Don Pasquale - ilgiornalegrandieventi.it

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anno XIX - numero 48 - 18 giugno 2013
L’intervista
Parlano il direttore Campanella
ed il regista Cappuccio
A Pag.
2
La Storia dell’Opera
Dieci giorni di lavoro
dietro al Don Pasquale
A Pag.
6
L’Analisi musicale
Un’opera buffa
che attraverso la musica
sa tingersi d’amarezza
A Pag.
7
Patti pre-matrimoniali
Una pratica vietata in Italia,
ma con qualche eccezione
A Pag.
8e9
La maschera
di Don Pasquale
Da sempre protagonista
nella commedia buffa
A Pag.
12
don pasquale
di Gaetano Donizetti
Don Pasquale
2
Il
Giornale dei Grandi eventi
Parlano il direttore Bruno Campanella ed il regista Ruggero Cappuccio
«Uno spartiacque tra due mondi musicali,
ma anche un’opera comica che si trasforma in dramma»
E
’ la terza volta che il
direttore d’orchestra
Bruno Campanella ed
il regista Ruggero Cappuccio lavorano insieme. Tre
volte a Roma e tre volte con
titoli belcantistici: la prima
con L’elisir d’amore di Donizetti nel febbraio 2011, quindi nell’aprile 2012 con Il barbiere di Siviglia di Rossini ed
ora con questo Don Pasquale,
pentirsene. «E’ un vero spartiacque. Da qui l’opera cambia
completamente atmosfera –
sottolinea il maestro Campanella 70 anni, barese, con alle spalle anche un’incisione
del Don Pasquale a Torino nel
1989 con la regia di Giancarlo Menotti che gli valse il
premio della critica ed un
Disco d’oro – e quindi proprio
questo punto io cerco di sottoli-
Bruno Campanella
Ruggero Cappuccio
anch’esso donizettiano, opera che al Costanzi mancava
dal maggio 2003.
E Campanella e Cappuccio,
quasi all’unisono, sottolineano, come primo aspetto,
il fatto che il Don Pasquale va
considerata l’ultima opera
comica della grande stagione italiana. Dopo, in questa
tradizione, saranno episodicamente solo il Gianni Schicchi nel Trittico di Puccini ed
il Falstaff di Verdi.
Quest’opera è dunque momento culmine del puro repertorio comico, anche se
nel terzo atto c’è un passaggio cruciale in cui il comico
si trasforma in triste, ovvero
quando Norina, volendo
sposare Ernesto, colpisce
con uno schiaffo l’anziano
Don Pasquale, per poi quasi
nearlo con una sorta di sospensione musicale, per far capire
che sta divenendo forse un’altra
opera. Infatti, se apparentemente continua in maniera giocosa,
nello spettatore rimane come
un fondo d’amarezza».
Il filo conduttore del Don Pasquale è argomento comune
in teatro, con l’anziano e ricco personaggio che vorrebbe
sposare una giovane fanciulla. «Nell’opera Don Pasquale
mi ha colpito la capacità straordinaria di Donizetti di allineare
il registro comico con quello
malinconico», dice il 49enne
regista Ruggero Cappuccio,
al suo debutto con questo titolo. «Due registri che fino allora erano stati separati, lui li fa
convivere e questo sarà poi dominante nella storia del teatro
italiano fino a De Filippo».
Il G iornale dei G randi eventi
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Quindi, come affrontare registicamente questo tema,
per non cadere nel banale?
«Nel melodramma – spiega
Cappuccio – ci sono due grossi problemi: o si affronta
un’opera con una messa in scena filologica, o la si cerca di tradurre ad ogni costo. Non ho voluto fare nulla di ciò ed in particolare non ho voluto la facile
strada - soprattutto ora - dell’anziano politico che guarda a
qualche giovane ragazza. Tale
forma di cronachismo sarebbe
nata già morta, poiché nulla invecchia prima della cronaca.
Quello che m’interessa è cogliere gli elementi di dialogo tra
moderno e classico che sono insiti nel lavoro donizetiano,
guardando piuttosto ad un allestimento sospeso nel tempo e
nelle forme: un allestimento
atemporale, anche se la visione
che propongo parte da immagini reali del Palazzo Altemps di
Roma, immaginato come la casa di Don Pasquale. Si passa
così attraverso dissolvenze incrociate, simili a vecchie foto
Alinari, proiettate durante
l’Overture, per arrivare ad un
acquerello che è la concretizzazione della favola». Sono sfumature tenui, ariose, come
la musica di Donizetti, il
quale nella sua musica e nelle sue note pare cogliere i
colori delicati dell’alba e del
tramonto. «La casa di Don
Pasquale – continua – è ariosa, minimalista, con due grandi porte divise da un alto pendolo immobile. Ma nel terzo atto la stessa casa, in pratica trasformata nel bazar dei capricci
di Norina, si popola di tavoli
sartoriali dove i cantanti salgono e scendono, creando confusione. E’ tutto un lavoro costruito su suggestioni luminose: non è uno spazio reale con
tavoli veri, maniglie vere, ma
un mondo totalmente onirico».
Dal punto di vista musicale,
l’opera è proposta in maniera integrale. «Non ho cambiato nulla – sottolinea il direttore Bruno Campanella – ho
solo accentuato certe pause:
adoro i “rubati”, quell’accelerare e rallentare per adeguare
la musica alle parole, elemento
che all’epoca gli autori non
scrivevano sulla partitura, visto che i cantanti si basavano
sulla lingua italiana e questo
nel Belcanto portava la parola
ad essere quasi più importante
della musica. Il problema è che
l’orchestra deve suonare piano
anche quando è scritto “forte”,
“fortissimo”, perché tali indicazioni all’epoca erano per
strumenti a suoni naturali e
quindi ora, dopo la temperie
Wagneriana che ha mutato
strumenti e tecnica alzando
tutto di tono, corrispondono a
nemmeno un “mezzo forte”».
andrea Marini
stagione 2013
del Teatro dell’opera di Roma
16 - 23 luglio
nabucodonosoR
di Giuseppe Verdi
Riccardo Muti
Direttore
stagione estiva alle Terme di caracalla
2 - 7 luglio
TeRRa e cIelo
Coreografia
Direttore
di Nino Rota
Micha van Hoeche
Gaetano D’Espinosa
cavalleRIa RusTIcana
di Pietro Mascagni
1 - 6 agosto
Tosca
di Giacomo Puccini
Renato Palumbo
Direttore
23 - 31 ottobre
TuRandoT
di Giacomo Puccini
Pinchas Steinberg
Direttore
~~
La Locandina ~ ~
Teatro Costanzi, 18 - 25 giugno
Don Pasquale
Dramma buffo in tre atti
Musica di Gaetano Donizetti
Libretto di Giovanni Ruffini e Gaetano Donizetti
Prima rappresentazione:
Parigi, Théâtre Italien, 3 gennaio 1843
Direttore
Regia
Maestro del Coro
Scene
Costumi
Luci
Bruno Campanella
Ruggero Cappuccio
Roberto Gabbiani
Carlo Savi
Carlo Poggioli
Agostino Angelini
Personaggi / Interpreti
Norina (S)
Ernesto (T)
Don Pasquale (Bar)
Dottor Malatesta (B)
Un notaro (B)
Eleonora Buratto /
Rosa Feola 19, 21, 23
Joel Prieto /
Edgardo Rocha 19, 21, 23
Nicola Alaimo /
Andrea Concetti 19, 21, 23
Mario Cassi /
Alessandro Luongo 19, 21, 23, 25
Giorgio Gatti
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA
Nuovo allestimento
~ ~ La Copertina ~ ~
Illustrazione del Don Pasquale tratta da un
calendarietto artistico da barbiere del 1935.
(Rielaborazione grafica di Carlo Incisa di Camerana).
Il
Don Pasquale
Giornale dei Grandi eventi
E’
il grande repertorio popolare quello che torna al Teatro dell’Opera
con il Don Pasquale. Il repertorio
polare del Belcanto, della grande opera comica del repertorio italiano ottocentesco,
della quale questo titolo ne rappresenta
l’ultimo vero esempio, anche se si registrerà qualche successiva, sporadica ripresa.
Composto in appena dieci giorni nel 1842
ed andato in scena per la prima volta a Parigi il 3 gennaio 1843, il Don Pasquale dimostra la straordinaria capacità creativa del
45enne Gaetano Donizetti, capacità che quì
trova la sua forma più compiuta con il perfetto equilibrio tra elementi comici, melodi-
ci e la leggerezza dei personaggi.
Donizetti aveva alle spalle successi come
quello dell’Elisir d’amore (1832), della Lucia di
Lammermoor (1835) e del Roberto Devereux
(1837), e con il ritiro dalla composizione di
Rossini e la morte di Bellini, rimaneva l’operista italiano più richiesto, insieme al nascente Verdi, che nel 1842, a 29 anni, aveva portato in scena la sua terza opera, il Nabucco.
Un lavoro donizettiano, questo del Don Pasquale che dal Teatro Costanzi mancava da
ben 10 anni (era il maggio del 2003). Vi torna ora con un cast giovane, il quale però non
manca di quel carisma interpretativo che si è
forse ultimamente un po’ perso nei cantanti.
3
A dominare in
questo titolo del
principe del Bel- Mercoledì 19 giugno, h. 20.00
canto è la voce, Giovedì 20 giugno, h. 20.00
Venerdì 21 giugno, h. 20.00
con alcune delle Sabato
22 giugno, h. 18.00
arie più belle, co- Domenica 23 giugno, h. 16.30
me quella per ba- Martedì 25 giugno, h. 20.00
ritono del Dottor
Malatesta “Bella siccome un angelo” (testo
che Verdi e Francesco Maria Piave, dieci anni dopo nella Traviata, “ruberanno” con
quell’aria di Germont “Pura siccome un angelo”) e la cavatina iniziale, alla sua entrata
in scena, della furba Norina “So anch’io la
virtù magica”.
Le Repliche
Il Don Pasquale, finale trionfo del Belcanto
L’opera originariamente è divisa in tre atti, di circa
45 minuti ciascuno. In questo allestimento primo e
secondo atto sono stati accorpati, così che ci sia un
solo intervallo prima del terzo atto.
La Trama
La vicenda si ambienta a Roma, all’inizio del XIX secolo.
atto I: Sala in casa di Don Pasquale. L’anziano scapolo Don Pasquale,
deciso a sposarsi per diseredare il nipote Ernesto, è in attesa del dottor
Malatesta, il quale ha promesso di trovargli moglie. Il dottore arriva e
gli propone di prendere in moglie sua sorella Sofronia, donna modesta
e virtuosa.
Eccitato all’idea delle nozze, Don Pasquale comunica ad Ernesto la sua
decisione di diseredarlo e allontanarlo di casa se non sposerà una donna scelta da lui. Ernesto, invece, è innamorato di una vedova, la bella e
povera Norina e, venuto a sapere del matrimonio dello zio con la sorella del dottore, si dispera: infatti rimarrà privo di eredità, oltre ad essere stato tradito dall’amico Malatesta che ha fatto da sensale allo zio.
In casa di Norina. La maliziosa Norina legge la favola del cavalier Riccardo e attende Malatesta che deve comunicarle un piano per gabbare
Don Pasquale.
In quel mentre riceve una lettera di Ernesto che si accomiata da lei e le
comunica le intenzioni dello zio e il presunto tradimento del dottore.
Malatesta allora spiega alla donna il suo piano: sarà proprio lei, Norina, ad impersonare Sofronia e a unirsi a Don Pasquale con un falso matrimonio. I due si divertono a fare le prove della scena in cui Norina incarnerà Sofronia.
vane. Si celebra il matrimonio ed Ernesto, che dopo un momento di stupore viene messo a parte
dell’imbroglio, si presta a fare il testimone.
Non appena un falso notaio stipula il contratto, secondo cui Don Pasquale dona la metà del suo patrimonio alla moglie, Sofronia si trasforma in una furia scatenata, diventa impertinente, mette a soqquadro
tutta la casa ed inizia a spendere senza ritegno il denaro del marito.
atto III: Sala in casa di Don Pasquale. Nella casa regna il caos e le fatture si accumulano. Sofronia annuncia di volersi recare a teatro e,
quando Don Pasquale cerca di dissuaderla, ella risponde con un sonoro schiaffone.
Quindi esce di corsa, lasciando cadere a bella posta un biglietto. Don
Pasquale lo legge e scopre così che Sofronia ha un appuntamento
amoroso la notte in giardino.
Deciso a vendicarsi, il vecchio chiede l’aiuto di Malatesta per liberarsi della moglie e i due decidono di appostarsi in giardino all’ora
del convegno, per sorprendere gli amanti.
Nel frattempo, però, Malatesta, ha persuaso Ernesto a fingere di essere l’amante di Sofronia.
La notte, nel giardino di Don Pasquale. Ernesto canta una serenata a Sofronia. Mentre i due si scambiano parole d’amore, Don Pasquale e il
dottore escono dal nascondiglio e sorprendono la ragazza. Esasperato, Don Pasquale caccia via Sofronia, ammettendo di essere disposto
piuttosto ad accettare le nozze fra Ernesto e Norina.
Ernesto finge di arrivare in quel momento e così Don Pasquale viene messo a conoscenza di tutti gli intrighi operati a suo danno. Troppo felice di sapere di non essere davvero legato alla terribile Sofronia, Don Pasquale perdona tutti per l’inganno e acconsente alle nozatto II: Sala in casa di Don Pasquale. Disperato, Ernesto è deciso ad ab- ze fra Ernesto e Norina.
bandonare la città. In quel momento giunge Malatesta per presentare la La morale, secondo Norina, è che non conviene ammogliarsi in tarsua falsa sorella Sofronia - in realtà Norina - a Don Pasquale. Il vecchio da età; mentre secondo i tre protagonisti la morale è che la donna sasi innamora immediatamente della bellezza e della modestia della gio- rà sempre più astuta di loro.
Il
Giornale dei Grandi eventi
Don Pasquale
5
Mario Cassi e Alessandro Luongo
Nicola Alaimo e Andrea Concetti
Malatesta, furbo
architetto dell’inganno
Don Pasquale, anziano
scapolo credulone
A
i baritoni Mario cassi (18, 20, 22 giugno) e alessandro
luongo (19, 21, 23, 25 giugno) è affidato il ruolo del dottor
Malatesta.
Mario cassi, nato ad Arezzo nel 1973, ha debuttato nel 2001 con il
Laboratorio Voci in Musica di Musica per Roma interpretando Guglielmo in Così fan tutte e il Signor Lupo in Pollicino. Nel 2002 ha vinto il Concorso Toti Dal Monte e il premio speciale Cesare Bardelli al
Concorso Viotti di Vercelli, e nel 2003 si
è aggiudicato il premio Zarzuela al Concorso Plácido Domingo Operalia. Nel
2004, ha vinto il secondo premio al Concorso Spiros Argiris. Nella sua carriera
ha collaborato con direttori del calibro
di Muti, Oren, Mariotti, Antonini, Rovaris, Fournillier, Renzetti e Olmi.
alessandro luongo, nato a Pisa, si è
perfezionato con Alessandro Corbelli,
Renato Bruson, Robert Kettelson e Mirella Freni. Ha vinto vari concorsi internazionali fra cui il 56° Concorso
As.Li.Co (2005) e l’11° Concorso Spiros
Argiris (2010). Ha già avuto modo di Mario Cassi e Nicola Alaimo
calcare importanti palcoscenici ed ha
collaborato con prestigiosi direttori. Nel 2012 ha cantato come Figaro ne Il barbiere di Siviglia all’Opera di Roma, L’Elisir d’amore a Venezia, Il trovatore a Ravenna ed Ernani (Don Carlo) a Cremona. Nel
ruolo di Don Giovanni ha inaugurato la stagione 2012/13 del Teatro
del Maggio Musicale Fiorentino con la direzione di Zubin Mehta.
Fra i suoi prossimi impegni Il trovatore, ancora Don Pasquale, Le nozze di Figaro, e L’elisir d’amore.
A
cantare nei panni dell’anziano Don Pasquale, saranno il baritono nicola alaimo (18, 20, 22, 25 giugno) e il basso andrea
concetti (19, 21, 23 giugno).
nicola alaimo è nato a Palermo nel 1978, dove ha compiuto gli studi musicali. Non ancora ventenne ha vinto il concorso Giuseppe Di
Stefano a Trapani, debuttando il ruolo di Dandini ne La Cenerentola.
Artista versatile, è stato scelto da Riccardo Muti come protagonista
del Don Pasquale al Ravenna Festival ed in una
tournée in Europa e Russia. Ha esordito negli
U.S.A. con la Boston Symphony Orchestra diretta
da James Levine nel Simon Boccanegra, opera che
ha segnato anche il suo debutto al Metropolitan
Opera di New York. Recentemente ha cantato a
Parigi e Vienna all’Opéra National e alla Staatsoper.
andrea concetti, diplomato al Conservatorio
Gioachino Rossini di Pesaro, si è perfezionato con
Sesto Bruscantini e Mietta Sighele. Dopo aver vinto il 46° Concorso Internazionale Adriano Belli di
Spoleto,ha debuttato al Festival spoletino nel 1992.
Nel corso della sua carriera ha cantato in diversi
teatri internazionali. Ha inaugurato la stagione
2012/13 del Teatro Massimo di Palermo ne L’Heure espagnole. Nel suo repertorio anche Don Pasquale, Il Turco in Italia, Mosè in Egitto, Sigismondo, Turandot, L’elisir d’amore, Die Zauberflöte, La fille du régiment, Le nozze di Figaro, Simon Boccanegra, La clemenza
di Tito, Stiffelio, Falstaff, Torvaldo e Dorliska.
Eleonora Buratto e Rosa Feola
Norina/Sofronia,
furba e falsa sposa
Joel Prieto ed Edgardo Rocha
Ernesto, nipote di Don Pasquale,
innamorato di Norina
A
cantare come il giovane Ernesto saranno i tenori Joel prieto
(18, 20, 22, 25 giugno) ed edgardo Rocha (19, 21, 23 giugno).
Joel prieto, nato nel 1981 a Madrid e cresciuto a Porto Rico,
si è avvicinato alla musica fin da subito. Dopo aver completato i
suoi studi presso la Manhattan School of Music di New York, nel
2004 è stato vincitore regionale delle Audizioni del Metropolitan
Opera National Council. Nel 2008 ha vinto il premio Operalia di
Placido Domingo, con cui ha lavorato nella produzione della zarzuela Luisa Fernanda diretta da Joseph Caballé al Theatre an der
Wien Placido Domingo, iniziando una carriera internazionale. In
concerto è stato al Festival di Salisburgo nella Messa in do minore di
Mozart e lo Stabat Mater di Hayden, al Teatro de la Maestranza di
Siviglia, al Sächsische Semperoper di Dresda ed al Concertgebouw
di Amsterdam.
edgardo Rocha, Nato a Rivera in Uruguay,ha studiato Direzione Corale ed orchestrale alla Scuola di Musica dell’Università della Repubblica, dove si è diplomato in pianoforte, successivamente ha ottenuto
una borsa di studio dalla Fondazione Chamangá per giovani talenti
per studiare canto con Alba Tonelli, Beatrice Pazos e Raquel Pierotti.
Nel 2008 si è trasferito in Italia per perfezionarsi con il tenore Salvatore Fisichella. Ha partecipato a masterclass del tenore rossiniano Rockwell Blake e del baritono Alessandro Corbelli. È stato vincitore del 51°
Concorso di Giovani Musicisti dell’Uruguay, dell’8° Concorso Internazionale di canto Maria Callas di San Paolo, del Concorso Giulio
Neri a Siena e del Primo Palcoscenico a Cesena. Nel suo repertorio
concertistico Requiem K 626 e Vesperae solennes de Confessore K 339 di
Mozart, Weihnachts-oratorium BWV 248, Oster Oratorium BWV 249,
Magnificat e Cantate BWV 10, BWV 147, BWV 182 di Bach. Tra i futuri
progetti , Crispino e la comare , La Cenerentola, Il barbiere di Siviglia, Otello, La sonnambula, La Gazzetta e La scala di seta.
A
d interpretare il ruolo della sorella del dottor Malatesta, saranno i soprano eleonora buratto (18, 20, 22, 25 giugno) e Rosa Feola (19, 21, 23 giugno).
eleonora buratto, nata a Mantova nel
1982, nel 2006 si è diplomata in canto
presso il Conservatorio L. Campiani
della sua città. Per oltre tre anni ha studiato con il maestro Luciano Pavarotti,
per un anno ha frequentato l’Accademia di canto lirico di Mirella Freni e si è Eleonora Buratto
perfezionata con Paola Leolini. Nel
2007 ha vinto la Competizione Arturo Belli del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, dove ha debuttato con successo nel ruolo di Musetta ne La bohéme ed in quello di Dirindina ne La Dirindina va a teatro.
Ha cantato arie liriche e musiche da camera in numerosi concerti, tra
cui quello per il Premio Donizetti a Luciano Pavarotti ed il concerto
per il sessantesimo anniversario dal debutto di Leo Nucci. Tra gli impegni della stagione 2012-2013: I due Figaro, Ariande auf Naxos, e Messa in B minore di Bach.
Rosa Feola, nata nel 1986, nel 2008 ha frequentato masterclass del
Santa Cecilia Opera Studio con Renata Scotto, Anna Vandi e Cesare
Scarton all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma. Nel 2010
ha vinto il Secondo Premio, del Pubblico e del Premio Zarzuela al
Concorso Operalia di Plácido Domingo.Le esibizioni più recenti l’hanno vista ne Le nozze di Figaro, nel Don Giovanni nella Carmen , ne
La bohème, e nel Rigoletto. In concerto ha recentemente cantato la Petite messe solenelle,e i Carmina Burana diretta da Riccardo Muti. Futuri
impegni la vedranno nel Rigoletto, nel Falstaff , in Die Zauberflote , ne La
finta giardiniera, e ne Le nozze di Figaro. In concerto, canterà i Carmina
Burana con l’Orchestre National di Lione.
Pagina a cura di Mariachiara Onori
6
Don Pasquale
Il
Giornale dei Grandi eventi
La storia dell’opera
Un “calvario” lungo (ben) dieci giorni
D
on Pasquale, scornato, gabbato, senex amans di plautina memoria, è tutt’altro
che personaggio buffo e caricaturale: Donizetti gli regala una consapevolezza e un’umanità del tutto nuova all’interno del repertorio
buffo in voga, rendendolo protagonista a tutti gli effetti, superiore
alle altre figure in scena e stendendo sulla partitura quella originale patina di malinconia a mediare – e non cancellare – l’umorismo e lo sbeffeggio che alla prima
sembrano prevalere. Un’opera di
profonda poesia, dominata dall’amore e dallo sgomento per la
vita che fugge, intima, tenera e
abilmente equilibrata. Non a caso
il Don Pasquale fu definito dallo
stesso compositore “dramma buffo”, riprendendo, a suo modo, un
binomio già utilizzato da Mozart
nel Don Giovanni - lì era dramma
giocoso - che abbina due poli di
per sé contrastanti: quello appunto drammatico, in cui vengono a
galla i contrasti interiori, e quello
buffo, secondo la miglior tradizione comica del tempo. Don Pasquale è la terza opera comica donizettiana di grande spicco dopo L'elisir d'amore (1832) e la Fille du régiment (1840) e la sua peculiare eterogeneità di stili ne fa un lavoro
variegato ed originalissimo.
successo fin dalla “prima”
Era il 3 gennaio 1843, quando al
Théâtre Italien di Parigi il Don Pasquale nel suo debutto sulle scene
ottenne un successo incontrastato,
mai venuto meno, del resto, fino
ad oggi. Bis, applausi, chiamate
alla ribalta da parte di una platea
entusiasta, che tributò tutti gli
Il soprano Giulia Grisi, prima Norina
Il Théâtre Italien a Parigi
onori ad artisti in scena - Giulietta
Grisi, Giorgio Ronconi, Eugenie
Lablache, Antonio Tamburini - e
al compositore bergamasco. «Anche oggi ricevo da Parigi otto giornali che parlano di Don Pasquale. Stupisco io stesso [...] Colpo di fortuna.
Voilà tout...!». Donizetti forse
nemmeno si rendeva conto di aver
composto un capolavoro e di suscitare gelosie nel mondo musicale francese: la critica fu da subito
positiva e le voci contrarie furono
aprioristici ed isolati casi dettati
dall’invidia. Nata nella consueta
manciata di giorni - Donizetti era
soprannominato dalle malelingue
'Dozzinetti', proprio per la strabiliante prolificità (a 'dozzine') non
disgiunta, a volte, da prodotti banali, 'dozzinali'- la musica del Don
Pasquale venne concepita nella
mente del compositore alla fine
del novembre 1842 e, da quanto è
possibile conoscere dagli epistolari, da questa data passarono «più
di dieci giorni di fatica». Dieci giorni. Certo s'intende la parte
vocale con il basso, ma è altrettanto vero che la prima
prova in palcoscenico con
l'orchestra (quindi con partitura completata) fu il 21
dicembre e quella d'insieme
il 28. Un mese scarso. Considerando, per di più, che la
sua Linda di Chamounix, in
quello stesso Théâtre Italien, era appena andata in
scena, il 17 novembre: insomma, carne al fuoco ce
n’era più che a sufficienza.
Ciononostante, e nonostante (anche!) i malumori dei
cantanti in prova - invidie,
capricci, pretese da primedonne – Don Pasquale ebbe
una gestazione di appena
un mese. Con il risultato di
cui sopra.
Ma guardiamo più da vicino quei
giorni di frenetica attività.
composizione lampo
Era il 1º luglio 1842: Donizetti partì
da Vienna, dove presso il Teatro di
Porta Carinzia ( ricopriva la carica di
direttore musicale della stagione italiana (e dove aveva debuttato la sua,
già citata, Linda di Chamounix) per tornare in Italia, prima a Milano, per
l’allestimento di Maria Padilla, poi a
Genova, da dove salpò verso Napoli,
«sua casa» dagli anni trenta. «Quanto
mi ha fatto piacere rivedere Napoli, e trovar tutti gli amici di sempre eguali, e vedere un numeroso pubblico che accorse
quasi improvvisamente a teatro per rivedermi!». In questa città, infatti, appena morto Bellini e non ancora affermato il giovane Verdi, Donizetti aveva conosciuto una gloria incontrastata – per altro ben avviata già da alcuni anni - grazie anche alla collaborazione con il librettista Salvatore Cammarano (Lucia di Lammermoor 1835,
Belisario 1836, Pia de’ Tolomei 1837, Roberto Devereux 1837, Maria di Rudenz
1838); ma nel 1838, afflitto dalla morte della moglie e deluso dal veto censorio che inesorabile si era abbattuto
sul suo Poliuto, amareggiato infine
dalla mancata nomina a direttore del
Conservatorio dopo la morte di Gaetano Zingarelli quando gli fu preferito Saverio Mercadante, era partito
per Parigi, dove aveva rappresentato
con successo, nel solo 1840, La fille du
régiment, Les martyrs – versione francese di Scribe del suddetto Poliuto – e
La Favorite.
Chiudiamo il “flashback” e torniamo
al 1842: si diceva Vienna, Milano, Napoli e poi, nuovamente, Parigi. Il 27
settembre Donizetti firmò il contratto
con Jules Janin, direttore del Théâtre
Italién, per un’opera comica, che sarà
appunto il Don Pasquale, e, meno di
un mese dopo - il 20 ottobre - il Mae-
stro vendette i diritti dell’opera per
l’Italia e la Germania all’editore Ricordi, per la cifra di 6000 franchi. Per
il soggetto, il compositore si ispirò all’opera buffa Ser Marcantonio, composta da Stefano Pavesi su libretto di
Angelo Anelli (lo stesso autore del testo de L’Italiana in Algeri di Rossini),
rappresentata alla Scala di Milano nel
1810. Ma occorreva una nuova stesura del libretto. Donizetti si rivolse,
tramite il suo agente parigino (e fuoriuscito politico) Michele Accursi, a
Giovanni Ruffini, anche lui esule a
Parigi per le sue idee mazziniane e
fratello di quell’ Agostino Ruffini che
aveva collaborato con lo stesso compositore al Marin Faliero (1835). Il 29
settembre, quarantott’ore dopo la sigla sul contratto, iniziò il “calvario”
del povero Ruffini, che con le sue lettere di sfogo alla madre supplisce
egregiamente alla carenza totale di
notizie a riguardo dell’epistolario donizettiano. «Donizetti ha provato il bisogno d’uno scalpellino facitor di versi per
raffazzonare il libretto antico, per tagliare, cambiare, aggiungere, impiastrare e
che so io. E questo scalpellino, per suggerimento di Michele, son io». Così, oltre
al fastidio di «rivoltar panni vecchi»,
l’improvvisato librettista si trovò a
far fronte alla nota celerità e alle pretese del compositore che tagliava «a
capriccio due versi qui, tre là e quel poco
di nesso logico che mi ero studiato di mettere ne’ miei pezzi» o che, al contrario,
a versi completati, richiedeva altro testo. Il 7 novembre Ruffini, spazientito, consegnò il lavoro, si prese i suoi
cinquecento franchi, ma rifiutò seccamente di apporvi il proprio nome: vi
pose rimedio di nuovo Michele Accursi, che accettò di far siglare il libretto con M.A., le proprie iniziali,
certo, ma anche interpretabili come
“Maestro Anonimo”, il che avrebbe
preservato, per i suddetti motivi politici, l’incolumità generale, ma generato per molti anni - diciamo noi - i
dubbi sulla paternità del testo. In realtà il libretto del Don Pasquale è delizioso, prova dell’abilità di Donizetti
anche nel saper redigere un testo funzionale all’elemento musicale, eliminando, selezionando, variando di
continuo per creare un connubio ottimale tra parola e musica; e infatti
quando scrisse i propri libretti se la
cavò sempre benissimo. Il tutto ha
contribuito, non da molto in verità, a
rivalutare la figura di Donizetti nel
panorama musicale italiano – in cui
allora aveva un ruolo quasi subalterno a Bellini e a Verdi - attribuendogli
le dovute peculiarità innovative, sia
dal punto di vista del formulario operistico che da quello della drammaturgia.
barbara catellani
Il
Don Pasquale
Giornale dei Grandi eventi
7
L’analisi musicale
Un’opera buffa
che deride se stessa
M
olto varia e interessante nello stile è la
partitura del Don
Pasquale: in essa Donizetti,
senza abdicare a se stesso e
senza compromettere la sua
originalità, seppe felicemente guardare ai grandi dell’opera buffa, Rossini, Paisiello, Cimarosa, Fioravanti,
dei quali fece propri i procedimenti e le forme.
Tuttavia, la genialità risiede
in un aspetto forse meno
evidente: Don Pasquale formalmente sembra appartenere al genere dell’opera
buffa, ma in realtà gioca con
questa tradizione, la deride,
prende in giro i suoi stereotipi con un atteggiamento che
è stato definito “metateatrale”.
Per fare un esempio, la prima cavatina di Norina, pezzo chiuso di stampo tradizionale, viene cantata dalla
protagonista che la legge da
un libro subito gettato via
con una bella risata, quasi il
pezzo appartenesse a un
mondo di convenzioni melodrammatiche ormai vetusto e babbione, come lo stesso
protagonista dell’opera. Tutto viene utilizzato da Donizetti per evidenziare e per
giocare con quei topoi che in
passato avevano sclerotizzato ed esaurito il filone dell’opera buffa. Da un lato Don
Pasquale rappresenta l’ultimo esempio di questo genere, mentre dall’altro apre la
strada a un nuovo genere di
opera, non più buffa ma senz’altro comica, ricca di una
nuova ironia e autoironia.
l’analisi musicale
L’ouverture dell’opera sviluppa nella sua prima parte
l’originale motivo della romanesca -genere di antica
melodia spagnola molto
usata in epoca barocca come
base di variazioni -che viene
ripresa nel terzo atto con la
serenata “Com’è gentil”,
cantata da Ernesto (tenore).
Nella seconda parte, invece,
anticipa il tema della cavatina brillante “So anch’io la
virtù magica” alla fine del
primo atto, nella quale Norina (soprano) ammette com-
piaciuta di ben conoscere le
femminili arti della seduzione.
L’ouverture è una pièce strumentale nella quale regna
una vivacità tutta rossiniana
ed è ancora l’orchestra che,
appena si apre il sipario, introduce un grazioso cantabile nel quale Don Pasquale
(basso comico) distacca
qualche nota mordente d’accompagnamento nel tipico
stile dell’opera buffa, mentre
aspetta trepidante il suo
amico dottore. Dopo la bellissima romanza “Bella siccome un angelo” cantata dal
Dottor Malatesta (baritono),
I duetti successivi, l’uno tra
Don Pasquale e il nipote Ernesto, l’altro fra il Dottore e
Norina, sono pregevoli per i
dettagli spiritosi e le belle
melodie.
Il secondo atto comincia con
la cavatina del tenore “Cercherò lontana terra”, il cui
cantabile, ben reso in ritornello dal corno, è seguito da
un allegro ben distinto, nel
ritmo e nell’espressione. È in
quest’atto che si trova il pezzo più importante dell’opera: il quartetto.
Lavorato con una cura tutta
particolare, esso è costruito
con una felice disposizione
nella quale il dottore annuncia all’anziano protagonista
di aver trovato per lui una
splendida e remissiva mogliettina, segue la cavatina
di don Pasquale “Ah! Un foco insolito”, fatta di note rapide e sillabate, dove il vegliardo, infervorato dalla
notizia e dimentico dei suoi
settant’anni, scalpita per conoscere la sua promessa.
delle voci e con l’impiego ingegnoso e ripetuto dell’unisono fra il tenore e il soprano, opposto a quello del basso e del baritono, che insieme producono un effetto di
trascinamento che sembra
appartenere ai classici finali
completi con personaggi e
coro; è considerato il pendant
del famoso sestetto della Lucia di Lammermoor, natural-
mente cercato e realizzato
con procedimenti diversi.
L’effetto della stretta, alla fine del quartetto, è quasi impossibile da descrivere da
un punto di vista musicale,
tanto l’azione è intimamente
legata all’opera del compositore. Questo finale è concluso da un assalto molto comico, fatto di rapide parole tra
Don Pasquale e il Dottore,
nel quale ciascuno dei due
resta a suo modo vincitore.
Sicuramente fu scritto in tal
modo da Donizetti per pacificare le rivalità che intercorrevano tra il basso Lablache
e il baritono Tamburini, primi creatori dei due personaggi.
Il duetto fra Norina e Don
Pasquale, che apre il terzo
atto, è una delle scene meglio trattate dal musicista.
Uno schiaffo dato a un vecchio, seppure applicato da
una graziosa mano femminile, non è una cosa di per sé
molto comica e Donizetti ha
posto delle lagrime reali negli accenti di disperazione
del marito oltraggiato. Queste lacrime, versate in note
velocemente ribattute da
Don Pasquale, danno luogo
in realtà a un’ottima scena di
commedia, più che di opera
buffa. La scena di questo
duetto, nella quale il vecchio
si ribella alla prepotenza della finta moglie, ebbe sempre
grande successo.
Segue un brano corale composto con molto spirito, che
esprime i lamenti delle serve
e dei valletti contro la bizzarra e bisbetica padrona.
Una serenata deliziosa è
quella già citata del tenore,
che la canta dietro le quinte
con un semplice accompagnamento di chitarra. Essa è
poi seguita da un notturno
dalle graziose forme amorose e da un rondò, degna e
brillante conclusione di questo splendido lavoro del
maestro bergamasco.
andrea cionci
In edizione limitata
Il facsimile della
partitura autografa
D
onizetti non aveva ancora terminato di comporre il Don
Pasquale, che già trattava con Ricordi per la cessione dei
diritti dell’opera in Italia e in Germania. Per questo, la
fortunata partitura autografa è conservata nell’Archivio Storico di Casa Ricordi, che oggi, insieme all’Accademia Nazionale
di Santa Cecilia, la presenta in una pregiata edizione in facsimile, con una tiratura di sole 500 copie numerate.
La pubblicazione è accompagnata da un lungo saggio di Philip Gossett, in cui attraverso lo studio del manoscritto originale è esaminata la complessa funzione compositiva dell’opera. Infatti, nonostante Donizetti si vantasse della rapidità con cui aveva prodotto il Don Pasquale, proprio sui manoscritti egli ha lasciato numerose tracce dei ripensamenti e del-
le correzioni, fatte anche dopo la “prima” parigina del 3 gennaio 1843.
(Gaetano Donizetti. Don Pasquale. Edizione in facsimile
della partitura autografa custodita nell’Archivio storico di
Casa Ricordi, con un saggio introduttivo di philip Gossett,
2 voll., pp. 434+152, n. 137804, euro 720,00).
c. T.
Don Pasquale
8
Il
Giornale dei Grandi eventi
Formalmente vietati in Italia, sono argomento di discus
Patti prematrimoniali: la via da scoprire per
I
patti prematrimoniali sono
questione discussa. In linea
di massima, la legge italiana considera nulli per illiceità
della causa i patti conclusi tra
i futuri sposi prima del matrimonio. Questo perché accordi
preventivi allo status coniugale sarebbero in contrasto con il
principio basilare dell’indisponibilità degli status, quindi
anche della situazione di separato e divorziato. Nell’immaginario comune, anche per il
concreto condizionamento dei
racconti pre e post nuziali di
coppie famose inglesi e americane, i patti prematrimoniali
dovrebbero regolamentare minuziosamente ogni aspetto
della vita coniugale, personale
e patrimoniale.
Nei paesi di common law, ma
anche in Spagna, Portogallo,
Grecia e Germania, solo per
restare in Europa, c’è infatti
una mentalità molto più liberale e meno statalista della nostra. Sì dà, cioè, più importan-
za alla disponibilità dei diritti
privati, e di conseguenza se
c’è ampia opportunità per tutti di organizzarsi la propria vita sentimentale giuridica.
pregiudizi italiani
Tra l’altro, così pensando, in
quelle nazioni ci sono molto
meno cause giudiziarie che in
Italia, dove è sempre un giudice a dover decidere sui conflitti domestici. I pregiudizi culturali non facilitano certo in
Italia le intese preventive, che,
anzi, vengono avvertite come
un’ipoteca sulla buona fede
dei futuri coniugi. Invece di
assorbire l’antico adagio “patti
chiari, amicizia lunga” si preferisce ipocritamente non parlare di denaro nel momento in
cui c’è la massima fiducia reciproca ed invece battagliare su
denaro, case e proprietà,
quando vendetta e disistima
segnano oscuramente i comportamenti della crisi matrimoniale.
Legge e giurisprudenza, dunque, non hanno mai voluto allentare le maglie della severa e
rigida visione dei diritti indisponibili, per la quale si ritiene esclusiva la competenza del
Tribunale sulla dichiarazione
dello stato separazione e di divorzio dei coniugi, la fissazione di un assegno e l’affidamento dei figli. Ma anche, si
argomenta che rimettendosi
alla volontà dei coniugi sull’organizzazione della futura
vita coniugale e sugli aspetti
patrimoniali della vita separativa, si favorirebbe l’istituto
della separazione a danno della famiglia tutelata dalla Costituzione.
Personalmente non condivido
tali ragionamenti, proprio perché vivo tutti i giorni nella
trincea delle guerre coniugali
e sono del parere che gli accordi prematrimoniali potrebbero
costituire un importante arricchimento di pensiero, informazione e scelte, affinché i futuri coniugi sappiano assumersi la responsabilità, im-
mensa, di fondare e costruire
una famiglia.
patti come
“politica condivisa
della Famiglia”
I patti potrebbero diventare lo
statuto dei sentimenti, l’originale politica condivisa di ogni
famiglia, l’opportunità di sperimentare la libertà di disegnare e correggere la vita coniugale. Senza strapparla, per
poi farla rammendare malamente da sconosciuti ed inconsapevoli avvocati e magistrati.
Del resto il nostro ordinamento già prevede espressamente
la facoltà degli sposi di ricorrere ad alcune convenzioni
matrimoniali per la scelta del
regime patrimoniale più consono alle personali esigenze di
vita: comunione o separazione
dei beni, comunione convenzionale, fondo patrimoniale.
Partendo da questi strumenti,
espressamente previsti dal
Codice, e in forza del principio di autonomia privata favorito dal Codice, queste convenzioni potrebbero rappresentare la solida base sulla
quale costruire e legalizzare i
patti prematrimoniali. Strumenti, cioè, con i quali prevedere e programmare un personalissimo progetto di vita coniugale.
Dunque non ci sono veri e
propri ostacoli ai patti prenuziali, ma solo una chiusura apparente, determinata da ragioni socio-culturarli.
In sostanza, bisognerebbe osa-
re e incentivare l’abitudine ai
patti prematrimoniali che, comunque sia, non sono proibiti.
Ovviamente, per evitare di fare patti nulli, le parti dovrebbero conoscere alcuni limiti:
primo fra tutti il rispetto dei
diritti e dei doveri previsti dagli articoli del codice che riguardano il matrimonio. Non
è quindi possibile, per esempio, prevedere di derogare all’obbligo di fedeltà o alla solidarietà economica e morale
che sorge obbligatoriamente
con il matrimonio.
E neppure uno degli sposi può
sottrarsi al dovere di mantenere ed educare i figli.
Non è possibile neppure accordarsi sulle modalità di gestione della sessualità, oppure
condizionare la volontà di
Il
Giornale dei Grandi eventi
Don Pasquale
9
sione giuridica e di contemporanea apertura in altri Paesi
un più sereno e condiviso rapporto di coppia
avrebbe, infatti, la prova dello
stile di vita matrimoniale condiviso e si ridurrebbero i tempi
dell’istruttoria. Ma si potrebbero attutire anche le dissonanze
della coppia, che avrebbe la
soddisfazione di autoregolamentarsi prima, durate e dopo
il matrimonio, senza delegare
la propria vita a “freddi” e burocratici sconosciuti, diventando, anche se con l’aiuto di avvocati specializzati e notai, veri
avvocati di se stessi.
nuova regola europea
scelta vitali dell’altro con la
controprestazione di ingenti
somme di denaro.
accordi possibili
in Italia
E’ invece possibile regolamentare la futura gestione del ménage matrimoniali da un punto
di vista squisitamente patrimoniale. Nel decidere, per esempio, come ripartire tra i coniugi
gli adempimenti dei costi quotidiani e annuali, quale cifra destinare al coniuge che non lavora per scelta condivisa, quale
percentuale dei guadagni destinare al risparmio. Una simile
previsione, se attuata e confermata nei fatti, può essere utile
anche in un eventuale giudizio
di separazione: il Tribunale
Dal 21 giugno 2012, peraltro, è
in vigore in 14 Stati europei, tra
i quali l’Italia, il Regolamento
dell’Unione
Europea
(n.
1259/10) sulla legge applicabile
al divorzio e alla separazione.
Con questa legge è finalmente
possibile pattuire per iscritto
(prima o dopo il matrimonio)
quali norme internazionali applicare al futuro divorzio, purché vi sia un collegamento con
lo Stato esterno indicato: o la
residenza abituale delle parti al
momento dell’accordo; o l’ultima residenza abituale delle
parti quando una di loro vi risieda ancora; o la cittadinanza
anche di un solo coniuge. Questa è un vera e propria possibilità di patto prematrimoniale,
con il quale anche i coniugi italiani non sono più obbligati ad
aspettare tre anni per chiedere
il divorzio. Se risiedono stabilmente all’estero, per esempio,
potranno chiedere il divorzio in
Italia, applicando la legge del
luogo dove vivono.
Ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan Van Eyck
Negli Stati Uniti i prenuptial
agreement sono d’uso comune
dagli anni ’80 e, come vuole la
prassi, possono essere stipulati
sia prima, sia dopo le nozze.
La correttezza dell’accordo?
Verrà valutata dalla Corte attraverso la puntuale verifica
dei redditi e dei patrimoni dei
futuri coniugi, in modo da censurare squilibri e annullare ingiuste rinunce.
Altro Paese di diritto anglosassone favorevole agli accordi
prematrimoniali è la Gran Bretagna, ma solo dal 2009 e con il
limite del giudizio di equità da
parte del giudice.
Ecco che il potere negoziale
degli sposi può trovare una limitazione solo quando, per
esempio, il loro accordo sia
squilibrato quanto all’entità
delle rinunzie fatte da uno in
favore della vita matrimoniale
o, ancora, al contributo che
l’altro decide di fornire al ménage comune.
Anche in Germania i giudici e
gli esperti di diritto hanno riconosciuto ai futuri coniugi la
possibilità di predeterminare
gran parte degli effetti di un
possibile divorzio.
Diverso il discorso per la Francia, dove vige un’impostazione
generale di chiusura alla possibilità dei futuri sposi di stipulare accordi in via preventiva. Il
code civil d’Oltralpe, infatti,
consente al giudice di negare
l’omologazione, nel caso in cui
gli interessi di uno dei coniugi
non vengono salvaguardati in
maniera obiettiva.
In conclusione, la crescita culturale, riconosce ai privati cittadini, coinvolti nel matrimonio,
una dose sempre più consistente di responsabilità; pertanto
gli accordi privati (ma sempre
ratificati dal notaio!) intervenuti tra di loro, vengono messi in
discussione dallo Stato.
Quando uno dei due, non rispettando la pari dignità giuridica, ha voluto maliziosamente
e, fin dall’inizio, fare il furbo …
o il prepotente.
annamaria bernardini de pace
Avvocato matrimonialista
10
Don Pasquale
Il
Giornale dei Grandi eventi
I costumi e le scene originali
Quella marsina che non si chiudeva al protagonista
C
ome è noto, per la
prima rappresentazione del Don Pasquale, Donizetti richiese
che i costumi, così come le
maniere e i dialoghi dei
protagonisti, fossero in stile contemporaneo. L’idea,
assolutamente contro tendenza, provocò scalpore e
fino all’ultimo fu contrastata dal librettista Ruffini
e dagli artisti, i quali
avrebbero preferito indossare «perrucconi e abitoni
di velluto».
La novità sorprese anche
gli spettatori e non mancarono nella critica obiezioni
e applausi.
La sera della “prima” al
Théâtre Italien, il corpulento basso Lablache si presentò sul palco nei panni di un
anziano settantenne dimesso,
con i capelli bianchi sotto il
berretto di seta nera, avvolto
in un’ampia veste da camera
bianca e con i pantaloni neri di
nanchino.
Ai piedi aveva delle vistose
pantofolone.
Alla notizia che il dottor Malatesta gli avrebbe presentato
una graziosa e virtuosa sposina, sua sorella Sofronia, il vecchio però si ringalluzzì.
Eccolo allora, nel secondo atto,
in un abbigliamento che doveva farlo apparire «lesto e ben
portante» e che non mancò di
suscitare l’ilarità del pubblico:
in testa, un’appariscente parrucca bionda, caricata di ingombranti riccioloni.
Indosso, una marsina così attillata che le falde della giacca
verde non riuscivano a chiudersi sull’ampia pancia del
protagonista.
I pantaloni bianchi, un gilè all’ultima moda, le guarnizioni
dorate, gli stivali di vernice, i
guanti gialli e il fiore all’occhiello (forse una camelia o
una rosa) completavano la tenuta, in cui egli si compiaceva
cantando: «Con questo boccon
poi di toilette».
Anche il soprano Giulia Grisi
si fece notare.
Inizialmente nei panni di Sofronia, vestita come una collegiale appena uscita di convento e nascosta da un velo di pizzo nero che non lasciava intravedere il volto, si trasformò
completamente nel terzo atto,
presentandosi con un’elegante
toilette ultimo grido. Ma la cosa che maggiormente colpì il
pubblico furono i suoi capelli
neri, lasciati al naturale.
Più ragionevoli erano Ernesto,
vestito da giovane studente elegante, e Tamburini, il dottor
Malatesta, con una redingote nera da mattina. Entrambi i costu-
mi erano però molto fantasiosi,
a giudicare da quello che scrissero i giornali nei giorni seguenti.
Tutto ciò, a parte le risate suscitate da Lablache e la graziosa
toilette della Grisi, offese il pubblico, il quale si rese conto di assistere a una vicenda possibile e
non immersa nel passato, in
una dimensione lontana
dalla realtà. Gli spettatori
avrebbero dunque preferito
i capelli di Norina incipriati
di bianco, un don Pasquale
in abiti d’oro e di seta, Malatesta in nero con una
grande parrucca e Mario in
abiti stile Régence.
Più apprezzate furono invece le scene, disegnate da
Verardi e Ferri, lo stilista
dell’anno. Queste erano in
stile Pompadour e richiamavano dunque ambienti del
secolo precedente.
Molto applauditi furono i
sontuosi saloni di Don Pasquale, ma soprattutto la
scena del giardino nel secondo quadro del III atto.
Gli scenografi erano infatti
riusciti a rendere gli effetti di
una notte d’aprile italiana in
maniera davvero efficace: un
cancello si apriva su un giardino di frassini e pioppi, meravigliosamente illuminato da un
chiaro di luna, mezzo azzurro
e mezzo d’argento, che lasciò
tutti a bocca aperta.
La cessione per i diritti
Un’opera che rese 15mila franchi
Q
uando Donizetti prese accordi
per un dramma
buffo con il Théâtre
Italien di Parigi, gli furono offerti 3000 franchi, mentre altri 6000
arrivarono per la cessione dei diritti agli
editori parigini. Un vero affare per l’Italien
che, secondo le cronache dell’epoca, piangeva miseria e chiedeva
sovvenzioni allo Stato,
mentre con il Don Pasquale incassò 19mila
franchi in undici giorni. Un affare anche per
Donizetti, che così metteva la bandierina su
un prestigioso teatro della Capitale francese per
cui non aveva ancora lavorato. Era allora l’autunno del 1842.
Il testo era ancora in corso di stesura e Donizetti,
assistito dal suo agente Michele Accursi, iniziò a
darsi da fare anche per vendere la proprietà dell’opera all’estero.
A Londra la cedette per
4000 franchi, mentre in
Italia trattò con Ricordi
per la cessione dei diritti in Italia e in Germania esigendo, senza
possibilità di negoziazione, la somma di
6000 franchi, esclusa
però la cabaletta “Via,
caro sposino”, di cui il
compositore si riservò
la proprietà ovunque,
fuorché a Napoli.
Il guadagno, escluse le
spese, fra cui i 500 franchi per il librettista
Ruffini, fu di 15.000
franchi.
Una cifra consistente,
se si tiene conto che gli
editori acquistarono i diritti alla cieca, perché soggetto e titolo dell’opera furono tenuti nascosti fino
all’ultimo. In quegli anni, infatti, i soggetti delle
opere erano valutati soprattutto se originali.
Per questo, Donizetti ed i suoi collaboratori mantennero fino alla fine il segreto sull’utilizzo del
vecchio libretto del Ser Marcantonio.
pagina a cura di elena cagiano
Il
Don Pasquale
Giornale dei Grandi eventi
11
La fortuna dell’Opera
Dal trionfo parigino
al successo mondiale
I
l 3 gennaio del 1843, fra
discussioni con gli interpreti, revisioni dell’Autore e curiosità del
pubblico, il Don Pasquale di
Donizetti esordì al Théâtre
Italien di Parigi.
A dirigere la prima rappresentazione salì sul podio
Théophile-Alexandre Tilmant. Norina/Sofronia fu
interpretata dal soprano
milanese Giulia Grisi,
mentre il suo futuro marito, il tenore Giovanni Matteo dei Marchesi di Candia
- più noto come Mario cantò la parte di Ernesto. Il
baritono Antonio Tamburini era il Dottor Malatesta
e Don Pasquale il celebre
basso Luigi Lablache. Il falso notaio era forse il basso
Federico Lablache.
Un cast collaudato, visto
che la Grisi, Tamburini e
Lablache erano stati insieme già protagonisti del
Marin Faliero nel 1835, e
Mario, Tamburini e Lablache della prima Linda di
Chamounix a Parigi, presentata al Théâtre Italien
un mese e mezzo prima del
Don Pasquale. Antonio
Tamburini era stato anche
interprete del Ser Marcantonio di Pavesi, a Napoli
nel 1828. Tutti artisti di fama, che certamente contribuirono al successo dell’opera. Questa, infatti, nella sua felice unione di tra-
dizione e novità, non fu
pienamente compresa dal
pubblico e dalla critica, ma
certamente fu apprezzata
per le musiche orecchiabili,
per le performances dei cantanti e per la comicità del
soggetto, che ancora oggi
la rende un caposaldo dei
repertori lirici.
diversi bis
Così, la sera della “prima”,
furono richiesti diversi bis
e Donizetti fu chiamato sul
palco due volte, alla fine
del II e del III atto. Il Compositore acconsentì alla richiesta e si mostrò al pubblico, mostrando con orgoglio la sua Legion d’Onore
ed incorrendo così nelle
critiche di parecchi giornali. In Francia - dissero - si
espone l’opera al pubblico,
non la persona.
L’unico su cui nessuno ebbe da dire, fu il basso Lablache, talmente esagerato
nella sua verve, da sfuggire
ad ogni possibile attacco.
Molti applausi riscossero il
tenore Mario per Ernesto,
soprattutto con la serenata,
e anche la Grisi, per quanto
fosse più portata per le
parti tragiche e aleggiasse
ancora forte il ricordo della
Malibran. Il coro, diretto
dal Maestro Tariot, fu criticato per la brutta esecuzione di “I Diamanti presto,
Il baritono Antonio Tamburini, primo Dott. Malatesta
presto” all’inizio del terzo
atto.
Anche se i maligni attribuirono gli applausi alla claque che Donizetti e Ruffini
si erano portati a teatro, il
successo dell’opera, quello
destinato a durare nel tempo, iniziò subito. Nella prima settimana, il Don Pasquale fu replicato tre volte
e nella settimana successiva tutti i giorni. Fu scritto
che il pubblico dell’Italien
non era mai stato così soddisfatto dai tempi del Barbiere.
La prima rappresentazione
in Italia si tenne al Teatro
alla Scala di Milano, il 17
aprile del 1843. Gli interpreti furono Ottavia Malvani, Leone Corelli, Achille
De Bassini, Napoleone
Rossi. Il libretto, edito da
Ricordi, venne dedicato da
Donizetti alla moglie del
Gaetano Donizetti
suo banchiere, Madame
Zelie de Coussy.
Il 14 maggio dello stesso
anno, l’opera giunse a
Vienna, una piazza a cui
Donizetti teneva molto e
per la quale furono apportate svariate modifiche anche nella strumentazione.
Tra l’altro, fu modificato il
duetto fra don Pasquale e
Malatesta, oggi uno dei
numeri più considerati, ma
che a Parigi aveva ottenuto
scarsa attenzione: il recita-
tivo che lo precede, “Cheti,
cheti” fu sostituito da uno
nuovo e più lungo, composto su parole dello stesso
Donizetti.
Come pattuito con gli editori, a giugno Don Pasquale
andò a Londra, poi iniziò a
girare l’Europa e nel gennaio del 1845 approdò a
New Orleans e in altri teatri degli Stati Uniti, dove riscosse (ed ancora riscuote)
un successo straordinario.
Francesco piccolo
Le revisioni del Don Pasquale
I
l battesimo del Don Pasquale avvenne il 3 gennaio 1843 al Théâtre
des Italiens. Il cast era
composto da quattro delle
migliori voci del tempo. Il
successo di pubblico e di
critica fu talmente strepitoso che lo stesso Donizetti, in genere piuttosto incline alla malinconia, in
una lettera all’allievo e
amico Matteo Salvi inviata il giorno successivo alla
rappresentazione esclamava goliardicamente:
«Sono contentone!».
L’opera fu eseguita immediatamente dopo a Bruxelles, alla Scala di Milano, a Berlino, a Vienna, a
Londra. Dopo la fortunata
prima rappresentazione al
Théâtre Italien, lo stesso
Donizetti apportò numerose modifiche alla partitura. Il primo significativo
cambiamento fu quello alla strumentazione della
sinfonia. In essa originariamente la melodia della
serenata della sezione dell’andante era affidata al
corno, successivamente
raddoppiato dal fagotto e
dal flauto. Donizetti, rite-
nendo che un assolo per
corno all’inizio dell’opera
fosse troppo rischioso, decise di sostituire la maggior parte degli assolo del
corno sostituendolo con
un violoncello.
Un altro cambiamento fu
apportato all’accompagnamento alla parte di
Don Pasquale nella ripresa del tema della cabaletta
di Norina (“Via caro sposino”) nel duetto tra Norina e Don Pasquale e concentrò gli interventi di lui
fra le singole frasi di Norina.
Le modifiche senz’altro
più significative, però, riguardarono il duetto dei
due buffi, il Dottor Malatesta e Don Pasquale.
D’altra parte la volontà di
effettuare dei cambiamenti in questa sezione dell’opera era già stata annunciata in una lettera a
Ricordi del 5 gennaio.
La versione definitiva del
duetto si concretizzò solo
il 14 maggio 1843, in occasione dell’edizione viennese al Kärntnertortheater, anche se i rimaneggiamenti erano iniziati sin
dalla rappresentazione di
Parigi, dove il duetto era
stato accolto freddamente
dal pubblico e praticamente ignorato dalla critica.
L’intento di Donizetti fu
di esaltare l’effetto comico: per questo modificò il
recitativo cercando di «un
po’ il dottore sortir dall’apatia», mettendolo maggiormente in risalto. Nei versi
aggiunti, infatti, Malatesta tenta di difendere la
sorella Sofronia e calmare
Don Pasquale. Il duetto
ha inizio quando quest’ultimo è talmente infuriato, che il Dottore non
può far altro che cedere.
La modifica più significativa di questo pezzo a due
fu quella di far riprendere
dal Dottore la melodia di
Don Pasquale. La cabaletta è divisa in tre strofe,
due a solo e una cantata
all’unisono.
Dopo le rappresentazioni
viennesi cessarono le modifiche al Don Pasquale e
l’opera iniziò il suo lungo
cammino verso l’immortalità.
cl. cap.
Don Pasquale
12
Il
Giornale dei Grandi eventi
La maschera di Don Pasquale
Da sempre protagonista
nella commedia buffa
Q
uando Donizetti
accettò l’incarico
di François Crosnier per un’opera comica
per il Théâtre des Italiens
decise di riutilizzare un
soggetto già noto: un testo
di Angelo Anelli, musicato da Stefano Pavesi Ser
Marcantonio, andato in
scena alla Scala di Milano
nel 1810 e rimasto in repertorio per oltre vent’anni. Presumibilmente
la scelta dell’argomento
fu influenzata dal fatto
che l’opera sarebbe stata
rappresentata
nuovamente a Vienna nell’agosto del 1842 e Donizetti,
lasciata da due mesi la
città, ne fu sicuramente
suggestionato.
Il tema delle due opere,
con il vecchio che sposa
una giovane ragazza, ha
origini davvero remote e
assai radicate nella cultura
buffa: si tratta delle maschere della Commedia
dell’Arte e prima ancora
delle antiche farse atellane. Quest’ultime, fiorite
nel III sec. a.C. nella zona
osca della città di Atella
(da cui fabule atellane), erano improvvisate dagli attori su un semplice canovaccio, con alcune maschere fisse: Bucco, Dosseno, Pappo, Macco. Tali forme teatrali contribuirono
alla complessa genesi della Commedia dell’Arte,
che delle fabulae conservò
sia le maschere fisse e invariabili, che la recitazione
cosiddetta a soggetto, o
“improvvisa”.
Il melodramma buffo per
tutto il Settecento e per la
prima metà dell’Ottocento
attinse a piene mani dalla
galleria delle simpatiche
maschere della “commedia a soggetto”: ne sono
un magnifico esempio la
Serva Padrona di Pergolesi
e il rossiniano Barbiere di
Siviglia. Maschera tipica
romanesca, don Pasquale
è stato l’ispiratore di molte
commedie, come Il Tutore
tiranno, La Costanza in amore, L’Anticamera di Don Pasquale, La Disgraziata Luna
di miele del sor Pasquale.
Donizetti deciderà proprio di ridare vita a quegli
antichi calchi chiusi nei
bauli da qualche decennio, per trasformarli da
manichini senz’anima in
uomini a tutto tondo. Il
“vecchio celibatario” don
Pasquale, che ricorda il
Pappo delle atellane e il
Pantalone o il Dottore della Commedia dell’Arte,
deve la propria comicità
alle contraddizioni del
suo spirito senile: bacchettone e smanioso di amoreggiare, racchiude in sé il
contrasto tra la nuova e la
vecchia generazione. Il
dottor Malatesta «faceto e
intraprendente» sembra il
Brighella (da brigare o imbrogliare) tanto bravo a
movimentare l’azione animandola d’intrighi. È uomo ingegnoso e scaltro
che manda all’aria matrimoni per favorirne altri.
Norina e Ernesto, infine,
ovviamente sono gli Innamorati il cui sentimento è
ostacolato da don Pasquale.
Donizetti, insomma, non
si priva di alcun ingrediente della commedia
settecentesca, tra cui il travestimento e il falso matrimonio che si concluderà
con l’agnizione finale.
Tuttavia un secolo non è
passato invano e il riso
donizettiano non è certo
quello scomposto e spensierato dei suoi predecessori, è piuttosto il sorriso
malinconico figlio del Romanticismo. Sarà lo stesso
compositore bergamasco
in una lettera indirizzata
al cognato nell’agosto del
1842, qualche mese prima
della stesura del Don Pasquale, a confessare: «Io
rido, ma poi tu sai bene se in
fondo al core non ho la melanconia che mi opprime, e
formo di mia gaiezza orpello
per coprirla». Il riferimento
è ad una sfortunata storia
d’amore che lo stesso Donizetti aveva iniziato con
una bionda donna napoletana.
In tutta l’opera serpeggia,
non troppo velato, un senso di crudeltà e di cinismo
umano che si fa tanto più
evidente quanto più si
sviluppa l’azione comica.
La risata, che scaturisce
dal vedere il vecchietto
scornato a causa del cinismo dei due teneri innamorati pronti a tutto per
recuperare l’eredità, si alterna inconsapevolmente
all’amarezza della disillusione. Non c’è un personaggio che si salvi da questo imborghesimento dei
valori
settecenteschi:
l’egoismo e l’avidità di
Don Pasquale sono ripa-
gati con le sue stesse armi
da coloro che lo circondano, incapaci anch’essi di
sognare con il cuore. Non
a caso la morale, cruda,
esce dalla bocca della gio-
vane Norina: «Ben è scemo
di cervello chi s’ammoglia in
vecchia età; Va a cercar col
campanello noie e dogli in
quantità».
cl. ca.
Nel Melodramma
Dei vecchietti che le
giovin corteggiarono…
S
osteneva George Bernard Shaw che
l’opera è quello spettacolo in cui il
tenore cerca di portare a letto il soprano e il baritono glielo impedisce.
Boutade in parte vera, quella dell’umorista e critico irlandese che fotografa molte trame teatrali dell’Ottocento, ma che
può estendersi anche a diverse vicende
di epoche passate. Il triangolo è spesso
presente nell’opera comica. E sovente i
lati di questa figura geometrica sono
una giovane ragazza, un giovane innamorato e un vecchio che sulla ragazza
vanta qualche diritto. In questo senso la
storia ci porta molto indietro nel tempo.
Nel 1668 Stradella compose Il Trespolo tutore. Qui il triangolo ha una variante significativa: è la ragazza che vorrebbe sposare il tutore babbeo che invece le preferisce una servetta. Nel teatro di Cimarosa il
triangolo è spesso presente. Basta pensare al Matrimonio segreto, in cui il vecchio
mercante Geronimo vuole maritare la figlia a un nobile, ignorando che la ragazza
è già sposata segretamente con il suo segretario Paolino. Una variante non da poco di questa situazione è quella in cui lo
stesso vecchio si candida a marito, accentuando la propria ridicolaggine.
Il pensiero corre naturalmente subito a
don Bartolo, la vittima di Figaro e del
conte d’Almaviva nel Barbiere di Siviglia,
commedia scritta da Beaumarchais e
musicata da Paisiello (1782), da Morlacchi (1816) e da Rossini (1816). Qui don
Bartolo, tutore di Rosina, vuole sposarla
ma deve fare i conti con l’aspirazione
matrimoniale del conte d’Almaviva, alleato del furbo Figaro. Finale scontato,
con Almaviva e Rosina che convolano a
giuste nozze. Ma se nel Barbiere il matrimonio rimane per don Bartolo un sogno
irrealizzato, nel Don Pasquale donizettiano diventa un incubo da dimenticare
in fretta.
Ro. Io.
Il basso Luigi Lablache, primo interprete di Don Pasquale.
Il
Don Pasquale
Giornale dei Grandi eventi
13
Improbabile dialogo tra i personaggi d’opera burlati in amore
Ah, le donne…quanti inganni
«A
un dottor della mia sorte, un
simile scherzo! È un affronto
insopportabile». Seduto al
tavolo dell’osteria, davanti ad un bicchiere di cordiale, Don Bartolo non sa
darsi pace. Don Basilio e Figaro cercano di riportarlo alla ragione, fargli
capire che Rosina, così giovane e impertinente, non era per lui. Molto meglio averla maritata con il Conte d’Almaviva. Ma Bartolo non sente ragioni, rifiuta una sconfitta che lo rende
improvvisamente più vecchio.
«Taverniere, un bicchier di vin caldo»:
l’ordinazione arriva da un tavolo all’esterno. Il nuovo avventore, i vestiti infradiciati, sembra anche lui reduce da una brutta avventura.
«Una brutta avventura sì – dice il servitor Pistola a Figaro, incuriosito – il
mio padrone John Falstaff è appena finito in acqua, gettato nel fiume in un canestro dopo un vano tentativo di sedurre una donnina sposata».
«Ah le donne – mormora Don Bartolo
– croce e delizia dei nostri cuor!».
«Va’ vecchio John – geme il lord seduto là fuori – va’ per la tua strada, cammina finché tu muoia, allor scomparirà la
vera virilità dal mondo! Mondo reo, mondo rubaldo».
«Vuole conquistare un cuore femminile?
Avrei giusto un filtro d’amore al caso
suo» irrompe con tutta la sua baldanzosa vitalità Dulcamara, venditore e
piazzista.
«Lasci perdere, per carità – lo zittisce
Don Basilio – il mio signore ha altro da
pensare adesso. Non vede che sta soffrendo proprio per una pena d’amore?».
«Ma i miei filtri sono portentosi – insiste
Dulcamara – Pensi che ho appena ridato
la felicità ad un giovane afflitto, un certo
Nemorino…».
«Cortigiani, vil razza dannata»!
«Chi è?» domanda spaventato dal tono irruente Dulcamara.
«Non ci far caso – assicura Pistola – È
Rigoletto; viene qui tutte le sere e al terzo
bicchiere va in escandescenze, insulta tutti e poi se ne va dondolando».
«Offro da bere a tutti»! È una voce
squillante e gioiosa che interrompe
Dulcamara, distrae dai propri lugubri
pensieri Falstaff, attrae l’attenzione
generale. Un vecchio signore dai modi aristocratici entra giubilante nel fumoso locale: «Oste, pago un bicchiere a
tutti i presenti» insiste Don Pasquale.
«Cosa avrà da festeggiare» si domanda
Leporello capitato all’osteria in cerca
di un nuovo padrone, dopo che Don
Giovanni è scomparso in circostanze
misteriose.
Intanto, Don Pasquale, arrivato al
bancone, nota al tavolo Don Bartolo,
conosciuto anni prima per qualche affare e poi perso di vista.
«Caro Don Bartolo, che piacere vederLa.
Si ricorda di me? Ma come mai
quella faccia così triste? Le è
morto qualcuno»?
«Non me ne parli, vecchio amico, mi vergogno quasi a dirlo,
ma ho patito una delusione
d’amore».
«Non mi dica. Racconti»…
«C’è poco da dire. Ah la mia Rosina! Mi ha ingannato, credevo
mi amasse, ma quando stavo per
celebrare il mio matrimonio con
quel fiorellino, è arrivato un nobilastro a portamela via».
«E si lamenta? Non sa che pericolo ha evitato. Perché crede che
io sia così allegro oggi? Perché
ho scoperto che il mio matrimonio con Sofronia era falso. Dio
sia ringraziato. Non può neppure immaginare in che inferno
ho vissuto nei pochi giorni di
convivenza. Quella donna era Caricatura di Gaetano Donizetti
un diavolo, una emissaria del
male. Ancora una settimana e
soldi, che ti faccia le scenate»!
mi avrebbe trascinato in rovina»…
«Certo in questo mondo irreale del«Dice davvero? Lei si era sposato per l’opera gli autori ci fanno spesso passafinta»?
re da babbei».
“Io credevo di essere sposato davvero. «Eh, caro Don Bartolo, questo è il nostro
E quando ho capito in che razza di gua- ruolo. Personaggi da opera buffa. Siamo fiio mi ero cacciato, non sapevo più cosa gure drammatiche, soffriamo per i nostri
fare. “È finita Don Pasquale” mi ripe- guai, ma facciamo ridere. Rossini e Sterbitevo “Più non romperti la testa, il par- ni con lei non hanno usato il guanto di veltito che ti resta è d’andarti ad anne- luto. Permette? (Si siede al tavolo facengar”. Poi il chiarimento e mi son senti- do alzare Figaro che con un inchino si
to rinascere. Che bello essere scapoli, li- allontana). Ancora ancora Beaumarchais,
beri di fare cosa si vuole, senza una uomo sia pure ribelle, ma del Settecento, tedonna che ti controlli, che spenda i tuoi neva in una certa posizione aristocratici e
popolani. Ma con Lei Rossini è
andato oltre misura facendola
mettere in ridicolo anche da quel
barbiere da quattro soldi».
«Beh, anche con Lei Donizetti e
Ruffini non hanno mica scherzato. Si è preso persino uno schiaffo dalla sua Norina! Il fatto è che
siamo nati per essere scherniti e
tutti si sentono in dovere di approfittarne. Oggi poi ci si impegnano particolarmente anche i
registi che ci trasformano in autentici pagliacci, togliendoci ogni
dignità umana. È un destino tremendo. D’altra parte, nel nostro
mondo o inganni o sei ingannato. E noi siamo le vittime».
«Versiamo un po’ di vino nell’acqua del Tamigi»?
«Chi è?»
«Un vecchio lord inglese che ha
patito anche lui qualche strana
disavventura sentimentale».
«Non c’è più rispetto».
«Non c’è più virtù».
«Lord, permette un bicchiere»? Don Pasquale e Don Bartolo raggiungono
Falstaff fuori, in giardino, dove si gode
di un po’ di sole.
«Certo cari giovanotti: barbera e champagne»!
«A cosa brindiamo»?
«Alle donne»…
«Tutto nel mondo è burla. L’uom è nato
burlone, la fede in cor gli ciurla, gli ciurla la ragione».
Roberto Iovino
Le autocitazioni nel Don Pasquale
N
el 1842 la vena creativa di Donizetti non era
esaurita, nondimeno egli aveva ormai una sessantina di opere alle spalle ed un ricco repertorio a cui attingere. Non stupisce, quindi, che il Don Pasquale sia ricco di autocitazioni e spunti tratti da lavori
precedenti. Lo stesso musicista dichiarò che la cabaletta
di Norina “Via, caro sposino”, nel duetto del III atto con
Don Pasquale, era quella composta per Eugenia Tadolini che la cantò nell’Elisir d’amore a Napoli nel 1841. Evidentemente il compositore confidava molto in questo
brano se, nelle trattative per la cessione dei diritti del
Don Pasquale, volle riservarsene la proprietà ovunque,
fuorché a Napoli dove era stata composto. Anche il vivace “Un foco insolito” di Don Pasquale nel I atto deriva da “Tutti qui spero”, una cabaletta cantata da Gianni
nel I atto di Gianni di Parigi, melodramma su libretto di
Felice Romani composto molti anni prima, ma rappresentato alla Scala di Milano il 10 settembre 1839. È preso
in prestito, invece, il motivo in adagio del quartetto al finale del II atto, composto da un lembo della romanza di
Guido e Ginevra di Halévy unito con un brano della frase
finale della Sonnambula di Bellini. Il tema del rondò finale “La moral di tutto questo”, che tante preoccupazioni aveva procurato al librettista Ruffini, proviene invece dalla romanza della Zingara (1822). Tra realtà e
aneddotica, si racconta poi che il coro dei servitori all’inizio del III atto, “I diamanti, presto, presto” era stato
composto da Donizetti su richiesta di Lablache due
giorni prima dell’esordio del Don Pasquale a Parigi per
l’album della contessa di Merlin e aggiunto all’opera in
una delle tante modifiche dell’ultimo momento. Infine,
la serenata di Ernesto, “Com’è gentil la notte”, una romanesca accompagnata da chitarra e tamburo basco
che riscontrò molto successo e fu anche bissata dal tenore Mario, era un’aria popolare che si cantava per le
strade di Roma. In molti la sera della “prima” riconobbero il ritornello che, nell’arco di pochi giorni, divenne
un motivo ben noto anche a Parigi, cantato e canticchiato nei salotti e nelle strade, tanto che se ne fece anche un’edizione staccata dallo spartito. Per i molti spunti “già sentiti” riciclati nel tanto atteso Don Pasquale, le
opere di Donizetti furono paragonate dalla critica a un
caleidoscopio, fatto di idee sempre uguali, che il musicista ogni volta scuoteva e ripresentava con una nuova
faccia e in una inedita combinazione di “ottica musicale”. E come le immagini nel caleidoscopio si vedono con
piacere, ma non restano impresse nella memoria se non
per i colori, così le musiche del Don Pasquale avrebbero
attratto il pubblico per la vivacità ed il colore, senza però fornire un apporto originale.
e. ca.
Don Pasquale
14
Il
Giornale dei Grandi eventi
Il “potentissimo” primo Don Pasquale
Il librettista
Luigi Lablache, basso
preferito da Donizetti
Giovanni Ruffini,
un mazziniano
per Donizetti
I
l basso napoletano Luigi
Lablache fu il primo, magistrale cantante nel ruolo di
Don Pasquale e la sua interpretazione del “vecchiotto”
donizettiano al Théâtre Italien, il 3 gennaio 1843, trascinò
il pubblico nell’entusiasmo.
Figlio di un marsigliese emigrato a Napoli durante la Rivoluzione francese, Lablache
esordì nel 1812, ad appena 18
anni, come buffo al Teatro San
Carlino, nell’opera comica
L’Erede senza eredità di Silvestro Palma. A Roma debuttò
nel 1821 in La Capricciosa e il
soldato di Michele Carafa al
Teatro Apollo. Dal 1821 al
1828 passò alla compagnia
stabile della Scala, con la quale interpretò Don Basilio nel
Barbiere di Siviglia di Rossini,
Uberto nella Serva padrona di
Pergolesi e Claudio nell’Amleto di Mercadante. Nel 1827, a
Vienna, esordì nel repertorio
donizettiano con L’Ajo nell’imbarazzo e cantò la Messa da Requiem di Mozart per il funerale di Beethoven. Ma fu a Parigi che Lablache conobbe i suoi
veri trionfi: nel 1830 al Théâtre
Il basso Luigi Lablache, primo
Don Pasquale
des Italiens ottenne un successo strepitoso nel Matrimonio
segreto di Cimarosa, interpretando Geronimo.
Da allora la sua carriera si divise tra Parigi, Londra e Napoli interpretando sia ruoli
buffi, per i quali aveva una vis
comica insuperabile, sia ruoli
per basso nobile, come ad
esempio Oroveso nella Norma
di Bellini o Enrico VIII nell’Anna Bolena di Donizetti.
Fu uno dei cantanti prediletti
da Donizetti, che per lui ebbe
sempre una grande ammirazione. Per Lablache il maestro
bergamasco scrisse addirittura un’opera, l’Ugolino, che fu
messa in scena a Napoli e
compose in suo onore una
musica sul XXXIII canto della
Divina Commedia di Dante. Un
altro ruolo donizettiano di cui
Lablache fu interprete storico
fu il Dulcamara dell’Elisir
d’amore, al quale egli diede
una sua impronta che fece
scuola tra i successori.
In effetti, il nome di Luigi Lablache è passato alla storia della musica non solo per la potenza e il timbro della voce, ma
anche per le sue doti sceniche
e interpretative. Ancora oggi è
considerato il miglior basso
della prima metà dell’800, insieme a Filippo Galli, prediletto da Rossini. A lui Schubert
dedicò il Lieder n° 83.
Uomo sensibile, dal carattere
forte e onesto, era anche un
appassionato cultore di pittura e collezionista instancabile
di tabacchiere. Amava ricevere a casa sua, in famiglia, rallegrando le riunioni di amici
con il suo grande talento di
narratore.
a. ci.
Nella Casa Natale di Donizetti a Bergamo
Due Sale per Mayer e Donizetti
E
’stata inaugurata sabato 8
giugno presso
la Casa Natale di
Gaetano Donizetti a
Bergamo - attigua alla Sala Donizetti dove si tengono concerti ed incontri
sempre ad ingresso
libero - la Sala Mayr, dedicata al Maestro
del compositore di Borgo Canale autore
del Don Pasquale. Una linea del tempo
corredata d’immagini e ritratti racconta
la vita e l’opera del bavarese. E così allievo e maestro si trovano affiancati lungo un percorso storico-biografico, che offre un quadro complesso ed articolato
della storia musicale dei due in Bergamo
e nel mondo. L’allestimento mayriano si
arricchisce poi, in parte per intervento
della Fondazione Donizetti, in parte grazie alla liberalità della famiglia Mandelli
diretta discendente di Mayr, anche di
oggetti appartenuti al compositore tra i
quali ritratti inediti di Giovanni Simone
Mayr maturo e Donizetti giovane.
Durante la cerimonia
d’inaugurazione la
Fondazione Donizetti ha altresì presentato le nuove pubblicazioni mayriane: il terzo volume dell’Epistolario Mayr, a cura
di Piera Ravasio, che Paolo Fabbri, Direttore scientifico della Fondazione Donizetti indica come: «una delle iniziative di
maggior impegno e di più lungo respiro della Fondazione Donizetti», e il Quaderno
dedicato a Ginevra di Scozia, il titolo di
Mayr, che, assente da Bergamo da circa
200 anni, è tornato in scena al Teatro Donizetti domenica 16 giugno scorso, in
una coproduzione realizzata dal Bergamo Musica Festival, dalla Mayr Gesellschaft e dalla Bayerischer Rundfunk.
La Casa Natale di Donizetti è aperta il
sabato e la domenica dalle 10.00 alle
13.00 e dalle 15.00 alle 18.00 con ingresso
gratuito.
A
utore del Dottor Antonio e del Lorenzo
Benoni, Giovanni
Ruffini, genovese, nato nel
1807, era il quinto dei tredici figli di Bernardo e della
marchesa Eleonora Ciurlo.
Una famiglia dalla doppia
vocazione, artistica e libertaria. Il fratello Jacopo, martire nel 1833, aveva studiato
violino, Giovanni aveva
una bella voce e cantava romanze accompagnandosi
con la chitarra e con il pianoforte. Quanto agli ideali
risorgimentali, i Ruffini erano profondamente legati a
Mazzini: Giovanni e Agostino ne condivisero non solo gli ideali, ma anche l’esilio in Svizzera.
Nel 1841 Ruffini
si stabilì a Parigi
in cerca di un lavoro e conobbe
alcuni esponenti
della Giovine
Italia, fra i quali
Michele Accursi.
Fu Accursi a
presentargli Donizetti, che gli
affidò la stesura
del libretto del
Don Pasquale dal
Ser Marc’Antonio
di Anelli.
«Essendo a Parigi il maestro
Donizetti – scriveva Giovanni alla madre il 5 ottobre
1842 – e scrivendo un’opera
buffa, l’argomento del quale è già stato trattato, ha
provato il bisogno d’uno
scalpellino facitor di versi
per raffazzonare un libretto
antico, per tagliare, cambiare, aggiungere, impiastrare
e che so io. E quello scalpellino, per suggerimento di
Michele, son io, il tuo servo
Brighella… Or sai che cosa
lunga e fastidiosa sia quel
rivoltar panni vecchi, tanto
più quando si ha alle reni
una spada a doppio taglio:
Michele che non mi lascia
tregua e Donizetti che vorrebbe ch’io gli portassi pezzi da mettere in musica, non
tutti i giorni, come faccio,
ma tutte l’ore. (…) Del resto, io, poeta, capisci, son
sur un gran piede d’intimità
col Maestro, col quale ho
tutti i giorni consulte. È
buona e brava persona, senza pretese, così alla buona…».
Ruffini iniziò la versificazione del libretto ai primi di
ottobre del 1842 e la concluse il 7 novembre.
Il 3 gennaio successivo, il
debutto al Théâtre des Italiens di Parigi: «Cara mia –
commentò il poeta alla madre il giorno dopo – abbiamo (vedi quanta vanità in
quell’abbiamo) avuto un
succes fou. Cominciando dall’Ouverture, tutti e singoli i
pezzi applauditi, alcuni con
fanatismo; un finale e due
duetti bissés; fatto uscir fuori
Donizetti per ben due volte,
alla barba degli oppositori
che, schiacciati dall’applauso generale, nemmeno osarono dar cenno di disapprovazione, ma si contentarono
di rodersi in silenzio. Anche
l’insieme del libretto, varie
situazioni, almeno, aiutavano all’effetto. Vari conoscenti miei francesi me ne fecero
complimenti: fra gli altri,
due giornalisti. Ma non credere che mi monti il fumo al
naso per questo; so meglio
d’ogni altro dove pecca il
mio lavoro; non è e non poteva essere maturato. Però
son contentone del successo
poiché, nel caso contrario,
non sarebbe mancato chi dicesse – e forse primo il Maestro – che la colpa era del libretto…».
Ro. Io.
Il
Dal mondo della musica
Giornale dei Grandi eventi
15
Al Festival di Città di Castello dal 27 agosto al 7 settembre
Eccellenze musicali europee
nel cuore della verde Umbria
P
rotagonista sarà quest’anno
l’Europa intera e non un singolo Paese, al Festival delle
Nazioni di Città di Castello, nato
nel 1968 per presentare, con concerti ed eventi, il meglio della produzione musicale del Vecchio Continente. L’appuntamento nella cittadina umbra per la 46° edizione è
quest’anno dal 27 agosto al 7 settembre. Si vuole così dare un contributo al rilancio di un’idea di Europa come entità politica e culturale unitaria, cercando di riflettere su
quegli intrecci artistici che hanno
contribuito a formare, insieme alle
radici filosofiche e religiose,
un’identità condivisa e legante di
Paesi crogiuoli di culture così diverse. E proprio la musica, linguaggio universale per eccellenza, ha
costituito nei secoli passati un substrato comune. Questo accadeva fin
dal Cinquecento: un pioniere fu
Orlando di Lasso, musicista fiammingo, italiano di formazione e tedesco d’adozione, il quale, scrivendo in diverse lingue, affrontò i generi musicali più diversi, riproposti
il 28 agosto con una selezione del
suo repertorio profano dal gruppo
vocale Odhecaton, diretto da Paolo
Da Colcon. Il Croatian Baroque Ensemble, il 30 agosto, farà luce su
Il gruppo vocale Odhecaton, protagonista del concerto del prossimo 28 agosto
quei profondi intrecci culturali e
musicali di Seicento e nel Settecento che scaturivano della consuetudine diffusa tra i musicisti di viaggiare e trascorrere lunghi periodi in
Paesi stranieri. Dall’ascolto risulterà evidente l’importanza della musica italiana nel Settecento, con
l’impronta di Vivaldi e Albinoni
sulla musica di Bach. Mentre il controtenore Paolo Lopez ripercorrerà
il repertorio del leggendario Farinelli, il castrato dalla voce che incantò le corti di tutta Europa. A
proposito di Bach: il 3 settembre,
uno dei suoi massimi interpreti,
Mario Brunello, eseguirà le Suite
per violoncello e brani del 51enne
Giovanni Sollima, autore tra i più
interessanti della sua generazione.
Brahms e Schubert saranno, invece,
protagonisti il 29 agosto con il pianista irlandese Barry Douglas.
la musica del ‘900
Ma ampio spazio verrà dato alla
musica del Novecento e alla contemporaneità. L’1 settembre Michael Nyman sarà a Città di Castello con la sua band per presentare
in prima italiana una sua nuova
produzione. Nyman, compositore
e pianista inglese 69enne, è uno dei
padri del minimalismo, quell’approccio stilistico che ha influenzato
generazioni importanti di nuovi
musicisti europei. Nel decennale
della morte non poteva mancare
un appuntamento con la musica di
Luciano Berio. Il 31 agosto protagonista sarà Nextime Ensemble,
gruppo tra l’altro incaricato di una
retrospettiva su Berio alla Biennale
di Venezia. Un confronto tra la prima e la seconda scuola di Vienna,
da Mozart a quel Webern che nel
1925 adottò definitivamente la dodecafonia subito dopo che essa fu
teorizzata dal suo maestro Arnold
Schönberg, sarà presentato il 4
settembre dal un’altra presenza di
prestigio, quella del Quartetto
Emerson. E non mancheranno gli
omaggi ai due “festeggiati” del
2013: Wagner e Verdi. Il 27 agosto,
giornata inaugurale, i Cameristi
della Scala affiancati da Gabriele
Lavia presenteranno un’allegra
fantasia dalle opere verdiane; il 2
settembre con Riccardo Risaliti interpreterà le parafrasi verdiane di
Liszt, ed il 7 settembre, nella giornata di chiusura, l’Orchestra della
Toscana diretta dal tedesco Jonas
Alber guarderà al repertorio tedesco con Wagner e Beethoven.
Il programma è disponibile sul sito
www.festivalnazioni.com
Maria Rosaria corchia
Filatelia musicale
Verdi e Wagner dall’Ordine di Malta
e quell’ufficio esclusivo nel cuore di Roma
D
opo l’emissione
del Principato di
Monaco di cui abbiamo parlato nel numero
del Rienzi, i bicentenari
della nascita di Giuseppe
Verdi e Richard Wagner
sono stati ora celebrati anche dal Sovrano Militare
Ordine di Malta, mentre
il Vaticano lo farà dopo
l’estate. Le poste magistrali, infatti, il 7 giugno
scorso hanno emesso due
francobolli distinti (e non
una serie di due valori)
da 1,90 euro dedicati appunto a Verdi ed a Wagner, contrassegnati rispettivamente come 447°
e 448° emissione del servizio postale della Croce
Ottagona. I due dentelli
riportano per Verdi il fa-
moso ritratto opera di
Giovanni Boldini custodito nella Casa di Riposo
per Musicisti “Giuseppe
Verdi” di Milano, mentre
per Wagner è stato scelto
l’effettivamente non bellissimo ritratto di P.A. Renoir del Musée Orsay di
Parigi. I francobolli, rac-
chiusi in minifogli di 12
francobolli sono stati
stampati in 10 mila esemplari. Ricordiamo che il
Sovrano Militare Ordine
di Malta dal 4 novembre
2004 ha stipulato una
convenzione postale con
l’Italia la quale «riconosce
piena validità ai francobolli
emessi dal S.M.O.M. utilizzati per l’affrancatura di
corrispondenza impostata
all’interno delle sedi di Via
Condotti 68 (in realtà l’ingresso dell’ufficio postale
è in via Bocca di Leone
68, n.d.r.) e di Piazza dei
Cavalieri di Malta 4 in Roma dove l’Ordine esercitale
sue prerogative sovrane e
diretta a località del territorio italiano e di quegli Stati
con i quali l’Ordine ha con-
cluso o concluderà accordi
posali».
Dal gennaio 2005 lo
S.M.O.M. ha, dunque, abbandonato la propria valuta interna di Grani, Tarì
e Scudi d’ispirazione anglosassone, per esprimere i valori in Euro, adottando le medesime tariffe
postali dell’Italia, come
fece pure il Vaticano dopo il Concordato del
1929. Per questo l’ufficio
di via Bocca di Leone,
aperto al pubblico la mattina, senza le formalità di
quello
dell’Aventino
(Piazza dei Cavalieri di
Malta) che, di fatto, è uno
sportello interno, svolge
un servizio postale al pari delle poste vaticane,
godendo di una diretta
partenza della corrispondenza verso il centro smistamento di Roma Fiumicino e dunque di un inoltro più rapido rispetto ai
normali uffici postali.
Quindi il prestigio dell’Istituzione e l’eleganza
dei francobolli, sempre
molto curati artisticamente e nella stampa, aggiungono sicuramente un
qualcosa in più a quella
lettera che ci deve rappresentare presso il destinatario.
andrea Marini
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