Congresso internazionale di musica sacra Manifestazioni celebrative

Pontificio Istituto di Musica Sacra
centenario di fondazione
MCMXI
MMXI
Congresso internazionale di musica sacra
Manifestazioni celebrative
Roma, 26 maggio - 1 giugno 2011
a cura di
Francesco Luisi
Settimana celebrativa del Centenario di fondazione
del Pontificio Istituto di Musica Sacra
Roma, 26 maggio - 1 giugno 2011
presidente
mons. Valentino Miserachs Grau
responsabile scientifico
Francesco Luisi
comitato promotore
Nino Albarosa, Marialuisa Balza, p. Salvatore Barbagallo, mons. Renzo Cilia, Marco Cimagalli,
Federico Del Sordo, d. Theo Flury o.s.b, Francesco Luisi, Michele Manganelli,
Cesare Marinacci, Walter Marzilli, mons. Valentino Miserachs Grau, Giancarlo Parodi,
Silvano Presciuttini, Mauro Pisini, Antonio Sardi de Letto, Nicola Tangari, Claudio Trovajoli
organizzazione
Francesco Luisi, Antonio Addamiano
***
congresso internazionale di musica sacra
Comitato scientifico
Franco Alberto Gallo, Giuseppina La Face Bianconi, Francesco Luisi, Raffaele Pozzi
Segreteria
Antonio Addamiano, Maria Luisi
Coordinamento organizzativo
Antonio Addamiano, Giuseppe Moretti, Andrea Pelliccioni, Dominik Swiatek
Accoglienza
Anna Coculo, Maria Gabriella Felician, Serena Lauri, Patrizia Mocavini
Si ringraziano:
Generalitat de Catalunya
Sen. H.C. Dr. Hans Albert Courtial (Fondazione Pro Musica e Arte Sacra),
Dott. Ing. Wolfgang Dieter Schrempp (Daimler Chrysler Italia),
Bonaventura Bajet (Fundació Jaume Callís-Barcelona),
Josep Vilaseca (Fundació Joviat-Manresa),
Dott. Flavio Forte, Dott. Walter Pecorella, Luigi Severa
***
Ubicazione delle sedi indicate:
Sala Accademica – Piazza S. Agostino 20/A
Sede didattica – Via di Torre Rossa, 21
Chiesa di San Carlo ai Catinari (Santi Biagio e Carlo) – Piazza Cairoli, 117
Basilica di Sant’Apollinare – Piazza S. Apollinare
Basilica di Santa Maria Maggiore – Piazza di Santa Maria Maggiore
PROGRAMMA
giovedì
10,30
11,00
11,30
13,00
26 maggio – sala accademica
Saluto delle Autorità
Mons. Valentino Miserachs Grau - Preside del PIMS, Prolusione
Francesco Luisi - Responsabile scientifico del Congresso, Introduzione ai lavori
Pausa pranzo
Congresso I sessione - Chairman Francesco Luisi (Università di Parma-PIMS)
14,30
14,55
15,20
15,45
16,10
Nino Albarosa, Aspetti di Dom Engène Cardine
Màrius Bernadó, Dal canto piano al canto gregoriano: una storia editoriale della
restaurazione gregoriana in Spagna
Juan-José Carreras, La formazione di un musicologo: Higinio Anglès (1912-1922)
Siegfried Gmeinwieser, Joseph Haas (1879-1960) e il Pontificio Istituto di Musica
Sacra di Roma
Andrea Bombi, Riforma, cultura e propaganda nel “Boletín de la Asociación Ceciliana
Española”
16,35
Pausa caffè
17,00
17,25
Franz Karl Prassl, Teologia liturgica e canto gregoriano
Giovanni Conti, “Et super hanc petram…”. Il canto gregoriano prima pietra della
paideia del PIMS
Angelo Rusconi, Il contributo dei teorici medioevali alla storia e alla prassi del canto
liturgico: alcune riflessioni
Michael Klaper, Testimonianze contemporanee e riflessioni sulla ‘composizione’ di
nuovi canti liturgici nel Medio Evo
Heinrich Rumphorst, Il trattamento dei testi della Sacra Scrittura da parte dei
compositori del canto gregoriano come espressione dell’interpretazione
17,50
18,15
18,40
venerdì
9,30
10.30
27 maggio – sala accademica
Conferenza di Dom Philippe Dupont o.s.b., Abate di Solesmes
Pausa caffè
Congresso II sessione - Chairman Juan-José Carreras (Universidad de Saragoza)
11,00
11,25
11,50
12,15
12,40
13.05
Cesarino Ruini, Mutamenti politici e trasformazioni della scrittura musicale:
esperienze e proposte tra paleografia e storia
Mauro Casadei Turroni Monti, La notazione adiastematica pomposiano-ravennate e le
contaminazioni in area bolognese
Giampaolo Mele, Il “corpus” degli antifonari arborensi francescani (ACO, P. III-VIII,
Italia Centrale, sec. XIII4/4)
James Borders, Chants in Manuscripts of the Three Medieval Recensions of the
Pontificale Romanum
Nicola Tangari, Particolarità liturgico-musicali di un graduale di Santa Maria
Maggiore a Roma
Pausa pranzo
Congresso III sessione - Chairman Giovanni Conti (Scuola Universitaria di Musica Svizzera Italiana)
15.00
Marcel Pérès, Il canto romano antico. Nuovi orizzonti per la comprensione del canto
–3–
16,15
gregoriano e dei repertori delle Chiese Orientali
Barbara Haggh-Huglo, Late Medieval Vespers and Mass in the Modern Church?: Two
Case Studies
Luisa Nardini, Il repertorio delle prosule per il Proprio della Messa nei manoscritti
beneventani
David Hiley, Gregorian Chant in Regensburg 811-2011
16,40
Pausa caffè
17,00
17,25
Michel Huglo, Remarques sur la Sémiologie grégorienne de Dom Eugène Cardine
Johannes Berchmans Göschl, La questione della restituzione melodica documentata
nel Graduale Novum 2011
15.25
15.50
18.00
Presentazione del Graduale Novum 2011, a cura di Johannes Berchmans Göschl
venerdì
19,00
sabato
27 maggio – basilica di sant’apollinare
Concerto di canto gregoriano dell’Ottetto vocale di Oslo
Direttore Alexander Schweitzer
28 maggio – sala accademica
Tavola rotonda coordinata da Franco Alberto Gallo (Università di Bologna)
La musica nella comunicazione religiosa: testi e immagini
9,30
9,55
10,20
10,45
Franco Alberto Gallo, Presentazione
Paola Dessì, Musica nell’attività missionaria di Matteo Ricci. I doni sonori per
l’imperatore Wanli
Donatella Restani, “L’altra musica dei paesi stranieri alla Cina”: prime ricerche sui
testi del gesuita Giulio Aleni (1582-1649)
Lionel Li-Xing Hong, Catholic Music in Seventeenth and Eighteenth Century China:
A Study from a Liturgical Perspective
11,10
Pausa caffè
11,25
11,50
Daniela Castaldo, Le rappresentazioni della danza di Miriam (Esodo 15:20-21)
Nicoletta Guidobaldi, La muta eloquenza dei suoni dipinti: prime indagini sulla
raffigurazione di musiche sacre e devozionali nell’iconografia del Cinque e Seicento
Eliana Teresita Cabrera Silvera, Sonido y silencio en la conquista espiritual de la
América Latina del siglo XVII
Jann Pasler, Sacred Music in the African missions: Gregorian Chant, Cantiques, and
Indigenous Musical Expression
12,15 12,40
13.05
Pausa pranzo
Congresso IV sessione - Chairman Giulio Cattin (Università di Padova)
15,00
15,25
15,50
16,15
16,40
Paolo Emilio Carapezza, Sicilo, discepolo di Paolo?
Agostino Ziino, San Vitaliano papa e la musica
Thomas Schmidt-Beste, 24 cantori, un solo libro: la “mise en page” nei libri musicali
del Fondo Cappella Sistina
Klaus Pietschmann, Polifonia liturgica e simbologia politica nell’Italia
Rinascimentale
Marco Gozzi, Le sequenze nei Codici musicali trentini del Quattrocento e il loro
rapporto con il canto piano
–4–
17.30
Solenne Atto accademico
Saluto augurale del Preside, M° Mons. Valentino Miserachs
Allocuzione di Sua Eminenza il Signor Cardinale Zenon Grocholewski, Prefetto
della Congregazione per l’Educazione Cattolica e Gran Cancelliere del pims, per il
Conferimento dei Dottorati Honoris Causa in Musica Sacra ai maestri
Diego Fasolis
Arvo Pärt
Luigi Ferdinando Tagliavini
Lezione-concerto sul grande organo Mascioni
Organo e liturgia - I “Fiori musicali” di Girolamo Frescobaldi
Organista Luigi Ferdinando Tagliavini
19.00
domenica
15.00
Seminario di Diego Fasolis con la partecipazione del Coro della RSI
Nuovi orizzonti dell’interpretazione polifonica
17.00
Presentazione della Nuova Edizione Nazionale delle Opere di Giovanni Pierluigi da
Palestrina e della registrazione realizzata dal Coro della RSI
Relatori: Giuseppe Clericetti, Maurizio Fallace, Francesco Luisi, Giancarlo Rostirolla
domenica
19,00
lunedì
29 maggio – sala accademica
29 maggio – chiesa di san carlo ai catinari
Santa Messa presieduta da Sua Em.za il Signor Cardinale Zenon Grocholewski
Durante la Celebrazione il Coro della Radiotelevisione Svizzera Italiana
eseguirà la Missa Papæ Marcelli di Giovanni Pierluigi da Palestrina
Direttore Diego Fasolis
30 maggio – sede didattica - Sessioni parallele
Congresso V sessione - Sala A - Chairman Giancarlo Rostirolla (Università di Chieti)
9,30
9,55
10,45
William F. Prizer, Court Piety, Popular Piety: the Lauda in Renaissance Mantua
Frank D’Accone, Liturgy, polyphony and tradition: Bishop Antonio Altoviti’s entrance
into Florence in 1567
Paolo Cecchi, “Advocata nostra”: aspetti letterari, dottrinali e religioso-antropologici
dei canzonieri madrigalistici mariani del XVI secolo
Michael K. Phelps, Guillaume Du Fay’s Supremum est
11,10
Pausa caffè
11,25
Saverio Franchi, Idealità cattoliche e culturali nelle istituzioni musicali romane della
Compagnia di Gesù (xvi-xvii secolo)
Arnaldo Morelli, «Con musica eccellentissima di cose pie». Salve, litanie ed altre
devozioni: pratiche religiose e patronage a Roma in età moderna
Franco Piperno, Giulio Della Rovere e la rete di relazioni musicali fra Loreto, Urbino
e Ravenna
Iain Fenlon, Roman Music in Renaissance Iberia: Exchange, Transmission, Reception
10,20
11,50
12,15
12,40
Congresso VI sessione - Sala B - Chairman Agostino Ziino (Università di Roma “Tor Vergata”)
9,30
9,55
Camilla Cavicchi, Antonio Capello e le relazioni musicali fra gli Este e i pontefici nel
primo Cinquecento
Gioia Filocamo, “Non vedete che i Santi, le cui feste lasciandosi di celebrare, si
sdegnarebbeno et potrebbe avenire che ci facessero del male assai?” I santi nelle
laude polifoniche tra Quattro e Cinquecento
–5–
10,20
10,45
Cecilia Luzzi, Travestimenti spirituali del Petrarca e madrigale nell’età della
Controriforma
David Bryant – Elena Quaranta, Il ‘suono’ delle feste: pratiche compositive ed esecutive
della polifonia sacra nelle chiese minori tra tardo Medioevo e Rinascimento
11,10
Pausa caffè
11,25
Stefano Lorenzetti, De locis communibus musicalibus: strategie dell’inventio e arte
della memoria nella musica liturgica tra Cinque e Seicento
Fabrizio Bigotti, Aspetti stilistici della Schola romana nel Seicento: tradizione e
innovazione in Gregorio Allegri (1582-1652)
Rodolfo Baroncini, Gli Ospedali, la nuova pietas e la committenza musicale cittadinesca a
Venezia (1590-1620): i casi di Bartolomeo Bontempelli dal Calice e Camillo Rubini
Christine Jeanneret, La fabbrica del compositore. I manoscritti di Girolamo
Frescobaldi
11,50
12,15
12,40
13.05
Pausa pranzo
Congresso VII sessione - Sala A - Chairman Arnaldo Morelli (Università di L’Aquila)
15.00
15,25
15,50
16,15
16,40
Rodobaldo Tibaldi, Appunti per una storia del responsorio polifonico tra XV e XVI
secolo: diffusione e trasformazione di un genere
Pierre Bonniffet, La musique entre le Verbe et le silence.Claude Le Jeune. Dix Pseaumes
de David nouvellement composez à quatre parties en forme de motets (1564)
Jean-Pierre Whitfield, Les Pastorales sur la Naissance de Notre Seigneur Jésus
Christ (H. 483 et H. 483) et David & Jonathas (H. 490): de rares exemples en France
d’oratorio volgare
Berthold Over, “Sempre cantando”. Music in the Internal Mission in Sixteenth and
Seventeenth-Century Italy
Bianca Maria Brumana, Il dialogo di S. Francesco di Marcorelli ed altre musiche
dedicate al santo nel XVII secolo
17,05
Pausa caffè
17,30
17,55
18,20
18,45
Andrea Chegai, Strategie retoriche e drammatiche nell’oratorio metastasiano
Costantino Maeder, Alcune considerazioni sui primi oratori in Italia e in Inghilterra
Christian Speck, Policoralità nell’oratorio romano nel Seicento
Colleen Reardon, Liturgical Drama, Sacred Opera, and Oratorio in Siena, 16751710
Christoph Riedo, La festa del Corpus Domini nel Duomo di Milano durante il
Settecento
19,10
Congresso VIII sessione - Sala B - Chairman Patrizio Barbieri (Università di Lecce)
15,00
15,25
15,50
16,15
16,40
17,05
Philippe Canguilhem, Faux-bourdon e falsobordone: ancora sul problema delle origini
Ignazio Macchiarella, Falsobordoni ed altre pratiche polifoniche confraternali dei
nostri giorni
Luigi Collarile, “Ad uso della Cappella Ducale di Venetia”. Intorno a due inedite
composizioni sacre di Francesco Cavalli
Annarita Colturato, «Gaude felix Sabaudia, gaude tota Ecclesia»: la musica nelle
cerimonie religiose in presenza della corte (Torino, sec. XVIII)
Daniele V. Filippi, Carlo Borromeo e la musica. Un carteggio inedito con Victoria, e
altre sorprese
Pausa caffè
–6–
17,30
17,55
18,20
18,45
19,10
martedì
Federico Del Sordo, Il dibattito sui generi e l’alternatim per organo del XVII secolo.
Italia-Francia
John Caldwell, The English Pre-Reformation Organ Repertory
Giuseppe Clericetti, Prassi esecutiva e ‘santa’ tradizione negli scritti di Charles-Marie
Widor
Gabriele Giacomelli, Organi e simboli del potere a Firenze dalla repubblica al principato
Antonio Delfino, Repertori polifonici intavolati per tastiera: dai problemi testuali alla
loro esecuzione
31 maggio – sede didattica
Congresso IX sessione - Sala A - Chairman Lorenzo Bianconi (Università di Bologna)
9,00
9,25
9,50
10,15
10,40
Giancarlo Rostirolla, Istituzioni e protagonisti della vita musicale sacra a Roma
nell’anno della chiusura del Concilio di Trento
Noel O’Regan, Confraternity statutes in early modern Rome: what can they tell us
about musical practice?
Giovanni Salis, Scelte devozionali nelle musiche per la processione notturna con
misteri del Venerdì Santo dei Barnabiti (Milano 1587)
Dinko Fabris, Al servizio del sacro: una vera “Scuola napoletana” del Seicento
Pausa caffè
11,00 Marco Beghelli, L’organo all’opera
11,25
Marco Capra, “L’opera d’un eretico maiuscolo”: la Messa di Verdi e l’idea di musica
sacra nella seconda metà del XIX secolo
11,50
Paolo Russo, Solennità e teatralità nella Messa da Requiem in Sol minore di Giovanni
Simone Mayr
12,15
Pietro Zappalà, La musica sacra di Amilcare Ponchielli
12,40
Raffaele Pozzi, Le Orationes Christi e l’umanesimo religioso di Goffredo Petrassi
Congresso X sessione - Sala B - Chairman Wolfgang Witzenmann (DHI Roma)
9,25
9,50
10,15
10,40
11,00
11,25
11,50
12,15
12,40
13.05
Carlida Steffan, “...per i compositori di musica e per i predicatori...”. Testimonianze
ed osservazioni sul rapporto tra predicazione e composizioni paraliturgiche nel SeiSettecento
Abel Puig i Gisbert, Le funzioni musicali delle cappellanie Moretti, Sacchetti, Sonanti
e Soriano in Santa Maria Maggiore a Roma dalla loro fondazione al 1759
Alessio Ruffatti, La ricezione francese della musica di Giacomo Carissimi: riflessioni
a proposito dell’identità culturale francese
Pausa caffè
Teresa Gialdroni, Dal diletto alla devozione: il travestimento spirituale nella cantata
da camera fra XVII e XVIII secolo
Elisabetta Pasquini, «… In quell’aria più bassa di Roma…»: antefatti musicali di un
(presunto) incarico a padre Martini
Ala Botti Caselli, Le Passioni di Giuseppe Ottavio Pitoni: osservanza liturgica e stile
antico nel solco della tradizione post-conciliare
Ramón Saiz-Pardo Hurtado, Joseph Ratzinger: teologia liturgica della musica sacra
allo stato attuale
Daniele Sabaino, La definizione del concetto di ‘musica liturgica’ nel dibattito postconciliare
Pausa pranzo
–7–
Congresso XI sessione - Sala A - Chairman Marco Capra (Università di Parma)
15.00
Maria José de la Torre Molina, Celebrations for Heroes: Urban Music and Liturgy
during the Peninsular War, 1808-1814
Jürgen Maehder, La drammaturgia dei timbri nel Saint François d‘Assise di Olivier
Messiaen: rappresentazione e narratività
Susanna Pasticci, La presenza della fede nell’universo creativo di Igor Stravinskij
Francesc Bonastre, Francesc Tàpies (1898-1985): dal Motu Proprio alla Modernità
Marc Pepiol Martí, El compositor, constructor de Bellesa? Música sacra i llenguatges
d’avantguarda
15,25
15,50
16,15
16,40
Congresso XII sessione - Sala B - Chairman Massimo Privitera (Università di Palermo)
15,00
Carmela Bongiovanni, Un’impresa per la musica sacra a Genova: la cappella musicale
di Sant’Ambrogio nei secoli XVIII e XIX
Robert Kendrick, Beyond Loreto: Musical settings of “irregular” litanies after
Sanctissimus (1601)
Paolo Valerio, Giovanni Maria Sabino e la scuola musicale napoletana
Francesco Passadore, La cappella musicale di San Marco a Venezia tra XIX e XX
secolo
Mauro Pisini, È ancora attuale il rapporto fra musica sacra e latino?
15,25
15,50
16,15
16,40
17,05
martedì
21,00
Pausa caffè
31 maggio – basilica di santa maria maggiore
Concerto con musiche di Antonio Caldara (1670-1736)
Solisti e coro della RSI - “I Barocchisti”
Direttore Diego Fasolis
- Confitebor tibi Domine, Salmo 110 per soprano solo, coro e orchestra
- Gloria in Sib Maggiore per soli, doppio coro e doppia orchestra
(Trascrizione di Brian Pritchard)
In collaborazione e per gentile concessione del Dott. Otto Biba,
direttore dell’Archivio della Gesellschaft der Musikfreunde di Vienna
mercoledì
1 giugno - sede didattica
Tavola rotonda coordinata da Giuseppina La Face Bianconi (Università di Bologna)
La musica sacra: prospettive pedagogico-didattiche del PIMS
10,00
Giuseppina La Face Bianconi, Presentazione
Interventi di Paolo Cecchi, Maria Luisi, Raffaele Pozzi, Daniele Sabaino
11,40
Interventi di Federico Del Sordo, Walter Marzilli, Mauro Pisini, Silvano Presciuttini,
Nicola Tangari
11,20
Pausa caffè
Tavola rotonda coordinata da Raffaele Pozzi (Università di Roma Tre)
Musica e liturgia oggi. Il rito cattolico nel mondo globalizzato
15,00
16,20
16,40
Raffaele Pozzi, Introduzione
Interventi di Giovanni Filoramo, Enzo Pace, Giuseppe Lorizio, Salvatore Barbagallo,
Anthony Ruff
Pausa caffè
Interventi di Luigi Garbini, Eduardo Binna, Olivier Sarr, Lionel Li-Xing Hong,
Jeronimo Pereira Silva
–8–
Congresso Internazionale di Musica Sacra
Abstract
Nino Albarosa (Università di Udine – PIMS)
Aspetti di Dom Eugène Cardine
La relazione si dedica ad aspetti del grande studioso e maestro, il gregorianista Dom Eugène
Cardine, professore per lunghi anni al Pontificio Istituto di Musica Sacra in Roma; luogo, grazie
a lui, divenuto teatro della più profonda rivoluzione circa la lettura e l’interpretazione dei neumi
a partire dal Medioevo. Si sofferma però non solo sul Maestro e sulla Scuola da lui fondata, ma
anche su aspetti meno conosciuti dei suoi atteggiamenti umani, e da ultimo sul suo “Testament”.
Rodolfo Baroncini (Conservatorio di Adria)
Gli Ospedali, la nuova pietas e la committenza musicale cittadinesca a Venezia (1590-1620): i
casi di Bartolomeo Bontempelli dal Calice e Camillo Rubini
Quantunque nella ricezione odierna la Storia musicale degli Ospedali veneziani sia collegata
prevalentemente alla prima metà del Settecento attraverso la luce corroborante di figure di
primissimo piano come Legrenzi, Vivaldi, Porpora e Hasse, il prestigio dei maestri e delle «putte
di coro» attivi in queste istituzioni era, come ben attestano fonti di varia natura, già elevato verso
la fine del Cinquecento. La vita musicale degli Ospedali fiorisce infatti sulla spinta della nuova
pietas controriformistica che orientando l’attività caritativa a vantaggio di alcune tra le fasce
più deboli della popolazione (orfani, ammalati e anziani privi sostegno), sostenne lo sviluppo e
l’ampliamento di questi fondamentali enti assistenziali.
È in questo contesto che per consolidare la propria immagine sociale, facoltosi esponenti del ceto
cittadinesco, già membri influenti delle Scuole Grandi, iniziano a spostare il loro interesse in
direzione degli Ospedali investendovi risorse sempre crescenti e favorendone l’attività musicale.
È il caso di Bartolomeo Bontempelli dal Calice e di Camillo di Donato Rubini, protettore il primo
di una svariata congerie di virtuosi e animatore il secondo di un ben avviato ridotto letterariomusicale, i quali svolsero, rispettivamente, un ruolo propulsivo nella storia musicale degli Ospedali
dei Mendicanti e dei Derelitti.
Scopo della relazione è di mostrare come, attivando una metodologia di ricerca attenta
all’esplorazione di fonti ‘alternative’, la storia musicale degli Ospedali dei secoli XVI e XVII,
possa, a dispetto della disarmante lacunosità della documentazione ufficiale, essere parzialmente
ricostruita.
Marco Beghelli (Università di Bologna)
L’organo all’opera
È noto che l’opera barocca abbia fatto uso di organi di piccole dimensioni come uno fra i tanti
strumenti preposti a incarnare il basso continuo. La pratica scompare nel corso del Settecento,
mentre l’organo diventa sempre più lo strumento sacro per eccellenza e pertanto eslcuso dalla pratica
teatrale, così come è esclusa la rappresentazione in scena di pratiche liturgiche e l’evocazione di
parole strettamente legate alla sfera del cristianesimo, vietate dalla censura.
Sarà il grand-opéra francese a recuperare l’organo in teatro, sollevando però una viva reazione in
Italia, nel momento in cui quegli stessi titoli approderanno nel nostro paese: da un lato i teatri italiani
sono sprovvisti di organi, dall’altro la censura impedisce di farli risuonare in teatro, specialmente
nello Stato Pontificio. I compositori inventano pertanto dei surrogati dell’organo, che hanno fortuna
–9–
anche come sonorità metaforiche alludenti alla sfera sacrale in senso ampio. Solo a fine Ottocento
l’organo è pienamente accolto in teatro, al punto da poter essere nuovamente impiegato anche come
strumento dell’orchestra, sganciato da allusioni religiose.
Màrius Bernadó (Universitat de Lleida)
Dal canto piano al canto gregoriano: una storia editoriale della restaurazione gregoriana in Spagna
Con questo contributo si vogliono apportare nuove informazioni sulla storia editoriale della
restaurazione gregoriana in Spagna alla fine del XIX secolo.
L’identificazione e l’analisi dei differenti prodotti editoriali dedicati all’insegnamento del canto
liturgico stampati in Spagna durante il XIX secolo ad uso dei seminari e delle congregazioni
religiose, apporta dati che rivelano un profondo cambio di mentalità che si verifica proprio in
quel momento ed, inoltre, l’importante rinnovamento che provocò negli usi musicali della musica
ecclesiastica.
Il transito dalla ricca produzione di trattati di canto piano caratteristici del XVIII secolo ai metodi
del canto gregoriano che rispondono pienamente alle aspettative della restaurazione propugnata
da Solesmes comportò alcune trasformazioni significative e non rimase esente da polemiche,
frequentemente affrontate negli stessi libri.
Occuparsi dei cambi nei contesti e sistemi di produzione materiale dei libri, così come le prese di
posizione —per quanto riguarda le implicazioni estetiche, ideologiche e tecniche— dichiarate in
modo reiterato nei titoli e prolegomeni, permette d’osservare i cambiamenti che, durante il secolo,
si producono in questo ambito.
Fabrizio Bigotti (Università di Roma “La Sapienza”)
Aspetti stilistici della Schola romana nel Seicento: tradizione e innovazione in Gregorio Allegri
(1582-1652)
Considerato autore unius operis, tra le figure di rilievo dell’ambiente musicale romano nella prima
metà del Seicento Gregorio Allegri è stato forse uno dei pochi a non aver beneficiato ancora di una
considerazione esauriente. Tuttavia, a dispetto della tutt’altro che vasta bibliografia dedicatagli,
Allegri può senza dubbio annoverarsi tra i protagonisti dell’estrema fase di ripensamento
dell’eredità palestriniana, nell’ambito di una produzione che, se ancora ha in Palestrina un modello
di riferimento, è però costantemente ripensata alla luce di una propria, personale concezione del
ritmo e della modalità-tonalità.
In Allegri si definisce quello che tenteremo di riassumere con il concetto di ‘stile’. Ad iniziare
da un’analisi storico-musicale tanto della produzione polifonica, inedita ed edita (sulla quale
ultima, peraltro, si è recentemente concentrata l’attenzione della musicologa tedesca Kerstin
Helfricht), quanto di quella – relativamente sconosciuta – strumentale e profana (tra cui deve
essere sicuramente ascritta la recente trascrizione da parte del relatore delle sonate appartenenti
alla Collectio Minor di Giovanni Angelo Altemps) emergono elementi utili a ricostruire non solo
l’ambiente, ma anche la destinazione e l’effettiva influenza esercitata dalle opere di Allegri nel
contesto musicale a lui coevo e posteriore.
Andrea Bombi (Universitat de València)
Riforma, cultura e propaganda nel “Boletín de la Asociación Ceciliana Española”
Il motu proprio “Tra le sollecitudini” di Pio X segna uno spartiacque nel movimento ceciliano
spagnolo, legato fino ad allora all’iniziativa di figura carismatiche, ma isolate, fra le quali
spicca Felipe Pedrell. L’entusiasmo per l’iniziativa del pontefice moltiplica le attività di riforma
liturgica, di diffusione del canto gregoriano riformato e di recupero della polifonia classica. I
– 10 –
quattro congressi di musica sacra –Valldolid 1907, Siviglia 1909, Barcellona 1912 e Vitoria 1928–
rappresentano altrettanti momenti di verifica e di coordinazione di questi tentativi.
E a Barcellona, nel 1912, fu fondata la Asociación Ceciliana Española, destinata precisamente a
mantenere nel tempo, con l’appoggio dell’istituzione ecclesiastica, queste funzioni. Presidente
dell’associazione fu proclamato Vicente Ripollés, discepolo di Pedrell e attivista ceciliano già
dagli ultimi decenni del secolo XIX. Fu lui a dirigere, tra crescenti difficoltà, quello che risultò
essere, di fatto, l’unico prodotto dell’ACE: il suo “Boletín”.
Oltre alle prevedibili informazioni per i soci e a notizie spicciole, il “Boletín” ospitó interventi
di tipo divulgativo -ivi comprese traduzioni dal francese e dal tedesco- su temi come il canto
popolare, la polifonia liturgica, la partecipazione dei fedeli alla liturgia, e inoltre informazione
bibliografica e musicale. È chiara insomma l’ambizione di farne qualcosa di più di un semplice
foglio informativo interno, certamente per perseguire da una parte la necessaria diffusione delle
idee riformatrici, dall’altra di proporre un ideale formativo che si percepiva come necessario
perché la riforma potesse compiersi in profondità.
Francesc Bonastre (Universitat autònoma de Barcelona)
Francesc Tàpies (1898-1985): dal Motu Proprio alla Modernità
La figura musicale di Francesc Tàpies si sviluppa in tre ambiti differenti e allo stesso tempo
coincidenti nella loro strutturazione: l’interpretazione, la composizione e la pedagogia
dell’apprendimento.
Nato a Oliana (nei pressi di La Seu d’Urgell) il 14 maggio 1898, si dedicò allo studio della musica
insieme a quello delle lettere classiche al Seminario di La Seu d’Urgell, sotto la direzione del
maestro di cappella della suddetta cattedrale, Enric Marfany, del quale fu un alunno di rilievo nelle
discipline musicali di base: pianoforte, organo, composizione e direzione.
Una delle sue prime composizioni, Tota pulchra es Maria, è datata 1915, ovvero risale all’epoca
in cui egli aveva 17 anni; tuttora conserva la stessa freschezza e lo stesso equilibrio delle sue
origini.
Nel febbraio 1920 ottenne il posto di maestro di cappella della cattedrale di Lugo (Galizia,
Spagna), per il quale dovette ottenere gli Ordini Minori al fine di poter ricoprire l’incarico. L’anno
successivo esordì con una messa polifonica in occasione della sua ordinazione sacerdotale;
l’interpretazione fu affidata alla Schola Cantorum del Seminario de La Seu d’Urgell, diretta dal
suo maestro e fondatore, Enric Marfany.
Dato il suo interesse nella specializzazione in musica liturgica, nel 1925 si trasferì a Roma, dove
nel giro di un anno studiò organo con Raffaele Manari, composizione con Licinio Refice e si
diplomò in canto gregoriano con il P. Paolo Ferreti, presso la Scuola Superiore di Musica Sacra
(successivamente, Pontificio Istituto de Musica Sacra).
Dopo un tentativo per il posto di organista a Reus (Tarragona), senza successo pur avendo superato
in punteggio tutti i candidati, il 20 maggio 1927 ottenne il posto di organista della cattedrale
Metropolitana e del Primate di Tarragona. Dopo un corso di interpretazione organistica con
Charles Tournemir a Parigi, torno all’antica Tarraco romana. Questa città divenne sua residenza
abituale; la sua dedizione alla musica prese forma tanto nel Seminario quanto nella cattedrale o
alla Scuola di Musica, della quale fu fondatore e membro emerito.
La sua attività compositiva abbraccia gli anni dal 1920 al 1985: sessantacinque anni di creazione
e interpretazione, che spaziano dall’impregnazione del Motu Proprio, esemplificato con mottetti
come Cor Jesu (ca. 1928) e opere dall’espressività inedita come Jesus, factus in agonia (ca.
1934). Dopo la pausa della guerra civile (1936-1939), Tàpies dà inizio a una nuova tappa di
maggiore complessità, con i seguenti oratori per solisti, cori e orchestre: Pontifical de Flames
(1959), dedicato al MDCC anniversario del martirio del primo vescovo cristiano di Tarragona;
Pablo, heraldo de Cristo (1963); Ramon Llull a Montserrat (1964), ancora inedito e Verge de
Misericòrdia, in onore della patrona di Reus.
– 11 –
Vale la pena sottolineare la sua posizione nei momenti di crisi degli anni sessanta e settanta:
Tàpies continua a comporre non solo musique savante ma anche altra musica, conservando la
bontà e dignità che ne caratterizzarono l’origine, a servizio della nuova ricerca di semplicità, mai
intesa come mancanza di qualità, del canto del popolo, nonché della salvaguardia del patrimonio
cristiano di tutti.
Carmela Bongiovanni (Conservatorio di Genova)
Un’impresa per la musica sacra a Genova: la cappella musicale di Sant’Ambrogio nei secoli
XVIII e XIX
Tra le più significative iniziative di finanziamento privato per la musica sacra a Genova nei secoli
passati fino alla prima parte del ‘900, la cappella musicale di Sant’Ambrogio presso la chiesa
omonima dei gesuiti di Genova, sorta ufficialmente nel 1619 grazie al lascito di un membro gesuita
del ramo primogenito della grande famiglia patrizia genovese dei Pallavini, è anche un modello
di gestione finanziaria impresariale attraverso i secoli, basata sull’impiego e la accorta gestione
dei beni della cappella musicale. Gli utili venivano impiegati nel finanziamento della musica
e in particolare dell’orchestra, costituita da musicisti fissi e avventizi, del maestro di cappella,
dell’organista (per diverso tempo maestro di cappella e organista furono cariche esercitate da
un unico professionista) e inoltre dei cantori. Venivano impiegati perlopiù musicisti locali ma
talora anche non genovesi: emblematici sono i casi del violinista e compositore lucchese Filippo
Manfredi e del genovese violinista Carlo Paganini, fratello del celeberrimo virtuoso Nicolò.
Grazie alla paziente esplorazione delle carte a tutt’oggi conservate nell’archivio privato Durazzo Giustiniani di Genova, è stato possibile - almeno per i due secoli indicati - delineare una straordinaria
vicenda di continuità nella produzione musicale sacra cittadina, aperta alla fruizione di tutti e di fatto
indipendente dalla gestione gesuita della stessa Chiesa di Sant’Ambrogio.
Pierre Bonniffet (CNRS)
La musique entre le Verbe et le silence.Claude Le Jeune. Dix Pseaumes de David nouvellement
composez à quatre parties en forme de motets (1564)
Proposition d’une approche historique de la composition d’une œuvre de polyphonie vocale en
France, à la fin du Concile de Trente.
Evolution humaniste et volonté personnelle dans le choix des paroles des psaumes en langue
vernaculaire. Evolution de la fonction réciproque des trois éléments du corps sonore vocal:
paroles, musique et chant: le rôle désormais primordial du syntagme.
Evolution d’une synthèse esthétique entre influences italiennes et françaises dans la scansion vocale
avec homophonie prépondérante et silences unanimes mesurés, comme mode d’expression.
Evolution de la réflexion spirituelle.
Peut-on considérer les Dix Pseaumes comme un corpus madrigalesque? Comme un manifeste
religieux? Ou plutôt comme une méditation musicale, où le croyant a une chance de percevoir,
par sa seule volonté et intenzionalità, le silence dans lequel s’épanouit la musique divine (J.
Gerson-M. Ficino- M. Scève)?
James Borders (University of Michigan, Ann Arbor)
Chants in Manuscripts of the Three Medieval Recensions of the Pontificale Romanum
Pontificals are liturgical books with rubrics, prayers, and chants for rituals over which only bishops
could legitimately preside. Pontifical services with significant musical contents include the dedication
of a church, the consecration of an altar, and the consecration of virgins, among others. Most notated
chants in pontificals are either antiphons or responsories and their verses. Most, but not all, of these
– 12 –
find concordances in other chantbooks, office antiphoners in particular. Pontificals may also contain
a few mass proper chants and processional antiphons.
While preparing a music edition of chants in the three recensions of what Michel Andrieu termed the
Pontifical Romain au moyen âge—that is, Roman Pontificals of the Twelfth Century, the thirteenthcentury Pontifical of the Roman Curia, and the late 13th-century Pontifical of William Durandus—I
have identified dozens of antiphons that vary considerably from one recension to the next, even
among sources of the same type and from the same region. In some cases, settings of the same or
similar texts differ fundamentally. In others, entire melodies were apparently transposed from one
pitch level or mode to another. In still others, melodies and texts seem to have been abbreviated,
expanded, or otherwise reworked. In sum, later medieval pontifical manuscripts of the types Andrieu
identified may transmit four or more versions of some chants, a situation without parallel in medieval
graduals and antiphoners except in cases of different chant dialects. This presentation will survey the
sources and chants of the three recensions, sample the variant melodies, and consider the reasons
for the differences.
Ala Botti Caselli (Conservatorio di Perugia)
Le Passioni di Giuseppe Ottavio Pitoni: osservanza liturgica e stile antico nel solco della
tradizione post-conciliare
Un antico modello di Passione liturgica, caratterizzato dall’alternanza tra il tono ecclesiastico
di lezione per la narrazione dell’evangelista e il contrappunto per le risposte delle turbae (ed
eventualmente per gli interventi diretti di Gesù e dei soliloquentes), si consolidò a Roma a partire
dalle Passioni ‘responsoriali’ di Tomás Luis de Victoria (1585). Osservante del dettato tridentino
e delle limitazioni imposte ai riti penitenziali, esso ebbe ampia e duratura diffusione nel corso
dei secoli XVII-XIX, come è attestato dai fondi musicali delle principali cappelle romane, alcuni
dei quali riemersi in tempi recenti. Si illustrano esempi di questa produzione, con particolare
riferimento al Ms. III-50 della Cappella Giulia che contiene un gruppo di composizioni a quattro
voci di Giuseppe Ottavio Pitoni espressamente destinato alla Settimana Santa. La fonte, in gran parte
autografa, è una preziosa testimonianza delle pratiche musicali che avevano luogo nella basilica di
San Pietro, nel tempo liturgico suddetto, all’epoca del magistero di Pitoni (1719-1743). Nelle due
Passioni autografe ivi contenute, secondo Matteo (Dominica in Palmis) e secondo Luca (Feria IV),
contrassegnate dalla sigla GOP e rispettivamente datate 27 marzo e 1 aprile 1730, il contrappunto
a cappella, prevalentemente omoritmico, riveste soltanto le risposte delle turbae, attenendosi al più
scarno modello tradizionale. I due lavori costituiscono l’unico apporto di Pitoni a noi pervenuto di
questo genere.
Biancamaria Brumana (Università di Perugia)
Il dialogo di S. Francesco di Marcorelli ed altre musiche dedicate al santo nel XVII secolo
Il dialogo di S. Francesco di Giovanni Francesco Marcorelli potrebbe essere stato scritto
dall’autore durante il suo magistero presso la cattedrale di S. Rufino ad Assisi tra il 1644 e il 1646.
Il piccolo oratorio in latino che comincia con le parole Phantasma noctis “mette in scena” il santo
a colloquio con Dio e tratta l’episodio della conversione, affidato al Canto I (S. Francesco) e al
poco più grave Canto II (Dio) che si uniscono in un duetto conclusivo.
L’analisi musicale del brano e delle sue fonti letterarie sarà preceduta da un approfondimento
della carriera del musicista di Spello (contemporaneo di Carissimi che alcuni anni prima lo aveva
preceduto nell’incarico assisiate) in varie cappelle dello Stato Pontificio prima di approdare
all’oratorio romano di S. Maria della Vallicella.
Al fine anche di collocare meglio il dialogo di Marcorelli nel contesto dell’epoca, la seconda parte
dell’intervento sarà dedicata ad una breve ricognizione delle musiche dedicate a S. Francesco nel
XVII secolo, dopo che, sull’onda della controriforma, la figura del santo e i suoi ideali di povertà
– 13 –
erano stati esaltati, fino alla istituzione della festa delle Stimmate del 1622 che sanciva Francesco
come alter Christus.
Tra le musiche in lingua latina (siano esse liturgiche o più genericamente devozionali) si ricordano
quelle di Gesualdo, Cifra, Anerio, Buonamente, Paci, Ugolini, Perconti, Rocchigiani, Mazzocchi.
Tra il 1605 e il 1618 ebbero una particolare fortuna i testi in italiano di Marino posti in musica da
Baccusi, Bonini, Bianciardi, Il Verso e Cifra. Mentre nel 1648 si segnala la pubblicazione di un
dialogo sulla vocazione del santo di Massucci e, sullo scorcio del secolo, i primi veri e propri oratori:
Le stimmate di S. Francesco di Pietro Andrea Ziani e un S. Francesco d’Assisi di Gio. Battista Doni
eseguito nella chiesa dei Minori Conventuali di Fossombrone per la festa del santo del 1690.
David Bryant – Elena Quaranta (Università Ca’ Foscari, Venezia)
Il ‘suono’ delle feste: pratiche compositive ed esecutive della polifonia sacra nelle chiese minori
tra tardo Medioevo e Rinascimento
La relazione verte sul rapporto tra stile compositivo, funzione (o possibili funzioni) e ‘suono’ alla
luce delle conoscenze attuali sugli usi e sulle pratiche della polifonia sacra nelle chiese parrocchiali
e monastiche in Italia tra tardo Medioevo e Rinascimento. Identificati i contesti più tipici per l’uso
della polifonia sacra nell’ambito delle feste principali di tali chiese, si apre la strada per una
più precisa definizione dei repertori usati e delle caratteristiche (compositive ed esecutive) che li
contraddistinguono. Si farà riferimento sia ai repertori della polifonia ‘d’arte’ che alle pratiche di
elaborazione, eventualmente improvvisata, su canto liturgico.
John Caldwell (Oxford University)
The English Pre-Reformation Organ repertory
During the first half of the sixteenth century a written repertory of liturgical organ music developed
in England. Its basis was almost invariably a plainchant melody, often treated with a great deal of
sophistication, and the compositions that resulted were intended to provide an instrumental substitute
for sections of chant, usually alternating with singing but sometimes replacing it entirely.
The repertory survives in a small number of sources, some of them contemporary with the period
of liturgical use, some of them from a later period. The present paper considers the contribution of
The Mulliner Book, a post-Reformation anthology that is nevertheless one of the most extensive
of all the sources of the repertory.
Philippe Canguilhem (Université de Toulouse)
Faux-bourdon e falsobordone: ancora sul problema delle origini
È un fatto ben conosciuto che la questione delle origini del faux-bourdon sia stata al centro di un
intenso dibattito storiografico tra alcune delle maggiori figure della musicologia dell’immediato
dopoguerra (Bukofzer, Besseler) e alcuni dei loro seguaci. La questione delle origini del
falsobordone, da un’altra parte, non è mai stata discussa fin da quando Murray Bradshaw l’ha
esposta nella sua tesi di dottorato, poi pubblicata nel 1972. Per Bradshaw e per tutti quelli che
ne hanno parlato dopo, il falsobordone è nato indipendentemente del faux-bourdon precedente,
e le due tradizioni sono dunque separate. Il mio intervento esaminerà questa interpretazione
problematica, in quanto tende a trasformare in generi compositivi distinti e nazionali quello che
non è altro che una prattica interpretativa orale condivisa da tutti i cantori di chiesa europei dal
Quattrocento fino all’Ottocento.
– 14 –
Marco Capra (Università di Parma)
“L’opera d’un eretico maiuscolo”: la Messa di Verdi e l’idea di musica sacra nella seconda metà
del XIX secolo
Nel 1874, quando Verdi diresse nella Chiesa di San Marco a Milano la sua Messa da Requiem in
memoria di Alessandro Manzoni, il principale e più celebrato autore italiano contemporaneo di
musica sacra era Gioachino Rossini, la cui fama poggiava soprattutto, anche se non esclusivamente,
sullo Stabat mater e sulla Petite messe solennelle. L’accoglienza e il credito riservati alla produzione
sacra dei due compositori – assai differenti, a dispetto della comune estrazione teatrale – consente
di gettare uno sguardo sull’dea di musica sacra venuta maturando in Italia nel corso del XIX
secolo, tra volontà di rinascita e riscoperta antiquaria e tendenza alla contaminazione.
Paolo Emilio Carapezza (Università di Palermo)
Sicilo, discepolo di Paolo?
Tra i più antichi monumenti con notazione melica scritta, la stele di Sícilo (I/II secolo d.C.) è certo
il più celebre. Scoperta tra i ruderi di Tralles, oggi Aydin (Turchia), vicinissima all’antica Efeso
(oggi Selçuk), fu pubblicata nel 1883: si conserva oggi nel Museo Nazionale di Copenaghen.
Sulla piccola colonna di marmo è incisa una breve canzone, in dimetri giambici, introdotta da un
distico elegiaco e seguita da un emistichio forse di dedica. Sopra ciascuna sillaba della canzone
sono segnati la nota su cui intonarla, il suo valore ritmico e la sua funzione coreutica.
La melodia (armonia frigia in tono ionico) è affascinante, indimenticabile. Tra i tanti compositori
moderni che l’hanno frequentata, spicca il nome di Aldo Clementi (Musica per il mito di Eco e
Narciso, 1992); Miklos Rozsa la fa storpiare da Peter Ustinov, che fa la parte di Nerone nel film
Quo vadis? (1951) di Melvin LeRoy; il chitarrista Dario Macaluso ne ha inciso su cd (Le corde di
Sicilo, 2004) le variazioni di quattordici compositori.
Assai ricche di senso, ma piuttosto enigmatiche, sia l’introduzione che la dedica, e ancor più
la canzone. Non è certo che l’emistichio finale sia una dedica; prima d’esser venduta nel 1966
al Museo di Copenaghen la pietra fu rifilata in basso: fu così amputata l’ultima sillaba, o le
ultime sillabe. Potrebbe quindi essere una firma: “Sicilo figlio di Euterpo”; o una dichiarazione
presuntuosa: “Sicilo vive bene”. E, se è una dedica: “Sicilo ad Euterpe: vivi!”; chi sono Sicilo
ed Euterpe? Erano entrambo in vita, quando la pietra fu incisa? Euterpe è la musa, o la fanciulla
amata? Sicilo è nome proprio, o generico (“il siciliano”)?
E qual è il senso di questa deliziosa canzonetta? Epicureo: “goditi la vita, finché dura, e non
pensare ad altro”? Ovvero stoico, anzi addirittura cristiano: “metti ben a frutto la tua vita, illumina
il prossimo tuo come te stesso”? Se è questo il suo senso, la canzone di Sicilo parafrasa un passo
della lettera di san Paolo ai Filippesi (Fil., 4, 4-7).
Paolo, nato a Tarso tra il 5 e il 10, si convertì sulla via da Gerusalemme a Damasco verso il
35; giunse a Roma nel 60/61 e vi fu decapitato tra il 64 e il 67. Sicilo potrebbe quindi averlo
ben conosciuto: a Efeso o a Mileto, a Siracusa o a Roma. La sua canzone dunque è forse la più
antica musica cristiana rimastaci: per la bellezza del melos e la pregnanza di senso merita di esser
integrata nella moderna liturgia.
Juan-José Carreras (Universidad de Saragoza)
La formazione di un musicologo: Higinio Anglès (1912-1922)
I dieci anni che vanno dalla sua ordinazione sacerdotale nel 1912 alla morte del suo mentore
musicale, Felipe Pedrell, furono decisivi per la formazione di Higinio Anglès. Sono tre gli
aspetti fondamentali di quel decennio: la restaurazione liturgica simboleggiata dal congresso di
Montserrat (1915), il movimento corale e il medievalismo. In tutti questi terreni svolse un ruolo
centrale il moderno nazionalismo catalano, rappresentato da personalità di spicco come Enric Prat
– 15 –
de la Riba. Nei primi articoli di Anglès per la rivista “Vida Cristiana”, oggi poco conosciuti, si
possono osservare questi molteplici interessi che rimasero sempre presenti nella sua lunga carriera
musicologica.
Mauro Casadei Turroni Monti (Università di Modena-Reggio Emilia)
La notazione adiastematica pomposiano-ravennate e le contaminazioni in area bolognese
L’argomento della relazione è di natura ancora sperimentale e riguarda l’affascinante prospettiva di
precisare una dotazione neumatica adiastematica ravennate (secc. XI-XII); si tratta di una famiglia
neumatica identificabile più propriamente entro un riferimento pomposiano-ravennate, con
testimoni di una grafia di transizione tra il ravennate e l’area bolognese, di cui parrebbe Bologna
(soprattutto con il cod. Angelica 123) l’approdo finale di una trasformazione partita da Ravenna.
Potremmo quindi essere di fronte ad un idioma la cui identità incarnava i caratteri della marcata
e trasversale influenza esercitata dalla Chiesa ravennate in quei secoli. Metodologicamente,
più che in altri casi tale questione potrà essere chiarita solo se alle informazioni paleograficosemiologiche si uniranno quelle sulla scrittura latina e soprattutto sulla ricostruzione del contesto
storico, politico-religioso e rituale-liturgico.
Camilla Cavicchi (CESR-Tours)
Antonio Capello e le relazioni musicali fra gli Este e i pontefici nel primo Cinquecento
Nel 1530 Antonio Capello fu assunto come cantore virtuoso nella cappella del duca di Ferrara
Alfonso I d’Este. Qualche anno dopo, nel marzo 1536, il nuovo duca Ercole II d’Este lo inviava
a Roma dove, piacendo a papa Paolo III, entrò nella Cappella Sistina. Il nome di questo cantore
è noto per una serie di lettere che egli stesso inviò al duca Ercole II d’Este e nelle quali allegava
le composizioni più recenti dei musicisti della Sistina: il mottetto, oggi perduto, di Costanzo
Festa sul motto Plus ultra, composto probabilmente per l’imperatore Carlo V; una messa, delle
lamentazioni e dei mottetti di Cristóbal de Morales; e ancora musiche di Bartolomeo Crotti e di
Bartolomé de Escobedo. Questo intervento intende, in primo luogo, restituire il profilo biografico
di Antonio Capello, dalle sue origini savoiarde, all’attività di contralto in San Marco a Venezia
e fino agli anni romani durante i quali operò come cantore secreto. Poi, prendendo spunto dalle
circostanze di queste lettere e con il supporto di altri documenti d’archivio, si cercherà di illustrare
le dinamiche degli scambi e delle relazioni musicali fra gli Este e i pontefici, alimentate, in alcuni
casi, da interessi politici e diplomatici.
Paolo Cecchi (Università di Bologna)
“Advocata nostra”: aspetti letterari, dottrinali e religioso-antropologici dei canzonieri
madrigalistici mariani del XVI secolo
Il contributo prenderà in esame una serie di libri di madrigali e di canzonette spirituali – composte
nel secondo Cinquecento da Giovanni Matteo Asola, Marc’ Antonio Mazzone, Filippo da Monte,
Giovanni Pierluigi da Palestrina ed Orfeo Vecchi - che costituiscono dei ridotti canzonieri poeticomusicali dedicati all’agiografia e alla glorificazione della Beata Vergine. Il contributo analizzerà
i testi musicati in dette raccolte - contestualizzandoli nell’ambito della coeva produzione lirica
d’argomento mariano, che ebbe un’importanza centrale nel petrarchismo devoto del secondo
Cinquecento - e mostrerà come tali canzonieri rappresentino una significativa manifestazione
artistica della rinnovata centralità dottrinale della figura di Maria inaugurata dalla Controriforma.
Verrà in special modo illustrato come le liriche intonate operino una riconversione devota degli
stilemi e dei topoi petrarcheschi relativi all’amore mondano, e come le musiche prese in esame si
inserissero in una costellazione di pratiche devozionali d’ambito privato, ‘domestico’, nelle quali
– 16 –
era fondamentale il ruolo protettivo e salvifico della Vergine , considerata “advocata” e tramite tra
il fedele e le immagini/essenze del Cristo e del Padre.
Andrea Chegai (Università di Siena)
Strategie retoriche e drammatiche nell’oratorio metastasiano
Le azioni sacre del Metastasio, eseguite ‘in prima’ fra Roma (Per la festività del Santo Natale,
1727) e Vienna (le restanti sette, fino al 1740), manifestano al pari dei drammi per musica un
pronto adattamento alle mutate condizioni ambientali. Ferme restando le prerogative del genere,
le azioni sacre metastasiane non si lasciano quindi inquadrare da un’unica visuale, ma mettono
in luce nella stesura poetica e drammatica molteplici convergenze coi generi confinanti, quali
serenata e festa teatrale, nonché col coevo dramma per musica. Ciò le rende meritevoli di una
lettura incrociata che tenga conto dei molteplici contenuti spirituali e delle specifiche tradizioni in
cui andarono a collocarsi.
Giuseppe Clericetti (Radiotelevisione Svizzera, Lugano)
Prassi esecutiva e ‘santa’ tradizione negli scritti di Charles-Marie Widor
Charles-Marie Widor fu intellettuale di prima grandezza, nella Francia a cavallo tra Otto e
Novecento: titolare, nella chiesa parigina di Saint-Sulpice, del più grande organo costruito da
Aristide Cavaillé-Coll, compositore, didatta, direttore d’orchestra, giornalista, saggista, nel 1914
fu nominato Segretario a vita dell’Institut de France. Widor non ci ha lasciato metodi o trattati di
esecuzione organistica: nondimeno la lettura dei suoi scritti, primo fra tutti il dettagliato apparato
introduttivo all’edizione dell’opera organistica di J.S. Bach, redatta a quattro mani con Albert
Schweitzer, ci rivela numerosi principi d’esecuzione - qui proposti ed esaminati - che chiariscono
il suo orizzonte esecutivo. Nei suoi scritti, inoltre, Widor pretende essere l’erede della ‘santa’
tradizione, trasmessagli da Jacques Lemmens e risalente addirittura a Bach: verrà quindi presentata
una disamina dell’argomento, affascinante e complesso. A un passo dalle ‘leggi d’esecuzione’
proclamate da Marcel Dupré, la posizione di Widor lascia ancora spazio a una visione eloquente
dell’evento musicale.
Luigi Collarile (Université de Fribourg)
“Ad uso della Cappella Ducale di Venetia”. Intorno a due inedite composizioni sacre di Francesco
Cavalli
Scopo di questo intervento è quello di presentare due inedite composizioni sacre di Francesco
Cavalli (1602-1676). La loro individuazione permette di riconsiderare l’attività del compositore in
ambito sacro, in particolare nella prospettiva del suo impegno in qualità di maestro della Cappella
Ducale di Venezia.
Annarita Colturato (Università di Torino)
«Gaude felix Sabaudia, gaude tota Ecclesia»: la musica nelle cerimonie religiose in presenza
della corte (Torino, sec. XVIII)
All’alba del Settecento la vita musicale torinese ruotava principalmente attorno a due istituzioni:
la Cappella metropolitana e la Regia Cappella. Pur facendo capo l’una all’autorità ecclesiastica e
l’altra alla casa regnante, e dunque mantenendo nel tempo una totale indipendenza amministrativa,
si trattò di istituzioni contraddistinte da una spiccata contiguità (e permeabilità), come contigui (e
permeabili) erano – in Duomo e a Palazzo Reale – gli spazi destinati alle funzioni religiose che
prevedevano l’impiego dei loro membri.
– 17 –
Sulla scorta dei documenti d’archivio, dei cerimoniali di corte, delle fonti musicali e delle
testimonianze dei contemporanei, il contributo illustrerà organici, repertorio e modalità esecutive
del corredo musicale prescritto per le cerimonie religiose in presenza della corte, cerimonie alla
cui solennizzazione contribuivano – in Duomo come a Palazzo Reale – i musicisti stipendiati dal
sovrano (per dirla con Rousseau, la «meilleure symphonie de l’Europe»).
Giovanni Conti (Scuola Universitaria di Musica della Svizzera Italiana)
”Et super hanc petram…”. Il canto gregoriano prima pietra della paideia del PIMS
La sacra monodia, propria della liturgia romana, ha costituito il fermo riferimento e il punto
di partenza di una serie numerosissima di considerazioni - scientifiche, musicali e liturgiche
- che hanno animato il dibattito dal quale è scaturita la presa di coscienza dell’urgenza che la
Chiesa si dotasse di una ‘Scuola superiore di musica sacra’. Un passo necessario in direzione del
riconoscimento della professionalità di maestri di cappella e organisti al pari di altri ‘operatori’ in
ambito rituale e liturgico, e chiara guida circa il modus operandi alla luce degli insegnamenti del
Magistero. In tutto questo e per ciascuno dei protagonisti, il Canto gregoriano ha costituito fonte
ispiratrice e non solo in termini affettivi, divenendo vera pietra di paragone per saggiare la ‘bontà’
della musica sacra di nuova composizione.
Frank A. D’Accone (University of California, Los Angeles)
Liturgy, polyphony and tradition: Bishop Antonio Altoviti’s entrance into Florence in 1567
Bishop Antonio Altoviti’s formal entrance into Florence on 15 May 1567 furnished the occasion
for reenactment of religious and civic ceremonies traditionally rooted within the liturgies of the
Church and rites unique to Florence. An eyewitness account by an anonymous narrator allows us
to trace in some detail the day’s events, from the bishop’s reception at city gates in the morning
to the celebratory dinner in the Episcopal palace at day’s end. The principal ceremony, at the
high altar of the Cathedral of Santa Maria del Fiore, followed closely the “Ordo ad recipiendum
processionaliter Prelatum vel Legatum” as found in the Pontificalis Liber. The Ordo addresses
precisely the antiphons, responsories, verses and prayers to be sung by the bishop and the ranking
cleric of the church, though it leaves choice of texts and music of other “antiphons, responsories
or hymns” to the pleasure of the singers. Implied is the possibility that polyphony, were it within
the singers’ capabilities, would also be acceptable. The anonymous narrator leaves no doubt that
polyphony, performed by the singers of the Florentine chapel, was the order of the day, and he is
quick to mention that it was “Francesco Corteccia, the master of the chapel, who composed with
great skill the antiphon Sacerdos et pontifex” with which the bishop was greeted at city gates.
The bishop would hear other “beautiful and splendid Latin songs” as he was escorted in procession by
city trumpeters, first to the convent church of San Pier Maggiore, where rites almost unique to Florence
were performed, and then to the street shrine of San Zanobi, the 3rd-century Florentine bishop who had
miraculously resuscitated a youth from the dead. After the Cathedral ceremony, in which the singers
performed polyphony as well as chant, the bishop, again accompanied by the “splendid songs” of the
chapel, made his way across the piazza to his church, the Baptistry of San Giovanni, for celebration of
Mass. His final destination was the Episcopal palace, where he prayed in the chapel of San Jacopo and
presided over other traditional rites, before attending an evening dinner. During dinner “the singers
performed very elegant songs in Latin and in Italian in praise of his arrival and these were received
with great pleasure.” An examination of musical forces on hand, what they performed, and what we
know of their repertories form the basis of this report. These findings are examined within the context
of a study that also explores the continuity of liturgical traditions within the Florentine church and the
Cathedral sources from which chapel singers drew the music they performed throughout the day.
– 18 –
Federico Del Sordo (Conservatorio di Roma - PIMS)
Il dibattito sui generi e l’alternatim per organo del XVII secolo. Italia-Francia
Una rilevante quantità di testimoni documenta il dibattito sui generi musicali che è in atto a partire
dalla prima metà del XVII secolo in Europa (particolarmente in Italia, Germania e Polonia).
L’intervento intende mettere in luce come le forme organistiche dell’epoca (con particolare accento
su quelle destinate alla prassi dell’alternatim) rispecchino quanto formalizzato in sede teorica e
quanto esse possano essere immagine dell’osmosi dei generi secolari all’interno della musica
liturgica. Il mutamento dei codici di elaborazione del cantus planus appare evidente nell’acquisizione
dello stilus phantasticus all’interno dei versetti della scuola organistica italiana, mentre in Francia,
dove già le forme della suite sono ben radicate appena dopo la promulgazione del Cæremoniale
parisiensis (1662), si svolge un raffinato percorso che si snoda attraverso le “interpretazioni” delle
registrazioni e l’introduzione di nuove nuances armoniche.
Antonio Delfino (Università di Pavia)
Repertori polifonici intavolati per tastiera: dai problemi testuali alla loro esecuzione.
La significativa presenza di musica vocale sacra e profana che si registra nelle intavolature per
tastiera manoscritte e a stampa ancora in pieno XVII secolo impone uno stretto confronto tra
queste forme di scrittura e la parallela notazione mensurale dello stesso repertorio. Il passaggio
da un sistema notazionale all’altro, oltre a prevedere tutta una serie di atteggiamenti differenti
che vanno dalla semplice trascrizione del dettato polifonico fino a elaborate versioni ornamentali,
interessa tanto aspetti strutturali (l’organico e la conduzione delle voci) quanto elementi
fondamentali del discorso armonico (alterazioni e musica ficta). Attraverso alcune verifiche su
passi scelti dalle intavolature del tardo Cinquecento e del primo Seicento si vuole proporre in
particolare una rilettura dei complessi rapporti tra polifonia sacra e prassi organistica, tra la pratica
dell’accompagnamento e l’esecuzione solistica.
Dinko Fabris (Conservatorio di Bari)
Al servizio del sacro: una vera“Scuola napoletana” del Seicento
Il concetto di “scuola napoletana”, abusato per due secoli dalla storiografia autoctona, fu messo
in discussione nell’ultimo mezzo secolo dalla nuova musicologia internazionale con giustificate
motivazioni. Eppure una “scuola napoletana” è davvero esistita, se si vuole intendere per “scuola”
un sistema organizzato di trasmissione di regole e stilemi caratteristici di una città, un territorio o una
tradizione musicale. Questo sistema è evidente nel campo sacro, dove una serie ininterrotta di grandi
maestri ed allievi ha dato vita appunto ad una tradizione peculiare durante l’intera epoca spagnola,
ma particolarmente nel Seicento, che porterà alla grande stagione settecentesca di Pergolesi, Leo,
Durante e così via. Peraltro fu Napoli ad inventare, proprio all’interno di questo sistema, una nuova
struttura didattica destinata a divenire il modello universale della musica europea: i conservatori di
musica, i cui allievi furono impiegati per due secoli principalmente per le innumerevoli funzioni
sacre di una metropoli che contava a fine Seicento oltre cinquecento luoghi di culto.
Iain Fenlon (King’s College, Cambridge)
Roman Music in Renaissance Iberia: Exchange, Transmission, Reception
Although a limited amount of sacred music was printed in Spain and Portugal during the early
modern period, the majority of printed books used in the cathedrals and collegiate churches of
Iberia (and by extension Latin America) were printed elsewhere. Antwerp, and particularly the
press of Christophe Plantin was one major point of supply for the Spanish and Portuguese market,
– 19 –
and so too was Rome. But by far the most important trade was with Venice, the hub of the European
market in printed music. The operations and dynamics of the market, and their consequences for
the construction of Iberian sacred repertories, is the subject of this paper.
Daniele V. Filippi (Università di Pavia)
Carlo Borromeo e la musica. Un carteggio inedito con Victoria, e altre sorprese
«Carlo Borromeo e la musica»… Ancora? Un titolo del genere rischia di essere liquidato
con un’alzata di sopracciglio. La commissione cardinalizia, Vincenzo Ruffo, l’intelligibilità
delle parole, l’inasprimento delle norme disciplinari per i cantori e il clero, la valorizzazione
della liturgia ambrosiana: argomenti già trattati più e più volte, seppur non sempre in modo
convincente. Ma perché insistere? Perché, rileggendo le biografie antiche e compulsando le
ricerche storiche più recenti, ci si imbatte in aspetti cui finora i musicologi hanno prestato poca
attenzione. E la «vita sonora di Carlo Borromeo» si arricchisce così di tasselli insospettati:
Carlo, giovane universitario in crisi, che si sottopone alla musicoterapia; l’arcivescovo che,
ormai negli ultimi anni, ha uno scambio di lettere e cortesie con Tomás Luis de Victoria; la sua
Milano «exhilarata» dalle voci angeliche di innumerevoli fanciulli e fanciulle. Dalla rilettura
del famoso episodio dell’«archibuggiata» a una rassegna degli omaggi musicali in vita e post
mortem, il rapporto fra san Carlo e la civiltà musicale del Cinquecento ritrova, lontano dai
cliché, tutta la sua complessità e ricchezza.
Gioia Filocamo (Istituto superiore di studi musicali di Terni – Università di Bologna)
“Non vedete che i Santi, le cui feste lasciandosi di celebrare, si sdegnarebbeno et potrebbe avenire
che ci facessero del male assai?” I santi nelle laude polifoniche tra Quattro e Cinquecento
«Non vedete che i Santi, le cui feste lasciandosi di celebrare, si sdegnarebbeno et potrebbe
avenire che ci facessero del male assai?»: così interloquisce l’Arcidiacono con Lattanzio, giovane
cavaliere alla corte dell’imperatore, nel Dialogo delle cose successe a Roma steso da Alfonso
de Valdés poco dopo i fatti del Sacco del 1527 lì narrati. L’allarme dell’Arcidiacono rispecchia
il senso del sentire comune del tempo: ai santi si associavano poteri che andavano ben oltre la
dottrinale intercessione presso Dio Padre e Gesù, si attribuiva loro tanto la guarigione da patologie
specifiche quanto lo scatenarsi delle malattie stesse. E allora perché ci sono pervenute solo in
rarissimi casi dal periodo preconciliare laude musicali con testi dedicati a santi? E a quali santi
eventualmente si affidavano le proprie richieste?
Saverio Franchi (Conservatorio di Roma)
Idealità cattoliche e culturali nelle istituzioni musicali romane della Compagnia di Gesù (xvi-xvii
secolo)
Le istituzioni affidate alla Compagnia di Gesù a Roma tra la seconda metà del Cinquecento e la prima
del Seicento promossero al loro interno un’attività musicale di grande rilievo, dando un contributo
decisivo agli orientamenti della musica sacra e spirituale nell’Italia del tempo. Ciò avvenne nei collegi
di studio, il maggiore dei quali fu il Collegio Germanico-Ungarico, nella Compagnia dei Nobili presso
la Casa Professa dell’ordine, nell’istituzione universitaria del Collegio Romano e altrove; il caso più
rilevante fu però quello del Seminario Romano, istituzione decisiva per la formazione di un clero
migliore, nonché di convittori laici provenienti da tutta Italia.
Nella rilevante attività musicale (nonché teatrale) di questi istituti, i Gesuiti fecero convergere le
idealità teologiche e morali della riforma cattolica e del recupero in essa del patrimonio culturale
classico, secondo linee che li videro protagonisti dal Concilio di Trento alla ratio studiorum degli
studi superiori e universitari alle straordinarie missioni nei continenti extraeuropei.
– 20 –
Il motto ostile «Jesuita non cantat», circolante all’epoca presso altri ordini religiosi, non vuol
dire dunque che ai Gesuiti la musica non interessasse, ma solo che il nuovo ordine era sciolto
dall’obbligo del canto liturgico alle ore canoniche, e ciò per poter agire più profondamente nella
società. Al contrario, l’attività musicale svolta nei loro istituti diede apporti di rilievo alla storia
della musica; occorre segnalare che in essi si insegnava il canto liturgico e la musica polifonica,
promuovendo una quantità di composizioni non solo sacre, ma anche devozionali o puramente
spirituali, e offrendo agli allievi l’apprendimento del contrappunto e quello degli strumenti.
Decisiva per un profondo mutamento fu al tempo l’attività di Agostino Agazzari nel Collegio
Germanico e soprattutto nel Seminario Romano, con l’uso del basso continuo, immediatamente
adottato in tutta la pratica musicale d’ambito romano, e rivolto allo stile concertato e alla «small
force polyphony» che, riducendo spesso le voci a tre o due, tanto si distaccava dalle concezioni
della polifonia cinquecentesca. Specifica della cultura gesuitica e del suo culto del latino classico
fu poi l’esperienza di conciliare la metrica dei testi poetici per cori teatrali o per odi in occasione
di lauree alle esigenze della moderna musica. A queste idealità diedero opera, all’interno delle
istituzioni gesuitiche, maestri di cappella e compositori insigni, attivi lungo un arco più che
secolare, a partire dal Palestrina e dal Victoria per giungere ad Anerio, Cifra, Antonelli, Virgilio
Mazzocchi, Graziani e Carissimi.
Accanto alla spiritualità «affettuosa» degli Oratoriani, si ebbe dunque quella ben diversa
(«apostolica») dei seguaci di Ignazio di Loyola, molto più rivolta all’intelletto, alla volontà,
all’immaginazione, nella funzione di dirigere l’animo, attraverso la musica, a un percorso di
trasformazione interiore non privo di autentiche funzioni psicologiche ed educative. Dagli
Oratoriani e da altri ordini, i Gesuiti si differenziano in campo musicale anche per la diversa
selezione degli ascoltatori e l’alto livello artistico-culturale delle opere proposte: assoluta
prevalenza della musica in latino, inteso non solo come lingua della Chiesa ma anche come
moderno strumento di comunicazione internazionale; primato del mottetto, durato dalla fine del
Cinquecento agli ultimi decenni del Seicento; teatro e musica come portatori di exempla morali,
capaci di attivare una formazione umana e cristiana, tanto da essere usati, come attesta una raccolta
di Domenico Massenzio, nelle missioni d’oltremare.
Gabriele Giacomelli (Conservatorio di La Spezia)
Organi e simboli del potere a Firenze dalla repubblica al principato
La relazione si colloca nella linea di precedenti ricerche, compiute dallo scrivente, aventi come
oggetto la storia dei grandi organi rinascimentali di S. Maria del Fiore, cattedrale di Firenze.
Tali ricerche vengono in questa sede approfondite e consolidate alla luce di una rilettura della
documentazione storica, dell’acquisizione di nuove immagini d’epoca e di una più circostanziata
collocazione nel solco delle vicende storico-politiche del tempo. Ho già avuto occasione di
dimostrare come l’ampliamento voluto dall’organista del duomo fiorentino Antonio Squarcialupi,
musico prediletto di Lorenzo il Magnifico, sull’organo grande posto sulla cantoria di Luca Della
Robbia, avesse esercitato una notevole influenza nei secoli successivi sull’arte organaria fiorentina
e toscana. Ricordo che nell’anno 1460 - in tempi di governo formalmente ancora repubblicano, ma
con la famiglia dei Medici in forte ascesa - Squarcialupi volle che l’organo fosse significativamente
ampliato. Veniamo a conoscenza del fatto grazie a un documento (oggi pienamente leggibile in
seguito al restauro della filza) in cui si afferma che l’ampliamento consistette in «duo tasti di fondo
additi cum duabus cannis magnis». Trascorsi i turbolenti anni seguiti alla morte del Magnifico,
al periodo savonaroliano e alla cacciata dei Medici dalla città, con l’ascesa al trono papale di
Leone X (figlio del Magnifico) si apriva una nuova stagione favorevole alla dinastia medicea. Fu
soprattutto col duca Cosimo I che il potere dell’antica famiglia di mercanti si consolidò in tutto
lo stato, assumendo modi e forme propri del principato rinascimentale. In questo contesto va
collocata l’intenzione di Cosimo I di costruire il secondo organo della cattedrale fiorentina, quello
che stava sulla cantoria di Donatello, posta di fronte a quella robbiana. All’organaro strasburghese
– 21 –
Bernardo d’Argenta era stato richiesto nel 1542 di costruire lo strumento «eo modo et forma et
prout apparet in facie orghanus novus dicte ecclesie». Fu dunque realizzato un organo di 16’ con
due grandi canne nell’ordine di 24’ poste ai lati del prospetto. Entrambe recavano all’interno
la seguente epigrafe: «COSMO MED[ICIS] R[EI] P[UBLICAE] FLOR[ENTINAE] DUCE II
BERNARDI ARGENT[ORATENSIS] OR[DINIS] PRED[ICATORUM] OPUS MDXXXXVI».
È ipotizzabile che il duca desiderasse che l’organo fosse pronto per la cerimonia del conferimento
del Toson d’Oro da parte di Carlo V nell’agosto del 1545, ma in realtà fu ultimato soltanto l’anno
seguente. Dal momento che lo strumento replicò nelle dimensioni e nell’aspetto esteriore l’organo
‘repubblicano’ del 1460, è facile comprendere il significato del documento quattrocentesco:
Squarcialupi aveva voluto due grandi canne di 24’ per il suo organo, comandate dai primi due
tasti della tastiera. Ne risultò una macchina di inusuali dimensioni per la penisola italiana,
probabilmente ispirata ai monumentali organi transalpini, dotati di grandi trompes, forse conosciuti
da Squarcialupi per il tramite di Guillaume Dufay o di qualche altro musico francese o fiammingo,
fra i molti che erano al servizio dei Medici.
Se dunque è difficile ipotizzare un impegno diretto della famiglia de’ Medici per l’organo
quattrocentesco, risulta invece evidente il coinvolgimento di Cosimo I per l’organo cinquecentesco.
Nelle intenzioni del duca esso si configurava come un’inedita dimostrazione della sua filiazione dalla
prima Età dell’Oro medicea, l’epoca cioè di Cosimo il Vecchio pater patriae e dei suoi discendenti
diretti, stabilendo con essa anche nell’ambito dell’arte organaria – secondo quanto già ampiamente
dimostrato in altri campi - un preciso legame politico e culturale.
Ritengo che l’organo ducale cosimiano, con la monumentale facciata caratterizzata dalle due
grandi canne laterali ad imitazione di quella quattrocentesca, fosse destinato a diventare un simbolo
sonoro e visivo della rinnovata supremazia medicea sulla città, così come l’organo quattrocentesco
lo era in parte stato – con il sottostante busto marmoreo dell’organista Squarcialupi – per i Medici
di età ancora repubblicana.
Teresa M. Gialdroni (Università di Roma “Tor Vergata”)
Dal diletto alla devozione: il travestimento spirituale nella cantata da camera fra XVII e XVIII
secolo
Il fenomeno del travestimento spirituale nell’ambito della cantata da camera fra Sei e Settecento
non si è potuto giovare di quella attenzione che invece ha caratterizzato lo stesso fenomeno nei
secoli precedenti, in particolare nella tradizione laudistica e in quella madrigalistica. Forse perché
la pratica del travestimento riferita a questo repertorio è decisamente più occasionale e spesso
difficile da individuare. Tuttavia, le ricerche portate avanti finora hanno potuto mettere in evidenza
alcune caratteristiche specifiche del travestimento nel repertorio cantatistico quali, per esempio, il
mantenimento di un esplicito contatto con l’originale profano, la pratica del riuso dello stesso brano
per occasioni diverse attraverso la sostituzione di pochi termini significativi. Va rilevato comunque
che questa consuetudine non è riconducibile a un unico comune denominatore, in quanto accanto a
fonti che tradiscono questa occasionalità attraverso la velocità con cui venivano redatte, ce ne sono
altre ben codificate e chiaramente costruite per una destinazione ufficiale. Oltre a una discussione
intorno ad alcuni noti “travestimenti”, saranno presentate alcune fonti totalmente inedite.
Siegfried Gmeinwieser (Universität Regensburg)
Joseph Haas e il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma
Joseph Haas (1879 – 1960), allievo di Max Reger, fu, dal 1953, dottore honoris causa del
Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma. Egli ebbe come sua patria spirituale e musicale il
mondo della tonalità che era, in quegli anni, scosso dalle novità sonore di Paul Hindemith, Arnold
Schoenberg e Igor Strawinsky. Ciononostante, è un fatto che Haas si interessò intensamente
alla musica classica moderna attraverso l`organizzazione del Festival internazionale di musica
– 22 –
da camera per la nuova musica Donaueschinger Kammermusiktage. Questo modo di vedere
proveniva da un attaggiamento di base tollerante, che aveva radici in una profonda religiosità.
Dette infatti la massima importanza alla musica sacra, specialmente alla musica liturgica in
lingua tedesca. Haas vedeva nella possibilità di far cantare ciascun fedele nella propria lingua una
opportunità per coinvolgere più attivamente l’assemblea dei fedeli alla liturgia. Le sue numerose
“Volkssingmessen” (messe popolari cantate) insieme ai “Volksoratorien” si diffusero in molti
paesi. La “Speyerer Domfestmesse” op.80 (1930) ad esempio, stampata in tredici milioni di
esemplari, fu traqdotta in numerose lingue fra cui la Suaheli.
Johannes B. Göschl (AISCGre)
La questione della restituzione melodica documentata nel Graduale Novum 2011
Poco tempo fa, esattamente il 31 gennaio 2011, è stato pubblicato il cosiddetto Graduale Novum,
vol. I, che contiene i canti del Proprium Missae gregoriano di tutte le domeniche e delle grandi
feste dell’anno liturgico. In questa edizione si riscontrano, rispetto al Graduale Romanum del
1908 (come pure a quello del 1974), innumerevoli cambiamenti melodici. In vista di tale fatto si
pongono agli editori del Graduale Novum le seguenti tre domande (alle quali la presente relazione
tenta di dare le corrispondenti risposte):
1. Per quali ragioni si era convinti di dover sottoporre l’Edizione Vaticana 1908 a una revisione
melodica?
2. Quali erano i criteri scientifici e la metodologia di una tale revisione?
3. Come si giustificano le soluzioni, documentate nel Graduale Novum, di determinati seri
problemi come la questione del si bemolle o si naturale e la presenza di suoni cromatici?
Il volume II del Graduale Novum, in corso di preparazione, conterrà i canti del Proprium Missae
dei giorni feriali e dei Santi.
Marco Gozzi (Università di Trento)
Le sequenze nei Codici musicali trentini del Quattrocento e il loro rapporto con il canto piano
Delle 63 sequenze polifoniche tramandate dai sette celebri codici musicali trentini del Quattrocento
(esemplati fra il 1430 e il 1475) circa quaranta sono ancora inedite. Molte presentano un sicuro
interesse anche per gli studiosi di canto liturgico poiché la polifonia vive in stretta simbiosi
con le molteplici forme del canto piano. Così le melodie liturgiche partecipano alle intonazioni
polifoniche attraverso la parafrasi, la prassi dell’alternanza (e mostrano dunque interi versetti o
parti di versetto a trasmissione monodica), oppure sono incorporate come cantus prius factus a
valori uguali in qualche voce del tessuto contrappuntistico.
La relazione intende mostrare come lo studio delle melodie liturgiche incorporate nella polifonia
possa portare ad esiti rilevanti, come la ricostruzione di intere intonazioni monodiche in canto
piano e in canto fratto.
Barbara Haggh-Huglo (University of Maryland, College Park))
Late Medieval Vespers and Mass in the Modern Church?: Two Case Studies
In 1458, two newly-composed Marian officia were introduced in the Low Countries. One, with texts
by Gilles Carlier, a leading theologian at the Council of Basel, and with chant by Guillaume Du Fay,
singer in the papal chapel from 1428 to 1433 and 1435 to 1437, has a continuous history that ended
after Vatican II. The second, a Marian officium composed for the Order of the Golden Fleece under
the leadership of its chancellor, Guillaume Fillastre, was >used at meetings of the Order at least
until 1556. Drawing on histories and analyses of both officia, this paper explores arguments for and
against re-introducing these offices today in the contexts in which they were last heard.
– 23 –
The evidence to be discussed includes the traditions of celebrating the two officia, the presence
or absence of their formal approval by the Church over time, issues of liturgical structure and
language, the theological validity of their texts today, the inclusion or absence of chant and
polyphony in the officia, and the spiritual assistance provided by any music.
David Hiley (Universität Regensburg)
Gregorian Chant in Regensburg 811-2011
The earliest evidence of the chant composition in Regensburg goes back to the early years of the
9th century, perhaps even into the 8th century, when chants for the proper office of St. Emmeram
were composed. Numerous important manuscripts with neumatic and Gothic notation enable
us to trace the history of chant in Regensburg almost without interruption from the summit of
excellence in the 11th century, through the slow decline and loss of local identity in the 16th
and 17th centuries, to the revival of church music in the 19th century and the publication of the
Graduale novum in 2011. In some ways, therefore, a large part of the history of Gregorian chant
can be read through Regensburg documents.
Michel Huglo (CNRS)
Remarques sur la Sémiologie grégorienne de Dom Eugène Cardine
Dans sa Semiologia gregoriana, rédigée en italien et plus tard en français puis traduite en allemand,
Dom Eugène Cardine, professeur au PIMS de 1952 à 1964, a concentré toutes les observations qu’il
avait faites en chantant au cours de sa carrière choeur de l’abbaye de Solesmes, vérifiées ensuite sur
les manuscrits de Saint Gall et de Laon photographiés à l’atelier de la Paléographie musicale.
Si ses conclusions sur l’interprétation ‘légère’ des neumes d’ornement par les choristes demeurent
très valables, les historiens de la musique médiévale estiment que l’on peut aujourd’hui, après
tant d’années de recherche, proposer une esquisse de l’interprétation de ces neumes spéciaux par
des chanteurs professionnels à la voix bien formée. Dans cette communication, l’enquête portera
sur trois neumes d’ornement conservés dans toutes les familles de neumes, mais qui ont disparu à
l’avénement de la notation carrée sur portée.
Christine Jeanneret (Université de Genève)
La fabbrica del compositore. I manoscritti di Girolamo Frescobaldi
La figura di Girolamo Frescobaldi, come compositore è stata costruita quasi esclusivamente sulla base
delle sue opere tastieristiche stampate, viste quale riflesso del suo straordinario virtuosismo. Tuttavia,
un folto gruppo di manoscritti di provenienza romana ci rivela un repertorio ben diverso da cui emerge
l’immagine di Frescobaldi attraverso la pratica quotidiana del suo mestiere. Questi manoscritti, spesso
redatti in tutta fretta, privi di attribuzioni e di datazioni, e destinati all’uso personale, con finalità
sia esecutive sia compositive, contengono brani per la maggior parte di breve estensione, quando
non addirittura incompiuti. Alcuni dei brani manoscritti presentano interessantissime concordanze,
sia tra di loro sia con le opere stampate, e ci permettono di capire meglio il processo compositivo
di Frescobaldi. Due di questi manoscritti (I-Rvat, Chigi Q.IV.29, e F-Pn, Rés.Vmc. ms. 64) sono
autografi, mentre i restanti sembrano essere stati compilati dai suoi allievi e da organisti del suo
entourage, fra cui alcuni suoi successori al posto di organista della basilica vaticana: Nicolò Borbone
(ca. 1591-1641), Francesco Muzi (attivo dal 1623 al 1664), Leonardo Castellani (ca. 1610-1667),
Giovanni Battista Ferrini (ca. 1600- 1674) e Fabrizio Fontana (ca. 1610-1695). Questi preziosi
testimoni attestano la ricca tradizione della musica organistica romana in un periodo di cui ci restano
solo rare opere a stampe di musica per tastiera e, nello stesso tempo, gettano nuova luce sulla pratica
compositiva di colui che già ai suoi tempi fu definito il «mostro degli organisti».
– 24 –
Robert Kendrick (University of Chicago)
Beyond Loreto: Musical settings of “irregular” litanies after Sanctissimus (1601)
Thanks to the still-definitive work of David Blazey, the Italian practice and geography of polyphonic
litanies in the 17th-century has been outlined and their music surveyed. Clement VIII’s seemingly
definitive, if unexpected, 1601 ban (in the bull Sanctissimus) on litanies which used anything but
the standard Litany of Loreto text would seem to have put an end to musical settings of “irregular”
Marian, sanctoral, or Eucharistic versions. Still, especially north of the Alps, such texts continued
to be set and even published. My paper uses contemporary theological texts on the nature of
litanies as a guide to why these versions continued to have importance in the Catholic world over
the century after Clement’s bull, not least in their polyphonic incarnations.
Michael Klaper (Universität Weimar-Jena)
Testimonianze contemporanee e riflessioni sulla ‘composizione’ di nuovi canti liturgici nel Medio Evo
Gli studi finora esistenti che sono dedicati al fenomeno della ‘composizione’ di canti liturgici
monodici nel Medio Evo, si sono occupati in genere di uno dei seguenti aspetti: a) la valutazione del
concetto di ‘comporre’ in senso moderno, b) l’analisi di qualche brano per evidenziare la struttura
della musica monodica medievale, oppure c) lo studio di testi teorici, alla ricerca di informazioni
che illuminino la trasmissione scritta. Lo scopo di questo intervento è un altro. Si occuperà di fonti
medievali che non sembrano essere state studiate sistematicamente, contenenti informazioni preziose,
riguardanti il processo ed il contesto di composizione di nuovi canti e la loro valutazione da parte
dei contemporanei. Si tratta di generi letterari di varia natura, ad esempio la letteratura biografica,
le prefazioni a opere poetiche, le cronache di monasteri e cattedrali, le lettere etc. L’analisi di queste
testimonianze mostrerà come queste riflettano molti fattori del processo di composizione, usuali
per il pubblico in epoche moderne ma non nel Medio Evo (per esempio, le scelte fatte da parte
dell’autore e le sue procedure tecniche).
Stefano Lorenzetti (Conservatorio di Vicenza)
De locis communibus musicalibus: strategie dell’inventio e arte della memoria nella musica
liturgica tra Cinque e Seicento
Il concetto di locus communis è esplicitamente applicato alla disciplina musicale da Giovanni
Battista Chiodino, uno sconosciuto maestro di teologia, oratore e inquisitore bellunese che, nel
1610, dà alle stampe un trattatello dal titolo Arte pratica latina e volgare di far contrapunto à
mente, & à penna. I loci sono archetipi mnemonico-generativi di scrittura contrappuntistica da
interiorizzare: la notazione musicale, coagulata in brevi sintagmi, è, al tempo stesso, figura ideale
che ipostatizza un’ideale procedere e figura di memoria. La loro struttura è concepita in modo da
poter essere facilmente memorizzata: nella maggior parte dei casi si tratta, infatti, dell’iterazione
paratattica, esatta o variata, di piccoli segmenti, che si organizzano in brevi sequenze di
contrappunto invertibile in base alla progressione del cantus firmus posto ora all’acuto, ora al
grave. Il medesimo concetto ritornerà, quattro anni dopo, nella Cartella Musicale di Banchieri.
Il monaco olivetano, da un lato, certifica l’esistenza di una serie di luoghi di memoria “dedotti in
cellebri conpositori [sic] de i nostri tempi” dall’altro, ne sollecita l’applicazione. In altre parole,
codifica nel sistema della memoria artificiale quel meccanismo che consente di immagazzinare
tutta una serie di immagini musicali che costruiscono l’archivio memoriale del compositore e,
al tempo stesso, ne permette il reimpiego, la ritraduzione da bagaglio acquisito, da serbatoio
di potenzialità inespresse, in strumento di costruzione dell’oggetto musicale, alimentando una
concezione retorica dell’inventio che individua l’essenza della creazione musicale nella riscrittura
dell’esistente.
– 25 –
Cecilia Luzzi (Liceo Musicale di Arezzo)
Travestimenti spirituali del Petrarca e madrigale nell’età della Controriforma
Nel processo di recupero della spiritualità proprio della Riforma tridentina, la manifestazione del
petrarchismo devoto rappresentato dal travestimento spirituale del Petrarca, e particolarmente dal
Petrarca spirituale (1536) del frate Girolamo Malipiero, più volte ristampato per un cinquantennio,
costituì un contraltare alla diffusione capillare della poesia petrarchesca e del madrigale musicale nella
società cortigiana della penisola italiana, chiaro sintomo della secolarizzazione della cultura italiana.
L’intervento è mirato a delimitare il fenomeno della diffusione del Petrarca spirituale del
Malipiero nel repertorio madrigalistico, rimasto celato poiché, attraverso i repertori e gli strumenti
di consultazione è spesso identificato con intonazioni del Petrarca stesso per l’identità dell’incipit,
a fronte poi un testo a volte profondamente variato. L’indagine parte da alcune raccolte del
monaco olivetano Alessandro Romano, del carmelitano Mateo Flecha e del canonico secolare
Matteo Asola, come saggio di un’indagine che necessita di strumenti di ricerca più raffinati che
consentano il riconoscimento di questo repertorio all’interno del mare magnum della produzione
di madrigali musicali sulle rime di Francesco Petrarca.
Ignazio Macchiarella (Università di Cagliari)
Falsobordoni ed altre pratiche polifoniche confraternali dei nostri giorni
Ai primi degli anni Ottanta, quando la musicologia cominciava ad occuparsene in maniera specifica,
le espressioni musicali liturgiche e paraliturgiche trasmesse oralmente venivano considerate dei relitti
del passato, ultimi fuochi della grande tradizione del canto confraternale. Quasi trenta anni dopo, la
realtà ha disatteso le previsioni, quanto meno in varie regioni cattoliche dell’Europa meridionale:
numerosi repertori rivelano una sostanziale vitalità, spesso a seguito di consapevoli operazioni
di (ri)costruzione e (ri)nascita musicali nell’ambito di una generale (ri)scoperta dell’istituzione
confraternale. Ciò è particolarmente vero a proposito di tante pratiche di canto a più parti vocali
basate sul principio accordale del falsobordone e diffuse in Italia meridionale, nelle tre isole maggiori
del Mediterraneo, in alcune aree della penisola iberica.
La mia relazione intende fare il punto su questa attualità musicale per approfondire la pratica della
polifonia in falsobodorne entro l’ambito confraternale, mettendo a confronto situazioni musicali
in cui non si è avuta soluzione di continuità nella trasmissione della pratica esecutiva con altre in
cui invece si sono avute operazioni di “rifioritura”
Costantino Maeder (Université Catholique de Louvain-La Neuve)
Alcune considerazioni sui primi oratori in Italia e in Inghilterra
La Rappresentatione di Anima et di Corpo (Roma, febbraio 1600) di Agostino Manni e di Emilio
de’ Cavalieri è da molti considerata la prima opera, cioè il primo dramma per musica rappresentato
scenicamente che esibisce le caratteristiche discusse dalla Camerata fiorentina. Per certi versi,
questa affermazione è certamente corretta (uso della monodia, recitativo, ecc.). Altri elementi (di
carattere drammatico, ideologico e argomentativo) mostrano che si tratta di un altro genere. Non
a caso è considerato anche il primo oratorio. La differenza tra opera e oratorio, però, non risiede
nella scelta dell’argomento (religioso o mondano, religioso o antico) o, più tardi, nelle modalità di
esecuzione (scenico-non scenico), ma in una dimensione argomentativa del tutto incompatibile e
per riflesso in una visione del pubblico modello del tutto diversa.
Lo stesso vale per il primo oratorio inglese, la Esther di Händel che alcuni studiosi considerano piuttosto
una masque, una forma di opera rappresentata scenicamente. Anche quest’oratorio mostra strategie
argomentative e sostrati ideologici simili a quelli che caratterizzano la Rappresentatione.
Se sul piano musicale e metrico, ma anche a livello di disposizione dei contenuti su recitativo
e aria, per esempio, non si notano differenze tra i primi oratori e le prime opere, ciò non è il
– 26 –
caso per il trattamento dei contenuti ideologici e per l’economia drammatica. Mostreremo in che
senso l’oratorio si differenzia sin dagli inizi dall’opera. Tali differenze non riguardano l’uso più
insistente del coro o il fatto che l’oratorio non si rappresenta scenicamente, ma nell’assenza di una
dimensione teleologica e nell’assenza di una progressione cognitiva e del dubbio.
Jürgen Maehder (Freie Universität Berlin)
La drammaturgia dei timbri nel S
aint François d‘Assise di Olivier Messiaen: rappresentazione e
narratività
L‘opera Saint François d‘Assise di Olivier Messiaen (Paris, Théâtre National de l‘Opéra de Paris,
1983) è stata universalmente riconosciuta come uno dei capolavori del teatro musicale dell‘ultimo
Novecento. Studi recenti hanno indagato le fonti del libretto, scritto dallo stesso compositore sulla
base dei documenti sull‘origine dell‘ordine francescano, nonché la specifica tecnica compositiva »a
mosaico« della monumentale partitura (Stefan Keym). Manca invece tuttora un‘indagine sulle radici
dell‘opera nella tradizione francese della »sacra rappresentazione«, così frequente nel teatro musicale
francese del neoclassicismo, e sul linguaggio orchestrale in quanto portavoce di un continuo commento
timbrico all‘azione in scena. La relazione tenterà di indagare le specifiche strutture orchestrali della
partitura di Messiaen, mettendole in relazione al modo di narrazione scelto dal compositore per il
soggetto sacro dell‘opera.
Giampaolo Mele (Università di Sassari)
Il “corpus” degli antifonari arborensi francescani (ACO, P. III-VIII, Italia Centrale, sec. XIII4/4)
La tradizione liturgica romano-francescana del secolo XIII, scaturita dalla riforma secundum
consuetudinem Romanæ Ecclesiæ, grazie soprattutto ai classici studi di Stephen J.P. van Dijk,
presenta una facies storica ben documentata. Assai meno indagata risulta, invece, la trasmissione
codicologica dei repertori liturgico-musicali minoritici, nonostante pionieristiche stampe, ad uso
pratico, quali quelle di Eliseo F. Bruning (1926) e altri. Mancano - con rare eccezioni - edizioni
scientifiche romano-francescane di testi e, soprattutto, di musiche, basate su esaustiva recensio
e collatio di tutte le fonti reperibili, compresi i codici tardivi (testimonia da chiamare sempre in
causa, secondo il classico principio dell’ecdotica: recentiores non deteiores).
Scopo della comunicazione è rimarcare l’interesse storico e codicologico di un corpus di sei
Antifonari francescani del sec. XIII4/4 (ACO, mss. P. III, IV, V, VI, VII, VIII), circolanti nel
Giudicato d’Arborea (Sardegna), provenienti da uno stesso scriptorium dell’Italia centrale,
tuttora non identificato, ma ascrivibile ad una vasta area tosco-emiliana. Nel fondo dei manoscritti
arborensi – con le principali historiæ francescane, modellate sul prototipo Franciscus vir catholicus
composto da Giuliano di Spira (ca. 1231-1232) - sono documentabili specifici usi codicologici, non
sempre rilevati in studi strettamente musicologici. Sempre nell’ambito del Giudicato d’Arborea,
sono attestati membra disiecta dell’Ufficio ritmico Iam sanctæ Claræ claritas, per santa Chiara
(1193-1253); in assoluto tra le fonti più antiche dell’historia clariana.
Altri codici arborensi quattrocenteschi di provenienza toscana (quali BAO, P. II), tramandano,
infine, l’Ufficio ritmico per san Ludovico d’Angiò (1274-1297), Tecum fuit principium, irto di
peculiari problematiche di natura innografica.
Arnaldo Morelli (Università di L’Aquila)
«Con musica eccellentissima di cose pie». Salve, litanie ed altre devozioni: pratiche religiose e
patronage a Roma in età moderna
Le ricerche sulla storia della musica sacra a Roma hanno finora rivolto la loro attenzione prevalentemente
sulle chiese che mantennero una cappella stabile impiegata nelle liturgie maggiori delle domeniche e
– 27 –
dei giorni festivi, quali messe e vespri. Di conseguenza un altro versante — quello delle musiche
eseguite durante particolari pratiche devozionali — non meno rilevante dell’ordinaria prassi musicale
nelle chiese romane è rimasto in ombra. L’assenza di una cappella musicale stabile, infatti, non deve far
pensare che una chiesa fosse completamente priva di una qualche forma di servizio musicale regolare:
altri soggetti, come le confraternite che, non avendo una propria sede autonoma, erano ospitate in
una chiesa, talvolta promuovevano con regolarità dentro la chiesa ospitante devozioni come la Salve
con le litanie, o l’esposizione del santissimo, accompagnandole con l’esecuzione di una «buona
musica». La relazione intende prima di tutto mostrare il considerevole numero di luoghi sacri dove
tutti i sabati dell’anno e nelle feste mariane, dopo l’ufficio della compieta, si teneva un atto devozionale
comunemente denominato «la Salve», consistente nel canto di un’antifona mariana, principalmente
la Salve regina, e delle litanie lauretane; oppure quelle in cui con regolare cadenza in un determinato
giorno del mese si teneva l’esposizione del «santissimo sacramento», un genere di devozione coltivato
presso numerose congregazioni religiose o confraternite laiche, talvolta sorte con questo precipuo
scopo. Particolare attenzione viene prestata nel chiarire i diversi tipi di patronage che diedero vita a
queste pratiche devozionali durante il Seicento: da quello familiare a quello cardinalizio; da quello
delle confraternite nazionali a quello delle congregazioni religiose nate fra Cinquecento e Seicento.
Luisa Nardini (University of Texas, Austin)
Il repertorio delle prosule per il Proprio della Messa nei manoscritti beneventani
Le prosule – testi redatti per essere incastonati, sillabicamente, su preesistenti melismi gregoriani
– sono copiate, prevalentemente, in manoscritti liturgici databili tra il decimo e il tredicesimo
secolo. Sotto molti aspetti le prosule rivelano una nuova estetica, sia per il contenuto testuale
che per lo stile musicale: non solo, infatti, introducono nuovi temi devozionali, spesso in linea
con il pensiero teologico e le pratiche devozionali contemporanei, ma rivelano anche l’abilità dei
cantori medievali di confezionare nuovi testi che sappiano sfruttare al meglio il potenziale ritmico
e musicale dei preesistenti melismi gregoriani.
Il mio intervento presenta i risultati di una ricerca sistematica sul repertorio delle prosule beneventane
e evidenzia le modalità di diffusione e acquisizione del repertorio nelle diverse regioni europee.
Dal confronto con diversi testimoni europei emerge che i manoscritti beneventani presentano
multidirezionali matrici di influenze. I brani locali sono bilanciati tra la ritenzione dei più antichi
culti legati alla sensibilità religiosa dei Longobardi e l’acquisizione delle nuove forme di devozione
diffuse nei nuovi centri del potere politico e ecclesiastico verso la fine del decimo secolo. D’altra
parte, i brani importati dimostrano che il territorio del sud Italia era permeato da continui scambi
con le pratiche liturgiche di diverse regioni europee. Le concordanze più frequenti sono quelle
con manoscritti provenienti dall’Italia centrale e settentrionale e dall’Aquitania. Particolarmente
interessante è il caso di alcune prosule beneventane che raggiunsero la città di Roma e furono
incorporate in uno dei manoscritti di canto romano antico.
Dopo un’introduzione incentrata su generali questioni metodologiche e interpretative, questo
intervento analizza una selezione di pezzi al fine di discutere i modelli di trasmissione e recezione
delle prosule e enfatizzarne aspetti stilistici e tematici.
Noel O’Regan (University of Edinburgh)
Confraternity statutes in early modern Rome: what can they tell us about musical practice?
Confraternities in early modern Rome, as elsewhere, were important commissioners and financial
supporters of music of all kinds, from plainchant through falsobordone and polyphony to laude
spirituali and other more popular forms. This paper will examine a representative sample of
statutes from Roman confraternities from c. 1500 to c. 1650, interrogating them for what they say
(and do not say)about the various roles played by music in the spiritual lives of these corporate
bodies and of their members.
– 28 –
Berthold Over (Universität Mainz)
“Sempre cantando”. Music in the Internal Mission in Sixteenth- and Seventeenth-Century Italy
The concept of mission came up in times characterised by big chances and in the same time by
big crisis for the catholicism. The first are due to the fact that together with the political expansion
in the colonies chances for the expansion of the faith arose, the second by the instability of faith
resulting from the schism of protestantism. The mission reacted in two ways on this situation: On
the on hand (as external mission) it was responsible for making the infidels catholic in the colonies
as well in Europe (heretics like the protestants, orthodox people, Jews, Turks etc.) on the other
(as internal mission) it cared for strengthening the faith of the already catholic people. The aim of
both types of mission was the „conversion“ as it was understood as a turn to a better life. Better
life was assumed in the first instance by the acceptance of the catholic faith, and in the second
by the instruction, penitence, confession and communion assuring that the faithful changed their
former life and follow the right way.
Music had a very important role in the internal mission fulfilling all its elements (instructions,
sermons, processions, mass, benedictions etc.). In my contribution I will mainly focus on one musical
genre performed during internal missions in Italy: the lauda spirituale explicitly published for use in
the missions. Whereas bibliographic repertories register only few publications I have been able to
find some other showing that the lauda for the mission has not been a marginal phenomenon. The
principal questions to be answered are: How is the lauda integrated in the rhythm of the mission?
How do they refer to other elements of the mission? Which themes are covered? How is the repertoire
characterised? Which differences do they have in comparison to other types of laude?
Jann Pasler (University of California, San Diego)
Sacred Music in the African missions: Gregorian Chant, Cantiques, and Indigenous Musical
Expression
Since Saint Francois Xavier used music to combat heresy in the 16th century, music has played
an important role in catholic missions. And yet scholars have never looked at exactly what music
was performed and in which contexts. In Africa, missionaries have reported on performances of
Dumont’s Mass by hundreds of singers, such as in Tanganika in 1911 and a Te Deum sung by 8000
in Uganda in 1920, but also the use of tambours to call people to prayer.
This paper will examine the ongoing presence of plainchant sung in Latin as well as cantiques sung in
indigenous languages in the 19th and 20th centuries (e.g. Wolof, Gabonese, Doala, Malgache, Yoruba,
Rundi), some of them set to local airs. It will compare the repertoire in these volumes used by such
missionaries as the Peres Blancs and the Peres Spiritains, seeking to understand what music was
performed both across cultures and over time (1870s-1950s). It will also discuss the impact of various
20th-century papal edicts (Moto Proprio, encyclical of 1955, Vatican II) and of European congresses
(1922 and 1957) on music, catechism, and liturgy in African contexts, from African as well as
European perspectives. Finally, it will show examples of new Masses written for or by Africans in
Oubangui (1948), Burundi (1970), and Senegal (1970).
Elisabetta Pasquini (Università di Bologna)
«…In quell’aria più bassa di Roma…»: antefatti musicali di un (presunto) incarico a padre Martini
Nella primavera del 1753 padre Martini compie il suo secondo viaggio a Roma, per concertare
le proprie musiche previste per alcune solenni funzioni in occasione della festa dei santi Filippo
e Giacomo, e del triduo per la beatificazione di Giuseppe da Copertino, francescano anch’egli.
Le musiche ottengono un favorevolissimo riscontro di pubblico; ed è così che il compositore
bolognese riceve in via ufficiosa da papa Benedetto XIV, presente alle celebrazioni, l’offerta
di assumere l’incarico di maestro nella nella Cappella Giulia. In via altrettanto ufficiosa padre
– 29 –
Martini rifiuta, adducendo motivi di salute.
A testimonianza del soggiorno romano rimangono oggi non solo le descrizioni che figurano nelle
cronache del tempo, ma anche le musiche allora eseguite, ivi comprese quelle poi appositamente
composte per la cappella pontificia più tardi nello stesso anno. Alcune indicazioni sino ad oggi
trascurate dagli studiosi consentono infatti di ricostruire in buona parte tale repertorio, le cui
musiche sono conservate a Bologna e altrove.
Francesco Passadore (Conservatorio di Vicenza)
La cappella musicale di San Marco a Venezia tra XIX e XX secolo
Nei secoli XIX e XX la Cappella musicale di San Marco dovette sopportare sempre più gravi
ristrettezze economiche, cui si aggiunse il mutato interesse per la musica sacra a partire dagli
ultimi anni dell’Ottocento. Ciò condusse all’impossibilità da parte dell’istituzione di salvaguardare
professionalmente e quantitativamente le compagini vocali e strumentali. Non si contano infatti le
petizioni ed i progetti organici di riforma dei vari maestri che si succedettero alla direzione della
Cappella, con cui si richiedevano pensionamenti degli inabili, sostituzioni e integrazioni degli organici.
Nell’Ottocento si avvicendarono alla direzione della Cappella: Giovanni Agostino Perotti, Antonio
Buzzolla, Nicolò Coccon (quest’ultimo sostituito in tarda età da Tebaldini e Perosi) e Giovanni
Tebaldini, che si prodigarono nel mantenere alto il livello delle esecuzioni musicali, la professionalità
dei cantori e degli strumentisti, nonostante gli interventi riduttivi della Fabbriceria, a sua volta oppressa
dalle ristrettezze economiche imposte dall’autorità di governo. Già nel primo ventennio dell’Ottocento
l’orchestra era ormai ridotta a soli dodici strumentisti e non si potevano più ipotizzare turni di servizio.
Si dovrà a Perotti l’avvio, nel 1823, della scuola di canto dei Gesuati; essa doveva formare le voci
bianche per la Cappella e dal 1831 venne posta sotto la direzione del maestro di canto Ermagora Fabio,
già tenore della Cappella, il quale avrebbe tenuto l’incarico sino alla morte, avvenuta nel 1861. Nel
1873, sotto la direzione di Nicolò Coccon, si perverrà ad una nuova formulazione dell’organico della
Cappella con 21 cantori e 28 strumentisti. Le difficoltà economiche e le mutate concezioni estetiche, che
sul finire del secolo stavano maturando in tema di musica sacra, con la riscoperta del canto gregoriano
e della polifonia antica a cappella, alla luce delle nuove acquisizioni della musicologia francese e
tedesca, condurranno nel volgere di un ventennio a cancellare l’orchestra dall’organico della Cappella
e dai capitoli di spesa della Fabbricieria. La compagine, come attesta il Regolamento del 1892, si riduce
al maestro di cappella, un organista, un ufficiale appuntatore, un alzamantici, nove cantori effettivi,
7 cantori aspiranti, 20 giovanetti ed altrettanti allievi adulti della Schola cantorum. Il nuovo secolo
vedrà la Cappella sotto la Guida di Lorenzo Perosi, Delfino Termignon, Umberto Ravetta, Matteo
Tosi, Gastone De Zuccoli, Luigi Vio, Alfredo Bravi, Roberto Micconi e Marco Gemmani. Solo dal
1982, con la nomina di Alfredo Bravi, si provvederà alla revisione e all’aggiornamento del repertorio,
abbandonando progressivamente le musiche della tradizione ceciliana, per ripristinare quelle dei
precedenti maestri marciani e quelle della Scuola veneziana, riprendendo anche le esecuzioni in
doppio coro sulle due cantorie della basilica. Insomma negli ultimi decenni del Novecento si assiste al
tentativo della ricostituzione della Cappella con l’evidente intento di riportare in vita le musiche che
caratterizzarono le epoche più fastose della Serenissima. L’archivio della Cappella, da un quindicennio
riordinato, schedato e disponibile alla consultazione, nei secoli è purtroppo stato mutilato del patrimonio
antico (quasi tutte le fonti dalle origini al XVII secolo), ma quanto è sopravvissuto testimonia
dettagliatamente le scelte estetiche, compositive, le mode e gli organici che hanno caratterizzato gli
ultimi due secoli di attività della Cappella.
Susanna Pasticci (Università di Cassino)
La presenza della fede nell’universo creativo di Igor Stravinskij
La fede religiosa che alimenta l’universo creativo di molti compositori del XX secolo è spesso
una presenza riposta, problematica e sofferta, che appartiene alla sfera privatissima della
– 30 –
spiritualità individuale; questo non significa, tuttavia, che la religiosità di un musicista debba essere
necessariamente interpretata come un semplice dato biografico, destinato a non esercitare alcun
peso sulle sue scelte artistiche. In molti casi, infatti, più che sul piano dell’espressione di “contenuti”
religiosi, il rapporto con la dimensione del trascendente si stabilisce a un livello puramente formale,
attivando una simbologia profondamente radicata nella sostanza poetica della creazione.
In questa prospettiva, il caso di Igor Stravinskij risulta di particolare interesse: anche se la sua
produzione di musica sacra si concentra nell’ultimo periodo della sua attività compositiva,
possiamo ipotizzare che la questione della fede religiosa abbia inciso in modo determinante
sulle sue scelte creative fin dagli anni Venti, quando il compositore inizia un difficile percorso
di rimodulazione del suo stile avvicinandosi alla poetica del neoclassicismo. L’obiettivo di
questo intervento non è tanto verificare se la riscoperta delle fede può aver esercitato un qualche
effetto balsamico sull’uomo-artista in preda a una profonda crisi di identità stilistica; ma quello,
semmai, di stabilire in che misura certi aspetti simbolici della religione ortodossa e della teologia
delle icone possano aver inciso sull’artigianato formale di Stravinskij, che progressivamente si
orienta verso una concezione ontologica del tempo musicale, una ricerca di chiarezza, oggettività,
controllo delle emozioni, e verso un’articolazione della forma regolata da un accorto dosaggio
delle proporzioni.
Marc Pepiol Martí (Universitat Ramon Llull, Barcelona)
El compositor, constructor de Bellesa? Música sacra i llenguatges d’avantguarda
La doctrina oficial de l’Església en matèria musical insisteix en el paper actiu dels artistes com
a creadors exemplars de Bellesa, qualitat que, per analogiam, pot arribar a conduir-nos a Déu.
Tanmateix, tota una munió de noves i interessants propostes musicals contemporànies presenten
alguns reptes a aquest posicionament tradicional: els compositors actuals ens ofereixen noves
formes de bellesa o, més aviat, ens insten a la superació definitiva d’aquesta pregona qualitat? I
si acceptéssim la segona opció, hauríem de qüestionar-nos definitivament la capacitat d’aquesta
música per apropar-nos a la transcendència?
Som del parer que alguns compositors contemporanis han creat noves formes de bellesa, nous
rostres que ens obliguen a eixamplar els límits tradicionals del concepte de bellesa musical; un
bon exemple, seria G. Ligeti i la seva fascinant Lux aeterna per a cor mixt a 16 veus. Però, sens
dubte, la majoria –inclòs el mateix Ligeti en altres obres com el Requiem¸o Stravinsky i el seu
Canticum Sacrum– han posat en tela de judici la bellesa com a finalitat de la música. No obstant
això, el seu llenguatge i forma musical, defensarem, és capaç d’atansar-nos a la transcendència en
la mesura que segueix posant en evidència l’element més pregon i espiritual de la creació musical:
el temps. En efecte, la temporalitat és una dimensió pregona de l’esperit, i no hi ha dubte, com
mostrarem, que alguns compositors contemporanis ens n’ofereixen noves formes musicals d’una
extrema profunditat.
Atès que majoritàriament la creació actual de música sacra segueix basant-se en formes i sonoritats
més aviat tradicionals, la nostra modesta contribució pretén esperonar-la a descobrir i aprofundir
legítimament en aquests nous llenguatges d’avantguarda.
Marcel Pérès (CIRMA, Moissac)
Il canto romano antico. Nuovi orizzonti per la comprensione del canto gregoriano e dei repertori
delle Chiese Orientali
Quando i manoscritti di romano antico sono stati scoperti poco dopo il 1900, la Chiesa cattolica
era sull’orlo di una grande riforma del canto, formalizzata dal Motu Proprio di San Pio X. Lo
sforzo realizzato dai benedettini di Solesmes, per ripristinare il canto gregoriano e la liturgia
romana, stava per arrivare. Ora, questi manoscritti, dei secoli XI e XII, hanno dimostrato che il
canto gregoriano era ben praticato in tutta l’Europa occidentale, tranne ... a Roma.
– 31 –
Inoltre, il nuovo metodo di canto, sviluppato dai monaci di Solesmes come modello, era inapplicabile
a questo repertorio. Questo canto romano antico a fatto scoppiare codificazioni estetiche attorno
alle quali aveva stabilito una nuova estetica del canto ecclesiastico. Queste testimonianze musicali
sono state respinte, affermando che questa musica rappresenta uno stato primitivo, anzi decadente,
de la vera tradizione con scarso interesse musicale.
Ecco perché non è stato fino alla metà del XX secolo che inizia davvero lo studio di questi
manoscritti, in termini musicologici e liturgici, e dobbiamo aspettare fino agli anni 80 affinché
l’Ensemble Organum inizi a studiare l’interpretazione di questo canto.
Il canto romano antico si trova al crocevia della musica nella tarda antichità e nel medioevo,
riflette un tempo - il primo millennio - in cui le Chiese di Oriente e Occidente avevano in comune
una stessa unità culturale e spirituale. Quindi, una riappropriazione di questo repertorio potrebbe
essere un elemento essenziale nella consapevolezza di un patrimonio e di un futuro liturgico che
le Chiese Orientale e Occidentale potrebbero condividere.
La conoscenza effettiva del romano antico induce anche una rivalutazione della storia del canto
ecclesiastico nel secondo millennio, non solo nella sfera della Chiesa latina, ma anche in quella
delle Chiese orientali. Pertanto, il canto romano antico dovrebbe occupare una posizione centrale
nell’attuale valutazione delle strategie musicale nella liturgia.
Michael K. Phelps (New York University)
Guillaume Du Fay’s Supremum est
In this paper I will discuss one of Guillaume Du Fay’s well-known motets, Supremum est, and its
place within the coronation liturgy celebrated in Rome on 31 May 1433, when King Sigismund of
the Romans was crowned Holy Roman Emperor by Pope Eugene IV. It has long been established
that the motet was first heard in either April or May of 1433. Beyond that, scholars are still engaged
in spirited debate about the specific occasion for which it was commissioned. The April proponents
believe it commemorates the signing of a treaty at Viterbo in April 1433 between King and Pope, an
occasion subsequently referred to by musicologists as the “Peace of Viterbo.” My research reveals,
however, that there was no such treaty and, more importantly, neither King nor Pope was resident
in Viterbo in April 1433. The May advocates favor a performance during the period beginning on
the 21st of May with Sigismund’s entry into Rome and his subsequent coronation ten days later. But
exactly when during these grand festivities Du Fay’s motet was sung has yet to be determined. This
is a complex matter because the coronation liturgy is now obsolete and the medieval liturgical space
in old St. Peter’s in which it occurred has been replaced by the present basilica.
My research shows that Supremum est was first heard during the actual coronation ceremony.
Evidence in support of this is found in contemporary 15th-century papal ordinals that preserve
the liturgy for an imperial coronation. They note specifically that after the papal singers (cantores)
have sung (decantata) the Kyrie and Gloria, they are then to interpolate (interpolata) a “cantilena”
while the pontiff is engaged in other liturgical actions. I also show that the motet’s text “for
peace“ and “for two great luminaries of the world,” was entirely appropriate for that moment
in the coronation liturgy and for that particular day, Pentecost Sunday. It was, in other words,
an occasion that surely would have called for extraordinary music composed by the Pope’s own
maestro di cappella.
Klaus Pietschmann (Johannes Gutenberg-Universität, Mainz )
Polifonia liturgica e simbologia politica nell’Italia rinascimentale
Una delle maggiori conquiste della musica quattrocentesca è rappresentata dalle sue qualità sensoriali;
lodate da molti contemporanei, queste caratteristiche venivano criticate severamente da circoli che
propagavano la riformazione della chiesa. La relazione si ravvicina questo discorso non dalla solita
prospettiva che considera soprattutto le posizioni umanistiche delle critiche, ma focalizzando una
– 32 –
serie di scritture teologiche sinora trascurate dagli storiografi della musica che si dedicano alla
trasformazione dei sensi nel paradiso. Questi testi di autori come Bartolomeo Rimbertini o Celso
Maffei offrono nuove prospettive per il ruolo della musica polifonica nel contesto della liturgia
rinascimentale. L’idea di una stretta relazione tra le capacità musicali dei santi e la loro posizione
nella gerarchia celeste può offrire una spiegazione per gli sforzi di molte corti Europee di arrichire
le loro funzioni liturgiche con il canto più rifinito possibile. Specialmente le critiche di questa
prassi musicale avanzate da Girolamo Savonarola dimostrano una forte sensibilità per il carattere
simbolico-politico di questo nesso.
Franco Piperno (Università di Roma “La Sapienza”)
Giulio Della Rovere e la rete di relazioni musicali fra Loreto, Urbino e Ravenna
L’intervento esamina forme coeve e parallele di patronato musicale poste in essere dal cardinal
Giulio della Rovere nella Santa Casa di Loreto (di cui fu protettore dal novembre 1564), nella cappella
della cattedrale di Ravenna (di cui fu titolare dal febbraio 1566) e nella cappella del SS. Sacramento
del duomo di Urbino (di cui curò sempre gli interessi in quanto cardinale della locale signoria): tre
cappelle dalle caratteristiche e nature differenti sul piano gestionale e politico. Verranno esaminati
casi di circolazione di musicisti fra queste cappelle (e fra esse e le istituzioni musicali romane)
con conseguente ricaduta sulla disseminazione di repertori e pratiche esecutive. L’intervento discute
inoltre aspetti di carattere metodologico relativi allo studio documentario delle cappelle musicali del
Cinquecento ed al significato del patronato musicale per un cardinale ‘di famiglia’ (cioè appartenente
ad una delle dinastie governanti su uno stato autonomo) nell’Italia dell’età del Concilio di Trento.
Si dimostrerà come il controllo di tre distinte e diverse cappelle musicali permetta al cardinale di
porre in essere delle proficue sinergie volte ad ottenere il meglio da ciascuna di esse e a favorire
una intensa circolazione di musicisti – economicamente e gestionalmente vantaggiosa – in grado di
favorire processi di osmosi stilistica ed esecutiva fra le tre istituzioni. Inoltre le cappelle musicali di
Urbino, Loreto e Ravenna verranno indicate come simboli dell’eccellenza del cardinal d’Urbino in
quanto uomo del Rinascimento e in ciascuna di esse andrà visto il riflesso dell’ideale di eccellenza
cui egli tese in quanto committente musicale di quel tempo.
Mauro Pisini (PIMS)
È ancora attuale il rapporto tra musica sacra e latino?
L’intervento valuta la possibilità di recuperare, in modo nuovo e originale, l’uso vivo del latino
nell’azione liturgica, sia alla luce dei documenti conciliari, sia in funzione dei profondi cambiamenti
storici, sociali, culturali, intervenuti nella Chiesa cattolica, in rapporto a se stessa e alla comunità
dei credenti, negli ultimi trent’anni. In questa prospettiva, l’autore spiega come proporre inni,
preghiere, antifone in latino ai fedeli, durante la S. Messa, come affrontare i testi antichi e come
rapportarsi a quelli moderni. Particolare attenzione é riservata ai testi contemporanei e alla loro
realizzazione musicale, in cui si sottolinea il legame privilegiato che intercorre tra questi due
linguaggi, capaci di rinnovarsi, l’uno sull’altro, da una posizione di extratemporalità che si colloca
perfettamente nel tempo interiore della preghiera.
Raffaele Pozzi (Università di Roma Tre)
Le Orationes Christi e l’umanesimo religioso di Goffredo Petrassi
Goffredo Petrassi (Zagarolo, 1904 – Roma, 2003) compone le Orationes Christi per coro misto,
ottoni, viole e violoncelli tra il dicembre del 1974 e il settembre del 1975. Dopo la cantata per coro
misto e orchestra Noche oscura del 1950-51, e un silenzio di circa venticinque anni, egli torna ad una
grande opera sinfonico-corale di ispirazione sacra. La relazione propone un’analisi di quest’opera
– 33 –
complessa nella quale il compositore affronta i tormenti di Cristo nel Getsemani, rivelando attraverso
la musica una religiosità convergente con le posizioni dell’umanesimo e dell’esitenzialismo cattolico,
una moderna cristologia musicale destinata all’uomo d’oggi.
Franz Karl Prassl (Kunstuniversität Graz)
Teologia liturgica e canto gregoriano
La Costituzione sulla Liturgia del Concilio Vaticano II definisce il canto gregoriano cantus
proprius della liturgia romana, poiché legato in modo particolare alle parole della liturgia: vale a
dire esprime con i mezzi della musica ciò che fissa il contenuto teologico dei canti della messa.
Con la musica viene rappresentato cosa noi crediamo ed anche come crediamo. Questo stretto
legame della musica liturgica e della fides, quae creditur, come pure della fides, qua creditur,
diviene in primo luogo evidente sia nella sua pienezza sia nei particolari nello studio della
semiologia gregoriana. I segni più antichi del repertorio della messa nel X secolo nelle differenti
forme della notazione neumatica mostrano in modo molto compatto che per mezzo di una musica
di altissima qualità artistica viene soprattutto “elaborata” fede crstiana al più alto livello estetico:
l’esperienza dell’incontro con il Dio vivente e con il suo rapporto con l’uomo che risana e salva,
l’anamnesi del Mysterium Christi e del suo significato per la Chiesa e gli uomini in essa oggi. Nel
cantare il gregoriano sperimentiamo il Mysterium Christi come attuale; il gregoriano costituisce
un “aggiornamento” dell’annuncio di Gesù Cristo, valido in tutti i tempi e non legato a cultura
alcuna, ma capace di dispiegare dappertutto e in ogni tempo la sua forza estetica e spirituale.
Presupposto per il riconoscimento di questi rapporti è, accanto allo studio dei neumi e del loro
significato, anche la conoscenza dei principi dell’esegesi della patristica e del medioevo, questo
modo particolare dell’interpretazione che indaga sul poliedrico senso della Bibbia, poi tradotto in
forme musicali e fatto risuonare. Canto gregoriano quale esegesi della Sacra Scrittura risuonante
nel canto: questo il modello permanente del gregoriano per tutte le altre forme di musica sacra.
Tutto ciò verrà mostrato attraverso esempi concreti.
William F. Prizer (University of California, Santa Barbara)
Court Piety, Popular Piety: the Lauda in Renaissance Mantua
Despite their interest in Italian Renaissance patronage, music historians have rarely emulated
cultural historians in extending their enquiries beyond the circles of the patriciate to popular
culture. In fact, there are obvious problems with such an attempt, since the preserved repertories
represent for the most part products intended for the cultural elite. In Italy, however, there is
one repertory that represents the tastes of patrons from the artisan culture: the lauda, the Italian
devotional song, generally in the vernacular.
Mantua, in southern Lombardy, offers a particularly instructive example of the lauda of both the
patrician and the popular cultures. In fact, there are two distinct repertories of laude there. The first is
the body of laude by Mantua court composers published in Petrucci’s Laude, libro secondo (1508).
Included in this publication are some eighteen laude by composers like Bartolomeo Tromboncino
and Marchetto Cara, both in the employ of the reigning Gonzaga family. These works are for four
or more voices and follow the fixed poetic forms of poesia per musica of the day: barzelletta,
strambotto, capitolo, and sonnet. Seven feature texts written in the Latin of the Church. Petrucci’s
laude are clearly patrician adaptations of the originally artisan genre.
There is, however, another repertory of laude from Mantua: the nine included in Paris, Bibliothèque
Nationale, MS Rés. 676, a manuscript copied in the city in the fall of 1502. These laude differ strongly
from those in Petrucci’s book: they are much simpler, often for two or three voices instead of four;
they only loosely follow the fixed poetic forms of the court laude; they are not set to a purely Latin
text; and they often betray traces of Mantuan spellings and even dialect words.
This paper argues that the laude in Paris 676 were the products of the artisan culture, precisely
– 34 –
of the nine confraternities of disciplinati active in Quattrocento Mantua. Through unpublished
documents, it examines these confraternities and their use of the lauda and demonstrates the ways
in which the laude of Paris 676 functioned in their services and processions. The Mantuan laude
are thus clear cases of the patterns of patronage and function determining the nature of the art work,
and of the interpenetrations of the patrician and popular cultures. The presence of the flagellant
confraternities in Mantua and their singing of laude afford the music historian a richer, enhanced view
of the city’s society and its music. It demonstrates, too, that our single-minded concentration on the
products of the high culture deprives us of an important facet of musical life that is worthy of study
both in itself and for its effects on the music of the elite.
Abel Puig i Gisbert (PIMS)
Le funzioni musicali delle cappellanie Moretti, Sacchetti, Sonanti e Soriano in Santa Maria
Maggiore a Roma dalla loro fondazione al 1759
La capella era una institució fundada per testament a través de la qual el fundador conferia al
Capítol la capacitat d’erigir un nombre determinat de capellans amb una sèrie d’obligacions i amb
una assignació monetària fixa pels seus servicis, entre els quals figurava l’obligació d’assistir al
cor i als oficis divins.
Considerarem les capellanies fundades -Moretti, Sacchetti, Soriano i Sonanti, que son les que figuren en
la documentació- les quals tenien alguns trets en comú: d’una banda, alguns dels capellans havien de ser
versats en música i, de l’altra, els noms d’aquestos apareixen a les llistes de pagament dels cantants de la
capella musical de la Basílica de Santa Maria Maggiore a Roma.
Dos amplis documents d’arxiu, Stato Generale 1759 i la Historia Basilicae Liberianae S. Mariae
Majoris de G. Bianchini publicada a Roma al 1764, ens ajudaran a traçar la història al voltant d’un
segle de vida d’aquestes institucions, imprescindibles per completar l’estudi del funcionament
musical i econòmic del Capítol.
Colleen Reardon (University of California, Irvine)
Liturgical Drama, Sacred Opera, and Oratorio in Siena, 1675-1710
During the last third of the seventeenth century, the Sienese began to mount operatic productions in their
city on a regular basis. As my forthcoming book will show, the productions often featured members of
the nobility in various roles-as impresarios, hosts, supporters, and singers-with the intended purpose
of providing a unique “sociable moment” for the entire city. That same period witnessed a growth in
the number of sacred entertainments offered to the populace: liturgical dramas and at least one sacred
opera, most commonly staged in convents; and oratorio, offered in parish churches and by one of the
most prestigious institutions of learning for young men of the noble class in Tuscany, the Collegio
Tolomei. This paper offers an overview of these sacred entertainments and proposes that they, too,
often functioned primarily as sociable enterprises for the Sienese citizenry.
Christoph Riedo (Université de Fribourg)
La festa del Corpus Domini nel Duomo di Milano durante il Settecento
Il fondo musicale,conservato nell’Archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, è oggi
testimonianza concreta dello splendore musicale che ha ravvivato per secoli la chiesa Metropolitana.
Nel Settecento la musica liturgica era sempre eseguita a cappella ed era prevalentemente composta
in stile pieno, lo stile ecclesiastico che, grazie a una declamazione omoritmica e sillabica, garantiva
la massima percepibilità del testo liturgico, come prescritto dal Concilio Tridentino e come applicato
da San Carlo alla diocesi milanese. Se le composizioni in stile a cappella, osservate superficialmente,
sembrano essere caratterizzate da una generale uniformità stilistica, in realtà, a uno sguardo più
– 35 –
approfondito, rivelano tratti differenti. A conferma di tale varietà stilistica settecentesca, Giuseppe
Paolucci, nel suo trattato Arte pratica di contrappunto (Venezia, 1765), cita almeno cinque diversi
tipi di stile pieno. È inoltre noto come lo stile musicale sia in rapporto alla funzione liturgica della
celebrazione: in Duomo, ad esempio, i Gloria in pastorale o in piva, con melodie ‘pastorali’eseguite
dalla mano destra dell’organista, richiamano il contesto delle messe d’avvento, periodo che nel
calendario liturgico ambrosiano, durando sei settimane, riceve una particolare enfasi. Partendo quindi
della festa del Corpus Domini e sulla base dei documenti liturgici che si sono conservati (diari dei
cerimonieri, documenti del capitolo minore etc.),la relazione tenterà di ricostruire la musica destinata
alle varie festività e soprattutto di avviare un lavoro di assegnazione dell’enorme quantità di musiche
del fondo alla loro specifica funzione liturgica. L’obiettivo finale è quello di fornire un contributo
alla decodificazione del funzionamento interno del Duomo di Milano, che è proprio uno degli aspetti
affascinanti della Chiesa Ambrosiana.
Giancarlo Rostirolla (Università di Chieti)
Istituzioni e protagonisti della vita musicale sacra a Roma nell’anno della chiusura del Concilio
di Trento
Durante i lavori del Concilio di Trento gli echi riguardanti le disposizioni in materia di musica
sacra raggiunsero le cappelle musicali d’Italia. Nella mia relazione, circoscrivendo lo sguardo alla
città di Roma, intendo riferire alcuni dati sullo status e sui repertori di alcune delle più importanti
istituzioni musicali religiose nell’anno di chiusura dei lavori del Concilio.
Alessio Ruffatti (Université de Paris IV Sorbonne – Conservatorio di Vibo Valentia)
La ricezione francese della musica di Giacomo Carissimi: riflessioni a proposito dell’identità
culturale francese
La definizione di semioforo così com’è enunciata da Krysztof Pomian può aiutare a comprendere le
ragioni dell’intensa circolazione europea delle fonti musicali romane a cavallo tra Seicento e Settecento.
Il gusto (musicale) dei possessori di questi oggetti è solamente uno dei parametri che possono aver
determinato questo fenomeno. Un’altra motivazione probabile è il fatto che essi costituivano un segno
di appartenenza sociale per l’aristocrazia dell’epoca. Nel contesto europeo questo dato antropologico
ha un rapporto evidente con l’elaborazione del nascente concetto di nazione allora agli albori nel
dibattito culturale dell’epoca. Esso tra l’altro ne precede lo sviluppo propriamente politico, evidente
solo nel XIX secolo. Nella Francia del Grand siècle il processo di creazione e accentramento dello
stato nazionale si sviluppa anche attraverso l’osservazione della cultura degli altri popoli europei,
ed in particolare di quella italiana. L’unità d’Italia è ancora ben lontana, ma essa è ben presente
nell’immaginario degli stranieri che la visitano, alla ricerca di oggetti che possano rappresentarne
la cultura. Le fonti contenti musica italiana rappresentano dunque dei semiofori, cioè degli oggetti
capaci di rappresentare un immaginario invisibile ma significante. Nei documenti che ne testimoniano
la ricezione oltralpe essi sono infatti capaci di rappresentare ed evocare la musique italienne, vale a
dire le diverse culture musicali della penisola. Questo quadro interpretativo sarà riferito alle fonti
musicali francesi contenenti musica sacra romana di Giacomo Carissimi, un compositore considerato
nella Francia seicentesca come un’icona del goût italien.
Cesarino Ruini (Università di Bologna)
Mutamenti politici e trasformazioni della scrittura musicale: esperienze e proposte tra paleografia
e storia
Da circa mezzo secolo all’attenzione degli studiosi, il codice 123 della Biblioteca Angelica di
Roma (graduale della cattedrale di Bologna compilato intorno alla metà del secolo XI) si è rivelato
– 36 –
un prezioso e singolare documento della vita politica e culturale di una città che si apprestava a
divenire polo di riferimento per la civiltà europea. Nelle sue peculiarità liturgiche e rituali sono
rispecchiate le istanze di rinnovamento dell’ordine istituzionale e spirituale della società cristiana
messe in atto dagli imperatori della case di Franconia e Sassonia e sostenute dai vescovi bolognesi
Adalfredo (1030-1061) e Lamberto (1062-1074), paladini – insieme ai vescovi di Ravenna –
della politica imperiale in Italia. Dopo la sconfitta del partito filoimperiale, a conclusione delle
campagne militari connesse con la lotta per le investiture, e l’imposizione sulla cattedra episcopale
bolognese del vescovo Bernardo (1096-1104), fedele alla politica pontificia, del codice Angelica
123 venne redatta una copia aggiornata secondo le forme liturgiche più castigate e severe prescritte
dalla Riforma gregoriana (è l’attuale graduale dell’Archivio capitolare di Modena, O.I.13).
Gli effetti dei mutamenti politici e delle conseguenti politiche culturali sono riscontrabili, oltre
che nelle modifiche liturgiche e rituali, anche nell’adozione di diversi stili di scrittura musicale. A
tale proposito, si intende illustrare come la grafia musicale adottata nel redigere la copia il celebre
graduale sia quella su rigo guidoniano di derivazione umbro-toscana, una notazione collegata
all’espansione e al consolidamento in area emiliano-romagnola dell’opera di rinvigorimento
della disciplina ecclesiastica propugnata dal papa Gregorio VII e dai suoi successori. I neumi
adiastematici dell’antigrafo, al contrario, erano debitori di modelli di tipo germanico mediati da
Ravenna (è un’ipotesi in parte da verificare, ma in linea con la provenienza comprovata per altri
aspetti della cultura artistica confluita nel celebre graduale).
Come in altri casi, nella lunga storia della formazione del repertorio gregoriano, il successo e la
diffusione di particolari innovazioni non risiede unicamente in ragioni di ordine tecnico.
Heinrich Rumphorst (AISCGre)
Il trattamento dei testi della Sacra Scrittura da parte dei compositori del canto gregoriano come
espressione dell’interpretazione
Die Texte der gregorianischen Gesänge sind zum größten Teil der Heiligen Schrift entnommen,
was bedeutet, daß sie aus dem Zusamenhang der Schrift herausgenommen und in den neuen
Zusammenhang des jeweiligen liturgischen Anlasses versetzt worden sind. Dabei mußten sich die
Textkompilatoren bzw. Komponisten nicht an eine einzige lateinische Fassung halten - eine offizielle
Ausgabe gab es nicht - , sondern haben ausgewählt, einen neuen Zusammenhang hergestellt und
diesen ihrer theologischen Auffassung entsprechend melodisch und rhythmisch-agogisch gestaltet.
Die dafür notwendigen Umstellungen, Auslassungen und Ergänzungen zeigen in der jeweiligen
Komposition einen der Textfassung angemessenen und nachvollziehbaren Ausdruck.
Angelo Rusconi (Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra, Milano)
Il contributo dei teorici medioevali alla storia e alla prassi del canto liturgico: alcune riflessioni
Negli ultimi anni, ha avuto un notevole sviluppo tanto lo studio dei testi teorici medioevali quanto
lo studio interpretativo del canto gregoriano. Sembra tuttavia che alcune grandi questioni, nelle
quali i due filoni potrebbero essere messi in relazione, siano rimaste un po’ sullo sfondo, come se le
ipotesi oggi più comunemente accettate potessero essere date per certe e definitive. Anche alla luce
di alcuni recenti contributi di vari studiosi, vale la pena ripercorrere alcuni punti salienti sui quali la
discussione può essere riaperta o maggiormente approfondita.
Paolo Russo (Università di Parma)
Solennità e teatralità nella Messa da Requiem in Sol minore di Giovanni Simone Mayr
Dal 1802 e fino alla morte, Giovanni Simone Mayr dirige la Cappella musicale di Santa Maria
Maggiore a Bergamo. Gran parte della sua produzione è dunque dedicata alla musica sacra: un caso
– 37 –
raro nell’Italia musicale del tempo quando la direzione di una cappella musicale era considerata
una sorta di pensionamento dopo i meriti acquisiti in una vita prevalentemente dedita al teatro.
Per almeno vent’anni, invece, Mayr affianca alla cura della cappella ecclesiastica una intensissima
e prestigiosa carriera di compositore d’opera. Nonostante sia stata tramandata l’immagine di un
Mayr teso alla riforma e purificazione del canto liturgico, precursore delle istanze del movimento
ceciliano, per il compositore bavarese musica sacra e musica operistica erano due ambiti
perfettamente complementari della sua professione: entrambe dovevano esprimere sentimenti,
parole e situazioni sociali e intime («La melodia della preghiera … può esser ora flebile ora di
pentimento, ora incalzante ora confidenziale» ... «nella musica da chiesa, il compositore deve
esprimere il lamento di un’anima penitente, la gioia ed il giubilo, deve scegliere le cantilene adatte
al luogo al carattere della poesia»).
Le strategie teatrali e liturgiche si integrano dunque anche nelle sue opere sacre, soprattutto
se destinate a cerimonie particolarmente solenni, «più ricche di esterno apparato»: l’analisi di
alcune pagine della Messa da Requiem in Sol minore del 1815 (poi edita, pare, contro la volontà
dell’autore: Milano, Calcografia Cogliati-Crivelli, 1819) mostra come queste strategie si avvalgano
di un calibrato equilibrio formale tra sezioni tematiche e code enfatiche, tra vocalità virtuosistica
e scrittura osservata.
Daniele Sabaino (Università di Pavia)
La definizione del concetto di ‘musica liturgica’ nel dibattito post-conciliare
Il n. 112 della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium statuisce - com’è noto - che
«Musica sacra tanto sanctior erit quanto arctius cum actione liturgica connectetur». Tale
affermazione si pone per un verso in linea con il magistero precedente, e per un altro verso
introduce un parallelismo foriero di rilevanti conseguenze: se l’uso del sintagma «musica sacra»
colloca il dettato conciliare in continuità (quanto meno) terminologica con i documenti pontifici
e curiali sul tema dell’ultimo secolo, la correlazione «tanto sanctior . . . quanto artius» propone
invece, implicitamente, la categoria della liturgicità come elemento qualificante essenziale di una
musica che possa/voglia essere pienamente e appropriatamente integrata nella liturgia, l’azione
della Chiesa santa e santificatrice per eccellenza (cfr. SC, n. 7).
L’ermeneutica musicologico-liturgica post-conciliare si è quindi interrogata sia sull’origine e sulla
tenuta del sintagma «musica sacra», sia sulle note distintive che rendono possibile ed efficace la
suddetta integrazione tra musica e liturgia. Dopo una breve disamina delle implicazioni dei sensi
e delle opportunità d’uso della locuzione «musica sacra» nell’attualità musicologica e liturgica,
l’intervento si concentrerà pertanto sulla maniera in cui documenti ufficiali della Santa Sede,
documenti specifici di (Uffici di) alcune Conferenze Episcopali (soprattutto Italiana, Francese
e Statunitense) e documenti di associazioni di liturgisti, musicologi e musicisti (tra i quali
spiccano in primo luogo Musica - Liturgia - Cultura e La musica nelle liturgie cristiane prodotti
dal gruppo di studio internazionale Universa Laus) hanno progressivamente messo a fuoco il
concetto di ‘pertinenza rituale’ come la più significativa esplicitazione della ‘liturgicità’ richiesta
da SC. Ne risulterà, in conclusione, un’ermeneutica della sanctitas della definizione conciliare
come principio non (più) ontologico, bensì funzionale alle esigenze della liturgia rinnovata dalla
continuità della tradizione post-conciliare – principio funzionale che comporta, inevitabilmente
anche connotazioni estetiche da misurarsi, primariamente, sulla base dell’estetica liturgica
piuttosto che sulla base dell’estetica musicale.
Ramón Saiz-Pardo Hurtado (Pontificia Università della Santa Croce)
Joseph Ratzinger: teologia liturgica della musica sacra allo stato attuale
La proposta di Joseph Ratzinger svela nuovi criteri fondamentali per la comprensione della
musica liturgica. L’adeguata ermeneutica si raggiunge dal contesto complessivo della sua teologia
– 38 –
liturgica. Infatti, un approccio diretto ai suoi saggi prettamente musicali porta subito a uno sguardo
più ampio. L’autore stesso propone la rilevanza di una tale visione come si riscontra dal modo
in cui i suoi saggi compaiono raggruppati nella pubblicazione della sua Opera omnia: in primo
luogo, i saggi musicali sono annoverati nel volume undicesimo, intitolato Teologia della Liturgia;
in secondo luogo, lo stesso volume si divide in cinque parti, delle quali una è dedicata alla musica,
con il titolo Teologia della musica sacra; infine, le questioni riguardanti la musica sono presenti
anche nelle altre parti del libro.
Presentiamo sinteticamente alcuni punti cardine di tale contestualizzazione con lo scopo di portare
l’attenzione su questo aspetto.
Giovanni Salis (Uiversità di Bologna)
Scelte devozionali nelle musiche per la processione notturna con misteri del Venerdì Santo dei
Barnabiti (Milano 1587)
A partire dal 1587 i Barnabiti organizzarono a Milano, la notte del venerdì santo, una solenne
processione notturna con misteri, che andava a toccare le principali vie e chiese milanesi. La
processione barnabitica è una drammaturgia devozionale che, con un complesso uso di svariati
elementi artistici e religiosi, vuole ri-presentare al fedele il fatto religioso da meditare (la passione
di Cristo) e commuoverlo al fine di convertirlo.
Di questo rito paraliturgico si conserva una significativa testimonianza in alcuni documenti
conservati nell’Archivio Storico dei Barnabiti di Milano. Si tratta in gran parte di documenti musicali
(indicazioni per i cantori e i compositori e un buon numero di composizioni per doppio coro), che ci
testimoniano la grande importanza che la musica doveva avere nella processione.
Scopo del mio intervento è quello di illustrare come questa notevole presenza musicale è
direttamente legata alla drammaturgia devozionale della processione stessa. Dalla scelta dei
testi da musicare alla disposizione spaziale dei vari gruppi corali, dall’uso della policoralità al
modo in cui i compositori intonano alcune parole chiave, la musica è sempre tesa a instaurare
una sorta di dialogo con i partecipanti alla processione, li interpella in vari modi e, similmente
ad altre esperienze devozionali del periodo (come i sacri monti o i numerosi libretti devoti di
meditazione sulla Passione), cerca di porre in maniera concreta il fedele davanti all’avvenimento
che sta in qualche mondo riaccadendo davanti ai suoi occhi: la passione e morte di Cristo per la
sua salvezza, oggi.
Thomas Schmidt-Beste (Bangor University)
24 cantori, un solo libro: la “mise en page” nei libri musicali del Fondo Cappella Sistina
In a choirbook with polyphonic music, all singers have to read from one single source at the same
time. This simultaneity of reading – unique in sources of the medieval and early modern period
– demanded of the music scribes very high and very specific skills of co-ordinating and aligning
information on the written page or page-opening. The large choirbooks of the Papal Chapel
offer a particularly rich field of enquiry in this regard as they represent an unbroken tradition of
manuscript production from the late 15th to the late 16th century. This paper will trace the ways in
which the layout of the Papal Chapel choirbooks evolved over time to take into account changes
in ensemble size, function, repertoire selection and performance.
Christian Speck (Universität Koblenz-Landau)
Policoralità nell’oratorio romano nel Seicento
La policoralità romana del Seicento è principalmente legata alla musica sacra della città. Tuttavia
non esistono studi di questo tipo inerenti all’Oratorio. Essi potrebbero far luce sul rapporto tra
– 39 –
musica sacra e musica composta per gli Oratori. Per tale motivo è necessario indagare in che modo
la policoralità fosse utilizzata quale metodo compositivo negli Oratori e quale funzione avesse. Nella
relazione saranno presentati, fra gli altri, i risultati delle ricerche su composizioni di Domenico
Mazzocchi, Marco Marazzoli, Giacomo Carissimi e Francesco Foggia.
Carlida Steffan (Istituto Superiore di Studi Musicali, Modena)
“...per i compositori di musica e per i predicatori...”. Testimonianze ed osservazioni sul rapporto
tra predicazione e composizioni paraliturgiche nel Sei-Settecento
Il repertorio della musica sacra del Sei-Settecento è stato in larga parte (ri)considerato sulla base
della funzionalità assolta all’interno del palinsesto liturgico o paraliturgico. Più complessa invece
la focalizzazione della sensibilità e delle strutture mentali religiose nel mondo cattolico, che
necessita di allargare la ricerca oltre le disposizioni emanate dalla chiesa (centrale o locale) in
materia liturgica e le consuetudini rituali. La letteratura devozionale è preziosa a tal proposito, al
fine di indagare sulla “mentalità” recettiva degli ascoltatori, nutriti, almeno in parte, di letture in
grado di orientare l’ascolto della musica sacra entro un contesto di fruizione spettacolare e non
partecipativa. Per focalizzare, anche in ambito musicale, l’immaginario antropologico del “sacro”
si dimostra efficace l’ampio serbatoio di letteratura omiletica giunto attraverso un considerevole
numero di stampe, le quali raccolgono i lavori esibiti sui pergami dai grandi attori della predicazione,
appartenenti agli ordini religiosi italiani e stranieri. La predicazione abilitava gli ascoltatori – o almeno
buona parte di essi – ad una grande capacità immaginativa e di conseguenza a trascendere l’esperienza
emotiva contingente e proiettare in una visione altra la musica ascoltata.
In un numero significativo di casi i testi omiletici fanno riferimento diretto a precise performances
musicali oratoriali (così per i “sepolcri” in ambito viennese) od altri contesti paraliturgici (Santa
Maria del Suffragio a Milano). Questo consente di affinare gli strumenti ermeneutici per una
corretta interpretazione del testo musicale e delle sue funzionalità. I mottetti solistici, fruiti da inizio
Settecento nell’ambito degli Ospedali veneziani, condividono altri punti di contatto con prediche
e quaresimali coevi: la costante oscillazione tra sacro e profano e l’autonomia del significante
(esibizione di stile e grammatica del coevo codice teatrale nei mottetti /esibizioni di metafore,
meraviglie, paradossi nei testi omiletici). Prospettiva di cui bisognerà tenere conto nel rileggere la
problematica contrapposizione storiografica fra sacro e profano per l’epoca in questione.
Nicola Tangari (Università di Cassino - PIMS)
Particolarità liturgico-musicali di un graduale di Santa Maria Maggiore a Roma
Il Museo della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma conserva un graduale manoscritto di
grande interesse. Il codice, databile all’inizio del sec. XIV, proviene molto probabilmente dalla
Francia meridionale, in particolare dalla città di Avignone, così come è testimoniato dal contenuto
liturgico-musicale e dalla decorazione. Il repertorio è pressoché completo e comprende il proprio
del tempo e dei santi, il kyriale e un breve sequenziario.
L’intervento si sofferma su una serie di particolarità cultuali attestate da questo manoscritto. Tali inedite
peculiarità sono ulteriori testimonianze della prassi liturgico-musicale della Chiesa trecentesca.
Rodobaldo Tibaldi (Università di Pavia)
Appunti per una storia del responsorio polifonico tra XV e XVI secolo: diffusione e trasformazione
di un genere
Uno dei generi presenti fin dagli inizi della formazione di repertori polifonici è costituito dal
responsorio, attestato prevalentemente in area francese centro-settentrionale (Parigi, Chartres,
Fleury) e ancor prima in area inglese (Tropario di Wincester); dopo il XIII secolo sembra
– 40 –
improvvisamente perdere di importanza per ricomparire in misura considerevole intorno alla metà
del XVI secolo.
La relazione si propone di delineare le linee principali dello sviluppo del genere ‘responsorio
polifonico’ nel periodo che va dalla seconda metà del Quattrocento al Cinquecento, la sua diversa
incidenza nella prassi compositiva (ma anche esecutiva) e il progressivo cambiamento del suo ruolo e
della sua funzione all’interno della polifonia liturgica, soprattutto in ambito continentale.
Verranno presi in esame singoli casi ritenuti particolarmente significativi e si tenterà di delineare
una mappa anche geografica compilata sulla base del contenuto e della provenienza dei principali
manoscritti del XV-XVI secolo, nonché delle prime edizioni a stampa.
Maria José de la Torre Molina (Universidad de Málaga)
Celebrations for Heroes: Urban Music and Liturgy during the Peninsular War, 1808-1814
Esta ponencia tiene como objetivo principal estudiar la presencia, las características y las funciones
asumidas por la música religiosa en las grandes celebraciones públicas que tuvieron lugar en
España durante los años de la llamada Guerra de la Independencia (1808-1814), tanto en los
territorios dominados por el Ejército hispano-británico, como en los territorios controlados por
el Ejército francés. En mi estudio contemplaré el análisis de algunas de las obras que sonaron en
las fiestas, pero no desde una perspectiva internalista, sino siempre en relación con los propósitos
ceremoniales, ideológicos y propagandísticos que estas composiciones pudieron cumplir. De
manera coherente con este planteamiento, el análisis de estas funciones se pondrá en relación con
la concepción y expectativas cifradas tanto en la música –considerada de manera genérica– como
en las celebraciones en las que se interpretó. La ponencia incluirá reflexiones sobre el aparato
ideológico-propagandístico desarrollado por los bandos combatientes durante la contienda y el
papel de la música en ese entramado. Se incidirá además en aspectos de tipo metodológico y
se ofrecerán conclusiones e hipótesis basadas en un amplio abanico de fuentes, algunas de ellas
tradicionalmente poco empleadas en los estudios musicológicos.
Paolo Valerio (CNR)
Giovanni Maria Sabino e la Scuola musicale napoletana
Giovanni Maria Sabino nasce a Turi (Bari) il 30 giugno 1588 da una famiglia benestante che non
ha rapporti parentali con i Sabino di Lanciano, in quanto i Sabino turesi sono presenti in questo
piccolo centro agricolo già dalla seconda metà del XV secolo. Nel 1602, dopo aver ricevuta la
prima tonsura nella Chiesa Collegiata dell’Assunta di Turi, si trasferisce a Napoli a studiare musica
con don Prospero Testa quasi certamente grazie all’interessamento dei Moles, baroni spagnoli signori
del feudo di Turi, che lo introducono nel contesto nobiliare napoletano (cosa che la sua famiglia non
sarebbe stato in grado di fare) tanto che entra nella cerchia dei musicisti (il più giovane) vicini a Carlo
Gesualdo principe di Venosa. Primo Direttore del Conservatorio della Pietà dei Turchini, poi passa
alla Reale Cappella di S. Barbara nel Castel nuovo di Napoli, poi è dai Filippini (conosciuti col
nome di Girolamini) ed infine è all’Annunziata come Maestro di cappella e insegnante di musica
delle monache novizie del monastero annesso. Sabino segna il passaggio dal Rinascimento al
barocco a Napoli grazie a connessioni dirette con Monteverdi di cui ne divulga lo stile e le musiche
(opinione condivisa da Paolo Fabbri nella sua monografia). E’ il primo musicista napoletano ad
apparire in antologie veneziane insieme al musicista cremonese. Con Sabino nasce una catena
di maestro allievo che permette il diffondersi di questo nuovo stile musicale nel fertile ambiente
musicale napoletano con i risultati che tutti quanti ben conosciamo. Gli vengono attribuiti come
allevi: Giovanni Salvatore, Francesco Provenzale, Filippo Coppola, Gregorio Strozzi.
I suoi rapporti con Turi rimangono sempre vivi: nel 1610 diviene cappellano col titolo di Abate del
Beneficio di San Giacomo Apostolo il cui diritto di patronato è di pertinenza della sua famiglia, oltre
a rimanere membro per tutta la vita del Capitolo della Chiesa Collegiata. Nel 1631 viene nominato
– 41 –
canonico della Reale Chiesa di San Nicola di Bari con nomina del Consiglio Collaterale di Napoli
(organo che rappresentava la Corona di Spagna). Notizie inedite su Antonino Sabino, riportato
come fratello, invece trattasi di nipote. Le sue musiche, presenti solo nell’archivio musicale dei
Girolamini, sono di particolare bellezza e interesse. Anche per Francesco Sabino, altro nipote, di cui
si supponeva fosse nato a Napoli, è stata accertata la sua nascita a Turi e la sua vicenda familiare che
lo ha portato, nel 1630, a Napoli a studiare nel Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo.
Jean-Pierre Whitfield (Université de Paris IV Sorbonne)
Les Pastorales sur la Naissance de Notre Seigneur Jésus Christ (H. 483 et H. 483) et David &
Jonathas (H. 490): de rares exemples en France d’oratorio volgare
Cette communication s’efforce de démontrer que le genre de l’oratorio en langue vulgaire (oratorio
volgare), rare en France, a néanmoins existé dans l’œuvre de M.A. Charpentier sous l’égide de la
pastorale. Fort de son séjour à Rome, de l’impulsion des Jésuites qui «ont fait de l’oratorio un outil
de propagande» (Bukofzer), le musicien a su adapter au goût français et à l’absolutisme quelques
«œuvres spirituelles» mais toujours fidèles à l’esprit de l’Ame et du Corps en représentation.
Il serait temps de replacer dans leur vraie perspective, celle de la Contre-Réforme, ces œuvres
de Charpentier, musicien par le passé trop souvent «oublié». Nous verrons alors que David &
Jonathas, l’un des sommets de son art, avec ou sans mise en scène, reconsidéré dans le contexte
qui lui convient, celui d’un exercice spirituel, didactique, doit compter aujourd’hui, aux côtés des
drames sacrés de Haendel, parmi les plus beaux oratorios de l’époque baroque.
Pietro Zappalà (Università di Pavia)
La musica sacra di Amlicare Ponchielli
Il nome di Amilcare Ponchielli è sempre stato collegato al mondo del melodramma e mai a quello
della musica sacra, se non per gli ultimi anni di vita, quando fu maestro di cappella a Bergamo.
Anche in questo caso, tuttavia, a fronte di pochi riscontri biografico-documentari, poco o nulla
si è indagato sulle musiche da lui composte. Un accurato censimento dei manoscritti noti e di
numerosi altri comparsi solo di recente, oltre a una migliore conoscenza delle sue lettere e di altro
materiale documentario, consentono di sostenere che Ponchielli ebbe modo di occuparsi di musica
sacra sostanzialmente lungo l’intero arco della sua vita artistica. Questo intervento costituisce una
prima ricognizione dell’incidenza della musica sacra nella vita del compositore cremonese ed
intende focalizzare l’attenzione su alcuni momenti meglio definiti: il periodo in cui svolse attività
di organista (1854-1860), la composizione di un Gloria e Credo (1860), la composizione e la
cura musicale di alcune funzioni liturgiche (1866-67), ulteriori attività compositive (1869-1872),
ed anche il periodo bergamasco (1882-1886) che può essere meglio precisato rispetto a quanto
noto fino ad ora. Per una parte dei manoscritti, tuttavia, è difficile stabilire una collocazione
cronologica e una adeguata contestualizzazione, e saranno necessari approfondimenti ulteriori,
come per esempio per alcune composizioni destinate alla liturgia ambrosiana.
Agostino Ziino (Università di Roma “Tor Vergata”)
San Vitaliano papa e la musica
A san Vitaliano, nato a Segni, papa dal 657 al 672, la tradizione attribuisce numerose innovazioni
nel campo della musica sacra, tra le quali quella dell’impiego dell’organo nella liturgia.
Attraverso un’analisi comparata delle fonti e dei vari testimoni l’autore cerca di dimostrare che
questa molteplicità di interventi nel settore della musica sacra attribuita a san Vitaliano dipenda
principalmente dalla diversa idea di “musica” che nel corso dei secoli hanno avuto i vari scrittori
che si sono occupati del rapporto di san Vitaliano con l’arte dei suoni.
– 42 –
Tavola rotonda
La musica nella comunicazione religiosa: testi e immagini
Chairman: Franco Alberto Gallo
Il tema di questa sessione di studi è complesso per due ordini di ragioni. Da un lato perché tratta
non solo della musica eseguita, ma soprattutto della documentazione verbale e visiva attraverso
cui la musica è comunicata. Dall’altro perché tratta di casi finora poco indagati di comunicazione
religiosa rivolta a persone appartenenti a culti e fedi diverse.
Se la documentazione esistente ha suggerito di restringere l’ambito cronologico prevalentemente
agli inizi dell’Età moderna, la prospettiva adottata ha invece consentito di considerare in maniera
globale i cinque continenti.
Paola Dessì (Università di Bologna)
Musica nell’attività missionaria di Matteo Ricci. i doni sonori per l’imperatore Wanli
La comunicazione religiosa di Matteo Ricci è anzitutto “comunicazione dei saperi” che mira
a raggiungere tre fini principali: «promuovere la costituzione di una società umana più ampia e
solidale […], ottenere credito nei confronti della classe intellettuale cinese […], accrescere, grazie
all’autorità acquisita nelle scienze, anche il valore della religione praticata in Occidente» (Mignini,
2010). Si tratta «di un impegno profuso nella trasmissione di scienze, tecnologie e arti occidentali»,
in cui anche la musica – intesa nell’accezione più ampia di evento sonoro (Gallo, 2010) – gioca un
ruolo da protagonista. Strumenti musicali e orologi diventano così donativi sonori per l’imperatore
Uanli, in-animati ambasciatori d’Occidente nell’Impero del Drago.
Già nel 1583 il regalo di un orologio meccanico al viceré del Guangdong aveva assicurato a Ricci
e al confratello Michele Ruggeri la residenza nella città di Zhaoqing, ossia la prima casa/chiesa da
dove avrebbe preso inizio il progetto di evangelizzazione del Paese di Mezzo.
Così 18 anni dopo, nel 1601, gli orologi – straordinarie «campane che suonano da sole» - e il
«gravicembolo, cosa mai vista nella Cina» saranno i doni che permetteranno a Matteo Ricci, e agli
altri Padri coinvolti nell’avventura, di recarsi all’interno della Città proibita anche tutti i giorni, nella
perseveranza di ottemperare all’ordine impartito dal P. Alessandro Valignano, superiore generale
delle missioni della Cina e del Giappone, sin dal 1577: raggiungere la corte e convertire l’imperatore
o, quantomeno, ottenere un permesso di libera predicazione del cristianesimo.
A questo progetto vanno ricondotte anche le Otto canzoni per clavicembalo occidentale, «voltate
in lettera cinese» su richiesta degli eunuchi, «compositioni brevi» che Ricci affermava fossero le
uniche da lui conosciute e sulle quali si era esercitato.
Donatella Restani (Università di Bologna)
“L’altra musica dei paesi stranieri alla Cina”: prime ricerche sui testi del gesuita Giulio Aleni
(1582-1649)
Una ventina di anni fa, nel penultimo capitolo dell’ Altra musica (Milano, 1991), Roberto
Leydi poneva la questione metodologica dell’importanza sia per l’etnomusicologia sia per la
musicologia di studiare non solo i rapporti del nostro mondo musicale con le musiche “altre”, ma
anche le relazioni tra queste e quelle europee. Infatti era convinto che i due processi siano due
aspetti del medesimo fenomeno e che pertanto vadano proiettati sullo sfondo di un’unica vicenda
storica. Per esempio, nello studio dei primi momenti della penetrazione musicale occidentale
in Cina, l’etnomusicologo riportava l’attenzione non agli influssi musicali dell’età coloniale,
bensì alle trasformazioni seguite all’arrivo di gesuiti francesi che dal 1679 insegnano arie
europee sul clavicembalo e all’organo alla corte imperiale a Pechino. Alla luce di tale prospettiva,
questo intervento intende soffermarsi sulle questioni relative al significato degli eventi sonori nella
– 43 –
comunicazione religiosa, in particolare alle esperienze delle prime schiere di missionari italiani penetrati
in Cina già all’inizio del Seicento. Si darà conto in particolare di ricerche avviate di recente sugli scritti
di Giulio Aleni (Brescia, 1582- Fukien,1649), missionario in Cina della prima generazione successiva
a quella di Matteo Ricci. Se da oltre una ventina di anni storici, geografi, sinologi e filosofi europei e
cinesi dedicano studi e traduzioni agli scritti di Aleni, tuttavia la loro conoscenza è stata sinora limitata
agli orientalisti e agli specialisti delle scienze religiose. Questo intervento si propone di considerare, per
la prima volta sub specie musicae e soltanto per exempla, due opere ora disponibili anche in italiano,
Geografia dei paesi stranieri alla Cina (1623, trad. it. 2009) e Commento e Immagini della Incarnazione
del Signore del Cielo (1637, trad. it. 2010). Rispettivamente di genere scientifico l’una e religioso l’altra,
la loro lettura suggerisce nuove domande allo storico della musica: sull’interesse che gli ambienti colti
cinesi del XVI secolo avevano per la musica europea, sulle motivazioni con cui Aleni propone eventi
sonori e musiche europee e sul significato che essi potevano avere per la comunicazione religiosa.
Lionel Li-Xing Hong (Fu Jen Catholic University, New Taipei)
Catholic Music in Seventeenth and Eighteenth Century China. A Study from a Liturgical
Perspective
During the late Ming and early Qing period, sacred music, which functions as one of the means of
evangelization, was introduced to China with the growing number of European missionaries. These
priests opened a new page of evangelical activities for a span of nearly two hundred years and there
was no lack of missionaries who had both musical talent and training to work in China. When the
doctrine of Christian faith and practice of sacred music slowly took root in China, some sacred
music with Chinese text was written. The Xiqin quyi of Matteo Ricci, SJ (1552-1610) is a famous
early example; Chinese poet Wu Li (1632-1718) wrote his Tianyue zhengin pu (1710), which makes
him a pioneer in the composition of Chinese sacred music with Chinese musical style. French Jesuit
Fr. Joseph-Marie Amiot, SJ (1718-1793) compiled the musical scores of Chinese sacred music,
Shengyue jingpu (Musique Sacrée, 1779), which has the French subtitle Recueil des principales
prières mises en musique chinoise, then sent them back to Europe. Grounded upon writings of Amiot
and his contemporaries and the concept of Western Sacred Music, this paper examines Shengyue
jingpu in order to investigate the relationships between the musical features, the verbal texts and the
liturgical practice of the time. The author further probes into the Catholic missionary strategy behind
these “inculturated” musical works with cross references to the works of Matteo Ricci and Wu Li.
Daniela Castaldo (Università di Lecce)
Le rappresentazioni della danza di Miriam (Esodo 15:20-21)
Le immagini hanno sempre ricoperto un ruolo di primaria importanza nella comunicazione religiosa
che spesso ha fatto ricorso al mezzo visivo per raccontare in modo immediato e diretto le storie delle
sacre scritture, rendendo accessibili al più largo pubblico anche i concetti più complessi.
In questo intervento ci soffermeremo sulle rappresentazioni della danza di Miriam per ringraziare
Dio dopo il prodigioso attraversamento del Mar Rosso, un episodio raccontato nel libro dell’Esodo
(15: 20-21) e spesso illustrato, fin dall’XI secolo in Bibbie, Salteri ed Haggaddah ebraiche. In
particolare, ci soffermeremo sulle rappresentazioni più recenti di questo tema che artisti come
Giotto, Lorenzo Ghiberti, Lorenzo Costa, Luca Giordano e, in area fiamminga, Jan van den
Hoecke e Hans Jordaens proposero in affreschi, statue e dipinti e cercheremo di comprendere
quale messaggio comunichino e quale significato vengano ad assumere nei cicli iconografici, non
sempre di ambito sacro, realizzati tra il XIV e il XVII secolo.
– 44 –
Nicoletta Guidobaldi (Università di Bologna)
La muta eloquenza dei suoni dipinti: prime indagini sulla raffigurazione di musiche sacre e
devozionali nell’iconografia del Cinque e Seicento
In alcuni importanti scritti sull’immaginario cinque-seicentesco, Marc Fumaroli ha individuato
nella Retorica – come arte comunicativa per eccellenza, in grado di far vedere l’invisibile, di
istruire e di convincere - una chiave di lettura essenziale per la comprensione dei nessi che legano
immagini verbali e figurative, e dunque per l’interpretazione dello strumentario simbolico comune
a pittori, retori e predicatori del tempo.
Nella definizione di immagini elaborate a partire non solo dai trattati di emblematica e di
mitografia, ma dai manuali di predicazione, la presenza di riferimenti a strumenti, prassi esecutive
e in particolare a composizioni identificabili, si carica di peculiari valenze che sono ancora, in larga
misura, da indagare, sullo sfondo di una ricognizione complessiva sul ruolo delle rappresentazioni
di musica liturgica e spirituale nella produzione artistica, e più ampiamente nell’ambito della
comunicazione di insegnamenti, precetti, temi di meditazione connessi alla spiritualità cattolica
all’inizio dell’età moderna. In questa breve comunicazione, che presenterà i primi esiti di una ricerca
attualmente in corso su questa vasta tematica, verranno illustrati alcuni dei molteplici significati che
le raffigurazioni di pagine musicali riconducibili a specifici repertori musicali possono esprimere -in
relazione ai contesti iconografici e alle specifiche esigenze della committenza- impreziosendo ed
amplificando anche in direzione sonora la retorica silenziosa di figure e gesti dipinti per “movere,
docere, persuadere”.
Eliana Teresita Cabrera Silvera (Università di Bologna)
Sonido y silencio en la conquista espiritual de la América Latina del siglo XVII
Tomando como punto de partida la Conquista Espiritual de Antonio Ruiz de Montoya (1639), se
analizará el papel de los sonidos en los relatos de la evangelización latinoamericana en el siglo
XVII y, particularmente, su función en la narración de sucesos maravillosos. El ruido intenso,
el silencio absoluto, el canto, se convertirán en manifestación de entidades sobrenaturales. La
audición servirá a su vez a demostrar la actitud de receptividad de estos fenómenos por parte
de los fieles, una audición que será sucesivamente obstaculizada o favorecida por esas mismas
fuerzas con el fin de interferir en la actividad misionaria. La escucha de la palabra de los religiosos
será además alterada, según el testimonio de los mismos misionarios por la visión por parte de los
indígenas de una conducta contradictoria, con frecuencia en contraste con la predicación cristiana,
de los colonos europeos.
Jann Pasler (University of California, San Diego)
Sacred music in the African missions. Gregorian Chant, Cantiques, and Indigenous Musical
Expression
Since Saint Francois Xavier used music to combat heresy in the 16th century, music has played
an important role in catholic missions. And yet scholars have never looked at exactly what music
was performed and in which contexts. In Africa, missionaries have reported on performances of
Dumont’s Mass by hundreds of singers, such as in Tanganika in 1911 and a Te Deum sung by 8000
in Uganda in 1920, but also the use of tambours to call people to prayer.
This paper will examine the ongoing presence of plainchant sung in Latin as well as cantiques sung in
indigenous languages in the 19th and 20th centuries (e.g. Wolof, Gabonese, Doala, Malgache, Yoruba,
Rundi), some of them set to local airs. It will compare the repertoire in these volumes used by such
missionaries as the Peres Blancs and the Peres Spiritains, seeking to understand what music was
performed both across cultures and over time (1870s-1950s). It will also discuss the impact of various
20th-century papal edicts (Moto Proprio, encyclical of 1955, Vatican II) and of European congresses
– 45 –
(1922 and 1957) on music, catechism, and liturgy in African contexts, from African as well as
European perspectives. Finally, it will show examples of new Masses written for or by Africans in
Oubangui (1948), Burundi (1970), and Senegal (1970).
***
Tavola rotonda
La musica sacra: prospettive pedagogico-didattiche del PIMS
Chairman: Giuseppina La Face Bianconi
Partecipano: Paolo Cecchi (Università di Bologna), Federico Del Sordo (Conservatorio di RomaPIMS), Maria Luisi (Università di Bologna), Walter Marzilli (PIMS), Mauro Pisini (PIMS),
Raffaele Pozzi (Università di Roma Tre), Silvano Presciuttini (PIMS), Daniele Sabaino (Università
di Pavia), Nicola Tangari (Università di Cassino-PIMS).
La tavola rotonda ha per tema il mandato pedagogico-didattico del PIMS, così come si è venuto
configurando sull’arco di un secolo. Questo mandato verrà considerato sotto due profili, distinti
ancorché collegati. Sul piano della Didattica, importa ragionare sulla selezione dei contenuti
disciplinari e sulla loro trasposizione. Sul piano della Pedagogia, la riflessione verte sul progetto
formativo complessivo: l’Istituto punta a formare personalità che, nella loro azione, si pongono al
tempo stesso come costruttori di cultura e suscitatori di spiritualità.
I contenuti disciplinari del PIMS non sono autoreferenziali, bensì al servizio della formazione.
Da un lato si richiamano a una tradizione artistica insigne come quella della Chiesa; dall’altro,
sono finalizzati alla formazione sia degli operatori sia, di riflesso, dei fedeli. Non vanno dunque
considerati in astratto, bensì nella prospettiva di una formazione che cerca la propria collocazione
nel vortice del mondo, là dove – tenuti fermi i valori della fede e della religione – ci si deve
confrontare con mutamenti rapidi, frequenti, repentini. In una società sempre più globalizzata,
anche il PIMS deve chiedersi che cosa conservare, che cosa migliorare, che cosa innovare nel
progetto didattico, ai fini della formazione di studenti che saranno presto operatori in un mondo
complesso, in tumultuosa evoluzione.
Docenti del PIMS e musicologi attivi nelle Università statali discuteranno insieme tali
problematiche.
***
Tavola rotonda
Musica e liturgia oggi. Il rito musicale cattolico nel mondo globalizzato
Chairman: Raffaele Pozzi
Partecipano: Salvatore Barbagallo (PIMS), Eduardo Binna (Pontificio Collegio Brasiliano, Roma),
Giovanni Filoramo (Università di Torino), Luigi Garbini (Chiesa di San Marco, Milano), Lionel
Li-Xing Hong (Fu Jen Catholic University, New Taipei), Giuseppe Lorizio (Pontificia Università
Lateranense, Roma), Enzo Pace (Università di Padova), Jeronimo Pereira Silva (Abbazia di Santa
Giustina, Padova), Anthony Ruff (Saint John’s University), Olivier Sarr (Pontificio Ateneo di
Sant’Anselmo, Roma).
La tavola rotonda intende proporre una riflessione critica sui rapporti tra musica e liturgia oggi,
alla luce dei profondi mutamenti storici, sociali e spirituali che investono l’esperienza religiosa
dell’uomo contemporaneo. Ci si chiede, in modo particolare, quali siano le risposte della religione
– 46 –
cattolica alle sfide lanciate dal nuovo assetto economico-sociale e culturale del mondo globalizzato.
La realtà di un cattolicesimo che perde terreno in Europa, in America del Nord e ne guadagna in
Africa, America Meridionale, Asia, in quale modo può influenzare i contenuti e le forme stesse del
culto? Noto è il fenomeno della crescente diffusione dei movimenti carismatici.e pentescostali nel
mondo la cui liturgia, fortemente emozionale, affida un ruolo primario alla musica. Quale rapporto
viene così a stabilirsi tra le necessità conservative caratteristiche della dimensione rituale e le spinte
al rinnovamento della celebrazione liturgica spesso ispirate a modelli mass-mediatici? Come può
coniugarsi la portata universale del messaggio cattolico, garantita dalla tendenziale uniformità del
rito, con le forti spinte ad autonome soluzioni locali emerse nelle singole comunità?
La tradizione cattolica risulta inoltre caratterizzata da una forte presenza della dimensione
artistica nella funzionalità liturgica. Vi è chi ritiene che non sia più «spendibile» nel culto
attuale il grande patrimonio storico della cosiddetta ‘musica sacra’. Similmente inutilizzabile
sarebbe, per altri, la stessa produzione musicale d’arte contemporanea. Ragioni storico-culturali,
identitarie e perfino chiari pronunciamenti pontifici, soprattutto se messi a confronto con la
povertà e banalità di molti esiti musicali correnti, non dovrebbero forse consigliare approcci
meno esclusivi e traumatici alla questione della musica liturgica? È veramente possibile fare a
meno nel rito del potere simbolico dell’arte?
Testimoniano la rilevanza di simili quesiti le esperienze geograficamente distanti presentate nella
tavola rotonda, relative ad aspetti della musica liturgica cattolica in Africa, Brasile, Italia, America
del Nord, Taiwan.
– 47 –
Stampato da
Torre d’Orfeo Editrice S.r.l.
Via Alfredo Testoni, 133 - 00148 Roma – www.tdorfeo.it
Roma 2011