcare importanti palcoscenici ed ha collaborato con prestigiosi direttori. Nel 2012 ha cantato come Figaro ne Il barbiere di Siviglia all’Opera di Roma, L’Elisir d’amore a Venezia, Il trovatore a Ravenna ed Ernani (Don Carlo) a Cremona. Nel ruolo di Don Giovanni ha inaugurato la stagione 2012/13 del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino con la direzione di Zubin Mehta. Fra i suoi prossimi impegni Il trovatore, ancora Don Pasquale, Le nozze di Figaro, e L’elisir d’amore. A cantare nei panni dell’anziano Don Pasquale, saranno il baritono nicola alaimo (18, 20, 22, 25 giugno) e il basso andrea concetti (19, 21, 23 giugno). nicola alaimo è nato a Palermo nel 1978, dove ha compiuto gli studi musicali. Non ancora ventenne ha vinto il concorso Giuseppe Di Stefano a Trapani, debuttando il ruolo di Dandini ne La Cenerentola. Artista versatile, è stato scelto da Riccardo Muti come protagonista del Don Pasquale al Ravenna Festival ed in una tournée in Europa e Russia. Ha esordito negli U.S.A. con la Boston Symphony Orchestra diretta da James Levine nel Simon Boccanegra, opera che ha segnato anche il suo debutto al Metropolitan Opera di New York. Recentemente ha cantato a Parigi e Vienna all’Opéra National e alla Staatsoper. andrea concetti, diplomato al Conservatorio Gioachino Rossini di Pesaro, si è perfezionato con Sesto Bruscantini e Mietta Sighele. Dopo aver vinto il 46° Concorso Internazionale Adriano Belli di Spoleto,ha debuttato al Festival spoletino nel 1992. Nel corso della sua carriera ha cantato in diversi teatri internazionali. Ha inaugurato la stagione 2012/13 del Teatro Massimo di Palermo ne L’Heure espagnole. Nel suo repertorio anche Don Pasquale, Il Turco in Italia, Mosè in Egitto, Sigismondo, Turandot, L’elisir d’amore, Die Zauberflöte, La fille du régiment, Le nozze di Figaro, Simon Boccanegra, La clemenza di Tito, Stiffelio, Falstaff, Torvaldo e Dorliska. Eleonora Buratto e Rosa Feola Norina/Sofronia, furba e falsa sposa Joel Prieto ed Edgardo Rocha Ernesto, nipote di Don Pasquale, innamorato di Norina A cantare come il giovane Ernesto saranno i tenori Joel prieto (18, 20, 22, 25 giugno) ed edgardo Rocha (19, 21, 23 giugno). Joel prieto, nato nel 1981 a Madrid e cresciuto a Porto Rico, si è avvicinato alla musica fin da subito. Dopo aver completato i suoi studi presso la Manhattan School of Music di New York, nel 2004 è stato vincitore regionale delle Audizioni del Metropolitan Opera National Council. Nel 2008 ha vinto il premio Operalia di Placido Domingo, con cui ha lavorato nella produzione della zarzuela Luisa Fernanda diretta da Joseph Caballé al Theatre an der Wien Placido Domingo, iniziando una carriera internazionale. In concerto è stato al Festival di Salisburgo nella Messa in do minore di Mozart e lo Stabat Mater di Hayden, al Teatro de la Maestranza di Siviglia, al Sächsische Semperoper di Dresda ed al Concertgebouw di Amsterdam. edgardo Rocha, Nato a Rivera in Uruguay,ha studiato Direzione Corale ed orchestrale alla Scuola di Musica dell’Università della Repubblica, dove si è diplomato in pianoforte, successivamente ha ottenuto una borsa di studio dalla Fondazione Chamangá per giovani talenti per studiare canto con Alba Tonelli, Beatrice Pazos e Raquel Pierotti. Nel 2008 si è trasferito in Italia per perfezionarsi con il tenore Salvatore Fisichella. Ha partecipato a masterclass del tenore rossiniano Rockwell Blake e del baritono Alessandro Corbelli. È stato vincitore del 51° Concorso di Giovani Musicisti dell’Uruguay, dell’8° Concorso Internazionale di canto Maria Callas di San Paolo, del Concorso Giulio Neri a Siena e del Primo Palcoscenico a Cesena. Nel suo repertorio concertistico Requiem K 626 e Vesperae solennes de Confessore K 339 di Mozart, Weihnachts-oratorium BWV 248, Oster Oratorium BWV 249, Magnificat e Cantate BWV 10, BWV 147, BWV 182 di Bach. Tra i futuri progetti , Crispino e la comare , La Cenerentola, Il barbiere di Siviglia, Otello, La sonnambula, La Gazzetta e La scala di seta. A d interpretare il ruolo della sorella del dottor Malatesta, saranno i soprano eleonora buratto (18, 20, 22, 25 giugno) e Rosa Feola (19, 21, 23 giugno). eleonora buratto, nata a Mantova nel 1982, nel 2006 si è diplomata in canto presso il Conservatorio L. Campiani della sua città. Per oltre tre anni ha studiato con il maestro Luciano Pavarotti, per un anno ha frequentato l’Accademia di canto lirico di Mirella Freni e si è Eleonora Buratto perfezionata con Paola Leolini. Nel 2007 ha vinto la Competizione Arturo Belli del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, dove ha debuttato con successo nel ruolo di Musetta ne La bohéme ed in quello di Dirindina ne La Dirindina va a teatro. Ha cantato arie liriche e musiche da camera in numerosi concerti, tra cui quello per il Premio Donizetti a Luciano Pavarotti ed il concerto per il sessantesimo anniversario dal debutto di Leo Nucci. Tra gli impegni della stagione 2012-2013: I due Figaro, Ariande auf Naxos, e Messa in B minore di Bach. Rosa Feola, nata nel 1986, nel 2008 ha frequentato masterclass del Santa Cecilia Opera Studio con Renata Scotto, Anna Vandi e Cesare Scarton all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma. Nel 2010 ha vinto il Secondo Premio, del Pubblico e del Premio Zarzuela al Concorso Operalia di Plácido Domingo.Le esibizioni più recenti l’hanno vista ne Le nozze di Figaro, nel Don Giovanni nella Carmen , ne La bohème, e nel Rigoletto. In concerto ha recentemente cantato la Petite messe solenelle,e i Carmina Burana diretta da Riccardo Muti. Futuri impegni la vedranno nel Rigoletto, nel Falstaff , in Die Zauberflote , ne La finta giardiniera, e ne Le nozze di Figaro. In concerto, canterà i Carmina Burana con l’Orchestre National di Lione. Pagina a cura di Mariachiara Onori 6 Don Pasquale Il Giornale dei Grandi eventi La storia dell’opera Un “calvario” lungo (ben) dieci giorni D on Pasquale, scornato, gabbato, senex amans di plautina memoria, è tutt’altro che personaggio buffo e caricaturale: Donizetti gli regala una consapevolezza e un’umanità del tutto nuova all’interno del repertorio buffo in voga, rendendolo protagonista a tutti gli effetti, superiore alle altre figure in scena e stendendo sulla partitura quella originale patina di malinconia a mediare – e non cancellare – l’umorismo e lo sbeffeggio che alla prima sembrano prevalere. Un’opera di profonda poesia, dominata dall’amore e dallo sgomento per la vita che fugge, intima, tenera e abilmente equilibrata. Non a caso il Don Pasquale fu definito dallo stesso compositore “dramma buffo”, riprendendo, a suo modo, un binomio già utilizzato da Mozart nel Don Giovanni - lì era dramma giocoso - che abbina due poli di per sé contrastanti: quello appunto drammatico, in cui vengono a galla i contrasti interiori, e quello buffo, secondo la miglior tradizione comica del tempo. Don Pasquale è la terza opera comica donizettiana di grande spicco dopo L'elisir d'amore (1832) e la Fille du régiment (1840) e la sua peculiare eterogeneità di stili ne fa un lavoro variegato ed originalissimo. successo fin dalla “prima” Era il 3 gennaio 1843, quando al Théâtre Italien di Parigi il Don Pasquale nel suo debutto sulle scene ottenne un successo incontrastato, mai venuto meno, del resto, fino ad oggi. Bis, applausi, chiamate alla ribalta da parte di una platea entusiasta, che tributò tutti gli Il soprano Giulia Grisi, prima Norina Il Théâtre Italien a Parigi onori ad artisti in scena - Giulietta Grisi, Giorgio Ronconi, Eugenie Lablache, Antonio Tamburini - e al compositore bergamasco. «Anche oggi ricevo da Parigi otto giornali che parlano di Don Pasquale. Stupisco io stesso [...] Colpo di fortuna. Voilà tout...!». Donizetti forse nemmeno si rendeva conto di aver composto un capolavoro e di suscitare gelosie nel mondo musicale francese: la critica fu da subito positiva e le voci contrarie furono aprioristici ed isolati casi dettati dall’invidia. Nata nella consueta manciata di giorni - Donizetti era soprannominato dalle malelingue 'Dozzinetti', proprio per la strabiliante prolificità (a 'dozzine') non disgiunta, a volte, da prodotti banali, 'dozzinali'- la musica del Don Pasquale venne concepita nella mente del compositore alla fine del novembre 1842 e, da quanto è possibile conoscere dagli epistolari, da questa data passarono «più di dieci giorni di fatica». Dieci giorni. Certo s'intende la parte vocale con il basso, ma è altrettanto vero che la prima prova in palcoscenico con l'orchestra (quindi con partitura completata) fu il 21 dicembre e quella d'insieme il 28. Un mese scarso. Considerando, per di più, che la sua Linda di Chamounix, in quello stesso Théâtre Italien, era appena andata in scena, il 17 novembre: insomma, carne al fuoco ce n’era più che a sufficienza. Ciononostante, e nonostante (anche!) i malumori dei cantanti in prova - invidie, capricci, pretese da primedonne – Don Pasquale ebbe una gestazione di appena un mese. Con il risultato di cui sopra. Ma guardiamo più da vicino quei giorni di frenetica attività. composizione lampo Era il 1º luglio 1842: Donizetti partì da Vienna, dove presso il Teatro di Porta Carinzia ( ricopriva la carica di direttore musicale della stagione italiana (e dove aveva debuttato la sua, già citata, Linda di Chamounix) per tornare in Italia, prima a Milano, per l’allestimento di Maria Padilla, poi a Genova, da dove salpò verso Napoli, «sua casa» dagli anni trenta. «Quanto mi ha fatto piacere rivedere Napoli, e trovar tutti gli amici di sempre eguali, e vedere un numeroso pubblico che accorse quasi improvvisamente a teatro per rivedermi!». In questa città, infatti, appena morto Bellini e non ancora affermato il giovane Verdi, Donizetti aveva conosciuto una gloria incontrastata – per altro ben avviata già da alcuni anni - grazie anche alla collaborazione con il librettista Salvatore Cammarano (Lucia di Lammermoor 1835, Belisario 1836, Pia de’ Tolomei 1837, Roberto Devereux 1837, Maria di Rudenz 1838); ma nel 1838, afflitto dalla morte della moglie e deluso dal veto censorio che inesorabile si era abbattuto sul suo Poliuto, amareggiato infine dalla mancata nomina a direttore del Conservatorio dopo la morte di Gaetano Zingarelli quando gli fu preferito Saverio Mercadante, era partito per Parigi, dove aveva rappresentato con successo, nel solo 1840, La fille du régiment, Les martyrs – versione francese di Scribe del suddetto Poliuto – e La Favorite. Chiudiamo il “flashback” e torniamo al 1842: si diceva Vienna, Milano, Napoli e poi, nuovamente, Parigi. Il 27 settembre Donizetti firmò il contratto con Jules Janin, direttore del Théâtre Italién, per un’opera comica, che sarà appunto il Don Pasquale, e, meno di un mese dopo - il 20 ottobre - il Mae- stro vendette i diritti dell’opera per l’Italia e la Germania all’editore Ricordi, per la cifra di 6000 franchi. Per il soggetto, il compositore si ispirò all’opera buffa Ser Marcantonio, composta da Stefano Pavesi su libretto di Angelo Anelli (lo stesso autore del testo de L’Italiana in Algeri di Rossini), rappresentata alla Scala di Milano nel 1810. Ma occorreva una nuova stesura del libretto. Donizetti si rivolse, tramite il suo agente parigino (e fuoriuscito politico) Michele Accursi, a Giovanni Ruffini, anche lui esule a Parigi per le sue idee mazziniane e fratello di quell’ Agostino Ruffini che aveva collaborato con lo stesso compositore al Marin Faliero (1835). Il 29 settembre, quarantott’ore dopo la sigla sul contratto, iniziò il “calvario” del povero Ruffini, che con le sue lettere di sfogo alla madre supplisce egregiamente alla carenza totale di notizie a riguardo dell’epistolario donizettiano. «Donizetti ha provato il bisogno d’uno scalpellino facitor di versi per raffazzonare il libretto antico, per tagliare, cambiare, aggiungere, impiastrare e che so io. E questo scalpellino, per suggerimento di Michele, son io». Così, oltre al fastidio di «rivoltar panni vecchi», l’improvvisato librettista si trovò a far fronte alla nota celerità e alle pretese del compositore che tagliava «a capriccio due versi qui, tre là e quel poco di nesso logico che mi ero studiato di mettere ne’ miei pezzi» o che, al contrario, a versi completati, richiedeva altro testo. Il 7 novembre Ruffini, spazientito, consegnò il lavoro, si prese i suoi cinquecento franchi, ma rifiutò seccamente di apporvi il proprio nome: vi pose rimedio di nuovo Michele Accursi, che accettò di far siglare il libretto con M.A., le proprie iniziali, certo, ma anche interpretabili come “Maestro Anonimo”, il che avrebbe preservato, per i suddetti motivi politici, l’incolumità generale, ma generato per molti anni - diciamo noi - i dubbi sulla paternità del testo. In realtà il libretto del Don Pasquale è delizioso, prova dell’abilità di Donizetti anche nel saper redigere un testo funzionale all’elemento musicale, eliminando, selezionando, variando di continuo per creare un connubio ottimale tra parola e musica; e infatti quando scrisse i propri libretti se la cavò sempre benissimo. Il tutto ha contribuito, non da molto in verità, a rivalutare la figura di Donizetti nel panorama musicale italiano – in cui allora aveva un ruolo quasi subalterno a Bellini e a Verdi - attribuendogli le dovute peculiarità innovative, sia dal punto di vista del formulario operistico che da quello della drammaturgia. barbara catellani Il Don Pasquale Giornale dei Grandi eventi 7 L’analisi musicale Un’opera buffa che deride se stessa M olto varia e interessante nello stile è la partitura del Don Pasquale: in essa Donizetti, senza abdicare a se stesso e senza compromettere la sua originalità, seppe felicemente guardare ai grandi dell’opera buffa, Rossini, Paisiello, Cimarosa, Fioravanti, dei quali fece propri i procedimenti e le forme. Tuttavia, la genialità risiede in un aspetto forse meno evidente: Don Pasquale formalmente sembra appartenere al genere dell’opera buffa, ma in realtà gioca con questa tradizione, la deride, prende in giro i suoi stereotipi con un atteggiamento che è stato definito “metateatrale”. Per fare un esempio, la prima cavatina di Norina, pezzo chiuso di stampo tradizionale, viene cantata dalla protagonista che la legge da un libro subito gettato via con una bella risata, quasi il pezzo appartenesse a un mondo di convenzioni melodrammatiche ormai vetusto e babbione, come lo stesso protagonista dell’opera. Tutto viene utilizzato da Donizetti per evidenziare e per giocare con quei topoi che in passato avevano sclerotizzato ed esaurito il filone dell’opera buffa. Da un lato Don Pasquale rappresenta l’ultimo esempio di questo genere, mentre dall’altro apre la strada a un nuovo genere di opera, non più buffa ma senz’altro comica, ricca di una nuova ironia e autoironia. l’analisi musicale L’ouverture dell’opera sviluppa nella sua prima parte l’originale motivo della romanesca -genere di antica melodia spagnola molto usata in epoca barocca come base di variazioni -che viene ripresa nel terzo atto con la serenata “Com’è gentil”, cantata da Ernesto (tenore). Nella seconda parte, invece, anticipa il tema della cavatina brillante “So anch’io la virtù magica” alla fine del primo atto, nella quale Norina (soprano) ammette com- piaciuta di ben conoscere le femminili arti della seduzione. L’ouverture è una pièce strumentale nella quale regna una vivacità tutta rossiniana ed è ancora l’orchestra che, appena si apre il sipario, introduce un grazioso cantabile nel quale Don Pasquale (basso comico) distacca qualche nota mordente d’accompagnamento nel tipico stile dell’opera buffa, mentre aspetta trepidante il suo amico dottore. Dopo la bellissima romanza “Bella siccome un angelo” cantata dal Dottor Malatesta (baritono), I duetti successivi, l’uno tra Don Pasquale e il nipote Ernesto, l’altro fra il Dottore e Norina, sono pregevoli per i dettagli spiritosi e le belle melodie. Il secondo atto comincia con la cavatina del tenore “Cercherò lontana terra”, il cui cantabile, ben reso in ritornello dal corno, è seguito da un allegro ben distinto, nel ritmo e nell’espressione. È in quest’atto che si trova il pezzo più importante dell’opera: il quartetto. Lavorato con una cura tutta particolare, esso è costruito con una felice disposizione nella quale il dottore annuncia all’anziano protagonista di aver trovato per lui una splendida e remissiva mogliettina, segue la cavatina di don Pasquale “Ah! Un foco insolito”, fatta di note rapide e sillabate, dove il vegliardo, infervorato dalla notizia e dimentico dei suoi settant’anni, scalpita per conoscere la sua promessa. delle voci e con l’impiego ingegnoso e ripetuto dell’unisono fra il tenore e il soprano, opposto a quello del basso e del baritono, che insieme producono un effetto di trascinamento che sembra appartenere ai classici finali completi con personaggi e coro; è considerato il pendant del famoso sestetto della Lucia di Lammermoor, natural- mente cercato e realizzato con procedimenti diversi. L’effetto della stretta, alla fine del quartetto, è quasi impossibile da descrivere da un punto di vista musicale, tanto l’azione è intimamente legata all’opera del compositore. Questo finale è concluso da un assalto molto comico, fatto di rapide parole tra Don Pasquale e il Dottore, nel quale ciascuno dei due resta a suo modo vincitore. Sicuramente fu scritto in tal modo da Donizetti per pacificare le rivalità che intercorrevano tra il basso Lablache e il baritono Tamburini, primi creatori dei due personaggi. Il duetto fra Norina e Don Pasquale, che apre il terzo atto, è una delle scene meglio trattate dal musicista. Uno schiaffo dato a un vecchio, seppure applicato da una graziosa mano femminile, non è una cosa di per sé molto comica e Donizetti ha posto delle lagrime reali negli accenti di disperazione del marito oltraggiato. Queste lacrime, versate in note velocemente ribattute da Don Pasquale, danno luogo in realtà a un’ottima scena di commedia, più che di opera buffa. La scena di questo duetto, nella quale il vecchio si ribella alla prepotenza della finta moglie, ebbe sempre grande successo. Segue un brano corale composto con molto spirito, che esprime i lamenti delle serve e dei valletti contro la bizzarra e bisbetica padrona. Una serenata deliziosa è quella già citata del tenore, che la canta dietro le quinte con un semplice accompagnamento di chitarra. Essa è poi seguita da un notturno dalle graziose forme amorose e da un rondò, degna e brillante conclusione di questo splendido lavoro del maestro bergamasco. andrea cionci In edizione limitata Il facsimile della partitura autografa D onizetti non aveva ancora terminato di comporre il Don Pasquale, che già trattava con Ricordi per la cessione dei diritti dell’opera in Italia e in Germania. Per questo, la fortunata partitura autografa è conservata nell’Archivio Storico di Casa Ricordi, che oggi, insieme all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, la presenta in una pregiata edizione in facsimile, con una tiratura di sole 500 copie numerate. La pubblicazione è accompagnata da un lungo saggio di Philip Gossett, in cui attraverso lo studio del manoscritto originale è esaminata la complessa funzione compositiva dell’opera. Infatti, nonostante Donizetti si vantasse della rapidità con cui aveva prodotto il Don Pasquale, proprio sui manoscritti egli ha lasciato numerose tracce dei ripensamenti e del- le correzioni, fatte anche dopo la “prima” parigina del 3 gennaio 1843. (Gaetano Donizetti. Don Pasquale. Edizione in facsimile della partitura autografa custodita nell’Archivio storico di Casa Ricordi, con un saggio introduttivo di philip Gossett, 2 voll., pp. 434+152, n. 137804, euro 720,00). c. T. Don Pasquale 8 Il Giornale dei Grandi eventi Formalmente vietati in Italia, sono argomento di discus Patti prematrimoniali: la via da scoprire per I patti prematrimoniali sono questione discussa. In linea di massima, la legge italiana considera nulli per illiceità della causa i patti conclusi tra i futuri sposi prima del matrimonio. Questo perché accordi preventivi allo status coniugale sarebbero in contrasto con il principio basilare dell’indisponibilità degli status, quindi anche della situazione di separato e divorziato. Nell’immaginario comune, anche per il concreto condizionamento dei racconti pre e post nuziali di coppie famose inglesi e americane, i patti prematrimoniali dovrebbero regolamentare minuziosamente ogni aspetto della vita coniugale, personale e patrimoniale. Nei paesi di common law, ma anche in Spagna, Portogallo, Grecia e Germania, solo per restare in Europa, c’è infatti una mentalità molto più liberale e meno statalista della nostra. Sì dà, cioè, più importan- za alla disponibilità dei diritti privati, e di conseguenza se c’è ampia opportunità per tutti di organizzarsi la propria vita sentimentale giuridica. pregiudizi italiani Tra l’altro, così pensando, in quelle nazioni ci sono molto meno cause giudiziarie che in Italia, dove è sempre un giudice a dover decidere sui conflitti domestici. I pregiudizi culturali non facilitano certo in Italia le intese preventive, che, anzi, vengono avvertite come un’ipoteca sulla buona fede dei futuri coniugi. Invece di assorbire l’antico adagio “patti chiari, amicizia lunga” si preferisce ipocritamente non parlare di denaro nel momento in cui c’è la massima fiducia reciproca ed invece battagliare su denaro, case e proprietà, quando vendetta e disistima segnano oscuramente i comportamenti della crisi matrimoniale. Legge e giurisprudenza, dunque, non hanno mai voluto allentare le maglie della severa e rigida visione dei diritti indisponibili, per la quale si ritiene esclusiva la competenza del Tribunale sulla dichiarazione dello stato separazione e di divorzio dei coniugi, la fissazione di un assegno e l’affidamento dei figli. Ma anche, si argomenta che rimettendosi alla volontà dei coniugi sull’organizzazione della futura vita coniugale e sugli aspetti patrimoniali della vita separativa, si favorirebbe l’istituto della separazione a danno della famiglia tutelata dalla Costituzione. Personalmente non condivido tali ragionamenti, proprio perché vivo tutti i giorni nella trincea delle guerre coniugali e sono del parere che gli accordi prematrimoniali potrebbero costituire un importante arricchimento di pensiero, informazione e scelte, affinché i futuri coniugi sappiano assumersi la responsabilità, im- mensa, di fondare e costruire una famiglia. patti come “politica condivisa della Famiglia” I patti potrebbero diventare lo statuto dei sentimenti, l’originale politica condivisa di ogni famiglia, l’opportunità di sperimentare la libertà di disegnare e correggere la vita coniugale. Senza strapparla, per poi farla rammendare malamente da sconosciuti ed inconsapevoli avvocati e magistrati. Del resto il nostro ordinamento già prevede espressamente la facoltà degli sposi di ricorrere ad alcune convenzioni matrimoniali per la scelta del regime patrimoniale più consono alle personali esigenze di vita: comunione o separazione dei beni, comunione convenzionale, fondo patrimoniale. Partendo da questi strumenti, espressamente previsti dal Codice, e in forza del principio di autonomia privata favorito dal Codice, queste convenzioni potrebbero rappresentare la solida base sulla quale costruire e legalizzare i patti prematrimoniali. Strumenti, cioè, con i quali prevedere e programmare un personalissimo progetto di vita coniugale. Dunque non ci sono veri e propri ostacoli ai patti prenuziali, ma solo una chiusura apparente, determinata da ragioni socio-culturarli. In sostanza, bisognerebbe osa- re e incentivare l’abitudine ai patti prematrimoniali che, comunque sia, non sono proibiti. Ovviamente, per evitare di fare patti nulli, le parti dovrebbero conoscere alcuni limiti: primo fra tutti il rispetto dei diritti e dei doveri previsti dagli articoli del codice che riguardano il matrimonio. Non è quindi possibile, per esempio, prevedere di derogare all’obbligo di fedeltà o alla solidarietà economica e morale che sorge obbligatoriamente con il matrimonio. E neppure uno degli sposi può sottrarsi al dovere di mantenere ed educare i figli. Non è possibile neppure accordarsi sulle modalità di gestione della sessualità, oppure condizionare la volontà di Il Giornale dei Grandi eventi Don Pasquale 9 sione giuridica e di contemporanea apertura in altri Paesi un più sereno e condiviso rapporto di coppia avrebbe, infatti, la prova dello stile di vita matrimoniale condiviso e si ridurrebbero i tempi dell’istruttoria. Ma si potrebbero attutire anche le dissonanze della coppia, che avrebbe la soddisfazione di autoregolamentarsi prima, durate e dopo il matrimonio, senza delegare la propria vita a “freddi” e burocratici sconosciuti, diventando, anche se con l’aiuto di avvocati specializzati e notai, veri avvocati di se stessi. nuova regola europea scelta vitali dell’altro con la controprestazione di ingenti somme di denaro. accordi possibili in Italia E’ invece possibile regolamentare la futura gestione del ménage matrimoniali da un punto di vista squisitamente patrimoniale. Nel decidere, per esempio, come ripartire tra i coniugi gli adempimenti dei costi quotidiani e annuali, quale cifra destinare al coniuge che non lavora per scelta condivisa, quale percentuale dei guadagni destinare al risparmio. Una simile previsione, se attuata e confermata nei fatti, può essere utile anche in un eventuale giudizio di separazione: il Tribunale Dal 21 giugno 2012, peraltro, è in vigore in 14 Stati europei, tra i quali l’Italia, il Regolamento dell’Unione Europea (n. 1259/10) sulla legge applicabile al divorzio e alla separazione. Con questa legge è finalmente possibile pattuire per iscritto (prima o dopo il matrimonio) quali norme internazionali applicare al futuro divorzio, purché vi sia un collegamento con lo Stato esterno indicato: o la residenza abituale delle parti al momento dell’accordo; o l’ultima residenza abituale delle parti quando una di loro vi risieda ancora; o la cittadinanza anche di un solo coniuge. Questa è un vera e propria possibilità di patto prematrimoniale, con il quale anche i coniugi italiani non sono più obbligati ad aspettare tre anni per chiedere il divorzio. Se risiedono stabilmente all’estero, per esempio, potranno chiedere il divorzio in Italia, applicando la legge del luogo dove vivono. Ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan Van Eyck Negli Stati Uniti i prenuptial agreement sono d’uso comune dagli anni ’80 e, come vuole la prassi, possono essere stipulati sia prima, sia dopo le nozze. La correttezza dell’accordo? Verrà valutata dalla Corte attraverso la puntuale verifica dei redditi e dei patrimoni dei futuri coniugi, in modo da censurare squilibri e annullare ingiuste rinunce. Altro Paese di diritto anglosassone favorevole agli accordi prematrimoniali è la Gran Bretagna, ma solo dal 2009 e con il limite del giudizio di equità da parte del giudice. Ecco che il potere negoziale degli sposi può trovare una limitazione solo quando, per esempio, il loro accordo sia squilibrato quanto all’entità delle rinunzie fatte da uno in favore della vita matrimoniale o, ancora, al contributo che l’altro decide di fornire al ménage comune. Anche in Germania i giudici e gli esperti di diritto hanno riconosciuto ai futuri coniugi la possibilità di predeterminare gran parte degli effetti di un possibile divorzio. Diverso il discorso per la Francia, dove vige un’impostazione generale di chiusura alla possibilità dei futuri sposi di stipulare accordi in via preventiva. Il code civil d’Oltralpe, infatti, consente al giudice di negare l’omologazione, nel caso in cui gli interessi di uno dei coniugi non vengono salvaguardati in maniera obiettiva. In conclusione, la crescita culturale, riconosce ai privati cittadini, coinvolti nel matrimonio, una dose sempre più consistente di responsabilità; pertanto gli accordi privati (ma sempre ratificati dal notaio!) intervenuti tra di loro, vengono messi in discussione dallo Stato. Quando uno dei due, non rispettando la pari dignità giuridica, ha voluto maliziosamente e, fin dall’inizio, fare il furbo … o il prepotente. annamaria bernardini de pace Avvocato matrimonialista 10 Don Pasquale Il Giornale dei Grandi eventi I costumi e le scene originali Quella marsina che non si chiudeva al protagonista C ome è noto, per la prima rappresentazione del Don Pasquale, Donizetti richiese che i costumi, così come le maniere e i dialoghi dei protagonisti, fossero in stile contemporaneo. L’idea, assolutamente contro tendenza, provocò scalpore e fino all’ultimo fu contrastata dal librettista Ruffini e dagli artisti, i quali avrebbero preferito indossare «perrucconi e abitoni di velluto». La novità sorprese anche gli spettatori e non mancarono nella critica obiezioni e applausi. La sera della “prima” al Théâtre Italien, il corpulento basso Lablache si presentò sul palco nei panni di un anziano settantenne dimesso, con i capelli bianchi sotto il berretto di seta nera, avvolto in un’ampia veste da camera bianca e con i pantaloni neri di nanchino. Ai piedi aveva delle vistose pantofolone. Alla notizia che il dottor Malatesta gli avrebbe presentato una graziosa e virtuosa sposina, sua sorella Sofronia, il vecchio però si ringalluzzì. Eccolo allora, nel secondo atto, in un abbigliamento che doveva farlo apparire «lesto e ben portante» e che non mancò di suscitare l’ilarità del pubblico: in testa, un’appariscente parrucca bionda, caricata di ingombranti riccioloni. Indosso, una marsina così attillata che le falde della giacca verde non riuscivano a chiudersi sull’ampia pancia del protagonista. I pantaloni bianchi, un gilè all’ultima moda, le guarnizioni dorate, gli stivali di vernice, i guanti gialli e il fiore all’occhiello (forse una camelia o una rosa) completavano la tenuta, in cui egli si compiaceva cantando: «Con questo boccon poi di toilette». Anche il soprano Giulia Grisi si fece notare. Inizialmente nei panni di Sofronia, vestita come una collegiale appena uscita di convento e nascosta da un velo di pizzo nero che non lasciava intravedere il volto, si trasformò completamente nel terzo atto, presentandosi con un’elegante toilette ultimo grido. Ma la cosa che maggiormente colpì il pubblico furono i suoi capelli neri, lasciati al naturale. Più ragionevoli erano Ernesto, vestito da giovane studente elegante, e Tamburini, il dottor Malatesta, con una redingote nera da mattina. Entrambi i costu- mi erano però molto fantasiosi, a giudicare da quello che scrissero i giornali nei giorni seguenti. Tutto ciò, a parte le risate suscitate da Lablache e la graziosa toilette della Grisi, offese il pubblico, il quale si rese conto di assistere a una vicenda possibile e non immersa nel passato, in una dimensione lontana dalla realtà. Gli spettatori avrebbero dunque preferito i capelli di Norina incipriati di bianco, un don Pasquale in abiti d’oro e di seta, Malatesta in nero con una grande parrucca e Mario in abiti stile Régence. Più apprezzate furono invece le scene, disegnate da Verardi e Ferri, lo stilista dell’anno. Queste erano in stile Pompadour e richiamavano dunque ambienti del secolo precedente. Molto applauditi furono i sontuosi saloni di Don Pasquale, ma soprattutto la scena del giardino nel secondo quadro del III atto. Gli scenografi erano infatti riusciti a rendere gli effetti di una notte d’aprile italiana in maniera davvero efficace: un cancello si apriva su un giardino di frassini e pioppi, meravigliosamente illuminato da un chiaro di luna, mezzo azzurro e mezzo d’argento, che lasciò tutti a bocca aperta. La cessione per i diritti Un’opera che rese 15mila franchi Q uando Donizetti prese accordi per un dramma buffo con il Théâtre Italien di Parigi, gli furono offerti 3000 franchi, mentre altri 6000 arrivarono per la cessione dei diritti agli editori parigini. Un vero affare per l’Italien che, secondo le cronache dell’epoca, piangeva miseria e chiedeva sovvenzioni allo Stato, mentre con il Don Pasquale incassò 19mila franchi in undici giorni. Un affare anche per Donizetti, che così metteva la bandierina su un prestigioso teatro della Capitale francese per cui non aveva ancora lavorato. Era allora l’autunno del 1842. Il testo era ancora in corso di stesura e Donizetti, assistito dal suo agente Michele Accursi, iniziò a darsi da fare anche per vendere la proprietà dell’opera all’estero. A Londra la cedette per 4000 franchi, mentre in Italia trattò con Ricordi per la cessione dei diritti in Italia e in Germania esigendo, senza possibilità di negoziazione, la somma di 6000 franchi, esclusa però la cabaletta “Via, caro sposino”, di cui il compositore si riservò la proprietà ovunque, fuorché a Napoli. Il guadagno, escluse le spese, fra cui i 500 franchi per il librettista Ruffini, fu di 15.000 franchi. Una cifra consistente, se si tiene conto che gli editori acquistarono i diritti alla cieca, perché soggetto e titolo dell’opera furono tenuti nascosti fino all’ultimo. In quegli anni, infatti, i soggetti delle opere erano valutati soprattutto se originali. Per questo, Donizetti ed i suoi collaboratori mantennero fino alla fine il segreto sull’utilizzo del vecchio libretto del Ser Marcantonio. pagina a cura di elena cagiano Il Don Pasquale Giornale dei Grandi eventi 11 La fortuna dell’Opera Dal trionfo parigino al successo mondiale I l 3 gennaio del 1843, fra discussioni con gli interpreti, revisioni dell’Autore e curiosità del pubblico, il Don Pasquale di Donizetti esordì al Théâtre Italien di Parigi. A dirigere la prima rappresentazione salì sul podio Théophile-Alexandre Tilmant. Norina/Sofronia fu interpretata dal soprano milanese Giulia Grisi, mentre il suo futuro marito, il tenore Giovanni Matteo dei Marchesi di Candia - più noto come Mario cantò la parte di Ernesto. Il baritono Antonio Tamburini era il Dottor Malatesta e Don Pasquale il celebre basso Luigi Lablache. Il falso notaio era forse il basso Federico Lablache. Un cast collaudato, visto che la Grisi, Tamburini e Lablache erano stati insieme già protagonisti del Marin Faliero nel 1835, e Mario, Tamburini e Lablache della prima Linda di Chamounix a Parigi, presentata al Théâtre Italien un mese e mezzo prima del Don Pasquale. Antonio Tamburini era stato anche interprete del Ser Marcantonio di Pavesi, a Napoli nel 1828. Tutti artisti di fama, che certamente contribuirono al successo dell’opera. Questa, infatti, nella sua felice unione di tra- dizione e novità, non fu pienamente compresa dal pubblico e dalla critica, ma certamente fu apprezzata per le musiche orecchiabili, per le performances dei cantanti e per la comicità del soggetto, che ancora oggi la rende un caposaldo dei repertori lirici. diversi bis Così, la sera della “prima”, furono richiesti diversi bis e Donizetti fu chiamato sul palco due volte, alla fine del II e del III atto. Il Compositore acconsentì alla richiesta e si mostrò al pubblico, mostrando con orgoglio la sua Legion d’Onore ed incorrendo così nelle critiche di parecchi giornali. In Francia - dissero - si espone l’opera al pubblico, non la persona. L’unico su cui nessuno ebbe da dire, fu il basso Lablache, talmente esagerato nella sua verve, da sfuggire ad ogni possibile attacco. Molti applausi riscossero il tenore Mario per Ernesto, soprattutto con la serenata, e anche la Grisi, per quanto fosse più portata per le parti tragiche e aleggiasse ancora forte il ricordo della Malibran. Il coro, diretto dal Maestro Tariot, fu criticato per la brutta esecuzione di “I Diamanti presto, Il baritono Antonio Tamburini, primo Dott. Malatesta presto” all’inizio del terzo atto. Anche se i maligni attribuirono gli applausi alla claque che Donizetti e Ruffini si erano portati a teatro, il successo dell’opera, quello destinato a durare nel tempo, iniziò subito. Nella prima settimana, il Don Pasquale fu replicato tre volte e nella settimana successiva tutti i giorni. Fu scritto che il pubblico dell’Italien non era mai stato così soddisfatto dai tempi del Barbiere. La prima rappresentazione in Italia si tenne al Teatro alla Scala di Milano, il 17 aprile del 1843. Gli interpreti furono Ottavia Malvani, Leone Corelli, Achille De Bassini, Napoleone Rossi. Il libretto, edito da Ricordi, venne dedicato da Donizetti alla moglie del Gaetano Donizetti suo banchiere, Madame Zelie de Coussy. Il 14 maggio dello stesso anno, l’opera giunse a Vienna, una piazza a cui Donizetti teneva molto e per la quale furono apportate svariate modifiche anche nella strumentazione. Tra l’altro, fu modificato il duetto fra don Pasquale e Malatesta, oggi uno dei numeri più considerati, ma che a Parigi aveva ottenuto scarsa attenzione: il recita- tivo che lo precede, “Cheti, cheti” fu sostituito da uno nuovo e più lungo, composto su parole dello stesso Donizetti. Come pattuito con gli editori, a giugno Don Pasquale andò a Londra, poi iniziò a girare l’Europa e nel gennaio del 1845 approdò a New Orleans e in altri teatri degli Stati Uniti, dove riscosse (ed ancora riscuote) un successo straordinario. Francesco piccolo Le revisioni del Don Pasquale I l battesimo del Don Pasquale avvenne il 3 gennaio 1843 al Théâtre des Italiens. Il cast era composto da quattro delle migliori voci del tempo. Il successo di pubblico e di critica fu talmente strepitoso che lo stesso Donizetti, in genere piuttosto incline alla malinconia, in una lettera all’allievo e amico Matteo Salvi inviata il giorno successivo alla rappresentazione esclamava goliardicamente: «Sono contentone!». L’opera fu eseguita immediatamente dopo a Bruxelles, alla Scala di Milano, a Berlino, a Vienna, a Londra. Dopo la fortunata prima rappresentazione al Théâtre Italien, lo stesso Donizetti apportò numerose modifiche alla partitura. Il primo significativo cambiamento fu quello alla strumentazione della sinfonia. In essa originariamente la melodia della serenata della sezione dell’andante era affidata al corno, successivamente raddoppiato dal fagotto e dal flauto. Donizetti, rite- nendo che un assolo per corno all’inizio dell’opera fosse troppo rischioso, decise di sostituire la maggior parte degli assolo del corno sostituendolo con un violoncello. Un altro cambiamento fu apportato all’accompagnamento alla parte di Don Pasquale nella ripresa del tema della cabaletta di Norina (“Via caro sposino”) nel duetto tra Norina e Don Pasquale e concentrò gli interventi di lui fra le singole frasi di Norina. Le modifiche senz’altro più significative, però, riguardarono il duetto dei due buffi, il Dottor Malatesta e Don Pasquale. D’altra parte la volontà di effettuare dei cambiamenti in questa sezione dell’opera era già stata annunciata in una lettera a Ricordi del 5 gennaio. La versione definitiva del duetto si concretizzò solo il 14 maggio 1843, in occasione dell’edizione viennese al Kärntnertortheater, anche se i rimaneggiamenti erano iniziati sin dalla rappresentazione di Parigi, dove il duetto era stato accolto freddamente dal pubblico e praticamente ignorato dalla critica. L’intento di Donizetti fu di esaltare l’effetto comico: per questo modificò il recitativo cercando di «un po’ il dottore sortir dall’apatia», mettendolo maggiormente in risalto. Nei versi aggiunti, infatti, Malatesta tenta di difendere la sorella Sofronia e calmare Don Pasquale. Il duetto ha inizio quando quest’ultimo è talmente infuriato, che il Dottore non può far altro che cedere. La modifica più significativa di questo pezzo a due fu quella di far riprendere dal Dottore la melodia di Don Pasquale. La cabaletta è divisa in tre strofe, due a solo e una cantata all’unisono. Dopo le rappresentazioni viennesi cessarono le modifiche al Don Pasquale e l’opera iniziò il suo lungo cammino verso l’immortalità. cl. cap. Don Pasquale 12 Il Giornale dei Grandi eventi La maschera di Don Pasquale Da sempre protagonista nella commedia buffa Q uando Donizetti accettò l’incarico di François Crosnier per un’opera comica per il Théâtre des Italiens decise di riutilizzare un soggetto già noto: un testo di Angelo Anelli, musicato da Stefano Pavesi Ser Marcantonio, andato in scena alla Scala di Milano nel 1810 e rimasto in repertorio per oltre vent’anni. Presumibilmente la scelta dell’argomento fu influenzata dal fatto che l’opera sarebbe stata rappresentata nuovamente a Vienna nell’agosto del 1842 e Donizetti, lasciata da due mesi la città, ne fu sicuramente suggestionato. Il tema delle due opere, con il vecchio che sposa una giovane ragazza, ha origini davvero remote e assai radicate nella cultura buffa: si tratta delle maschere della Commedia dell’Arte e prima ancora delle antiche farse atellane. Quest’ultime, fiorite nel III sec. a.C. nella zona osca della città di Atella (da cui fabule atellane), erano improvvisate dagli attori su un semplice canovaccio, con alcune maschere fisse: Bucco, Dosseno, Pappo, Macco. Tali forme teatrali contribuirono alla complessa genesi della Commedia dell’Arte, che delle fabulae conservò sia le maschere fisse e invariabili, che la recitazione cosiddetta a soggetto, o “improvvisa”. Il melodramma buffo per tutto il Settecento e per la prima metà dell’Ottocento attinse a piene mani dalla galleria delle simpatiche maschere della “commedia a soggetto”: ne sono un magnifico esempio la Serva Padrona di Pergolesi e il rossiniano Barbiere di Siviglia. Maschera tipica romanesca, don Pasquale è stato l’ispiratore di molte commedie, come Il Tutore tiranno, La Costanza in amore, L’Anticamera di Don Pasquale, La Disgraziata Luna di miele del sor Pasquale. Donizetti deciderà proprio di ridare vita a quegli antichi calchi chiusi nei bauli da qualche decennio, per trasformarli da manichini senz’anima in uomini a tutto tondo. Il “vecchio celibatario” don Pasquale, che ricorda il Pappo delle atellane e il Pantalone o il Dottore della Commedia dell’Arte, deve la propria comicità alle contraddizioni del suo spirito senile: bacchettone e smanioso di amoreggiare, racchiude in sé il contrasto tra la nuova e la vecchia generazione. Il dottor Malatesta «faceto e intraprendente» sembra il Brighella (da brigare o imbrogliare) tanto bravo a movimentare l’azione animandola d’intrighi. È uomo ingegnoso e scaltro che manda all’aria matrimoni per favorirne altri. Norina e Ernesto, infine, ovviamente sono gli Innamorati il cui sentimento è ostacolato da don Pasquale. Donizetti, insomma, non si priva di alcun ingrediente della commedia settecentesca, tra cui il travestimento e il falso matrimonio che si concluderà con l’agnizione finale. Tuttavia un secolo non è passato invano e il riso donizettiano non è certo quello scomposto e spensierato dei suoi predecessori, è piuttosto il sorriso malinconico figlio del Romanticismo. Sarà lo stesso compositore bergamasco in una lettera indirizzata al cognato nell’agosto del 1842, qualche mese prima della stesura del Don Pasquale, a confessare: «Io rido, ma poi tu sai bene se in fondo al core non ho la melanconia che mi opprime, e formo di mia gaiezza orpello per coprirla». Il riferimento è ad una sfortunata storia d’amore che lo stesso Donizetti aveva iniziato con una bionda donna napoletana. In tutta l’opera serpeggia, non troppo velato, un senso di crudeltà e di cinismo umano che si fa tanto più evidente quanto più si sviluppa l’azione comica. La risata, che scaturisce dal vedere il vecchietto scornato a causa del cinismo dei due teneri innamorati pronti a tutto per recuperare l’eredità, si alterna inconsapevolmente all’amarezza della disillusione. Non c’è un personaggio che si salvi da questo imborghesimento dei valori settecenteschi: l’egoismo e l’avidità di Don Pasquale sono ripa- gati con le sue stesse armi da coloro che lo circondano, incapaci anch’essi di sognare con il cuore. Non a caso la morale, cruda, esce dalla bocca della gio- vane Norina: «Ben è scemo di cervello chi s’ammoglia in vecchia età; Va a cercar col campanello noie e dogli in quantità». cl. ca. Nel Melodramma Dei vecchietti che le giovin corteggiarono… S osteneva George Bernard Shaw che l’opera è quello spettacolo in cui il tenore cerca di portare a letto il soprano e il baritono glielo impedisce. Boutade in parte vera, quella dell’umorista e critico irlandese che fotografa molte trame teatrali dell’Ottocento, ma che può estendersi anche a diverse vicende di epoche passate. Il triangolo è spesso presente nell’opera comica. E sovente i lati di questa figura geometrica sono una giovane ragazza, un giovane innamorato e un vecchio che sulla ragazza vanta qualche diritto. In questo senso la storia ci porta molto indietro nel tempo. Nel 1668 Stradella compose Il Trespolo tutore. Qui il triangolo ha una variante significativa: è la ragazza che vorrebbe sposare il tutore babbeo che invece le preferisce una servetta. Nel teatro di Cimarosa il triangolo è spesso presente. Basta pensare al Matrimonio segreto, in cui il vecchio mercante Geronimo vuole maritare la figlia a un nobile, ignorando che la ragazza è già sposata segretamente con il suo segretario Paolino. Una variante non da poco di questa situazione è quella in cui lo stesso vecchio si candida a marito, accentuando la propria ridicolaggine. Il pensiero corre naturalmente subito a don Bartolo, la vittima di Figaro e del conte d’Almaviva nel Barbiere di Siviglia, commedia scritta da Beaumarchais e musicata da Paisiello (1782), da Morlacchi (1816) e da Rossini (1816). Qui don Bartolo, tutore di Rosina, vuole sposarla ma deve fare i conti con l’aspirazione matrimoniale del conte d’Almaviva, alleato del furbo Figaro. Finale scontato, con Almaviva e Rosina che convolano a giuste nozze. Ma se nel Barbiere il matrimonio rimane per don Bartolo un sogno irrealizzato, nel Don Pasquale donizettiano diventa un incubo da dimenticare in fretta. Ro. Io. Il basso Luigi Lablache, primo interprete di Don Pasquale. Il Don Pasquale Giornale dei Grandi eventi 13 Improbabile dialogo tra i personaggi d’opera burlati in amore Ah, le donne…quanti inganni «A un dottor della mia sorte, un simile scherzo! È un affronto insopportabile». Seduto al tavolo dell’osteria, davanti ad un bicchiere di cordiale, Don Bartolo non sa darsi pace. Don Basilio e Figaro cercano di riportarlo alla ragione, fargli capire che Rosina, così giovane e impertinente, non era per lui. Molto meglio averla maritata con il Conte d’Almaviva. Ma Bartolo non sente ragioni, rifiuta una sconfitta che lo rende improvvisamente più vecchio. «Taverniere, un bicchier di vin caldo»: l’ordinazione arriva da un tavolo all’esterno. Il nuovo avventore, i vestiti infradiciati, sembra anche lui reduce da una brutta avventura. «Una brutta avventura sì – dice il servitor Pistola a Figaro, incuriosito – il mio padrone John Falstaff è appena finito in acqua, gettato nel fiume in un canestro dopo un vano tentativo di sedurre una donnina sposata». «Ah le donne – mormora Don Bartolo – croce e delizia dei nostri cuor!». «Va’ vecchio John – geme il lord seduto là fuori – va’ per la tua strada, cammina finché tu muoia, allor scomparirà la vera virilità dal mondo! Mondo reo, mondo rubaldo». «Vuole conquistare un cuore femminile? Avrei giusto un filtro d’amore al caso suo» irrompe con tutta la sua baldanzosa vitalità Dulcamara, venditore e piazzista. «Lasci perdere, per carità – lo zittisce Don Basilio – il mio signore ha altro da pensare adesso. Non vede che sta soffrendo proprio per una pena d’amore?». «Ma i miei filtri sono portentosi – insiste Dulcamara – Pensi che ho appena ridato la felicità ad un giovane afflitto, un certo Nemorino…». «Cortigiani, vil razza dannata»! «Chi è?» domanda spaventato dal tono irruente Dulcamara. «Non ci far caso – assicura Pistola – È Rigoletto; viene qui tutte le sere e al terzo bicchiere va in escandescenze, insulta tutti e poi se ne va dondolando». «Offro da bere a tutti»! È una voce squillante e gioiosa che interrompe Dulcamara, distrae dai propri lugubri pensieri Falstaff, attrae l’attenzione generale. Un vecchio signore dai modi aristocratici entra giubilante nel fumoso locale: «Oste, pago un bicchiere a tutti i presenti» insiste Don Pasquale. «Cosa avrà da festeggiare» si domanda Leporello capitato all’osteria in cerca di un nuovo padrone, dopo che Don Giovanni è scomparso in circostanze misteriose. Intanto, Don Pasquale, arrivato al bancone, nota al tavolo Don Bartolo, conosciuto anni prima per qualche affare e poi perso di vista. «Caro Don Bartolo, che piacere vederLa. Si ricorda di me? Ma come mai quella faccia così triste? Le è morto qualcuno»? «Non me ne parli, vecchio amico, mi vergogno quasi a dirlo, ma ho patito una delusione d’amore». «Non mi dica. Racconti»… «C’è poco da dire. Ah la mia Rosina! Mi ha ingannato, credevo mi amasse, ma quando stavo per celebrare il mio matrimonio con quel fiorellino, è arrivato un nobilastro a portamela via». «E si lamenta? Non sa che pericolo ha evitato. Perché crede che io sia così allegro oggi? Perché ho scoperto che il mio matrimonio con Sofronia era falso. Dio sia ringraziato. Non può neppure immaginare in che inferno ho vissuto nei pochi giorni di convivenza. Quella donna era Caricatura di Gaetano Donizetti un diavolo, una emissaria del male. Ancora una settimana e soldi, che ti faccia le scenate»! mi avrebbe trascinato in rovina»… «Certo in questo mondo irreale del«Dice davvero? Lei si era sposato per l’opera gli autori ci fanno spesso passafinta»? re da babbei». “Io credevo di essere sposato davvero. «Eh, caro Don Bartolo, questo è il nostro E quando ho capito in che razza di gua- ruolo. Personaggi da opera buffa. Siamo fiio mi ero cacciato, non sapevo più cosa gure drammatiche, soffriamo per i nostri fare. “È finita Don Pasquale” mi ripe- guai, ma facciamo ridere. Rossini e Sterbitevo “Più non romperti la testa, il par- ni con lei non hanno usato il guanto di veltito che ti resta è d’andarti ad anne- luto. Permette? (Si siede al tavolo facengar”. Poi il chiarimento e mi son senti- do alzare Figaro che con un inchino si to rinascere. Che bello essere scapoli, li- allontana). Ancora ancora Beaumarchais, beri di fare cosa si vuole, senza una uomo sia pure ribelle, ma del Settecento, tedonna che ti controlli, che spenda i tuoi neva in una certa posizione aristocratici e popolani. Ma con Lei Rossini è andato oltre misura facendola mettere in ridicolo anche da quel barbiere da quattro soldi». «Beh, anche con Lei Donizetti e Ruffini non hanno mica scherzato. Si è preso persino uno schiaffo dalla sua Norina! Il fatto è che siamo nati per essere scherniti e tutti si sentono in dovere di approfittarne. Oggi poi ci si impegnano particolarmente anche i registi che ci trasformano in autentici pagliacci, togliendoci ogni dignità umana. È un destino tremendo. D’altra parte, nel nostro mondo o inganni o sei ingannato. E noi siamo le vittime». «Versiamo un po’ di vino nell’acqua del Tamigi»? «Chi è?» «Un vecchio lord inglese che ha patito anche lui qualche strana disavventura sentimentale». «Non c’è più rispetto». «Non c’è più virtù». «Lord, permette un bicchiere»? Don Pasquale e Don Bartolo raggiungono Falstaff fuori, in giardino, dove si gode di un po’ di sole. «Certo cari giovanotti: barbera e champagne»! «A cosa brindiamo»? «Alle donne»… «Tutto nel mondo è burla. L’uom è nato burlone, la fede in cor gli ciurla, gli ciurla la ragione». Roberto Iovino Le autocitazioni nel Don Pasquale N el 1842 la vena creativa di Donizetti non era esaurita, nondimeno egli aveva ormai una sessantina di opere alle spalle ed un ricco repertorio a cui attingere. Non stupisce, quindi, che il Don Pasquale sia ricco di autocitazioni e spunti tratti da lavori precedenti. Lo stesso musicista dichiarò che la cabaletta di Norina “Via, caro sposino”, nel duetto del III atto con Don Pasquale, era quella composta per Eugenia Tadolini che la cantò nell’Elisir d’amore a Napoli nel 1841. Evidentemente il compositore confidava molto in questo brano se, nelle trattative per la cessione dei diritti del Don Pasquale, volle riservarsene la proprietà ovunque, fuorché a Napoli dove era stata composto. Anche il vivace “Un foco insolito” di Don Pasquale nel I atto deriva da “Tutti qui spero”, una cabaletta cantata da Gianni nel I atto di Gianni di Parigi, melodramma su libretto di Felice Romani composto molti anni prima, ma rappresentato alla Scala di Milano il 10 settembre 1839. È preso in prestito, invece, il motivo in adagio del quartetto al finale del II atto, composto da un lembo della romanza di Guido e Ginevra di Halévy unito con un brano della frase finale della Sonnambula di Bellini. Il tema del rondò finale “La moral di tutto questo”, che tante preoccupazioni aveva procurato al librettista Ruffini, proviene invece dalla romanza della Zingara (1822). Tra realtà e aneddotica, si racconta poi che il coro dei servitori all’inizio del III atto, “I diamanti, presto, presto” era stato composto da Donizetti su richiesta di Lablache due giorni prima dell’esordio del Don Pasquale a Parigi per l’album della contessa di Merlin e aggiunto all’opera in una delle tante modifiche dell’ultimo momento. Infine, la serenata di Ernesto, “Com’è gentil la notte”, una romanesca accompagnata da chitarra e tamburo basco che riscontrò molto successo e fu anche bissata dal tenore Mario, era un’aria popolare che si cantava per le strade di Roma. In molti la sera della “prima” riconobbero il ritornello che, nell’arco di pochi giorni, divenne un motivo ben noto anche a Parigi, cantato e canticchiato nei salotti e nelle strade, tanto che se ne fece anche un’edizione staccata dallo spartito. Per i molti spunti “già sentiti” riciclati nel tanto atteso Don Pasquale, le opere di Donizetti furono paragonate dalla critica a un caleidoscopio, fatto di idee sempre uguali, che il musicista ogni volta scuoteva e ripresentava con una nuova faccia e in una inedita combinazione di “ottica musicale”. E come le immagini nel caleidoscopio si vedono con piacere, ma non restano impresse nella memoria se non per i colori, così le musiche del Don Pasquale avrebbero attratto il pubblico per la vivacità ed il colore, senza però fornire un apporto originale. e. ca. Don Pasquale 14 Il Giornale dei Grandi eventi Il “potentissimo” primo Don Pasquale Il librettista Luigi Lablache, basso preferito da Donizetti Giovanni Ruffini, un mazziniano per Donizetti I l basso napoletano Luigi Lablache fu il primo, magistrale cantante nel ruolo di Don Pasquale e la sua interpretazione del “vecchiotto” donizettiano al Théâtre Italien, il 3 gennaio 1843, trascinò il pubblico nell’entusiasmo. Figlio di un marsigliese emigrato a Napoli durante la Rivoluzione francese, Lablache esordì nel 1812, ad appena 18 anni, come buffo al Teatro San Carlino, nell’opera comica L’Erede senza eredità di Silvestro Palma. A Roma debuttò nel 1821 in La Capricciosa e il soldato di Michele Carafa al Teatro Apollo. Dal 1821 al 1828 passò alla compagnia stabile della Scala, con la quale interpretò Don Basilio nel Barbiere di Siviglia di Rossini, Uberto nella Serva padrona di Pergolesi e Claudio nell’Amleto di Mercadante. Nel 1827, a Vienna, esordì nel repertorio donizettiano con L’Ajo nell’imbarazzo e cantò la Messa da Requiem di Mozart per il funerale di Beethoven. Ma fu a Parigi che Lablache conobbe i suoi veri trionfi: nel 1830 al Théâtre Il basso Luigi Lablache, primo Don Pasquale des Italiens ottenne un successo strepitoso nel Matrimonio segreto di Cimarosa, interpretando Geronimo. Da allora la sua carriera si divise tra Parigi, Londra e Napoli interpretando sia ruoli buffi, per i quali aveva una vis comica insuperabile, sia ruoli per basso nobile, come ad esempio Oroveso nella Norma di Bellini o Enrico VIII nell’Anna Bolena di Donizetti. Fu uno dei cantanti prediletti da Donizetti, che per lui ebbe sempre una grande ammirazione. Per Lablache il maestro bergamasco scrisse addirittura un’opera, l’Ugolino, che fu messa in scena a Napoli e compose in suo onore una musica sul XXXIII canto della Divina Commedia di Dante. Un altro ruolo donizettiano di cui Lablache fu interprete storico fu il Dulcamara dell’Elisir d’amore, al quale egli diede una sua impronta che fece scuola tra i successori. In effetti, il nome di Luigi Lablache è passato alla storia della musica non solo per la potenza e il timbro della voce, ma anche per le sue doti sceniche e interpretative. Ancora oggi è considerato il miglior basso della prima metà dell’800, insieme a Filippo Galli, prediletto da Rossini. A lui Schubert dedicò il Lieder n° 83. Uomo sensibile, dal carattere forte e onesto, era anche un appassionato cultore di pittura e collezionista instancabile di tabacchiere. Amava ricevere a casa sua, in famiglia, rallegrando le riunioni di amici con il suo grande talento di narratore. a. ci. Nella Casa Natale di Donizetti a Bergamo Due Sale per Mayer e Donizetti E ’stata inaugurata sabato 8 giugno presso la Casa Natale di Gaetano Donizetti a Bergamo - attigua alla Sala Donizetti dove si tengono concerti ed incontri sempre ad ingresso libero - la Sala Mayr, dedicata al Maestro del compositore di Borgo Canale autore del Don Pasquale. Una linea del tempo corredata d’immagini e ritratti racconta la vita e l’opera del bavarese. E così allievo e maestro si trovano affiancati lungo un percorso storico-biografico, che offre un quadro complesso ed articolato della storia musicale dei due in Bergamo e nel mondo. L’allestimento mayriano si arricchisce poi, in parte per intervento della Fondazione Donizetti, in parte grazie alla liberalità della famiglia Mandelli diretta discendente di Mayr, anche di oggetti appartenuti al compositore tra i quali ritratti inediti di Giovanni Simone Mayr maturo e Donizetti giovane. Durante la cerimonia d’inaugurazione la Fondazione Donizetti ha altresì presentato le nuove pubblicazioni mayriane: il terzo volume dell’Epistolario Mayr, a cura di Piera Ravasio, che Paolo Fabbri, Direttore scientifico della Fondazione Donizetti indica come: «una delle iniziative di maggior impegno e di più lungo respiro della Fondazione Donizetti», e il Quaderno dedicato a Ginevra di Scozia, il titolo di Mayr, che, assente da Bergamo da circa 200 anni, è tornato in scena al Teatro Donizetti domenica 16 giugno scorso, in una coproduzione realizzata dal Bergamo Musica Festival, dalla Mayr Gesellschaft e dalla Bayerischer Rundfunk. La Casa Natale di Donizetti è aperta il sabato e la domenica dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.00 con ingresso gratuito. A utore del Dottor Antonio e del Lorenzo Benoni, Giovanni Ruffini, genovese, nato nel 1807, era il quinto dei tredici figli di Bernardo e della marchesa Eleonora Ciurlo. Una famiglia dalla doppia vocazione, artistica e libertaria. Il fratello Jacopo, martire nel 1833, aveva studiato violino, Giovanni aveva una bella voce e cantava romanze accompagnandosi con la chitarra e con il pianoforte. Quanto agli ideali risorgimentali, i Ruffini erano profondamente legati a Mazzini: Giovanni e Agostino ne condivisero non solo gli ideali, ma anche l’esilio in Svizzera. Nel 1841 Ruffini si stabilì a Parigi in cerca di un lavoro e conobbe alcuni esponenti della Giovine Italia, fra i quali Michele Accursi. Fu Accursi a presentargli Donizetti, che gli affidò la stesura del libretto del Don Pasquale dal Ser Marc’Antonio di Anelli. «Essendo a Parigi il maestro Donizetti – scriveva Giovanni alla madre il 5 ottobre 1842 – e scrivendo un’opera buffa, l’argomento del quale è già stato trattato, ha provato il bisogno d’uno scalpellino facitor di versi per raffazzonare un libretto antico, per tagliare, cambiare, aggiungere, impiastrare e che so io. E quello scalpellino, per suggerimento di Michele, son io, il tuo servo Brighella… Or sai che cosa lunga e fastidiosa sia quel rivoltar panni vecchi, tanto più quando si ha alle reni una spada a doppio taglio: Michele che non mi lascia tregua e Donizetti che vorrebbe ch’io gli portassi pezzi da mettere in musica, non tutti i giorni, come faccio, ma tutte l’ore. (…) Del resto, io, poeta, capisci, son sur un gran piede d’intimità col Maestro, col quale ho tutti i giorni consulte. È buona e brava persona, senza pretese, così alla buona…». Ruffini iniziò la versificazione del libretto ai primi di ottobre del 1842 e la concluse il 7 novembre. Il 3 gennaio successivo, il debutto al Théâtre des Italiens di Parigi: «Cara mia – commentò il poeta alla madre il giorno dopo – abbiamo (vedi quanta vanità in quell’abbiamo) avuto un succes fou. Cominciando dall’Ouverture, tutti e singoli i pezzi applauditi, alcuni con fanatismo; un finale e due duetti bissés; fatto uscir fuori Donizetti per ben due volte, alla barba degli oppositori che, schiacciati dall’applauso generale, nemmeno osarono dar cenno di disapprovazione, ma si contentarono di rodersi in silenzio. Anche l’insieme del libretto, varie situazioni, almeno, aiutavano all’effetto. Vari conoscenti miei francesi me ne fecero complimenti: fra gli altri, due giornalisti. Ma non credere che mi monti il fumo al naso per questo; so meglio d’ogni altro dove pecca il mio lavoro; non è e non poteva essere maturato. Però son contentone del successo poiché, nel caso contrario, non sarebbe mancato chi dicesse – e forse primo il Maestro – che la colpa era del libretto…». Ro. Io. Il Dal mondo della musica Giornale dei Grandi eventi 15 Al Festival di Città di Castello dal 27 agosto al 7 settembre Eccellenze musicali europee nel cuore della verde Umbria P rotagonista sarà quest’anno l’Europa intera e non un singolo Paese, al Festival delle Nazioni di Città di Castello, nato nel 1968 per presentare, con concerti ed eventi, il meglio della produzione musicale del Vecchio Continente. L’appuntamento nella cittadina umbra per la 46° edizione è quest’anno dal 27 agosto al 7 settembre. Si vuole così dare un contributo al rilancio di un’idea di Europa come entità politica e culturale unitaria, cercando di riflettere su quegli intrecci artistici che hanno contribuito a formare, insieme alle radici filosofiche e religiose, un’identità condivisa e legante di Paesi crogiuoli di culture così diverse. E proprio la musica, linguaggio universale per eccellenza, ha costituito nei secoli passati un substrato comune. Questo accadeva fin dal Cinquecento: un pioniere fu Orlando di Lasso, musicista fiammingo, italiano di formazione e tedesco d’adozione, il quale, scrivendo in diverse lingue, affrontò i generi musicali più diversi, riproposti il 28 agosto con una selezione del suo repertorio profano dal gruppo vocale Odhecaton, diretto da Paolo Da Colcon. Il Croatian Baroque Ensemble, il 30 agosto, farà luce su Il gruppo vocale Odhecaton, protagonista del concerto del prossimo 28 agosto quei profondi intrecci culturali e musicali di Seicento e nel Settecento che scaturivano della consuetudine diffusa tra i musicisti di viaggiare e trascorrere lunghi periodi in Paesi stranieri. Dall’ascolto risulterà evidente l’importanza della musica italiana nel Settecento, con l’impronta di Vivaldi e Albinoni sulla musica di Bach. Mentre il controtenore Paolo Lopez ripercorrerà il repertorio del leggendario Farinelli, il castrato dalla voce che incantò le corti di tutta Europa. A proposito di Bach: il 3 settembre, uno dei suoi massimi interpreti, Mario Brunello, eseguirà le Suite per violoncello e brani del 51enne Giovanni Sollima, autore tra i più interessanti della sua generazione. Brahms e Schubert saranno, invece, protagonisti il 29 agosto con il pianista irlandese Barry Douglas. la musica del ‘900 Ma ampio spazio verrà dato alla musica del Novecento e alla contemporaneità. L’1 settembre Michael Nyman sarà a Città di Castello con la sua band per presentare in prima italiana una sua nuova produzione. Nyman, compositore e pianista inglese 69enne, è uno dei padri del minimalismo, quell’approccio stilistico che ha influenzato generazioni importanti di nuovi musicisti europei. Nel decennale della morte non poteva mancare un appuntamento con la musica di Luciano Berio. Il 31 agosto protagonista sarà Nextime Ensemble, gruppo tra l’altro incaricato di una retrospettiva su Berio alla Biennale di Venezia. Un confronto tra la prima e la seconda scuola di Vienna, da Mozart a quel Webern che nel 1925 adottò definitivamente la dodecafonia subito dopo che essa fu teorizzata dal suo maestro Arnold Schönberg, sarà presentato il 4 settembre dal un’altra presenza di prestigio, quella del Quartetto Emerson. E non mancheranno gli omaggi ai due “festeggiati” del 2013: Wagner e Verdi. Il 27 agosto, giornata inaugurale, i Cameristi della Scala affiancati da Gabriele Lavia presenteranno un’allegra fantasia dalle opere verdiane; il 2 settembre con Riccardo Risaliti interpreterà le parafrasi verdiane di Liszt, ed il 7 settembre, nella giornata di chiusura, l’Orchestra della Toscana diretta dal tedesco Jonas Alber guarderà al repertorio tedesco con Wagner e Beethoven. Il programma è disponibile sul sito www.festivalnazioni.com Maria Rosaria corchia Filatelia musicale Verdi e Wagner dall’Ordine di Malta e quell’ufficio esclusivo nel cuore di Roma D opo l’emissione del Principato di Monaco di cui abbiamo parlato nel numero del Rienzi, i bicentenari della nascita di Giuseppe Verdi e Richard Wagner sono stati ora celebrati anche dal Sovrano Militare Ordine di Malta, mentre il Vaticano lo farà dopo l’estate. Le poste magistrali, infatti, il 7 giugno scorso hanno emesso due francobolli distinti (e non una serie di due valori) da 1,90 euro dedicati appunto a Verdi ed a Wagner, contrassegnati rispettivamente come 447° e 448° emissione del servizio postale della Croce Ottagona. I due dentelli riportano per Verdi il fa- moso ritratto opera di Giovanni Boldini custodito nella Casa di Riposo per Musicisti “Giuseppe Verdi” di Milano, mentre per Wagner è stato scelto l’effettivamente non bellissimo ritratto di P.A. Renoir del Musée Orsay di Parigi. I francobolli, rac- chiusi in minifogli di 12 francobolli sono stati stampati in 10 mila esemplari. Ricordiamo che il Sovrano Militare Ordine di Malta dal 4 novembre 2004 ha stipulato una convenzione postale con l’Italia la quale «riconosce piena validità ai francobolli emessi dal S.M.O.M. utilizzati per l’affrancatura di corrispondenza impostata all’interno delle sedi di Via Condotti 68 (in realtà l’ingresso dell’ufficio postale è in via Bocca di Leone 68, n.d.r.) e di Piazza dei Cavalieri di Malta 4 in Roma dove l’Ordine esercitale sue prerogative sovrane e diretta a località del territorio italiano e di quegli Stati con i quali l’Ordine ha con- cluso o concluderà accordi posali». Dal gennaio 2005 lo S.M.O.M. ha, dunque, abbandonato la propria valuta interna di Grani, Tarì e Scudi d’ispirazione anglosassone, per esprimere i valori in Euro, adottando le medesime tariffe postali dell’Italia, come fece pure il Vaticano dopo il Concordato del 1929. Per questo l’ufficio di via Bocca di Leone, aperto al pubblico la mattina, senza le formalità di quello dell’Aventino (Piazza dei Cavalieri di Malta) che, di fatto, è uno sportello interno, svolge un servizio postale al pari delle poste vaticane, godendo di una diretta partenza della corrispondenza verso il centro smistamento di Roma Fiumicino e dunque di un inoltro più rapido rispetto ai normali uffici postali. Quindi il prestigio dell’Istituzione e l’eleganza dei francobolli, sempre molto curati artisticamente e nella stampa, aggiungono sicuramente un qualcosa in più a quella lettera che ci deve rappresentare presso il destinatario. andrea Marini