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Rivista quadrimestrale della FENIARCO
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN
Associazione
Cori della
Toscana
n. 39 - settembre-dicembre 2012
n. 39 - settembre-dicembre 2012
Festival organizzato da
o
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Toscana Mon
PIERO CARABA
TRA CORO E
COMPOSIZIONE
IL NATALE NELLE PAGINE DI
GIOVANNI
GABRIELI
NOTE, EMOZIONI,
VIBRAZIONI
CRONACHE DALL’ITALIA CORALE
festival per cori scolastici
10•13 aprile
scuole medie
scuole superiori
iscrizioni entro il 15 febbraio 2013
Festival associato a
Feniarco
17•20 aprile
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Ministero per i Beni
e le Attività Culturali
Regione Toscana
Provincia di Pistoia
Comune di Montecatini Terme
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ready to sing
echi dal festival
EUROPA
CANTAT XVIII
TORINO 2012
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Anno XIII n. 39 - settembre-dicembre 2012
Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co.
Federazione Nazionale Italiana
Associazioni Regionali Corali
Presidente: Sante Fornasier
Direttore responsabile: Sandro Bergamo
Comitato di redazione: Efisio Blanc,
Walter Marzilli, Giorgio Morandi,
Puccio Pucci, Mauro Zuccante
Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina
Hanno collaborato: Michela Francescutto,
Rossana Paliaga, Lorenzo Montanaro,
Manolo Da Rold, Davide De Lucia,
Ambrogio Sparagna, Anna Bisogno,
Alvaro Vatri
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In copertina: Festival Europa Cantat XVIII
Torino 2012
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Unione Stampa Periodica Italiana
Editoriale
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Ci sono avvenimenti che segnano la storia e la
dividono in un prima e un dopo. L’esperienza di
Europa Cantat 2012 è una di queste. Dopo il
festival di Torino, per la coralità italiana nulla
tornerà come prima e tutti saremo un po’ diversi.
Quello che ci sembrava già troppo sognare, quello
che qualche anno fa non osavamo sperare, oggi è
storia. Grande nei numeri, grande nella qualità:
questo è stato il Festival Europa Cantat 2012 a
Torino.
Sentire, dal palco di piazza San Carlo, l’assessore
alla cultura definire il festival «il più grande
avvenimento per la città dopo le Olimpiadi
invernali», affermazione condivisa e confermata dai cittadini di Torino, è, prima
di tutto, una grande emozione e rafforza poi la convinzione di aver centrato
l’obiettivo. La presenza sulla stampa e sui mezzi di comunicazione, il
coinvolgimento di importanti istituzioni musicali, prima fra tutte l’orchestra della
Rai, il rapporto con le istituzioni della Città di Torino e della Regione Piemonte,
che non si interromperà e potrà portare altri eventi, ci danno la misura di un
salto di qualità della coralità italiana, di un capitale accumulato che abbiamo il
dovere di mettere a frutto.
Abbiamo raccolto il risultato di anni di lavoro: non solo i quattro anni trascorsi
da quando fu posta la candidatura della città, ma i dodici anni di lavoro dedicati
a creare un sistema della coralità italiana: un sistema che a Torino ha
dimostrato di saper funzionare e reggere carichi notevoli come quelli di un
festival europeo. Tutto questo è dovuto a un impegno di squadra. Ma a Sante
Fornasier va riconosciuto di essere stato l’anima di questa squadra, senza mai
perdere la capacità, anche nei momenti più difficili, di indicare obiettivi per tutti
noi impensati né il coraggio di perseguirli, contro ogni arrendevolezza vestita di
ragionevole prudenza.
È con un po’ di malinconica nostalgia che siamo rientrati alla vita di ogni giorno,
dopo momenti così intensi ed esaltanti come quelli vissuti a Torino. Ma siamo
rientrati anche con la gioia dello scopo raggiunto: che non è solo quello del
festival realizzato nel migliore dei modi, ma soprattutto quello di aver cambiato
la percezione che l’Italia ha del canto corale, del suo valore musicale e culturale,
del capitale che rappresenta nella vita di un grande paese. E siamo quindi
tornati con la voglia di rimetterci subito all’opera, pensando in grande: davvero,
lo spread tra la coralità italiana e quella europea non è mai stato così basso.
E che sia questo segno di speranza per tutta l’Italia.
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n. 39 - settembre-dicembre 2012
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Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
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Europa Cantat XVIII Torino 2012
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READY TO… REMEMBER
Giorgio Morandi
un sogno divenuto realtà
INTERVISTA A SANTE fornasier
Michela Francescutto
Varietà e qualità, tradizione
e innovazione
Intervista alla Commissione Musicale
Sandro Bergamo
11 UNO SGUARDO EX CATHEDRA
OPINIONI, COMMENTI, emozioni
dei docenti italiani
Rossana Paliaga
16 La coralità italiana
è davvero internazionale!
Gli italiani a Torino per
il Festival Europa Cantat
Giorgio Morandi
23 quando il coro fa notizia
Lorenzo Montanaro
7
40 I canti popolari del Lazio e l’elaborazione
corale: alcune osservazioni
Ambrogio Sparagna
Dossier compositore
Piero Caraba
25 composizione e coro:
una miscela esplosiva
Intervista a piero caraba
Walter Marzilli
30 ascesi di piero caraba
Manolo Da Rold
Intervista doppia a Lorenzo Donati
e Dario Tabbia
Walter Marzilli
Nova et veterA
Attività dell’Associazione
46 Note, emozioni, vibrazioni
salerno festival 2012
Anna Bisogno
48 La coralità italiana nella sfera
dell’eccellenza internazionale
Impressioni e riflessioni
dall’assemblea nazionale Feniarco
Alvaro Vatri
50 L’Italia corale protagonista
nel panorama europeo
Assemblea generale eca-ec 2012
portrait
42 CONCERTO PER CORO A QUATTRO MANI
canto popolarE
Giorgio Morandi
cronacA
INDICE
34 e quando cantavano,
suonavano anche gli strumentisti...
Breve analisi di alcuni mottetti
natalizi di Giovanni Gabrieli
Davide De Lucia
52 ANCHE L’ITALIA IN GARA
PER IL TROFEO DELLE NAZIONI A GORIZIA
Rossana Paliaga
56 RINASCERE A SESSANT’ANNI
Rossana Paliaga
Rubriche
60 Discografia&Scaffale
64 La vita cantata
68 Mondocoro
dossIER
2
ready to…
remember
Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012
di Giorgio Morandi
In Italia, nella splendida città di Torino, dal 27 luglio al 5 agosto si è realizzato, quale risultato di
quattro anni di lavoro di una grande equipe Feniarco/eca-ec, uno strepitoso Festival Europa
Cantat che ha visto la partecipazione di gruppi e singoli cantori provenienti da 42 paesi di ben
quattro continenti.
I magnifici e magici numeri che permettono di conoscere il festival li stralciamo dal comunicato
stampa finale del festival: «Quando cala il sipario del festival i numeri che emergono sono
sorprendenti. In questi 10 giorni, Torino e il Piemonte hanno dato il benvenuto a ben 4000
partecipanti (cantori, direttori, compositori)… E dobbiamo aggiungere l’impressionante numero di
871 artisti ospiti, comprendenti gruppi vocali, strumentisti e danzatori. Si devono aggiungere
anche 131 docenti di atelier oltre a 322 volontari (risorsa incredibilmente preziosa!), 150
componenti dello staff organizzativo internazionale, 24 giovani aspiranti manager di eventi
artistici, 13 tecnici professionisti di audio registrazione… I 111 concerti programmati sono stati
accolti da grande entusiasmo, come dimostrano le prenotazioni online e le code agli sportelli di
biglietteria. Tutte le sere i posti di molti luoghi di concerto sono andati esauriti. Ogni sera solo
in piazza San Carlo erano riunite tra le 2500 e le 5000 persone. Anche nel campo delle attività
di studio musicale i numeri sono impressionanti: 41 atelier di durata variabile e 47 discovery
atelier di uno o due giorni sono stati frequentati da partecipanti entusiasti. Il progetto Music
Expo dedicato all’editoria musicale ha coinvolto 25 editori nazionali e internazionali. I giornalisti
di tutto il mondo ufficialmente accreditati al Festival sono stati più di 50. Oltre a queste appena
nominate, molte altre persone – a diverso titolo – sono state coinvolte nell’evento che ha visto
riuniti insieme 125 cori, 25 gruppi artistici ospiti, 10 cori giovanili nazionali o regionali oltre a
una quantità innumerevole di partecipanti individuali, amatori e persone curiose di ogni età e di
ogni nazione».
Non si può che affermare: è stato un successo immenso, talmente grande che nemmeno gli
organizzatori avrebbero potuto immaginarlo. E bisogna riconoscerlo, al successo ha contribuito
notevolmente anche “Giove Pluvio” che non ha voluto mancare, ma che ha manifestato la sua
partecipazione al festival (e con quale convinzione! che temporale!) soltanto l’ultimo giorno,
proprio due ore prima della cerimonia di chiusura, ormai certo che – anche grazie ai numerosi
portici della splendida città – non avrebbe rovinato né il
soggiorno torinese di così tanta gente, né l’immane lavoro
degli organizzatori e dei loro collaboratori.
Questa manifestazione corale europea triennale a Torino ha
visto la realizzazione della sua diciottesima edizione. Questo
evento si è svolto in Italia per la prima volta in tutta la sua
ormai lunga storia. Esso è – e rimarrà a lungo – segno della
vitalità corale internazionale, segno anche dello sviluppo
enorme che la coralità italiana e l’associazionismo corale in
Italia hanno avuto negli ultimi quindici anni. Va sottolineato
che non è soltanto la capacità organizzativa italiana che prova
quanto si è appena affermato, ma anche la grande
partecipazione di cori e cantori italiani (circa 30% degli
iscritti) e il livello qualitativo della musica dagli stessi
espressa.
È sicuramente da evidenziare come caratteristica peculiare del
Festival Europa Cantat il fatto che la sua popolazione,
prevalentemente giovanile, ben sostiene la ragione per la
quale l’evento è stato inserito tra le proposte di Torino Young
City, un progetto della Città di Torino avente lo scopo di
creare un sistema di eventi capace di gratificare il lavoro fatto
negli ultimi anni per i giovani.
Oltre all’atmosfera, sicuramente più musicale che in qualsiasi
altra grande occasione già ospitata negli ultimi tre anni dalla
gente di Torino, anche il colore della città per dieci giorni è
cambiato: il magenta, colore-simbolo ufficiale del festival, è
stato il colore dominante che si è imposto attraverso migliaia
di manifesti, locandine, totem, insegne e magliette colorate
dei volontari.
Ed ecco qui l’occasione per sottolineare l’immensa infaticabile
opera di tutto lo staff e dei volontari sapientemente formati,
sostenuti e guidati da Sante Fornasier, presidente sia di
Feniarco, sia di European Choral Association - Europa Cantat.
Un direttore di coro che aveva partecipato al festival ha
scritto: «Personalmente ho potuto seguire lo study tour per
direttori di coro e la presentazione finale del lavoro dell’atelier
sulla musica corale di Monteverdi oltre ad atelier e concerti
tenutisi in ogni parte della città… Esperienza bella e
importante per direttori di coro e coristi, da tener presente
anche quando sarà organizzata all’estero».
L’affermazione spontanea di questo partecipante ci offre
l’occasione di introdurre un accenno specifico, che per ragioni
di spazio non potrà che essere telegrafico, ad alcune delle
principali attività e alcuni dei più importanti aspetti del
festival svoltosi a Torino.
È possibile fondere centinaia di culture in un solo coro?
Certamente, e a dimostrarlo è senz’altro una delle più
partecipate attività quotidiane del festival. L’open singing –
nel cuore dei partecipanti e della stessa popolazione di Torino
– sicuramente sarà mantenuto e ricordato come un magico
momento. Ogni sera, in piazza San Carlo, migliaia di persone
si sono incontrate sotto l’accurata e affabile direzione del
maestro Michael Gohl e con l’aiuto del Coro Accademia
Feniarco e di famosi direttori ospiti. In quell’ambito favoloso
migliaia di persone hanno cantato centinaia di canti che nel
festival
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repertorio di tantissimi paesi diversi spaziavano dal classico al
tradizionale e al moderno. Strumento eccezionale
dell’occasione è stato lo stupendo e utilissimo Songbook
consegnato a ogni partecipante come guida al canto e ricordo
del festival.
Data la quantità degli ateliers attivati, dare un’idea di tutti è
pressoché impossibile. Di uno, però, vogliamo accennare
come esempio. Il titolo Coro, un’amore a prima vista
suggerisce davvero un accattivante programma. La parola
amore che appare nel titolo è molto significativa: certamente
ci porta all’amore per la musica, ma non distaccato da quello
che esprime gli affetti familiari e per le persone più care.
Infatti questo atelier è andato a ruba fra mogli, mariti e
parenti di cantori che già cantano in coro: tutte persone che
hanno voluto scoprire le radici del desiderio dei loro cari di
cantare in coro. L’atelier ha dato a queste persone la
soddisfazione di ascoltare e godere della propria voce,
arrivandoci attraverso un percorso che ha evidenziato come,
nell’attività del canto, il corpo, cominciando dalla respirazione
e da una postura corretta, gioca un ruolo fondamentale.
Ritmo, intonazione e qualche indicazione di lettura musicale
sono stati gli altri aspetti gustati con grande entusiasmo e
soddisfazione dai partecipanti. Parola di Silke, partecipante e
collega nello staff redazionale (come traduttrice) del
quotidiano del festival ReadyTOnews. Anche questo
quotidiano meriterebbe qualche parola, ma vi basti sapere
che è stato il più bel quotidiano di una manifestazione corale
che si sia mai visto (parola di un [dis]interessato membro
dello staff di redazione!).
Il festival di Torino, come del resto avevano fatto quelli
precedenti, ha evidenziato una cosa: Monteverdi, Vivaldi,
Bach e Händel possono essere considerati intramontabili star
musicali. Nonostante le apparenze, la musica classica attira
sempre l’attenzione maggiore del pubblico. Lo hanno
dimostrato i gruppi di persone che ogni sera, nonostante i
posti a sedere esauriti, si accalcavano alle porte della chiesa
4
5
di San Filippo sperando di potersi godere – anche in piedi –
un grande concerto.
Ma questo interesse per la musica classica non ha certo
messo in sordina quello per la musica che – scritta e creata
per il popolo (popular o pop music) o che proviene dal
popolo (folk) – è stata ben presente al festival nelle varietà
che, dagli Stati Uniti al Baltico, dalla
Spagna alla Finlandia, senza dimenticare le
forme ibride dei ritmi africani trapiantati
nell’America Latina, essa presenta.
Attenzione particolare ha avuto il folk
mediterraneo attraverso le sue varietà
dell’Occitania, di Maiorca, Dalmazia, Italia
del sud, Tunisia e Nord Africa. Si può
tranquillamente affermare che il Festival
Europa Cantat di Torino è stato (come
direttamente dimostra l’atelier per voci
femminili Let’s travel diretto da Basilio Astulez) un vero e
proprio giro del mondo corale.
Ma al festival non è mancata nemmeno la sperimentazione,
per esempio attraverso la fusione tra canto corale ed
elettronica. È il professor Stefano Bassanese dell’Università di
Torino a darne la motivazione più concisa in una
collaborazione a ReadyTOnews: «Noi non ci pensiamo, ma
spesso l’elettronica è alla base di molti gesti del nostro
quotidiano musicale: quando ascoltiamo un cd, un mp3, un lp,
quando utilizziamo una tastiera digitale, ma anche in diverse
altre situazioni, ad esempio nell’uso dell’amplificazione in uno
spazio aperto… Possiamo modificare in tempo reale il suono
di una voce». Non c’è dubbio: l’elettronica e l’elettroacustica
hanno cambiato e continuano a cambiare il modo di concepire
la musica, di ascoltarla, di eseguirla e di comporla.
Il movimento corale non poteva e non può ignorare questo
fenomeno.
Volgendo al termine del nostro piccolo e incompleto
resoconto del festival non ci resta che citare chi ha
collaborato con eca-ec e Feniarco per rendere possibile un
evento come il Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012:
l’Associazione Cori Piemontesi, la Regione Piemonte, la
Provincia di Torino e la Città di Torino, con la collaborazione
della Compagnia di San Paolo e della Camera di Commercio.
Ma ora è doveroso lasciare la conclusione ai due principali
attori del festival. Carlo Pavese, direttore artistico del festival
di Torino, è molto soddisfatto: «Europa Cantat è un festival
ineguagliabile, che ha dato alla città di Torino la presenza di
5000 voci che hanno cantato insieme con passione e qualità
musicale, lasciando un ricordo indelebile. D’altra parte sono
anche convinto che la città abbia riservato a questo evento
un benvenuto speciale e duraturo. I luoghi, gli edifici e
soprattutto gli abitanti di Torino si sono sentiti parte di quel
grande coro che, ogni sera, ha trasformato piazza San Carlo
in un simbolo di armonia e di bellezza».
Sante Fornasier, presidente di European Choral Association Europa Cantat e di Feniarco, nel discorso di chiusura del
festival, prima di passare la bandiera alle autorità di Pécs
(Ungheria) per la prossima edizione del festival nel 2015, fra
l’altro ha affermato: «Eccoci alla fine di questo straordinario
viaggio di dieci giorni. Tutti insieme siamo stati protagonisti
gioiosi e attivi in questa bella città che ci ha accolti con
generosità e ci ha offerto le sue bellezze artistiche e i luoghi
più belli in cui abbiamo potuto ascoltare e creare i nostri
Il festival è stato segno dell’enorme
sviluppo che la coralità italiana
e l’associazionismo corale in Italia
hanno avuto negli ultimi anni.
canti, la nostra musica… Siamo stati accolti anche dall’intera
regione Piemonte dove sono stati realizzati 25 concerti che
idealmente hanno abbracciato tutte le provincie. Abbiamo
celebrato questo festival nutrendo il nostro spirito. Porteremo
l’entusiasmo del festival nei nostri paesi e lo conserveremo a
lungo nei nostri cuori per nutrire la nostra nobile, genuina e
straordinaria passione».
UN SOGNO
DIVENuTO REALTÀ
Intervista a Sante Fornasier
a cura di
Michela Francescutto
communication manager
del festival europa cantat
Cosa ha significato per lei e per Feniarco tutta
candidarsi e organizzare un festival in questo
periodo difficile per l’economia mondiale? Quali
i pensieri quando l’impresa è ormai stata
portata a termine?
Quando è nata l’idea di una candidatura italiana
per il Festival Europa Cantat eravamo nel 2007 e
la sfida era decisamente stimolante. Nessuno
avrebbe tuttavia potuto prevedere una difficile
situazione economica come quella che stiamo
vivendo; è evidente che col trascorrere del tempo
e con il manifestarsi di una crisi così acuta, le
preoccupazioni sono andate via via aumentando
tanto da farci pensare, in qualche momento, al
ritiro della candidatura. Ormai però il treno era
partito e quando un processo così grande si
avvia diventa impossibile fermarlo: non restava
quindi che combattere e lavorare duramente.
Oggi i pensieri sono di grande soddisfazione per
lo straordinario risultato ottenuto che è andato
oltre le previsioni; qualche preoccupazione
rimane sul fronte economico ma anche qui
speriamo di farcela.
una presenza di oltre 1.200 iscritti a Torino su un
totale di 4.000 (dati record), ma anche tra coloro
che non hanno partecipato direttamente c’è stata
molta attenzione e consapevolezza di un evento
di grande portata.
Credo che anche nel mondo esterno questo
festival abbia lasciato il segno dimostrando così
che la coralità amatoriale ha saputo essere
all’altezza di un progetto così ampio e complesso
coinvolgendo in modo attivo e partecipe la Città
di Torino e la Regione Piemonte. Le Istituzioni si
sono congratulate con noi per il successo, la
stampa e i media ci hanno seguito in modo
attento (anche se avrebbero potuto fare di più);
la ricaduta economica è stata decisamente
positiva sul territorio e gli operatori del settore
hanno espresso la loro soddisfazione.
sogno
xviii torino
2012
Quali sono le ripercussioni di questo festival sul
mondo corale italiano? E cosa possiamo dire
invece nei confronti del mondo extra-corale?
Il mondo corale italiano ha partecipato in modo
decisamente positivo al festival facendo segnare
Per quanto riguarda l’immagine della coralità
italiana in Europa e nel mondo, come ritiene sia
avvenuta la riaffermazione della presenza del
nostro Paese e quali risultati ciò ha conseguito?
“Torino 2012” ha lasciato una bella immagine
della coralità italiana in Europa e nel mondo:
un progetto artistico-musicale di qualità ed
equilibrio tra passato, presente e futuro, una
città ospitale e in festa dove la presenza del
festival si coglieva a ogni angolo nella sua
immagine “magenta”, un’organizzazione
dossIER
6
a ogni costo dalla modernità, siamo tuttavia chiamati a
interpretare i cambiamenti che la società porta con sé. Da un
lato dobbiamo tener saldo il principio che fare musica e fare
coro sono valori positivi, valori più che mai attuali, non è
“roba vecchia”, anzi; quindi allargare la base di partecipazione
soprattutto tra i giovani. Dall’altro lato occorre ulteriormente
favorire e stimolare la crescita qualitativa e musicale delle
nostre formazioni corali, dei nostri direttori, dei nostri
compositori. Avere quindi la consapevolezza che i due aspetti
non confliggono ma si integrano e si stimolano a vicenda.
Dobbiamo guardare alla nostra realtà italiana ma con
attenzione a quello che si muove in Europa e nel mondo; da
un sereno confronto con l’esterno possono sempre scaturire
utili stimoli di crescita e di miglioramento. E allora
prepariamoci sin d’ora per andare a Pécs nel 2015 come
abbiamo fatto per Mainz, Utrecht e ovviamente per Torino;
sarà ancora un’occasione per dimostrare che la coralità
italiana è viva e attiva.
encomiabile con un esercito di volontari sempre pronti e
disponibili e poi, il sole e le bellezze artistiche della città
e del territorio.
La considerazione della coralità italiana in ambito europeo
e internazionale è cresciuta notevolmente in questi dieci anni
e il festival ne è stata una decisa
conferma; anche alla recente
Assemblea di eca-ec a Toulouse, in
Francia, Feniarco ha goduto di grande
rispetto e consenso.
Tutto questo l’abbiamo ottenuto
mettendo passione e dedizione,
professionalità e competenza, rispetto
e salvaguardia del passato ma
traguardando sempre il futuro,
capacità di stare assieme e fare sintesi pur nel rispetto delle
specificità, essere italiani ma anche cittadini europei anzi,
cittadini del mondo. Del resto la musica non è forse un
linguaggio universale?
Ha perfettamente ragione. Ci racconta un ricordo e
un’emozione dal festival?
Tante sono le sensazioni vissute durante il festival; difficile
dire quale la più emozionante e la più coinvolgente. Ma
sicuramente lo sguardo su piazza San Carlo nella serata finale
del festival con migliaia e migliaia di partecipanti tutti
emotivamente presi in un grande abbraccio corale-musicale, è
stato un momento davvero straordinario, un momento in cui è
valsa veramente la pena di esserci.
Quali sono i suoi auspici per il futuro per la coralità italiana,
sia da un punto di vista nazionale, che verso l’Europa, e in
particolare nei confronti del prossimo Festival Europa Cantat
a Pécs nel 2015?
Per il futuro dobbiamo fare tesoro di quanto abbiamo
realizzato in questi anni ma nel contempo dobbiamo
immaginare e favorire ulteriori percorsi; senza farsi travolgere
Varietà e qualità, tradizione e innovazione
Intervista alla Commissione Musicale
del Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012
a cura di Sandro Bergamo e Walter Marzilli, con la collaborazione di Carlo Pavese
51 sono state affidate a direttori italiani, con simile
proporzione nel repertorio; 15 discovery atelier su 47 sono
stati guidati da docenti italiani; al programma per direttori e
compositori hanno preso parte 18 relatori italiani su una
proposta totale di 71 attività, includendo uno dei due leader
dello study tour. Hanno partecipato 50 cori italiani su un
totale di 133, di cui 33 si sono esibiti. Su 1603 esecuzioni
tenute nell’ambito del festival, 315 hanno riguardato la musica
italiana, con circa 100 compositori di tutte le epoche
rappresentati. Interessanti le percentuali dei vari generi
musicali: 58% musica classica (nel dettaglio: 19%
contemporanea, 18% barocca e classica, 11% rinascimentale,
10% romantica e moderna, opera inclusa), 27% popolare e
folk, 15% pop e dintorni. Credo che per una volta i numeri
non siano aridi, ma raccontino un’esperienza unica».
E infine, adesso qual è il prossimo passo concreto che la
Federazione intende muovere a favore della coralità italiana?
Molteplici sono state le iniziative che Feniarco, in stretta
collaborazione con le associazioni regionali, ha portato avanti
La coralità amatoriale
ha saputo essere all’altezza
di un progetto ampio e complesso.
in questi anni. Si tratta ora di rafforzarne il tessuto
connettivo, stimolare la crescita di nuove formazioni, porre
sempre maggior attenzione al mondo della scuola e dei
giovani, dare un’immagine unitaria della propria azione,
essere all’altezza delle sfide che la difficoltà economiche
stanno imponendo, favorire processi di sussidiarietà e mettere
in atto sinergie ed energie positive. Non sono cose
impossibili: come sempre, dipendono molto dalle nostre
volontà.
7
La musica italiana non poteva non avere, a Europa Cantat
Torino 2012, un ruolo importante. Quali strategie hanno
guidato le scelte della commissione musicale e qual è il
panorama complessivo che emerge, a festival concluso?
Carlo Pavese: «Il programma del festival è il risultato di un
lavoro davvero corale. È stato impostato da una commissione
musicale composta da cinque musicisti italiani, le cui voci
danno vita a questa intervista, e quattro membri
internazionali appartenenti a European Choral Association Europa Cantat. Le proposte italiane sono
state discusse in seno alla commissione
musicale di Feniarco, in collegamento con
l’omologo organismo dell’Associazione
Cori Piemontesi. L’obiettivo, a mio parere
conseguito, era di offrire – nell’ambito
degli atelier, delle altre attività formative,
dell’open singing e dei concerti ospiti
– varietà e qualità, tradizione e innovazione, pietre miliari,
sorprese e scoperte. Insieme al programma, l’elemento
decisivo nel promuovere il ruolo della musica italiana al
festival è stato rappresentato dalla partecipazione dei nostri
cantori, la più alta mai registrata da parte della nazione
ospitante; i partecipanti hanno di fatto creato il programma
concertistico del festival, che i gruppi invitati sono andati poi
a completare, proponendo un’immagine della musica vocale e
corale italiana ampia e convincente. I dati sulla presenza
italiana al festival sottolineano la misura e l’equilibrio che
Feniarco ha saputo dimostrare nel consesso europeo,
trovando il giusto rapporto tra la musica del paese ospitante
e quella dei paesi ospiti. Negli atelier lunghi, 12 proposte su
Durante il festival abbiamo ascoltato dei brani in prima
esecuzione assoluta che sono stati commissionati per
l’occasione. Quali sono stati i compositori ai quali è stata
affidata la commissione, e come sono stati scelti i gruppi che
le hanno eseguite?
Nicola Campogrande: «Ai compositori coinvolti (Carlo
Boccadoro, Lorenzo Ferrero, Fabio Vacchi, David Del Puerto,
Leo Hurley, François Narboni, Luis Tinoco) è stato chiesto di
scrivere un brano che potesse essere eseguito da un buon
Il programma del festival è il risultato
di un lavoro davvero corale.
coro amatoriale, sfruttando l’eccezionale opportunità di
presentare musica nuova a una platea allargata come quella
di Europa Cantat. Se da un lato i pezzi sono stati tutti molto
interessanti, e alcuni francamente bellissimi, va detto che non
tutti gli autori sono riusciti a calibrare bene il livello di
difficoltà; per questo, alla fine, per presentare alcuni brani
siamo dovuti ricorrere a cori giovanili nazionali e a formazioni
specializzate e di livello particolarmente alto».
Carlo Pavese: «Il risultato finale è stato interessante perché le
commissioni del festival sono state eseguite da diverse
tipologie di cori: cori partecipanti segnalati dalla commissione
musicale, cori giovanili nazionali resisi disponibili e cori ospiti.
Ho inoltre piacere di citare le due commissioni per gli atelier
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buona salute: sta crescendo costantemente, aperta agli
orizzonti ampi della varietà del repertorio e del miglioramento
tecnico-vocale. In grande aumento, abbiamo notato con gioia,
l’entusiastica presenza di formazioni giovanili di buonissimo
livello (tra le quali il Coro Giovanile Italiano e il Coro
Accademia Feniarco, rappresentanti la coralità italiana)».
– un’opera per bambini, Cello Rising, scritta da Manfred
Länger per l’atelier b1, e un ciclo di musiche per coro e
strumenti affidato a Jonathan Rathbone per i film muti
dell’atelier a14 – e le commissioni di otto arrangiamenti di
musica pop e popolare. Allargando il quadro, ricordo che il
festival ha commissionato due lavori a Matteo D’Amico e
Micha Hamel, che in quest’occasione non è stato possibile
eseguire, e ha ospitato l’esecuzione dei brani vincitori dello
European Award for Choral Composers. Inoltre numerose
formazioni hanno portato nuove composizioni e
arrangiamenti, anche in prima esecuzione assoluta, a
dimostrazione che la musica contemporanea è ormai parte
del vocabolario di molti cori, non spaventa più; anzi, ho
l’impressione che se ne ascolti di più ai concerti corali che nei
suoi contesti più tradizionali».
Pur nel grande impegno profuso
avrete potuto seguire gran parte
delle manifestazioni
concertistiche del festival. Per
quanto riguarda lo stato di salute
della coralità italiana quali sono
state le vostre impressioni?
Dario Tabbia: «Il fatto stesso che
il Board della federazione europea abbia scelto come sede
l’Italia è un chiaro riconoscimento del buon livello che la
nostra coralità ha raggiunto confermandosi come fenomeno in
continua evoluzione. Riscontro un grande interesse
soprattutto nei giovani direttori e nei cori di recente
formazione a inserirsi in una prospettiva qualitativa di livello
internazionale».
Piero Monti: «Ho ascoltato un certo numero di concerti
eseguiti da cori italiani di livello assolutamente buono. Credo
che anche solo una decina di anni fa non se ne sarebbero
trovati così tanti, sia come quantità che come qualità».
Roberta Paraninfo: «Direi che la coralità italiana gode di
Tra i tanti aspetti che gravitano intorno alla coralità nel
nostro Paese possiamo isolarne due. Cominciamo parlando
della scelta del repertorio dei cori italiani: ha mostrato una
maturazione, un allargamento? E la musica contemporanea
ha trovato un posto stabile e credibile?
Dario Tabbia: «Il repertorio ha subito un’inevitabile
trasformazione dovuta al parallelo miglioramento qualitativo
dei nostri direttori e quindi dei nostri cori. Molti sono i gruppi
che posseggono una solida preparazione tecnica, vocale e
musicale, e questo ha consentito di allargare i propri orizzonti
dedicandosi in particolare alla musica contemporanea. Magari
pecchiamo ancora un po’ di esterofilia e non ci accorgiamo di
quanti buoni compositori abbiamo in casa…»
Roberta Paraninfo: «Grazie all’ampliamento delle occasioni di
incontro, come è stato il Festival Europa Cantat di Torino e
come lo sono gli altri festival, rassegne, corsi, concorsi
organizzati in tutta la penisola, il repertorio ha maggiore
possibilità di “girare” fra i cori, portando significativo
miglioramento della qualità degli stessi e raffinamento del
gusto di chi canta e di chi ascolta: un sano circolo virtuoso!
La musica contemporanea non è l’unica a dover trovare un
posto stabile e credibile, ma, per rispondere alla domanda,
direi che la direzione è presa e, nel caso di alcune eccellenze,
anche in buona parte attuata. In generale ci sarà sicuramente
ancora tempo per una concreta e definitiva svolta».
Nicola Campogrande: «Non nascondo lo stupore che mi ha
Il repertorio ha subito una trasformazione
dovuta al parallelo miglioramento qualitativo
dei nostri direttori e dei nostri cori.
colto nell’ascoltare tanti cori italiani di altissimo livello,
assolutamente in grado di competere con formazioni
straniere più blasonate. E, oltre che all’aspetto tecnico, mi
riferisco alla classe, allo stile con il quale sono stati
costruiti i programmi: non solo nella felice alternanza di
repertorio antico e contemporaneo, ma spesso anche nella
scelta di arrangiamenti curati, raffinati, non dozzinali delle
pagine pop che si sono volute presentare. L’apertura a
diversi mondi musicali, fatta con questa consapevolezza,
con questa sapienza, diventa un reale valore aggiunto e mi
sembra una splendida rappresentazione della vitalità del
presente».
L’altro aspetto è quello vocale. È ancora vero che i cori italiani faticano a trovare voci maschili
che possano aumentare il loro organico? E quelle che ci sono hanno mostrato una
caratterizzazione timbrica per cui i tenori e i bassi hanno trovato la loro giusta collocazione
timbrica, o siamo di fronte a un gruppo più o meno omogeneo di voci centrali e baritonali?
Dario Tabbia: «Il discorso è molto delicato anche se è vero che non è così frequente trovare voci
ben caratterizzate fin dall’inizio. Credo tuttavia che uno studio attento della vocalità possa dare
risposte importanti nel collocare nel giusto registro un cantore. Non posso non ricordare le
parole di Fosco Corti quando diceva che spesso il direttore cercava nuovi tenori in giro per il
paese invece di cercarli nel suo settore dei
baritoni…»
Roberta Paraninfo: «C’erano molte voci
giovani, quindi in formazione: bisogna da
subito averne cura, oltre che con una valida
“igiene” vocale, anche trovando repertorio
adatto che sappia valorizzarle davvero,
senza costringerle a una maturità ancora
lontana. Bisogna fare appello ai nostri
compositori, affinché dedichino il loro lavoro anche alle nuove, giovani voci».
Carlo Pavese: «Unisco il mio appello: servono cori giovanili che diano continuità ai cori di voci
bianche, in particolare nel caso dei maschi che mutano voce. È necessario che la muta non sia
vista come una forzata cesura dell’attività canora, che spesso diventa cessazione definitiva,
bensì come l’apertura di nuove entusiasmanti possibilità».
L’apertura a diversi mondi musicali,
fatta con consapevolezza e sapienza,
diventa un reale valore aggiunto.
Veniamo al punto centrale della coralità, non solo italiana. I direttori sono apparsi all’altezza
della situazione? I direttori italiani hanno compiuto o stanno compiendo un percorso di
sviluppo che li porti a competere con le varie scuole di direzione estere?
Dario Tabbia: «Su questo punto sono molto ottimista proprio perché vedo molti direttori
impegnati in seri percorsi di studio e aggiornamento. Ormai un giovane che voglia studiare la
direzione di coro può trovare diverse valide alternative senza necessariamente doversi recare
all’estero. Molto si può e si deve fare in questa direzione ma stiamo crescendo anche su
questo».
Piero Monti: «Ho visto un ottimo livello tra i direttori di atelier e di cori esibitisi in concerto.
Avendo visitato alcuni atelier durante le lezioni ho potuto constatare l’eccellenza di quasi tutte le
scelte: alcuni dubbi non tanto sul fatto tecnico quanto sulla capacità comunicativa e di
insegnamento. I direttori che ho potuto vedere all’opera credo non abbiano nulla da temere in
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diventare un coro, con una vastità di offerte di programmi da
soddisfare tutti gli interessi; concerti di inaspettata bellezza,
momenti di vero incontro di culture, intere fette di storia
dell’umanità passata e presente si sono snocciolate agli occhi
e alle orecchie dei presenti; sguardi nuovi, punti di vista nuovi
da cui apprendere: impossibile rimanere indenni. Chi ha
partecipato al festival automaticamente sarà fonte di nuova
ventata per chi al festival non c’era».
un confronto con i colleghi di altre nazioni. Ovvio che oltre a
queste eccellenze ci sia ancora un’ampia platea di personaggi
un po’ improvvisati; ecco: forse all’estero c’è un livello medio
un poco più alto».
Carlo Pavese: «C’erano 73 direttori italiani iscritti al
programma specifico, e tanti altri con i loro cori e all’interno
dell’organizzazione del festival. Poiché credo che misurarsi
con le realtà di altri Paesi rimanga una tappa fondamentale
nella formazione di un direttore, uno dei grandi meriti di
Feniarco nell’aver portato il Festival Europa Cantat in Italia
consiste nella possibilità data a tutti noi italiani di porci
queste domande, trovare alcune risposte e ricevere molti
stimoli nell’arco di una settimana di festival. Se è innegabile
che tanto abbiamo da imparare, oggi la coralità italiana sa
anche essere punto di riferimento e confronto per le altre
realtà europee. Insomma è un dialogo proficuo: dobbiamo
ascoltare attentamente, ma possiamo anche dire la nostra».
Dal punto di vista della crescita della coralità italiana, quali
sono stati i momenti e gli aspetti più qualificanti e produttivi
del festival?
Piero Monti: «Credo che il Coro Giovanile Italiano abbia fatto
una bellissima figura e che possa essere stato un ottimo
esempio per gli altri cantori italiani del livello che, con studio
e volontà (e magari un buon direttore), si può raggiungere».
Carlo Pavese: «E il Coro Accademia Feniarco ha saputo
coniugare il sorriso e la comunicatività con la grande qualità,
la dedizione, la flessibilità stilistica che lo contraddistingue,
dimostrando inoltre che il vocal pop è un genere musicale di
assoluta consistenza. Ma a citare qualcuno si fa torto ad altri
poiché non solo tutti i cori, i direttori e i docenti, ma anche i
membri dell’organizzazione hanno dato il meglio e hanno
saputo trasmettere la sensazione di un progetto comune e di
una prospettiva di crescita per l’intero sistema corale».
Roberta Paraninfo: «Chi ha assistito al festival ha potuto
portarsi a casa un infinito bagaglio di input di altissimo
livello, di irresistibile emozione e duratura memoria: grandi
direttori al lavoro negli atelier, da guardare e ascoltare mentre
conducono con grande professionalità gruppi di coristi a
L’evento di Torino ha avuto indubbiamente una risonanza
mediatica cui non siamo abituati e che fa ben sperare per il
futuro. Un festival come Europa Cantat Torino 2012 può aver
contribuito a radicare il canto corale anche nell’orizzonte
culturale dei nostri concittadini?
Dario Tabbia: «La risposta che la città di Torino ha dato a
livello di partecipazione al festival è stata non solo importante
ma anche una sorpresa. Migliaia di persone in piazza ogni
sera e tanta curiosità intorno ai singoli eventi sono stati un
bel segnale. Sicuramente cittadini e amministratori hanno
avuto un’idea più completa di cosa significhi cantare in un
coro, un’attività non solo ricreativa ma soprattutto di grande
qualità e spessore culturale».
Nicola Campogrande: «Torino è una città con forti tradizioni
musicali, e non a torto negli ultimi anni la si è definita la
nostra “capitale della musica”. Lo shock benefico subìto con il
Festival Europa Cantat, però, mi sembra che abbia spostato
più avanti, e più in alto, l’asticella: la città ha scoperto che
può cantare, tutta insieme, in piazza, e che lo può fare bene;
e ha così capito in maniera intima, fisica, sulla propria pelle
“massaggiata” dalla musica, la bellezza e la forza del canto
corale. Ora questa esperienza, che siamo riusciti a
trasmettere anche ai media, può riverberarsi su tutto il Paese:
sarà compito dell’intero sistema corale fare in modo che ciò
accada».
Carlo Pavese: «Ripenso all’inizio di questa avventura: alle
previsioni, ai progetti, agli impegni presi. Non tutti a casa
nostra avevano avvertito la portata e l’importanza del
festival, e in Europa grande era l’attesa di vederci alle prese
con un compito così impegnativo. Adesso constato che le
previsioni si sono rivelate azzeccate e in molti casi la realtà è
andata ben al di là delle aspettative. Vedere le istituzioni
cittadine e regionali quasi commosse di fronte a una città che
canta, ricevere gli ammirati apprezzamenti dei colleghi di
tutta Europa ci dice quale patrimonio di credibilità Feniarco e
la coralità italiana abbiano costruito in patria e all’estero.
La strada non è in discesa, ma ora forse la salita è più
accessibile, e io confido che tutti i cantori e i direttori che
c’erano abbiano capito e trasmettano il messaggio che se
pedaliamo tutti, tutti vinciamo questa sfida».
UNO SGUARDO
EX CATHEDRA
OPINIONI, COMMENTI, EMOZIONI
DEI DOCENTI ITALIANI
di Rossana Paliaga
Tra i fattori che hanno reso il Festival Europa
Cantat XVIII Torino 2012 un’edizione da record
sotto diversi punti di vista, l’ingrediente “non
segreto” è stata senza dubbio l’Italia stessa, con
le sue meraviglie artistiche, che ha attirato turisti
della coralità da ogni parte del mondo. Insieme a
loro forse anche noi italiani ci siamo guardati allo
specchio con occhi diversi, riscoprendo
dall’interno di questa grande comunità
internazionale con in comune l’amore per lo
stesso tipo di musica, che sotto il fardello di una
decadenza economica e culturale ribadita con
insistenza dalla cronaca quotidiana di un paese
in crisi, l’Italia rimane ancora un fondamentale
punto di riferimento culturale (e avrebbe il
potenziale per esserlo anche al di là di eventi
unici come questo festival). La macchina
organizzativa del Festival Europa Cantat ha
evidenziato la ricchezza di un Paese con grandi
eccellenze professionali e artistiche, la città di
Torino ha fatto il resto con l’innata eleganza
della sua immagine ottocentesca, i musei, i caffè
storici e facendo sfoggio in questa occasione di
un carattere insolitamente mediterraneo che ha
permesso a tutti i partecipanti stranieri di
respirare quell’atmosfera particolare, calda e
comunicativa che speravano di trovare al di là di
ogni stereotipo. I torinesi hanno accolto con
curiosità e senso di ospitalità la convivenza di
dieci giorni con il “popolo magenta”,
condividendo l’eccezionale interesse per i molti e
vari concerti che sono stati per l’intera città un
regalo gradito e spesso sorprendente. «Soltanto
spostandomi dal luogo di un atelier a quello di
un concerto mi ritrovo ogni giorno circondata di
bellezza», confessa con entusiasmo una
partecipante che conferma come un eventuale
“problema” logistico si sia trasformato
nell’opportunità di esplorare una città ricca di
suggestioni storiche e artistiche. Ma al di là della
cornice, il Festival Europa Cantat è riuscito anche
nell’intento di ritagliare all’Italia, nel contesto
internazionale del suo monumentale programma,
uno spazio di grande valore, invitando a Torino
musicisti ed esperti di alta caratura e fornendo
modelli di composizione ed esecuzione
esemplari, dal Vespro monteverdiano diretto da
Davide De Lucia a composizioni in prima assoluta
di Vacchi e Boccadoro. Sono stati molti anche i
musicisti italiani in cattedra, ovvero i docenti
invitati a condurre atelier dai temi molto vari con
importanti approfondimenti sulla musica
docenti
giornalista
dossIER
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rinascimentale e barocca, ma senza trascurare vocal pop e
improvvisazione, inoltre con qualche divertente divagazione
contemporanea. Curiosamente non c’è stato sufficiente
interesse da parte dei partecipanti per l’attivazione di un
atelier specifico sui cori d’opera nel paese dell’opera, anche
se una delle colonne sonore del festival in piazza San Carlo è
stato il Nessun dorma pucciniano, che ha significativamente
chiuso l’intera manifestazione nel segno della più
riconoscibile e caratterizzante tradizione operistica.
La rassegna dei docenti italiani presenta un ventaglio ampio
di temi, sviluppati negli atelier principali, come anche nei
quotidiani discovery atelier che hanno offerto un contatto
informativo con diversi ulteriori argomenti, dalle tecniche di
respirazione a chironomica, espressioni folk mediterranee e a
vari metodi per migliorare il proprio potenziale vocale.
È stata particolarmente affascinante l’esplorazione della
fastosa dimensione musicale barocca sotto la guida di due
personalità di grande rilievo nella pratica esecutiva di questo
ambito musicale. Al direttore Filippo Maria Bressan è stato
affidato l’incarico di accendere la “festa barocca” con il
Dettingen Te Deum di Georg Friedrich Händel all’interno di un
gruppo di studio fortunato per la buona preparazione di base
dei coristi, che avevano però bisogno di un chiaro indirizzo a
livello di stile. «Forse alcuni tra i partecipanti avevano qualche
conoscenza della prassi esecutiva ma non si è percepito in
modo determinante, perché tutti sapevano stare al loro posto,
ordinatamente e con la coscienza del cantore che sa stare in
gruppo senza emergere. Avevano tutti studiato la parte ma,
come spesso avviene (e a volte è anche
meglio…), la preparazione riguardava note,
testo, intonazione. Nel mio atelier c’erano
cantori singoli, gruppi di cantori di qualche
coro, direttori, appassionati di musica
barocca; il mio compito era quello di
uniformare le varie preparazioni,
amalgamare il tutto e preparare un coro
compatto e omogeneo per una bella
esecuzione. Lo stile esecutivo è stato
approfondito durante le prove e la mia soddisfazione e
contentezza era dovuta alla facilità che trovavo nel realizzare
le varie idee musicali grazie all’entusiasmo, alla preparazione
e alla duttilità che riscontravo giornalmente durante l’atelier.
Per questo mi sono dichiarato fortunato: avevo un gruppo
fantastico e un’atmosfera magica». Su queste condizioni
ideali, Bressan ha potuto costruire l’analisi di un brano che
offre molti spunti di scoperta delle caratteristiche ed esigenze
del repertorio. «Questo Te Deum è una pagina händeliana
splendida: ci sono la pomposità della musica a programma e
lo splendore dello stile barocco, il virtuosismo corale, le
fughe, i cori omoritmici, i “pieni sonori”, i colori degli
strumenti e la presenza pulsante dell’orchestra, alternanze di
“soli” e “tutti”, momenti pacati e altri sontuosi, le formule
retoriche e gli abbellimenti stilistici, insomma, ci sono tutti
quegli ingredienti che danno un’idea completa di come fosse
la musica durante il periodo barocco e di come ci si debba
approcciare per darne una lettura filologica, ma viva. Inoltre,
essendo musica commemorativa di un evento, andava
benissimo che le masse fossero numerose – e quindi adatte
all’atelier – contrariamente a quanto si pensa di solito, e cioè
che le esecuzioni avvenissero sempre e solo con gruppi esigui
di esecutori. Non è consueto per i cori, in genere, eseguire
musica con l’orchestra e questa è stata anche un’occasione
molto appetibile per chi voleva uscire dalla coralità a cappella
e ancor più per chi voleva entrare nel mondo barocco».
Nel mondo barocco, quello irresistibilmente accattivante di
Antonio Vivaldi, sono entrati anche i coristi di un altro atelier
dedicato a una singola composizione, il Gloria. A differenza
Il Festival Europa Cantat è riuscito
nell’intento di ritagliare all’Italia
uno spazio di grande valore.
delle garanzie offerte dai partecipanti dell’approfondimento
händeliano, appartenenti alla sezione c (cori e cantori
audizionati e che arrivano preparati), è stata invece una
combinazione curiosa quella formata dai coristi senza
necessità di preparazione specifica (definiti come sezione a) e
l’accreditato custode dell’eredità artistica vivaldiana Federico
Maria Sardelli, uno dei massimi esperti del settore e attuale
curatore del catalogo del compositore. Le coriste del suo
atelier hanno ripercorso le orme delle musiciste del Pio
Ospedale della Pietà a Venezia, per le quali è stato scritto il
celebre Gloria. Alle volenterose coriste non è stato concesso
nessuno sconto sulla vivacità dei tempi, alla quale vanno
aggiunti gli esercizi sull’utilizzo stilisticamente e tecnicamente
corretto del vibrato in funzione espressiva e del trillo.
La sfida di una struttura complessa sotto un’immagine di
totale chiarezza e apparente linearità ha permesso ai
partecipanti di entrare nel laboratorio polifonico vivaldiano,
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del quale Sardelli ha rivelato i meccanismi. «Vivaldi impostava tutti i brani considerando le parti
di un gruppo misto. Questo significa che la parte di basso, eseguita all’ottava superiore,
scavalcherà la parte dei tenori, facendo aumentare la luminosità del suono. La polifonia di
Vivaldi è limpida, perfetta, tutto risulta chiaro, immediato, ma per ottenerla è necessaria una
tecnica raffinatissima e composita. Tuttavia è abbordabile anche da cantori meno esperti, anche
perché il compositore stesso aveva la necessità di scrivere per gruppi eterogenei a livello di
preparazione musicale e vocale come era quello dell’Ospedale della Pietà, dove esisteva tuttavia
la garanzia della dedizione allo studio della musica».
Il concerto conclusivo di entrambi gli atelier barocchi citati si è svolto nella magnifica chiesa di
San Filippo, che nonostante le imponenti dimensioni ha avuto seri problemi di capienza per
l’eccezionale afflusso di spettatori, attirati da un repertorio particolarmente affascinante,
eseguito con il supporto dell’orchestra da camera Academia Montis Regalis.
La chiesa centralissima e molto amata dai
torinesi è stata una delle numerose sedi
di grande pregio dove sono stati
ambientati i concerti del Festival Europa
Cantat e che hanno costituito senza
dubbio un valore aggiunto, una somma di
emozioni musicali, architettoniche e
artistiche. L’intenzione di esaltare il
patrimonio locale e offrire ai partecipanti un contenitore di sorprendente bellezza ha portato
anche alla felice decisione di trasferire il festival per una giornata intera nella reggia di Venaria
Reale. Chi ha raggiunto la reggia nelle ore del mattino, dedicate allo studio, sarà stato
certamente attirato dal canto proveniente dalla cappella di Sant’Uberto, dove ha fatto tappa uno
degli atelier che hanno prodotto le sonorità più smaglianti ovvero il corso di policoralità sulla
base dell’opera di Gabrieli e Hassler, condotto da più direttori tra i quali Marco Berrini.
All’interno del programma concertistico sviluppato a Venaria Reale si è esibita anche la
Compagnia del Madrigale, gruppo che da vent’anni si dedica al repertorio madrigalistico
ottenendo consensi a livello internazionale. Il festival non ha perso l’occasione di coinvolgere i
cantanti del gruppo anche nella conduzione di un atelier monografico, regalando ai partecipanti
l’opportunità di vivere l’emozione della musica di Monteverdi con l’esempio diretto di un gruppo
L’Italia rimane un fondamentale
punto di riferimento culturale.
dossIER
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di grandi specialisti, tra i quali abbiamo chiesto a Giuseppe
Maletto di spiegare il tipo di approccio con la sonorità e
l’espressività specifica di questo repertorio. «Credo che il
nostro atelier fosse l’unico che prevedeva la presenza
contemporanea di quattro insegnanti. Abbiamo quindi offerto
agli allievi la possibilità di cantare sia in coro che in gruppi
più ristretti (uno o due per voce) e anche di avere almeno una
lezione di tecnica vocale individuale ciascuno. Il punto
principale è stato cercare di trasmettere qualcosa della nostra
esperienza con Monteverdi e il madrigale, maturata in molti
anni di frequentazione di questo repertorio. In generale
abbiamo cercato di aiutare gli allievi a comprendere un po’
più a fondo il madrigale, trovare le giuste intenzioni
espressive, la ricerca della sonorità adatta alle varie situazioni
musicali. I gruppi erano seguiti a turno dai vari insegnanti, i
quali hanno talvolta dato delle chiavi di lettura diverse, per
far capire che l’interpretazione deve essere una ricerca
personale. Il livello medio degli allievi era buono, forse
l’errore più ricorrente è quello di non dare abbastanza
attenzione al testo. La peculiarità della musica di Monteverdi
è la sua “umanità”, può riuscire a coinvolgere a un livello
molto profondo. Un certo atteggiamento tipico del corista non
si addice a Monteverdi, per questo abbiamo insistito molto
sulla necessità di non sentirsi solo coristi o cantanti ma anche
attori, interamente coinvolti. Gli allievi sono stati veramente
bravi e c’era un grande entusiasmo; sono riusciti a eseguire
senza problemi l’intero programma dell’atelier al concerto
finale».
Nell’ambito della musica antica, l’Italia ha posto il proprio
sigillo anche su un gioiello rinascimentale quale la Missa
Papae Marcelli di Palestrina in un atelier di approfondimento
filologico diretto con grande successo e un risultato finale
pregevole da Paolo Da Col.
Dal sacro al profano, per giocare anche con l’edonismo della
buona tavola un gruppo di spiritosi coristi si è affidato
all’altrettanto ironico Lorenzo Donati per cantare “in cucina”:
in grembiule, con un mestolo al posto della bacchetta e
l’accompagnamento dei profumi emanati dalla realizzazione
delle ricette che di volta in volta hanno fatto parte delle
prove, dell’esibizione e del “dopo concerto” comprensivo di
assaggi. Che si sia trattato del gioco musicale, della sfida su
repertori di maggiore impegno, del raccoglimento nello studio
di brani di grande intensità, lo scambio di conoscenze e
insegnamenti a diversi livelli è stato sempre il traguardo più
prezioso del festival. Il confronto tra esperienze e provenienze
diverse ha amplificato la portata didattica di ognuno dei
percorsi di studio con un’opportunità di crescita globale che
ha lasciato il segno negli adulti, ma in modo ancora più
diretto nei bambini e nei ragazzi che in questa edizione del
festival sono stati particolarmente numerosi.
Nell’Europa Cantat dei giovani, i docenti italiani hanno potuto
trasmettere le proprie competenze anche nel campo dei cori
di voci bianche con l’impostazione e il repertorio Forever
classical proposto da Mario Mora, fondatore della scuola di
musica I Piccoli Musici e specialista della coralità infantile che
ha unito nel suo gruppo di lavoro le esperienze di Oriente e
Occidente. «Il gruppo era formato da bambini italiani
provenienti da Padova, Udine e Torino, inoltre da un gruppo
di coristi di Taipei che hanno fatto un po’ più di fatica per
questioni di lingua. L’impegno è stato costante nel corso
dell’intero atelier. Devo ammettere che non ho mai avuto
problemi di comportamento e distrazione, tutti hanno
dimostrato sempre grande attenzione. Abbiamo impostato
innanzitutto un discorso sulla vocalità, cercando quindi di
capire il suono che volevamo ottenere, poi abbiamo letto i
brani, infine abbiamo impostato l’interpretazione.
Il programma scelto prevedeva composizioni da una a tre
voci, tra le quali brani di Saint-Saëns, Mendelssohn e autori
italiani. La scelta degli autori è stata strategica per variare le
difficoltà e lavorare sull’espressione. Ho scelto brani che mi
hanno permesso di lavorare sui parametri fondamentali di
suono ed espressione, irrinunciabili nell’approccio a un coro di
bambini. Al di là del fatto che oggi molti prediligano la
combinazione di canto e movimento, affrontata oltretutto da
altri atelier anche all’interno del Festival Europa Cantat.
Di fronte all’ampia diffusione di questo genere di esecuzioni
coreografate sono del parere sia necessario fare distinzioni:
il movimento integra e arricchisce l’esecuzione vocale quando
è supportato da una solida impostazione vocale, non quando
è utilizzato per nascondere difetti o lacune».
La diffusione dilagante delle esecuzioni coreografate nei cori
di voci bianche e giovanili è un fenomeno evidente a livello
internazionale e la preoccupazione per l’allestimento di
piacevoli facciate su contenuti artisticamente e tecnicamente
deboli è assolutamente condivisibile. Lo stesso vale per
l’indubbio fascino esercitato dagli arrangiamenti pop, ma in
entrambi i casi esistono esempi validi della dignità del genere,
come dimostra nei fatti un ambasciatore motivato, serio e
preparato come il direttore, compositore e arrangiatore
Alessandro Cadario che è stato la voce giovane dell’Italia
degli atelier, il rappresentante della ricerca di strade non
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accademiche e non convenzionali che rispondano a una maggiore adesione al tipo di musica nel
quale si identificano i coristi (sempre più numerosi) di orientamento pop, ma anche dello spirito
creativo di chi vuole esplorare il potenziale dell’elettronica. In entrambi i casi si tratta di generi
che hanno ottenuto in tempi recenti una maggiore diffusione nel nostro paese. «Il jazz è entrato
da poco nei nostri conservatori, mentre nelle università americane è presente ormai da molti
anni, anche come pratica corale, e in Europa ci sono numerosi gruppi che da tempo si sono
specializzati nel vocal pop con eccellenti risultati. Diverso è invece il discorso sull’elettronica live
(preciso che non si parla, in questo caso, di arrangiamenti, ma di utilizzo di una strumentazione)
poiché quello di Torino è stato il primo festival di Europa Cantat a ospitare un atelier che
utilizzasse l’elettronica in tempo reale per sperimentare, ampliandole, le possibilità espressive di
un coro “a cappella”. Fatte queste premesse, possiamo dire che la posizione dell’Italia, rispetto
ai generi trattati negli atelier che mi riguardano, è in media la posizione dei cori, maestri,
operatori culturali del mondo corale, quindi molto diversificata. Certamente non si può negare
che il vocal pop si stia diffondendo ampiamente negli ultimi anni, in particolare grazie alla
presenza di numerosi arrangiamenti corali anche di repertorio italiano, mentre precedentemente
l’unica alternativa al repertorio “classico” era rappresentata dal gospel e dallo spiritual. Inoltre
attraverso alcuni di questi arrangiamenti di ultima generazione, particolarmente articolati e
ricchi di contenuti musicali, è anche possibile lavorare non solo sullo stile vocale e interpretativo
specifico, ma anche mettere a frutto complessità armonico-strutturali e contrappuntistiche più
tipiche della musica “colta”. Tornando all’elettronica, possiamo invece dire che questa proposta
sia stata un fulmine a ciel sereno nella coralità amatoriale e per questo ringrazio la lungimiranza
del direttore artistico
del festival Carlo
Pavese nell’aver voluto
sperimentare il futuro
corale anche attraverso
il computer».
Nello specifico, Cadario
ha lavorato con due
gruppi-laboratorio con
organico internazionale
che gli hanno offerto
esperienze molto diverse. «L’atelier di Vocal hip-hop raccoglieva oltre 120 giovani cantori, alcuni
dei quali avevo già avuto modo di apprezzare in passato; tra di loro il bravissimo coro Artemìa
di Denis Monte e molti altri incontrati in questi anni tra uno stage e l’altro per l’Italia.
In particolare ricordo i ragazzi da Trieste, Nuoro, Teramo, molti giovani spagnoli, tedeschi e
infine anche un intero coro dalla Cina. Questo primo atelier è stato davvero divertente e
ovviamente “movimentato” anche se tutt’altro che facile, poiché ho voluto proporre
arrangiamenti con un certo grado di complessità che potessero, attraverso lo studio, segnare un
momento di esperienza e crescita musicale, tanto più necessario nella cornice del festival di
Europa Cantat. Il programma presentato, oltre a due hit del genere hip-hop internazionale (La la
song di Bob Sinclair e Bongo Bong di Manu Chao) includeva Toujour dei Massilia Sound
System, interpretato proprio dall’autore Papet Jali. Infine è stata molto apprezzata, negli
arrangiamenti a cappella, la partecipazione dei beatboxers RoxorLoops (vice campione mondiale)
e Nicola Pisano. Il secondo atelier, quello di improvvisazione e live electronics, è stato invece
tutto da inventare e ha permesso (con la collaborazione all’elettronica di Stefano Bassanese del
conservatorio di Torino) di realizzare un laboratorio molto interessante e innovativo. In questo
caso il gruppo era formato da circa venti cantori, alcuni dei quali provenienti dal Brasile, dal
Venezuela, qualcuno dalla Svizzera e poi uno zoccolo duro di bravissimi, curiosi e audaci
studenti del liceo musicale e del conservatorio di Cuneo con i quali è stato davvero piacevole
lanciarsi alla scoperta delle possibilità che offre il computer per interagire in tempo reale con la
voce e inventare un nuovo modo di fare coro. Siamo quindi partiti dallo sperimentare un’eco
virtuale su Orlando di Lasso fino a creare nuovi brani attraverso diverse tecniche di
improvvisazione. Tutto bellissimo e “volato” troppo in fretta».
Il confronto tra esperienze e provenienze
diverse ha amplificato la portata didattica
di ognuno dei percorsi di studio.
dossIER
16
La coralità italiana è davvero internazionale!
Gli italiani a Torino per il Festival Europa Cantat
di Giorgio Morandi
«Canto, emozione, passione, entusiasmo, multiculturalità…
ma anche e soprattutto tanto impegno, dedizione, studio e
sacrificio. Così potrei “sintetizzare” la mia incredibile
avventura torinese come corista del Coro Accademia Feniarco.
Un grande e impegnativo lavoro di preparazione durato un
anno, lontano dalle luci del palcoscenico, preparati sotto
l’eccellente e minuzioso insegnamento del nostro direttore
Alessandro Cadario e successivamente seguiti e coordinati,
per l’intero svolgimento del festival, dal direttore svizzero
Michael Gohl. È loro che ringrazio fortemente per averci
accompagnato in questo indimenticabile iter musicale che mi
ha permesso di crescere musicalmente e professionalmente.
In questa magica atmosfera ho infatti potuto godere della
direzione di direttori di diverse nazionalità e accorgermi che
l’unica lingua usata per comunicare era la musica: un
linguaggio universale che non ha bisogno di parole per farsi
capire ma lascia che siano le mani a scalfire l’aria e a
trasmetterci il suo messaggio. Ma anche tanta paura di non
sentirsi mai abbastanza preparati per svolgere un così
impegnativo programma musicale davanti a una sconfinata
platea di coristi provenienti da tutto il mondo! Per poi
lasciare posto, la sera, alle luci della ribalta, all’emozione e
alla voglia di coinvolgere ma anche di lasciarsi investire dal
battito all’unisono di quei 5000 cuori uniti in un unico grande
momento: la musica! Ma è difficile, per non dire impossibile,
raccontare la magia e le emozioni che il Festival Europa
Cantat mi ha regalato… E chi, se non lei, potrebbe raccontare
perfettamente questo mio incredibile viaggio nel mondo
musicale, alla scoperta di culture di popoli diversi, a momenti
di associazione corale con persone di tutte le età e dei più
svariati paesi. Ma soprattutto un momento di confronto, un
dare e ricevere e tornare a casa culturalmente più ricchi di
prima... La protagonista di Torino 2012 e della vita di tutti
coloro che ne fanno la colonna sonora della propria
esistenza... E allora lascio che sia lei a parlare, attraverso le
sue armonie, i suoi colori e le sue dissonanze, di
quest’avventura ormai parte indelebile del mio cuore: la
musica» (Antonella Palmisano).
Scopo di questo articolo è quello di provare a dare ai lettori
– soprattutto se non hanno partecipato in nessun modo al
Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012 – un’idea di come gli
italiani iscritti al festival hanno vissuto questa grande
manifestazione corale europea. Quella appena esposta a
firma della giovane Antonella è una testimonianza molto
interessante e intensa; in un certo senso potrebbe anche
bastare poiché è sicuramente in grado di far immaginare
molto di tutto il resto, ma il dovere di cronaca mi chiede di
entrare in alcuni dettagli.
Esattamente un anno fa mi è capitato di scrivere per
Choraliter un testo dal titolo Coralità italiana… internazionale.
È con piacere che, a soli dodici mesi di distanza, ma anche
– questo è molto importante – dopo quattro mesi dal Festival
Europa Cantat XVIII Torino 2012, non posso resistere alla
tentazione di trattare nuovamente, da un diverso punto di
vista, esattamente quel tema.
Sia ben chiaro fin da subito che la seconda trattazione non
sconfesserà la prima, ma ne vorrebbe rappresentare un
superamento in senso migliorativo ed estensivo. Per farla
breve, se un anno fa parlavo di molti, sì, molti ma singoli
rappresentanti della coralità italiana in “posti di rilievo” se
non “posizioni di comando” dell’associazionismo corale
internazionale, e quindi artefici dell’attività corale
internazionale, ora, invece, credo di poter parlare a ragion
veduta della coralità vera e propria, che in modo massivo
(non ancora maggioritario o prevalente, è vero, ma siamo
certamente sulla buona strada) è entrata a ogni livello e in
ogni campo in quella inequivocabile e ben definita e
sostanziosa arena internazionale che è stato Europa Cantat
XVIII voluto a Torino da Feniarco la scorsa estate.
Cominciamo restando per il momento ai freddi dati statistici,
senza fare valutazione alcuna. Siamo informati che dei 3947
iscritti al festival provenienti da 36 paesi di tutto il mondo (il
32% erano maschi) ben 1272 (pari al 33% del totale) erano
italiani; di questi 416 maschi e 855 femmine. Sappiamo anche
che 888 italiani hanno frequentato gli atelier lunghi da 6-8
giorni, mentre 252 hanno frequentato i discovery atelier di
uno o due giorni. Altri 73 italiani hanno partecipato al
programma per direttori di coro, 13 hanno seguito gli atelier
speciali e 9 il programma per compositori.
Da uno sguardo alla tabella dei partecipanti provenienti dalle
singole regioni balza all’attenzione immediatamente il fatto
che, fatta eccezione per il Piemonte e il Friuli Venezia Giulia
che da soli hanno fornito rispettivamente il 30% e 20% dei
partecipanti italiani, le regioni del Centro-Sud sono state più
presenti di quelle del Nord.
Continuiamo con i dati statistici ricordando che i cori italiani
presenti al festival sono stati ben 50, pari a oltre un terzo del
totale. Fanno un belvedere in questa lista i cori dal Piemonte
(12), quelli dal Friuli Venezia Giulia (9), dalla Campania (5),
dalla Sardegna (4) e poi quelli dal Lazio, dalla Puglia e dal
Veneto (3 per ogni regione), da Sicilia e Toscana (2) e da Valle
d’Aosta, Trentino, Molise e Liguria (1 coro).
E per finire: gli italiani si sono divisi su 37 dei circa 90 diversi
atelier attivati nel festival. Questi dati sollecitano
enormemente la curiosità circa i gusti corali espressi a Torino
17
dai partecipanti italiani, ma lo studio
dettagliato e soprattutto l’esposizione in breve
spazio non è facile. Ci si limiterà quindi a
qualche indicazione esemplificativa.
L’atelier più frequentato dagli italiani (67 voci
bianche di 10-16 anni), per esempio, è stato
Arvo Pärt: Our garden tenuto dall’estone
Aarne Saluver. La Festival Guide descrive
l’opera oggetto di studio come «messaggio
interessante e ricco di umanità scritto nel 1959
ed eseguito a Torino nell’edizione del 2003
come progetto di ponte attraverso il tempo e i
popoli».
Molto gradito è stato l’atelier Yo Man in cui
l’italiano Alessandro Cadario ha voluto far
scoprire ai suoi allievi dal 14 ai 26 anni (tra cui
54 italiani) come le voci diventino un’orchestra
vocale confluendo in esecuzioni mozzafiato.
Ben 52 cantori hanno seguito l’atelier
Spirituals (per voci miste) della statunitense
Avis Denise Graves la cui voce ha voluto raccontare «una storia di continua evoluzione, da canti
di lavoro a segnale per fuggire la schiavitù poi intonato alle funzioni e infine approdato alle sale
da concerto».
Seguito da ben 45 italiane (solo voci femminili) anche l’atelier Let’s Travel tenuto da Basilio
Astulez (Spagna/Paesi Baschi) che ha proposto «un mix di ritmi popolari, moderne creazioni e
armonie che portano i cantori dal nord al sud del mondo con l’accompagnamento di divertenti
coreografie».
Quarantatrè voci miste italiane hanno seguito The sound of silent film, l’atelier in cui il francese
Loïc Pierre ha proposto «la prima
esecuzione assoluta di un ciclo di
composizioni realizzato da Jonathan
Rathbone [presente al Festival] per
sostituire in alcuni rari film muti del
Museo del Cinema di Torino le voci
degli attori con la potente poesia del
coro in momenti di tragedia, di comicità
e di danza».
Tra gli atelier con minor presenza di
italiani citiamo Beat Boxing and Body
Percussion (gestito dall’austriaco
Richard Filz e dal belga RoxorLoops) in cui tre partecipanti individuali italiani in otto giorni
hanno voluto imparare a «usare il proprio corpo come una tavolozza dai tanti suoni oppure il
microfono per riprodurre ogni tipo di strumento».
Anche The Fascination of Gregorian Chant tenuto dal tedesco Alexander Schweitzer ha visto la
presenza di solo cinque italiani per un «molteplice approccio al canto gregoriano affrontato
come studio delle fonti, come canto liturgico pratico e come attenzione alla dimensione
teologico-spirituale e quale esegesi della parola biblica».
Solo otto giovani signore in Groovy Ladies tenuto dal belga Benoit Glaux si sono cimentate,
invece, con «nuovi arrangiamenti di classici senza tempo pop e jazz… Elaborazioni innovative, in
stile close harmony, 100% a cappella».
Nove cantori, in Invitation to Baltic Song Celebrations con il maestro lettone Ints Teterovskis,
hanno affrontato una scelta di repertorio popolare e di composizioni originali in lingua delle tre
repubbliche baltiche.
Tra gli atelier con media partecipazione degli italiani possiamo citare ancora Forever classical,
l’atelier tenuto da Mario Mora che ha attirato trenta ragazzi italiani di 8-16 anni.
«È difficile, per non dire
impossibile, raccontare la magia
e le emozioni che il Festival Europa
Cantat mi ha regalato».
dossIER
18
Partendo da M. Haydn, Mendelssohn, Weckerlin e Saint-Saëns
e arrivando a Dipiazza e Zuccante i ragazzi di questo atelier
hanno gustato «il piacere di cantare insieme con gusto, gioia
e sensibilità».
Gli italiani si sono cimentati anche in alcuni atelier più “pazzi”
e originali, come Party music tenuto dal norvegese Kjetil
Aamann che ha proposto «dipingiamo Torino di rosso!
Cantiamo pop e disco music divertendoci un
mondo… Se ti piacciono la musica in levare e le
canzoni molto energetiche, questo atelier è il
posto giusto per te».
I buongustai italiani non mentono e non
mancano! Sing it! Cook it!… Almeno una ventina
di cantori italiani hanno seguito Lorenzo Donati,
noto direttore di coro, compositore e “cuoco”!
«Ricetta: cantare musiche antiche, musiche
nuove, musiche scritte per l’occasione, tagliare, affettare,
rosolare, cucinare e infine assaporare i sottili legami tra
musica e cibo». L’ho visto (sì, io ho solo visto!), all’esibizione
finale in teatro c’era anche dell’ottimo vino! E come poteva
mancare? «Dovere», hanno detto i corsisti, per onorare l’invito
di quel canto popolare che dice Insieme bevemo e in coro
cantemo, insieme bevemo! Evviva l’amor!
Oltre quaranta cantori italiani hanno partecipato all’atelier San
Gloria con l’inglese Timothy Brown che con i suoi allievi ha
affrontato lo studio di questo Gloria «davvero originale e di
effetto, scritto per coro, organo e orchestra da camera dal
compositore olandese-sudafricano Péter Louis Van Dijck, su
temi dei San (Boscimani)». Esso riflette l’incontro tra la
cultura africana e quella europea.
Duke Ellington è l’atelier in cui, per quattro giorni, alcuni
cantori italiani, con il direttore olandese Harold Lenselink, si
sono dedicati allo studio di una selezione di quelle
composizioni (per solo, coro e big band) che Duke Ellington
– a 66 anni – aveva comporto per una serie di concerti nelle
chiese americane, e che aveva definito come «la cosa più
importante che io abbia mai fatto».
Analizzata quale è stata la presenza degli italiani al festival, si
può passare ora a vedere quale è lo spirito con cui gli stessi
hanno vissuto il loro soggiorno e le loro attività in Torino. Non
è possibile riportare i pareri, le emozioni, l’entusiasmo di tutti
i partecipanti, sia perché non è possibile immaginare di
incontrare nemmeno la maggior parte dei gruppi, dei cori, dei
singoli, sia perché gli incontri con loro non sono mai stati
frutto di appuntamenti giornalistici e interviste ben
programmati. Sono stati incontri estemporanei (e senza
possibilità di prendere appunti) durante le pause di attività,
nei vari luoghi della città, magari nella vicinanza delle fontane
di piazza Castello dove alcuni bambini, per esempio, stavano
divertendosi con l’acqua, oppure sotto i portici di via Po
mentre cantori e passanti (difficile dire con più precisione) si
spostavano da un pannello musicale all’altro per intonare il
canto in esso proposto, oppure lungo i muri dei grandi cortili
o nei giardini di Venaria, o in occasione dei concerti di fine
atelier nelle vicinanze del teatro Espace piuttosto che davanti
alla chiesa di San Filippo o a quella di Santa Giulia o, anche,
sulle rive del Po nel Parco Valentino, per non dire…
semplicemente per strada durante qualche spostamento,
come quando, per esempio, con piedi segnati da vesciche e
con cellulare dimenticato in camera d’albergo, essendo alla
ricerca di un taxi o della fermata più vicina di un tram, la
Provvidenza mi ha materializzato sull’altro lato della strada
«Davvero ho trovato nel festival
di Torino quello che cercavo!»
due cantori sardi con i quali poi ho parlato lungo tutto il
tragitto in tram verso il centro città…
Non è possibile quindi citare osservazioni particolari,
espressioni specifiche di quel grande entusiasmo, di quella
gioia per la festa che tutti, davvero tutti gli incontrati hanno
espresso, con la gioia e la spontaneità dei ragazzi che si
vedono fermati da uno sconosciuto il quale (presentatosi e
motivata la ragione dell’interferenza) li incoraggia a esprimere
il loro gaudio, il loro pensiero sulla speciale vacanza che
stanno trascorrendo. È stato bello sentire un gruppo di ragazzi
esprimere euforia per l’esuberante e istrionico direttore
norvegese che li ha “stregati” col suo atelier, oppure per la
bellezza della città che li ospita… Quale
gioia incontrare il presidente
dell’associazione regionale campana,
nonché direttore di coro, che venendo a
salutarci nell’ufficio di redazione di
ReadyTOnews (il quotidiano del festival)
sprizza entusiasmo e orgoglio per aver
accompagnato ben cinque cori della sua
regione e per avere lui stesso vissuto da
semplice corista, per scelta precisa, una grande esperienza che
comunque gli ha lasciato spazio anche per la frequentazione di
iniziative rivolte ai direttori di coro. Il suo parlare, personale
ma anche in nome dei propri cantori, è incondizionatamente
positivo. Ed ecco poi l’incontro serio, quasi professionale,
anche se estemporaneo, con un musicista che scopri
accompagnatore di un coro giovanile del Veneto: appassionato,
felice per l’esperienza che con la direttrice del coro e i genitori
ha potuto offrire ai suoi ragazzi. La sua sincerità, spontaneità
e convinzione non è sminuita, anzi è avvalorata dal suo far
presente qualche difficoltà incontrata come accompagnatore,
figura che nell’organizzazione generale del festival – a suo dire
– doveva essere meglio considerata. È poi la volta di un coro
giovanile torinese: dire che “gioca in casa” è dire esattamente
cosa sta facendo. È ordinatamente disposto sulla gradinata
che dai grandi corridoi dei palazzi porta all’estero sugli
immensi cortili di Venaria. I giovanissimi cantori seguono
attentamente le istruzioni verbali e gestuali della loro direttrice
e offrono la loro stupenda musica al piccolo pubblico (60-80
persone) che hanno attirato in quel luogo. Al termine
dell’esecuzione, durante lo spostamento presso un’altra sede
di canto, avvicino il maestro accompagnatore e collaboratore
19
del coro che di buon grado accetta di parlarmi della loro
esperienza al festival. È entusiasta, è positivo in modo
assoluto, suggerisce un valore aggiunto all’esperienza del suo
coro che è abituato a incontri ed esperienze internazionali di
alto livello, anche se per la prima volta partecipa a un Festival
Europa Cantat. La positività è espressa con parole e concetti
precisi dal punto di vista tecnico, pedagogico, educativo,
parole che il “giornalista” ora non sa nemmeno ripetere, ma
ben ne ricorda accanto alla professionalità il senso profondo,
la sincerità e il calore. Nel primo piazzale all’ingresso della
Reggia di Venaria tra un capannello di persone riconosco il
maestro Rathbone che affabilmente si intrattiene con un
gruppo di persone. La lingua parlata è l’inglese, ma non è
difficile capire che il gruppo è italiano; non ci vorrà molto a
scoprirlo friulano. È un gruppo misto di giovani… maturi
(teenagers lo furono forse otto o dieci primavere fa). Gente di
confine verso est, gente di facili contatti e molte esperienze
con altre culture, un coro che forse ci si potrebbe aspettare
che sia abituato a certe situazioni. Ebbene, anche
l’entusiasmo di queste persone è quello della prima volta in
una grande occasione: positività, soddisfazione, gioia,
gratitudine per chi ha inventato questa manifestazione e chi
l’ha portata in Italia, in una delle più splendide città.
Chi scrive non inventa queste emozioni, cerca con semplicità
«Strepitoso poter incontrare persone
ed esperienze di tutto il mondo».
e in forma probabilmente fin troppo limitata il modo di
descriverle e comunicarle a chi – peccato per lui! – a Torino
non c’era e che solo attraverso questo testo potrà farsi una
vaga idea di che cosa potrebbe trovare a Pécs (Ungheria) fra
tre anni. Cantori, direttori di coro e dirigenti italiani,
l’appuntamento è dal 24 luglio al 2 agosto 2015 a Hung(a)ry
for Singing (Affamati di canto oppure L’Ungheria per il canto!
Bello il gioco di parole e… l’avete visto l’adesivo rosso con
l’impronta di un morso? Il morso della fame di musica!). A
Pécs gli organizzatori ungheresi si sono «impegnati a
uguagliare i più alti standard stabiliti dai colleghi italiani».
Mano alle vostre agende e alla vostra programmazione. Siete
avvisati per tempo!
Resta da dedicare attenzione ad altre importanti categorie di
italiani partecipanti a Europa Cantat XVIII di cui non si è
ancora parlato, ma che meritano un accenno specifico.
I dati forniti dall’organizzazione dicono che dei 194 direttori di
coro presenti al festival, 73 (pari a circa il 38%) erano italiani.
E dicono anche che dei 14 compositori presenti, ben 9 (64%)
erano italiani. Ne consegue che non è semplicemente auto
elogiativo affermare che anche in queste due categorie la
coralità italiana era ben rappresentata.
dossIER
20
E lo spirito dei partecipanti? Non è stato da meno di quello
dei cantori: due compositori (qui scelti in rappresentanza della
categoria) si dichiarano entusiasti sottolineando la quantità e
la qualità delle opportunità che sono state loro offerte. «Fin
troppe», secondo qualcuno che ha sentito in modo molto
particolare il disagio di dover scegliere certe attività a scapito
di altre ugualmente attraenti. Le tavole rotonde fra
compositori sono ricordate con grande interesse, fino
all’affermazione «e mi sono commosso» di un compositore
non più di primo pelo. Gli incontri con Bonato, con Valtinoni,
l’aspetto pratico, le indicazioni concrete, la musica
bellissima… Grande, grande esperienza vissuta a Torino!
E i direttori di coro? «Esperienza da rifare» è il commento più
immediato e semplice. «Da giovane (ora l’anziana direttore di
coro che sta parlando ha ben 19 anni!) cercavo questo.
Davvero ho trovato nel festival di Torino quello che cercavo!».
«Strepitoso poter incontrare persone ed esperienze di tutto il
mondo» dice un direttore perugino che aveva iniziato
elogiando «una grande organizzazione perfetta». E
procedendo (da parte di chi scrive) per frasi mozze, semplici
flash e frammenti di conversazione: «ottimi spunti e
suggerimenti concreti immediatamente applicabili ai nostri
cori… I discorsi avviati negli incontri proseguivano poi fuori in
tutte le occasioni possibili… Interessante rilevare la presenza
di problemi comuni nelle diverse aree geografiche europee e i
modi e la sensibilità con cui vengono affrontati… Di ottimo
livello i concerti… Grande levatura tecnica e umana dei
tutor…»
Ho voluto considerare a sé stanti e in modo specifico i nostri
due grandi cori, il Coro Giovanile Italiano diretto da Dario
Tabbia e Lorenzo Donati e il Coro Accademia Feniarco diretto
da Alessandro Cadario. Ancora una volta a parlare non è chi
scrive, ma sono i protagonisti.
Diego e Marianna, per il cgi, raccontano di un’esperienza
bellissima, di sensazioni strepitose quando si preparavano al
«canto in presenza e con la collaborazione e direzione del
compositore». Sono colpiti e sottolineano l’intesa e la fattiva
«maggior creatività derivante dalla collaborazione direttorecompositore»; entrambi sono cantori che hanno avuto in
Torino anche la possibilità di collaborazioni specifiche, uno in
campo fonico con i tecnici professionisti alle prese con la
microfonazione del Coro Accademia Feniarco, l’altra con la
collaborazione come cantante lirica all’atelier dedicato alla
musica operistica. Purtroppo i numerosissimi impegni non
hanno permesso un grande vagare attraverso le tante attività
del festival. Il contatto con molte altre coralità e la perfetta
organizzazione li ha impressionati entrambi.
Marco e Alessia sono invece membri del Coro Accademia
Feniarco, colleghi e amici di Antonella che abbiamo conosciuto
nel “preludio” a questo articolo. Anche loro, presissimi dalle
numerose prove e concerti e dalla guida quotidiana dell’open
singing con Michael Gohl hanno avuto poche possibilità di
esplorare le altre attività e i concerti del festival. Ma sono
entusiasti del maestro Gohl che, dice Alessia, «mi ha
trasmesso profondamente l’idea e la convinzione che la
musica non è una delle tante separate attività della vita ma è
vera e completa esperienza di vita!». Sono entusiasti anche
del maestro Rathbone con cui hanno lavorato e studiato
alcune sue composizioni. «La partecipazione al festival con il
Coro Accademia mi ha aiutato a crescere molto… Ora quando
canto nei miei altri cori – dice Marco – ogni canto, ogni
momento nel coro è un richiamo forte e diretto al festival che
inoltre è stato grande occasione di incontro e di socialità. Ora
ogni canto del compositore che ho conosciuto e con cui ho
lavorato coralmente, anche cantato nel mio coro è diverso, è
più intenso, è più compreso, condiviso e goduto».
«Con la coralità ho avuto un grande insegnamento. Questa è
stata la mia prima esperienza di canto corale – dice Alessia
che nella vita è studente di fine corso di canto lirico – ed è
stata decisiva, mi ha insegnato molto, mi è servita per trovare
una parte di me stessa di cui, fino ad ora, ancora non avevo
preso coscienza. Il trovarmi con tante persone sconosciute ma
con cui condivido la stessa passione ha costituito
un’esperienza di grande respiro, un’esperienza che mi ha
arricchito e non solo dal punto di vista musicale».
Ecco anche il pensiero di un attore del festival difficilmente
classificabile in una specifica categoria. Al Festival Europa
Cantat XVIII era presente come direttore del Coro Accademia
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Feniarco, docente di più atelier, collaboratore di
Feniarco da lunga data, già membro dello Youth
Committee di European Choral Association - Europa
Cantat: Alessandro Cadario. È un vulcano, anche
mentre mi parla del festival, di come l’ha visto e
vissuto lui. Inizia subito con un bel «ho trovato lo
spirito della coralità italiana… l’inconfondibile marchio
Feniarco». Alessandro riprende: «Nei miei atelier ho
incontrato gruppi molto interessati, curiosi e
simpatici. Per me è stata un’esperienza coinvolgente
e innovativa, tutta un’unica scoperta in atto. Una
presa di coscienza delle concrete possibilità di
trovare un linguaggio comune tra competenze diverse
in una sintesi innovativa che davvero spinge avanti.
Vedo il festival anche come occasione di conoscenza,
di contatti, di scambi, occasioni di opportunità di
lavoro per me e per i nostri cori». E continua:
«Grande lavoro ma anche strepitosa esperienza con il
Coro Accademia Feniarco che è nato praticamente
con il festival e che mentre questo cresceva e si
perfezionava, a sua volta (il Coro Accademia)
cresceva, fino a presentarsi così ben preparato a far
fronte alle numerose attività richieste dal festival».
Per finire dovremmo dire qualcosa anche dello staff
organizzativo di Torino. Moltissimi gli italiani, e di che razza! Hanno creato e hanno fatto il festival, ma
probabilmente sono coloro che ne hanno vissuto di meno la festa nella città e nella musica. Il loro godimento,
peraltro ascoltato più volte in questi quattro mesi, credo si sia realizzato e manifestato in coincidenza dello
scarico di tensione, del venir meno degli impegni operativi, quindi un po’ a posteriori, nel rilevare con
soddisfazione sincera e corretta e nel sentirsi dire che il festival è stato grande, è andato in modo egregio grazie
al loro grande lavoro!
Non è né possibile né ammissibile evitare un accenno al protagonista (in senso letterale primo attore) di tutto,
Sante Fornasier, presidente di Feniarco e (all’epoca) presidente di European Choral Association - Europa Cantat.
Forse lo metto lievemente in imbarazzo, ma so che gli farebbe piacere il titolo di Primo Italiano al Festival. Caro
presidente, è solo il più piccolo dei tuoi collaboratori che te lo dà, ma il titolo è tuo, tutto e con grande merito!
Italiani al Festival sono stati anche le
centinaia di volontari di Torino.
Preziosissimo il loro lavoro svolto con
entusiasmo. Forse il meno musicale in se
stesso, ma componente importante per la
generale armonia del festival.
Calzano a pennello – per concludere la
nostra analisi senza pretese sugli “italiani al
festival” – alcune frasi colte tra i discorsi di
diversi direttori di coro. «Bella la
partecipazione italiana, con tanti giovani che hanno colto l’importanza e la responsabilità e l’onore si partecipare
al grande evento Festival Europa Cantat». E ancora: «soprattutto, e ciò mi rallegra, ho incontrato giovani
direttori (o aspiranti tali) molto preparati e con le orecchie bene attente a cogliere segreti e/o trucchi del
mestiere».
La festa è finita! Sì, così si usa dire, ma per conoscenza personale diretta posso affermare che fortunatamente è
un’affermazione errata in questo caso. La partecipazione all’assemblea autunnale di Feniarco a Bolzano e
all’assemblea annuale di European Choral Association - Europa Cantat a Toulouse, gli incontri di persona, quelli
telefonici e telematici avuti con molte persone in Italia e all’estero in questo periodo sono dimostrazione
inequivocabile che la festa continua… Non c’è dubbio. La coralità italiana è davvero internazionale.
«La musica non è una delle tante
separate attività della vita ma è vera
e completa esperienza di vita!»
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choraldisC
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READY TO SING
Echi dal Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012
In allegato a questo numero di Choraliter, presentiamo una selezione dai concerti registrati dal vivo in occasione del Festival
Europa Cantat XVIII Torino 2012. Un’antologia musicale che vuole raccontare suoni e suggestioni dal festival, fissando nella
memoria gli echi di questa straordinaria esperienza.
Di seguito i contenuti dettagliati delle singole tracce. A tutti i lettori di Choraliter, buon ascolto!
1 Candombe de San Baltasar (L. Cangiano)
Landesjugendchor Rheinland-Pfalz (DE)
dir. Martin Ramroth
Chiesa di San Filippo, 29 luglio 2012
2’59”
10
Veni sancte spiritus (G. Bonato)
8’59”
Coro Giovanile Italiano (IT) / dir. Lorenzo Donati
Brano in prima esecuzione, commissionato da Feniarco
Reggia di Venaria, 30 luglio 2012
2
Ne timeas Maria (T.L. de Victoria)
Coro Giovanile Italiano (IT) / dir. Dario Tabbia
Chiesa di San Filippo, 29 luglio 2012
2’42”
O beata et gloriosa Trinitas (G.P. da Palestrina)
Coro Giovanile Italiano (IT) / dir. Dario Tabbia
Chiesa di San Filippo, 29 luglio 2012
3’29”
I himmelen (E. Grieg)
Norges Ungdomskor (NO)
dir. Tone Bianca Sparre Dahl
Conservatorio “G. Verdi”, 1 agosto 2012
5’26”
3
11
4’12”
4
13 Laulud pulmades õpitud (V. Tormis)
Eesti Koolinorte Segakoor (EE) / dir. Taavi Esko
Conservatorio “G. Verdi”, 31 luglio 2012
3’42”
Ave Virgo gloriosa (G. Frescobaldi)
4’16”
Coro Maghini (IT) / dir. Claudio Chiavazza
Viola da gamba: Massimo Sartore, Chiara Torrero
Tromboni: Marco Gaggioni, Floriano Rosini
Violone: Marco Angilella / Organo: Chiara Marcolongo
Real Chiesa di San Lorenzo, 31 luglio 2012
12 Farewell (E. Miaroma)
Atelier C5: Made in Italy / dir. Dani Juris
Conservatorio “G. Verdi”, 3 agosto 2012
1’35”
5
Nisi Dominus (C. Monteverdi, dal Vespro
della Beata Vergine)4’32”
Ensemble vocale Orologio & La Compagnia
del Madrigale (IT) / dir. Davide De Lucia
Ensemble strumentale Orologio & La Pifarescha
Chiesa di San Filippo, 1 agosto 2012
14
La notte bella (M. Zuccante)
Atelier A2: Forever Classical / dir. Mario Mora
Pianoforte: Valentina Crisci
Chiesa di Santa Giulia, 2 agosto 2012
del festival europa cantat
xviii torino
6 Ich lasse dich nicht, BWV 159a (J.S. Bach)
Atelier D3: Bach: Motets / dir. Erik Van Nevel
Landesjugendchor Niedersachsen (DE)
Nederlands Studenten Kamerkoor (NL)
Academia Montis Regalis (IT)
Chiesa di San Filippo, 2 agosto 2012
5’18”
3’50”
7
4’57”
16 È questo il mare? (F. Vacchi)
Estonian National Male Choir (EE)
dir. Mikk Üleoja
Brano in prima esecuzione, commissionato
da Europa Cantat Torino 2012
Lingotto, Auditorium “G. Agnelli”, 2 agosto 2012
17 Sacred concert: finale (D. Ellington)
Atelier B16: Duke Ellington’s Sacred Concert
dir. Harold Lenselink
WTS Big Band / Soprano: Diana Torto
Lingotto, Sala 500, 31 luglio 2012
2’55”
8 Nüüd ole Jeesus Kiidetud (T. Körvits)
Atelier C1: Arvo Pärt: Our Garden
dir. Aarne Saluveer
Orchestra Sinfonica Regionale della Valle D’Aosta
Auditorium RAI “A. Toscanini”, 1 agosto 2012
5’03”
9 Lux aurumque (E. Whitacre)
Atelier D2: Eric Whitacre’s Music
dir. Ragnar Rasmussen
Cantanima (AT) / Eesti Koolinorte Segakoor (EE)
Landesjugendchor Rheinland-Pfalz (DE)
Norges Ungdomskor (NO)
Lingotto, Auditorium “G. Agnelli”, 2 agosto 2012
3’43”
di Lorenzo Montanaro
responsabile ufficio stampa
15 Drei volkslieder aus dem Luzerner Hinterland
(H. Zihlmann)
Choeur Suisse des Jeunes (CH)
dir. Andreas Falber e Dominique Tille
Conservatorio “G. Verdi”, 31 luglio 2012
In monte Oliveti (P. Uusberg)
Estonian National Male Choir (EE)
dir. Mikk Üleoja
Chiesa di San Filippo, 3 agosto 2012
quando il coro
fa notizia
3’51”
2012
Sono le 16.45 di sabato 28 luglio. Piazza
Castello, cuore della città di Torino, comincia
lentamente a riempirsi. La gente forma piccoli
gruppi: un po’ ovunque si vedono chiazze di
magliette magenta e foulard colorati. Tra meno di
un’ora un coro di 4.000 voci intonerà a canone
Signum di Thomas Tallis, dando ufficialmente
inizio al Festival Europa Cantat XVIII. Una decina
di giornalisti e fotografi si ritrovano sotto il
Palazzo della Regione Piemonte, che si affaccia
proprio sulla piazza. Ai piani alti dell’edificio
squilla un telefono. «Pronto. Senta, siamo qua
sotto». Il tono è gentile, quasi di scusa.
«Vorremmo salire sul tetto per fare delle foto.
Ci aspettavamo un raduno di patiti del canto,
roba per pochi intenditori. E invece sono arrivate
migliaia di persone da tutto il mondo. Uno
spettacolo. Ora i giornali si aspettano delle
immagini d’effetto». Forse possono bastare
queste poche parole per raccontare lo stupore
con cui la stampa italiana ha accolto Europa
Cantat, novità assoluta per la città di Torino e
per l’intero Paese. Fino all’inizio della
manifestazione il mondo dei media è stato cauto,
a tratti anche un po’ scettico nei confronti dei
numeri annunciati dall’organizzazione, numeri
così imponenti da dar l’idea di essere “pompati”.
Ma una volta apertosi il sipario è risultato
evidente che la marea multilingue e multicolore
assiepata in piazze, chiese e teatri era una vera
notizia e non una semplice curiosità. Così voci e
immagini del festival hanno iniziato a conquistare
televisioni, radio, carta stampata e a diffondersi
nella galassia internet.
I professionisti ufficialmente accreditati erano
una cinquantina tra cronisti e fotoreporter, sia
italiani che esteri. Ma molti di più sono quelli che
a vario titolo hanno seguito la manifestazione.
Proviamo a fare una rapida carrellata sulle
testate presenti, partendo da quelle nazionali per
arrivare alle realtà locali.
Durante tutti i dieci giorni di festival, concerti e
atelier sono stati seguiti da telecamere e
microfoni della Rai. Due troupe di ripresa hanno
cercato di tener dietro al vortice di eventi in
programma, spostandosi di continuo da un luogo
all’altro, sia a Torino che in altri spazi della
regione. Il risultato di questo lavoro imponente e
condotto con rigore è un documentario di oltre
quaranta minuti, andato in onda nell’ambito del
programma La Musica di Rai 3. I curatori hanno
cercato di “fotografare” lo straordinario affresco
corale da diverse angolazioni: ci sono le
immagini delle esibizioni e delle prove, ma anche
numerose interviste con direttori, docenti, artisti,
organizzatori e volontari. Ne emerge un efficace
collage di voci e suoni che, pur non volendo né
potendo essere esaustivo, riesce a restituire il
clima di contagioso entusiasmo che si respirava
nei giorni del festival. Numerose immagini degli
eventi principali sono state catturate anche dalle
redazioni Rai del Piemonte (che ha dato ampio
il coro
24
spazio al festival nei telegiornali regionali) e del Friuli Venezia
Giulia (una presenza significativa, che ribadisce il legame
forte esistente tra questa regione e Feniarco). Prime assolute,
sperimentazioni e open singing hanno attirato l’attenzione del
programma Radio 3 Suite (in onda su Rai Radio 3), che,
sempre a caccia di stimoli e novità dal mondo musicale, ha
saputo raccontare l’evento “di massa” con approfondimenti,
interviste e collegamenti dalle piazze torinesi.
Grazie anche a una preziosa collaborazione con la Città di
Torino e la Regione Piemonte, l’attenzione della carta
stampata è stata alta. Il fascino del Festival Europa Cantat
non è sfuggito ai “padroni di casa” del
quotidiano La Stampa. Il giornale diretto da
Mario Calabresi ha seguito la manifestazione
quasi giornalmente, con contributi nelle
pagine locali e nell’edizione nazionale. Alle
semplici enunciazioni del programma e delle
opportunità per i cittadini si sono aggiunti
articoli diversi, incentrati sulla bellezza e sul
senso del cantare insieme (significativa una
lunga intervista con l’artistic manager Carlo
Pavese, protagonista anche di un video pubblicato sul sito
internet lastampa.it) e pezzi di colore dedicati agli aspetti più
estemporanei del festival (le lingue, gli abiti caratteristici, le
mille esibizioni spontanee in strada, in coda per i concerti e
perfino sui mezzi pubblici). Anche La Repubblica ha seguito
l’evento con assiduità e notizie relative al Festival Europa
Cantat sono comparse su diversi quotidiani, tra cui Il Corriere
della Sera e Avvenire, oltre che sui settimanali Gente e
Nuovo.
Non solo. La kermesse torinese ha mobilitato anche un gran
numero di testate locali. Citarle tutte non sarebbe possibile,
ma è importante sottolineare la loro eterogeneità. Se
l’attenzione di una rivista specializzata come Sistema Musica
(da anni punto di riferimento per tanti appassionati,
soprattutto del panorama classico) era in qualche modo
prevedibile, non sono mancate le presenze “a sorpresa”. È il
caso di Radio Flash, emittente torinese piccola, ma con una
lunga storia alle spalle. Normalmente si occupa di musica
indipendente ed è un trampolino di lancio per tanti gruppi
emergenti pop e rock. In occasione del festival, però, ha
voluto aprire una finestra sul canto corale, seguendo con una
diretta la sfilata d’apertura in piazza Castello. Alle testate di
stampo più tradizionale, come Torino Cronaca, si sono
affiancate le novità del giornalismo digitale, dal Quotidiano
Piemontese (neonato giornale on-line del Piemonte) alla
rivista culturale internet Traspi.net. Preziosa anche la
presenza de La Voce del Popolo, settimanale della Diocesi di
Torino, che ha raccontato con entusiasmo soprattutto i
concerti di musica sacra e le proposte per famiglie.
Un discorso a parte va fatto per la stampa internazionale.
A differenza dei colleghi italiani (interessati di solito più alle
“masse” che ai singoli concerti e a tratti perfino disorientati
dal turbine di eventi in programma) i cronisti esteri sono
arrivati al festival con le idee molto chiare. Quasi tutti
avevano già partecipato a edizioni precedenti e quindi erano
a caccia di dettagli, di piccole e grandi sfumature che
permettessero di apprezzare le peculiarità torinesi. Alcuni
avevano uno o più cori “di riferimento” che desideravano
seguire in tutti gli spostamenti. Hanno partecipato giornalisti
da diversi Paesi, europei e non: dalla Germania alla Slovenia,
dai Paesi Bassi al Brasile. Ma c’è uno Stato che ha saputo in
qualche modo imporsi: è la Finlandia. In questa terra, dalla
tradizione corale solidissima, il canto ha un posto di assoluto
riguardo sui giornali e nei palinsesti radiotelevisivi. Lo
dimostra il fatto che la Radio Nazionale Finlandese abbia
Voci e immagini del festival hanno
iniziato a conquistare televisioni,
radio, carta stampata.
realizzato uno speciale sul Festival Europa Cantat, trasmesso
nell’ambito di un programma espressamente dedicato al canto
corale. Uno spazio ad hoc, quindi, e non un generico
“contenitore musicale”. E forse (viene da aggiungere)
trasmesso in una fascia oraria accessibile (e non a orari
improbabili, come di solito accade in Italia, dove pure
esisterebbe una tradizione corale di inestimabile valore).
Piccoli dettagli che dovrebbero far riflettere. Ma forse il
Festival Europa Cantat è servito anche a questo.
composizione e
coro: una miscela
esplosiva
Intervista a piero caraba
a cura di
Walter Marzilli
Carissimo maestro Caraba, la tua attività
professionale ti vede protagonista come
compositore ma anche come direttore di cori e di
orchestre. Quale delle due passioni è nata per
prima? Ti chiedo anche se nel tuo percorso
formativo hai incontrato un ispiratore che ha
acceso in te l’interesse per il coro.
La passione per il coro e per la composizione
nascono insieme e, come spesso accade, tutto
dipende dalle persone che si incontrano,
soprattutto tra i docenti. Nel liceo classico che
frequentavo (il Giulio Cesare di Roma) c’era
un’ottima attività teatrale ed è proprio lì che ho
cominciato a scrivere le mie prime musiche e ad
ascoltarle già subito eseguite “in diretta”.
Naturalmente c’era anche un coro al liceo, il
Giovanni De Antiquis (tutt’ora attivo a Roma),
fondato dal maestro Franco Potenza, e io ne ero
il pianista accompagnatore… Insomma,
composizione e coro, una miscela esplosiva per il
mio desiderio di esprimermi e comunicare. Ho
quindi frequentato il Pontificio Istituto di Musica
Sacra, un luogo deputato per eccellenza, di cui tu
conosci bene la valenza visto che hai l’onore e il
piacere di farne parte come docente. Ancora oggi
mi emoziona, quando torno in quei luoghi,
quell’atmosfera musicale raccolta e vivace allo
stesso tempo… Sono profondamente grato ai
maestri che ho incontrato in quegli anni preziosi
e onorato per aver potuto studiare con loro.
Grandi personalità musicali: Armando Renzi,
Eugène Cardine, Domenico Bartolucci e,
fondamentale per la mia formazione di
compositore, Vieri Tosatti. Con lui, in seguito,
presso il conservatorio di Santa Cecilia, ho
conseguito i diplomi di composizione e di musica
corale e direzione di coro. A proposito di
gratitudine, consentimi di citare anche Giorgio
Kirschner, mio insegnante di direzione di coro in
conservatorio, allora anche direttore del coro
dell’Accademia di Santa Cecilia, che, tra l’altro, mi
ha generosamente donato molte delle sue
partiture, e Padre Evangelista Nicolini, direttore
dei Cantori di Assisi, del quale per oltre dieci anni
sono stato aiuto maestro. Con quest’ultimo ho
avuto la possibilità di fare un’enorme esperienza
di coro proprio sul campo, non solo ad Assisi e in
Italia ma anche in giro per il mondo. Con lui ho
diretto il coro in concerti in Terra Santa, Australia,
Brasile, Germania, Francia… puoi immaginarti con
quale slancio ed emozione!
piero
Hai nominato il caro Vieri Tosatti, che ho avuto
anch’io la fortuna di poter apprezzare negli anni
di studio al Pontificio Istituto di Musica Sacra,
ormai non vedente, ma con un orecchio
raffinatissimo: cosa ti ha lasciato?
Tosatti era molto contrario a un certo tipo di
avanguardia che portava a soluzioni estreme e in
taluni casi, molto probabilmente, esagerava nel
compositorE
26
Piero Caraba_______
Piero Caraba è nato a Roma nel 1956. Dopo gli
studi classici ha compiuto studi musicali presso il
Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma, ove ha
conseguito il magistero in canto gregoriano sotto la
guida (tra gli altri) dei maestri Cardine, Baratta,
Bartolucci, Tosatti. Successivamente, presso il
conservatorio di Santa Cecilia in Roma si è
diplomato in composizione e quindi in musica
corale e direzione di coro sotto la guida di Vieri
Tosatti e Giorgio Kirschner. Ha condotto dal 1983 al
1986 le trasmissioni di musica classica dallo storico
canale radiofonico RaiStereoDue della Rai;
successivamente ha realizzato un ciclo di
trasmissioni sulla storia della musica polifonica per
la Radio Vaticana.
Autore di musica strumentale e da scena, ha
composto per diversi organici cameristici, per
orchestra e per coro. Gli sono state commissionate
numerose composizioni, gran parte delle quali
sono inserite nel repertorio di importanti complessi
corali italiani ed esteri e hanno costituito “brano
d’obbligo” nelle edizioni di numerosi concorsi. I
suoi lavori sono pubblicati da diverse case editrici
(Suvini Zerboni, Carrara, Verlag Helvetia, Feniarco
Edizioni Musicali); per lo studio, oltre a Fondamenti
pratici d’armonia (Ricordi Editore, Milano, 1988),
giunto alla terza ristampa, ha pubblicato il trattato
di forme musicali Le forme della musica, scritto in
collaborazione con Carlo Pedini (Editrice Sinfonica,
Milano, 2010). Dal 1988 al 1998 è stato vice
maestro dei Cantori di Assisi e direttore del Coro
del Kalendimaggio di Assisi. È membro della
Commissione Artistica dell’Associazione Regionale
Cori del Lazio di cui è stato uno dei soci fondatori
insieme a Domenico Cieri. Ha fondato e diretto il
Coro Città di Roma; è stato direttore dell’Insieme
Vocale L.A. Sabbatini di Albano Laziale; ha diretto
la Camerata Polifonica Viterbese con la quale ha
realizzato numerose produzioni per il Festival
Barocco di Viterbo; a Bastia Umbra, attualmente, è
direttore del Coro Città di Bastia. Dal 2006, anno
della fondazione, è direttore artistico e musicale
dell’Orchestra Sinfonica di Civitavecchia. Dall’anno
accademico 1981-82 è docente presso il
conservatorio di Perugia per le materie Teoria
dell’armonia e analisi nell’ordinamento del triennio,
e Analisi delle forme compositive nell’ordinamento
dei corsi superiori di secondo livello. Ha fatto parte
del Consiglio Accademico del conservatorio di
Perugia dal 2010 al 2012. Dal novembre 2011 è
Direttore Artistico della Fondazione Guido d’Arezzo.
suo giudizio senza appello. Di sicuro è lui che mi ha trasmesso
l’idea che, affinché una composizione musicale abbia ragion
d’essere, è necessario fare i conti con i suoi pilastri
fondamentali: il progetto, la struttura e il logico utilizzo dei
mezzi armonici e melodici. Sono convinto che oggi, molto
spesso, può accadere che si scambi il comporre, e
segnatamente il comporre per coro, con una ricerca esasperata
di situazioni “ad effetto” che mostrino le abilità dei cantori,
piuttosto che la bravura del compositore nel mettere a
disposizione degli esecutori un materiale dal quale emerga la
musicalità vera e propria, che è ben altra cosa.
E il direttore come si colloca in tutto questo?
Uno dei compiti preziosi ma anche costitutivi del direttore è
quello di educare i propri coristi a ben distinguere la
suggestione dall’emozione. Posso ascoltare o eseguire un brano
e rimanerne suggestionato sul momento e la cosa finisce lì;
d’altro canto, invece, un’emozione è una esperienza più
profonda, duratura, lascia una traccia indelebile che ci
trasforma, e questa condizione ideale si genera solo in presenza
della vera arte. Naturalmente il direttore è il primo chiamato a
saper operare questa distinzione!
Per operare questa distinzione il direttore ha bisogno di
possedere alcuni strumenti. Quali sono i più importanti
secondo te?
La risposta è semplice e naturale: è necessaria una profonda e
quanto più vasta possibile cultura musicale generale, non solo
corale. Anche il gusto personale ha bisogno di essere coltivato
e nutrito dalla più ampia conoscenza oltreché dalla capacità, ad
esempio, di compiere un’analisi almeno strutturale di una
composizione. Non ci dimentichiamo che la musica si esprime
attraverso le sue forme, e dunque conoscere la forma di un
brano significa essere più vicini alla comprensione del suo
contenuto. Il direttore deve essere in grado di spiegare al coro
(ma principalmente a se stesso) come è fatto l’oggetto musicale
che sceglie e dunque perché lo sceglie. A questo punto si
presume che ne abbia compreso la sua reale valenza estetica.
A quale aspetto del comporre è legata attualmente la tua
attività? Il coro è sempre nei tuoi pensieri?
Ultimamente mi sto dedicando solo alla composizione
strumentale, per ragioni contingenti e di committenze, ma di
certo una cospicua parte della mia produzione riguarda la
musica corale. In particolare, vorrei sottolineare il repertorio
che ho scritto per voci giovanili e bianche legato al binomio
Caraba-Ottobre. La collaborazione con Alfonso Ottobre è
iniziata per gioco nel 1995 quando abbiamo presentato, a un
concorso di composizione, due brani su scala pentatonica
[Le dita di una mano e Cinque petali di rosa, n.d.r.] con i quali
abbiamo vinto sia il primo che il secondo premio. Da allora
abbiamo continuato a collaborare. Comporre per voci giovanili
o bianche è una grande palestra per chi vuole scrivere per
coro. I ragazzi cantori non si possono “imbrogliare”; o scrivi
qualche cosa che funziona per davvero, oppure al massimo
dopo aver cantato un brano una prima volta, poi non ne
vogliono più sentir parlare. Anche lo sperimentalismo e i
nuovi linguaggi devono funzionare di fatto, avere una valenza
estetica, contribuire alla creazione del bello favorendone la
percezione in toto, altrimenti non sono musica ma, al
massimo, possono essere considerati delle “prove tecniche”.
Hai accennato alla tua collaborazione con Ottobre, ma so
anche che hai avuto un contatto particolare con il pop-rock
italiano…
Ho avuto altre collaborazioni significative, ma tu ti riferisci a
quella con Francesco Di Giacomo [autore dei testi e voce
solista del gruppo Banco del Mutuo
Soccorso, n.d.r.]. Mi ha fornito il testo
per Globlob su commissione del Coro
Città di Roma, e sempre con lui come
voce solista è stata realizzata una
singolare produzione in collaborazione
con la Schola Cantorum e l’Orchestra
Sinfonica di Civitavecchia.
27
costituirà uno dei canali di maggior rilievo per ristabilire una
sorta di filo diretto in particolare con i cori italiani, fattore
che, negli anni, si era andato affievolendo.
Altro obiettivo di cui, in questo ruolo, sento l’urgenza è la
valorizzazione dell’eredità musicale del Polifonico. Già
nell’edizione 2012 abbiamo realizzato una mostra fotografica e
documentale sulla storia del Concorso, ma ciò che mi preme è
la valorizzazione dell’immenso archivio musicale che giace in
Fondazione in attesa di essere catalogato e schedato. Mio
desiderio è quello di metterlo a disposizione del mondo corale.
Si fa sempre più pressante nell’ambiente corale la necessità
di una caratterizzazione del repertorio. Il panorama è molto
vasto, e la tecnologia multimediale può essere di grande
aiuto, ma si possono riconoscere dei pericoli nella corsa alla
novità e allo sperimentalismo? E come si pone il Concorso di
Arezzo in tutto questo?
Sono convinto che a un concorso corale debba principalmente
essere premiata la musica in toto di un coro e non solo la
capacità tecnica che, in ogni caso, deve essere al servizio
della musica. E qui si torna alla necessità di una consapevole
scelta repertoriale che sappia distinguere tra composizioni
ricche di musica e brani, pur interessanti tecnicamente, ma
che di musica sono privi del tutto o quasi. Questo aspetto a
mio parere deve assumere sempre maggior peso e divenire
punto essenziale di riferimento per le giurie, per i direttori e
non ultimo per i compositori. Ci vorrà un po’ di tempo ma
penso che la necessità di rimettere al primo posto la musica
Un’emozione è un’esperienza profonda,
duratura, lascia una traccia indelebile
che ci trasforma.
La tua nomina a direttore artistico della Fondazione Guido
d’Arezzo è piuttosto recente. Quali sono gli obiettivi che ti
sei posto nell’accettare questo importante incarico?
Sento molto la responsabilità di questo delicato e prestigioso
incarico. Ringrazio il Presidente della Fondazione Carlo Pedini
che mi ha chiamato ad Arezzo offrendomi peraltro la più
ampia fiducia e possibilità operativa. Di certo la congiuntura
economica non è favorevole e non aiuta nella realizzazione di
un rinnovamento ormai ineludibile. Il primo obiettivo che mi
sono proposto è quello di riavvicinare la Fondazione e il
Concorso ai cori, e in particolare ai cori italiani (comprese le
voci giovanili e bianche) creando un clima che, pur
mantenendo l’autorevolezza propria del concorso corale più
antico d’Europa, metta la musica al primo posto e non solo la
competizione fine a se stessa; la presenza ad Arezzo deve
trasformarsi sempre più per un coro in una importante
occasione e opportunità di scambio e arricchimento culturale.
Naturalmente il consolidamento del rapporto con Feniarco
tornerà a prevalere sulla moda di esibire brani, a volte lunghi
e difficili, pieni di sequenze a effetto che si susseguono senza
una linea costruttiva e comprensibile che li sostenga. Se
decidiamo invece che la musica non è poi così importante e
che il coro debba essere solo un momento ludico e
interessante sul piano tecnico, allora può andar bene tutto,
“effetti speciali” compresi.
È già stato definito il programma della prossima edizione del
Polifonico: ci puoi dare una anticipazione dell’edizione 2013?
Cosa bolle in pentola?
Uno dei numerosi momenti importanti dell’edizione 2013 sarà
la presenza dei cinque cori vincitori dei Gran Premi Europei
2012, per disputare, quest’anno ad Arezzo, la finalissima (il
28 agosto); un confronto ad altissimo livello dunque, dal
quale tutti potranno trarre insegnamenti, idee, spunti di
approfondimento e nuove conoscenze di repertori.
Naturalmente tutti gli amici di Choraliter saranno i benvenuti!
compositorE
28
Principali composizioni corali di Piero Caraba
Coro misto
Titolo
Testo
Organico
Antiche Laudi
Laudario Cortonese
satb,
Antiqua Sacra Imago
A. Ottobre
ssatb
Pizzicato Verlag Helvetia
Ascesi
Francesco d’Assisi
ssattb
in Contemporaneamente, Mel (Bl),
2011
Bolle
P. Artusi
satb
Cantico di Simeone
Lc 2, 29-32
satb
Come un sasso
A. Ottobre
satb
D’altre laudi
Laudario Cortona
s
Dialogo notturno
A. Ottobre
ssaa
Globlob
F. Di Giacomo
ssaattbb,
Laudes
1 Cor. 13, 4-8
satb
Missa SS. Floridi et Amantii
Edizione
4 ottoni
e fl
Erreffe Ed. Mus., Roma
solo, ssa
- ttbb
in Melos 1, Feniarco/Carrara
Pizzicato Verlag Helvetia
violino, pf
e organo
soli, coro e orch.
Città di Castello, 2011
Ninna nanna
trad. Lazio
satb
Ed. Mus. Europee
O quam amabilis
anonimo sec. XVI
ssaattbb
Feniarco
Preludio
Salmo 149
s
solo, satb
Quem vidistis pastores
antifona lit.
s
solo, satb, 4 ottoni
Solo quel che serve
A. Ottobre
ssattb
Stabat Mater
Iacopone da Todi
satb
suddivisi
Erreffe Ed. Mus., Roma
in Melos 3, Feniarco
Elaborazioni
Titolo
Testo
Organico
Edizione
E lo mio amore
trad. Lazio
satb
Ed. Mus. Europee
in Voci & Tradizione Toscana,
Feniarco, 2008
Voci bianche o giovanili
Titolo
Testo
Organico
Ave Gratia Plena
ant. 339, San Gallo
3 v.
C’era una volta un muro
A. Ottobre
2 voci
Cinque gocce di rugiada
A. Ottobre
3 voci
Ed. Mus. Europee
Cinque petali di rosa
A. Ottobre
2 v.; 1 v. e pf
Lapis Ed., Roma
Ego sum
A. Ottobre
3 voci
Filastrocca
A. Ottobre
3 v.; 1 v. e pf
Suvini Zerboni
Grammelot prelude
Salmo 149
1 v., satb, orch.
Erreffe Ed. Mus., Roma
I rumori della Terra
A. Ottobre
3 v.; 1 v. e pf
Suvini Zerboni
Il gioco della memoria
A. Ottobre
2 v. e pf 4 mani; 2 v.
e 4 strum.
in Atti Ass. Seghizzi, Gorizia, 2003
Il sale del cuore
A. Ottobre
3 v., xilofono, glock.
Ed. Mus. Europee
Il suono invisibile
A. Ottobre
2 v., satb, corno, pf
Il vento inventato
A. Ottobre
2 voci
Incanta la notte
A. Ottobre
1 voce e pf; 1 v. e orch
L’espace d’une petite nuite
AA.VV.
2 v., ssttb, fl, pf, arpa, perc.
La bici
L. Primon
3 v. e pf
ASAC Veneto
La mia voce è un coro
A. Ottobre
2 voci
Ed. Mus. Europee
La scapparolina
A. Ottobre
3 voci e arpa
Ed. Mus. Europee
Le dita di una mano
A. Ottobre
2 v.; 1 v. e pf
Lapis Ed., Roma
Madrigale del bisbiglio
A. Ottobre
3 v.; 1 v. e pf
Suvini Zerboni
Nuovo!
A. Ottobre
2 v. e pf
Per gioco e l’armatura
A. Ottobre
2 v. e 6 strum.
Predominante
A. Ottobre
3 voci
Salve Sponsa Dei
G. da Spira, sec. XIII
3 voci e arpa
Erreffe Ed. Mus., Roma
Sciù sciù
C. Barbato
1 v., pf, perc.
ASAC Veneto
Storia di una nuvola
C. Barbato
1 v., pf, glock., piatto
ASAC Veneto
Tutti nel pallone
A. Ottobre
3 voci
Suvini Zerboni
Ballo
P. Caraba
2 v. e perc.
Ed. Mus. Europee
Edizione
Erano tre sorelle
trad. Toscana
3 v. bianche o femm.
La bergera
trad. Piemonte
ssaattbb
Nella città di Mantova
trad. Toscana
3 v. bianche o femm.
Piurì
trad. Lazio
3 v. bianche o femm.
So stata a lavorà…
trad. Lazio
sattb
in Antologia Choraliter 6, Feniarco
Autore originale
Titolo
Organico
Vi voglio raccontare
trad. Toscana
3 v. bianche o femm.
in Oraliter, ACT, 2011
Pachelbel
Magnificat
satb
A l’ombreta d’un busson
trad. Piemonte
ssab
L.A. Sabbatini
Magnificat
satb
in 9º Conc. Naz. Comp., ACP, 2009
in Voci & Tradizione Toscana,
Feniarco, 2008
29
Edizione
Trascrizioni e orchestrazioni
e orch.
Centro Studi Antoniani
L’elenco completo dei lavori di Piero Caraba, comprensivo delle composizioni da camera e per orchestra, è consultabile sul sito www.pierocaraba.it
compositorE
30
ASCESI di Piero Caraba
a cura di Manolo Da Rold
direttore della corale zumellese
Premessa
Il brano Ascesi è stato composto da Piero Caraba nell’estate
del 2011 e dedicato alla Corale Zumellese di Mel che lo ha
eseguito in prima assoluta nel novembre di quello stesso
anno; la partitura è pubblicata nel volume
Contemporaneamente edito dalla Corale Zumellese in
occasione del quarantennale di fondazione.
Titolo
Alla parola Ascesi si possono attribuire due significati tra loro
molto diversi. In primis Ascesi è l’antico toponimo con cui
veniva identificata la città di Assisi nei secoli XIII e XIV,
derivante dall’antico nome del municipium romano di Asisium.
Vi è poi un significato totalmente diverso e più profondo
strettamente correlato a un concetto di meditazione in grado
di congiungere l’immanente con il trascendente mediante
l’elevazione dello spirito, tramite l’ascesi appunto. Ascesi
intesa quindi come tensione dell’anima verso l’infinito e, nel
nostro caso, verso l’alto e glorioso Dio.
Lo stesso Dante nell’undicesimo canto del Paradiso usa
l’espressione “Ascesi” nella cinquantaduesima terzina; anche
il sommo poeta vede insito nel nome della città umbra il
significato di “ascendere” e, facendo rilevare che con la
nascita di Francesco ad Assisi non soltanto ascende il vecchio
sole, ma addirittura nasce il nuovo sole, per cui essa
meriterebbe il nome di Oriente.
Di questa costa, là dov’ella frange
più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
come fa questo tal volta di Gange.
Però chi d’esso loco fa parole,
non dica Ascesi, ché direbbe corto,
ma Oriente, se proprio dir vuole.
Testo
O alto e glorioso Dio, illumina el core mio.
Dame fede diricta, speranza certa, carità perfecta, humiltà
profonda,
senno e cognoscemento che io servi li toi comandamenti.
Amen.
Tra le opere di San Francesco d’Assisi, il testo della Preghiera
davanti al crocifisso di San Damiano, datato 1206, è considerato
uno dei più antichi scritti attribuibili al Santo Patrono d’Italia.
L’episodio, che narra di un Francesco in preghiera nella
piccola e diroccata chiesa di San Damiano in Assisi, è ben
descritto da Bonaventura da Bagnoreggio nella sua agiografia
francescana della seconda metà del XIII secolo intitolata
Legenda Maior Sancti Francisci. Lo stesso episodio è anche
rappresentato iconograficamente da Giotto di Bondone in un
affresco del 1295-99 presente nella Basilica Superiore di
Assisi.
Lo scritto, inserito nelle Fonti ufficiali francescane, (Fonti
Francescane, Padova 1977) è stato tramandato sia in lingua
italiana che in lingua latina, ma da codici non propriamente
autentici, di qui l’incertezza da parte di alcuni studiosi
sull’attribuibilità assoluta del testo in questione al Santo di
Assisi.
Ritengo che un’analisi strutturale, armonica e formale
dettagliata sia meno accattivante di un’analisi estetica e
quindi non mi soffermerò, se non occasionalmente su mere
questioni di tecnica compositiva. L’aspetto di maggiore
interesse è rappresentato dal dualismo di significati presenti
all’interno della composizione di Piero Caraba, dualismo
anticipato come in un’ouverture sin dal titolo.
Sezione A
Fin dalle prime note (mis. 1), assegnate alle voci gravi dei
bassi e dei contralti, emerge un carattere mistico: da mis. 1
infatti, e per tutta la prima parte del brano fino a mis. 23, si
sviluppa una vera e propria cantillazione libera con tempo
individuale ad libitum sulla parola “Laudato”, tale elemento,
strutturato sulla tetrade re-mi-la-si fino a mis. 13 scende
improvvisamente di un tono a mis. 14.
Ne risulta un’aleatorietà ricca di misticismo e fortemente
contemplativa, le note si susseguono sempre uguali e sempre
diverse come un mantra in grado di far percepire il senso del
noumeno e dell’infinito.
Nel dualismo espressivo, coniato già con il titolo del brano,
l’effetto che si ha al primo ascolto è quello di un
pellegrinaggio verso Assisi, immersi nel verde delle colline
umbre e raggiunti dai rintocchi remoti delle campane lontane
dalle cento chiese della città, luogo di pace e di
contemplazione.
A mis. 4, ieratico e maestoso svetta un cantus firmus al
soprano, anzi un cantus prius factus che sembra provenire da
un tempo remoto; si delinea un impianto modale sul sesto
modo trasportato. Tale ieraticità esalta madrigalisticamente il
testo “O alto e glorioso Dio”. Dallo stesso tema a mis. 6
prende le mosse un canone affidato ai tenori primi.
Sembra una eco di un canto antico proveniente da un
monastero tra gli appennini.
31
Sezione B
Ecco emergere con evidenza, da mis. 30 ossia l’inizio della
seconda parte del brano, un cambiamento della scrittura: le
voci ora si intersecano in un contrappunto fitto e complesso,
il tempo è ternario e il tutto appare come il fluire di un fiume
che man mano si riempie al susseguirsi delle entrate delle
singole voci.
Musica
Il brano è a sei voci miste, le voci di soprano e di tenore
infatti sono divise in primi e secondi. L’autore indica il
carattere da imprimere alla partitura con il termine
“misterioso” e un’indicazione metronomica consigliata q =90
La forma generale della composizione ricalca la classica
tripartizione aba1 ove b si può suddividere in b1, b2 e b3.
A mis. 15, dopo l’efficace e improvviso già citato cambio
modale, ecco un altro tema dal “sapore” più luminoso a
sottolineare nuovamente in forma madrigalistica il testo
“illumina el core mio”; il Santo d’Assisi, all’inizio della sua
conversione, si pone con fiducia e verità innanzi al crocefisso
di San Damiano e prega: “illumina le tenebre del mio cuore”.
Il tutto termina in un riposante unisono da mis. 27 a mis. 29 a
suggello di un dolce intervento della voce di contralto che alle
parole “el core mio” sembra ribadire la frase contenuta ne Le
Confessioni di Sant’Agostino «fecisti nos ad te et inquietum
est cor nostrum, donec requiescat in te».
Non dobbiamo farci ingannare dall’apparente semplicità della
grafia: già a mis. 33, in concomitanza con l’ultima entrata
affidata alla voce di basso, si percepisce che questa
affascinante struttura ricrea, utilizzando una strada diversa,
un’idea di aleatorietà continua e inesorabile; da questo punto
in poi ci si rende conto, da un’analisi armonica prettamente
verticale, che nei tempi forti delle battute le consonanze
perfette sono assai rare, v’è sempre un ritardo, una nota
dissonante, il tutto è in continuo divenire e un momento di
riposo armonico sembra non arrivare mai.
compositorE
32
Da mis. 30 a mis. 47 appare assolutamente chiaro che la
suddivisione in battute sia un semplice ausilio grafico; frasi
dall’evidente accentuazione sillabica binaria obbligano
l’esecutore a compiere un’attenta analisi del testo in quanto
sono gli accenti delle parole a costituire la traccia per
l’esecuzione del brano. Questa precisa parte della
composizione coincide con il momento della preghiera in cui
San Francesco chiede in dono la conoscenza delle tre virtù
teologali: fede, speranza e carità, attribuendo a ciascuna virtù
uno specifico aggettivo estremamente significativo. Il testo
– “da me fede diricta, speranza certa, carità perfecta” – in
questo turbinio polifonico di voci, sembra una richiesta
d’aiuto all’Altissimu, onnipotente, bon Signore. Il nostro
ipotetico pellegrino sembra essere finalmente giunto nella
città di Ascesi-Assisi e la sua voce si perde in mezzo alle
molteplici voci dei pellegrini giunti fin lì in preghiera alla
ricerca della salvezza dell’anima al fine di non cadere
inesorabilmente nella morte secunda.
Una piccola curiosità: chi conosce il brano There is An Old
Belif, tratto dalle Six Songs of Ferewell di Charles Parry, non
può non notare una certa similitudine grafica con il corpo
centrale dell’opera Ascesi; ovviamente il brano del
compositore inglese ha un impianto prettamente tonale,
totalmente diverso nella sostanza dalla composizione di
Caraba, anche se questo grande capolavoro della musica
corale ha certamente influenzato alcune sue scelte di
scrittura.
“Senno e cognoscemento” sono le due parole con cui inizia il
terzo segmento della parte B della composizione Ascesi di
Piero Caraba. Il giovane Francesco d’Assisi chiede al Cristo del
Crocifisso di San Damiano un’ulteriore grazia, ossia la
possibilità di giungere al perfetto compimento delle virtù
teologali, effuse in ognuno di noi mediante l’intervento dello
Spirito Santo all’atto del battesimo, tramite l’uso corretto
della ragione e l’applicazione sincera dei comandamenti dati
da Dio a Mosè e perfezionati da Gesù nel Nuovo Testamento.
Il compositore in questo punto sottolinea con estrema
efficacia simbolica questa richiesta che sale a Dio con una
scala enigmatica ascendente dal terzo al settimo grado,
proposta per quattro volte da mis. 54 a mis. 58 alternatim
dalle sezioni maschili e femminili, in un andamento più
mosso. Si giunge a un climax di pienezza sonora, da mis. 59
a mis. 64 ove il testo dice “ch’io servi li toi comandamenti”.
Dopo averlo diretto già alcune volte, posso assicurare che
l’effetto di questo punto centrale in Ascesi è straordinario:
l’aleatorietà spiritualmente elevante si lega a una ricerca
musicale razionale; come la ragione che cerca nel cuore il
valore più profondo della fede; ritornando alle parole del mio
amato Agostino, «intelligo ut credam».
Sezione A1
Al termine di questa elaborata parte centrale ecco che si
compie la tripartizione aba1 con un ritorno della forma
aleatoria iniziale e la cantillazione libera nel tempo individuale
ad libitum sulla parola “Laudato” (mis. 65); ritornando al
nostro fedele pellegrino, esso sembra allontanarsi da AssisiAscesi e udire dietro le sue spalle lo stesso suono di campane
del viaggio di andata.
Ora il testo si trasforma in un lungo vocalizzo sulla parola
“Amen” applicata a quello stesso cantus firmus della prima
parte con poche modifiche melodiche, fino alle ultime misure
della composizione – da mis. 89 a mis. 96 – in cui la voce del
soprano rimane ferma su un lungo mi che per qualche attimo
rimane solo (mis. 92) come sospeso in cielo in attesa di una
cadenza finale che non poteva che essere espressione di
serenità, ma non di compimento o di riposo. Il cammino di
fede di Francesco infatti è solo all’inizio; egli, a conversione
appena avvenuta, si pone davanti a Dio con un costante
orientamento tra trascendenza e immanenza, tale complessa
ricerca è resa veramente con maestria ed estrema efficacia in
questa affascinante composizione di Piero Caraba.
33
Consigli per l’esecuzione
Ascesi è un brano di grande effetto, che richiede un organico
corale abbastanza consistente. Recentemente, per
l’esecuzione di quest’opera, ho disposto i coristi in modo
spazializzato cercando di riempire pienamente il presbiterio
della chiesa fino al limite del transetto o della scalinata
dinanzi all’altare maggiore, mettendo i soprani primi in
prossimità del cornu epistolae e i tenori primi in cornu
evangelii per evidenziare il canone iniziale riproposto poi al
termine del brano. Tale disposizione attribuisce maggior
profondità al suono corale.
È fondamentale che tutti i temi della parte centrale risultino
intelligibili nelle loro entrate e nel loro sviluppo senza
preoccuparsi troppo della suddivisione ternaria, ma tenendo
bene in considerazione gli accenti delle parole e lo sviluppo
delle frasi.
In generale il brano deve donare a chi ascolta un senso di
fluidità e una suggestione di mistica contemplazione anche
nei momenti di maggior intensità sonora.
Ringrazio con tutto il cuore l’amico Piero di aver fatto dono al
mio coro e a me di questa preziosissima perla di rara bellezza
e raffinatezza.
nova et vetera
34
e quando
cantavano,
suonavano anche
gli strumentisti...
Breve analisi di alcuni mottetti natalizi
di Giovanni Gabrieli
1597, e le Symphoniae Sacrae pubblicate postume nel 1615,
rappresentano un momento di svolta epocale e
influenzeranno profondamente la musica del Seicento.
Queste Symphoniae, ampi mottetti spesso a carattere
cerimoniale, sono concepite per un numero di voci variabile da
6 a 19 e prevedono l’utilizzo di tutte le risorse presenti nelle
grandi cappelle musicali musicali dell’epoca:
cantanti solisti, coro, violini, viole, cornetti,
tromboni, dulciane e naturalmente l’organo. In
queste composizioni la severa polifonia
rinascimentale lascia il posto a una conduzione
delle parti più libera e fantasiosa.
I caratteri fondanti dello stile di Giovanni
Gabrieli possono essere riassunti in alcuni
aspetti principali: abbandono dello stile a
cappella a favore di quello concertato,
contrapposizione tra sezioni in stile imitato e
sezioni a carattere accordale e omoritmico, virtuosismo
strumentale e vocale, gusto per i colori e le sonorità
contrastanti, armonia tonale e verticalità accordale, moduli
ritmici serrati e nervosi, monumentalità e volume sonoro,
alternanza di episodi solistici, strumentali e sinfonici,
spazializzazione ed effetti contrapposti di cori battenti e
spezzati. Soprattutto nella raccolta del 1615 gli strumenti
assumono un ruolo di fondamentale importanza, ormai
spesso indipendente dalle voci, e sono utilizzati da Gabrieli
con un linguaggio proprio, tipicamente strumentale e
giovanni
di Davide De Lucia
direttore
dell’ensemble orologio
Il viaggiatore e scrittore inglese Thomas Coryate,
di passaggio a Venezia nell’agosto del 1608,
racconta nel suo diario di aver assistito a una
funzione nella chiesa di San Rocco e descrive con
stupore e ammirazione la musica che vi ascoltò:
«A volte cantavano sedici o venti uomini insieme,
col loro maestro e coordinatore che li teneva
sotto controllo. E quando cantavano, suonavano
anche gli strumentisti, dieci tromboni, quattro
cornetti e due viole da gamba di straordinaria
grandezza. A volte dieci, sei tromboni e quattro
cornetti, a volte due, un cornetto e un violino…».
Non sappiamo di chi fosse la musica ascoltata da
Coryate, ma facilmente sarebbe potuta essere
quella di Giovanni Gabrieli che all’epoca, già
organista e compositore per la Cappella Ducale di
San Marco, era anche responsabile della musica
nella chiesa di San Rocco.
Giovanni Gabrieli rappresenta un momento di
profonda trasformazione nella storia della musica
sacra e si rivela un musicista di grande originalità
e innovazione. Fu tra i primi compositori a dare
un impulso decisivo alla musica strumentale e a
scrivere grandi e articolati mottetti cerimoniali
combinando voci e strumenti, con parti
strumentali scritte per esteso. La raccolta
Concerti continenti musica di Chiesa per voci e
stromenti…, pubblicata da Gardano nel 1587 e
contenente opere di Andrea e Giovanni Gabrieli,
già nel titolo rivela la volontà di concertare cioè
di far suonare voci e strumenti insieme.
Certamente la pratica di far raddoppiare le voci
dagli strumenti o di farle in taluni casi sostituire
da essi, sebbene non codificata, era molto più
antica e già ampiamente diffusa tra i compositori
del Rinascimento. La novità nella musica di
Giovanni Gabrieli risiede soprattutto nel tipo di
scrittura, più indipendente, fortemente
strumentale, talvolta in antitesi a quella vocale, e
dall’introduzione di parti dedicate ai soli
strumenti in combinazione e alternanza con le
voci. In tal senso le due grandi raccolte di
mottetti di Gabrieli, le Sacrae Symphoniae
pubblicate sotto la supervisione del Maestro nel
35
caratterizzato da diminuzioni, ritmi puntati, abbellimenti,
motivi di canzona e di fanfara.
Il primo mottetto natalizio che prendiamo in esame, Quem
vidistis pastores a 14 voci, è contenuto proprio nella raccolta
Symphoniae Sacrae del 1615. Alcuni musicologi sostengono
che questo mottetto potrebbe essere in realtà un’opera di
Gabrieli non completamente finita ma stampata ugualmente
da un abbozzo di partitura nella raccolta del 1615 che
ricordiamo non essere stata curata direttamente dal
compositore, già scomparso tre anni prima. Queste
considerazioni, non condivise da molti, nascono soprattutto
dall’analisi della prima sezione del mottetto, quella subito
dopo la Sinfonia iniziale, che appare forse troppo poco
sviluppata nelle linee vocali e sostenuta da un basso continuo
abbastanza semplice. Tuttavia il mottetto si presenta di ampie
proporzioni e può essere suddiviso in una prima sezione che
svolge funzione di Sinfonia introduttiva (batt. 1-34), una
seconda sezione a carattere più solistico (batt. 35-174), una
terza sezione con il “tutti” (batt. 175-225) e una quarta
sezione dedicata all’alleluia finale (batt. 226-266). L’organico è
formato da due cornetti e sei tromboni, cui si aggiungono uno
per volta sei cantanti, più naturalmente l’immancabile organo.
La Sinfonia introduttiva è strutturata in due cori contrapposti,
ciascuno formato da cornetto, tre tromboni e organo. Presenta
un carattere inizialmente dolce che, da battuta 7 in poi, è
caratterizzato da figure puntate, forse a suggerire l’esultanza
dei pastori, esultanza che si esplicita del tutto a battuta 20 con
il passaggio al tempo ternario. La novità molto interessante
presentata da questo mottetto è la presenza, da battuta 35 in
poi, di una lunga sezione dedicata a voci e basso continuo,
testimonianza della nuova pratica entrata in uso con alla fine
del Cinquecento, di far cantare voci soliste con
l’accompagnamento di uno o più bassi che realizzano l’armonia.
In questa sezione sei cantanti si alternano in momenti solistici,
Giovanni Gabrieli rappresenta un
momento di profonda trasformazione
nella storia della musica sacra.
in duetti e in un quartetto a creare episodi ritmicamente e
emotivamente contrastanti. Da battuta 175 il tutti, proposto con
una tessitura degli strumenti e delle voci piuttosto grave,
sottolinea in modo morbido ma grandioso le parole “O
magnum mysterium”. Questa sezione è caratterizzata da una
scrittura verticale che da battuta 207 in poi viene diminuita in
valori ritmici più piccoli sulla parola “iacentem”. Da battuta 226
in poi il grandioso “alleluia” è costruito con due sezioni in
tempo ternario a cori battenti cui si alternano due sezioni in
tempo binario e con scrittura più omoritmica e verticale.
nova et vetera
36
Due interessanti esecuzioni di questo mottetto,
caratterizzate da una lettura tipicamente inglese,
sono quelle proposta da Robert King con il King’s
Consort per Hyperion e dal musicologo Andrew
Parrott con il Taverner Choir e i London Cornett &
Sackbut per L’Oiseau - Lyre. Da segnalare anche
l’esecuzione di Paul McCreesh con il Gabrieli
Consort per la Archiv: questa esecuzione, sposando
la tesi che il mottetto sia in realtà parzialmente
incompleto, presenta una versione arbitrariamente
ricostruita dal musicologo Hugh Keyte.
Il mottetto O magnum mysterium a 8 voci
proviene invece da un’antologia dedicata ad
Andrea e Giovanni Gabrieli e stampata a Venezia
da Angelo Gardano nel 1587. Il mottetto si
presenta come una classica composizione
policorale veneziana, con proporzioni eleganti,
caratterizzata da due cori battenti contrapposti, il
primo acuto e il secondo grave. Gabrieli divide il
testo, che celebra l’umiltà della nascita di Cristo il
giorno di Natale, in modo omogeneo tra i due
cori, e ognuno è caratterizzato da una sezione
musicale di lunghezza approssimativamente
uguale. La frase iniziale “O magnum mysterium” è
cantata tre volte, prima dal coro acuto, poi dal
coro grave, infine dai due cori sovrapposti. La
seconda frase del testo, che narra di un grande
mistero e dell’ammirevole sacramento, presenta la
stessa struttura tripartita e contrapposta, solo
leggermente ampliata. Il compositore affida
l’ultima parte del testo, quella che esalta la
mangiatoia e la Vergine benedetta, alla terza
sezione del mottetto dove troviamo una scrittura
più verticale sottolineata dai cori battenti più
ravvicinati. La struttura antifonica diventa così
non solo un mezzo espressivo di grande effetto,
ma serve anche a distribuire ordinatamente il
testo e a farne comprendere meglio il senso. La
quarta sezione, da battuta 45 in poi, rappresenta
la conclusione del mottetto, conclusione in cui
viene proposto un esteso e giubilante “alleluia” in
tempo ternario. Una serie di figure sincopate
portano a una intensificazione della tensione
ritmica che conduce al tutti a 8 voci finale in
tempo binario.
Questo genere di mottetti si presta bene a essere
eseguito tanto con due cori separati e
contrapposti, per aumentare l’effetto antitetico
delle sezioni, quanto come brano a 8 voci con i
cori ravvicinati, in quanto la differenza coloristica
già di per se stessa rappresenta una fonte di
grande varietà. Una possibile esecuzione di
questo mottetto è quella proposta da Robert King
con il King’s Consort per Hyperion: in questa
versione il coro acuto è affidato a quattro voci
Breve biografia di Giovanni Gabrieli
La critica musicale contemporanea considera Giovanni Gabrieli,
insieme a Claudio Monteverdi, il più importante musicista italiano
a cavallo tra il XVI e il XVII secolo e il più importante esponente
della Scuola veneziana. Nacque a Venezia da Pietro di Fais e Paola
Gabrieli, sorella di Andrea, in una data compresa tra il 1553 e il
1557 e assunse il cognome della madre. Possediamo pochissime
informazioni riguardo la sua vita, alcune delle quali desunte dalle
testimonianze lasciate da suoi contemporanei. Si ritiene che fu
allievo dello zio Andrea e che abbia messo precocemente in
evidenza le sue doti di organista e compositore in quanto, già nel
1575, figurava tra i virtuosi del duca Alberto V di Baviera.
È possibile, ma non provato, che a Monaco Gabrieli sia stato
anche allievo di Orlando di Lasso, maestro della celebre cappella
ducale bavarese. Rientrò a Venezia presumibilmente alla fine degli
anni settanta ma le notizie sulla sua attività sono molto scarse
fino al 1584, anno in cui risulta essere organista presso la Scuola
Grande di San Rocco. Nello stesso anno venne chiamato anche
come organista supplente della Cappella di San Marco e fu
confermato l’anno seguente con la prestigiosa nomina a secondo
organista: assunse l’incarico nel 1585 e lo mantenne fino alla
morte, avvenuta per «mal de la pietra», il 12 agosto del 1612.
La straordinaria fama di cui godette Giovanni Gabrieli in vita e
dopo la morte, così come l’eccezionalità della sua opera e della
sua arte, sono testimoniate dai numerosi omaggi che gli furono
tributati da contemporanei illustri come Artusi, Diruta, Gruber,
Hassler, Kaufmann, Praetorius e Zacconi, così come da molti allievi
soprattutto di area germanica i quali, nei loro scritti, mettono in
evidenza oltre alle notevoli capacità didattiche e artistiche, le
speciali doti umane del maestro. Su tutti Heinrich Schütz,
musicista geniale che fu per diversi anni suo allievo, lo descrive
così: «Mi recai a trascorrere i primi anni di formazione nella mia
arte presso il grande Gabrielli: oh dei immortali! Se l’antichità così
ricca d’espressione l’avesse conosciuto, l’avrebbe posto al di sopra
di Anfione, e se le muse prendessero marito, Melpomene non
avrebbe voluto altro sposo se non lui, tanto era straordinario
nell’arte del canto». La stesura di un elenco sistematico delle
opere di Gabrieli è abbastanza complessa in quanto la scarsità di
edizioni e l’assenza di una tradizionale ripartizione per generi
complicano, e in certi casi precludono, la possibilità di ordinare
cronologicamente le opere. Il corpus delle sue opere include: 44
mottetti da 6 a 16 voci nella raccolta Sacrae Symphoniae del 1597,
32 mottetti da 6 a 19 voci nella raccolta Symphoniae Sacrae del
1615, circa altri 30 mottetti da 6 a 20 voci manoscritti o contenuti
in raccolte antologiche datate tra il 1587 e il 1615, circa trenta
madrigali da 4 a 16 voci, una decina di pezzi liberi organistici, un
libro di Intonazioni d’organo del 1593 e circa 45 opere strumentali
suddivise in Sonate e Canzoni da 4 a 22 voci. La principale
edizione moderna degli opera omnia è stata curata a più riprese
prima da Denis Arnold e in seguito da Richard Charteris,
ed è edita dall’American Institute of Musicology in cmm 12
(A-R Editions).
soliste accompagnate dall’organo, mentre il coro grave è
realizzato da un falsettista che canta la parte di contralto e
tre tromboni cui sono affidate le tre voci più gravi.
Anche il mottetto Salvator noster a 15 voci è contenuto nella
raccolta Symphoniae Sacrae del 1615. Si tratta di un grande
mottetto policorale per tre cori a cinque voci ciascuno, più
una linea indipendente di basso generale. La grande varietà
di combinazioni ritmiche, di stili e di stati d’animo dimostrano
la volontà di Gabrieli di sottolineare i diversi momenti del
testo, così come le linee più acute del primo e del secondo
coro, chiaramente di scrittura strumentale e probabilmente
destinate ai cornetti, conferiscono al mottetto un carattere
festoso e celebrativo adatto alla solennità del Natale.
Il mottetto può essere suddiviso in più sezioni, tra loro molto
diverse nel carattere e nei colori, e presenta una concezione
armonica e ritmica ormai molto distante dai modelli del
mottetto rinascimentale: la scrittura appare squisitamente
strumentale e l’armonia modale antica lascia il posto a una
chiara impostazione tonale.
La composizione si apre, da battuta 1 a 12, con un tema
iniziale quasi a fanfara sulle parole Salvator noster e con le
voci che si sovrappongono a formare una monumentale
struttura verticale, in un crescendo scritto di volume e di
estensione vocale verso il grave e l’acuto. Da battuta 13 a 22
le parole “hodie dilectissimi natus est” sono sottolineate dal
gioioso ritmo ternario e dalla contrapposizione antitetica tra
primo e terzo coro. Da battuta 23 a 40, di nuovo sulle parole
“Salvator noster”, si ripropone il modello iniziale ma, se
possibile, in modo ancora più monumentale, con una maggior
estensione verso l’acuto e con più motivi ornamentali. Da
battuta 41 a 54 si ripropone nuovamente l’episodio in tempo
ternario su “hodie dilectissimi”, ma questa volta affidato a
tutti e tre i cori. Da battuta 54 a 61 si rientra nel tempo
semplice e si evidenzia, sulle parole “gaudeamus omnes”, una
solenne conclusione della prima grande sezione del mottetto.
Da battuta 62 a 110 prende avvio la seconda sezione del
mottetto, in cui si riscontrano un maggior
interesse per le parti solistiche e una una
scrittura strumentale a semicrome che aumenta
la tensione ritmica. Questa sezione presenta
nella sua parte centrale, da battuta 81 a 99, due
episodi a carattere contrastante: il primo, più
verticale e polifonico, sulle parole “igitur
sanctus”, il secondo, dal carattere fortemente
imitativo e accompagnato dall’introduzione di
nuova cellula ritmica a crome, sulle parole “ad
palmam”. Da battuta 112 a 142 si presenta una
scrittura tipica a cori battenti. In un primo
momento possiamo notare un carattere più omoritmico, in
seguito si evidenzia una scrittura tipica delle canzoni e sonate
strumentali, e si può riconoscere la cellula ritmica già
utilizzata in precedenza per le parole “ad palmam”, ma questa
volta melodicamente rovesciata. La quarta sezione del
mottetto, da battuta 143 a 170, è dedicata interamente alla
parola “alleluia”. Le prime 13 battute di questa sezione sono,
37
La novità nella musica di Giovanni
Gabrieli risiede soprattutto nel
tipo di scrittura, più indipendente,
fortemente strumentale.
come è spesso consuetudine di Gabrieli, in tempo ternario e a
cori battenti. Da battuta 157 si presenta una nuova idea
musicale: tre sole voci, due delle quali presentano una
scrittura a crome e a figure puntate, pensate probabilmente
per i cornetti, che si contrappongono alla terza a valori lunghi.
Questo modello viene ampliato e sviluppato da battuta 163 e
serve da monumentale, brillante e festosa conclusione.
nova et vetera
38
Testi e traduzioni
Quem vidistis, pastores, dicite, dicite
annuntiate nobis, in terris quis apparuit?
Christum salvatorem nostrum, de Virgine natum vidimus,
et choros angelorum collaudantes Domino.
Mariam et Joseph vidimus,
in terra stratos supplices
et natum carum pariter adorantes humiliter.
Gratia Deo, qui dedit nobis victoriam
per Jesum Christum, salvatorem nostrum.
O magnum mysterium
et admirabile sacramentum,
ut animalia viderent Dominum natum,
jacentem in praesepio.
Alleluia.
Cosa avete visto pastori? Raccontateci, diteci,
portateci notizia di colui che è apparso sulla terra.
Abbiamo visto Cristo, nostro salvatore, nato dalla Vergine,
e un coro di angeli cantare lodi al Signore.
Abbiamo vistro Maria e Giuseppe
prostrati in preghiera
venerare umilmente il loro nato.
Rendiamo grazie a Dio che ci ha dato la vittoria
per mezzo di Gesù Cristo nostro Salvatore.
O grande mistero
e ammirevole sacramento:
che gli animali vedano il Signore nato,
disteso in una mangiatoria.
Alleluia.
O magnum mysterium
et admirabile sacramentum,
ut animalia viderent Dominum natum,
jacentem in praesepio.
Alleluia.
O grande mistero
e ammirevole sacramento:
che gli animali vedano il Signore nato,
disteso in una mangiatoria.
Alleluia.
Salvator noster,
hodie dilectissimi natus est.
Gaudeamus omnes.
Exsultet igitur sanctus
quia appropinquat ad palmam:
Gaudeat peccator
quia invitatur ad veniam.
Animetur gentilis,
quia invitatur ad vitam.
Alleluia.
Il nostro salvatore
è nato in questo giorno meraviglioso.
Rallegriamoci tutti,
esultino i Santi,
poiché sono vicini alla vittoria
che il peccatore si rallegri
poiché è invitato al perdono,
che lo schiavo si conforti
poiché è invitato alla vita.
Alleluia
Audite principes, et auribus percipite
omnes habitatores terrae, et exsultate.
Audite senes quae loquor vobis:
audiat terra verba oris mei, in laetitia.
Audite patres, et super filiis vestris narrate,
cum jubilo, mirabilia magna.
Audite hodie serenissimi principes,
hodie veneranda senectus,
hodie praestantissimi patres:
salvator noster natus est.
Gaudeamus quoniam una cunctis laetitia
communis est ratio, melliflui sunt coeli,
vineae florent et montes exsultant.
Venite igitur omnes, et exsultemus,
et jubilemus, et gaudeamus,
quoniam puer natus est nobis
et filius datus est nobis, et salvator
donatus est nobis.
Alleluia.
Ascoltate principi, porgete orecchio
abitatori tutti della terra, ed esultate.
Ascoltate anziani quello che vi dico,
la terra ascolti con gioia la parole della mia bocca.
Ascoltate padri, e raccontate festosi
ai vostri figli le grandi meraviglie.
Ascoltate oggi serenissimi principi,
oggi venerandi anziani
e padri eccellenti:
è nato il nostro salvatore.
Rallegriamoci poiché questa gioia è per tutti,
questa verità è rivelata a tutti, cola il miele dai cieli,
le vigne fioriscono e i monti esultano.
Venite dunque tutti, esultiamo,
acclamiamo e rallegriamoci
poiché un bambino è nato per noi,
un figlio ci è dato, un salvatore
ci è donato.
Alleluia.
39
Si segnalano due esecuzione di questo
mottetto, anche in questo caso caratterizzate
da una lettura tipicamente inglese: l’una,
parzialmente più corale, di Robert King con il
King’s Consort per Hyperion. L’altra, a
carattere più strumentale, di Paul McCreesh
con il Gabrieli Consort per la Archiv.
Il mottetto Audite principes a 16 voci proviene
da un’antologia di mottetti, Reliquiae
sacrorum concentuum Giovan Gabrielis, Iohan
Leonis Hasleri, utriusque praestantissimi
musici…, pubblicata a Norimberga da Georg
Gruber nel 1615. Il mottetto si presenta come
un’ampia e complessa composizione
policorale, probabilmente una delle più grandi
di Giovanni Gabrieli, ed è strutturato in tre
cori contrapposti, i primi due a cinque voci e
il terzo a sei voci. Il primo è un coro acuto
con le voci che vanno dal soprano al tenore, il
secondo è un coro più grave con estensione
dal contralto al basso. Il terzo coro a sei voci
prevede una grande estensione con la voce
del basso che raggiunge il do grave e il soprano che si spinge fino al la acuto. Sebbene in
questo mottetto non figurino indicazioni di orchestrazione, sicuramente si può immaginare che
fossero previsti strumenti in raddoppio o in sostituzione delle voci.
Questa composizione si sviluppa in un modo ormai molto lontano dalle composizioni policorali
del Cinquecento, in profonda antitesi anche con quelle contemporanee romane. La prima parte
del mottetto fino a battuta 36 è caratterizzata da tre episodi isolati, uno per ogni coro, ciascuno
dei quali introdotto da una voce solista che, in modo declamatorio e imperativo, canta la parola
“audite”. A coda del primo e del secondo episodio, in corrispondenza delle parole “gaudeamus”
(batt. 7) e “in laetitia” (batt. 20) il tempo
diventa ternario, mentre in coda al terzo,
in corrispondenza della parola “mirabilia”
(batt. 31), si trova un sorprendente
accordo di mi bemolle maggiore forse a
sottolineare la meraviglia inaspettata
della nascita di Gesù. Tutti questi artifici
retorici servono naturalmente a
sottolineare il significato del testo.
A battuta 37 si ha la prima monumentale
sovrapposizione dei tre cori, poi il
mottetto prosegue con una struttura analoga a quella iniziale fino a battuta 49. Una seconda
importante sezione (batt. 50-64) si sviluppa interamente in tempo ternario sulle parole “Salvator
noster natus est, gaudeamus”: impressiona in questa sezione la monumentalità dei cori che si
muovono omoritmicamente sia in modo battente che in blocchi sovrapposti. La sezione
successiva (batt. 65-103) si sviluppa secondo il modello delle sonate e delle canzoni strumentali
a più cori, e propone episodi a carattere chiaramente omoritmico e battente, contrapposti ad
altri a coro singolo, caratterizzati da proposta e risposta, da una più serrata scrittura
strumentale e contrappuntistica, e da alternanza tra tempo binario e ternario. La parte
conclusiva del mottetto presenta un monumentale “alleluia”, costruito con un primo episodio nel
modello, consueto per Gabrieli, di alternanza tra cori battenti in tempo ternario, e un secondo
episodio (da batt. 110) in tempo semplice in cui i tre cori si sovrappongono in modo verticale e
monumentale. Anche per questo mottetto si segnalano due esecuzioni: l’una, di Robert King con
il King’s Consort per Hyperion, l’altra, di Paul McCreesh con il Gabrieli Consort per la Archiv.
La grande varietà di combinazioni
ritmiche, di stili e di stati d’animo
dimostrano la volontà di Gabrieli di
sottolineare i diversi momenti del testo.
Le partiture dei brani
analizzati sono disponibili
nella sezione Choraliter
del sito www.feniarco.it
canto popolare
40
I canti popolari del Lazio e l’elaborazione corale:
alcune osservazioni
di Ambrogio Sparagna
musicologo e ricercatore
La musica tradizionale conserva nel territorio laziale ancora
importanti isole di persistenza culturale, tanto che in
numerose aree, in particolare le più periferiche, è possibile
incontrare repertori di grande interesse che testimoniano la
complessità e la valenza di quello che è stato fino agli anni
Cinquanta un antico e autonomo sistema musicale.
Questa variegata e originale cultura possedeva al suo interno
diversi livelli di produzione e di competenza che venivano
tramandati oralmente da tanti cantori e strumentisti, alcuni
dei quali in possesso di un alto livello di specializzazione
tecnica di tipo “professionistico”.
Dell’antica varietà repertoriale oggi si è conservata solo quella
parte che è riuscita a trovare una continua collocazione
pratica all’interno della vita sociale di alcune comunità dove
permangono modelli socio-culturali agro-pastorali. In questi
contesti si sono conservate alcune pratiche rituali molto
formalizzate che hanno consentito la persistenza di specifici
repertori vocali e strumentali. Ciò ha determinato quindi la
presenza di alcuni repertori con funzione pubblica
determinata (esempi: canti di questua e carnascialeschi,
innodia e canti religiosi, danze strumentali) mentre quelli tipici
del repertorio domestico (ad esempio i canti narrativi o le
ninna nanne) fanno fatica a trovare una loro continua
collocazione.
Ma nonostante le difficoltà a far sopravvivere integralmente
questo microcosmo musicale, oggi da più parti
assistiamo a un rinnovato interesse per il
recupero e la riperpetuazione di forme musicali
tipiche del mondo contadino. Un esempio è la
diffusa proliferazione di centri di documentazione
sulle forme della cultura tradizionale che
pongono come asse centrale e immediato della
loro ricerca il recupero e la riproposta di canti
popolari.
Questo tipo di rinnovato interesse investe anche
il mondo della coralità, tant’è che sempre più numerosi sono i
cori che eseguono repertori di ispirazione popolare.
Su queste tematiche da anni l’associazione regionale dei cori
organizza concorsi e concerti specifici che raccolgono
dovunque grande interesse. È però qui necessario
sottolineare che nonostante gli importanti contributi scientifici
che l’etnomusicologia italiana ha dato alla conoscenza del
nostro folklore, il repertorio dei canti popolari è ancora poco
noto al grande pubblico che continua a non avere alcuna
conoscenza della varietà strumentale e vocale presente nella
nostra penisola.
Il sapere prodotto attraverso la ricca documentazione sonora
contenuta in alcune importanti antologie discografiche non è
mai entrato ad esempio nel mondo della scuola così che,
nonostante i programmi ministeriali da anni affermino la
centralità dell’uso dei canti popolari come formidabile
espediente sonoro per una concreta alfabetizzazione musicale
di base, pochi sono gli insegnanti in grado di conoscere
realmente le tipologie che fanno assumere nel suo complesso
il carattere di “popolare” a un canto.
Le poche raccolte antologiche su questo tipo di repertorio
danno scarse notizie sui canti pubblicati e talvolta il materiale
che si incontra sembra più il frutto di azzardate elaborazioni
di solerti trascrittori piuttosto che testimonianza di culture
musicali originali.
Sappiamo sempre poco e quel poco che si conosce è
destinato in breve a scomparire a causa delle numerose
difficoltà che questo repertorio incontra nel continuare a
sopravvivere; molti interpreti sono anziani e se non si
interviene in modo rapido gran parte del loro repertorio cadrà
nell’oblio.
Nel Lazio numerose sono le aree dove ancora permangono
persistenze musicali tipiche dell’antica tradizione contadina.
La vocalità si caratterizza per l’uso di scale di impianto
modale dove di frequente compaiono intervalli strutturali di
seconda diminuita, quarta aumentata, settima diminuita. In
La musica tradizionale conserva nel
territorio laziale ancora importanti
isole di persistenza culturale.
questi canti, che spesso sono di argomentazione religiosa, le
melodie hanno carattere melismatico e ornamentale e si
articolano su piccole estensioni costruite prevalentemente su
gradi congiunti. La vocalità prevede un uso frequente di
forme monodiche, anche se non mancano interessanti esempi
di polivocalità che viene impiegata sopratutto per l’esecuzione
di brani cerimoniali legati al ciclo della Settimana Santa. C’è
una prevalenza di una scansione metrica ternaria con figure
composte da semiminima più croma che costituiscono la base
su cui si articola lo svolgimento ritmico di molto repertorio
laziale.
Questi elementi si
ritrovano in molte
aree della regione,
tanto che è possibile
formalizzare alcuni
stilemi musicali
omogenei che si
riscontrano con
caratteristiche simili
anche in aree
distanti. È il caso ad
esempio delle
analogie strutturali
comuni diffuse in
zone fra loro distanti
come il Cicolano,
l’Alta Valle
dell’Aniene e l’area
dei Monti Lepini,
Ausoni e Aurunci.
Accanto a questo tipo di canti nel Lazio sono diffusi altri
repertori caratterizzati da impianti melodici spiccatamente
tonali, che impiegano gradi congiunti e hanno ambiti più
estesi. In alcuni casi su questo genere di melodie vengono
applicate modalità esecutive polivocali a due o tre parti
distinte che talvolta utilizzano formule con terze parallele.
È questo il caso dei repertori di tradizione nordica diffusi
nell’agro romano e pontino a seguito della bonifica avvenuta
negli anni Trenta.
In questo repertorio, sia esso di tipo religioso o profano, la
scansione ritmica si basa su formule
binarie.
Nonostante la ricca presenza di documenti
sonori conenuta in archivi e in antologie
discografiche, oltre 6000 infatti sono i
documenti che il Centro Regionale di
Documentazione della Regione Lazio ha
individuato nella realizzazione di un Atlante
sulla musica popolare della regione, scarso
è il numero delle trascrizioni musicali dei
materiali contenuti nelle raccolte. Tant’è che, nonostante la
datazione ormai obsoleta, l’unica raccolta areale che possiede
un adeguato apparato di trascrizioni musicali specifiche è
ancora quella di Colacicchi effettuata sui canti della Ciociaria
negli anni Trenta. Le altre trascrizioni riguardano o lavori
monografici su singoli paesi o repertori strumentali specifici.
In questo contesto privo di adeguati supporti analitici diventa
difficile operare per chi intende utilizzare le forme del canto
popolare laziale per costruire nuovi repertori polifonici a uso
dell’attività corale.
Le esperienze più frequenti si rivolgono spesso
all’utilizzazione di trascrizioni già edite sulle quali si
realizzano specifiche armonizzazioni che però il più delle volte
finiscono per “addolcire” troppo la valenza del canto
contadino originario, spesso compresso da pur pregiati
41
incastri polifonici. In questo tipo di elaborazione un elemento
che appare evidente è la mancanza di vivacità ritmica che
invece costituisce uno degli elementi essenziali del canto
contadino. In alcune di queste elaborazioni, la linea melodica
originale tende a perdere nell’esecuzione corale il carattere
fortemente ritmico della versione originaria.
Lo stesso stravolgimento di valore avviene quando su una
linea melodica semplice che possiede delle caratteristiche di
tipo modale si costruiscono elaborazioni che tendono ad
affermare principi e modulazioni melodiche dichiaratamente
tonali.
Impiegare forme di canti popolari è utilissimo per l’attività
corale. Il canto contadino insegna alla semplicità e
all’immediatezza melodica, induce alla sintesi formale, è ricco
di espedienti ritmici e di originali interrelazioni linguistiche.
Può quindi diventare, specie per cori amatoriali, un’occasione
di notevole crescita musicale perché obbliga a superare con
naturale progressione le difficoltà insite nel cantare in
polifonia.
Ma per utilizzare le tante possibilità che questo tipo di
repertorio offre, è necessario trattarlo in modo sapiente:
riuscendo cioè a conoscere le caratteristiche specifiche di
questo tipo di linguaggio che fa scaturire la sua fonte creativa
da forme di apprendimento e di trasmissione musicale tipiche
della tradizione orale.
Chi elabora un canto popolare deve comprendere che ha fra
le mani un tipo di melodia speciale, molto affascinante ma
difficile da trattare. Ogni nota sovrapposta deve accrescere le
qualità già presenti all’interno del canto stesso ma
contemporaneamente non deve appesantirlo.
Oggi assistiamo a un rinnovato
interesse per le forme musicali
tipiche del mondo contadino.
In alcuni casi infatti deve valere la regola della limitazione
dell’intervento elaborativo: poche note quindi ma essenziali a
rendere il vero carattere originario del brano che occorre
conoscere possibilmente non soltanto attraverso le fonti
scritte ma anche dall’esecuzione originaria, laddove questo è
possibile, registrata su supporti magnetici e conservata nei
tanti archivi pubblici e privati diffusi in ambito regionale.
L’ascolto del materiale originario aprirà le orecchie
dell’elaboratore a possibili soluzioni sonore. In particolare
attraverso una maggiore conoscenza sarà possibile riportare
nell’esecuzione collettiva alcune interessanti modalità
esecutive tipiche della vocalità contadina che costituiscono
uno dei tratti essenziali del canto popolare.
portraiT
42
CONCERTO PER CORO A QUATTRO MANI
Intervista doppia a Lorenzo Donati e Dario Tabbia
a cura di Walter Marzilli
Questa è la prima volta che il Coro Giovanile Italiano ha due
direttori nello stesso tempo. Come giudicate questa
esperienza? E quali sono state le vostre iniziative per
aumentarne la professionalità e le capacità artistiche del
coro?
Lorenzo Donati: «Si tratta di un’esperienza di grande
soddisfazione, musicale, artistica e umana. Questo progetto
può e deve essere una delle punte culturali più alte espresse
dalla coralità amatoriale italiana, e sono abbastanza
soddisfatto che si sia riusciti a realizzare tanti progetti di alto
livello. Parlo scientemente di realtà amatoriale, perché pur
essendo composto anche da giovani che studiano direzione di
coro, composizione, canto, questo gruppo rimane nelle sue
peculiarità simile a tutti gli altri cori che Feniarco rappresenta.
L’unica differenza con i professionisti è che i cantori del Coro
Giovanile Italiano non sono pagati, ma arrivano puntuali,
preparati, capaci come un gruppo professionale».
Dario Tabbia: «Una bellissima esperienza che continua ad
arricchire di contenuti tutti coloro che la condividono. È ovvio
che deve esserci totale sintonia fra i due direttori, soprattutto
nel pensare sempre e solo “in due” e mai ognuno
separatamente dall’altro. Non abbiamo mai concentrato le
energie sul nostro lavoro individuale ma lavorato sempre al
fine di portare il coro al massimo delle sue possibilità. Questo
è stato avvertito da subito dai ragazzi e questo credo sia
stata l’impronta di professionalità che ha caratterizzato
l’intero gruppo».
Nel Coro Giovanile Italiano vi siete divisi i compiti,
occupandovi uno di musica moderna e l’altro di musica
antica. Quali pensate che siano gli apporti, i frutti e gli
arricchimenti che la frequentazione con i vostri rispettivi
repertori può fornire ai cantori?
LD: «La cosa importante è fare musica bene. Farla in modo
pulito. Per il coro giovanile questo significa scegliere repertori
importanti, fattibili, ma non scontati. Lavorare su un canto
popolare o un brano di Palestrina, su Dallapiccola o una
villanella rinascimentale poco importa. Ciò che è importante è
comprendere la musica che si vuol realizzare, conoscerne le
trappole tecniche o le magie interpretative. I cantori del Coro
Giovanile Italiano sono già molto preparati e lavorano da
tempo a buoni o ottimi livelli con i loro gruppi, quindi più che
sul “cosa” l’arricchimento musicale e culturale è sul “come”».
DT: «Pochi repertori come quello della grande tradizione
polifonica obbligano il cantore a confrontarsi con certe
esigenze tecniche oltre che stilistiche. Basti pensare all’uso
del legato, dell’uguaglianza dell’emissione, alle problematiche
relative all’intonazione. Ho cercato il più possibile di aiutare i
ragazzi a “leggere” la partitura, cercando di evidenziare loro
come, attraverso l’uso della sola notazione musicale, i
compositori antichi suggerissero la loro personale lettura del
testo poetico per arrivare poi a una vera e propria
interpretazione».
Personalmente ho sempre pensato che, per far crescere i
direttori italiani, gli incontri di studio del Coro Giovanile
Italiano potrebbero essere connotati anche come stages di
approfondimento per direttori, i quali avrebbero potuto
seguire le prove del coro. In questo modo potrebbero vedere
da vicino il direttore all’opera, magari nell’atto di superare le
difficoltà tecnico-vocali dei cantori con suggerimenti
appropriati, o per capire le sue scelte gestuali in merito alla
resa sonora di un determinato passaggio, o ancora, nel
vostro caso specifico, per capire le differenze di un approccio
interdisciplinare tra repertori di epoche diverse. Questa
configurazione degli incontri non dovrebbe intralciare il
lavoro di preparazione del coro, se non per un breve incontro
tra direttore/i e allievi direttori per approfondire qualche
particolare questione. Oltretutto, volendo, sarebbe pure
possibile individuare tra di loro eventuali assistenti, che
potrebbero facilitare il lavoro di costruzione dei brani. Cosa
ne pensate?
LD: «Gli stage del Coro Giovanile sono sempre aperti e
discretamente pubblicizzati. In due anni di attività a parte
qualche sporadica e momentanea apparizione, si è visto un
unico collega che ha frequentato alcune nostre prove.
43
Comunque in questo coro ci sono qualcosa come sedici
giovani direttori di coro che, oltre a cantare, vengono a
vedere, confrontare, apprendere. Potremmo dire che le prove
del Coro Giovanile sono uno stage di direzione itinerante e
per noi direttori un buono stimolo a far bene».
DT: «Credo che sarebbe un’iniziativa utilissima e molto bella
che non vedo nemmeno di difficile realizzazione. Assistere al
lavoro altrui è sempre un’occasione di arricchimento, se poi
c’è la possibilità di seguire un gruppo importante come il
Coro Giovanile credo che sarebbe una grossa opportunità
soprattutto per i giovani direttori».
Avendo fatto numerose audizioni per selezionare le voci del
coro che guidate, avete avuto la possibilità di capire le
connotazioni caratterizzanti dei giovani cantori provenienti
da tutta l’Italia. Avete qualche notizia da darci sullo stato di
salute delle voci italiane, sulla capacità di lettura dei cantori,
sulla capacità di adattare la prassi esecutiva a repertori
storicamente diversificati?
LD: «La maggioranza dei cantori del Coro Giovanile Italiano
legge abbastanza bene. Siamo riusciti grazie alla lettura e allo
studio a realizzare partiture importanti in pochissimo tempo.
Non posso dirlo, perché non ci si dovrebbe mai vantare di
essere in grado di studiare qualcosa velocemente, ma questo
gruppo ha tenuto dei ritmi veramente alti. Per quanto
riguarda invece il progresso vocale complessivo, l’idea di
scegliere tra coristi appartenenti al nostro mondo corale ha in
alcuni casi fatto prevalere qualche suono più spontaneo e
meno curato. Per questo il lavoro d’insieme diviene
indispensabile».
DT: «Quello che è subito emerso dalle audizioni
effettuate è che tutti provenivano da cori stabili e
che non si trattava di studenti di canto che
cercavano un’esperienza diversa. La coralità
italiana è in forte crescita e queste audizioni sono
state una conferma in tal senso. Sulla lettura e
sulla prassi esecutiva forse siamo ancora un po’
indietro rispetto ad altre realtà, ma il futuro è
roseo».
c’era e una certa maturazione dei nostri cori e nostri direttori
dipende anche dal fatto che in Italia siamo riusciti a portare
anche docenti stranieri».
Maestro Tabbia, tu sai che io ho parafrasato il titolo di un
tuo libro, intitolando – con il tuo permesso – un mio recente
corso per direttori con il motto: “Il gesto è già suono”. Sei
d’accordo?
DT: «Certamente e la cosa non poteva che farmi piacere. In
comune con il libro dedicato a Fosco Corti Il respiro è già
Ciò che è importante è comprendere
la musica che si vuol realizzare.
Maestro Donati, tu hai vinto il concorso internazionale per
direttori di Bologna e quindi, anche per la tua attività, hai
conosciuto tanti direttori. Quali sono le tue impressioni sui
direttori stranieri e le loro scuole?
LD: «Quando ho iniziato a cantare in coro esisteva ancora la
memoria delle scuole nazionali di pensiero tecnico-vocale.
C’erano delle realtà socio-culturali che avevano creato e
protetto alcune tipologie come i direttori ungheresi, la scuola
russa, quella bulgara, la scuola di Eric Ericson, i polifonisti
italiani. Oggi non credo si possa più parlare di vere e proprie
scuole. I giovani direttori si muovono per tutta Europa a
studiare e lo stesso fanno i docenti-direttori. Ad Arezzo ogni
anno, oltre a tre o quattro docenti italiani, vengono docenti
dalla Svezia, Gran Bretagna, Francia, Spagna. Ogni allievo
filtra, sceglie, trasforma. Questa ricchezza quindi anni fa non
canto c’è la consapevolezza del “prima”, dell’atto creativo che
precede il contatto con il suono stesso, la preoccupazione, in
questo caso, del direttore di “donare” innanzitutto prima che
“ricevere”. Cosa che non è così frequente come si potrebbe
pensare…»
La direzione del coro sta assumendo sempre più i connotati
di una professione vera e propria. Che consigli vorreste dare
a un giovane che si affaccia nel panorama dei direttori?
LD: «Studiare. Conoscere repertorio, ascoltare cori buoni,
vedere al lavoro direttori di qualità. Pensare al mondo corale
come a un mondo almeno europeo, se non mondiale.
Imparare a cantare e leggere la musica. Viaggiare per vedere
concorsi e festival internazionali. Ma soprattutto, divertirsi nel
fare tutto questo».
DT: «Il primo potrebbe essere: “Adagio, che ho fretta!”.
Al giorno d’oggi ci sono tantissimi strumenti di studio e di
in collaborazione con
Associazione
Regionale
Cori Marchigiani
44
7 European Academy
th
apprendimento, a partire dalla disponibilità delle partiture alla facilità dei relativi ascolti.
Il giovane direttore parte con conoscenze e consapevolezze (vedi la necessità di una
preparazione vocale da parte del coro) che una volta erano impensabili. Il consiglio è quello di
non bruciare le tappe, di farsi una sana gavetta senza iniziare dalla direzione di un coro
superiore alle proprie capacità effettive. Di curare la propria preparazione tecnica e musicale
prima di pretenderla dagli altri»
Pensate che “direttori” si nasca o lo si diventi?
LD: «Questa è una domanda difficile. Credo che un po’ lo si nasca e molto lo si diventi. Se non
avessi avuto dei bravi insegnanti non avrei neanche avuto la possibilità di appassionarmi a
quello che faccio. Di base qualcosa ci deve essere che ti porti dentro fin dall’inizio, e senza
questa cosa non si riesce a far molto, ma
poi sono importantissimi i maestri, gli
incontri, le fortune o le sfortune. Diciamo
che, essendo migliorata la proposta
didattica per lo studio della direzione di
coro, molti giovani adesso hanno la
possibilità di diventare bravi direttori,
talvolta anche se non lo sono nati».
DT: «Direttori si nasce e si diventa. Per arrivare a certi livelli è indispensabile avere delle qualità
che si aggiungono a quelle musicali congenite, come il carisma o la facilità di comunicazione.
Tuttavia senza la necessaria esperienza sul campo certe qualità rischiano di restare inespresse.
Questo non toglie tuttavia che in assenza di certe qualità non sia possibile dirigere un coro
onestamente, con professionalità e con buoni risultati. La passione e il cuore dovrebbero essere
requisiti comuni e indispensabili e, spesso, valgono più di un diploma».
La cosa importante
è fare musica bene.
for choral conductors
Fano/Italy
8/15 settembre 2013
Docente Nicole Corti (France)
Repertorio francese, inglese e italiano del ’900
L’Accademia europea è una masterclass professionale aperta ai direttori, che ha luogo in una città marchigiana situata sulla costa
adriatica del centro Italia. I partecipanti avranno la possibilità di fare pratica di direzione con un coro laboratorio di alto livello, che sarà
a loro disposizione per tutta la durata del corso. L’Accademia si conclude con un concerto diretto dai partecipanti stessi.
www.feniarco.it
in collaborazione con
Comune di Fano
Coro Polifonico Malatestiano
Incontro Internazionale Polifonico Città di Fano
iscrizioni entro il
31 maggio 2013
informazioni
Feniarco - Via Altan, 49 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn)
Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - [email protected]
ASSOCIAZIONE
47
note, emozioni,
vibrazioni
salerno festival 2012
di Anna Bisogno
«Il segreto del canto risiede tra la vibrazione della
voce di chi canta e il battito del cuore di chi
ascolta». Così scriveva nel 1923 il poeta e filosofo
Khalil Gibran ne Il Profeta, sancendo lo stretto
legame, l’imprescindibile connessione che nella
musica c’è tra note ed emozioni, tecnica e
vibrazioni. Se poi l’esperienza del canto diventa
corale, quelle stesse note ed emozioni, vibrazioni
si moltiplicano in un tripudio di musica
straordinario.
Un’esperienza del genere in Italia porta il nome di
Salerno Festival - Festival Corale Nazionale che,
giunto quest’anno alla terza
edizione, si è confermato un
evento in grado di rinnovarsi
nel tempo mantenendo ben
salda la sua cifra distintiva e
diventando un appuntamento
fisso e atteso nel programma
delle iniziative culturali del
Comune di Salerno.
La città delle luci d’artista e del poeta Alfonso
Gatto dall’8 all’11 novembre si è trasformata nella
capitale dei cori e del bel canto con quarantasei
cori (per un totale di oltre 1.000 partecipanti), di
cui sedici provenienti da diverse regioni italiane
(412 persone) e trenta cori campani (630 persone),
cinque cori provenienti dal Lazio, quattro dalla
Calabria, due dall’Abruzzo, uno rispettivamente da
Emilia Romagna, Piemonte, Puglia, Sicilia e
Toscana.
Le formazioni corali, composte da coristi di tutte le
età, si sono esibite in oltre venticinque concerti
proponendo un repertorio misto che ha spaziato dai
canti liturgici romano-bizantini alle melodie pop
italiane e internazionali, dal popolare tradizionale
della nostra nazione al gospel americano, toccando
tra i luoghi più suggestivi del territorio salernitano e
della regione Campania: Atrani (Collegiata di Santa
Maria Maddalena), Cava de’ Tirreni (Badia della
Salerno Festival, organizzato da Feniarco in collaborazione con Arcc, con la partecipazione del
Comune di Salerno, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Provincia di Salerno,
Camera di Commercio di Salerno, Salerno Mobilità, Sovraintendenza per i beni storici, artistici
ed etnoantropologici per le province di Salerno e Avellino, Università degli Studi di Salerno,
Facoltà di Agraria Università degli Studi di Napoli Federico II, Enoteca provinciale di Salerno e
Unitalsi. Ciò a testimonianza delle molteplici valenze che l’iniziativa esprime: animazione del
territorio, momento di aggregazione e di coesione sociale, recupero e rilancio delle tradizioni
popolari, così come ha sottolineato l’Arcivescovo metropolita di Salerno nella santa messa
animata dai cori nella giornata conclusiva della rassegna.
La kermesse ha porposto due novità. Si tratta di progetti, uno di carattere formativo e l’altro più
squisitamente esecutivo, che hanno
ulteriormente arricchito l’edizione di
quest’anno: un incontro formativo sul tema La
musica campana di matrice popolare, con il
prof. Matteo Cantarella e l’accompagnamento
de i musicantica aperto a cantori, direttori e a
tutti gli interessati, e Frijenn Cantann… il
canto è libero! che ha consentito ai cori di
esibirsi, improvvisando, in alcuni spazi di
diversa natura e grandezza della città, dai
negozi alle case private, dall’ostello alle chiese.
Il momento clou è stata l’esecuzione di due canti comuni nella centralissima piazza Portanova
dove i tantissimi salernitani e turisti di passaggio in città si sono uniti ai cori per cantare tutti
insieme ’O sole mio e Santa Lucia in un tripudio di voci e suggestioni fortissime alla presenza,
tra gli altri, del presidente di eca-ec e di Feniarco, Sante Fornasier, dell’assessore alla cultura del
Comune di Salerno, del presidente dell’Associazione Cori Campani, Vicente Pepe, e
dell’assessore alle politiche culturali del Comune di Salerno, Ermanno Guerra. Un canto che sa
di “grazie” e di un “arrivederci al prossimo anno”.
salerno
Un evento in grado di rinnovarsi
nel tempo mantenendo ben salda
la sua cifra distintiva.
Santissima Trinità), Fisciano (Teatro d’Ateneo
dell’Università di Salerno) e Portici (Reggia, Sala
Cinese), Scafati (Teatro San Francesco), Vallo della
Lucania (Teatro La Provvidenza), Vietri sul Mare
(Duomo di San Giovanni Battista) e a Salerno presso
il Teatro Augusteo dove le corali, a gruppi, si sono
esibite nel concerto di apertura e in quello di gala.
Il segreto del canto risiede tra la
vibrazione della voce di chi canta
e il battito del cuore di chi ascolta.
ASSOCIAZIONE
48
La coralità italiana nella sfera
dell’eccellenza internazionale
Impressioni e riflessioni dall’assemblea
nazionale Feniarco
di Alvaro Vatri
La prima Assemblea Nazionale Feniarco del dopo Festival
Europa Cantat Torino 2012 si è tenuta il 20 e 21 ottobre a
Bolzano, nella lieta ricorrenza del quarantennale della
Federazione Cori dell’Alto Adige.
Ricca, come al solito, l’agenda dei lavori iniziati, come
doveroso, nel segno del festival che ha lanciato
definitivamente l’Italia corale nella sfera dell’eccellenza
internazionale. Nella cartella della
documentazione abbiamo trovato un dettagliato
comunicato stampa conclusivo che riporta non
solo cifre, commenti e proiezioni per il futuro,
ma la sensazione di quanti conoscono, e non da
ora, la realtà del Festival Europa Cantat: il
successo della manifestazione ha sorpreso
persino gli stessi organizzatori.
L’esperienza del festival è stata entusiasmante
per tutti: per le oltre 5000 persone coinvolte,
provenienti da 42 paesi di quattro continenti,
ma anche per la Città di Torino e la Regione Piemonte che
come sempre si sono dimostrate terre accoglienti e capaci di
rispondere con grande entusiasmo a proposte culturali
diversissime. A corredo visivo è stato proiettato il video dello
speciale La Musica di Rai3 di circa 40 minuti dedicato dalla
Rai al festival e trasmesso il 14 agosto scorso. Sia coloro che
erano stati presenti al festival che quanti non avevano potuto
presenziare hanno rivissuto e provato emozioni intense, una
gratificazione profonda e un legittimo senso di orgoglio per
quanto la nostra federazione corale ha saputo mettere in
campo di fronte al mondo.
L’assemblea ha affrontato poi la disamina e la valutazione delle
iniziative concluse nel 2012, tra le quali spiccano il Festival di
Primavera, svoltosi in aprile a Montecatini Terme che, con le
oltre 1200 presenze tra ragazzi delle scuole medie e superiori,
si conferma un punto di riferimento importante per la coralità
scolastica nazionale, tanto più significativo negli attuali tempi
critici. Analogo significato e valore per i numeri riguardanti il
Festival di Salerno, con 46 cori per un totale di circa 1000
partecipanti. Un altro settore importante che ha visto un
grande impegno e meritorio sforzo di Feniarco è quello
editoriale, dove, oltre ai tre numeri della rivista Choraliter (il cui
comitato di redazione si è riunito a Bolzano in parallelo con
l’assemblea), sono stati stampati e distribuiti i volumi Melos 3,
Giro Giro Canto 4, il volume dedicato al Piemonte della collana
Voci & Tradizioni, Elementi base nella tecnica della direzione di
Per Paolo Scattolin, mentre contemporaneamente sono in
corso di realizzazione l’Antologia Choraliter 10, Giro Giro Canto
5 e Teenc@nta 2. Rilevante anche l’attività del Coro Giovanile
Italiano e del Coro Accademia Feniarco, che hanno meritato
“sul campo”, nelle diverse occasioni, il plauso e il
riconoscimento di un lavoro positivo che li ha messi alla pari
Una gratificazione profonda e un
legittimo senso di orgoglio per
quanto la nostra federazione corale
ha saputo mettere in campo.
delle più affermate compagini giovanili nazionali europee.
L’assemblea ha espresso calorosa gratitudine a tutti coloro che
nei diversi ruoli hanno lavorato con competenza,
professionalità e nobile senso di abnegazione per affrontare
con successo una “sfida” alta, ambiziosa forse ma sicuramente
non velleitaria.
Per le iniziative del 2013 sono state esaminati in particolare il
Festival di Primavera di Montecatini, con una ricognizione
degli atelier e dei docenti proposti, la ripresa della settimana
cantante Alpe Adria Cantat a Lignano Sabbiadoro dopo la pausa del
2012, a cui segue la settima Accademia Europea per direttori di coro, a
Fano in settembre, con la docenza di Nicole Corti.
Rimanendo in campo europeo, l’assemblea ha ratificato le candidature
per il prossimo Board di European Choral Association - Europa Cantat (a
seguito della conclusione del mandato del presidente Sante Fornasier) e
della Commissione Musicale della stessa che saranno presentate in
occasione dell’assemblea di eca-ec a Tolosa in novembre: Feniarco ha
proposto rispettivamente i maestri Carlo Pavese e Nicola Campogrande.
Domenica 21 l’assemblea ha affrontato l’analisi e la valutazione della
proposta di un nuovo logo per Feniarco. Il progetto scaturisce dalle
conclusioni dei gruppi di lavoro, tenutisi nella precedente assemblea
nazionale di Arezzo nello scorso marzo. In quell’occasione si convenne
sulla necessità di una evoluzione e aggiornamento della base
associativa che, coinvolgendo più consapevolmente i diversi attori del
movimento corale amatoriale italiano, potesse dare alla federazione
ulteriore incisività istituzionale e forza contrattuale nei diversi ambiti.
Già allo stato attuale Feniarco ha raggiunto, per opinione condivisa
all’interno e all’esterno del mondo corale e istituzionale, una rilevante
posizione sul fronte della rappresentatività e della progettualità. Il suo
ruolo è quello di una rilevante organizzazione del terzo settore nella
quale l’informazione e la comunicazione risultano strategiche. Questa,
del resto, era la conclusione del gruppo di lavoro su Informazione,
comunicazione e promozione che aveva approfondito il tema ad Arezzo.
La riflessione in questo ambito in realtà procede da diversi anni, almeno
dal 2005, quando all’argomento venne dedicato un convegno a
Bologna. Imprescindibile la funzione di Choraliter, strumento di
informazione sia interno che verso il pubblico, ma anche potente fattore
identitario che documenta e alimenta l’identità e l’appartenenza al
mondo corale amatoriale italiano così ricco di contenuti culturali, sociali
e umani. Comunicare
l’identità e l’appartenenza è
centrale per il consolidamento
del ruolo della federazione.
Già ad Arezzo si era discusso
del problema della
molteplicità delle sigle
regionali, che tuttavia hanno
una loro storia e una
riconoscibilità locale
importante da non
disperdere, alle quali già molte associazioni affiancano il logo di
Feniarco. Il restyling grafico di quest’ultimo può essere sicuramente
l’occasione per ricercare una modalità di presentazione che riesca a
coniugare identità regionale e appartenenza nazionale. Il brillante staff
di Feniarco, che tanto apprezzamento ha riscosso per la campagna di
comunicazione di Torino 2012, ha presentato alcune proposte
all’assemblea che, a testimonianza dell’interesse e dell’importanza di
questo processo, ha sviluppato una ricca e articolata analisi dandosi
appuntamento, per la decisione definitiva, alla prossima riunione nella
primavera del 2013.
49
Feniarco ha raggiunto una
rilevante posizione sul fronte
della rappresentatività e della
progettualità.
ASSOCIAZIONE
50
L’Italia corale protagonista nel panorama europeo
Assemblea generale eca-ec 2012
di Giorgio Morandi
Secondo tempi e modalità previste da statuti e regolamenti di
cui è dotata, ogni associazione umana ben organizzata tiene
ogni anno la propria assemblea (ordinaria e/o straordinaria).
European Choral Association - Europa Cantat lo ha fatto nei
giorni 16, 17 e 18 novembre, raccogliendo nella bella città di
Toulouse oltre 150 rappresentanti di associazioni nazionali,
regionali, cori e membri individuali provenienti da 22 diversi
paesi europei.
Particolarmente nutrita e rappresentativa è stata la
delegazione che ha portato la voce del movimento corale
italiano grazie a Sante Fornasier (presidente Feniarco, nonché
presidente di eca-ec al termine del mandato), Alvaro Vatri e
Pierfranco Semeraro (vicepresidenti di Feniarco), Lorenzo
Benedet (segretario di Feniarco), Sandro Bergamo (direttore di
Choraliter), Marco Fornasier, Annarita Rigo, Michela
Francescutto e Pier Filippo Rendina (staff organizzativo del
Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012), Carlo Pavese
(artistic manager del Festival Europa Cantat di Torino, nonché
candidato al nuovo Board di eca-ec), Gianni Vecchiati e Giorgio
Morandi (del gruppo Feniarco, nonché, il secondo, membro
diretto individuale di eca-ec).
Assemblea annuale di eca-ec (già Europa Cantat prima della
felice fusione con agec - Arbeitsgemeinschaft Europäischer
Chorverbände) da sempre non è che la denominazione in
forma breve di una manifestazione corale di ben più ampio
respiro che, in realtà, oltre alla riunione assembleare vera e
propria, nell’arco di tre giorni offre adeguati spazi e tempi per
molte altre importanti attività.
Nell’assemblea generale di eca-ec di quest’anno hanno avuto
luogo le riunioni delle varie componenti istituzionali, dal
Board dell’associazione allo Youth Committee, al comitato
editoriale e fino al meeting dei partners del progetto voice.
A tutti partecipanti all’assemblea, invece, è stata offerta la
possibilità di godere davvero il meglio dell’espressione corale
del paese ospitante in aperitivi musicali e concerti veri e
propri. È stato il caso dell’esibizione del coro di ragazzi di
Toulouse La Lauzeta diretto da François Terrieux e del Choeur
National des Jeunes diretto da Régine Theodoresco, oltre che
del concerto di Maîtrise du Conservatoire de Toulouse e del
meraviglioso concerto di musica antica offerto dal
conservatorio.
Importante, nelle nostre general assembly, è la realizzazione
di diversi workshop che danno la possibilità ai partecipanti di
presentare le proprie esperienze, ascoltare quelle che si
realizzano in altri paesi e regioni e confrontarle fra loro, per
arrivare infine a chiarire aspetti e problemi e fornire al Board
e alla Music Commission dell’associazione indicazioni e
suggerimenti per le attività future. Tutto questo è avvenuto
nei sei workshop che proponevano i seguenti temi: Cori
giovanili nazionali e regionali di Germania, Estonia, Norvegia
e Svezia, Catalogna/Spagna, Svizzera, Olanda, Italia e Austria;
Creazione e rinnovo del repertorio per cori di bambini: quali
iniziative si sono rivelate decisive o potrebbero essere
adottate in futuro per ottenere risultati in merito; Teenagers e
cori, nuove pratiche e nuove procedure di avvicinamento; Cori
giovanili nazionali e regionali, problematiche e prospettive;
Educare il coro con l’aiuto di un repertorio specifico: il
repertorio è importante per il successo del coro, ma può
essere molto di più (il repertorio può essere educativo per i
cantori ma anche per il pubblico); Coro in scena. Il processo
artistico: la relazione fra musica e movimento; I colori delle
voci europee: insegnanti/preparatori vocali provenienti da
varie parti d’Europa (Germania, Lettonia, Portogallo, Russia e
Francia) hanno parlato di come le diverse culture vocali
“colorano” la voce e come influenzano i metodi di
insegnamento vocale e la pratica del canto in aree
geografiche diverse.
Ben organizzata dalle associazioni francesi Arpa, Platforme
Interrégionale, A Coeur Joie e Ifac in una bella città come
Toulouse, l’assemblea vera e propria è entrata nel vivo con il
saluto ai convenuti da parte del presidente Sante Fornasier.
La sua relazione, che è stata sì relazione annuale, ma anche
(essendo in scadenza di mandato) relazione consuntiva del
triennio da lui presieduto, s’è fatta occasione per esprimere
soddisfazione e gratitudine. «Per me è stato un onore, un
arricchimento personale stupendo e memorabile, nonché
grande opportunità di incontri esperienze ed emozioni. Grazie
infinite per la fiducia che mi avete dato. Ho sempre cercato di
lavorare con impegno e passione. Spero di essere riuscito a
dare un contributo positivo alla causa». Piccolo importante
appunto di cronaca: la relazione si è conclusa con il
ringraziamento a tutti i collaboratori, a tutte le componenti
dell’associazione, alla Segreteria Generale (Sonja Greiner e
collaboratori), a «cantori, cori e federazioni che costituiscono
la base fondamentale della nostra associazione… E per
ultimo, ma non meno importante, grazie agli amici francesi
che ci hanno accolto qui a Toulouse per questo importante
incontro».
Dopo di che, per il presidente uscente è scoppiato uno
spontaneo scrosciante applauso, una vera e propria standing
ovation durata diversi minuti. Da parte dei convenuti in
assemblea è stata l’espressione di un gradimento e di una
gratitudine di cui chi scrive (presente ormai a molte
assemblee) non ricorda uguali.
A quella del presidente hanno fatto seguito le relazioni della
Music Commission, del tesoriere, dello Youth Committee, dei
Centri Regionali d’Ungheria (Pomáz) e di Spagna (Barcellona),
della segretaria generale e del tesoriere.
Adeguato spazio è stato dato in assemblea a quello che
indiscutibilmente s’è rivelato l’evento corale del triennio, il
Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012: i componenti del
comitato organizzatore italiano presenti a Toulouse – Carlo
Pavese (artistic manager), Marco Fornasier, Annarita Rigo,
Michela Francescutto e Pier Filippo Rendina – con l’ausilio di
uno stupendo video hanno commentato l’esito del festival.
Scendere in molti altri dettagli (peraltro interessantissimi)
dell’assemblea non è qui possibile, e del resto nei tempi e
modi previsti seguirà adeguato verbale, ma non si può tacere
uno dei momenti principali di questa assemblea che ha
coinciso con l’elezione del nuovo Board. La scadenza del
mandato triennale che tutti i membri del Board avevano
ricevuto nell’assemblea di Sofia nel novembre 2009 lo ha
richiesto. La nuova elezione è stata un passaggio che, tra
l’altro, segna ancora un momento estremamente significativo e
importante per la coralità italiana in Europa.
Tra i 17 candidati al nuovo Board era presente il maestro Carlo
Pavese che, con il forte convinto appoggio di Feniarco, ha dato
la sua disponibilità a mettere esperienza, cultura, preparazione,
entusiasmo e tempo a disposizione della coralità europea. Non
è questo né il tempo né il luogo di esprimere elogi o critiche
del candidato (che peraltro molti lettori di Choraliter conoscono
personalmente). Né ce n’è bisogno, visto che il risultato delle
votazioni parla da solo e per tutti. Dei 664 voti disponibili Carlo
Pavese ne ha ottenuti 660 (pari al 99,50% per chi ama
statistiche percentuali), risultando l’eletto con maggior numero
di voti. Nell’intera storia dell’associazione, è certamente la
prima volta che un candidato ottiene un consenso di questa
portata, anche se è piacevole ricordare che anche tre anni fa a
Sofia il maggior numero di voti era stato ottenuto (ma guarda
un po’ che vizio!) dal candidato italiano Sante Fornasier, voluto
poi all’unanimità presidente dell’associazione.
Nell’ambito del nuovo Board, Carlo Pavese ha accettato la
carica di primo vicepresidente e ha già cominciato a lavorare
con Gábor Móczár (Ungheria, nominato dal Board presidente di
eca-ec per il triennio 2013-2015), Jan Schumacher (Germania),
Kaie Tanner (Estonia), Anneliese Zeh (Austria), Reijo Kekkonen
(Finlandia), Séverine Delforge (Vallonia/Belgio), Guido Helbling
(Svizzera), Victoria Liedbergius (Norvegia), Martí Ferrer
(Spagna/Cat), Konraad De Meulder (Fiandre/Belgio), Jean
Claude Wilkens (Francia), Daphne Wassink (Olanda) (nomi
elencati in ordine decrescente secondo i voti ricevuti).
Un’ultima informazione importante per il movimento corale
italiano: nella sua prima riunione il nuovo Board ha nominato
anche la Music Commission. Un altro italiano, il maestro Nicola
Campogrande (uno dei compositori più interessanti della
giovane generazione italiana, direttore artistico dell’Orchestra
Filarmonica di Torino e già membro della Music Commission di
Europa Cantat XVIII a Torino) è stato nominato membro di
questa importante commissione.
51
Se tre anni fa Gianni Vecchiati presentando in Choraliter gli
eventi dell’assemblea generale di Sofia in cui Sante Fornasier
era stato eletto presidente dell’associazione affermava con
orgoglio «quel giorno c’ero anch’io», oggi, ringraziato Sante
Fornasier per la sua grande opera in seno a European Choral
Association, con altrettanta soddisfazione possiamo dire
ancora «quel giorno c’ero anch’io»… Io, coralità italiana!
Ancora per un triennio esponenti italiani generosi, entusiasti
e ben preparati con la loro fattiva presenza alla direzione
dell’associazione garantiscono la continuità dello
straordinario momento della coralità italiana in ambito
internazionale in corso da ormai alcuni anni.
Al nuovo presidente Gábor Móczár e a tutti i suoi
collaboratori l’assemblea dice “buon lavoro”, affinché, come
si augurava nel suo saluto finale il presidente uscente
Fornasier, si realizzi quella maggior crescita, quel
rafforzamento di ruolo nel paesaggio europeo che ancora è
possibile per la nostra European Choral Association, secondo
i principi di rispetto e coesistenza su cui l’associazione è
nata. «Il cantare insieme ci aiuti nel comune cammino basato
sul rispetto delle nostre diverse culture, dei differenti
linguaggi e della nostra unicità che deve essere considerata
una risorsa» (pensiero conclusivo di Sante Fornasier).
CRONACA
52
53
ANCHE L’ITALIA IN GARA
PER IL TROFEO DELLE NAZIONI A GORIZIA
51º Concorso Internazionale di canto corale Seghizzi
di Rossana Paliaga
Ha superato il traguardo del cinquantesimo anniversario ed è
uno dei concorsi internazionali più longevi, segue un percorso
autonomo senza connessioni ufficiali con realtà analoghe e
contando soltanto sulle proprie forze attira cori da tutto il
mondo, vantando una peculiare varietà di provenienze, si
rinnova ogni anno per essere sempre unico in ogni edizione.
Il concorso internazionale di canto corale Seghizzi naviga con
una certa stabilità attraverso la crisi generale del settore
culturale e ha garantito anche quest’anno una settimana di
concerti, convegni e competizione con partecipanti provenienti
da tre continenti.
Negli ultimi anni il Seghizzi ha consolidato una formula
pluritematica nella quale i momenti corali vengono affiancati
da concerti di musica strumentale in collaborazione con il
conservatorio Frescobaldi di Ferrara, ma quest’anno anche
con la Nuova Banda di Carlino che ha introdotto la serata
delle premiazioni con un concerto all’aperto. Si tratta di un
abbinamento che interrompe senza particolari collegamenti a
livello di contenuto la monograficità del concorso e che
integra l’intenso programma con iniziative volte ad attirare
verso la manifestazione anche un pubblico diverso da quello
specifico della coralità. In un contesto così focalizzato è
tuttavia difficile trovare la giusta connessione tra le due
aspirazioni e le aspettative del pubblico. È stato più “a tema”
il concerto inaugurale nella basilica gradese di Sant’Eufemia
con la Messa di Gloria di Puccini diretta da Giorgio Mazzucato
con il suo Venezze Consort, mentre la chiusura è stata
affidata a un concerto d’organo “a quattro mani e quattro
piedi” con Paolo Accardi e Alessandro Casali.
La novità più evidente del concorso di quest’anno è stato il
trasferimento nella sala del centro culturale Lojze Bratuz̆ di
Gorizia che ha accolto la manifestazione con entusiasmo e
spirito di collaborazione, inoltre con il gradito omaggio di una
buona acustica. Serbia, Spagna, Paesi Bassi, Italia e Slovenia
sono stati i paesi rappresentati in giuria da Boz̆idar Crnjanski,
Francisco José Herrero, Geert-Jan van Beijeren Bergen en
Henegouwen, Paola Versetti e Sebastjan Vrhovnik.
L’assegnazione dei premi (anche senza considerare la lunga
serie di premi speciali che riescono a regalare qualche
soddisfazione quasi a tutti i partecipanti) ha rivelato una
giuria indulgente per un assortimento di cori che quest’anno
ha presentato un buon livello medio senza vertici di qualità e
nel quale distinguere qualche intepretazione preparata con
cura o l’armonia vocale d’insieme di alcuni gruppi.
Tra le categorie per periodi storici è stata sospesa quella di
musica barocca e classica, sempre poco frequentata dai cori,
mentre le altre suddivisioni sono rimaste invariate secondo
una formula che effettivamente funziona bene, permette ai
cori di concentrarsi di volta in volta sui singoli stili ma non
impedisce il confronto tra le esecuzioni di brani di periodi
diversi, dato che di norma i cori di punta si iscrivono sempre
a più categorie.
Purtroppo nel commentare le esibizioni nella categoria di
musica rinascimentale (e questo vale piuttosto in generale per
i concorsi), il commento si ripete quasi immutato di anno in
anno: ascoltare esecuzioni musicalmente e stilisticamente
appropriate sembra quasi impossibile, sebbene siano sempre
in molti a cimentarsi, cosa che non potremmo dire per altri
periodi e stili storici più trascurati ma che potrebbero dare
risultati più soddisfacenti. Solitamente si oscilla tra la noia e
l’errore e non è detto che la prima risulti più desiderabile,
come hanno dimostrato i cori in gara quest’anno con
esecuzioni fondamentalmente corrette, pulite, ma prive di
quella comprensione profonda che dà respiro alla musica,
trovando la chiave per esprimere con efficacia la sua bellezza
più autentica. Tuttavia la giuria ha ritenuto di poter assegnare
un primo premio al coro misto Paramabira di Jakarta
(Indonesia) che grazie a questo piazzamento, seguito dal
secondo premio nel repertorio romantico, ha potuto
partecipare alla competizione finale tra vincitori e conquistare
il premio più ambito, il 24º Grand Prix Seghizzi, nonostante
una tendenza generale a schematizzare le interpretazioni e
una certa durezza del fraseggio, ma grazie al lavoro accurato
e il controllo del suono esercitato dal direttore Rainir Revireino.
Al secondo posto assoluto si è piazzato invece un coro che ha
fatto della comunicativa il proprio asso nella manica. A priori
sarebbe stato difficile puntare sul coro virile canadese Leoni
che per età media dei coristi non prometteva all’apparenza
grandi performance, ma ha saputo conquistare gli spettatori
con la capacità di divertirsi (e divertire) e un evidente
coinvolgimento emotivo in tutte le interpretazioni, con il
valore aggiunto di una direttrice molto determinata. I Leoni di
Vancouver che hanno affrontato in frac il programma
romantico e si sono poi scatenati in travolgenti coreografie da
matrimonio indiano in stile Bollywood, hanno convinto per
espressività e dedizione, anche per la capacità di valorizzare
e dare la giusta importanza ai testi. È loro la collezione più
ricca di premi del 51º concorso Seghizzi con tre primi premi
nelle categorie di spiritual e gospel, repertorio
contemporaneo e romantico, integrati da sei premi
speciali, tra cui due assegnati del pubblico.
Canada, Estonia e Ungheria sono stati nell’ordine i
paesi che hanno conquistato il podio nella categoria
di musica contemporanea che assieme al popolare
detiene sempre il primato di cori partecipanti. La
medaglia d’argento è andata all’E Stuudio Girl’s
choir, giudicato anche il miglior complesso a voci
pari femminili.
All’interno della predominante presenza di cori centro ed
est-europei non ci sono stati risultati di rilievo, ma l’energica
Zsofia Cseri ha tenuto alto il nome della tradizione corale
ungherese conquistando il premio speciale al miglior direttore
di coro. Il suo gruppo numeroso, l’Erkel Ferenc, ha potuto
partecipare alla competizione del Grand Prix con un secondo
posto nel popolare e due terzi posti per programma
contemporaneo e romantico, dimostrando di essere un buon
coro, forse meno appariscente degli altri finalisti, ma
preparato, motivato, dal suono intenso e che con la consueta
sobrietà dei cori ungheresi non ha cercato mai di catturare
l’attenzione con brani di facile effetto.
Nella musica leggera e jazz si è piazzato al primo posto il
gruppo vocale croato Octachord che per sua natura e
inclinazione aveva puntato tutto proprio sulla categoria
popolare-leggera-jazz, seguito dall’armonioso e preciso
ensemble polacco Rondo. Lo spiritual ha visto giustamente
arrivare i suoi migliori interpreti da oltreoceano con la vittoria
dei canadesi di Vancouver, mentre il calore del coro
dell’Università autonoma de Bucaramanga (Colombia) ha fatto
centro come previsto nella categoria di elaborazioni di musica
popolare che quest’anno si è svolta in un tono insolitamente
sobrio.
Sono stati ben sei i cori italiani che hanno preso parte al
concorso, tra i quali il coro femminile Eos di Roma ha avuto
Una settimana di concerti, convegni
e competizione con partecipanti
provenienti da tre continenti.
accesso alla finale per il Gran Premio. Il coro di Fabrizio Barchi
ha descritto un percorso lineare e coerente, affrontato
partecipando al maggior numero di categorie, vincendo il
primo premio per l’esecuzione del brano contemporaneo
proposto dal concorso, il secondo nel rinascimento e il terzo
nella musica leggera e jazz, il premio per presentazione e
coreografia, infine il premio Feniarco come miglior complesso
italiano. A Barchi va riconosciuta una visione ampia del
repertorio e uno studio attento per amalgamare la vocalità
con emissione e pronuncia omogenea delle coriste, ma
indulgendo troppo a una grazia femminile che manca di
CRONACA
54
temperamento e intensità
all’interno di una gamma dinamica
ridottissima, della quale sono
causa e effetto poco trasporto e
poco colore.
Tra gli italiani partecipanti, il Coro
Polifonico Turritano diretto da
Luca Cristiano Sannai è stato
spinto al limite delle proprie
possibilità, incrinandosi
sull’insicurezza negli attacchi e la
scarsa compattezza del suono. Il
coro femminile In Laetitia di Arese
(diretto da Massimo Mazza) ha
deciso di mettersi alla prova
soltanto nel programma
contemporaneo, dove non è stato
agevolato dalla durezza di un
approccio forse condizionato dalla
tensione. Gli esuberanti coristi
livornesi dello Springtime si sono presentati invece nelle due
categorie in sintonia con il loro repertorio più abituale: la
musica leggera e il gospel. Incitato dal vivace direttore
Cristiano Grasso e animato da un evidente entusiasmo, il coro
non è risucito tuttavia a sottrarsi al rischio comune agli
organici di grandi dimensioni di interpretare i brani in maniera
poco diversificata.
Considerando le esibizioni al di fuori dei parametri necessari
alla giuria, dal punto di vista di una pura considerazione di
efficacia, interesse o curiosità, andrebbero evidenziati due
gruppi che non hanno ottenuto risultati di rilievo nella
graduatoria ufficiale, innanzitutto il coro
virile veneto La Stele che ha partecipato
nella sola categoria con programma
romantico. Attenti alla musicalità, anche se
a tratti meno alla precisione, con un suono
suggestivo e voci curate, i coristi veneti
hanno lavorato con cura dei dettagli sotto
la guida di Matteo Valbusa che ha scelto
per loro un ingresso prudente e ponderato
nel mondo delle competizioni internazionali. «Il gruppo nasce
come coro di montagna e solo in seguito ha ampliato il suo
repertorio. Facciamo molti concerti di ispirazione popolare, ma
abbiamo intrapreso anche un percorso che offre spunti
interessanti nel contemporaneo grazie alla collaborazione di
giovani musicisti che hanno scritto per il nostro coro. Nel
2009, anno dell’anniversario della nascita di Mendelssohn,
abbiamo preparato un programma monografico di ispirazione
sacra. Credo che i cori italiani possano attingere con ottimi
risultati alla polifonia ottocentesca, relativamente poco
frequentata nel nostro paese per una questione di gusto e
cultura. Si tratta spesso di brani che conquistano
immediatamente coristi e pubblico e nonostante questo si
eseguono pochissimo in Italia. Abbiamo partecipato soltanto
a questa categoria per una questione di concentrazione, per
focalizzare la vocalità richiesta. Siamo soddisfatti del nostro
lavoro, è stato il coronamento di mesi di lavoro. Per noi è
stata la prima uscita in un concorso di questa portata, quindi
il riconoscimento della giuria o il premio contano fino a un
certo punto».
Tra i gruppi che al di là dei risultati finali hanno caratterizzato
con una nota insolita il concorso di quest’anno va citato il
gruppo femminile romano Quartetto della Rinascenza, formato
da quattro dame coraggiose che hanno affrontato il concorso
e la sfida quotidiana dell’attività di un gruppo da camera sulla
base di un curioso assortimento di voci che difficilmente si
potrebbe immaginare abbinate tra di loro. La leggerezza di
soprani dal timbro quasi infantile che tenta di bilanciarsi con
le ombre delle voci gravi in un continuo gioco di forze è la
sigla particolare del gruppo che in questa esperienza ha
trasmesso soprattutto l’emozione e l’entusiasmo di giovani
coriste che in virtù del proprio ridottissimo organico hanno
voluto caratterizzarsi anche per una ricerca di repertori insoliti
che amplificasse ulteriormente il loro carattere specifico.
Il quartetto ha conquistato così il premio per la valorizzazione
del patrimonio musicale con la scelta di brani poco
frequentati non per difficoltà ma per scarsa consuetudine,
scegliendo Animuccia, Anerio e Soto de Langa per il
Rinascimento, Villa Lobos per il Novecento, un austero trittico
arrangiato da Colacicchi nel popolare. Il bilancio di questo
debutto è stato quindi positivo per Eugenia, Francesca,
Francesca e Serenella Casilli, direttore e portavoce del
gruppo: «Ci siamo conosciute cantando nel coro del
dipartimento di storia della musica dell’Università La Sapienza
e un anno fa abbiamo intrapreso un percorso autonomo.
Questo è il nostro primo concorso e devo ammettere che ci
Il Seghizzi ha superato il traguardo del
cinquantesimo anniversario ed è uno dei
concorsi internazionali più longevi.
siamo iscritte con un po’ di incoscienza. Vedendo le foto degli
altri cori, che sono tutti gruppi numerosi, ci siamo accorte
della scelta azzardata ma ormai bisognava provare e fare del
proprio meglio. Il quartetto è una formazione delicata, che
richiede una cura particolare del suono e che d’altra parte
proprio per questa caratteristica permette di personalizzare
molto il carattere complessivo del gruppo. Il programma
portato in concorso è un concentrato dei nostri
approfondimenti musicali, dalla lauda filippina al Novecento,
trovando invece per il popolare un legame con un percorso
già iniziato su Colacicchi. Gli organizzatori del concorso ci
hanno dato un grande sostegno e ci siamo sentite in famiglia,
anche se sul palco ovviamente c’è stata molta agitazione:
rispetto al coro, lo stesso carico di tensione ed emozione va
diviso in quattro!»
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RISULTATI DEL 51º CONCORSO INTERNAZIONALE DI CANTO CORALE SEGHIZZI
Categoria 1a - Rinascimento
1° Paramabira (Indonesia)
2° Coro femminile Eos (Italia)
3° E Stuudio Girl’s choir (Estonia)
4° Vocal Ensemble Rondo (Polonia)
5° AZM Silesian University of Technology (Polonia)
6° Quartetto della Rinascenza (Italia)
Categoria 1c - Ottocento
1° Chor Leoni Men’s choir (Canada)
2° Paramabira (Indonesia)
3° Erkel Ferenc Mixed choir (Ungheria)
4° Vocal Ensemble Rondo (Polonia)
5°La Stele (Italia)
Categoria 1d - Novecento
1° Chor Leoni Men’s choir (Canada)
2° E Stuudio Girl’s choir (Estonia)
3° Erkel Ferenc Mixed choir (Ungheria)
4° Paramabira (Indonesia)
5° AZM Silesian University of Technology (Polonia)
6° Coro femminile Eos (Italia)
Categoria 2a - Musica popolare
1° Coro UNAB - Univ. Autonoma de Bucaramanga
(Colombia)
2° Erkel Ferenc Mixed choir (Ungheria)
3° Vocal Ensemble Rondo (Polonia)
4° E Stuudio Girl’s choir (Estonia)
5° Chor Leoni Men’s choir (Canada)
6° Coro femminile Eos (Italia)
Categoria 2b - Spiritual
1° Chor Leoni Men’s choir (Canada)
2° Coro UNAB - Univ. Autonoma de Bucaramanga
(Colombia)
3° Vocal Ensemble Rondo (Polonia)
4° AZM Silesian University of Technology (Polonia)
5° Vokalna Skupina Octachord (Croazia)
6° Springtime (Italia)
Categoria 2c - Musica leggera, jazz, tradizionale
1° Vokalna Skupina Octachord (Croazia)
2° Vocal Ensemble Rondo (Polonia)
3° Coro femminile Eos (Italia)
4° Chor Leoni Men’s choir (Canada)
5° Springtime (Italia)
Categoria 3
1° Vocal Ensemble Rondo (Regina caeli)
Coro femminile Eos (Salve Regina)
2° AZM Silesian University of Technology
(Regina caeli)
24° GRAND PRIX SEGHIZZI
1° Paramabira (Indonesia)
2°Leoni Men’s Choir (Canada)
3° Erkel Ferenc Mixed Choir (Ungheria)
4° E Stuudio Girls’ choir (Estonia)
5° Coro femminile Eos (Italia)
CRONACA
56
RINASCERE A SESSANT’ANNI
L’ANNIVERSARIO DEL POLIFONICO,
IL PIÙ ANTICO CONCORSO CORALE AL MONDO
di Rossana Paliaga
Al Polifonico di Arezzo si respira un’aria nuova, che dopo anni
di instabilità e ricerca di soluzioni efficaci a mutamenti interni
ed esterni al concorso regala nuovo slancio ai cori. I
protagonisti del più antico concorso corale al mondo, che
sembravano essere diventati quasi comprimari tra le pressioni
di esigenze economiche e politiche necessarie ma
condizionanti, si sono sentiti nuovamente a casa, in tempo
per festeggiare il sessantesimo anniversario di fondazione
dell’importante manifestazione culturale. La crisi si è fatta
sentire sul bilancio dell’organizzazione come anche sul
numero dei partecipanti, ma la Fondazione Guido D’Arezzo ha
saputo integrare le carenze materiali con quanto non ha
prezzo: il rispetto, l’entusiasmo per la musica corale,
l’attenzione per le priorità di coristi e appassionati, inoltre
l’autenticità delle intenzioni che si è immediatamente messa
in sintonia con lo spirito condiviso da chiunque faccia attività
corale amatoriale. I fondi a disposizione sono ridotti, eppure il
festival proprio in questo momento e nel suo anniversario
sembra aver ritrovato la strada della gente, del rapporto
cordiale con il territorio, di uno scambio semplice, sincero tra
persone che condividono la stessa, coinvolgente passione.
Forse è il risultato di un percorso progressivo, più
probabilmente di una felice sinergia che si è creata all’interno
del nuovo organigramma con il musicista Carlo Pedini
confermato nel ruolo di presidente, il compositore Piero
Caraba al suo debutto come direttore artistico, Lorenzo Donati
che continua a portare avanti il progetto collaterale della
Scuola superiore per direttori di coro e un importante
sostegno esterno come quello dell’assessore alla cultura del
comune di Arezzo Pasquale Giuseppe Macrì che da ex
presidente della Fondazione conosce il valore della
manifestazione e mantiene quindi un legame importante con
il mondo della coralità.
Prosegue a questo proposito il rapporto della Fondazione
aretina con Feniarco, un legame che passa attraverso Lorenzo
Donati, direttore del Coro Giovanile Italiano che ha aperto la
settimana del Guidoneum festival con un programma di
musica italiana del Novecento. Donati è poi ritornato sul
podio per dirigere l’evento di apertura del concorso,
l’esecuzione del Requiem di Mozart nella versione con
accompagnamento al pianoforte di Carl Czerny e l’aggiunta di
due voci recitanti che hanno permesso all’ideatore della
serata Piero Caraba di confutare alcuni dei luoghi comuni e
delle leggende più diffuse sulla genesi di questo capolavoro.
Per festeggiare il proprio anniversario, il concorso si è
concesso il privilegio di una giuria importante, formata
esclusivamente da direttori di coro: Javier Busto, Gary Graden,
Bo Holten, Filippo Maria Bressan, Eugeniusz Kus, Marco
Berrini e Maja Cilens̆ek, ai quali si sono aggiunti Gianmartino
Durighello e Luigi Marzola per il concorso nazionale. Sono
stati sei i cori che hanno partecipato alla competizione
internazionale e a riprova del fatto che le loro ottime
esibizioni non abbiano fatto rimpiangere un numero più alto
di concorrenti, ben quattro gruppi hanno ottenuto il punteggio
necessario per partecipare alla finale per il Grand Prix.
La vittoria ha sorriso al coro universitario Tone Toms̆ic̆ di
Ljubljana che fa già parte dell’albo d’oro del Polifonico (con la
vittoria del gpe nel 2002 sotto la direzione di Stojan Kuret) e
che quest’anno è stato portato al successo dal direttore
Sebastjan Vrhovnik. Non è stata una vittoria scontata in
rapporto ai concorrenti e il fattore che ha certamente fatto la
differenza nel giudizio finale è stata la musicalità di questo
coro, il suono smagliante, ma controllato e armonioso che ha
ottenuto il punteggio più alto nella sezione con programma
storico, unito all’energia con la quale i coristi hanno conquistato
il primo premio nel contemporaneo attraverso una scelta
efficace di brani ad alto contenuto adrenalinico. L’annuncio del
vincitore del Grand Prix ha colto di sorpresa Vrhovnik che non
si aspettava la vittoria e a dire il vero è stato spinto dai coristi
a partecipare, ritenendo tuttavia che la loro collaborazione
fosse troppo recente per poter sostenere l’impegno di un
concorso di questo calibro. Fortunatamente per loro l’audacia
ha avuto in questo caso la meglio sulla prudenza e permetterà
al coro sloveno di gareggiare per il Gran Premio Europeo di
canto corale che nel 2013 verrà ospitato proprio da Arezzo.
Nella categoria con programma storico sono saliti sul
secondo gradino del podio gli ambasciatori musicali di
Quezon City, che hanno aggiunto un primo premio nel
programma romantico (pur essendo in questo caso gli unici
partecipanti, ma con un punteggio sufficiente per conquistare
la medaglia). L’University of the Philippines Singing
Ambassadors ha dimostrato solidità vocale nell’intera
estensione, grande carica, concentrazione e lo smalto
sonoro di un coro che è risultato più coinvolgente per
conduzione ritmica e dinamica che per l’espressione,
in esecuzioni condotte da un direttore di polso come
Edgardo Manguiat.
Fabrizio Barchi si è procurato un’estate di lavoro
straordinario grazie a due partecipazioni con cori
diversi ai concorsi internazionali più importanti d’Italia.
Nel caso del coro Musicanova di Roma si è trattato
addirittura di un doppio impegno, perché il coro si è iscritto
sia al concorso nazionale che a quello internazionale,
ottenendo un primo premio ex aequo con la buona resa
stilistica dei brani rinascimentali e un secondo premio nella
graduatoria generale dei cori italiani, risultati che avrebbero
potuto essere anche maggiori se la volontà di precisione e
levigatezza non avesse imposto al coro una sorta di costante
“sordina” espressiva.
Il coro romano ha condiviso l’ex aequo nella categoria con
programma rinascimentale con Los Peques del Leon de Oro,
degno vivaio giovanile del noto coro asturiano. Le ottime
coriste sono giovani ma dimostrano già un grande
temperamento, sono capaci di spaziare tra generi diversi, di
57
realizzare esecuzioni coreografate con una carica a volte
strabordante e coltivando la consapevolezza dell’immagine
necessaria a un coro che si esibisce in concerto (e vuole
lasciare il segno). La direttrice Elena Rosso non è passata
inosservata; la giuria le ha consegnato infatti il premio come
miglior direttore.
Hanno chiuso il cerchio il coro ungherese dal suono
omogeneo ma dall’espressione troppo uniforme Szekszárdi
Madrigálkórus, terzo nella categoria con programma storico,
e il gruppo vocale polacco Proforma Vocal Ensemble che ha
peccato di poca incisività.
Sul gradino più alto del podio del concorso nazionale è salito
invece il Coro da camera di Torino, gruppo di carattere ma
che deve ancora acquistare una maggiore coerenza sonora
interna e per il quale il direttore Dario Tabbia ha scelto un
programma ricercato con brani di Fernandez, Vaughan
Williams, Mezzalira e Dominutti con i quali ha meritato il
premio per il miglior programma. Dopo il già citato secondo
premio del Musicanova di Roma, il terzo premio è andato
all’Insieme corale Ecclesia Nova, coro dalla sonorità ancora da
maturare ma motivato dalle buone idee del direttore Matteo
Valbusa. Molta buona volontà ma qualche carenza vocale e
stilistica hanno fatto seguire in graduatoria la Polifonica
Santa Cecilia di Sassari e infine Il concerto delle Dame
Genovesi.
Tutti i concerti a corollario del concorso hanno celebrato la
musica corale, dal raccoglimento della monodia in un
omaggio al genius loci Guido D’Arezzo, fino ai concerti dei tre
vincitori del riconoscimento onorario del Guidoneum award: i
Philippine Madrigal Singers, ormai di casa e sempre
amatissimi dal pubblico, il coro femminile della televisione
estone diretto da Aarne Saluveer e il coinvolgente coro di
voci bianche Cantemus di Dénes Szabó.
I grandi concorsi sono il momento
in cui godere dell’arte corale nella
sua forma più alta.
La categoria-evento della musica di ispirazione popolare ha
avuto quest’anno un sapore particolare non tanto per lo
spostamento obbligato dal grande prato dell’anfiteatro
romano allo spazio più raccolto di piazza della Badia, quanto
per il bel messaggio che il Polifonico ha voluto dare al suo
pubblico affidando fuori concorso al coro toscano La
Martinella di Firenze il benvenuto musicale con un florilegio
di canti toscani, sardi e alpini. I coristi hanno cantato con il
cuore, trasmettendo al pubblico la sensazione di aver vissuto
un’esperienza quasi esotica alla luce della sempre scarsa
conoscenza e valorizzazione del repertorio popolare italiano.
Anche per questo motivo il Polifonico del sessantesimo
anniversario è stato capace di creare un’atmosfera autentica,
CRONACA
58
Risultati 60º CONCORSO POLIFONICO
INTERNAZIONALE GUIDO D’AREZZO
Gran Premio Città di Arezzo
APZ Tone Toms̆ic̆ University of Ljubljana (Slovenia)
rivolta totalmente ai valori e alle priorità della musica come unica
protagonista, attenta al rapporto con il territorio, rispettosa nei
confronti della storia e al tempo stesso consapevole di una
necessità di cambiamento. Lo conferma il direttore artistico Piero
Caraba che ha già fornito le anticipazioni sulla prossima edizione.
«Nel concorso nazionale del prossimo anno vogliamo introdurre la
categoria di voci bianche che il Polifonico non ha mai avuto e che
in realtà rappresenta un vero e proprio uovo di Colombo più che
una novità. Al suo interno prevediamo un programma ben definito
con un massimo di sei brani dei quali uno solo con
accompagnamento di pianoforte e l’utilizzo di strumenti soltanto
se suonati dagli stessi bambini, almeno un pezzo spazializzato e
uno di autore italiano contemporaneo. Nel concorso internazionale
la categoria di canto monodico si amplierà per comprendere oltre
al cosiddetto canto gregoriano anche la musica antica fino al
1365 con possibilità di impiego di uno strumento non obbligato.
Verrà inoltre introdotta la categoria a voci pari. In tutte le
categorie ci sarà un pezzo d’obbligo che senza dubbio stimolerà
un coinvolgimento diverso del pubblico e della giuria che
potranno confrontare le diverse interpretazioni di uno stesso
brano. Abbiamo intenzione di potenziare l’attenzione sulla musica
contemporanea. Nel concorso di composizione di quest’anno
abbiamo già espresso in maniera molto decisa la necessità di
scrivere musiche eseguibili perché soltanto in questo modo è
possibile garantire la diffusione e la valorizzazione dei brani. Non
ha senso riempire gli scaffali degli archivi di partiture che
nessuno utilizza. Abbiamo fatto quindi una scelta a monte; la
commissione addetta verifica le partiture anche in base a questo
criterio prima di passare al vaglio della commissione giudicatrice.
Per quanto riguarda invece i cambiamenti a livello istituzionale,
occorre segnalare il fatto che la Fondazione ha un nuovo statuto
che prevede la partecipazione dei privati. La grande differenza
rispetto al passato sarà un ampliamento del campo di attività che
si estenderà ad ambiti musicali non necessariamente corali.
Probabilmente ci sarà la necessità di introdurre una doppia
direzione artistica per poter gestire il nuovo indirizzo.
In conclusione vorrei ritornare sul concerto di musica popolare per
parlare del rapporto con la coralità locale: l’associazione regionale
dei cori della Toscana non aveva mai preso parte ufficialmente al
Polifonico in questo sessantennio. L’invito a partecipare è stato
Sezioni 2 e 3
Gruppi vocali e cori
1° APZ Tone Toms̆ic̆ University of Ljubljana
(Slovenia)
2°University of the Philippines Singing
Ambassadors (Filippine)
3° Szekszárdi Madrigálkórus (Ungheria)
4° Coro Musicanova (Italia)
5° ProForma vocal ensemble (Polonia)
Sezione 5
Rassegna per periodi storici
Periodo storico A (ex aequo)
Coro Musicanova (Italia)
Los Peques del León de Oro (Spagna)
Periodo storico B
non assegnato
Periodo storico C
University of the Philippines Singing Ambassadors
(Filippine)
Periodo storico D
APZ Tone Toms̆ic̆ University of Ljubljana (Slovenia)
Sezione 7
Festival di Canto Popolare
1° University of the Philippines Singing
Ambassadors (Filippine)
2°Los Peques del León de Oro (Spagna)
3° Szekszárdi Madrigálkórus
Premio speciale al miglior direttore nelle sezioni
della categoria B
Elena Rosso del coro Los Peques del León de Oro
(Spagna)
Risultati 29º CONCORSO POLIFONICO
NAZIONALE GUIDO D’AREZZO
1°
2°
3°
4°
5°
Coro da camera di Torino
Coro Musicanova (Roma)
Insieme Corale Ecclesia Nova
(Bosco Chiesanuova, Vr)
Polifonica Santa Cecilia (Sassari)
Il Concerto delle Dame Genovesi (Genova)
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quindi un’altra novità a portata di mano. All’associazione, che festeggia il trentennale di attività, è stata
dedicata una giornata intera, inoltre l’apertura del concerto folk.
Non è possibile guardare lontano se non vediamo prima le cose che stanno intorno a noi».
Oltre a guardare intorno a sè, il concorso ha guardato quest’anno anche alla propria storia, inaugurando
nei giorni del concorso una mostra con foto e documenti che ripercorrono sessant’anni di storia a partire
dal primo programma di sala del concorso, datato 1952. La mostra vuole documentare anche l’evoluzione
del gusto e del livello dei cori: nell’Italia del dopoguerra non si richiedeva di essere funambolici, anzi, i
brani d’obbligo erano elementari, ma permettevano di concorrere per un premio cospicuo di ben 150.000
lire. La giuria era presieduta dal leggendario
pianista Arturo Benedetti Michelangeli, al
quale erano state affiancate personalità di
spicco come Luigi Colacicchi, Francesco
Coradini, Celestino Eccher, Guido Pannain,
Achille Schinelli, Bonaventura Somma. In
quei primi anni i cori eseguivano canti
semplici, con predilezione per il popolare,
come ha voluto testimoniare anche un
ospite speciale, il corista Giuseppe Marussi,
che con una lettera in occasione di questo anniversario ha voluto ristabilire un affettuoso contatto con il
concorso al quale ha preso parte nel 1953 con il coro Montasio. Anche a livello istituzionale il Polifonico è
stato in quegli anni oggetto di grande considerazione: le copie di due pagine che citano il Polifonico dal
diario privato di un assiduo del concorso negli anni ’50, l’ex presidente della Repubblica Amintore
Fanfani, sono state esposte per la prima volta per gentile concessione dell’Archivio storico del Senato,
accanto a foto del presidente Segre che consegna i premi ai cori, a testimonianza del rapporto con le più
alte istituzioni che continua a essere rappresentato dalle medaglie consegnate a personaggi che si sono
particolarmente distinti nel campo della cultura e della musica corale in particolare.
Il festival proprio in questo momento
e nel suo anniversario sembra aver
ritrovato la strada della gente.
Medaglia d’onore al presidente Feniarco Sante Fornasier
Il presidente della Federazione nazionale italiana delle associazioni corali regionali
Feniarco e già presidente della European Choral Association - Europa Cantat Sante
Fornasier è stato insignito della medaglia del Presidente della Repubblica che lo
storico concorso corale Polifonico di Arezzo ha la facoltà di consegnare a personalità
del mondo della cultura che si siano particolarmente distinte nella diffusione e
crescita della musica corale. Il direttore friulano a capo della coralità nazionale ha
ricevuto il riconoscimento nella cornice suggestiva della chiesa di San Francesco ad
Arezzo in occasione della cerimonia di apertura della sessantesima edizione del
concorso. Il suo attuale presidente Carlo Pedini ha conferito la medaglia a Fornasier
che ha voluto dedicarla e condividerla con i 2500 cori iscritti alla Federazione che
con un impegno individuale e comune hanno fatto crescere la coralità italiana. La
direzione del Polifonico ha voluto premiare il tenace pragmatismo, la capacità
imprenditoriale e la sensibilità artistica che hanno guidato la coralità nazionale verso
risultati di eccellenza sempre più spesso riconosciuti a livello internazionale (non da
ultimo il grande successo ottenuto con la gestione del più grande festival corale
europeo, portato per la prima volta in Italia, a Torino).
La motivazione della medaglia ha elencato i meriti di Fornasier, che ha «immaginato nuove prospettive e nuovi
campi di presenza e partecipazione della musica corale, stimolando ogni iniziativa su tutto il territorio italiano che
favorisse la diffusione capillare del cantare come momento culturale e aggregativo» e favorendo inoltre «la
produzione di nuova musica corale e di musiche adatte all’alfabetizzazione polifonica dei più giovani».
RUBRICHE
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DISCOGRAFIA&Scaffale
Voci & Tradizione Piemonte
Canti della tradizione orale armonizzati
o elaborati per coro
Contemporaneamente
Corale Zumellese
40º Anniversario dalla fondazione
A cura di Ettore Galvani e Alessandro Ruo Rui
San Vito al Tagliamento, Feniarco, 2012
Raccolta di composizioni inedite,
dedicate alla Corale Zumellese di Mel (Bl)
Attraverso la collana antologica Voci & Tradizione, Feniarco ha voluto dar voce a
quel canto di tradizione orale che costituisce una ricchezza inestimabile per la
cultura italiana. Si tratta di un canto che affonda le proprie radici nella terra e nel
territorio delle proprie regioni e che si caratterizza per peculiarità linguistiche,
stilistiche, formali e musicali.
Ecco quindi le ragioni di una collana dedicata al canto di tradizione orale, un volume
per ogni regione italiana, con un duplice obiettivo: da un lato incentivare la ricerca
e lo studio delle fonti del canto di tradizione e dall’altro stimolare i giovani compositori a reinterpretare, attraverso le peculiarità del linguaggio musicale contemporaneo, questo importante corpus tematico.
L’inaugurazione della collana è avvenuta nel 2008 con il volume dedicato alla regione
Toscana, a cui ha fatto seguito quello dedicato alla regione Friuli Venezia Giulia.
È di quest’anno invece la pubblicazione del terzo volume, dedicato alla regione
Piemonte, terra ricca di musicisti che al canto popolare hanno dedicato grande
attenzione: basti ricordare Costantino Nigra e Leone Sinigaglia. Come per le pubblicazioni precedenti, il volume raccoglie brani armonizzati o elaborati per diverse
formazioni corali e accompagnati da accurate schede etnomusicologiche che riportano la trascrizione della versione melodica originale e illustrano le fonti e i
dati musicologici essenziali (luogo e data di raccolta, informatore, raccoglitore,
trascrittore, eventuale altra pubblicazione ecc.).
La raccolta dei brani di questo terzo volume è preceduta da alcuni importanti
contributi informativi a opera dei curatori: la distribuzione geografica e le varianti
della parlata piemontese, alcune indicazioni sulla grafia piemontèisa, cenni sulle
minoranze linguistiche del Piemonte (Franco-Provenzale, Occitano, Walser), elementi storici sulla ricerca etnomusicale in Piemonte, il rapporto fra la tradizione
musicale piemontese e il compositore Leone Sinigaglia (la cui elaborazione del
brano popolare La pastora e il lupo apre la raccolta). Seguono quindi le schede
etnomusicologiche e le partiture di 27 brani: 14 per coro a voci miste e 7 ciascuno
per i coro di voci femminili e di voci maschili, con organici che si diversificano da
3 a 6 voci.
Ampio anche il panorama dei compositori che hanno armonizzato o elaborato i
brani, alcuni già molto conosciuti nell’ambito della coralità e altri che avranno
modo di farsi apprezzare attraverso questo lavoro: Angelo Bernardelli, Elena Camoletto, Davide Cantino, Giuseppe Cappotto, Giacomo Giorgio Ciffo, Arnaldo De
Colle, Giuseppe Di Bianco, Claudia Favaro, Fausto Fenice, Sandro Filippi, Corrado
Margutti, Alessandro Ruo Rui, Marco Santi, Mauro Zuccante.
Una ricca e articolata bibliografia conclude il volume.
Efisio Blanc
Quando ricorre un significativo anniversario, le compagini corali
usano celebrarlo, tra le altre consuetudini, producendo un segno concreto a testimonianza del percorso artistico svolto. Un
cd, un album storico-fotografico, una pubblicazione di inediti in
repertorio. Iniziative encomiabili che vanno ad arricchire il patrimonio di materiali che supportano l’attività del nostro mondo
corale e ne documentano l’evoluzione.
La Corale Zumellese di Mel (Bl), in occasione del quarantennale
dalla fondazione, ha scelto di mettere insieme una serie di nuove
composizioni corali, commissionandole direttamente a un manipolo di autori, rappresentativi delle ultime generazioni di musicisti che hanno dedicato, nella loro produzione, particolare
attenzione alla musica corale. Ne è uscito Contemporaneamente, un volume che contiene più di 150 pagine di nuove proposte
corali, a firma di Andrea Basevi, Paolo Bon, Javier Busto, Piero
Caraba, Manolo Da Rold, Stefano Da Ros, Raffaele De Giacometti, Fabrizio De Rossi Re, Orlando Dipiazza, Lorenzo Donati,
Gianmartino Durighello, Sandro Filippi, Alessandro Kirschner,
Nicola Manca, Corrado Margutti, Enrico Miaroma, Eros Antonio
Negri, Fabrizio Perone, Battista Pradal e Giorgio Susana.
La pubblicazione si presenta sotto l’aspetto di un’accurata veste
grafica. L’ampia sezione delle partiture è preceduta, come tradizione, dai saluti e dalle attestazioni di stima di persone autorevoli, da un breve contributo poetico di Edoardo Comiotto e dalle
note di presentazione di Manolo Da Rold, curatore della raccolta,
nonché responsabile artistico del coro bellunese. Segue, quindi,
un sobrio ma esauriente profilo iconografico e testuale che illustra e racconta la storia della Corale Zumellese; un’istituzione
musicale di cui la comunità di Mel, a ragione, va fiera.
I compositori incaricati dalla Zumellese hanno contribuito alla
raccolta attraverso opere, le cui fatture denotano, a seconda
dei casi, atteggiamenti di originalità, o di tendenza. Ma per la
maggior parte, esse manifestano efficacia nella stesura. Un
pregio questo, che è l’esito della frequentazione da parte dei
loro autori con la pratica corale, o di una particolare sensibilità
che essi vantano nei confronti di un tipo di scrittura, che richiede
una qual creanza nel trattamento delle parti vocali. Insomma,
si tratta di lavori pensati sulle reali potenzialità e problematiche
tecnico-espressive del coro. Lavori pertanto affidabili, in grado
di garantire agli esecutori – con i dovuti distinguo in merito ai
diversi livelli di difficoltà – un impatto sonoro ed emotivo di
sicuro effetto.
Gran parte delle opere si inquadra nel genere sacro o religioso.
E altro connotato comune a diversi lavori è l’allargamento
dell’organico, rispetto alla più diffusa ripartizione a quattro voci
a cappella. Si trovano infatti brani che prevedono un impianto
vocale fino a 8 voci. Si distinguono dalla tipologia a voci miste
i brani Beata viscera e O Christmas tree, rispettivamente di Stefano Da Ros e di Fabrizio De Rossi Re, destinati alle sole voci
femminili. In particolare il secondo, in virtù di una generale
impostazione di ricerca timbrica, prevede anche l’aggiunta di
alcuni tocchi di wind chimes.
Consapevole di attirarmi accuse di mancato rispetto della par
condicio, vorrei ugualmente spendere qualche parola per segnalare alcuni lavori sui quali si è soffermata la mia attenzione.
Innanzitutto, cito le composizioni di due stimati e indiscussi
“padri” della nostra coralità. Puer et puella di Paolo Bon e Ditirambo III di Orlando Dipiazza. La prima attesta un ulteriore e
convincente passaggio metamorfico di Paolo Bon; senza nascondere la personale preferenza che va agli spumeggianti lavori giovanili, apprezzo infatti l’abilità del musicista veneto
nell’assimilare e tradurre in forma personale i più diversi modelli
di canto corale. La seconda è l’ennesima dimostrazione di padronanza della scrittura vocale da parte di Orlando Dipiazza,
disinvoltamente alla prova, in questa occasione, con un brano
di sapiente impronta madrigalistica. L’Ave Maria di Sandro Filippi, si rivela, invece, per un interessante e coerente connubio
tra il discorso polifonico neofiammingo e l’efficacia delle moderne scelte armoniche. Infine, Gianmartino Durighello, il quale
con il suo esteso Trittico «De jubilatione» occupa diverse pagine
dell’intera pubblicazione. Il valente compositore bellunese si
cimenta in un affresco che sconfina nella drammaturgia; una
sacra rappresentazione, raffigurata attraverso quei tratti inconfondibili che caratterizzano in generale lo stile d’intreccio melodico ed espressivo del suo autore.
Contemporaneamente, stampato presso Grafiche Leone di Dolo
(Ve) per conto delle edizioni Pro-loco Zumellese, è a disposizione rivolgendosi direttamente alla Corale Zumellese.
Mauro Zuccante
RUBRICHE
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in collaborazione con
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Di fronte al mare, vicini alla meravigliosa Venezia e alla suggestiva Trieste,
questa settimana internazionale di canto corale ospiterà 6 atelier,
aperti a cori, direttori, singoli cantori e amanti della musica!
Ogni sera ci saranno dei concerti, introdotti da un open singing, e tutti i
partecipanti sono invitati a unirsi a questa magica atmosfera e vivere la musica.
Alla fine della settimana, ogni atelier si esibirà in un concerto finale.
Cantiamo il futuro
Raccolta di brani di autori italiani per coro
di voci bianche dal Novecento a oggi
Coro Garda Trentino - Riva del Garda (Tn)
dir. Enrico Miaroma
SMAG, 2011
Strumento modernissimo, il coro. È questo che, prima di tutto, ci vuol dire il Coro
di voci bianche Garda Trentino, diretto da Enrico Miaroma, con il suo terzo lavoro
discografico, intitolato Cantiamo il futuro. Uno sguardo fiducioso al futuro della
musica corale, sia per la giovane età dei cantori, all’inizio, così ci piace immaginarli,
di un percorso musicale capace di accompagnarli tutta la vita, sia per il contenuto
del cd, che accanto ad alcuni compositori significativi del Novecento, colloca brani
di autori viventi e destinati a dare ancora molto di sé.
Un percorso che si snoda prevalentemente in terra trentina, a partire da Celestino
Eccher (1892-1970) esponente di quel movimento ceciliano che diede un grande
contributo alla musica corale non solo attraverso la composizione, ma anche grazie
a una vasta opera di formazione e di incentivo alla creazione di cori liturgici. Ma
dell’Eccher, oltre a brani di una messa (significativamente intitolata a Santa Cecilia)
compare anche un ciclo di Sette canzoncine per bambini su testi di Trilussa, una
delle rare escursioni del sacerdote trentino dall’ambito della musica sacra.
È poi un proseguire da maestro ad allievo, a testimoniare una tradizione che è
quasi una scuola: allievo di Eccher è Renato Dionisi, nato in Istria da genitori
trentini, di cui si può ascoltare la Cantata di Primavera, allievo di Dionisi è Sandro
Filippi (Magia). Compare in veste di compositore anche lo stesso direttore Enrico
Miaroma, con un trittico raccolto sotto il titolo di Sonatina e una propria elaborazione del canto natalizio medievale Resonet in laudibus. Trentino d’adozione anche
Riccardo Giavina, di cui compaiono alcune elaborazioni su testi di laudi medievali
(tra cui il Cantico di san Franceco). E trentino è pure Ilario Defrancesco (1970) il
più giovane tra i compositori presenti in questa incisione.
Ci porta invece fuori dal Trentino l’omaggio a due tra i più prolifici compositori
italiani per coro: il romano Piero Caraba, che tra l’altro musica un curioso testo di
Fosco Maraini, Ballo, e il friulano Orlando Dipiazza, presente con un canto popolare
infantile.
Una bella panoramica, quella che ci presentano Entico Miaroma e i suoi ragazzi,
sulla musica italiana per coro di voci bianche. Il coro Garda Trentino si mostra
ancora una volta come una delle realtà di punta della coralità infantile italiana,
capace non solo di valide esecuzioni, ma anche di articolati progetti musicali che
sottolineano il positivo fermento che, in questi anni, attraversa il mondo corale
italiano.
Sandro Bergamo
international
singing week
AlPe
ADriA
CANtAt
2013
•Atelier 1 Musica per cori di voci bianche e corso per direttori
Docente Luigi Leo (IT)
•Atelier 2 Monteverdi e la Scuola Veneziana
Docente Fabio Lombardo (IT)
•Atelier 3 Spiritual e gospel
Docente André J. Thomas (US)
•Atelier 4 Musica romantica
Docente Rainer Held (CH)
•Atelier 5 Vocal Pop / Jazz
Lignano/Italy
Docente Rogier IJmker (NL)
•Atelier 6 World Music
Docente Silvana Noschese (IT)
1»8 settembre
iscrizioni entro il 31 maggio 2013
con il sostegno di
Regione Friuli Venezia Giulia
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Fondazione CRUP
informazioni
Feniarco
Via Altan, 49 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn)
Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - [email protected]
www .fen iar co.i t
RUBRICHE
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LA VITA CANTATA
Rubrica dedicata al canto di ispirazione popolare
a cura di Puccio Pucci
Si è svolto nel marzo scorso ad Arta Terme un interessante convegno sulle tematiche che investono il canto di tradizione orale, con un particolare riferimento al
rapporto che esiste tra il momento della ricerca e la successiva riproposta corale.
Il convegno è stato coordinato dagli amici del Coro Peresson di Piano d’Arta diretto
dal maestro Arnaldo De Colle e ha visto la presenza di cori e gruppi spontanei di
cantori, testimoni della cultura popolare che essi rappresentano. Abbiamo chiesto
all’amico De Colle di esporci i risultati della lodevole iniziativa. Nel corso dei lavori
è stato molto bene sottolineato il grande valore culturale del canto di tradizione
e quale potrà essere l’approccio di cori e di armonizzatori nella riproposta di queste
musiche. Esse infatti dovranno rappresentare alle giovani generazioni la viva testimonianza della tradizione orale, permettendone altresì la sopravvivenza.
Il canto popolare di tradizione orale:
dall’informatore alla proposta corale
Arta Terme - Palazzo Savoia
Gli organizzatori hanno voluto dare all’iniziativa una particolare caratteristica; non
ci sono state relazioni iniziali e interventi scritti. Guidati da un conduttore, ogni
gruppo di canterini aveva un proprio presentatore, non necessariamente praticante
in campo musicologico; un personaggio rappresentativo della comunità di appartenenza, conoscitore e cultore delle usanze e delle tradizioni del proprio paese.
Interventi a braccio, espressi con grande libertà e spontaneità e con descrizioni
convinte e convincenti a giustificare la passione e l’interesse per il canto di tradizione orale, capace di rigenerare nei modi e nelle forme espressive le sensazioni
trasmesse da un filo conduttore sospeso, nei suoi lunghi anni di vita, tra ricerca,
conoscenza e ignavia e mai spezzato. E così, in quelle due serate, nel Palazzo
Savoia di Arta Terme si è stabilito, con lieta sorpresa, un clima di piacevole conversazione tra pubblico, esecutori e organizzatori, tutti ben disposti ad attribuire
agli ideatori dell’iniziativa una speciale nota di merito.
L’effetto si è prodotto nel momento di entrare a pieno nel tema del progetto Il
canto popolare di tradizione orale: dall’informatore alla proposta corale, cioè il
momento della “diretta” tra l’informatore, la persona o il gruppo che conserva
nella memoria il cjant di une volte (il canto di una volta) e l’immediata proposta
corale, presentata al pubblico come una specie di contenitore, ovvero una struttura
armonica e melodica adatta a un organico corale che al suo interno identifica,
valorizza e custodisce la melodia antica.
Le convinzioni del Coro Peresson, che agisce nel concreto e si adopera per renderle palesi, trovano motivazione nel fatto che se c’è chi passa il testimone,
partendo dai ragazzi della scuola, se c’è un valido elaboratore/armonizzatore e
se c’è il coro che canta, il canto popolare di tradizione orale è vivo, non può
morire. E, visto che tutto questo c’è, vanno definitamene cancellate le teorie che
un tempo, da autorevoli cattedre, sentenziavano che «i gruppi corali uccidono il
canto popolare. Che il coro non conserva ma distrugge. Che la devastazione
della cultura popolare è tale che più cori ci sono e meno si conserva» (sentito
de visu e subito con­traddetto).
Il convegno di Arta Terme ha dato degli indirizzi che puntano
sulla convivenza tra “vecchio” e “nuovo”, tra – come si dice in
Friuli – un ch’al tire e un ch’al poche (uno che tira e uno che
spinge).
Sappiamo che l’espressione della parola cantata, appartenente
a qualsiasi etnia o cultura popolare, è unica e irripetibile: la sua
autonomia e la sua specificità vivono solo nel momento del
“parto”. Tuttavia, la sua imitazione, che nel passaggio generazionale è pur soggetta a involontarie modificazioni, ricrea idealmente la fonte dal sapore antico, percepito in chiave moderna,
che per l’uomo d’oggi rappresenta il fondamento di una tradizione destinata a durare nel tempo perché in essa risiede il
germe della saggezza dei padri, fulcro vitale di cultura e di
identità specifiche, in una società che appare evanescente,
sempre più globalizzata e multietnica.
Sul tema del convegno, l’obiettivo primario del Coro Peresson
è stato quello di riuscire a trasmettere, attraverso il pensiero
musicale e il linguaggio della parola cantata, sensazioni vere e
pertinenti il soggetto da rappresentare. Di questi aspetti, i presentatori dei vari gruppi canori si sono resi interpreti sottolineandone ampiamente l’importanza, con le loro diversità e specificità, dando testimonianza di esperienze vissute nel concreto
in contesti di vita sociale, comunitaria.
Relativamente ai criteri da usare per le elaborazioni corali, i
ragionamenti e le discussioni hanno portato a conclusioni dai
risvolti unanimi, dando rilievo al fatto che il corpo vocale a più
voci dispone oggi di specifiche capacità di arricchire e sviluppare la sostanza musicale del canto popolare a una sola voce,
avvicinandosi più di ogni altro genere alla limpidezza vocale e
all’espressività del modello folcloristico. Il canto tradizionale, il
canto antico – è stato detto – non può accendere e spegnersi,
con rassegnazione, nel ricordo di rituali che non esistono più.
Serve una stilizzazione analitica degli elementi fondamentali
del modello popolare, per accrescere la loro suggestività e dare
libero sfogo al sostrato emozionale della canzone.
Con il canto dei ragazzi (scuola primaria e secondaria), dei giovani, degli adulti e degli anziani (anche sopra i 90), nel cielo
della Carnia, su Palazzo Savoia, si è aperto uno squarcio rasserenante senza confini, per rassicurare e dire con riconoscenza
a chi si occupa e spende del proprio per la coralità – le associazioni regionali, Feniarco, Europa Cantat, e persone disponibili
come Pucci, De Colle e tantissimi altri amici – che la gente indaffarata e a volte disorientata ha ancora voglia di cantare.
Arnaldo De Colle
UN’ESPERIENZA DI ARCHIVIAZIONE
DI CANTI POPOLARI
L’archivio del ccs - Centro Culturale Sletutis è ora in rete
L’avventura della “ricerca sul campo” ebbe inizio alla fine degli
anni ’60. Era da tempo che il maestro Giorgio Vacchi, direttore
di coro e già affermato armonizzatore, era dibattuto da un problema che lo stimolava in modo particolare. Vacchi giovanissimo
aveva fondato nel 1947 il Coro Stelutis, gruppo che si dilettava
a far musica sulla scorta dei repertori corali allora noti: i canti
della montagna. Ma da tempo si chiedeva se davvero, come
dicevano valenti esponenti della prima cultura, non esistessero
anche in Emilia-Romagna canti di tradizione popolare dello stesso filone di quelli da cui erano derivate le cante alpine nelle
regioni dell’area settentrionale italiana, composizioni che tanto
seguito avevano trovato nel repertorio dei cori, derivati dalle
esperienze dei cori sosat e sat.
Le visite che il maestro frequentemente faceva in quegli anni
presso quei gruppi corali dell’Appennino e della bassa che stavano aderendo alla appena nata associazione dei cori regionali,
da lui fermamente voluta, spesso finivano all’osteria con un
bicchiere e una canta spontanea.
Ma i contenuti stessi di quelle cante, per quanto a volte simili
a quelli già noti e famosi nei canti alpini, avevano davvero in
Emilia un altro suono e venivano espressi con altra vocalità. Da
queste constatazioni nacque la sua profonda convinzione che i
canti di estrazione popolare, che la gente delle campagne e dei
paesi aveva cantato, forse ora erano ancora presenti, magari
solo nei ricordi lontani di alcuni anziani e quindi esistevano
davvero anche nella nostra Regione.
Occorreva solo provare a ricercarli e nessuno sino allora lo aveva
fatto!
Iniziò così l’avventura della ricerca sul campo e del peregrinare
con il registratore in mano in qualche sagra paesana, presso
casolari o abitazioni di tanti informatori scovati da una rete di
amici per trovare nuove testimonianze sonore.
E fu davvero un successo!
Il maestro Vacchi, conscio della valenza di quanto si andava
riscoprendo, propose che il tema della ricerca fosse inserito tra
le finalità statutarie dell’associazione regionale; per cui fu davvero tutto un fiorire di iniziative, di gruppi che presero coscienza
di questo problema e si attivarono contemporaneamente in
questo lavoro dalla Romagna al piacentino.
Le cassette dei registratori, man mano che la tecnologia offriva
più facili opportunità di ripresa sonora, si andavano riempiendo
di testimonianze vocali che aprivano il campo alla scoperta di
RUBRICHE
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Lino Conti
uno spaccato di cultura popolare che, senza questo lavoro scientificamente portato
avanti sul territorio, sarebbero andate totalmente perdute.
Contemporaneamente a tutto questo lavoro, veniva acquisita una profonda conoscenza del vissuto contadino e popolare, che portava alcuni armonizzatori, tra i
quali lo stesso Vacchi, a rivestire con armonie non banali le più belle melodie ritrovate, per ricreare le stesse atmosfere in cui i canti erano nati a commentare
momenti di vita, tradizioni popolari e religiose o il duro lavoro dei campi.
Queste nuove composizioni iniziarono il loro percorso esecutivo nel repertorio di
tantissimi cori e divennero note e apprezzate da pubblico e giurie dei concorsi. Il
materiale raccolto andò davvero crescendo in modo esponenziale in pochi anni e divenne difficile potersi orientare sulle centinaia di nastri raccolti solo utilizzando tabelle
cartacee, per dare una catalogazione sistematica a tutto quanto veniva riscoperto.
Giorgio Vacchi attorno agli anni ’80 pensò allora di creare un’applicazione a mezzo
computer per l’archiviazione e l’elaborazione dati dei materiali reperiti attinenti al
canto popolare emiliano. Ne disegnò un progetto per utilizzare allo scopo le possibilità che il progresso delle conoscenze informatiche offriva in quel momento.
Fu creato nell’ambito del coro da lui diretto un gruppo di lavoro che si dedicasse
specificamente a questo problema: il ccs – Centro Culturale Stelutis – di cui si
occuparono alcuni coristi e per la parte tecnica Amos Lelli, ingegnere informatico,
e suo fratello, ingegnere meccanico esperto di informatica; ma più che occuparsene
si innamorarono di quanto Vacchi richiedeva e già nel ’90 venne realizzato un primo
modello, principalmente in ambiente Microsoft Access, che fu anche acquisito
dall’Istituto dei Beni Culturali dell’Emilia Romagna.
Ma il lavoro non poteva dirsi concluso perché le ricerche avevano un continuo
incremento di dati, e il maestro Vacchi richiedeva sempre qualche modifica migliorativa al già importante complesso di programmi che il sistema richiedeva; per cui
l’applicazione venne continuamente perfezionata sempre da Amos Lelli, coadiuvato
questa volta da suo figlio Marco.
Nel 2000, con l’inaugurazione della nuova sede del coro, un vecchio fienile con
stalla (in dialetto Tîż) perfettamente ristrutturato ad ampia sala musica e varie
zone servizi, fu presentato in un convegno e a mezzo di una pubblicazione il
progetto definitivo: Un’esperienza di archiviazione di canti popolari, che ebbe vasta
risonanza tra gli addetti ai lavori. Accedendo a questo materiale furono realizzate
e discusse tre tesi di laurea al dams (Discipline delle Arti, della Musica e dello
Spettacolo) dell’Università di Bologna.
Nel 2012, con l’evoluzione dei sistemi informatici, l’applicazione ccs 2000 non era
più facilmente fruibile e il lavoro di archiviazione rischiava di non potere essere
più utilizzato. Fu lo stesso Amos Lelli che si fece parte dirigente per la ricerca di
un’azienda specializzata che operasse gli adeguamenti, indispensabili a salvare
trenta anni di lavoro informatico. Anche con l’intento di offrire a studiosi e ricercatori, oltre che a musicisti e direttori di coro, la possibilità di accedere a questo
archivio, direttamente attraverso la rete.
È stata così individuata la ditta idem di Granarolo Emilia (Bo), che ha curato le
variazioni di progetto e di codifica che hanno consentito di mettere in rete l’applicazione stessa con alcune implementazioni importanti, come la possibilità di ascoltare i canti dalla voce degli informatori e di vedere i testi dei canti trascritti negli
anni ’80 e ’90.
Ora, finalmente, tutti potranno accedere al sito web del Coro
Stelutis e consultare gli oltre 4000 canti dell’archivio, per la
maggior parte dei quali sono disponibili, oltre ai dati anagrafici,
lo spartito della melodia e l’ascolto della voce dell’informatore.
È anche possibile vedere e scaricare i testi dei canti ed eseguire
ricerche sulle parole-chiave e sulle melodie.
Per rendere più facile l’accesso è stato anche predisposto un
piccolo manuale operativo che si rivolge a coloro che hanno
desiderio di consultare l’archivio dei canti popolari raccolti dal
ccs. Questo manuale, in formato pdf, può essere richiesto a:
[email protected]
Per registrarsi nel sito web, occorre entrare in:
http://www.corostelutis.org e compilare la parte sinistra (fornire
una e-mail e una password). Rispondere sì per memorizzare la
password. In poco tempo si riceverà un’e-mail con un link da
visitare per essere abilitati alla consultazione dell’archivio del
ccs (Centro Culturale Stelutis).
Una particolare attenzione per i graditi navigatori: non usare il
browser Explorer (ha dei problemi per la sezione musicale). Altri
browser sono, ad esempio, Google Chrome oppure Mozilla Firefox.
Puccio Pucci, presidente del Coro Stelutis
Amos Lelli, tecnico e coordinatore del progetto
Ricordo di Lino Conti
Lo scorso febbraio gli amici del Coro Sette Laghi annunciavano
con immensa tristezza l’immatura scomparsa del loro maestro,
che aveva fondato e diretto il coro dal 1965. Gli anni Settanta
furono infatti per la coralità italiana anni di vivo fermento; il
movimento corale cresceva e stava maturando idee per nuovi
repertori e per nuove forme associative, che permettessero
l’affermarsi dei valori culturali che il “far coro” stava assumendo
e meritava. Si susseguivano le iniziative di convegni, fondamentale quello di Cortina 1970, dove anche Lino fu tra i protagonisti. La crescita musicale dei complessi in attività era evidenziata di anno in anno dai successi che cori, come appunto
il Sette Laghi, andavano mietendo nei numerosi concorsi che
si svolgevano in Italia. Lo ricordo, Lino, a casa mia a ricavare
accordi dalla mia chitarra, dopo un incontro a Bologna al quale
parteciparono oltre al Lino, Giorgio Vacchi, Gianni Malatesta e
Giancarlo Bregani e durante il quale si parlò a lungo di armonizzazioni e di un futuro corale che oggi è realtà. I suoi ragazzi
lo hanno ricordato così: «Protagonisti non vuole dire avere la
genialità o la spiritualità di alcuni, ma avere il proprio volto,
che è, in tutta la storia e l’eternità, unico e irripetibile».
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Ecco un ritratto della sua figura di uomo e di musicista inviatoci
dal fratello Gabriele:
«Per poter tracciare in poche righe un significativo ricordo di
mio fratello Lino sono costretto a scegliere tra un’infinità di
ricordi e di sensazioni. Ci provo, partendo da due parole che mi
sembrano importanti: originalità e musicalità.
Nel 1965, quando Lino assume la direzione del coro Sette Laghi,
di cui era stato uno dei fondatori due anni prima, la coralità
popolare dà di sé un’immagine ancora molto “rustica”, nell’abbigliamento, nel modo di porsi e anche nel modo di cantare che,
nella migliore delle ipotesi, tende a una imitazione dello stile sat.
Non credo che Lino avesse pianificato chissà quale rivoluzione
del mondo corale, semplicemente la sua naturale, ricchissima
musicalità, nutrita da buoni studi musicali con lo zio Paolo Conti,
e la sua istintiva originalità, intesa come propensione alla ricerca
e a un costante miglioramento, lo portano a plasmare il coro in
modo veramente personale, perseguendo l’obiettivo di un suono morbido e caldo, di un’intonazione curata e di un’interpretazione sincera e appassionata ma mai fuori misura. Anche le
scelte di repertorio sono sempre guidate da attente valutazioni
musicali, considerate ben più importanti rispetto al potenziale
successo di pubblico che altri brani, più popolari e famosi,
avrebbero garantito.
In pochi anni questo lavoro porta il Sette Laghi a ottenere numerose vittorie in alcuni dei più importanti concorsi nazionali
di canto popolare e questi successi costituiscono per Lino, non
particolarmente sensibile ai complimenti e del tutto allergico
all’adulazione, uno stimolo sempre nuovo.
La consapevolezza delle sue lacune nella preparazione musicale
lo porta, con umiltà e con tenacia, a coltivare l’amicizia di musicisti, fra tutti Angelo Mazza e Giacomo Mezzalira – suo successore alla direzione del coro – con i quali confrontarsi e dai
quali imparare.
Ma mi accorgo di avere scordato un’altra parola chiave per descrivere Lino: passione. Passione significa adesione piena, anima e corpo, senza misura. Una passione grandissima per la
musica, che lo accompagna per tutta la vita fin sul letto di
morte, una passione infinita per la sua famiglia e, ancora, gli
amici, la montagna, il buon vino…
Penso che la capacità di amare la vita, cioè di essere veramente
appassionati a essa, sia un dono che Lino ha ricevuto in abbondanza e che è rimasto ben visibile anche durante due lunghi
anni di malattia, vissuti con fede sincera e solida, con una consapevolezza e una serenità che ancor oggi ci riempiono di meraviglia e di gratitudine».
Gabriele Conti
RUBRICHE
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MONDOCORO
a cura di Giorgio Morandi
Il nostro canto…
Come un bosco,
di castagni e robinie,
in un autunno accennato
di fine settembre,
in cui l’anima si mescola
con il profumo di terra e foglie,
intrecciata coi raggi come lame,
di un sole da Occidente,
così il nostro Canto
permette che dentro il suono
si uniscano le note
di Amicizia e Semplicità,
Comprensione e Pazienza,
Partecipazione e Solidarietà.
È un amico fedele che
aiuta a vivere meglio.
«Si dice che il mattino abbia l’oro in bocca» è un verso di una canzone di The Zen
Circus, e può anche far pensare al film deel 2008 di Francesco Patierno. Però il
mio richiamo mentale diretto va ai due antichi proverbi popolari: «il mattino ha
l’oro in bocca» e «il buon giorno si vede dal mattino». Infatti il presente numero
di Mondocoro arriverà a tutti voi con Choraliter proprio all’inizio dell’anno, un
“mattino” che Mondocoro vuole per voi ricco di salute che permetta attività – tutte,
ma in particolare quelle corali – di alta qualità e di infinita gioia per tutti i suoi
protagonisti. Ecco allora che “Buon Anno” detto da Mondocoro significa esattamente “buona giornata corale 2013” per tutti, magari costellata da particolari
pensieri e attività legate alle scadenze di numerosi anniversari musicali (di cui si
accenna nel contesto che segue). Buon anno a voi, buon anno al canto, «l’amico
fedele che aiuta a vivere meglio», come ci suggerisce padre David Maria Turoldo
nella poesia sopra citata.
Musica - Mozart
Nessuno dei nostri 24 lettori sente la necessità di spiegazione di un simile binomio.
Per tutti è la definizione per antonomasia e bifronte: musica è Mozart; Mozart è
musica. Di questo non c’è dubbio, ma cosa passi nella mente dei titolisti dei giornali
non è sempre chiaro: io lo voglio essere e allora chiarisco che…
Musica in questo caso è la denominazione del database mondiale di musica corale
che al momento raccoglie la presentazione di più di 164.200 partiture corali di
tutto il mondo, 29.400 biografie di compositori, 2.200 schede di editori di musica
corale, oltre 9.000 link a video accuratamente selezionati per qualità, il tutto arricchito da testi originali e traduzioni, dizione da parte di parlante lingua madre,
esecuzione di molti dei brani ed esemplificazione delle partiture. Davvero quando
si vuole fare una ricerca di repertorio o semplicemente “sbirciare” canti nuovi,
Musica merita sempre di più di
essere il “tuo” strumento preferito di ricerca. Tra l’altro possiamo
segnalare in positivo anche che il
sito www.musicanet.org/en è
stato recentemente ridisegnato
per offrire una migliore accessibilità alle innumerevoli opzioni che
il database Musica offre.
Mozart, invece, sta proprio per il
nostro Joannes Chrysostomus
Wolfgangus Theophilus (Amadeus, Gotlieb) Mozart (Salisburgo,
27 gennaio 1756 - Vienna, 5 dicembre 1791) o, come talvolta lui
stesso si firmava, Wolfangus Amadeus Mozartus. Qui in questo
scritto il grande compositore sta abbinato a Musica perché dalla
newsletter di Musica International colgo – per trasmettervela
immediatamente – la novità che segue.
Sappiamo che la malattia e la morte di Mozart sono stati e
sono tuttora un difficile argomento di studio, oscurato da leggende romantiche e farcito di teorie contrastanti, e anche
l’effettiva causa del decesso di Mozart è – o è stata fino alla
presente notizia – materia di congettura. Ora c’è una nuova
tesi molto convincente di Michèle Lhopiteau-Dorfeuille, appassionata mozartiana che ha voluto veder chiaro e saperne
di più sul compositore considerato il pilastro della musica
classica e l’ispiratore di molti musicisti a lui posteriori. La
signora Michèle L.-D. è musicologa, direttore di coro e di orchestra e ha interpretato e diretto molte volte le opere di
Mozart. Passando per un gran numero di documenti e studiando a fondo quelli più inediti che si trovano a Salisburgo,
in particolare la corrispondenza tra Mozart e chi gli fu più
vicino, è risalita alle origini della questione.
Due anni di ricerche le hanno permesso di gettare uno sguardo
nuovo sulla troppo breve vita del compositore e di fare qualche
rivelazione importante nel libro con cd che ha appena pubblicato
nelle Editions Le Bord de l’Eau (Wolfgang Amadeo Mozart, rêver
avec les sons). Sicuramente non è la notizia minore quella che
riguarda la morte di Mozart. Secondo le sue deduzioni il salisburghese sarebbe rimasto vittima dell’abuso di un ricostituente molto diffuso a quell’epoca, il liquore di Van Swieten la cui
principale componente era il cloruro di mercurio. L’autore del
Flauto Magico negli ultimi giorni di sua vita ha manifestato –
come dimostrano testimonianze dell’epoca – tutti i segni clinici
di un avvelenamento da mercurio. In quei giorni lui stesso diceva
di essere vittima di un avvelenamento, anche se non avrebbe
mai pensato di accusare la sinistra pozione che ha privato l’umanità di chissà quante altre opere immortali…
Cambiamenti nel mondo
della comunicazione
Lo tsunami della
tecnologia negli ultimi quindici anni ha
cambiato totalmente il modo di comunicare in generale,
ma in particolare
quello delle associazioni corali, a
qualsiasi livello. La
tecnologia è cambiata alla velocità della luce e con essa i suoi strumenti.
Nel mondo della comunicazione tredici anni (la vita di Choraliter!) sono una vita intera. Nella comunicazione si operava su
base scritta, lettere, lettere circolari, brochure, comunicati, moduli di iscrizione, e si è passati a una comunicazione prevalentemente online, con un sistema basato sulle pagine dei siti
internet.
Tutti gli strumenti della comunicazione sono cambiati, con una
sola notevolissima eccezione, la scrittura. Anzi, il bello scrivere
è addirittura diventato molto importante perché ora c’è la necessita di un maggior numero di stili diversi. Una relazione su
una ricerca o un articolo richiedono stile e sensibilità diverse
rispetto al tweetting, al blogging, alle newsletter, al web posting
o al marketing blurb.
Cori e cantori come sono coinvolti nella comunicazione?
Cori, cantori e associazioni corali comunicano regolarmente con
le proprie componenti, siano esse i singoli cantori, i consigli
direttivi, il pubblico, i fondatori, i media o la comunità in generale. E usano gli ultimi ritrovati della tecnologia, li usano per
far giungere i propri messaggi velocemente, col minor dispendio
di risorse e al costo minore. Così facendo essi costruiscono
gruppi di supporto e diffondono e difendono più efficacemente
la propria immagine. Anche i cori oggi si trovano a dover creare
“contenuti” in modi che nel passato non erano nemmeno immaginabili. Ancora pochi anni fa un concerto era un prodotto
proprio, solo del coro coinvolto o dell’organizzatore. Ora attorno
a un concerto si creano communities in Facebook, si tweettano
notizie sui compositori, si blogga di musica, si postano video
clips su YouTube, si invita il pubblico a interagire e contattare
gli esecutori… Chissà cos’altro succederà in futuro? Sto pensando, per esempio, se i cori più saggi non potrebbero un giorno
guadagnare visibilità anche tramite i siti corali regionali e le
associazioni regionali attraverso il sito nazionale e questo at-
RUBRICHE
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traverso “portali” più generici. E io utente che navigo per la costruzione della mia
vacanza eccezionale mentre scopro la città di Pécs in Ungheria mi imbatto nel XIX
Festival Europa Cantat a cui partecipano 98 cori italiani! Toh!
E così l’immagine di questi cori non sarebbe visibile ancor più di oggi e a un livello
molto diffuso che va ben oltre lo spazio corale coperto dall’associazionismo? Qualcosa in questa direzione forse ha avuto inizio con Italiacori.it ma… davvero è il
caso di continuare il ragionamento.
Liberamente ispirato e tratto dall’editoriale del presidente di Chorus America, The
Voice n. 1, autunno 2012
Il mattino ha l’oro in bocca
Credo che tanti di noi abbiano un modo personale di iniziare la propria giornata,
intendo una specie di rito che si svolge prima di iniziare le attività principali. Io,
per esempio, un cantore qualsiasi, spalanco la finestra del bagno di casa e, con
qualunque tempo, ammiro (ho la fortuna di averlo di fronte) luci, colori, sfumature,
nebbie e nubi del bel «Resegone dai molti suoi cocuzzoli in fila» (A. Manzoni) e
del cielo soprastante. Beethoven, invece, era solito fare una passeggiata mattutina
durante la quale, ovunque si trovasse, su un vecchio notes scribacchiava le note
di qualsiasi idea musicale che gli entrasse in mente in quel momento. E Stravinsky?
Come entrava nel suo studio si sedeva al pianoforte e suonava una fuga di Bach.
Uscire alle 5.30 ogni mattina per far ginnastica è invece il rito quotidiano di Twyla
Tharp, danzatrice e coreografa statunitense (classe 1941) di fama mondiale, che
di sé dice: «Sono diventata la più grande coreografa del mio tempo; era il mio
compito ed è ciò che ho cercato di fare».
Dai nostri 24 lettori – cantori, direttori, compositori… – sono gradite segnalazioni
interessanti circa i loro riti mattutini.
Un punto fisso che ci incanta!
La voce umana che canta nell’era del Tweetter
Benché l’impetuoso fiume del tempo ci abbia ingolfato con infiniti cambiamenti,
la bellezza e la purezza della voce umana rimane una costante.
Nell’età del tweetting qual è il destino della voce che canta, in particolare per
quanto riguarda la sua applicazione al canto corale in tutte le sue forme? Si può
essere ottimisti? Sì, si può!
I cambiamenti ci sono. Il fiume del tempo scorre inesorabilmente e ci trasporta
nella sua corrente, incurante dei nostri affari personali. Internet e i media sociali
hanno trasformato profondamente la nostra vita e le nostre professioni. Mandare
un tweet è come passarsi il sale a tavola. Per molti ormai questi strumenti sono
indispensabili, o comunque utili. Lo sono certamente anche per la coralità. È per
mezzo loro che le notizie sul canto corale girano il mondo in breve tempo, e così
ci teniamo Facebook, Tumblr, YouTube, e LinkedIn fino a che questi saranno spazzati via da una nuova generazione di strumenti, proprio come accadde agli lp nel
XX secolo, o alla ibm Selectric o, più recentemente, al floppy disk.
Ci sono, comunque, alcuni
piaceri umani che non sono
cambiati molto: la voce per il
canto, per esempio, che quale miglior strumento musicale sappiamo antico quanto la
vita stessa. Come ha ipotizzato Daniel Levitin, forse abbiamo avuto la musica e il
canto prima delle stesse parole che li identificano. La
voce è lo strumento musicale
più puro, più bello, più vario,
più naturale. Questa non è
cambiata!
Che cosa, allora è cambiato? La moda, i gusti, le tendenze… dal
canto piano dei tempi di Hildegarda alla polifonia del Rinascimento, dal “niente donne” del Medioevo al “donne ovunque”
di oggi, dal coro di uomini e ragazzi alle voci miste di bambini,
dai cori di 12-36 cantori di Bach alle 400 voci per il festival di
Händel al Cristal Palace di Londra del 2000, alle migliaia di voci
in piazza San Carlo a Torino per il Festival Europa Cantat 2012,
dalle prime incisioni su dischi in polivinile ai video filmati Rai
del festival appena citato…
Il XX secolo ha visto un cambiamento anche nell’uso della voce,
dallo Sprechgesang – mezzo cantato e mezzo parlato di Schoenberg e altri – al sussurro, alla recitazione corale, al Humming,
al glissando, all’urlato… ma è sempre la stessa voce, la stessa
muscolatura vocale. In Canada è stato recuperato il throat singing della tradizione Inuit in una reinvenzione delle Quattro
Stagioni di Vivaldi. Insomma, è sempre la voce umana nel canto,
sia che si tratti di Morten Lauridsen o di Charles Wuorinen.
Una cosa cambiata, invece, è certamente attinente ai castrati:
non si castrano più ragazzi pre-adolescenti (un alto prezzo pagato per tener fuori le donne!).
Altro cambiamento: la tv ha scoperto il canto corale, certo, all’estero più che in Italia, nonostante il filmato Rai per il festival
Europa Cantat 2012. Forse tutto ebbe inizio dal film francese
Les Coristes nel 2004; oggi abbiamo, invece, Glee negli usa per
gli show choirs, The Choirs alla bbc, Choirs of hard knocks in
Australia e poi Clash of the choirs alla nbc e Choir! Choir! Choir!
a Toronto. Finalmente il nostro segreto, la nostra gioia sono
stati scoperti e vengono ora celebrati per strada (ben presto
speriamo anche in Italia!).
Ma cosa dà il cantare in coro ai nostri cantori? Andiamo a prova
di coro – diciamo al mercoledì sera – dopo una brutta giornata
di lavoro, con svariati problemi di casa/famiglia, stressati oltre-
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misura dai ritmi vitali moderni, e l’ultima cosa che vorremmo
è… andare a prova. Ma non ci vuole molto, dopo il riscaldamento
voce, appena si entra nel repertorio, tutto quello stress e quelle
preoccupazioni di vita cominciano a svanire. Appena cominci a
cantare, ad alzare la voce nel canto, senti le spalle che si alleggeriscono, sono libere da pesi. Cantare è terapia, la meno costosa e la più affidabile.
Si sono sempre citati i Greci per i quali la musica guarisce i
malanni e provoca benefici mentali e fisici. Ma oggi è provato
scientificamente. Studi tedeschi e australiani su cantori di cori
amatoriali hanno dimostrato che il canto porta effetti benefici
in campo emotivo, fa aumentare la immunoglobulina a (che significa incremento dell’immunità verso le malattie) e diminuisce
gli stati negativi. Quindi il canto fa bene alla chimica del corpo
tanto quanto alla mente e all’umore, insomma fa bene al corpo
e allo spirito.
Ecco ancora qualcosa che non è cambiato. La ricerca di fondi
per le attività è ancor oggi una dura sfida, anche per cori famosi.
Bisogna lavorare un sacco per vendere biglietti, per farsi notare
nel frastuono dell’affollatissimo mercato, per convincere i cantori a un lavoro serio durante le prove, per mandare in pensione
cantori fedelissimi e reclutarne di nuovi. In questo nulla è
cambiato.
Ma ancora più importante, non è cambiata la mission. Presi in
considerazione cori professionali grandi e piccoli, cori amatoriali,
cori di bambini, cori di chiesa e cori speciali, ci sono temi comuni
nelle motivazioni del far coro; si continua a presentare un repertorio tradizionale, ma si vorrebbe ampliarlo per comprendere
altre diverse esperienze culturali, si vuole servire un pubblico
il più vasto possibile, si vuole educare, insegnare, incidere, trasmettere e commissionare musica nuova, ma più di tutto spesso
si vuole celebrare la voce e il suo potere di ispirare e arricchire
la nostra vita, di guarire anima e corpo, di fornirci bagliori di
bellezza, di eccellenza, di grazia e di bontà.
Questo è ciò che si fa ogni volta che i nostri cantori aprono
bocca per cantare. Questo è ciò che profondamente non è cambiato. È ciò che rende angeli della cultura i cori, i cantori, i direttori, gli amministratori, coloro che si occupano di raccogliere
fondi e di fare mercato.
In tutta questa situazione la voce umana che canta è, per citare
Elliot, il punto fisso in un mondo che cambia, un punto fisso
che ci incanta e che ci porta a fermarci un momento per cogliere
un bagliore di paradiso.
Liberamente tratto da The Voice n. 1, autunno 2012, Chorus
America, articolo di Eric Friesen
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Un concerto è una cattedrale
Misterioso? Come in tutte le grandi cattedrali, qualcosa di misterioso c’è sicuramente, ma ecco la citazione completa che mi ha colpito e che volevo condividere:
«Le note, il ritmo e il testo sono solo le fondamenta; il concerto è una
cat­tedrale».
Si è già accesa qualche luce, vero? A dire questo è Matthew D. Oltman che entrando
nella discussione Cosa si può dire della memorizzazione dei canti rispetto all’uso
della partitura ricorda quanto gli disse una volta un uomo saggio: «Solo i migliori
cantanti del mondo possono cantare con lo spartito in mano» (e si riferiva sia a
cantanti solisti che a coristi).
La ragione è che se questi “migliori cantanti” usano la musica, è solo come riferimento, come risorsa che viene utilizzata a colpo d’occhio, per avere rapidi richiami,
per ricordarsi della tecnica
vocale accuratamente studiata, dell’interpretazione musicale, delle considerazioni fatte in merito alla dizione, al
corpo e alla postura del viso,
e per ricordarsi del testo che
però è già stato interiorizzato.
Non ha certo lo scopo di “leggere” le note, i segni di articolazione o le parole.
Dice Oltman che quindi bisogna affrontare la questione
non – come ha fatto qualcuno
– con riferimento alla lunghezza e alla semplicità del brano (che per la verità potrebbe essere più esigente per esempio in fatto di interpretazione) ma piuttosto
come un problema di tecnica.
I cantori usano gli spartiti per “leggere” la musica? Sono abbastanza esperti da
dare occhiate saltuarie e recepire immediatamente veloci suggerimenti circa i molti
sovrapposti elementi musicali che sono stati sviscerati durante le prove (ma che
non hanno nulla a che vedere con le note, il ritmo e le parole)?
Ecco un esempio di come guardare al problema: immaginiamo di andare a vedere
Shakespeare presentato da una compagnia teatrale di medio livello dove gli attori
agiscono tenendo in mano il copione e leggendo spesso da esso per la sola ragione
che il pezzo è molto lungo o difficile da memorizzare. Non credo che qualcuno di
noi ascolterebbe a lungo in una simile situazione. Però se un grande attore shakespeariano stesse recitando un monologo tenendo il testo in mano, probabilmente
ci piacerebbe perché è ovvio che egli non sta soltanto leggendo le parole, ma usa
la pagina come semplice riferimento che gli permette di focalizzare la sua energia
sulla profondità della comprensione e attraverso quell’interpretazione del testo
che l’intenso allenamento e l’esperienza gli ha dato.
«Penso – dice Oltman – che sfidare i cantori del coro in questo modo sia più interessante. Fa capire loro che con la loro arte possono andare molto più in profondità, che le note, i ritmi e le parole sono le fondamenta, ma uno spettacolo è
una cattedrale».
Spunto preso dal Forum ChoralNet; un intervento sulla provocazione “Partiture sì
o partiture no in mano ai coristi?”
Corale armonia
Forse il più bel commento sul Festival Europa Cantat XVIII Torino
2012. Nessun commento, ma gratitudine all’autrice che cito testualmente (e al giornale su cui l’ho letto):
«Seguo in televisione Europa Cantat, un festival dedicato ai cori
europei. Ogni tre anni si svolge in un Paese diverso e quest’anno
per la prima volta in Italia, a Torino. Ci sono cori (un’enormità,
una folla) di ogni grandezza e genere, di montagna e di chiesa,
di musica classica e contemporanea, di professionisti e di
appassionati. Ascolto, guardo i visi dei coristi, la loro serietà e
contentezza di cantare insieme, e constato quanto i cori, di tradizione antichissima, siano vivi. Essere “fuori del coro” nei nostri anni è un merito, un vanto: si esaltano le singole voci libere,
stridenti in modo consapevole e fiero. Allora, al di là della piacevolezza musicale, mi chiedo che cosa mi affascini in quei cori,
se ci sia qualcosa da imparare in quella coralità lontana da
dogmi e convenienze. Un aspetto mi colpisce, probabilmente
scontato, ma è quello che diamo per scontato ad avere bisogno
di maggiore considerazione: come si possa, in uno stesso coro,
essere diversi, per età, caratteristiche fisiche, provenienza e,
immagino, convinzioni, e nello stesso tempo cantare in comune,
estraendo ciascuno dalle proprie differenze un’armonia. L’Inno
alla gioia di Beethoven, che l’Europa ha scelto per rappresentarla e che esprime la visione idealistica di Schiller di una fratellanza fra gli uomini, è un coro. È il caso di ricordarlo?»
Laura Bosio, Sguardi, in Avvenire, del 19 ottobre 2012
Chanticleer cd
Chanticleer takes you out of this world è un cd con cui il famoso
gruppo americano Chanticleer accompagna l’ascoltatore in un
viaggio musicale attraverso stili e generi diversi. Davvero… ti
porta fuori dal mondo. L’ensemble canta con squisita bellezza
tonale e insieme impeccabile in questo disco che raccoglie brani
live e registrazioni fatte in studio. Il sole, la luna, le stelle, i
pianeti e l’universo intero con la loro forza seducente hanno
sempre affascinato i compositori. Questo è il tema della nuova
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selezione musicale che si introduce con Assumpta es Maria in
coelum di Palestrina per passare a Ave Regina coelorum di
Giovanni Gabrieli e quindi ai due brani Sfogava con le stelle ed
Ecco mormorar l’onde di Monteverdi. L’Inno di S. Cecilia di Britten, in insolita versione per voci maschili, riceve nuova vita da
Chanticleer che sa aderire a tutte le richieste musicali del compositore. Nel semplice e diretto Past life melodies dell’australiana Sarah Hopkins il gruppo usa tecniche di canto non occidentali per raggiungere, in modo unico, l’animo dell’ascoltatore,
lasciando percepire in tutto il pezzo accenni di canto aborigeno.
Altri brani sono di Schumann (An die Sterne), Britten, Mechem,
Gershwin e altri. Gli ultimi quattro pezzi del cd comprendono
brani di Gustav Mahler (Ich bin der Welt), Mason Bates e Vince
Peterson. Tra questi il pezzo che colpisce di più è Magellanic
Cloud scritto appositamente per Chanticleer. In esso Mason
Bates cattura una futuristica visione di mondi che passano in
allineamento celeste. Il brano è eseguito da due cori talvolta
contrastanti e talvolta intrecciati.
Ancora una volta con questo cd Chanticleer dimostra incredibile
accuratezza e attenzione ai dettagli più minuti ed è capace di
creare esecuzioni musicalmente espressive che non sono seconde a nessuno. La tecnica vocale di ciascuno dei cantori del
gruppo è così solida che l’ascoltatore tende a dimenticarsi della
tecnica rimanendo semplicemente trasformato dalla bellezza
della musica.
Anniversari musicali nel 2013
Benjamin Britten (1913-1976)
Nella musica inglese è stato una forza unica; tra i contemporanei
uno dei più grandi e raffinati compositori di musica per coro.
Nessun altro compositore ha mai scritto una così grande varietà
di musica di tutti i generi, per tutte le
età e abilità. Benché abbia composto
vigorosamente fin da ragazzo, si è presto reso conto della necessità di una
solida guida e nel 1928 si rivolse a
Frank Bridge, mentre due anni dopo
frequentò il Royal college of Music di
Londra studiando con Arthur Benjamin,
Harold Samuel e John Ireland.
Nell’anno del centenario della sua nascita qualsiasi coro (di ogni età e di
ogni genere) può partecipare in tanti modi alle celebrazioni, in
particolare un modo semplice è quello di aderire al festival corale virtuale su YouTube utilizzando il seguente link: www.halleonard.com/Britten/youtubeEntryForm.jsp
Unica condizione vincolante: la produzione musicale deve essere tassativamente un brano corale di Benjamin Britten. Nella
stessa pagina www.halleonard.com/Britten è disponibile una
catalogazione per grado di difficoltà di tutte le opere corali di
Britten.
RUBRICHE
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Giuseppe Verdi (1813-1901)
Nel 2013 ricorre il bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi, interprete di grandi
valori dell’umanità, musicista di inestimabile talento e innovatore del linguaggio
musicale a lui contemporaneo; l’evento rappresenta un’importante occasione per
celebrare la biografia umana, politica e culturale di uno dei maggiori esponenti
della storia della musica e del melodramma. Le iniziative
proposte, pervenute dagli enti e dalle istituzioni coinvolte,
si caratterizzano per una notevole varietà sia in termini
contenutistici che qualitativi, mostrando una particolare
attenzione alla valorizzazione e conservazione dei luoghi
verdiani, sia in una prospettiva di riqualificazione strutturale sia di promozione turistica, all’organizzazione di studi
o convegni, alla pubblicazione di edizioni relative alla vita
e all’opera di Verdi e alla programmazione prettamente
operistico-musicologica. Tipologie delle attività proposte:
1) interventi di natura strutturale su edifici, immobili e
pertinenze, caratterizzanti la vita di Verdi nel territorio; 2)
attività di promozione che ripropongano immagini, lasciti e memorie biografiche
del Maestro; 3) rappresentazione delle opere liriche, anche al di fuori del Festival
Verdi; 4) iniziative collaterali al bicentenario di promozione turistica, anche enogastronomica, dei luoghi legati al Maestro. I dettagli del programma sono verificabili
in www.comune.parma.it
Wilhelm Richard Wagner (1813-1883)
È stato compositore, librettista, direttore d’orchestra e
saggista tedesco. Riconosciuto come uno dei più importanti musicisti di ogni epoca, nonché del romanticismo,
Wagner è principalmente noto per la riforma del teatro
musicale. Diversamente dalla maggioranza degli altri compositori di opera lirica Wagner scrisse sempre da sé libretto e sceneggiatura dei propri lavori. Le sue composizioni, in particolare quelle del suo ultimo periodo, sono
rilevanti per la loro tessitura contrappuntistica, il ricco
cromatismo, le armonie, l’orchestrazione e per l’uso della
tecnica del Leitmotiv, temi musicali associati a persone,
luoghi o sentimenti. Wagner inoltre fu il principale precursore del linguaggio musicale moderno. Appassionato anche di montagna (la quale ricorre spesso – insieme al mare – nell’ambientazione dei suoi drammi), intraprese avventurose passeggiate a piedi sui monti della Svizzera centrale.
Carlo Gesualdo da Venosa (1566-1613)
Carlo Gesualdo, noto come Gesualdo da Venosa, è stato
un compositore italiano che eccelse nella musica polifonica
imponendosi come compositore di madrigali e di musica
sacra. Considerato da alcuni il principale madrigalista del
suo tempo, fu sicuramente uno dei principali innovatori
del linguaggio musicale. A partire dal XX secolo ispirò alcuni compositori moderni e la realizzazione di fiction e
drammi musicali. In negativo la sua fama è in parte dovuta
anche al fatto di aver assassinato la sua prima moglie
(nonché cugina) e il relativo amante.
Luciano Berio (1925-2003)
Nel 2013 ricorre il decimo anniversario della morte di Luciano
Berio, compositore italiano d’avanguardia e pioniere nel campo
della musica elettronica. Figlio d’arte (organisti sia il padre, sia
il nonno), da militare si ferisce a una mano per cui essendogli
preclusa la carriera concertistica come
pianista, Berio sceglie di concentrarsi
sulla composizione. Nel 1951 si reca
negli Stati Uniti per studiare con Luigi
Dallapiccola che gli trasmette un vivo
interesse per le problematiche legate
alla scrittura dodecafonica. Successivamente incontra Boulez, Stockhausen,
Ligeti e Kagel. Preso vivo interesse anche alla musica elettronica, con Bruno
Maderna fonda a Milano lo Studio di
Fonologia della Rai, uno studio dedito alla produzione di musica
elettronica. È in questo studio che Berio invita parecchi famosi
compositori, tra cui Henri Pousseur e John Cage. Successivamente fonda anche il periodico Incontri Musicali.
Francis Poulenc (1899-1963)
È stato compositore e pianista francese, membro del “Gruppo
dei Sei” con Darius Milhaud, Georges Auric, Arthur Honegger,
Louis Durey e Germaine Tailleferre. Precocemente attratto dalla musica, a sette anni compose i primi piccoli brani. La perdita di alcuni amici intimi e un pellegrinaggio alla Madonna
Nera di Rocamadour nel 1936, lo portarono a riscoprire la fede cattolica, in
conseguenza della quale il suo stile
compositivo si trasformò notevolmente, soprattutto per quanto riguarda
l’ela­­
borazione della musica sacra. Il
rapporto con la morte fu molto complesso per Poulenc, amante della buona vita e della spensieratezza. Ma fu
nel 1936, con la morte dell’amico e
compositore Pierre-Octave Ferroud,
che Poulenc si avvicinò veramente alla dimensione mistica del
cristianesimo. Gli apici del suo pensiero cristiano vennero raggiunti negli anni ’50, con la creazione del Gloria, della Messa
in Sol minore e dello Stabat Mater (scritto nel 1951 dopo la
perdita del caro amico Christian Bérard, a cui è dedicato). Nel
corso degli anni fu anche un pianista molto amato, sia come
solista, sia in duo con importanti musicisti dell’epoca. Gli anni ’40 furono per Poulenc molto impegnativi nel campo della
composizione, che lo impegnò soprattutto dal punto di vista
vocale. Realizzò un lungo tour negli Stati Uniti dove ricevette
un’ottima accoglienza ed ebbe la possibilità di far conoscere
la sua musica. Il 30 gennaio 1963 un infarto letale lo colse a
casa, in Rue de Médicis, a Parigi. Per sua stessa richiesta, il
funerale fu celebrato nella più grande semplicità, accompagnato dalla sola musica di Bach.
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Giovane compositore
Un giovane compositore che per la prima volta si rivolge al
forum ChoralNet chiede ai membri del forum stesso un buon
testo, una bella poesia da mettere in musica. È la solita domanda semplicissima!
Ecco una delle risposte che ha ricevuto: «Caro amico, sii il benvenuto. Posso senz’altro suggerirti prima di tutto che, se sei
giovane come dici, hai tutto il tempo per conoscere poesia di
tutti i generi e di tutti i paesi e giungere quindi a una tua scelta.
Nessuno può sapere che cosa potrebbe colpirti e interessarti.
Poi devi cercare di conoscere bene la legge sul diritto d’autore
nel tuo paese o anche in altri paesi se vuoi estendere la tua
ricerca. Sappi che puoi usare qualsiasi poesia di pubblico dominio. Non puoi usare – senza prima averne l’autorizzazione
– una poesia che sia ancora sotto copyright. Giuseppe Ungaretti,
per esempio, è morto il 1º giugno 1970. Sai cosa vuol dire per
la maggior parte della sua poesia? Forse vorrai considerare altre
due possibilità: perché non provare a scrivere tu stesso o trovare qualche poeta tuo coetaneo che non ha ancora pubblicato
e cercare di lavorare insieme? E infine, a seconda delle tue preferenze religiose, qualsiasi religione organizzata ha una propria
storica tradizione di testi liturgici. Se hai voglia di scrivere musica corale adatta al servizio liturgico qualcuno di questi testi
potrebbe non solo essere per te attraente ma potrebbe anche
avere un quid che lo rende facilmente eseguibile. Auguri. John».
Il respiro dei musicisti
Il respiro dei musicisti: il ruolo della
respirazione nell’espressione umana
(The Musician’s Breath: The Role of
Breathing in Human Expression), un
libro (228 pg) e un dvd (anche vendita
separata) di James Jordan, Mark Moliterno e Nova Thomas (gia Publications
Inc., Chicago). «Il libro offre a cantori,
direttori e preparatori di musicisti un
innovativo ed energizzante avvicinamento all’arte dell’espressione musicale. Direttori, cantori, strumentisti e attori sono incoraggiati a capire da questo libro e dvd se hanno
ulteriore interesse a sviluppare una più profonda, più intellettuale
ed emozionale connessione con il respiro». Sono parole di J. Jordan
il quale fin dalle prime pagine dà anche la seguente indicazione:
«La sfida qui è che tu non stai semplicemente facendo un respiro
in senso biologico e per il mantenimento della vita, tu stai usando
il respiro per portare un messaggio, per trasferire non solo un’idea
musicale, ma anche idee di emozione umana».
Libro e dvd offrono valide informazioni filosofiche e pedagogiche
sull’importanza del respiro nella comunicazione delle emozioni
e nell’espressività musicale. I concetti sono perfettamente ac-
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cessibili e applicabili alla pratica individuale degli esecutori (cantori e attori) e
traducibili nel gesto del direttore di coro. «Respirare con intenzione convinta deve
diventare un fatto naturale ed è importante per l’artisticità di un persona».
Il libro è diviso in due parti: La forza del respiro e poi Interpretazioni e applicazioni.
Raccoglie, inoltre, il contributo di Mark Moliterno, professore associato aggiunto
di voce e istruttore patentato di yoga, dal titolo Il respiro, connettore mente/corpo.
È una classica prospettiva yoga sul processo creativo; in essa descrive il ruolo del
respiro nel creare sinergie con il corpo. L’espressione artistica nella musica è il
risultato di uno sforzo coordinato fra l’intento creativo interno del musicista, l’energia del respiro e l’attività fisica.
Nova Thomas – professore assistente di voce al Westminster Choir College dell’Università di Rider e professore di pratica alla New School for Drama della New
School University di New York – è la terza co-autrice del libro. Ella contribuisce al
libro con la sua idea sull’uso del respiro da parte di cantori e attori nel capitolo Il
respiro di coloro che eseguono. Nel dvd che accompagna il libro, una sua intervista
rafforza il contenuto del capitolo del libro attraverso la sua articolata e appassionata descrizione dell’importanza del respiro per gli esecutori.
Un compositore alla volta: John Rutter
Musicista e compositore tra i più eseguiti anche dai cori italiani, ne presentiamo
una telegrafica scheda biografica. Nato a Londra nel 1945 ha ricevuto la sua prima
formazione musicale come corista alla Highgate School per passare poi al Clare
College di Cambridge dove, ancora studente, ha pubblicato le sue prime composizioni e diretto la sua prima incisione. Come compositore si è sempre dedicato a
opere corali e pezzi orchestrali e strumentali di grandi e piccole dimensioni, ha
composto un piano concerto, due opere per ragazzi, molta musica per la televisione
e, specificamente, per gruppi come il Philip Jones Brass Ensemble e i King’s Singers.
Le sue opere maggiori Gloria (1974), Requiem (1985), Magnificat (1990), Psalmfest
(1993) e Mass of the Children (2003) sono state ripetutamente eseguite in Inghilterra, Nord America e molti altri Paesi. Ha pubblicato con Sir David Willcocks
quattro volumi di Carols for Choir e successivamente nella nuova serie Oxford
Choral Classics due volumi dal titolo Opera Choruses (1995) e European Classic
Music. Dal 1975 al 1979 ha diretto il coro del Clare College in molte trasmissioni e
incisioni. Lasciato il Clare College per avere più tempo per la composizione, ha
fondato il gruppo professionista Cambridge Singers per dedicarsi primariamente
alle incisioni; ora spartisce il suo tempo fra composizione e direzione. È stato direttore ospite e relatore di conferenze in molte sale da concerto, università, chiese
e festival in Europa, Africa, Nord e Centro America e Australasia. Nel 1980 è stato
nominato socio onorario del Westminster Choir College di Princeton e otto anni
dopo socio onorario della Corporazione dei Musicisti da Chiesa. Nel 1996 l’Arcivescovo di Canterbury gli ha conferito il Lambeth Doctorate of Music per il suo
contributo alla musica da chiesa e nel 2007 la Regina Elisabetta gli ha assegnato
il titolo onorifico di cbe (Commander British Empire) per gli importanti contributi
dati alla musica.
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Anno XIII n. 39 - settembre-dicembre 2012
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Editoriale
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Ci sono avvenimenti che segnano la storia e la
dividono in un prima e un dopo. L’esperienza di
Europa Cantat 2012 è una di queste. Dopo il
festival di Torino, per la coralità italiana nulla
tornerà come prima e tutti saremo un po’ diversi.
Quello che ci sembrava già troppo sognare, quello
che qualche anno fa non osavamo sperare, oggi è
storia. Grande nei numeri, grande nella qualità:
questo è stato il Festival Europa Cantat 2012 a
Torino.
Sentire, dal palco di piazza San Carlo, l’assessore
alla cultura definire il festival «il più grande
avvenimento per la città dopo le Olimpiadi
invernali», affermazione condivisa e confermata dai cittadini di Torino, è, prima
di tutto, una grande emozione e rafforza poi la convinzione di aver centrato
l’obiettivo. La presenza sulla stampa e sui mezzi di comunicazione, il
coinvolgimento di importanti istituzioni musicali, prima fra tutte l’orchestra della
Rai, il rapporto con le istituzioni della Città di Torino e della Regione Piemonte,
che non si interromperà e potrà portare altri eventi, ci danno la misura di un
salto di qualità della coralità italiana, di un capitale accumulato che abbiamo il
dovere di mettere a frutto.
Abbiamo raccolto il risultato di anni di lavoro: non solo i quattro anni trascorsi
da quando fu posta la candidatura della città, ma i dodici anni di lavoro dedicati
a creare un sistema della coralità italiana: un sistema che a Torino ha
dimostrato di saper funzionare e reggere carichi notevoli come quelli di un
festival europeo. Tutto questo è dovuto a un impegno di squadra. Ma a Sante
Fornasier va riconosciuto di essere stato l’anima di questa squadra, senza mai
perdere la capacità, anche nei momenti più difficili, di indicare obiettivi per tutti
noi impensati né il coraggio di perseguirli, contro ogni arrendevolezza vestita di
ragionevole prudenza.
È con un po’ di malinconica nostalgia che siamo rientrati alla vita di ogni giorno,
dopo momenti così intensi ed esaltanti come quelli vissuti a Torino. Ma siamo
rientrati anche con la gioia dello scopo raggiunto: che non è solo quello del
festival realizzato nel migliore dei modi, ma soprattutto quello di aver cambiato
la percezione che l’Italia ha del canto corale, del suo valore musicale e culturale,
del capitale che rappresenta nella vita di un grande paese. E siamo quindi
tornati con la voglia di rimetterci subito all’opera, pensando in grande: davvero,
lo spread tra la coralità italiana e quella europea non è mai stato così basso.
E che sia questo segno di speranza per tutta l’Italia.
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