i d l a v i t s e f a r e v a m i r p Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Associazione Cori della Toscana n. 39 - settembre-dicembre 2012 n. 39 - settembre-dicembre 2012 Festival organizzato da o d n a t n a c a r t n o c n i i s a l o u c s la 2013 e m r e T i n i t a c e t Toscana Mon PIERO CARABA TRA CORO E COMPOSIZIONE IL NATALE NELLE PAGINE DI GIOVANNI GABRIELI NOTE, EMOZIONI, VIBRAZIONI CRONACHE DALL’ITALIA CORALE festival per cori scolastici 10•13 aprile scuole medie scuole superiori iscrizioni entro il 15 febbraio 2013 Festival associato a Feniarco 17•20 aprile con il patrocinio di Ministero per i Beni e le Attività Culturali Regione Toscana Provincia di Pistoia Comune di Montecatini Terme www.feniarco.it ready to sing echi dal festival EUROPA CANTAT XVIII TORINO 2012 + notizie> Anno XIII n. 39 - settembre-dicembre 2012 Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co. Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Presidente: Sante Fornasier Direttore responsabile: Sandro Bergamo Comitato di redazione: Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina Hanno collaborato: Michela Francescutto, Rossana Paliaga, Lorenzo Montanaro, Manolo Da Rold, Davide De Lucia, Ambrogio Sparagna, Anna Bisogno, Alvaro Vatri Redazione: via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 [email protected] In copertina: Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012 Progetto grafico e impaginazione: Interattiva, Spilimbergo Pn Stampa: Tipografia Menini, Spilimbergo Pn Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana Editoriale + approfondimenti> Ci sono avvenimenti che segnano la storia e la dividono in un prima e un dopo. L’esperienza di Europa Cantat 2012 è una di queste. Dopo il festival di Torino, per la coralità italiana nulla tornerà come prima e tutti saremo un po’ diversi. Quello che ci sembrava già troppo sognare, quello che qualche anno fa non osavamo sperare, oggi è storia. Grande nei numeri, grande nella qualità: questo è stato il Festival Europa Cantat 2012 a Torino. Sentire, dal palco di piazza San Carlo, l’assessore alla cultura definire il festival «il più grande avvenimento per la città dopo le Olimpiadi invernali», affermazione condivisa e confermata dai cittadini di Torino, è, prima di tutto, una grande emozione e rafforza poi la convinzione di aver centrato l’obiettivo. La presenza sulla stampa e sui mezzi di comunicazione, il coinvolgimento di importanti istituzioni musicali, prima fra tutte l’orchestra della Rai, il rapporto con le istituzioni della Città di Torino e della Regione Piemonte, che non si interromperà e potrà portare altri eventi, ci danno la misura di un salto di qualità della coralità italiana, di un capitale accumulato che abbiamo il dovere di mettere a frutto. Abbiamo raccolto il risultato di anni di lavoro: non solo i quattro anni trascorsi da quando fu posta la candidatura della città, ma i dodici anni di lavoro dedicati a creare un sistema della coralità italiana: un sistema che a Torino ha dimostrato di saper funzionare e reggere carichi notevoli come quelli di un festival europeo. Tutto questo è dovuto a un impegno di squadra. Ma a Sante Fornasier va riconosciuto di essere stato l’anima di questa squadra, senza mai perdere la capacità, anche nei momenti più difficili, di indicare obiettivi per tutti noi impensati né il coraggio di perseguirli, contro ogni arrendevolezza vestita di ragionevole prudenza. È con un po’ di malinconica nostalgia che siamo rientrati alla vita di ogni giorno, dopo momenti così intensi ed esaltanti come quelli vissuti a Torino. Ma siamo rientrati anche con la gioia dello scopo raggiunto: che non è solo quello del festival realizzato nel migliore dei modi, ma soprattutto quello di aver cambiato la percezione che l’Italia ha del canto corale, del suo valore musicale e culturale, del capitale che rappresenta nella vita di un grande paese. E siamo quindi tornati con la voglia di rimetterci subito all’opera, pensando in grande: davvero, lo spread tra la coralità italiana e quella europea non è mai stato così basso. E che sia questo segno di speranza per tutta l’Italia. + curiosità> + rubriche> + + servizi sui principali> avvenimenti corali LA RIVISTA DEL CORISTA Anche per il 2013 Sandro Bergamo direttore responsabile rinnova il tuo abbonamento e fai abbonare anche i tuoi amici ISSN 2035-4851 Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Abbonamento annuale: 25 € 5 abbonamenti: 100 € c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn musica> Feniarco aliter r o h C i d ione e l a re d a z utti t a o n a r augu uovo n o n n a e c un feli CHORALITER + ITALIACORI.IT Rivista quadrimestrale della FENIARCO abbonamento annuo: 25 euro / 5 abbonamenti: 100 euro Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Via Altan, 39 33078 S. Vito al Tagliamento (Pn) Italia Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 www.feniarco.it - [email protected] modalità di abbonamento: • sottoscrizione on-line dal sito www.feniarco.it • versamento sul c/c postale IT23T0760112500000011139599 intestato a Feniarco • bonifico bancario sul conto IT90U063406501007404232339S intestato a Feniarco n. 39 - settembre-dicembre 2012 Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali DossieR Europa Cantat XVIII Torino 2012 2 5 READY TO… REMEMBER Giorgio Morandi un sogno divenuto realtà INTERVISTA A SANTE fornasier Michela Francescutto Varietà e qualità, tradizione e innovazione Intervista alla Commissione Musicale Sandro Bergamo 11 UNO SGUARDO EX CATHEDRA OPINIONI, COMMENTI, emozioni dei docenti italiani Rossana Paliaga 16 La coralità italiana è davvero internazionale! Gli italiani a Torino per il Festival Europa Cantat Giorgio Morandi 23 quando il coro fa notizia Lorenzo Montanaro 7 40 I canti popolari del Lazio e l’elaborazione corale: alcune osservazioni Ambrogio Sparagna Dossier compositore Piero Caraba 25 composizione e coro: una miscela esplosiva Intervista a piero caraba Walter Marzilli 30 ascesi di piero caraba Manolo Da Rold Intervista doppia a Lorenzo Donati e Dario Tabbia Walter Marzilli Nova et veterA Attività dell’Associazione 46 Note, emozioni, vibrazioni salerno festival 2012 Anna Bisogno 48 La coralità italiana nella sfera dell’eccellenza internazionale Impressioni e riflessioni dall’assemblea nazionale Feniarco Alvaro Vatri 50 L’Italia corale protagonista nel panorama europeo Assemblea generale eca-ec 2012 portrait 42 CONCERTO PER CORO A QUATTRO MANI canto popolarE Giorgio Morandi cronacA INDICE 34 e quando cantavano, suonavano anche gli strumentisti... Breve analisi di alcuni mottetti natalizi di Giovanni Gabrieli Davide De Lucia 52 ANCHE L’ITALIA IN GARA PER IL TROFEO DELLE NAZIONI A GORIZIA Rossana Paliaga 56 RINASCERE A SESSANT’ANNI Rossana Paliaga Rubriche 60 Discografia&Scaffale 64 La vita cantata 68 Mondocoro dossIER 2 ready to… remember Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012 di Giorgio Morandi In Italia, nella splendida città di Torino, dal 27 luglio al 5 agosto si è realizzato, quale risultato di quattro anni di lavoro di una grande equipe Feniarco/eca-ec, uno strepitoso Festival Europa Cantat che ha visto la partecipazione di gruppi e singoli cantori provenienti da 42 paesi di ben quattro continenti. I magnifici e magici numeri che permettono di conoscere il festival li stralciamo dal comunicato stampa finale del festival: «Quando cala il sipario del festival i numeri che emergono sono sorprendenti. In questi 10 giorni, Torino e il Piemonte hanno dato il benvenuto a ben 4000 partecipanti (cantori, direttori, compositori)… E dobbiamo aggiungere l’impressionante numero di 871 artisti ospiti, comprendenti gruppi vocali, strumentisti e danzatori. Si devono aggiungere anche 131 docenti di atelier oltre a 322 volontari (risorsa incredibilmente preziosa!), 150 componenti dello staff organizzativo internazionale, 24 giovani aspiranti manager di eventi artistici, 13 tecnici professionisti di audio registrazione… I 111 concerti programmati sono stati accolti da grande entusiasmo, come dimostrano le prenotazioni online e le code agli sportelli di biglietteria. Tutte le sere i posti di molti luoghi di concerto sono andati esauriti. Ogni sera solo in piazza San Carlo erano riunite tra le 2500 e le 5000 persone. Anche nel campo delle attività di studio musicale i numeri sono impressionanti: 41 atelier di durata variabile e 47 discovery atelier di uno o due giorni sono stati frequentati da partecipanti entusiasti. Il progetto Music Expo dedicato all’editoria musicale ha coinvolto 25 editori nazionali e internazionali. I giornalisti di tutto il mondo ufficialmente accreditati al Festival sono stati più di 50. Oltre a queste appena nominate, molte altre persone – a diverso titolo – sono state coinvolte nell’evento che ha visto riuniti insieme 125 cori, 25 gruppi artistici ospiti, 10 cori giovanili nazionali o regionali oltre a una quantità innumerevole di partecipanti individuali, amatori e persone curiose di ogni età e di ogni nazione». Non si può che affermare: è stato un successo immenso, talmente grande che nemmeno gli organizzatori avrebbero potuto immaginarlo. E bisogna riconoscerlo, al successo ha contribuito notevolmente anche “Giove Pluvio” che non ha voluto mancare, ma che ha manifestato la sua partecipazione al festival (e con quale convinzione! che temporale!) soltanto l’ultimo giorno, proprio due ore prima della cerimonia di chiusura, ormai certo che – anche grazie ai numerosi portici della splendida città – non avrebbe rovinato né il soggiorno torinese di così tanta gente, né l’immane lavoro degli organizzatori e dei loro collaboratori. Questa manifestazione corale europea triennale a Torino ha visto la realizzazione della sua diciottesima edizione. Questo evento si è svolto in Italia per la prima volta in tutta la sua ormai lunga storia. Esso è – e rimarrà a lungo – segno della vitalità corale internazionale, segno anche dello sviluppo enorme che la coralità italiana e l’associazionismo corale in Italia hanno avuto negli ultimi quindici anni. Va sottolineato che non è soltanto la capacità organizzativa italiana che prova quanto si è appena affermato, ma anche la grande partecipazione di cori e cantori italiani (circa 30% degli iscritti) e il livello qualitativo della musica dagli stessi espressa. È sicuramente da evidenziare come caratteristica peculiare del Festival Europa Cantat il fatto che la sua popolazione, prevalentemente giovanile, ben sostiene la ragione per la quale l’evento è stato inserito tra le proposte di Torino Young City, un progetto della Città di Torino avente lo scopo di creare un sistema di eventi capace di gratificare il lavoro fatto negli ultimi anni per i giovani. Oltre all’atmosfera, sicuramente più musicale che in qualsiasi altra grande occasione già ospitata negli ultimi tre anni dalla gente di Torino, anche il colore della città per dieci giorni è cambiato: il magenta, colore-simbolo ufficiale del festival, è stato il colore dominante che si è imposto attraverso migliaia di manifesti, locandine, totem, insegne e magliette colorate dei volontari. Ed ecco qui l’occasione per sottolineare l’immensa infaticabile opera di tutto lo staff e dei volontari sapientemente formati, sostenuti e guidati da Sante Fornasier, presidente sia di Feniarco, sia di European Choral Association - Europa Cantat. Un direttore di coro che aveva partecipato al festival ha scritto: «Personalmente ho potuto seguire lo study tour per direttori di coro e la presentazione finale del lavoro dell’atelier sulla musica corale di Monteverdi oltre ad atelier e concerti tenutisi in ogni parte della città… Esperienza bella e importante per direttori di coro e coristi, da tener presente anche quando sarà organizzata all’estero». L’affermazione spontanea di questo partecipante ci offre l’occasione di introdurre un accenno specifico, che per ragioni di spazio non potrà che essere telegrafico, ad alcune delle principali attività e alcuni dei più importanti aspetti del festival svoltosi a Torino. È possibile fondere centinaia di culture in un solo coro? Certamente, e a dimostrarlo è senz’altro una delle più partecipate attività quotidiane del festival. L’open singing – nel cuore dei partecipanti e della stessa popolazione di Torino – sicuramente sarà mantenuto e ricordato come un magico momento. Ogni sera, in piazza San Carlo, migliaia di persone si sono incontrate sotto l’accurata e affabile direzione del maestro Michael Gohl e con l’aiuto del Coro Accademia Feniarco e di famosi direttori ospiti. In quell’ambito favoloso migliaia di persone hanno cantato centinaia di canti che nel festival 3 repertorio di tantissimi paesi diversi spaziavano dal classico al tradizionale e al moderno. Strumento eccezionale dell’occasione è stato lo stupendo e utilissimo Songbook consegnato a ogni partecipante come guida al canto e ricordo del festival. Data la quantità degli ateliers attivati, dare un’idea di tutti è pressoché impossibile. Di uno, però, vogliamo accennare come esempio. Il titolo Coro, un’amore a prima vista suggerisce davvero un accattivante programma. La parola amore che appare nel titolo è molto significativa: certamente ci porta all’amore per la musica, ma non distaccato da quello che esprime gli affetti familiari e per le persone più care. Infatti questo atelier è andato a ruba fra mogli, mariti e parenti di cantori che già cantano in coro: tutte persone che hanno voluto scoprire le radici del desiderio dei loro cari di cantare in coro. L’atelier ha dato a queste persone la soddisfazione di ascoltare e godere della propria voce, arrivandoci attraverso un percorso che ha evidenziato come, nell’attività del canto, il corpo, cominciando dalla respirazione e da una postura corretta, gioca un ruolo fondamentale. Ritmo, intonazione e qualche indicazione di lettura musicale sono stati gli altri aspetti gustati con grande entusiasmo e soddisfazione dai partecipanti. Parola di Silke, partecipante e collega nello staff redazionale (come traduttrice) del quotidiano del festival ReadyTOnews. Anche questo quotidiano meriterebbe qualche parola, ma vi basti sapere che è stato il più bel quotidiano di una manifestazione corale che si sia mai visto (parola di un [dis]interessato membro dello staff di redazione!). Il festival di Torino, come del resto avevano fatto quelli precedenti, ha evidenziato una cosa: Monteverdi, Vivaldi, Bach e Händel possono essere considerati intramontabili star musicali. Nonostante le apparenze, la musica classica attira sempre l’attenzione maggiore del pubblico. Lo hanno dimostrato i gruppi di persone che ogni sera, nonostante i posti a sedere esauriti, si accalcavano alle porte della chiesa 4 5 di San Filippo sperando di potersi godere – anche in piedi – un grande concerto. Ma questo interesse per la musica classica non ha certo messo in sordina quello per la musica che – scritta e creata per il popolo (popular o pop music) o che proviene dal popolo (folk) – è stata ben presente al festival nelle varietà che, dagli Stati Uniti al Baltico, dalla Spagna alla Finlandia, senza dimenticare le forme ibride dei ritmi africani trapiantati nell’America Latina, essa presenta. Attenzione particolare ha avuto il folk mediterraneo attraverso le sue varietà dell’Occitania, di Maiorca, Dalmazia, Italia del sud, Tunisia e Nord Africa. Si può tranquillamente affermare che il Festival Europa Cantat di Torino è stato (come direttamente dimostra l’atelier per voci femminili Let’s travel diretto da Basilio Astulez) un vero e proprio giro del mondo corale. Ma al festival non è mancata nemmeno la sperimentazione, per esempio attraverso la fusione tra canto corale ed elettronica. È il professor Stefano Bassanese dell’Università di Torino a darne la motivazione più concisa in una collaborazione a ReadyTOnews: «Noi non ci pensiamo, ma spesso l’elettronica è alla base di molti gesti del nostro quotidiano musicale: quando ascoltiamo un cd, un mp3, un lp, quando utilizziamo una tastiera digitale, ma anche in diverse altre situazioni, ad esempio nell’uso dell’amplificazione in uno spazio aperto… Possiamo modificare in tempo reale il suono di una voce». Non c’è dubbio: l’elettronica e l’elettroacustica hanno cambiato e continuano a cambiare il modo di concepire la musica, di ascoltarla, di eseguirla e di comporla. Il movimento corale non poteva e non può ignorare questo fenomeno. Volgendo al termine del nostro piccolo e incompleto resoconto del festival non ci resta che citare chi ha collaborato con eca-ec e Feniarco per rendere possibile un evento come il Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012: l’Associazione Cori Piemontesi, la Regione Piemonte, la Provincia di Torino e la Città di Torino, con la collaborazione della Compagnia di San Paolo e della Camera di Commercio. Ma ora è doveroso lasciare la conclusione ai due principali attori del festival. Carlo Pavese, direttore artistico del festival di Torino, è molto soddisfatto: «Europa Cantat è un festival ineguagliabile, che ha dato alla città di Torino la presenza di 5000 voci che hanno cantato insieme con passione e qualità musicale, lasciando un ricordo indelebile. D’altra parte sono anche convinto che la città abbia riservato a questo evento un benvenuto speciale e duraturo. I luoghi, gli edifici e soprattutto gli abitanti di Torino si sono sentiti parte di quel grande coro che, ogni sera, ha trasformato piazza San Carlo in un simbolo di armonia e di bellezza». Sante Fornasier, presidente di European Choral Association Europa Cantat e di Feniarco, nel discorso di chiusura del festival, prima di passare la bandiera alle autorità di Pécs (Ungheria) per la prossima edizione del festival nel 2015, fra l’altro ha affermato: «Eccoci alla fine di questo straordinario viaggio di dieci giorni. Tutti insieme siamo stati protagonisti gioiosi e attivi in questa bella città che ci ha accolti con generosità e ci ha offerto le sue bellezze artistiche e i luoghi più belli in cui abbiamo potuto ascoltare e creare i nostri Il festival è stato segno dell’enorme sviluppo che la coralità italiana e l’associazionismo corale in Italia hanno avuto negli ultimi anni. canti, la nostra musica… Siamo stati accolti anche dall’intera regione Piemonte dove sono stati realizzati 25 concerti che idealmente hanno abbracciato tutte le provincie. Abbiamo celebrato questo festival nutrendo il nostro spirito. Porteremo l’entusiasmo del festival nei nostri paesi e lo conserveremo a lungo nei nostri cuori per nutrire la nostra nobile, genuina e straordinaria passione». UN SOGNO DIVENuTO REALTÀ Intervista a Sante Fornasier a cura di Michela Francescutto communication manager del festival europa cantat Cosa ha significato per lei e per Feniarco tutta candidarsi e organizzare un festival in questo periodo difficile per l’economia mondiale? Quali i pensieri quando l’impresa è ormai stata portata a termine? Quando è nata l’idea di una candidatura italiana per il Festival Europa Cantat eravamo nel 2007 e la sfida era decisamente stimolante. Nessuno avrebbe tuttavia potuto prevedere una difficile situazione economica come quella che stiamo vivendo; è evidente che col trascorrere del tempo e con il manifestarsi di una crisi così acuta, le preoccupazioni sono andate via via aumentando tanto da farci pensare, in qualche momento, al ritiro della candidatura. Ormai però il treno era partito e quando un processo così grande si avvia diventa impossibile fermarlo: non restava quindi che combattere e lavorare duramente. Oggi i pensieri sono di grande soddisfazione per lo straordinario risultato ottenuto che è andato oltre le previsioni; qualche preoccupazione rimane sul fronte economico ma anche qui speriamo di farcela. una presenza di oltre 1.200 iscritti a Torino su un totale di 4.000 (dati record), ma anche tra coloro che non hanno partecipato direttamente c’è stata molta attenzione e consapevolezza di un evento di grande portata. Credo che anche nel mondo esterno questo festival abbia lasciato il segno dimostrando così che la coralità amatoriale ha saputo essere all’altezza di un progetto così ampio e complesso coinvolgendo in modo attivo e partecipe la Città di Torino e la Regione Piemonte. Le Istituzioni si sono congratulate con noi per il successo, la stampa e i media ci hanno seguito in modo attento (anche se avrebbero potuto fare di più); la ricaduta economica è stata decisamente positiva sul territorio e gli operatori del settore hanno espresso la loro soddisfazione. sogno xviii torino 2012 Quali sono le ripercussioni di questo festival sul mondo corale italiano? E cosa possiamo dire invece nei confronti del mondo extra-corale? Il mondo corale italiano ha partecipato in modo decisamente positivo al festival facendo segnare Per quanto riguarda l’immagine della coralità italiana in Europa e nel mondo, come ritiene sia avvenuta la riaffermazione della presenza del nostro Paese e quali risultati ciò ha conseguito? “Torino 2012” ha lasciato una bella immagine della coralità italiana in Europa e nel mondo: un progetto artistico-musicale di qualità ed equilibrio tra passato, presente e futuro, una città ospitale e in festa dove la presenza del festival si coglieva a ogni angolo nella sua immagine “magenta”, un’organizzazione dossIER 6 a ogni costo dalla modernità, siamo tuttavia chiamati a interpretare i cambiamenti che la società porta con sé. Da un lato dobbiamo tener saldo il principio che fare musica e fare coro sono valori positivi, valori più che mai attuali, non è “roba vecchia”, anzi; quindi allargare la base di partecipazione soprattutto tra i giovani. Dall’altro lato occorre ulteriormente favorire e stimolare la crescita qualitativa e musicale delle nostre formazioni corali, dei nostri direttori, dei nostri compositori. Avere quindi la consapevolezza che i due aspetti non confliggono ma si integrano e si stimolano a vicenda. Dobbiamo guardare alla nostra realtà italiana ma con attenzione a quello che si muove in Europa e nel mondo; da un sereno confronto con l’esterno possono sempre scaturire utili stimoli di crescita e di miglioramento. E allora prepariamoci sin d’ora per andare a Pécs nel 2015 come abbiamo fatto per Mainz, Utrecht e ovviamente per Torino; sarà ancora un’occasione per dimostrare che la coralità italiana è viva e attiva. encomiabile con un esercito di volontari sempre pronti e disponibili e poi, il sole e le bellezze artistiche della città e del territorio. La considerazione della coralità italiana in ambito europeo e internazionale è cresciuta notevolmente in questi dieci anni e il festival ne è stata una decisa conferma; anche alla recente Assemblea di eca-ec a Toulouse, in Francia, Feniarco ha goduto di grande rispetto e consenso. Tutto questo l’abbiamo ottenuto mettendo passione e dedizione, professionalità e competenza, rispetto e salvaguardia del passato ma traguardando sempre il futuro, capacità di stare assieme e fare sintesi pur nel rispetto delle specificità, essere italiani ma anche cittadini europei anzi, cittadini del mondo. Del resto la musica non è forse un linguaggio universale? Ha perfettamente ragione. Ci racconta un ricordo e un’emozione dal festival? Tante sono le sensazioni vissute durante il festival; difficile dire quale la più emozionante e la più coinvolgente. Ma sicuramente lo sguardo su piazza San Carlo nella serata finale del festival con migliaia e migliaia di partecipanti tutti emotivamente presi in un grande abbraccio corale-musicale, è stato un momento davvero straordinario, un momento in cui è valsa veramente la pena di esserci. Quali sono i suoi auspici per il futuro per la coralità italiana, sia da un punto di vista nazionale, che verso l’Europa, e in particolare nei confronti del prossimo Festival Europa Cantat a Pécs nel 2015? Per il futuro dobbiamo fare tesoro di quanto abbiamo realizzato in questi anni ma nel contempo dobbiamo immaginare e favorire ulteriori percorsi; senza farsi travolgere Varietà e qualità, tradizione e innovazione Intervista alla Commissione Musicale del Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012 a cura di Sandro Bergamo e Walter Marzilli, con la collaborazione di Carlo Pavese 51 sono state affidate a direttori italiani, con simile proporzione nel repertorio; 15 discovery atelier su 47 sono stati guidati da docenti italiani; al programma per direttori e compositori hanno preso parte 18 relatori italiani su una proposta totale di 71 attività, includendo uno dei due leader dello study tour. Hanno partecipato 50 cori italiani su un totale di 133, di cui 33 si sono esibiti. Su 1603 esecuzioni tenute nell’ambito del festival, 315 hanno riguardato la musica italiana, con circa 100 compositori di tutte le epoche rappresentati. Interessanti le percentuali dei vari generi musicali: 58% musica classica (nel dettaglio: 19% contemporanea, 18% barocca e classica, 11% rinascimentale, 10% romantica e moderna, opera inclusa), 27% popolare e folk, 15% pop e dintorni. Credo che per una volta i numeri non siano aridi, ma raccontino un’esperienza unica». E infine, adesso qual è il prossimo passo concreto che la Federazione intende muovere a favore della coralità italiana? Molteplici sono state le iniziative che Feniarco, in stretta collaborazione con le associazioni regionali, ha portato avanti La coralità amatoriale ha saputo essere all’altezza di un progetto ampio e complesso. in questi anni. Si tratta ora di rafforzarne il tessuto connettivo, stimolare la crescita di nuove formazioni, porre sempre maggior attenzione al mondo della scuola e dei giovani, dare un’immagine unitaria della propria azione, essere all’altezza delle sfide che la difficoltà economiche stanno imponendo, favorire processi di sussidiarietà e mettere in atto sinergie ed energie positive. Non sono cose impossibili: come sempre, dipendono molto dalle nostre volontà. 7 La musica italiana non poteva non avere, a Europa Cantat Torino 2012, un ruolo importante. Quali strategie hanno guidato le scelte della commissione musicale e qual è il panorama complessivo che emerge, a festival concluso? Carlo Pavese: «Il programma del festival è il risultato di un lavoro davvero corale. È stato impostato da una commissione musicale composta da cinque musicisti italiani, le cui voci danno vita a questa intervista, e quattro membri internazionali appartenenti a European Choral Association Europa Cantat. Le proposte italiane sono state discusse in seno alla commissione musicale di Feniarco, in collegamento con l’omologo organismo dell’Associazione Cori Piemontesi. L’obiettivo, a mio parere conseguito, era di offrire – nell’ambito degli atelier, delle altre attività formative, dell’open singing e dei concerti ospiti – varietà e qualità, tradizione e innovazione, pietre miliari, sorprese e scoperte. Insieme al programma, l’elemento decisivo nel promuovere il ruolo della musica italiana al festival è stato rappresentato dalla partecipazione dei nostri cantori, la più alta mai registrata da parte della nazione ospitante; i partecipanti hanno di fatto creato il programma concertistico del festival, che i gruppi invitati sono andati poi a completare, proponendo un’immagine della musica vocale e corale italiana ampia e convincente. I dati sulla presenza italiana al festival sottolineano la misura e l’equilibrio che Feniarco ha saputo dimostrare nel consesso europeo, trovando il giusto rapporto tra la musica del paese ospitante e quella dei paesi ospiti. Negli atelier lunghi, 12 proposte su Durante il festival abbiamo ascoltato dei brani in prima esecuzione assoluta che sono stati commissionati per l’occasione. Quali sono stati i compositori ai quali è stata affidata la commissione, e come sono stati scelti i gruppi che le hanno eseguite? Nicola Campogrande: «Ai compositori coinvolti (Carlo Boccadoro, Lorenzo Ferrero, Fabio Vacchi, David Del Puerto, Leo Hurley, François Narboni, Luis Tinoco) è stato chiesto di scrivere un brano che potesse essere eseguito da un buon Il programma del festival è il risultato di un lavoro davvero corale. coro amatoriale, sfruttando l’eccezionale opportunità di presentare musica nuova a una platea allargata come quella di Europa Cantat. Se da un lato i pezzi sono stati tutti molto interessanti, e alcuni francamente bellissimi, va detto che non tutti gli autori sono riusciti a calibrare bene il livello di difficoltà; per questo, alla fine, per presentare alcuni brani siamo dovuti ricorrere a cori giovanili nazionali e a formazioni specializzate e di livello particolarmente alto». Carlo Pavese: «Il risultato finale è stato interessante perché le commissioni del festival sono state eseguite da diverse tipologie di cori: cori partecipanti segnalati dalla commissione musicale, cori giovanili nazionali resisi disponibili e cori ospiti. Ho inoltre piacere di citare le due commissioni per gli atelier dossIER 8 9 buona salute: sta crescendo costantemente, aperta agli orizzonti ampi della varietà del repertorio e del miglioramento tecnico-vocale. In grande aumento, abbiamo notato con gioia, l’entusiastica presenza di formazioni giovanili di buonissimo livello (tra le quali il Coro Giovanile Italiano e il Coro Accademia Feniarco, rappresentanti la coralità italiana)». – un’opera per bambini, Cello Rising, scritta da Manfred Länger per l’atelier b1, e un ciclo di musiche per coro e strumenti affidato a Jonathan Rathbone per i film muti dell’atelier a14 – e le commissioni di otto arrangiamenti di musica pop e popolare. Allargando il quadro, ricordo che il festival ha commissionato due lavori a Matteo D’Amico e Micha Hamel, che in quest’occasione non è stato possibile eseguire, e ha ospitato l’esecuzione dei brani vincitori dello European Award for Choral Composers. Inoltre numerose formazioni hanno portato nuove composizioni e arrangiamenti, anche in prima esecuzione assoluta, a dimostrazione che la musica contemporanea è ormai parte del vocabolario di molti cori, non spaventa più; anzi, ho l’impressione che se ne ascolti di più ai concerti corali che nei suoi contesti più tradizionali». Pur nel grande impegno profuso avrete potuto seguire gran parte delle manifestazioni concertistiche del festival. Per quanto riguarda lo stato di salute della coralità italiana quali sono state le vostre impressioni? Dario Tabbia: «Il fatto stesso che il Board della federazione europea abbia scelto come sede l’Italia è un chiaro riconoscimento del buon livello che la nostra coralità ha raggiunto confermandosi come fenomeno in continua evoluzione. Riscontro un grande interesse soprattutto nei giovani direttori e nei cori di recente formazione a inserirsi in una prospettiva qualitativa di livello internazionale». Piero Monti: «Ho ascoltato un certo numero di concerti eseguiti da cori italiani di livello assolutamente buono. Credo che anche solo una decina di anni fa non se ne sarebbero trovati così tanti, sia come quantità che come qualità». Roberta Paraninfo: «Direi che la coralità italiana gode di Tra i tanti aspetti che gravitano intorno alla coralità nel nostro Paese possiamo isolarne due. Cominciamo parlando della scelta del repertorio dei cori italiani: ha mostrato una maturazione, un allargamento? E la musica contemporanea ha trovato un posto stabile e credibile? Dario Tabbia: «Il repertorio ha subito un’inevitabile trasformazione dovuta al parallelo miglioramento qualitativo dei nostri direttori e quindi dei nostri cori. Molti sono i gruppi che posseggono una solida preparazione tecnica, vocale e musicale, e questo ha consentito di allargare i propri orizzonti dedicandosi in particolare alla musica contemporanea. Magari pecchiamo ancora un po’ di esterofilia e non ci accorgiamo di quanti buoni compositori abbiamo in casa…» Roberta Paraninfo: «Grazie all’ampliamento delle occasioni di incontro, come è stato il Festival Europa Cantat di Torino e come lo sono gli altri festival, rassegne, corsi, concorsi organizzati in tutta la penisola, il repertorio ha maggiore possibilità di “girare” fra i cori, portando significativo miglioramento della qualità degli stessi e raffinamento del gusto di chi canta e di chi ascolta: un sano circolo virtuoso! La musica contemporanea non è l’unica a dover trovare un posto stabile e credibile, ma, per rispondere alla domanda, direi che la direzione è presa e, nel caso di alcune eccellenze, anche in buona parte attuata. In generale ci sarà sicuramente ancora tempo per una concreta e definitiva svolta». Nicola Campogrande: «Non nascondo lo stupore che mi ha Il repertorio ha subito una trasformazione dovuta al parallelo miglioramento qualitativo dei nostri direttori e dei nostri cori. colto nell’ascoltare tanti cori italiani di altissimo livello, assolutamente in grado di competere con formazioni straniere più blasonate. E, oltre che all’aspetto tecnico, mi riferisco alla classe, allo stile con il quale sono stati costruiti i programmi: non solo nella felice alternanza di repertorio antico e contemporaneo, ma spesso anche nella scelta di arrangiamenti curati, raffinati, non dozzinali delle pagine pop che si sono volute presentare. L’apertura a diversi mondi musicali, fatta con questa consapevolezza, con questa sapienza, diventa un reale valore aggiunto e mi sembra una splendida rappresentazione della vitalità del presente». L’altro aspetto è quello vocale. È ancora vero che i cori italiani faticano a trovare voci maschili che possano aumentare il loro organico? E quelle che ci sono hanno mostrato una caratterizzazione timbrica per cui i tenori e i bassi hanno trovato la loro giusta collocazione timbrica, o siamo di fronte a un gruppo più o meno omogeneo di voci centrali e baritonali? Dario Tabbia: «Il discorso è molto delicato anche se è vero che non è così frequente trovare voci ben caratterizzate fin dall’inizio. Credo tuttavia che uno studio attento della vocalità possa dare risposte importanti nel collocare nel giusto registro un cantore. Non posso non ricordare le parole di Fosco Corti quando diceva che spesso il direttore cercava nuovi tenori in giro per il paese invece di cercarli nel suo settore dei baritoni…» Roberta Paraninfo: «C’erano molte voci giovani, quindi in formazione: bisogna da subito averne cura, oltre che con una valida “igiene” vocale, anche trovando repertorio adatto che sappia valorizzarle davvero, senza costringerle a una maturità ancora lontana. Bisogna fare appello ai nostri compositori, affinché dedichino il loro lavoro anche alle nuove, giovani voci». Carlo Pavese: «Unisco il mio appello: servono cori giovanili che diano continuità ai cori di voci bianche, in particolare nel caso dei maschi che mutano voce. È necessario che la muta non sia vista come una forzata cesura dell’attività canora, che spesso diventa cessazione definitiva, bensì come l’apertura di nuove entusiasmanti possibilità». L’apertura a diversi mondi musicali, fatta con consapevolezza e sapienza, diventa un reale valore aggiunto. Veniamo al punto centrale della coralità, non solo italiana. I direttori sono apparsi all’altezza della situazione? I direttori italiani hanno compiuto o stanno compiendo un percorso di sviluppo che li porti a competere con le varie scuole di direzione estere? Dario Tabbia: «Su questo punto sono molto ottimista proprio perché vedo molti direttori impegnati in seri percorsi di studio e aggiornamento. Ormai un giovane che voglia studiare la direzione di coro può trovare diverse valide alternative senza necessariamente doversi recare all’estero. Molto si può e si deve fare in questa direzione ma stiamo crescendo anche su questo». Piero Monti: «Ho visto un ottimo livello tra i direttori di atelier e di cori esibitisi in concerto. Avendo visitato alcuni atelier durante le lezioni ho potuto constatare l’eccellenza di quasi tutte le scelte: alcuni dubbi non tanto sul fatto tecnico quanto sulla capacità comunicativa e di insegnamento. I direttori che ho potuto vedere all’opera credo non abbiano nulla da temere in 10 11 diventare un coro, con una vastità di offerte di programmi da soddisfare tutti gli interessi; concerti di inaspettata bellezza, momenti di vero incontro di culture, intere fette di storia dell’umanità passata e presente si sono snocciolate agli occhi e alle orecchie dei presenti; sguardi nuovi, punti di vista nuovi da cui apprendere: impossibile rimanere indenni. Chi ha partecipato al festival automaticamente sarà fonte di nuova ventata per chi al festival non c’era». un confronto con i colleghi di altre nazioni. Ovvio che oltre a queste eccellenze ci sia ancora un’ampia platea di personaggi un po’ improvvisati; ecco: forse all’estero c’è un livello medio un poco più alto». Carlo Pavese: «C’erano 73 direttori italiani iscritti al programma specifico, e tanti altri con i loro cori e all’interno dell’organizzazione del festival. Poiché credo che misurarsi con le realtà di altri Paesi rimanga una tappa fondamentale nella formazione di un direttore, uno dei grandi meriti di Feniarco nell’aver portato il Festival Europa Cantat in Italia consiste nella possibilità data a tutti noi italiani di porci queste domande, trovare alcune risposte e ricevere molti stimoli nell’arco di una settimana di festival. Se è innegabile che tanto abbiamo da imparare, oggi la coralità italiana sa anche essere punto di riferimento e confronto per le altre realtà europee. Insomma è un dialogo proficuo: dobbiamo ascoltare attentamente, ma possiamo anche dire la nostra». Dal punto di vista della crescita della coralità italiana, quali sono stati i momenti e gli aspetti più qualificanti e produttivi del festival? Piero Monti: «Credo che il Coro Giovanile Italiano abbia fatto una bellissima figura e che possa essere stato un ottimo esempio per gli altri cantori italiani del livello che, con studio e volontà (e magari un buon direttore), si può raggiungere». Carlo Pavese: «E il Coro Accademia Feniarco ha saputo coniugare il sorriso e la comunicatività con la grande qualità, la dedizione, la flessibilità stilistica che lo contraddistingue, dimostrando inoltre che il vocal pop è un genere musicale di assoluta consistenza. Ma a citare qualcuno si fa torto ad altri poiché non solo tutti i cori, i direttori e i docenti, ma anche i membri dell’organizzazione hanno dato il meglio e hanno saputo trasmettere la sensazione di un progetto comune e di una prospettiva di crescita per l’intero sistema corale». Roberta Paraninfo: «Chi ha assistito al festival ha potuto portarsi a casa un infinito bagaglio di input di altissimo livello, di irresistibile emozione e duratura memoria: grandi direttori al lavoro negli atelier, da guardare e ascoltare mentre conducono con grande professionalità gruppi di coristi a L’evento di Torino ha avuto indubbiamente una risonanza mediatica cui non siamo abituati e che fa ben sperare per il futuro. Un festival come Europa Cantat Torino 2012 può aver contribuito a radicare il canto corale anche nell’orizzonte culturale dei nostri concittadini? Dario Tabbia: «La risposta che la città di Torino ha dato a livello di partecipazione al festival è stata non solo importante ma anche una sorpresa. Migliaia di persone in piazza ogni sera e tanta curiosità intorno ai singoli eventi sono stati un bel segnale. Sicuramente cittadini e amministratori hanno avuto un’idea più completa di cosa significhi cantare in un coro, un’attività non solo ricreativa ma soprattutto di grande qualità e spessore culturale». Nicola Campogrande: «Torino è una città con forti tradizioni musicali, e non a torto negli ultimi anni la si è definita la nostra “capitale della musica”. Lo shock benefico subìto con il Festival Europa Cantat, però, mi sembra che abbia spostato più avanti, e più in alto, l’asticella: la città ha scoperto che può cantare, tutta insieme, in piazza, e che lo può fare bene; e ha così capito in maniera intima, fisica, sulla propria pelle “massaggiata” dalla musica, la bellezza e la forza del canto corale. Ora questa esperienza, che siamo riusciti a trasmettere anche ai media, può riverberarsi su tutto il Paese: sarà compito dell’intero sistema corale fare in modo che ciò accada». Carlo Pavese: «Ripenso all’inizio di questa avventura: alle previsioni, ai progetti, agli impegni presi. Non tutti a casa nostra avevano avvertito la portata e l’importanza del festival, e in Europa grande era l’attesa di vederci alle prese con un compito così impegnativo. Adesso constato che le previsioni si sono rivelate azzeccate e in molti casi la realtà è andata ben al di là delle aspettative. Vedere le istituzioni cittadine e regionali quasi commosse di fronte a una città che canta, ricevere gli ammirati apprezzamenti dei colleghi di tutta Europa ci dice quale patrimonio di credibilità Feniarco e la coralità italiana abbiano costruito in patria e all’estero. La strada non è in discesa, ma ora forse la salita è più accessibile, e io confido che tutti i cantori e i direttori che c’erano abbiano capito e trasmettano il messaggio che se pedaliamo tutti, tutti vinciamo questa sfida». UNO SGUARDO EX CATHEDRA OPINIONI, COMMENTI, EMOZIONI DEI DOCENTI ITALIANI di Rossana Paliaga Tra i fattori che hanno reso il Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012 un’edizione da record sotto diversi punti di vista, l’ingrediente “non segreto” è stata senza dubbio l’Italia stessa, con le sue meraviglie artistiche, che ha attirato turisti della coralità da ogni parte del mondo. Insieme a loro forse anche noi italiani ci siamo guardati allo specchio con occhi diversi, riscoprendo dall’interno di questa grande comunità internazionale con in comune l’amore per lo stesso tipo di musica, che sotto il fardello di una decadenza economica e culturale ribadita con insistenza dalla cronaca quotidiana di un paese in crisi, l’Italia rimane ancora un fondamentale punto di riferimento culturale (e avrebbe il potenziale per esserlo anche al di là di eventi unici come questo festival). La macchina organizzativa del Festival Europa Cantat ha evidenziato la ricchezza di un Paese con grandi eccellenze professionali e artistiche, la città di Torino ha fatto il resto con l’innata eleganza della sua immagine ottocentesca, i musei, i caffè storici e facendo sfoggio in questa occasione di un carattere insolitamente mediterraneo che ha permesso a tutti i partecipanti stranieri di respirare quell’atmosfera particolare, calda e comunicativa che speravano di trovare al di là di ogni stereotipo. I torinesi hanno accolto con curiosità e senso di ospitalità la convivenza di dieci giorni con il “popolo magenta”, condividendo l’eccezionale interesse per i molti e vari concerti che sono stati per l’intera città un regalo gradito e spesso sorprendente. «Soltanto spostandomi dal luogo di un atelier a quello di un concerto mi ritrovo ogni giorno circondata di bellezza», confessa con entusiasmo una partecipante che conferma come un eventuale “problema” logistico si sia trasformato nell’opportunità di esplorare una città ricca di suggestioni storiche e artistiche. Ma al di là della cornice, il Festival Europa Cantat è riuscito anche nell’intento di ritagliare all’Italia, nel contesto internazionale del suo monumentale programma, uno spazio di grande valore, invitando a Torino musicisti ed esperti di alta caratura e fornendo modelli di composizione ed esecuzione esemplari, dal Vespro monteverdiano diretto da Davide De Lucia a composizioni in prima assoluta di Vacchi e Boccadoro. Sono stati molti anche i musicisti italiani in cattedra, ovvero i docenti invitati a condurre atelier dai temi molto vari con importanti approfondimenti sulla musica docenti giornalista dossIER 12 rinascimentale e barocca, ma senza trascurare vocal pop e improvvisazione, inoltre con qualche divertente divagazione contemporanea. Curiosamente non c’è stato sufficiente interesse da parte dei partecipanti per l’attivazione di un atelier specifico sui cori d’opera nel paese dell’opera, anche se una delle colonne sonore del festival in piazza San Carlo è stato il Nessun dorma pucciniano, che ha significativamente chiuso l’intera manifestazione nel segno della più riconoscibile e caratterizzante tradizione operistica. La rassegna dei docenti italiani presenta un ventaglio ampio di temi, sviluppati negli atelier principali, come anche nei quotidiani discovery atelier che hanno offerto un contatto informativo con diversi ulteriori argomenti, dalle tecniche di respirazione a chironomica, espressioni folk mediterranee e a vari metodi per migliorare il proprio potenziale vocale. È stata particolarmente affascinante l’esplorazione della fastosa dimensione musicale barocca sotto la guida di due personalità di grande rilievo nella pratica esecutiva di questo ambito musicale. Al direttore Filippo Maria Bressan è stato affidato l’incarico di accendere la “festa barocca” con il Dettingen Te Deum di Georg Friedrich Händel all’interno di un gruppo di studio fortunato per la buona preparazione di base dei coristi, che avevano però bisogno di un chiaro indirizzo a livello di stile. «Forse alcuni tra i partecipanti avevano qualche conoscenza della prassi esecutiva ma non si è percepito in modo determinante, perché tutti sapevano stare al loro posto, ordinatamente e con la coscienza del cantore che sa stare in gruppo senza emergere. Avevano tutti studiato la parte ma, come spesso avviene (e a volte è anche meglio…), la preparazione riguardava note, testo, intonazione. Nel mio atelier c’erano cantori singoli, gruppi di cantori di qualche coro, direttori, appassionati di musica barocca; il mio compito era quello di uniformare le varie preparazioni, amalgamare il tutto e preparare un coro compatto e omogeneo per una bella esecuzione. Lo stile esecutivo è stato approfondito durante le prove e la mia soddisfazione e contentezza era dovuta alla facilità che trovavo nel realizzare le varie idee musicali grazie all’entusiasmo, alla preparazione e alla duttilità che riscontravo giornalmente durante l’atelier. Per questo mi sono dichiarato fortunato: avevo un gruppo fantastico e un’atmosfera magica». Su queste condizioni ideali, Bressan ha potuto costruire l’analisi di un brano che offre molti spunti di scoperta delle caratteristiche ed esigenze del repertorio. «Questo Te Deum è una pagina händeliana splendida: ci sono la pomposità della musica a programma e lo splendore dello stile barocco, il virtuosismo corale, le fughe, i cori omoritmici, i “pieni sonori”, i colori degli strumenti e la presenza pulsante dell’orchestra, alternanze di “soli” e “tutti”, momenti pacati e altri sontuosi, le formule retoriche e gli abbellimenti stilistici, insomma, ci sono tutti quegli ingredienti che danno un’idea completa di come fosse la musica durante il periodo barocco e di come ci si debba approcciare per darne una lettura filologica, ma viva. Inoltre, essendo musica commemorativa di un evento, andava benissimo che le masse fossero numerose – e quindi adatte all’atelier – contrariamente a quanto si pensa di solito, e cioè che le esecuzioni avvenissero sempre e solo con gruppi esigui di esecutori. Non è consueto per i cori, in genere, eseguire musica con l’orchestra e questa è stata anche un’occasione molto appetibile per chi voleva uscire dalla coralità a cappella e ancor più per chi voleva entrare nel mondo barocco». Nel mondo barocco, quello irresistibilmente accattivante di Antonio Vivaldi, sono entrati anche i coristi di un altro atelier dedicato a una singola composizione, il Gloria. A differenza Il Festival Europa Cantat è riuscito nell’intento di ritagliare all’Italia uno spazio di grande valore. delle garanzie offerte dai partecipanti dell’approfondimento händeliano, appartenenti alla sezione c (cori e cantori audizionati e che arrivano preparati), è stata invece una combinazione curiosa quella formata dai coristi senza necessità di preparazione specifica (definiti come sezione a) e l’accreditato custode dell’eredità artistica vivaldiana Federico Maria Sardelli, uno dei massimi esperti del settore e attuale curatore del catalogo del compositore. Le coriste del suo atelier hanno ripercorso le orme delle musiciste del Pio Ospedale della Pietà a Venezia, per le quali è stato scritto il celebre Gloria. Alle volenterose coriste non è stato concesso nessuno sconto sulla vivacità dei tempi, alla quale vanno aggiunti gli esercizi sull’utilizzo stilisticamente e tecnicamente corretto del vibrato in funzione espressiva e del trillo. La sfida di una struttura complessa sotto un’immagine di totale chiarezza e apparente linearità ha permesso ai partecipanti di entrare nel laboratorio polifonico vivaldiano, 13 del quale Sardelli ha rivelato i meccanismi. «Vivaldi impostava tutti i brani considerando le parti di un gruppo misto. Questo significa che la parte di basso, eseguita all’ottava superiore, scavalcherà la parte dei tenori, facendo aumentare la luminosità del suono. La polifonia di Vivaldi è limpida, perfetta, tutto risulta chiaro, immediato, ma per ottenerla è necessaria una tecnica raffinatissima e composita. Tuttavia è abbordabile anche da cantori meno esperti, anche perché il compositore stesso aveva la necessità di scrivere per gruppi eterogenei a livello di preparazione musicale e vocale come era quello dell’Ospedale della Pietà, dove esisteva tuttavia la garanzia della dedizione allo studio della musica». Il concerto conclusivo di entrambi gli atelier barocchi citati si è svolto nella magnifica chiesa di San Filippo, che nonostante le imponenti dimensioni ha avuto seri problemi di capienza per l’eccezionale afflusso di spettatori, attirati da un repertorio particolarmente affascinante, eseguito con il supporto dell’orchestra da camera Academia Montis Regalis. La chiesa centralissima e molto amata dai torinesi è stata una delle numerose sedi di grande pregio dove sono stati ambientati i concerti del Festival Europa Cantat e che hanno costituito senza dubbio un valore aggiunto, una somma di emozioni musicali, architettoniche e artistiche. L’intenzione di esaltare il patrimonio locale e offrire ai partecipanti un contenitore di sorprendente bellezza ha portato anche alla felice decisione di trasferire il festival per una giornata intera nella reggia di Venaria Reale. Chi ha raggiunto la reggia nelle ore del mattino, dedicate allo studio, sarà stato certamente attirato dal canto proveniente dalla cappella di Sant’Uberto, dove ha fatto tappa uno degli atelier che hanno prodotto le sonorità più smaglianti ovvero il corso di policoralità sulla base dell’opera di Gabrieli e Hassler, condotto da più direttori tra i quali Marco Berrini. All’interno del programma concertistico sviluppato a Venaria Reale si è esibita anche la Compagnia del Madrigale, gruppo che da vent’anni si dedica al repertorio madrigalistico ottenendo consensi a livello internazionale. Il festival non ha perso l’occasione di coinvolgere i cantanti del gruppo anche nella conduzione di un atelier monografico, regalando ai partecipanti l’opportunità di vivere l’emozione della musica di Monteverdi con l’esempio diretto di un gruppo L’Italia rimane un fondamentale punto di riferimento culturale. dossIER 14 di grandi specialisti, tra i quali abbiamo chiesto a Giuseppe Maletto di spiegare il tipo di approccio con la sonorità e l’espressività specifica di questo repertorio. «Credo che il nostro atelier fosse l’unico che prevedeva la presenza contemporanea di quattro insegnanti. Abbiamo quindi offerto agli allievi la possibilità di cantare sia in coro che in gruppi più ristretti (uno o due per voce) e anche di avere almeno una lezione di tecnica vocale individuale ciascuno. Il punto principale è stato cercare di trasmettere qualcosa della nostra esperienza con Monteverdi e il madrigale, maturata in molti anni di frequentazione di questo repertorio. In generale abbiamo cercato di aiutare gli allievi a comprendere un po’ più a fondo il madrigale, trovare le giuste intenzioni espressive, la ricerca della sonorità adatta alle varie situazioni musicali. I gruppi erano seguiti a turno dai vari insegnanti, i quali hanno talvolta dato delle chiavi di lettura diverse, per far capire che l’interpretazione deve essere una ricerca personale. Il livello medio degli allievi era buono, forse l’errore più ricorrente è quello di non dare abbastanza attenzione al testo. La peculiarità della musica di Monteverdi è la sua “umanità”, può riuscire a coinvolgere a un livello molto profondo. Un certo atteggiamento tipico del corista non si addice a Monteverdi, per questo abbiamo insistito molto sulla necessità di non sentirsi solo coristi o cantanti ma anche attori, interamente coinvolti. Gli allievi sono stati veramente bravi e c’era un grande entusiasmo; sono riusciti a eseguire senza problemi l’intero programma dell’atelier al concerto finale». Nell’ambito della musica antica, l’Italia ha posto il proprio sigillo anche su un gioiello rinascimentale quale la Missa Papae Marcelli di Palestrina in un atelier di approfondimento filologico diretto con grande successo e un risultato finale pregevole da Paolo Da Col. Dal sacro al profano, per giocare anche con l’edonismo della buona tavola un gruppo di spiritosi coristi si è affidato all’altrettanto ironico Lorenzo Donati per cantare “in cucina”: in grembiule, con un mestolo al posto della bacchetta e l’accompagnamento dei profumi emanati dalla realizzazione delle ricette che di volta in volta hanno fatto parte delle prove, dell’esibizione e del “dopo concerto” comprensivo di assaggi. Che si sia trattato del gioco musicale, della sfida su repertori di maggiore impegno, del raccoglimento nello studio di brani di grande intensità, lo scambio di conoscenze e insegnamenti a diversi livelli è stato sempre il traguardo più prezioso del festival. Il confronto tra esperienze e provenienze diverse ha amplificato la portata didattica di ognuno dei percorsi di studio con un’opportunità di crescita globale che ha lasciato il segno negli adulti, ma in modo ancora più diretto nei bambini e nei ragazzi che in questa edizione del festival sono stati particolarmente numerosi. Nell’Europa Cantat dei giovani, i docenti italiani hanno potuto trasmettere le proprie competenze anche nel campo dei cori di voci bianche con l’impostazione e il repertorio Forever classical proposto da Mario Mora, fondatore della scuola di musica I Piccoli Musici e specialista della coralità infantile che ha unito nel suo gruppo di lavoro le esperienze di Oriente e Occidente. «Il gruppo era formato da bambini italiani provenienti da Padova, Udine e Torino, inoltre da un gruppo di coristi di Taipei che hanno fatto un po’ più di fatica per questioni di lingua. L’impegno è stato costante nel corso dell’intero atelier. Devo ammettere che non ho mai avuto problemi di comportamento e distrazione, tutti hanno dimostrato sempre grande attenzione. Abbiamo impostato innanzitutto un discorso sulla vocalità, cercando quindi di capire il suono che volevamo ottenere, poi abbiamo letto i brani, infine abbiamo impostato l’interpretazione. Il programma scelto prevedeva composizioni da una a tre voci, tra le quali brani di Saint-Saëns, Mendelssohn e autori italiani. La scelta degli autori è stata strategica per variare le difficoltà e lavorare sull’espressione. Ho scelto brani che mi hanno permesso di lavorare sui parametri fondamentali di suono ed espressione, irrinunciabili nell’approccio a un coro di bambini. Al di là del fatto che oggi molti prediligano la combinazione di canto e movimento, affrontata oltretutto da altri atelier anche all’interno del Festival Europa Cantat. Di fronte all’ampia diffusione di questo genere di esecuzioni coreografate sono del parere sia necessario fare distinzioni: il movimento integra e arricchisce l’esecuzione vocale quando è supportato da una solida impostazione vocale, non quando è utilizzato per nascondere difetti o lacune». La diffusione dilagante delle esecuzioni coreografate nei cori di voci bianche e giovanili è un fenomeno evidente a livello internazionale e la preoccupazione per l’allestimento di piacevoli facciate su contenuti artisticamente e tecnicamente deboli è assolutamente condivisibile. Lo stesso vale per l’indubbio fascino esercitato dagli arrangiamenti pop, ma in entrambi i casi esistono esempi validi della dignità del genere, come dimostra nei fatti un ambasciatore motivato, serio e preparato come il direttore, compositore e arrangiatore Alessandro Cadario che è stato la voce giovane dell’Italia degli atelier, il rappresentante della ricerca di strade non 15 accademiche e non convenzionali che rispondano a una maggiore adesione al tipo di musica nel quale si identificano i coristi (sempre più numerosi) di orientamento pop, ma anche dello spirito creativo di chi vuole esplorare il potenziale dell’elettronica. In entrambi i casi si tratta di generi che hanno ottenuto in tempi recenti una maggiore diffusione nel nostro paese. «Il jazz è entrato da poco nei nostri conservatori, mentre nelle università americane è presente ormai da molti anni, anche come pratica corale, e in Europa ci sono numerosi gruppi che da tempo si sono specializzati nel vocal pop con eccellenti risultati. Diverso è invece il discorso sull’elettronica live (preciso che non si parla, in questo caso, di arrangiamenti, ma di utilizzo di una strumentazione) poiché quello di Torino è stato il primo festival di Europa Cantat a ospitare un atelier che utilizzasse l’elettronica in tempo reale per sperimentare, ampliandole, le possibilità espressive di un coro “a cappella”. Fatte queste premesse, possiamo dire che la posizione dell’Italia, rispetto ai generi trattati negli atelier che mi riguardano, è in media la posizione dei cori, maestri, operatori culturali del mondo corale, quindi molto diversificata. Certamente non si può negare che il vocal pop si stia diffondendo ampiamente negli ultimi anni, in particolare grazie alla presenza di numerosi arrangiamenti corali anche di repertorio italiano, mentre precedentemente l’unica alternativa al repertorio “classico” era rappresentata dal gospel e dallo spiritual. Inoltre attraverso alcuni di questi arrangiamenti di ultima generazione, particolarmente articolati e ricchi di contenuti musicali, è anche possibile lavorare non solo sullo stile vocale e interpretativo specifico, ma anche mettere a frutto complessità armonico-strutturali e contrappuntistiche più tipiche della musica “colta”. Tornando all’elettronica, possiamo invece dire che questa proposta sia stata un fulmine a ciel sereno nella coralità amatoriale e per questo ringrazio la lungimiranza del direttore artistico del festival Carlo Pavese nell’aver voluto sperimentare il futuro corale anche attraverso il computer». Nello specifico, Cadario ha lavorato con due gruppi-laboratorio con organico internazionale che gli hanno offerto esperienze molto diverse. «L’atelier di Vocal hip-hop raccoglieva oltre 120 giovani cantori, alcuni dei quali avevo già avuto modo di apprezzare in passato; tra di loro il bravissimo coro Artemìa di Denis Monte e molti altri incontrati in questi anni tra uno stage e l’altro per l’Italia. In particolare ricordo i ragazzi da Trieste, Nuoro, Teramo, molti giovani spagnoli, tedeschi e infine anche un intero coro dalla Cina. Questo primo atelier è stato davvero divertente e ovviamente “movimentato” anche se tutt’altro che facile, poiché ho voluto proporre arrangiamenti con un certo grado di complessità che potessero, attraverso lo studio, segnare un momento di esperienza e crescita musicale, tanto più necessario nella cornice del festival di Europa Cantat. Il programma presentato, oltre a due hit del genere hip-hop internazionale (La la song di Bob Sinclair e Bongo Bong di Manu Chao) includeva Toujour dei Massilia Sound System, interpretato proprio dall’autore Papet Jali. Infine è stata molto apprezzata, negli arrangiamenti a cappella, la partecipazione dei beatboxers RoxorLoops (vice campione mondiale) e Nicola Pisano. Il secondo atelier, quello di improvvisazione e live electronics, è stato invece tutto da inventare e ha permesso (con la collaborazione all’elettronica di Stefano Bassanese del conservatorio di Torino) di realizzare un laboratorio molto interessante e innovativo. In questo caso il gruppo era formato da circa venti cantori, alcuni dei quali provenienti dal Brasile, dal Venezuela, qualcuno dalla Svizzera e poi uno zoccolo duro di bravissimi, curiosi e audaci studenti del liceo musicale e del conservatorio di Cuneo con i quali è stato davvero piacevole lanciarsi alla scoperta delle possibilità che offre il computer per interagire in tempo reale con la voce e inventare un nuovo modo di fare coro. Siamo quindi partiti dallo sperimentare un’eco virtuale su Orlando di Lasso fino a creare nuovi brani attraverso diverse tecniche di improvvisazione. Tutto bellissimo e “volato” troppo in fretta». Il confronto tra esperienze e provenienze diverse ha amplificato la portata didattica di ognuno dei percorsi di studio. dossIER 16 La coralità italiana è davvero internazionale! Gli italiani a Torino per il Festival Europa Cantat di Giorgio Morandi «Canto, emozione, passione, entusiasmo, multiculturalità… ma anche e soprattutto tanto impegno, dedizione, studio e sacrificio. Così potrei “sintetizzare” la mia incredibile avventura torinese come corista del Coro Accademia Feniarco. Un grande e impegnativo lavoro di preparazione durato un anno, lontano dalle luci del palcoscenico, preparati sotto l’eccellente e minuzioso insegnamento del nostro direttore Alessandro Cadario e successivamente seguiti e coordinati, per l’intero svolgimento del festival, dal direttore svizzero Michael Gohl. È loro che ringrazio fortemente per averci accompagnato in questo indimenticabile iter musicale che mi ha permesso di crescere musicalmente e professionalmente. In questa magica atmosfera ho infatti potuto godere della direzione di direttori di diverse nazionalità e accorgermi che l’unica lingua usata per comunicare era la musica: un linguaggio universale che non ha bisogno di parole per farsi capire ma lascia che siano le mani a scalfire l’aria e a trasmetterci il suo messaggio. Ma anche tanta paura di non sentirsi mai abbastanza preparati per svolgere un così impegnativo programma musicale davanti a una sconfinata platea di coristi provenienti da tutto il mondo! Per poi lasciare posto, la sera, alle luci della ribalta, all’emozione e alla voglia di coinvolgere ma anche di lasciarsi investire dal battito all’unisono di quei 5000 cuori uniti in un unico grande momento: la musica! Ma è difficile, per non dire impossibile, raccontare la magia e le emozioni che il Festival Europa Cantat mi ha regalato… E chi, se non lei, potrebbe raccontare perfettamente questo mio incredibile viaggio nel mondo musicale, alla scoperta di culture di popoli diversi, a momenti di associazione corale con persone di tutte le età e dei più svariati paesi. Ma soprattutto un momento di confronto, un dare e ricevere e tornare a casa culturalmente più ricchi di prima... La protagonista di Torino 2012 e della vita di tutti coloro che ne fanno la colonna sonora della propria esistenza... E allora lascio che sia lei a parlare, attraverso le sue armonie, i suoi colori e le sue dissonanze, di quest’avventura ormai parte indelebile del mio cuore: la musica» (Antonella Palmisano). Scopo di questo articolo è quello di provare a dare ai lettori – soprattutto se non hanno partecipato in nessun modo al Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012 – un’idea di come gli italiani iscritti al festival hanno vissuto questa grande manifestazione corale europea. Quella appena esposta a firma della giovane Antonella è una testimonianza molto interessante e intensa; in un certo senso potrebbe anche bastare poiché è sicuramente in grado di far immaginare molto di tutto il resto, ma il dovere di cronaca mi chiede di entrare in alcuni dettagli. Esattamente un anno fa mi è capitato di scrivere per Choraliter un testo dal titolo Coralità italiana… internazionale. È con piacere che, a soli dodici mesi di distanza, ma anche – questo è molto importante – dopo quattro mesi dal Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012, non posso resistere alla tentazione di trattare nuovamente, da un diverso punto di vista, esattamente quel tema. Sia ben chiaro fin da subito che la seconda trattazione non sconfesserà la prima, ma ne vorrebbe rappresentare un superamento in senso migliorativo ed estensivo. Per farla breve, se un anno fa parlavo di molti, sì, molti ma singoli rappresentanti della coralità italiana in “posti di rilievo” se non “posizioni di comando” dell’associazionismo corale internazionale, e quindi artefici dell’attività corale internazionale, ora, invece, credo di poter parlare a ragion veduta della coralità vera e propria, che in modo massivo (non ancora maggioritario o prevalente, è vero, ma siamo certamente sulla buona strada) è entrata a ogni livello e in ogni campo in quella inequivocabile e ben definita e sostanziosa arena internazionale che è stato Europa Cantat XVIII voluto a Torino da Feniarco la scorsa estate. Cominciamo restando per il momento ai freddi dati statistici, senza fare valutazione alcuna. Siamo informati che dei 3947 iscritti al festival provenienti da 36 paesi di tutto il mondo (il 32% erano maschi) ben 1272 (pari al 33% del totale) erano italiani; di questi 416 maschi e 855 femmine. Sappiamo anche che 888 italiani hanno frequentato gli atelier lunghi da 6-8 giorni, mentre 252 hanno frequentato i discovery atelier di uno o due giorni. Altri 73 italiani hanno partecipato al programma per direttori di coro, 13 hanno seguito gli atelier speciali e 9 il programma per compositori. Da uno sguardo alla tabella dei partecipanti provenienti dalle singole regioni balza all’attenzione immediatamente il fatto che, fatta eccezione per il Piemonte e il Friuli Venezia Giulia che da soli hanno fornito rispettivamente il 30% e 20% dei partecipanti italiani, le regioni del Centro-Sud sono state più presenti di quelle del Nord. Continuiamo con i dati statistici ricordando che i cori italiani presenti al festival sono stati ben 50, pari a oltre un terzo del totale. Fanno un belvedere in questa lista i cori dal Piemonte (12), quelli dal Friuli Venezia Giulia (9), dalla Campania (5), dalla Sardegna (4) e poi quelli dal Lazio, dalla Puglia e dal Veneto (3 per ogni regione), da Sicilia e Toscana (2) e da Valle d’Aosta, Trentino, Molise e Liguria (1 coro). E per finire: gli italiani si sono divisi su 37 dei circa 90 diversi atelier attivati nel festival. Questi dati sollecitano enormemente la curiosità circa i gusti corali espressi a Torino 17 dai partecipanti italiani, ma lo studio dettagliato e soprattutto l’esposizione in breve spazio non è facile. Ci si limiterà quindi a qualche indicazione esemplificativa. L’atelier più frequentato dagli italiani (67 voci bianche di 10-16 anni), per esempio, è stato Arvo Pärt: Our garden tenuto dall’estone Aarne Saluver. La Festival Guide descrive l’opera oggetto di studio come «messaggio interessante e ricco di umanità scritto nel 1959 ed eseguito a Torino nell’edizione del 2003 come progetto di ponte attraverso il tempo e i popoli». Molto gradito è stato l’atelier Yo Man in cui l’italiano Alessandro Cadario ha voluto far scoprire ai suoi allievi dal 14 ai 26 anni (tra cui 54 italiani) come le voci diventino un’orchestra vocale confluendo in esecuzioni mozzafiato. Ben 52 cantori hanno seguito l’atelier Spirituals (per voci miste) della statunitense Avis Denise Graves la cui voce ha voluto raccontare «una storia di continua evoluzione, da canti di lavoro a segnale per fuggire la schiavitù poi intonato alle funzioni e infine approdato alle sale da concerto». Seguito da ben 45 italiane (solo voci femminili) anche l’atelier Let’s Travel tenuto da Basilio Astulez (Spagna/Paesi Baschi) che ha proposto «un mix di ritmi popolari, moderne creazioni e armonie che portano i cantori dal nord al sud del mondo con l’accompagnamento di divertenti coreografie». Quarantatrè voci miste italiane hanno seguito The sound of silent film, l’atelier in cui il francese Loïc Pierre ha proposto «la prima esecuzione assoluta di un ciclo di composizioni realizzato da Jonathan Rathbone [presente al Festival] per sostituire in alcuni rari film muti del Museo del Cinema di Torino le voci degli attori con la potente poesia del coro in momenti di tragedia, di comicità e di danza». Tra gli atelier con minor presenza di italiani citiamo Beat Boxing and Body Percussion (gestito dall’austriaco Richard Filz e dal belga RoxorLoops) in cui tre partecipanti individuali italiani in otto giorni hanno voluto imparare a «usare il proprio corpo come una tavolozza dai tanti suoni oppure il microfono per riprodurre ogni tipo di strumento». Anche The Fascination of Gregorian Chant tenuto dal tedesco Alexander Schweitzer ha visto la presenza di solo cinque italiani per un «molteplice approccio al canto gregoriano affrontato come studio delle fonti, come canto liturgico pratico e come attenzione alla dimensione teologico-spirituale e quale esegesi della parola biblica». Solo otto giovani signore in Groovy Ladies tenuto dal belga Benoit Glaux si sono cimentate, invece, con «nuovi arrangiamenti di classici senza tempo pop e jazz… Elaborazioni innovative, in stile close harmony, 100% a cappella». Nove cantori, in Invitation to Baltic Song Celebrations con il maestro lettone Ints Teterovskis, hanno affrontato una scelta di repertorio popolare e di composizioni originali in lingua delle tre repubbliche baltiche. Tra gli atelier con media partecipazione degli italiani possiamo citare ancora Forever classical, l’atelier tenuto da Mario Mora che ha attirato trenta ragazzi italiani di 8-16 anni. «È difficile, per non dire impossibile, raccontare la magia e le emozioni che il Festival Europa Cantat mi ha regalato». dossIER 18 Partendo da M. Haydn, Mendelssohn, Weckerlin e Saint-Saëns e arrivando a Dipiazza e Zuccante i ragazzi di questo atelier hanno gustato «il piacere di cantare insieme con gusto, gioia e sensibilità». Gli italiani si sono cimentati anche in alcuni atelier più “pazzi” e originali, come Party music tenuto dal norvegese Kjetil Aamann che ha proposto «dipingiamo Torino di rosso! Cantiamo pop e disco music divertendoci un mondo… Se ti piacciono la musica in levare e le canzoni molto energetiche, questo atelier è il posto giusto per te». I buongustai italiani non mentono e non mancano! Sing it! Cook it!… Almeno una ventina di cantori italiani hanno seguito Lorenzo Donati, noto direttore di coro, compositore e “cuoco”! «Ricetta: cantare musiche antiche, musiche nuove, musiche scritte per l’occasione, tagliare, affettare, rosolare, cucinare e infine assaporare i sottili legami tra musica e cibo». L’ho visto (sì, io ho solo visto!), all’esibizione finale in teatro c’era anche dell’ottimo vino! E come poteva mancare? «Dovere», hanno detto i corsisti, per onorare l’invito di quel canto popolare che dice Insieme bevemo e in coro cantemo, insieme bevemo! Evviva l’amor! Oltre quaranta cantori italiani hanno partecipato all’atelier San Gloria con l’inglese Timothy Brown che con i suoi allievi ha affrontato lo studio di questo Gloria «davvero originale e di effetto, scritto per coro, organo e orchestra da camera dal compositore olandese-sudafricano Péter Louis Van Dijck, su temi dei San (Boscimani)». Esso riflette l’incontro tra la cultura africana e quella europea. Duke Ellington è l’atelier in cui, per quattro giorni, alcuni cantori italiani, con il direttore olandese Harold Lenselink, si sono dedicati allo studio di una selezione di quelle composizioni (per solo, coro e big band) che Duke Ellington – a 66 anni – aveva comporto per una serie di concerti nelle chiese americane, e che aveva definito come «la cosa più importante che io abbia mai fatto». Analizzata quale è stata la presenza degli italiani al festival, si può passare ora a vedere quale è lo spirito con cui gli stessi hanno vissuto il loro soggiorno e le loro attività in Torino. Non è possibile riportare i pareri, le emozioni, l’entusiasmo di tutti i partecipanti, sia perché non è possibile immaginare di incontrare nemmeno la maggior parte dei gruppi, dei cori, dei singoli, sia perché gli incontri con loro non sono mai stati frutto di appuntamenti giornalistici e interviste ben programmati. Sono stati incontri estemporanei (e senza possibilità di prendere appunti) durante le pause di attività, nei vari luoghi della città, magari nella vicinanza delle fontane di piazza Castello dove alcuni bambini, per esempio, stavano divertendosi con l’acqua, oppure sotto i portici di via Po mentre cantori e passanti (difficile dire con più precisione) si spostavano da un pannello musicale all’altro per intonare il canto in esso proposto, oppure lungo i muri dei grandi cortili o nei giardini di Venaria, o in occasione dei concerti di fine atelier nelle vicinanze del teatro Espace piuttosto che davanti alla chiesa di San Filippo o a quella di Santa Giulia o, anche, sulle rive del Po nel Parco Valentino, per non dire… semplicemente per strada durante qualche spostamento, come quando, per esempio, con piedi segnati da vesciche e con cellulare dimenticato in camera d’albergo, essendo alla ricerca di un taxi o della fermata più vicina di un tram, la Provvidenza mi ha materializzato sull’altro lato della strada «Davvero ho trovato nel festival di Torino quello che cercavo!» due cantori sardi con i quali poi ho parlato lungo tutto il tragitto in tram verso il centro città… Non è possibile quindi citare osservazioni particolari, espressioni specifiche di quel grande entusiasmo, di quella gioia per la festa che tutti, davvero tutti gli incontrati hanno espresso, con la gioia e la spontaneità dei ragazzi che si vedono fermati da uno sconosciuto il quale (presentatosi e motivata la ragione dell’interferenza) li incoraggia a esprimere il loro gaudio, il loro pensiero sulla speciale vacanza che stanno trascorrendo. È stato bello sentire un gruppo di ragazzi esprimere euforia per l’esuberante e istrionico direttore norvegese che li ha “stregati” col suo atelier, oppure per la bellezza della città che li ospita… Quale gioia incontrare il presidente dell’associazione regionale campana, nonché direttore di coro, che venendo a salutarci nell’ufficio di redazione di ReadyTOnews (il quotidiano del festival) sprizza entusiasmo e orgoglio per aver accompagnato ben cinque cori della sua regione e per avere lui stesso vissuto da semplice corista, per scelta precisa, una grande esperienza che comunque gli ha lasciato spazio anche per la frequentazione di iniziative rivolte ai direttori di coro. Il suo parlare, personale ma anche in nome dei propri cantori, è incondizionatamente positivo. Ed ecco poi l’incontro serio, quasi professionale, anche se estemporaneo, con un musicista che scopri accompagnatore di un coro giovanile del Veneto: appassionato, felice per l’esperienza che con la direttrice del coro e i genitori ha potuto offrire ai suoi ragazzi. La sua sincerità, spontaneità e convinzione non è sminuita, anzi è avvalorata dal suo far presente qualche difficoltà incontrata come accompagnatore, figura che nell’organizzazione generale del festival – a suo dire – doveva essere meglio considerata. È poi la volta di un coro giovanile torinese: dire che “gioca in casa” è dire esattamente cosa sta facendo. È ordinatamente disposto sulla gradinata che dai grandi corridoi dei palazzi porta all’estero sugli immensi cortili di Venaria. I giovanissimi cantori seguono attentamente le istruzioni verbali e gestuali della loro direttrice e offrono la loro stupenda musica al piccolo pubblico (60-80 persone) che hanno attirato in quel luogo. Al termine dell’esecuzione, durante lo spostamento presso un’altra sede di canto, avvicino il maestro accompagnatore e collaboratore 19 del coro che di buon grado accetta di parlarmi della loro esperienza al festival. È entusiasta, è positivo in modo assoluto, suggerisce un valore aggiunto all’esperienza del suo coro che è abituato a incontri ed esperienze internazionali di alto livello, anche se per la prima volta partecipa a un Festival Europa Cantat. La positività è espressa con parole e concetti precisi dal punto di vista tecnico, pedagogico, educativo, parole che il “giornalista” ora non sa nemmeno ripetere, ma ben ne ricorda accanto alla professionalità il senso profondo, la sincerità e il calore. Nel primo piazzale all’ingresso della Reggia di Venaria tra un capannello di persone riconosco il maestro Rathbone che affabilmente si intrattiene con un gruppo di persone. La lingua parlata è l’inglese, ma non è difficile capire che il gruppo è italiano; non ci vorrà molto a scoprirlo friulano. È un gruppo misto di giovani… maturi (teenagers lo furono forse otto o dieci primavere fa). Gente di confine verso est, gente di facili contatti e molte esperienze con altre culture, un coro che forse ci si potrebbe aspettare che sia abituato a certe situazioni. Ebbene, anche l’entusiasmo di queste persone è quello della prima volta in una grande occasione: positività, soddisfazione, gioia, gratitudine per chi ha inventato questa manifestazione e chi l’ha portata in Italia, in una delle più splendide città. Chi scrive non inventa queste emozioni, cerca con semplicità «Strepitoso poter incontrare persone ed esperienze di tutto il mondo». e in forma probabilmente fin troppo limitata il modo di descriverle e comunicarle a chi – peccato per lui! – a Torino non c’era e che solo attraverso questo testo potrà farsi una vaga idea di che cosa potrebbe trovare a Pécs (Ungheria) fra tre anni. Cantori, direttori di coro e dirigenti italiani, l’appuntamento è dal 24 luglio al 2 agosto 2015 a Hung(a)ry for Singing (Affamati di canto oppure L’Ungheria per il canto! Bello il gioco di parole e… l’avete visto l’adesivo rosso con l’impronta di un morso? Il morso della fame di musica!). A Pécs gli organizzatori ungheresi si sono «impegnati a uguagliare i più alti standard stabiliti dai colleghi italiani». Mano alle vostre agende e alla vostra programmazione. Siete avvisati per tempo! Resta da dedicare attenzione ad altre importanti categorie di italiani partecipanti a Europa Cantat XVIII di cui non si è ancora parlato, ma che meritano un accenno specifico. I dati forniti dall’organizzazione dicono che dei 194 direttori di coro presenti al festival, 73 (pari a circa il 38%) erano italiani. E dicono anche che dei 14 compositori presenti, ben 9 (64%) erano italiani. Ne consegue che non è semplicemente auto elogiativo affermare che anche in queste due categorie la coralità italiana era ben rappresentata. dossIER 20 E lo spirito dei partecipanti? Non è stato da meno di quello dei cantori: due compositori (qui scelti in rappresentanza della categoria) si dichiarano entusiasti sottolineando la quantità e la qualità delle opportunità che sono state loro offerte. «Fin troppe», secondo qualcuno che ha sentito in modo molto particolare il disagio di dover scegliere certe attività a scapito di altre ugualmente attraenti. Le tavole rotonde fra compositori sono ricordate con grande interesse, fino all’affermazione «e mi sono commosso» di un compositore non più di primo pelo. Gli incontri con Bonato, con Valtinoni, l’aspetto pratico, le indicazioni concrete, la musica bellissima… Grande, grande esperienza vissuta a Torino! E i direttori di coro? «Esperienza da rifare» è il commento più immediato e semplice. «Da giovane (ora l’anziana direttore di coro che sta parlando ha ben 19 anni!) cercavo questo. Davvero ho trovato nel festival di Torino quello che cercavo!». «Strepitoso poter incontrare persone ed esperienze di tutto il mondo» dice un direttore perugino che aveva iniziato elogiando «una grande organizzazione perfetta». E procedendo (da parte di chi scrive) per frasi mozze, semplici flash e frammenti di conversazione: «ottimi spunti e suggerimenti concreti immediatamente applicabili ai nostri cori… I discorsi avviati negli incontri proseguivano poi fuori in tutte le occasioni possibili… Interessante rilevare la presenza di problemi comuni nelle diverse aree geografiche europee e i modi e la sensibilità con cui vengono affrontati… Di ottimo livello i concerti… Grande levatura tecnica e umana dei tutor…» Ho voluto considerare a sé stanti e in modo specifico i nostri due grandi cori, il Coro Giovanile Italiano diretto da Dario Tabbia e Lorenzo Donati e il Coro Accademia Feniarco diretto da Alessandro Cadario. Ancora una volta a parlare non è chi scrive, ma sono i protagonisti. Diego e Marianna, per il cgi, raccontano di un’esperienza bellissima, di sensazioni strepitose quando si preparavano al «canto in presenza e con la collaborazione e direzione del compositore». Sono colpiti e sottolineano l’intesa e la fattiva «maggior creatività derivante dalla collaborazione direttorecompositore»; entrambi sono cantori che hanno avuto in Torino anche la possibilità di collaborazioni specifiche, uno in campo fonico con i tecnici professionisti alle prese con la microfonazione del Coro Accademia Feniarco, l’altra con la collaborazione come cantante lirica all’atelier dedicato alla musica operistica. Purtroppo i numerosissimi impegni non hanno permesso un grande vagare attraverso le tante attività del festival. Il contatto con molte altre coralità e la perfetta organizzazione li ha impressionati entrambi. Marco e Alessia sono invece membri del Coro Accademia Feniarco, colleghi e amici di Antonella che abbiamo conosciuto nel “preludio” a questo articolo. Anche loro, presissimi dalle numerose prove e concerti e dalla guida quotidiana dell’open singing con Michael Gohl hanno avuto poche possibilità di esplorare le altre attività e i concerti del festival. Ma sono entusiasti del maestro Gohl che, dice Alessia, «mi ha trasmesso profondamente l’idea e la convinzione che la musica non è una delle tante separate attività della vita ma è vera e completa esperienza di vita!». Sono entusiasti anche del maestro Rathbone con cui hanno lavorato e studiato alcune sue composizioni. «La partecipazione al festival con il Coro Accademia mi ha aiutato a crescere molto… Ora quando canto nei miei altri cori – dice Marco – ogni canto, ogni momento nel coro è un richiamo forte e diretto al festival che inoltre è stato grande occasione di incontro e di socialità. Ora ogni canto del compositore che ho conosciuto e con cui ho lavorato coralmente, anche cantato nel mio coro è diverso, è più intenso, è più compreso, condiviso e goduto». «Con la coralità ho avuto un grande insegnamento. Questa è stata la mia prima esperienza di canto corale – dice Alessia che nella vita è studente di fine corso di canto lirico – ed è stata decisiva, mi ha insegnato molto, mi è servita per trovare una parte di me stessa di cui, fino ad ora, ancora non avevo preso coscienza. Il trovarmi con tante persone sconosciute ma con cui condivido la stessa passione ha costituito un’esperienza di grande respiro, un’esperienza che mi ha arricchito e non solo dal punto di vista musicale». Ecco anche il pensiero di un attore del festival difficilmente classificabile in una specifica categoria. Al Festival Europa Cantat XVIII era presente come direttore del Coro Accademia 21 Feniarco, docente di più atelier, collaboratore di Feniarco da lunga data, già membro dello Youth Committee di European Choral Association - Europa Cantat: Alessandro Cadario. È un vulcano, anche mentre mi parla del festival, di come l’ha visto e vissuto lui. Inizia subito con un bel «ho trovato lo spirito della coralità italiana… l’inconfondibile marchio Feniarco». Alessandro riprende: «Nei miei atelier ho incontrato gruppi molto interessati, curiosi e simpatici. Per me è stata un’esperienza coinvolgente e innovativa, tutta un’unica scoperta in atto. Una presa di coscienza delle concrete possibilità di trovare un linguaggio comune tra competenze diverse in una sintesi innovativa che davvero spinge avanti. Vedo il festival anche come occasione di conoscenza, di contatti, di scambi, occasioni di opportunità di lavoro per me e per i nostri cori». E continua: «Grande lavoro ma anche strepitosa esperienza con il Coro Accademia Feniarco che è nato praticamente con il festival e che mentre questo cresceva e si perfezionava, a sua volta (il Coro Accademia) cresceva, fino a presentarsi così ben preparato a far fronte alle numerose attività richieste dal festival». Per finire dovremmo dire qualcosa anche dello staff organizzativo di Torino. Moltissimi gli italiani, e di che razza! Hanno creato e hanno fatto il festival, ma probabilmente sono coloro che ne hanno vissuto di meno la festa nella città e nella musica. Il loro godimento, peraltro ascoltato più volte in questi quattro mesi, credo si sia realizzato e manifestato in coincidenza dello scarico di tensione, del venir meno degli impegni operativi, quindi un po’ a posteriori, nel rilevare con soddisfazione sincera e corretta e nel sentirsi dire che il festival è stato grande, è andato in modo egregio grazie al loro grande lavoro! Non è né possibile né ammissibile evitare un accenno al protagonista (in senso letterale primo attore) di tutto, Sante Fornasier, presidente di Feniarco e (all’epoca) presidente di European Choral Association - Europa Cantat. Forse lo metto lievemente in imbarazzo, ma so che gli farebbe piacere il titolo di Primo Italiano al Festival. Caro presidente, è solo il più piccolo dei tuoi collaboratori che te lo dà, ma il titolo è tuo, tutto e con grande merito! Italiani al Festival sono stati anche le centinaia di volontari di Torino. Preziosissimo il loro lavoro svolto con entusiasmo. Forse il meno musicale in se stesso, ma componente importante per la generale armonia del festival. Calzano a pennello – per concludere la nostra analisi senza pretese sugli “italiani al festival” – alcune frasi colte tra i discorsi di diversi direttori di coro. «Bella la partecipazione italiana, con tanti giovani che hanno colto l’importanza e la responsabilità e l’onore si partecipare al grande evento Festival Europa Cantat». E ancora: «soprattutto, e ciò mi rallegra, ho incontrato giovani direttori (o aspiranti tali) molto preparati e con le orecchie bene attente a cogliere segreti e/o trucchi del mestiere». La festa è finita! Sì, così si usa dire, ma per conoscenza personale diretta posso affermare che fortunatamente è un’affermazione errata in questo caso. La partecipazione all’assemblea autunnale di Feniarco a Bolzano e all’assemblea annuale di European Choral Association - Europa Cantat a Toulouse, gli incontri di persona, quelli telefonici e telematici avuti con molte persone in Italia e all’estero in questo periodo sono dimostrazione inequivocabile che la festa continua… Non c’è dubbio. La coralità italiana è davvero internazionale. «La musica non è una delle tante separate attività della vita ma è vera e completa esperienza di vita!» 22 choraldisC 23 READY TO SING Echi dal Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012 In allegato a questo numero di Choraliter, presentiamo una selezione dai concerti registrati dal vivo in occasione del Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012. Un’antologia musicale che vuole raccontare suoni e suggestioni dal festival, fissando nella memoria gli echi di questa straordinaria esperienza. Di seguito i contenuti dettagliati delle singole tracce. A tutti i lettori di Choraliter, buon ascolto! 1 Candombe de San Baltasar (L. Cangiano) Landesjugendchor Rheinland-Pfalz (DE) dir. Martin Ramroth Chiesa di San Filippo, 29 luglio 2012 2’59” 10 Veni sancte spiritus (G. Bonato) 8’59” Coro Giovanile Italiano (IT) / dir. Lorenzo Donati Brano in prima esecuzione, commissionato da Feniarco Reggia di Venaria, 30 luglio 2012 2 Ne timeas Maria (T.L. de Victoria) Coro Giovanile Italiano (IT) / dir. Dario Tabbia Chiesa di San Filippo, 29 luglio 2012 2’42” O beata et gloriosa Trinitas (G.P. da Palestrina) Coro Giovanile Italiano (IT) / dir. Dario Tabbia Chiesa di San Filippo, 29 luglio 2012 3’29” I himmelen (E. Grieg) Norges Ungdomskor (NO) dir. Tone Bianca Sparre Dahl Conservatorio “G. Verdi”, 1 agosto 2012 5’26” 3 11 4’12” 4 13 Laulud pulmades õpitud (V. Tormis) Eesti Koolinorte Segakoor (EE) / dir. Taavi Esko Conservatorio “G. Verdi”, 31 luglio 2012 3’42” Ave Virgo gloriosa (G. Frescobaldi) 4’16” Coro Maghini (IT) / dir. Claudio Chiavazza Viola da gamba: Massimo Sartore, Chiara Torrero Tromboni: Marco Gaggioni, Floriano Rosini Violone: Marco Angilella / Organo: Chiara Marcolongo Real Chiesa di San Lorenzo, 31 luglio 2012 12 Farewell (E. Miaroma) Atelier C5: Made in Italy / dir. Dani Juris Conservatorio “G. Verdi”, 3 agosto 2012 1’35” 5 Nisi Dominus (C. Monteverdi, dal Vespro della Beata Vergine)4’32” Ensemble vocale Orologio & La Compagnia del Madrigale (IT) / dir. Davide De Lucia Ensemble strumentale Orologio & La Pifarescha Chiesa di San Filippo, 1 agosto 2012 14 La notte bella (M. Zuccante) Atelier A2: Forever Classical / dir. Mario Mora Pianoforte: Valentina Crisci Chiesa di Santa Giulia, 2 agosto 2012 del festival europa cantat xviii torino 6 Ich lasse dich nicht, BWV 159a (J.S. Bach) Atelier D3: Bach: Motets / dir. Erik Van Nevel Landesjugendchor Niedersachsen (DE) Nederlands Studenten Kamerkoor (NL) Academia Montis Regalis (IT) Chiesa di San Filippo, 2 agosto 2012 5’18” 3’50” 7 4’57” 16 È questo il mare? (F. Vacchi) Estonian National Male Choir (EE) dir. Mikk Üleoja Brano in prima esecuzione, commissionato da Europa Cantat Torino 2012 Lingotto, Auditorium “G. Agnelli”, 2 agosto 2012 17 Sacred concert: finale (D. Ellington) Atelier B16: Duke Ellington’s Sacred Concert dir. Harold Lenselink WTS Big Band / Soprano: Diana Torto Lingotto, Sala 500, 31 luglio 2012 2’55” 8 Nüüd ole Jeesus Kiidetud (T. Körvits) Atelier C1: Arvo Pärt: Our Garden dir. Aarne Saluveer Orchestra Sinfonica Regionale della Valle D’Aosta Auditorium RAI “A. Toscanini”, 1 agosto 2012 5’03” 9 Lux aurumque (E. Whitacre) Atelier D2: Eric Whitacre’s Music dir. Ragnar Rasmussen Cantanima (AT) / Eesti Koolinorte Segakoor (EE) Landesjugendchor Rheinland-Pfalz (DE) Norges Ungdomskor (NO) Lingotto, Auditorium “G. Agnelli”, 2 agosto 2012 3’43” di Lorenzo Montanaro responsabile ufficio stampa 15 Drei volkslieder aus dem Luzerner Hinterland (H. Zihlmann) Choeur Suisse des Jeunes (CH) dir. Andreas Falber e Dominique Tille Conservatorio “G. Verdi”, 31 luglio 2012 In monte Oliveti (P. Uusberg) Estonian National Male Choir (EE) dir. Mikk Üleoja Chiesa di San Filippo, 3 agosto 2012 quando il coro fa notizia 3’51” 2012 Sono le 16.45 di sabato 28 luglio. Piazza Castello, cuore della città di Torino, comincia lentamente a riempirsi. La gente forma piccoli gruppi: un po’ ovunque si vedono chiazze di magliette magenta e foulard colorati. Tra meno di un’ora un coro di 4.000 voci intonerà a canone Signum di Thomas Tallis, dando ufficialmente inizio al Festival Europa Cantat XVIII. Una decina di giornalisti e fotografi si ritrovano sotto il Palazzo della Regione Piemonte, che si affaccia proprio sulla piazza. Ai piani alti dell’edificio squilla un telefono. «Pronto. Senta, siamo qua sotto». Il tono è gentile, quasi di scusa. «Vorremmo salire sul tetto per fare delle foto. Ci aspettavamo un raduno di patiti del canto, roba per pochi intenditori. E invece sono arrivate migliaia di persone da tutto il mondo. Uno spettacolo. Ora i giornali si aspettano delle immagini d’effetto». Forse possono bastare queste poche parole per raccontare lo stupore con cui la stampa italiana ha accolto Europa Cantat, novità assoluta per la città di Torino e per l’intero Paese. Fino all’inizio della manifestazione il mondo dei media è stato cauto, a tratti anche un po’ scettico nei confronti dei numeri annunciati dall’organizzazione, numeri così imponenti da dar l’idea di essere “pompati”. Ma una volta apertosi il sipario è risultato evidente che la marea multilingue e multicolore assiepata in piazze, chiese e teatri era una vera notizia e non una semplice curiosità. Così voci e immagini del festival hanno iniziato a conquistare televisioni, radio, carta stampata e a diffondersi nella galassia internet. I professionisti ufficialmente accreditati erano una cinquantina tra cronisti e fotoreporter, sia italiani che esteri. Ma molti di più sono quelli che a vario titolo hanno seguito la manifestazione. Proviamo a fare una rapida carrellata sulle testate presenti, partendo da quelle nazionali per arrivare alle realtà locali. Durante tutti i dieci giorni di festival, concerti e atelier sono stati seguiti da telecamere e microfoni della Rai. Due troupe di ripresa hanno cercato di tener dietro al vortice di eventi in programma, spostandosi di continuo da un luogo all’altro, sia a Torino che in altri spazi della regione. Il risultato di questo lavoro imponente e condotto con rigore è un documentario di oltre quaranta minuti, andato in onda nell’ambito del programma La Musica di Rai 3. I curatori hanno cercato di “fotografare” lo straordinario affresco corale da diverse angolazioni: ci sono le immagini delle esibizioni e delle prove, ma anche numerose interviste con direttori, docenti, artisti, organizzatori e volontari. Ne emerge un efficace collage di voci e suoni che, pur non volendo né potendo essere esaustivo, riesce a restituire il clima di contagioso entusiasmo che si respirava nei giorni del festival. Numerose immagini degli eventi principali sono state catturate anche dalle redazioni Rai del Piemonte (che ha dato ampio il coro 24 spazio al festival nei telegiornali regionali) e del Friuli Venezia Giulia (una presenza significativa, che ribadisce il legame forte esistente tra questa regione e Feniarco). Prime assolute, sperimentazioni e open singing hanno attirato l’attenzione del programma Radio 3 Suite (in onda su Rai Radio 3), che, sempre a caccia di stimoli e novità dal mondo musicale, ha saputo raccontare l’evento “di massa” con approfondimenti, interviste e collegamenti dalle piazze torinesi. Grazie anche a una preziosa collaborazione con la Città di Torino e la Regione Piemonte, l’attenzione della carta stampata è stata alta. Il fascino del Festival Europa Cantat non è sfuggito ai “padroni di casa” del quotidiano La Stampa. Il giornale diretto da Mario Calabresi ha seguito la manifestazione quasi giornalmente, con contributi nelle pagine locali e nell’edizione nazionale. Alle semplici enunciazioni del programma e delle opportunità per i cittadini si sono aggiunti articoli diversi, incentrati sulla bellezza e sul senso del cantare insieme (significativa una lunga intervista con l’artistic manager Carlo Pavese, protagonista anche di un video pubblicato sul sito internet lastampa.it) e pezzi di colore dedicati agli aspetti più estemporanei del festival (le lingue, gli abiti caratteristici, le mille esibizioni spontanee in strada, in coda per i concerti e perfino sui mezzi pubblici). Anche La Repubblica ha seguito l’evento con assiduità e notizie relative al Festival Europa Cantat sono comparse su diversi quotidiani, tra cui Il Corriere della Sera e Avvenire, oltre che sui settimanali Gente e Nuovo. Non solo. La kermesse torinese ha mobilitato anche un gran numero di testate locali. Citarle tutte non sarebbe possibile, ma è importante sottolineare la loro eterogeneità. Se l’attenzione di una rivista specializzata come Sistema Musica (da anni punto di riferimento per tanti appassionati, soprattutto del panorama classico) era in qualche modo prevedibile, non sono mancate le presenze “a sorpresa”. È il caso di Radio Flash, emittente torinese piccola, ma con una lunga storia alle spalle. Normalmente si occupa di musica indipendente ed è un trampolino di lancio per tanti gruppi emergenti pop e rock. In occasione del festival, però, ha voluto aprire una finestra sul canto corale, seguendo con una diretta la sfilata d’apertura in piazza Castello. Alle testate di stampo più tradizionale, come Torino Cronaca, si sono affiancate le novità del giornalismo digitale, dal Quotidiano Piemontese (neonato giornale on-line del Piemonte) alla rivista culturale internet Traspi.net. Preziosa anche la presenza de La Voce del Popolo, settimanale della Diocesi di Torino, che ha raccontato con entusiasmo soprattutto i concerti di musica sacra e le proposte per famiglie. Un discorso a parte va fatto per la stampa internazionale. A differenza dei colleghi italiani (interessati di solito più alle “masse” che ai singoli concerti e a tratti perfino disorientati dal turbine di eventi in programma) i cronisti esteri sono arrivati al festival con le idee molto chiare. Quasi tutti avevano già partecipato a edizioni precedenti e quindi erano a caccia di dettagli, di piccole e grandi sfumature che permettessero di apprezzare le peculiarità torinesi. Alcuni avevano uno o più cori “di riferimento” che desideravano seguire in tutti gli spostamenti. Hanno partecipato giornalisti da diversi Paesi, europei e non: dalla Germania alla Slovenia, dai Paesi Bassi al Brasile. Ma c’è uno Stato che ha saputo in qualche modo imporsi: è la Finlandia. In questa terra, dalla tradizione corale solidissima, il canto ha un posto di assoluto riguardo sui giornali e nei palinsesti radiotelevisivi. Lo dimostra il fatto che la Radio Nazionale Finlandese abbia Voci e immagini del festival hanno iniziato a conquistare televisioni, radio, carta stampata. realizzato uno speciale sul Festival Europa Cantat, trasmesso nell’ambito di un programma espressamente dedicato al canto corale. Uno spazio ad hoc, quindi, e non un generico “contenitore musicale”. E forse (viene da aggiungere) trasmesso in una fascia oraria accessibile (e non a orari improbabili, come di solito accade in Italia, dove pure esisterebbe una tradizione corale di inestimabile valore). Piccoli dettagli che dovrebbero far riflettere. Ma forse il Festival Europa Cantat è servito anche a questo. composizione e coro: una miscela esplosiva Intervista a piero caraba a cura di Walter Marzilli Carissimo maestro Caraba, la tua attività professionale ti vede protagonista come compositore ma anche come direttore di cori e di orchestre. Quale delle due passioni è nata per prima? Ti chiedo anche se nel tuo percorso formativo hai incontrato un ispiratore che ha acceso in te l’interesse per il coro. La passione per il coro e per la composizione nascono insieme e, come spesso accade, tutto dipende dalle persone che si incontrano, soprattutto tra i docenti. Nel liceo classico che frequentavo (il Giulio Cesare di Roma) c’era un’ottima attività teatrale ed è proprio lì che ho cominciato a scrivere le mie prime musiche e ad ascoltarle già subito eseguite “in diretta”. Naturalmente c’era anche un coro al liceo, il Giovanni De Antiquis (tutt’ora attivo a Roma), fondato dal maestro Franco Potenza, e io ne ero il pianista accompagnatore… Insomma, composizione e coro, una miscela esplosiva per il mio desiderio di esprimermi e comunicare. Ho quindi frequentato il Pontificio Istituto di Musica Sacra, un luogo deputato per eccellenza, di cui tu conosci bene la valenza visto che hai l’onore e il piacere di farne parte come docente. Ancora oggi mi emoziona, quando torno in quei luoghi, quell’atmosfera musicale raccolta e vivace allo stesso tempo… Sono profondamente grato ai maestri che ho incontrato in quegli anni preziosi e onorato per aver potuto studiare con loro. Grandi personalità musicali: Armando Renzi, Eugène Cardine, Domenico Bartolucci e, fondamentale per la mia formazione di compositore, Vieri Tosatti. Con lui, in seguito, presso il conservatorio di Santa Cecilia, ho conseguito i diplomi di composizione e di musica corale e direzione di coro. A proposito di gratitudine, consentimi di citare anche Giorgio Kirschner, mio insegnante di direzione di coro in conservatorio, allora anche direttore del coro dell’Accademia di Santa Cecilia, che, tra l’altro, mi ha generosamente donato molte delle sue partiture, e Padre Evangelista Nicolini, direttore dei Cantori di Assisi, del quale per oltre dieci anni sono stato aiuto maestro. Con quest’ultimo ho avuto la possibilità di fare un’enorme esperienza di coro proprio sul campo, non solo ad Assisi e in Italia ma anche in giro per il mondo. Con lui ho diretto il coro in concerti in Terra Santa, Australia, Brasile, Germania, Francia… puoi immaginarti con quale slancio ed emozione! piero Hai nominato il caro Vieri Tosatti, che ho avuto anch’io la fortuna di poter apprezzare negli anni di studio al Pontificio Istituto di Musica Sacra, ormai non vedente, ma con un orecchio raffinatissimo: cosa ti ha lasciato? Tosatti era molto contrario a un certo tipo di avanguardia che portava a soluzioni estreme e in taluni casi, molto probabilmente, esagerava nel compositorE 26 Piero Caraba_______ Piero Caraba è nato a Roma nel 1956. Dopo gli studi classici ha compiuto studi musicali presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma, ove ha conseguito il magistero in canto gregoriano sotto la guida (tra gli altri) dei maestri Cardine, Baratta, Bartolucci, Tosatti. Successivamente, presso il conservatorio di Santa Cecilia in Roma si è diplomato in composizione e quindi in musica corale e direzione di coro sotto la guida di Vieri Tosatti e Giorgio Kirschner. Ha condotto dal 1983 al 1986 le trasmissioni di musica classica dallo storico canale radiofonico RaiStereoDue della Rai; successivamente ha realizzato un ciclo di trasmissioni sulla storia della musica polifonica per la Radio Vaticana. Autore di musica strumentale e da scena, ha composto per diversi organici cameristici, per orchestra e per coro. Gli sono state commissionate numerose composizioni, gran parte delle quali sono inserite nel repertorio di importanti complessi corali italiani ed esteri e hanno costituito “brano d’obbligo” nelle edizioni di numerosi concorsi. I suoi lavori sono pubblicati da diverse case editrici (Suvini Zerboni, Carrara, Verlag Helvetia, Feniarco Edizioni Musicali); per lo studio, oltre a Fondamenti pratici d’armonia (Ricordi Editore, Milano, 1988), giunto alla terza ristampa, ha pubblicato il trattato di forme musicali Le forme della musica, scritto in collaborazione con Carlo Pedini (Editrice Sinfonica, Milano, 2010). Dal 1988 al 1998 è stato vice maestro dei Cantori di Assisi e direttore del Coro del Kalendimaggio di Assisi. È membro della Commissione Artistica dell’Associazione Regionale Cori del Lazio di cui è stato uno dei soci fondatori insieme a Domenico Cieri. Ha fondato e diretto il Coro Città di Roma; è stato direttore dell’Insieme Vocale L.A. Sabbatini di Albano Laziale; ha diretto la Camerata Polifonica Viterbese con la quale ha realizzato numerose produzioni per il Festival Barocco di Viterbo; a Bastia Umbra, attualmente, è direttore del Coro Città di Bastia. Dal 2006, anno della fondazione, è direttore artistico e musicale dell’Orchestra Sinfonica di Civitavecchia. Dall’anno accademico 1981-82 è docente presso il conservatorio di Perugia per le materie Teoria dell’armonia e analisi nell’ordinamento del triennio, e Analisi delle forme compositive nell’ordinamento dei corsi superiori di secondo livello. Ha fatto parte del Consiglio Accademico del conservatorio di Perugia dal 2010 al 2012. Dal novembre 2011 è Direttore Artistico della Fondazione Guido d’Arezzo. suo giudizio senza appello. Di sicuro è lui che mi ha trasmesso l’idea che, affinché una composizione musicale abbia ragion d’essere, è necessario fare i conti con i suoi pilastri fondamentali: il progetto, la struttura e il logico utilizzo dei mezzi armonici e melodici. Sono convinto che oggi, molto spesso, può accadere che si scambi il comporre, e segnatamente il comporre per coro, con una ricerca esasperata di situazioni “ad effetto” che mostrino le abilità dei cantori, piuttosto che la bravura del compositore nel mettere a disposizione degli esecutori un materiale dal quale emerga la musicalità vera e propria, che è ben altra cosa. E il direttore come si colloca in tutto questo? Uno dei compiti preziosi ma anche costitutivi del direttore è quello di educare i propri coristi a ben distinguere la suggestione dall’emozione. Posso ascoltare o eseguire un brano e rimanerne suggestionato sul momento e la cosa finisce lì; d’altro canto, invece, un’emozione è una esperienza più profonda, duratura, lascia una traccia indelebile che ci trasforma, e questa condizione ideale si genera solo in presenza della vera arte. Naturalmente il direttore è il primo chiamato a saper operare questa distinzione! Per operare questa distinzione il direttore ha bisogno di possedere alcuni strumenti. Quali sono i più importanti secondo te? La risposta è semplice e naturale: è necessaria una profonda e quanto più vasta possibile cultura musicale generale, non solo corale. Anche il gusto personale ha bisogno di essere coltivato e nutrito dalla più ampia conoscenza oltreché dalla capacità, ad esempio, di compiere un’analisi almeno strutturale di una composizione. Non ci dimentichiamo che la musica si esprime attraverso le sue forme, e dunque conoscere la forma di un brano significa essere più vicini alla comprensione del suo contenuto. Il direttore deve essere in grado di spiegare al coro (ma principalmente a se stesso) come è fatto l’oggetto musicale che sceglie e dunque perché lo sceglie. A questo punto si presume che ne abbia compreso la sua reale valenza estetica. A quale aspetto del comporre è legata attualmente la tua attività? Il coro è sempre nei tuoi pensieri? Ultimamente mi sto dedicando solo alla composizione strumentale, per ragioni contingenti e di committenze, ma di certo una cospicua parte della mia produzione riguarda la musica corale. In particolare, vorrei sottolineare il repertorio che ho scritto per voci giovanili e bianche legato al binomio Caraba-Ottobre. La collaborazione con Alfonso Ottobre è iniziata per gioco nel 1995 quando abbiamo presentato, a un concorso di composizione, due brani su scala pentatonica [Le dita di una mano e Cinque petali di rosa, n.d.r.] con i quali abbiamo vinto sia il primo che il secondo premio. Da allora abbiamo continuato a collaborare. Comporre per voci giovanili o bianche è una grande palestra per chi vuole scrivere per coro. I ragazzi cantori non si possono “imbrogliare”; o scrivi qualche cosa che funziona per davvero, oppure al massimo dopo aver cantato un brano una prima volta, poi non ne vogliono più sentir parlare. Anche lo sperimentalismo e i nuovi linguaggi devono funzionare di fatto, avere una valenza estetica, contribuire alla creazione del bello favorendone la percezione in toto, altrimenti non sono musica ma, al massimo, possono essere considerati delle “prove tecniche”. Hai accennato alla tua collaborazione con Ottobre, ma so anche che hai avuto un contatto particolare con il pop-rock italiano… Ho avuto altre collaborazioni significative, ma tu ti riferisci a quella con Francesco Di Giacomo [autore dei testi e voce solista del gruppo Banco del Mutuo Soccorso, n.d.r.]. Mi ha fornito il testo per Globlob su commissione del Coro Città di Roma, e sempre con lui come voce solista è stata realizzata una singolare produzione in collaborazione con la Schola Cantorum e l’Orchestra Sinfonica di Civitavecchia. 27 costituirà uno dei canali di maggior rilievo per ristabilire una sorta di filo diretto in particolare con i cori italiani, fattore che, negli anni, si era andato affievolendo. Altro obiettivo di cui, in questo ruolo, sento l’urgenza è la valorizzazione dell’eredità musicale del Polifonico. Già nell’edizione 2012 abbiamo realizzato una mostra fotografica e documentale sulla storia del Concorso, ma ciò che mi preme è la valorizzazione dell’immenso archivio musicale che giace in Fondazione in attesa di essere catalogato e schedato. Mio desiderio è quello di metterlo a disposizione del mondo corale. Si fa sempre più pressante nell’ambiente corale la necessità di una caratterizzazione del repertorio. Il panorama è molto vasto, e la tecnologia multimediale può essere di grande aiuto, ma si possono riconoscere dei pericoli nella corsa alla novità e allo sperimentalismo? E come si pone il Concorso di Arezzo in tutto questo? Sono convinto che a un concorso corale debba principalmente essere premiata la musica in toto di un coro e non solo la capacità tecnica che, in ogni caso, deve essere al servizio della musica. E qui si torna alla necessità di una consapevole scelta repertoriale che sappia distinguere tra composizioni ricche di musica e brani, pur interessanti tecnicamente, ma che di musica sono privi del tutto o quasi. Questo aspetto a mio parere deve assumere sempre maggior peso e divenire punto essenziale di riferimento per le giurie, per i direttori e non ultimo per i compositori. Ci vorrà un po’ di tempo ma penso che la necessità di rimettere al primo posto la musica Un’emozione è un’esperienza profonda, duratura, lascia una traccia indelebile che ci trasforma. La tua nomina a direttore artistico della Fondazione Guido d’Arezzo è piuttosto recente. Quali sono gli obiettivi che ti sei posto nell’accettare questo importante incarico? Sento molto la responsabilità di questo delicato e prestigioso incarico. Ringrazio il Presidente della Fondazione Carlo Pedini che mi ha chiamato ad Arezzo offrendomi peraltro la più ampia fiducia e possibilità operativa. Di certo la congiuntura economica non è favorevole e non aiuta nella realizzazione di un rinnovamento ormai ineludibile. Il primo obiettivo che mi sono proposto è quello di riavvicinare la Fondazione e il Concorso ai cori, e in particolare ai cori italiani (comprese le voci giovanili e bianche) creando un clima che, pur mantenendo l’autorevolezza propria del concorso corale più antico d’Europa, metta la musica al primo posto e non solo la competizione fine a se stessa; la presenza ad Arezzo deve trasformarsi sempre più per un coro in una importante occasione e opportunità di scambio e arricchimento culturale. Naturalmente il consolidamento del rapporto con Feniarco tornerà a prevalere sulla moda di esibire brani, a volte lunghi e difficili, pieni di sequenze a effetto che si susseguono senza una linea costruttiva e comprensibile che li sostenga. Se decidiamo invece che la musica non è poi così importante e che il coro debba essere solo un momento ludico e interessante sul piano tecnico, allora può andar bene tutto, “effetti speciali” compresi. È già stato definito il programma della prossima edizione del Polifonico: ci puoi dare una anticipazione dell’edizione 2013? Cosa bolle in pentola? Uno dei numerosi momenti importanti dell’edizione 2013 sarà la presenza dei cinque cori vincitori dei Gran Premi Europei 2012, per disputare, quest’anno ad Arezzo, la finalissima (il 28 agosto); un confronto ad altissimo livello dunque, dal quale tutti potranno trarre insegnamenti, idee, spunti di approfondimento e nuove conoscenze di repertori. Naturalmente tutti gli amici di Choraliter saranno i benvenuti! compositorE 28 Principali composizioni corali di Piero Caraba Coro misto Titolo Testo Organico Antiche Laudi Laudario Cortonese satb, Antiqua Sacra Imago A. Ottobre ssatb Pizzicato Verlag Helvetia Ascesi Francesco d’Assisi ssattb in Contemporaneamente, Mel (Bl), 2011 Bolle P. Artusi satb Cantico di Simeone Lc 2, 29-32 satb Come un sasso A. Ottobre satb D’altre laudi Laudario Cortona s Dialogo notturno A. Ottobre ssaa Globlob F. Di Giacomo ssaattbb, Laudes 1 Cor. 13, 4-8 satb Missa SS. Floridi et Amantii Edizione 4 ottoni e fl Erreffe Ed. Mus., Roma solo, ssa - ttbb in Melos 1, Feniarco/Carrara Pizzicato Verlag Helvetia violino, pf e organo soli, coro e orch. Città di Castello, 2011 Ninna nanna trad. Lazio satb Ed. Mus. Europee O quam amabilis anonimo sec. XVI ssaattbb Feniarco Preludio Salmo 149 s solo, satb Quem vidistis pastores antifona lit. s solo, satb, 4 ottoni Solo quel che serve A. Ottobre ssattb Stabat Mater Iacopone da Todi satb suddivisi Erreffe Ed. Mus., Roma in Melos 3, Feniarco Elaborazioni Titolo Testo Organico Edizione E lo mio amore trad. Lazio satb Ed. Mus. Europee in Voci & Tradizione Toscana, Feniarco, 2008 Voci bianche o giovanili Titolo Testo Organico Ave Gratia Plena ant. 339, San Gallo 3 v. C’era una volta un muro A. Ottobre 2 voci Cinque gocce di rugiada A. Ottobre 3 voci Ed. Mus. Europee Cinque petali di rosa A. Ottobre 2 v.; 1 v. e pf Lapis Ed., Roma Ego sum A. Ottobre 3 voci Filastrocca A. Ottobre 3 v.; 1 v. e pf Suvini Zerboni Grammelot prelude Salmo 149 1 v., satb, orch. Erreffe Ed. Mus., Roma I rumori della Terra A. Ottobre 3 v.; 1 v. e pf Suvini Zerboni Il gioco della memoria A. Ottobre 2 v. e pf 4 mani; 2 v. e 4 strum. in Atti Ass. Seghizzi, Gorizia, 2003 Il sale del cuore A. Ottobre 3 v., xilofono, glock. Ed. Mus. Europee Il suono invisibile A. Ottobre 2 v., satb, corno, pf Il vento inventato A. Ottobre 2 voci Incanta la notte A. Ottobre 1 voce e pf; 1 v. e orch L’espace d’une petite nuite AA.VV. 2 v., ssttb, fl, pf, arpa, perc. La bici L. Primon 3 v. e pf ASAC Veneto La mia voce è un coro A. Ottobre 2 voci Ed. Mus. Europee La scapparolina A. Ottobre 3 voci e arpa Ed. Mus. Europee Le dita di una mano A. Ottobre 2 v.; 1 v. e pf Lapis Ed., Roma Madrigale del bisbiglio A. Ottobre 3 v.; 1 v. e pf Suvini Zerboni Nuovo! A. Ottobre 2 v. e pf Per gioco e l’armatura A. Ottobre 2 v. e 6 strum. Predominante A. Ottobre 3 voci Salve Sponsa Dei G. da Spira, sec. XIII 3 voci e arpa Erreffe Ed. Mus., Roma Sciù sciù C. Barbato 1 v., pf, perc. ASAC Veneto Storia di una nuvola C. Barbato 1 v., pf, glock., piatto ASAC Veneto Tutti nel pallone A. Ottobre 3 voci Suvini Zerboni Ballo P. Caraba 2 v. e perc. Ed. Mus. Europee Edizione Erano tre sorelle trad. Toscana 3 v. bianche o femm. La bergera trad. Piemonte ssaattbb Nella città di Mantova trad. Toscana 3 v. bianche o femm. Piurì trad. Lazio 3 v. bianche o femm. So stata a lavorà… trad. Lazio sattb in Antologia Choraliter 6, Feniarco Autore originale Titolo Organico Vi voglio raccontare trad. Toscana 3 v. bianche o femm. in Oraliter, ACT, 2011 Pachelbel Magnificat satb A l’ombreta d’un busson trad. Piemonte ssab L.A. Sabbatini Magnificat satb in 9º Conc. Naz. Comp., ACP, 2009 in Voci & Tradizione Toscana, Feniarco, 2008 29 Edizione Trascrizioni e orchestrazioni e orch. Centro Studi Antoniani L’elenco completo dei lavori di Piero Caraba, comprensivo delle composizioni da camera e per orchestra, è consultabile sul sito www.pierocaraba.it compositorE 30 ASCESI di Piero Caraba a cura di Manolo Da Rold direttore della corale zumellese Premessa Il brano Ascesi è stato composto da Piero Caraba nell’estate del 2011 e dedicato alla Corale Zumellese di Mel che lo ha eseguito in prima assoluta nel novembre di quello stesso anno; la partitura è pubblicata nel volume Contemporaneamente edito dalla Corale Zumellese in occasione del quarantennale di fondazione. Titolo Alla parola Ascesi si possono attribuire due significati tra loro molto diversi. In primis Ascesi è l’antico toponimo con cui veniva identificata la città di Assisi nei secoli XIII e XIV, derivante dall’antico nome del municipium romano di Asisium. Vi è poi un significato totalmente diverso e più profondo strettamente correlato a un concetto di meditazione in grado di congiungere l’immanente con il trascendente mediante l’elevazione dello spirito, tramite l’ascesi appunto. Ascesi intesa quindi come tensione dell’anima verso l’infinito e, nel nostro caso, verso l’alto e glorioso Dio. Lo stesso Dante nell’undicesimo canto del Paradiso usa l’espressione “Ascesi” nella cinquantaduesima terzina; anche il sommo poeta vede insito nel nome della città umbra il significato di “ascendere” e, facendo rilevare che con la nascita di Francesco ad Assisi non soltanto ascende il vecchio sole, ma addirittura nasce il nuovo sole, per cui essa meriterebbe il nome di Oriente. Di questa costa, là dov’ella frange più sua rattezza, nacque al mondo un sole, come fa questo tal volta di Gange. Però chi d’esso loco fa parole, non dica Ascesi, ché direbbe corto, ma Oriente, se proprio dir vuole. Testo O alto e glorioso Dio, illumina el core mio. Dame fede diricta, speranza certa, carità perfecta, humiltà profonda, senno e cognoscemento che io servi li toi comandamenti. Amen. Tra le opere di San Francesco d’Assisi, il testo della Preghiera davanti al crocifisso di San Damiano, datato 1206, è considerato uno dei più antichi scritti attribuibili al Santo Patrono d’Italia. L’episodio, che narra di un Francesco in preghiera nella piccola e diroccata chiesa di San Damiano in Assisi, è ben descritto da Bonaventura da Bagnoreggio nella sua agiografia francescana della seconda metà del XIII secolo intitolata Legenda Maior Sancti Francisci. Lo stesso episodio è anche rappresentato iconograficamente da Giotto di Bondone in un affresco del 1295-99 presente nella Basilica Superiore di Assisi. Lo scritto, inserito nelle Fonti ufficiali francescane, (Fonti Francescane, Padova 1977) è stato tramandato sia in lingua italiana che in lingua latina, ma da codici non propriamente autentici, di qui l’incertezza da parte di alcuni studiosi sull’attribuibilità assoluta del testo in questione al Santo di Assisi. Ritengo che un’analisi strutturale, armonica e formale dettagliata sia meno accattivante di un’analisi estetica e quindi non mi soffermerò, se non occasionalmente su mere questioni di tecnica compositiva. L’aspetto di maggiore interesse è rappresentato dal dualismo di significati presenti all’interno della composizione di Piero Caraba, dualismo anticipato come in un’ouverture sin dal titolo. Sezione A Fin dalle prime note (mis. 1), assegnate alle voci gravi dei bassi e dei contralti, emerge un carattere mistico: da mis. 1 infatti, e per tutta la prima parte del brano fino a mis. 23, si sviluppa una vera e propria cantillazione libera con tempo individuale ad libitum sulla parola “Laudato”, tale elemento, strutturato sulla tetrade re-mi-la-si fino a mis. 13 scende improvvisamente di un tono a mis. 14. Ne risulta un’aleatorietà ricca di misticismo e fortemente contemplativa, le note si susseguono sempre uguali e sempre diverse come un mantra in grado di far percepire il senso del noumeno e dell’infinito. Nel dualismo espressivo, coniato già con il titolo del brano, l’effetto che si ha al primo ascolto è quello di un pellegrinaggio verso Assisi, immersi nel verde delle colline umbre e raggiunti dai rintocchi remoti delle campane lontane dalle cento chiese della città, luogo di pace e di contemplazione. A mis. 4, ieratico e maestoso svetta un cantus firmus al soprano, anzi un cantus prius factus che sembra provenire da un tempo remoto; si delinea un impianto modale sul sesto modo trasportato. Tale ieraticità esalta madrigalisticamente il testo “O alto e glorioso Dio”. Dallo stesso tema a mis. 6 prende le mosse un canone affidato ai tenori primi. Sembra una eco di un canto antico proveniente da un monastero tra gli appennini. 31 Sezione B Ecco emergere con evidenza, da mis. 30 ossia l’inizio della seconda parte del brano, un cambiamento della scrittura: le voci ora si intersecano in un contrappunto fitto e complesso, il tempo è ternario e il tutto appare come il fluire di un fiume che man mano si riempie al susseguirsi delle entrate delle singole voci. Musica Il brano è a sei voci miste, le voci di soprano e di tenore infatti sono divise in primi e secondi. L’autore indica il carattere da imprimere alla partitura con il termine “misterioso” e un’indicazione metronomica consigliata q =90 La forma generale della composizione ricalca la classica tripartizione aba1 ove b si può suddividere in b1, b2 e b3. A mis. 15, dopo l’efficace e improvviso già citato cambio modale, ecco un altro tema dal “sapore” più luminoso a sottolineare nuovamente in forma madrigalistica il testo “illumina el core mio”; il Santo d’Assisi, all’inizio della sua conversione, si pone con fiducia e verità innanzi al crocefisso di San Damiano e prega: “illumina le tenebre del mio cuore”. Il tutto termina in un riposante unisono da mis. 27 a mis. 29 a suggello di un dolce intervento della voce di contralto che alle parole “el core mio” sembra ribadire la frase contenuta ne Le Confessioni di Sant’Agostino «fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te». Non dobbiamo farci ingannare dall’apparente semplicità della grafia: già a mis. 33, in concomitanza con l’ultima entrata affidata alla voce di basso, si percepisce che questa affascinante struttura ricrea, utilizzando una strada diversa, un’idea di aleatorietà continua e inesorabile; da questo punto in poi ci si rende conto, da un’analisi armonica prettamente verticale, che nei tempi forti delle battute le consonanze perfette sono assai rare, v’è sempre un ritardo, una nota dissonante, il tutto è in continuo divenire e un momento di riposo armonico sembra non arrivare mai. compositorE 32 Da mis. 30 a mis. 47 appare assolutamente chiaro che la suddivisione in battute sia un semplice ausilio grafico; frasi dall’evidente accentuazione sillabica binaria obbligano l’esecutore a compiere un’attenta analisi del testo in quanto sono gli accenti delle parole a costituire la traccia per l’esecuzione del brano. Questa precisa parte della composizione coincide con il momento della preghiera in cui San Francesco chiede in dono la conoscenza delle tre virtù teologali: fede, speranza e carità, attribuendo a ciascuna virtù uno specifico aggettivo estremamente significativo. Il testo – “da me fede diricta, speranza certa, carità perfecta” – in questo turbinio polifonico di voci, sembra una richiesta d’aiuto all’Altissimu, onnipotente, bon Signore. Il nostro ipotetico pellegrino sembra essere finalmente giunto nella città di Ascesi-Assisi e la sua voce si perde in mezzo alle molteplici voci dei pellegrini giunti fin lì in preghiera alla ricerca della salvezza dell’anima al fine di non cadere inesorabilmente nella morte secunda. Una piccola curiosità: chi conosce il brano There is An Old Belif, tratto dalle Six Songs of Ferewell di Charles Parry, non può non notare una certa similitudine grafica con il corpo centrale dell’opera Ascesi; ovviamente il brano del compositore inglese ha un impianto prettamente tonale, totalmente diverso nella sostanza dalla composizione di Caraba, anche se questo grande capolavoro della musica corale ha certamente influenzato alcune sue scelte di scrittura. “Senno e cognoscemento” sono le due parole con cui inizia il terzo segmento della parte B della composizione Ascesi di Piero Caraba. Il giovane Francesco d’Assisi chiede al Cristo del Crocifisso di San Damiano un’ulteriore grazia, ossia la possibilità di giungere al perfetto compimento delle virtù teologali, effuse in ognuno di noi mediante l’intervento dello Spirito Santo all’atto del battesimo, tramite l’uso corretto della ragione e l’applicazione sincera dei comandamenti dati da Dio a Mosè e perfezionati da Gesù nel Nuovo Testamento. Il compositore in questo punto sottolinea con estrema efficacia simbolica questa richiesta che sale a Dio con una scala enigmatica ascendente dal terzo al settimo grado, proposta per quattro volte da mis. 54 a mis. 58 alternatim dalle sezioni maschili e femminili, in un andamento più mosso. Si giunge a un climax di pienezza sonora, da mis. 59 a mis. 64 ove il testo dice “ch’io servi li toi comandamenti”. Dopo averlo diretto già alcune volte, posso assicurare che l’effetto di questo punto centrale in Ascesi è straordinario: l’aleatorietà spiritualmente elevante si lega a una ricerca musicale razionale; come la ragione che cerca nel cuore il valore più profondo della fede; ritornando alle parole del mio amato Agostino, «intelligo ut credam». Sezione A1 Al termine di questa elaborata parte centrale ecco che si compie la tripartizione aba1 con un ritorno della forma aleatoria iniziale e la cantillazione libera nel tempo individuale ad libitum sulla parola “Laudato” (mis. 65); ritornando al nostro fedele pellegrino, esso sembra allontanarsi da AssisiAscesi e udire dietro le sue spalle lo stesso suono di campane del viaggio di andata. Ora il testo si trasforma in un lungo vocalizzo sulla parola “Amen” applicata a quello stesso cantus firmus della prima parte con poche modifiche melodiche, fino alle ultime misure della composizione – da mis. 89 a mis. 96 – in cui la voce del soprano rimane ferma su un lungo mi che per qualche attimo rimane solo (mis. 92) come sospeso in cielo in attesa di una cadenza finale che non poteva che essere espressione di serenità, ma non di compimento o di riposo. Il cammino di fede di Francesco infatti è solo all’inizio; egli, a conversione appena avvenuta, si pone davanti a Dio con un costante orientamento tra trascendenza e immanenza, tale complessa ricerca è resa veramente con maestria ed estrema efficacia in questa affascinante composizione di Piero Caraba. 33 Consigli per l’esecuzione Ascesi è un brano di grande effetto, che richiede un organico corale abbastanza consistente. Recentemente, per l’esecuzione di quest’opera, ho disposto i coristi in modo spazializzato cercando di riempire pienamente il presbiterio della chiesa fino al limite del transetto o della scalinata dinanzi all’altare maggiore, mettendo i soprani primi in prossimità del cornu epistolae e i tenori primi in cornu evangelii per evidenziare il canone iniziale riproposto poi al termine del brano. Tale disposizione attribuisce maggior profondità al suono corale. È fondamentale che tutti i temi della parte centrale risultino intelligibili nelle loro entrate e nel loro sviluppo senza preoccuparsi troppo della suddivisione ternaria, ma tenendo bene in considerazione gli accenti delle parole e lo sviluppo delle frasi. In generale il brano deve donare a chi ascolta un senso di fluidità e una suggestione di mistica contemplazione anche nei momenti di maggior intensità sonora. Ringrazio con tutto il cuore l’amico Piero di aver fatto dono al mio coro e a me di questa preziosissima perla di rara bellezza e raffinatezza. nova et vetera 34 e quando cantavano, suonavano anche gli strumentisti... Breve analisi di alcuni mottetti natalizi di Giovanni Gabrieli 1597, e le Symphoniae Sacrae pubblicate postume nel 1615, rappresentano un momento di svolta epocale e influenzeranno profondamente la musica del Seicento. Queste Symphoniae, ampi mottetti spesso a carattere cerimoniale, sono concepite per un numero di voci variabile da 6 a 19 e prevedono l’utilizzo di tutte le risorse presenti nelle grandi cappelle musicali musicali dell’epoca: cantanti solisti, coro, violini, viole, cornetti, tromboni, dulciane e naturalmente l’organo. In queste composizioni la severa polifonia rinascimentale lascia il posto a una conduzione delle parti più libera e fantasiosa. I caratteri fondanti dello stile di Giovanni Gabrieli possono essere riassunti in alcuni aspetti principali: abbandono dello stile a cappella a favore di quello concertato, contrapposizione tra sezioni in stile imitato e sezioni a carattere accordale e omoritmico, virtuosismo strumentale e vocale, gusto per i colori e le sonorità contrastanti, armonia tonale e verticalità accordale, moduli ritmici serrati e nervosi, monumentalità e volume sonoro, alternanza di episodi solistici, strumentali e sinfonici, spazializzazione ed effetti contrapposti di cori battenti e spezzati. Soprattutto nella raccolta del 1615 gli strumenti assumono un ruolo di fondamentale importanza, ormai spesso indipendente dalle voci, e sono utilizzati da Gabrieli con un linguaggio proprio, tipicamente strumentale e giovanni di Davide De Lucia direttore dell’ensemble orologio Il viaggiatore e scrittore inglese Thomas Coryate, di passaggio a Venezia nell’agosto del 1608, racconta nel suo diario di aver assistito a una funzione nella chiesa di San Rocco e descrive con stupore e ammirazione la musica che vi ascoltò: «A volte cantavano sedici o venti uomini insieme, col loro maestro e coordinatore che li teneva sotto controllo. E quando cantavano, suonavano anche gli strumentisti, dieci tromboni, quattro cornetti e due viole da gamba di straordinaria grandezza. A volte dieci, sei tromboni e quattro cornetti, a volte due, un cornetto e un violino…». Non sappiamo di chi fosse la musica ascoltata da Coryate, ma facilmente sarebbe potuta essere quella di Giovanni Gabrieli che all’epoca, già organista e compositore per la Cappella Ducale di San Marco, era anche responsabile della musica nella chiesa di San Rocco. Giovanni Gabrieli rappresenta un momento di profonda trasformazione nella storia della musica sacra e si rivela un musicista di grande originalità e innovazione. Fu tra i primi compositori a dare un impulso decisivo alla musica strumentale e a scrivere grandi e articolati mottetti cerimoniali combinando voci e strumenti, con parti strumentali scritte per esteso. La raccolta Concerti continenti musica di Chiesa per voci e stromenti…, pubblicata da Gardano nel 1587 e contenente opere di Andrea e Giovanni Gabrieli, già nel titolo rivela la volontà di concertare cioè di far suonare voci e strumenti insieme. Certamente la pratica di far raddoppiare le voci dagli strumenti o di farle in taluni casi sostituire da essi, sebbene non codificata, era molto più antica e già ampiamente diffusa tra i compositori del Rinascimento. La novità nella musica di Giovanni Gabrieli risiede soprattutto nel tipo di scrittura, più indipendente, fortemente strumentale, talvolta in antitesi a quella vocale, e dall’introduzione di parti dedicate ai soli strumenti in combinazione e alternanza con le voci. In tal senso le due grandi raccolte di mottetti di Gabrieli, le Sacrae Symphoniae pubblicate sotto la supervisione del Maestro nel 35 caratterizzato da diminuzioni, ritmi puntati, abbellimenti, motivi di canzona e di fanfara. Il primo mottetto natalizio che prendiamo in esame, Quem vidistis pastores a 14 voci, è contenuto proprio nella raccolta Symphoniae Sacrae del 1615. Alcuni musicologi sostengono che questo mottetto potrebbe essere in realtà un’opera di Gabrieli non completamente finita ma stampata ugualmente da un abbozzo di partitura nella raccolta del 1615 che ricordiamo non essere stata curata direttamente dal compositore, già scomparso tre anni prima. Queste considerazioni, non condivise da molti, nascono soprattutto dall’analisi della prima sezione del mottetto, quella subito dopo la Sinfonia iniziale, che appare forse troppo poco sviluppata nelle linee vocali e sostenuta da un basso continuo abbastanza semplice. Tuttavia il mottetto si presenta di ampie proporzioni e può essere suddiviso in una prima sezione che svolge funzione di Sinfonia introduttiva (batt. 1-34), una seconda sezione a carattere più solistico (batt. 35-174), una terza sezione con il “tutti” (batt. 175-225) e una quarta sezione dedicata all’alleluia finale (batt. 226-266). L’organico è formato da due cornetti e sei tromboni, cui si aggiungono uno per volta sei cantanti, più naturalmente l’immancabile organo. La Sinfonia introduttiva è strutturata in due cori contrapposti, ciascuno formato da cornetto, tre tromboni e organo. Presenta un carattere inizialmente dolce che, da battuta 7 in poi, è caratterizzato da figure puntate, forse a suggerire l’esultanza dei pastori, esultanza che si esplicita del tutto a battuta 20 con il passaggio al tempo ternario. La novità molto interessante presentata da questo mottetto è la presenza, da battuta 35 in poi, di una lunga sezione dedicata a voci e basso continuo, testimonianza della nuova pratica entrata in uso con alla fine del Cinquecento, di far cantare voci soliste con l’accompagnamento di uno o più bassi che realizzano l’armonia. In questa sezione sei cantanti si alternano in momenti solistici, Giovanni Gabrieli rappresenta un momento di profonda trasformazione nella storia della musica sacra. in duetti e in un quartetto a creare episodi ritmicamente e emotivamente contrastanti. Da battuta 175 il tutti, proposto con una tessitura degli strumenti e delle voci piuttosto grave, sottolinea in modo morbido ma grandioso le parole “O magnum mysterium”. Questa sezione è caratterizzata da una scrittura verticale che da battuta 207 in poi viene diminuita in valori ritmici più piccoli sulla parola “iacentem”. Da battuta 226 in poi il grandioso “alleluia” è costruito con due sezioni in tempo ternario a cori battenti cui si alternano due sezioni in tempo binario e con scrittura più omoritmica e verticale. nova et vetera 36 Due interessanti esecuzioni di questo mottetto, caratterizzate da una lettura tipicamente inglese, sono quelle proposta da Robert King con il King’s Consort per Hyperion e dal musicologo Andrew Parrott con il Taverner Choir e i London Cornett & Sackbut per L’Oiseau - Lyre. Da segnalare anche l’esecuzione di Paul McCreesh con il Gabrieli Consort per la Archiv: questa esecuzione, sposando la tesi che il mottetto sia in realtà parzialmente incompleto, presenta una versione arbitrariamente ricostruita dal musicologo Hugh Keyte. Il mottetto O magnum mysterium a 8 voci proviene invece da un’antologia dedicata ad Andrea e Giovanni Gabrieli e stampata a Venezia da Angelo Gardano nel 1587. Il mottetto si presenta come una classica composizione policorale veneziana, con proporzioni eleganti, caratterizzata da due cori battenti contrapposti, il primo acuto e il secondo grave. Gabrieli divide il testo, che celebra l’umiltà della nascita di Cristo il giorno di Natale, in modo omogeneo tra i due cori, e ognuno è caratterizzato da una sezione musicale di lunghezza approssimativamente uguale. La frase iniziale “O magnum mysterium” è cantata tre volte, prima dal coro acuto, poi dal coro grave, infine dai due cori sovrapposti. La seconda frase del testo, che narra di un grande mistero e dell’ammirevole sacramento, presenta la stessa struttura tripartita e contrapposta, solo leggermente ampliata. Il compositore affida l’ultima parte del testo, quella che esalta la mangiatoia e la Vergine benedetta, alla terza sezione del mottetto dove troviamo una scrittura più verticale sottolineata dai cori battenti più ravvicinati. La struttura antifonica diventa così non solo un mezzo espressivo di grande effetto, ma serve anche a distribuire ordinatamente il testo e a farne comprendere meglio il senso. La quarta sezione, da battuta 45 in poi, rappresenta la conclusione del mottetto, conclusione in cui viene proposto un esteso e giubilante “alleluia” in tempo ternario. Una serie di figure sincopate portano a una intensificazione della tensione ritmica che conduce al tutti a 8 voci finale in tempo binario. Questo genere di mottetti si presta bene a essere eseguito tanto con due cori separati e contrapposti, per aumentare l’effetto antitetico delle sezioni, quanto come brano a 8 voci con i cori ravvicinati, in quanto la differenza coloristica già di per se stessa rappresenta una fonte di grande varietà. Una possibile esecuzione di questo mottetto è quella proposta da Robert King con il King’s Consort per Hyperion: in questa versione il coro acuto è affidato a quattro voci Breve biografia di Giovanni Gabrieli La critica musicale contemporanea considera Giovanni Gabrieli, insieme a Claudio Monteverdi, il più importante musicista italiano a cavallo tra il XVI e il XVII secolo e il più importante esponente della Scuola veneziana. Nacque a Venezia da Pietro di Fais e Paola Gabrieli, sorella di Andrea, in una data compresa tra il 1553 e il 1557 e assunse il cognome della madre. Possediamo pochissime informazioni riguardo la sua vita, alcune delle quali desunte dalle testimonianze lasciate da suoi contemporanei. Si ritiene che fu allievo dello zio Andrea e che abbia messo precocemente in evidenza le sue doti di organista e compositore in quanto, già nel 1575, figurava tra i virtuosi del duca Alberto V di Baviera. È possibile, ma non provato, che a Monaco Gabrieli sia stato anche allievo di Orlando di Lasso, maestro della celebre cappella ducale bavarese. Rientrò a Venezia presumibilmente alla fine degli anni settanta ma le notizie sulla sua attività sono molto scarse fino al 1584, anno in cui risulta essere organista presso la Scuola Grande di San Rocco. Nello stesso anno venne chiamato anche come organista supplente della Cappella di San Marco e fu confermato l’anno seguente con la prestigiosa nomina a secondo organista: assunse l’incarico nel 1585 e lo mantenne fino alla morte, avvenuta per «mal de la pietra», il 12 agosto del 1612. La straordinaria fama di cui godette Giovanni Gabrieli in vita e dopo la morte, così come l’eccezionalità della sua opera e della sua arte, sono testimoniate dai numerosi omaggi che gli furono tributati da contemporanei illustri come Artusi, Diruta, Gruber, Hassler, Kaufmann, Praetorius e Zacconi, così come da molti allievi soprattutto di area germanica i quali, nei loro scritti, mettono in evidenza oltre alle notevoli capacità didattiche e artistiche, le speciali doti umane del maestro. Su tutti Heinrich Schütz, musicista geniale che fu per diversi anni suo allievo, lo descrive così: «Mi recai a trascorrere i primi anni di formazione nella mia arte presso il grande Gabrielli: oh dei immortali! Se l’antichità così ricca d’espressione l’avesse conosciuto, l’avrebbe posto al di sopra di Anfione, e se le muse prendessero marito, Melpomene non avrebbe voluto altro sposo se non lui, tanto era straordinario nell’arte del canto». La stesura di un elenco sistematico delle opere di Gabrieli è abbastanza complessa in quanto la scarsità di edizioni e l’assenza di una tradizionale ripartizione per generi complicano, e in certi casi precludono, la possibilità di ordinare cronologicamente le opere. Il corpus delle sue opere include: 44 mottetti da 6 a 16 voci nella raccolta Sacrae Symphoniae del 1597, 32 mottetti da 6 a 19 voci nella raccolta Symphoniae Sacrae del 1615, circa altri 30 mottetti da 6 a 20 voci manoscritti o contenuti in raccolte antologiche datate tra il 1587 e il 1615, circa trenta madrigali da 4 a 16 voci, una decina di pezzi liberi organistici, un libro di Intonazioni d’organo del 1593 e circa 45 opere strumentali suddivise in Sonate e Canzoni da 4 a 22 voci. La principale edizione moderna degli opera omnia è stata curata a più riprese prima da Denis Arnold e in seguito da Richard Charteris, ed è edita dall’American Institute of Musicology in cmm 12 (A-R Editions). soliste accompagnate dall’organo, mentre il coro grave è realizzato da un falsettista che canta la parte di contralto e tre tromboni cui sono affidate le tre voci più gravi. Anche il mottetto Salvator noster a 15 voci è contenuto nella raccolta Symphoniae Sacrae del 1615. Si tratta di un grande mottetto policorale per tre cori a cinque voci ciascuno, più una linea indipendente di basso generale. La grande varietà di combinazioni ritmiche, di stili e di stati d’animo dimostrano la volontà di Gabrieli di sottolineare i diversi momenti del testo, così come le linee più acute del primo e del secondo coro, chiaramente di scrittura strumentale e probabilmente destinate ai cornetti, conferiscono al mottetto un carattere festoso e celebrativo adatto alla solennità del Natale. Il mottetto può essere suddiviso in più sezioni, tra loro molto diverse nel carattere e nei colori, e presenta una concezione armonica e ritmica ormai molto distante dai modelli del mottetto rinascimentale: la scrittura appare squisitamente strumentale e l’armonia modale antica lascia il posto a una chiara impostazione tonale. La composizione si apre, da battuta 1 a 12, con un tema iniziale quasi a fanfara sulle parole Salvator noster e con le voci che si sovrappongono a formare una monumentale struttura verticale, in un crescendo scritto di volume e di estensione vocale verso il grave e l’acuto. Da battuta 13 a 22 le parole “hodie dilectissimi natus est” sono sottolineate dal gioioso ritmo ternario e dalla contrapposizione antitetica tra primo e terzo coro. Da battuta 23 a 40, di nuovo sulle parole “Salvator noster”, si ripropone il modello iniziale ma, se possibile, in modo ancora più monumentale, con una maggior estensione verso l’acuto e con più motivi ornamentali. Da battuta 41 a 54 si ripropone nuovamente l’episodio in tempo ternario su “hodie dilectissimi”, ma questa volta affidato a tutti e tre i cori. Da battuta 54 a 61 si rientra nel tempo semplice e si evidenzia, sulle parole “gaudeamus omnes”, una solenne conclusione della prima grande sezione del mottetto. Da battuta 62 a 110 prende avvio la seconda sezione del mottetto, in cui si riscontrano un maggior interesse per le parti solistiche e una una scrittura strumentale a semicrome che aumenta la tensione ritmica. Questa sezione presenta nella sua parte centrale, da battuta 81 a 99, due episodi a carattere contrastante: il primo, più verticale e polifonico, sulle parole “igitur sanctus”, il secondo, dal carattere fortemente imitativo e accompagnato dall’introduzione di nuova cellula ritmica a crome, sulle parole “ad palmam”. Da battuta 112 a 142 si presenta una scrittura tipica a cori battenti. In un primo momento possiamo notare un carattere più omoritmico, in seguito si evidenzia una scrittura tipica delle canzoni e sonate strumentali, e si può riconoscere la cellula ritmica già utilizzata in precedenza per le parole “ad palmam”, ma questa volta melodicamente rovesciata. La quarta sezione del mottetto, da battuta 143 a 170, è dedicata interamente alla parola “alleluia”. Le prime 13 battute di questa sezione sono, 37 La novità nella musica di Giovanni Gabrieli risiede soprattutto nel tipo di scrittura, più indipendente, fortemente strumentale. come è spesso consuetudine di Gabrieli, in tempo ternario e a cori battenti. Da battuta 157 si presenta una nuova idea musicale: tre sole voci, due delle quali presentano una scrittura a crome e a figure puntate, pensate probabilmente per i cornetti, che si contrappongono alla terza a valori lunghi. Questo modello viene ampliato e sviluppato da battuta 163 e serve da monumentale, brillante e festosa conclusione. nova et vetera 38 Testi e traduzioni Quem vidistis, pastores, dicite, dicite annuntiate nobis, in terris quis apparuit? Christum salvatorem nostrum, de Virgine natum vidimus, et choros angelorum collaudantes Domino. Mariam et Joseph vidimus, in terra stratos supplices et natum carum pariter adorantes humiliter. Gratia Deo, qui dedit nobis victoriam per Jesum Christum, salvatorem nostrum. O magnum mysterium et admirabile sacramentum, ut animalia viderent Dominum natum, jacentem in praesepio. Alleluia. Cosa avete visto pastori? Raccontateci, diteci, portateci notizia di colui che è apparso sulla terra. Abbiamo visto Cristo, nostro salvatore, nato dalla Vergine, e un coro di angeli cantare lodi al Signore. Abbiamo vistro Maria e Giuseppe prostrati in preghiera venerare umilmente il loro nato. Rendiamo grazie a Dio che ci ha dato la vittoria per mezzo di Gesù Cristo nostro Salvatore. O grande mistero e ammirevole sacramento: che gli animali vedano il Signore nato, disteso in una mangiatoria. Alleluia. O magnum mysterium et admirabile sacramentum, ut animalia viderent Dominum natum, jacentem in praesepio. Alleluia. O grande mistero e ammirevole sacramento: che gli animali vedano il Signore nato, disteso in una mangiatoria. Alleluia. Salvator noster, hodie dilectissimi natus est. Gaudeamus omnes. Exsultet igitur sanctus quia appropinquat ad palmam: Gaudeat peccator quia invitatur ad veniam. Animetur gentilis, quia invitatur ad vitam. Alleluia. Il nostro salvatore è nato in questo giorno meraviglioso. Rallegriamoci tutti, esultino i Santi, poiché sono vicini alla vittoria che il peccatore si rallegri poiché è invitato al perdono, che lo schiavo si conforti poiché è invitato alla vita. Alleluia Audite principes, et auribus percipite omnes habitatores terrae, et exsultate. Audite senes quae loquor vobis: audiat terra verba oris mei, in laetitia. Audite patres, et super filiis vestris narrate, cum jubilo, mirabilia magna. Audite hodie serenissimi principes, hodie veneranda senectus, hodie praestantissimi patres: salvator noster natus est. Gaudeamus quoniam una cunctis laetitia communis est ratio, melliflui sunt coeli, vineae florent et montes exsultant. Venite igitur omnes, et exsultemus, et jubilemus, et gaudeamus, quoniam puer natus est nobis et filius datus est nobis, et salvator donatus est nobis. Alleluia. Ascoltate principi, porgete orecchio abitatori tutti della terra, ed esultate. Ascoltate anziani quello che vi dico, la terra ascolti con gioia la parole della mia bocca. Ascoltate padri, e raccontate festosi ai vostri figli le grandi meraviglie. Ascoltate oggi serenissimi principi, oggi venerandi anziani e padri eccellenti: è nato il nostro salvatore. Rallegriamoci poiché questa gioia è per tutti, questa verità è rivelata a tutti, cola il miele dai cieli, le vigne fioriscono e i monti esultano. Venite dunque tutti, esultiamo, acclamiamo e rallegriamoci poiché un bambino è nato per noi, un figlio ci è dato, un salvatore ci è donato. Alleluia. 39 Si segnalano due esecuzione di questo mottetto, anche in questo caso caratterizzate da una lettura tipicamente inglese: l’una, parzialmente più corale, di Robert King con il King’s Consort per Hyperion. L’altra, a carattere più strumentale, di Paul McCreesh con il Gabrieli Consort per la Archiv. Il mottetto Audite principes a 16 voci proviene da un’antologia di mottetti, Reliquiae sacrorum concentuum Giovan Gabrielis, Iohan Leonis Hasleri, utriusque praestantissimi musici…, pubblicata a Norimberga da Georg Gruber nel 1615. Il mottetto si presenta come un’ampia e complessa composizione policorale, probabilmente una delle più grandi di Giovanni Gabrieli, ed è strutturato in tre cori contrapposti, i primi due a cinque voci e il terzo a sei voci. Il primo è un coro acuto con le voci che vanno dal soprano al tenore, il secondo è un coro più grave con estensione dal contralto al basso. Il terzo coro a sei voci prevede una grande estensione con la voce del basso che raggiunge il do grave e il soprano che si spinge fino al la acuto. Sebbene in questo mottetto non figurino indicazioni di orchestrazione, sicuramente si può immaginare che fossero previsti strumenti in raddoppio o in sostituzione delle voci. Questa composizione si sviluppa in un modo ormai molto lontano dalle composizioni policorali del Cinquecento, in profonda antitesi anche con quelle contemporanee romane. La prima parte del mottetto fino a battuta 36 è caratterizzata da tre episodi isolati, uno per ogni coro, ciascuno dei quali introdotto da una voce solista che, in modo declamatorio e imperativo, canta la parola “audite”. A coda del primo e del secondo episodio, in corrispondenza delle parole “gaudeamus” (batt. 7) e “in laetitia” (batt. 20) il tempo diventa ternario, mentre in coda al terzo, in corrispondenza della parola “mirabilia” (batt. 31), si trova un sorprendente accordo di mi bemolle maggiore forse a sottolineare la meraviglia inaspettata della nascita di Gesù. Tutti questi artifici retorici servono naturalmente a sottolineare il significato del testo. A battuta 37 si ha la prima monumentale sovrapposizione dei tre cori, poi il mottetto prosegue con una struttura analoga a quella iniziale fino a battuta 49. Una seconda importante sezione (batt. 50-64) si sviluppa interamente in tempo ternario sulle parole “Salvator noster natus est, gaudeamus”: impressiona in questa sezione la monumentalità dei cori che si muovono omoritmicamente sia in modo battente che in blocchi sovrapposti. La sezione successiva (batt. 65-103) si sviluppa secondo il modello delle sonate e delle canzoni strumentali a più cori, e propone episodi a carattere chiaramente omoritmico e battente, contrapposti ad altri a coro singolo, caratterizzati da proposta e risposta, da una più serrata scrittura strumentale e contrappuntistica, e da alternanza tra tempo binario e ternario. La parte conclusiva del mottetto presenta un monumentale “alleluia”, costruito con un primo episodio nel modello, consueto per Gabrieli, di alternanza tra cori battenti in tempo ternario, e un secondo episodio (da batt. 110) in tempo semplice in cui i tre cori si sovrappongono in modo verticale e monumentale. Anche per questo mottetto si segnalano due esecuzioni: l’una, di Robert King con il King’s Consort per Hyperion, l’altra, di Paul McCreesh con il Gabrieli Consort per la Archiv. La grande varietà di combinazioni ritmiche, di stili e di stati d’animo dimostrano la volontà di Gabrieli di sottolineare i diversi momenti del testo. Le partiture dei brani analizzati sono disponibili nella sezione Choraliter del sito www.feniarco.it canto popolare 40 I canti popolari del Lazio e l’elaborazione corale: alcune osservazioni di Ambrogio Sparagna musicologo e ricercatore La musica tradizionale conserva nel territorio laziale ancora importanti isole di persistenza culturale, tanto che in numerose aree, in particolare le più periferiche, è possibile incontrare repertori di grande interesse che testimoniano la complessità e la valenza di quello che è stato fino agli anni Cinquanta un antico e autonomo sistema musicale. Questa variegata e originale cultura possedeva al suo interno diversi livelli di produzione e di competenza che venivano tramandati oralmente da tanti cantori e strumentisti, alcuni dei quali in possesso di un alto livello di specializzazione tecnica di tipo “professionistico”. Dell’antica varietà repertoriale oggi si è conservata solo quella parte che è riuscita a trovare una continua collocazione pratica all’interno della vita sociale di alcune comunità dove permangono modelli socio-culturali agro-pastorali. In questi contesti si sono conservate alcune pratiche rituali molto formalizzate che hanno consentito la persistenza di specifici repertori vocali e strumentali. Ciò ha determinato quindi la presenza di alcuni repertori con funzione pubblica determinata (esempi: canti di questua e carnascialeschi, innodia e canti religiosi, danze strumentali) mentre quelli tipici del repertorio domestico (ad esempio i canti narrativi o le ninna nanne) fanno fatica a trovare una loro continua collocazione. Ma nonostante le difficoltà a far sopravvivere integralmente questo microcosmo musicale, oggi da più parti assistiamo a un rinnovato interesse per il recupero e la riperpetuazione di forme musicali tipiche del mondo contadino. Un esempio è la diffusa proliferazione di centri di documentazione sulle forme della cultura tradizionale che pongono come asse centrale e immediato della loro ricerca il recupero e la riproposta di canti popolari. Questo tipo di rinnovato interesse investe anche il mondo della coralità, tant’è che sempre più numerosi sono i cori che eseguono repertori di ispirazione popolare. Su queste tematiche da anni l’associazione regionale dei cori organizza concorsi e concerti specifici che raccolgono dovunque grande interesse. È però qui necessario sottolineare che nonostante gli importanti contributi scientifici che l’etnomusicologia italiana ha dato alla conoscenza del nostro folklore, il repertorio dei canti popolari è ancora poco noto al grande pubblico che continua a non avere alcuna conoscenza della varietà strumentale e vocale presente nella nostra penisola. Il sapere prodotto attraverso la ricca documentazione sonora contenuta in alcune importanti antologie discografiche non è mai entrato ad esempio nel mondo della scuola così che, nonostante i programmi ministeriali da anni affermino la centralità dell’uso dei canti popolari come formidabile espediente sonoro per una concreta alfabetizzazione musicale di base, pochi sono gli insegnanti in grado di conoscere realmente le tipologie che fanno assumere nel suo complesso il carattere di “popolare” a un canto. Le poche raccolte antologiche su questo tipo di repertorio danno scarse notizie sui canti pubblicati e talvolta il materiale che si incontra sembra più il frutto di azzardate elaborazioni di solerti trascrittori piuttosto che testimonianza di culture musicali originali. Sappiamo sempre poco e quel poco che si conosce è destinato in breve a scomparire a causa delle numerose difficoltà che questo repertorio incontra nel continuare a sopravvivere; molti interpreti sono anziani e se non si interviene in modo rapido gran parte del loro repertorio cadrà nell’oblio. Nel Lazio numerose sono le aree dove ancora permangono persistenze musicali tipiche dell’antica tradizione contadina. La vocalità si caratterizza per l’uso di scale di impianto modale dove di frequente compaiono intervalli strutturali di seconda diminuita, quarta aumentata, settima diminuita. In La musica tradizionale conserva nel territorio laziale ancora importanti isole di persistenza culturale. questi canti, che spesso sono di argomentazione religiosa, le melodie hanno carattere melismatico e ornamentale e si articolano su piccole estensioni costruite prevalentemente su gradi congiunti. La vocalità prevede un uso frequente di forme monodiche, anche se non mancano interessanti esempi di polivocalità che viene impiegata sopratutto per l’esecuzione di brani cerimoniali legati al ciclo della Settimana Santa. C’è una prevalenza di una scansione metrica ternaria con figure composte da semiminima più croma che costituiscono la base su cui si articola lo svolgimento ritmico di molto repertorio laziale. Questi elementi si ritrovano in molte aree della regione, tanto che è possibile formalizzare alcuni stilemi musicali omogenei che si riscontrano con caratteristiche simili anche in aree distanti. È il caso ad esempio delle analogie strutturali comuni diffuse in zone fra loro distanti come il Cicolano, l’Alta Valle dell’Aniene e l’area dei Monti Lepini, Ausoni e Aurunci. Accanto a questo tipo di canti nel Lazio sono diffusi altri repertori caratterizzati da impianti melodici spiccatamente tonali, che impiegano gradi congiunti e hanno ambiti più estesi. In alcuni casi su questo genere di melodie vengono applicate modalità esecutive polivocali a due o tre parti distinte che talvolta utilizzano formule con terze parallele. È questo il caso dei repertori di tradizione nordica diffusi nell’agro romano e pontino a seguito della bonifica avvenuta negli anni Trenta. In questo repertorio, sia esso di tipo religioso o profano, la scansione ritmica si basa su formule binarie. Nonostante la ricca presenza di documenti sonori conenuta in archivi e in antologie discografiche, oltre 6000 infatti sono i documenti che il Centro Regionale di Documentazione della Regione Lazio ha individuato nella realizzazione di un Atlante sulla musica popolare della regione, scarso è il numero delle trascrizioni musicali dei materiali contenuti nelle raccolte. Tant’è che, nonostante la datazione ormai obsoleta, l’unica raccolta areale che possiede un adeguato apparato di trascrizioni musicali specifiche è ancora quella di Colacicchi effettuata sui canti della Ciociaria negli anni Trenta. Le altre trascrizioni riguardano o lavori monografici su singoli paesi o repertori strumentali specifici. In questo contesto privo di adeguati supporti analitici diventa difficile operare per chi intende utilizzare le forme del canto popolare laziale per costruire nuovi repertori polifonici a uso dell’attività corale. Le esperienze più frequenti si rivolgono spesso all’utilizzazione di trascrizioni già edite sulle quali si realizzano specifiche armonizzazioni che però il più delle volte finiscono per “addolcire” troppo la valenza del canto contadino originario, spesso compresso da pur pregiati 41 incastri polifonici. In questo tipo di elaborazione un elemento che appare evidente è la mancanza di vivacità ritmica che invece costituisce uno degli elementi essenziali del canto contadino. In alcune di queste elaborazioni, la linea melodica originale tende a perdere nell’esecuzione corale il carattere fortemente ritmico della versione originaria. Lo stesso stravolgimento di valore avviene quando su una linea melodica semplice che possiede delle caratteristiche di tipo modale si costruiscono elaborazioni che tendono ad affermare principi e modulazioni melodiche dichiaratamente tonali. Impiegare forme di canti popolari è utilissimo per l’attività corale. Il canto contadino insegna alla semplicità e all’immediatezza melodica, induce alla sintesi formale, è ricco di espedienti ritmici e di originali interrelazioni linguistiche. Può quindi diventare, specie per cori amatoriali, un’occasione di notevole crescita musicale perché obbliga a superare con naturale progressione le difficoltà insite nel cantare in polifonia. Ma per utilizzare le tante possibilità che questo tipo di repertorio offre, è necessario trattarlo in modo sapiente: riuscendo cioè a conoscere le caratteristiche specifiche di questo tipo di linguaggio che fa scaturire la sua fonte creativa da forme di apprendimento e di trasmissione musicale tipiche della tradizione orale. Chi elabora un canto popolare deve comprendere che ha fra le mani un tipo di melodia speciale, molto affascinante ma difficile da trattare. Ogni nota sovrapposta deve accrescere le qualità già presenti all’interno del canto stesso ma contemporaneamente non deve appesantirlo. Oggi assistiamo a un rinnovato interesse per le forme musicali tipiche del mondo contadino. In alcuni casi infatti deve valere la regola della limitazione dell’intervento elaborativo: poche note quindi ma essenziali a rendere il vero carattere originario del brano che occorre conoscere possibilmente non soltanto attraverso le fonti scritte ma anche dall’esecuzione originaria, laddove questo è possibile, registrata su supporti magnetici e conservata nei tanti archivi pubblici e privati diffusi in ambito regionale. L’ascolto del materiale originario aprirà le orecchie dell’elaboratore a possibili soluzioni sonore. In particolare attraverso una maggiore conoscenza sarà possibile riportare nell’esecuzione collettiva alcune interessanti modalità esecutive tipiche della vocalità contadina che costituiscono uno dei tratti essenziali del canto popolare. portraiT 42 CONCERTO PER CORO A QUATTRO MANI Intervista doppia a Lorenzo Donati e Dario Tabbia a cura di Walter Marzilli Questa è la prima volta che il Coro Giovanile Italiano ha due direttori nello stesso tempo. Come giudicate questa esperienza? E quali sono state le vostre iniziative per aumentarne la professionalità e le capacità artistiche del coro? Lorenzo Donati: «Si tratta di un’esperienza di grande soddisfazione, musicale, artistica e umana. Questo progetto può e deve essere una delle punte culturali più alte espresse dalla coralità amatoriale italiana, e sono abbastanza soddisfatto che si sia riusciti a realizzare tanti progetti di alto livello. Parlo scientemente di realtà amatoriale, perché pur essendo composto anche da giovani che studiano direzione di coro, composizione, canto, questo gruppo rimane nelle sue peculiarità simile a tutti gli altri cori che Feniarco rappresenta. L’unica differenza con i professionisti è che i cantori del Coro Giovanile Italiano non sono pagati, ma arrivano puntuali, preparati, capaci come un gruppo professionale». Dario Tabbia: «Una bellissima esperienza che continua ad arricchire di contenuti tutti coloro che la condividono. È ovvio che deve esserci totale sintonia fra i due direttori, soprattutto nel pensare sempre e solo “in due” e mai ognuno separatamente dall’altro. Non abbiamo mai concentrato le energie sul nostro lavoro individuale ma lavorato sempre al fine di portare il coro al massimo delle sue possibilità. Questo è stato avvertito da subito dai ragazzi e questo credo sia stata l’impronta di professionalità che ha caratterizzato l’intero gruppo». Nel Coro Giovanile Italiano vi siete divisi i compiti, occupandovi uno di musica moderna e l’altro di musica antica. Quali pensate che siano gli apporti, i frutti e gli arricchimenti che la frequentazione con i vostri rispettivi repertori può fornire ai cantori? LD: «La cosa importante è fare musica bene. Farla in modo pulito. Per il coro giovanile questo significa scegliere repertori importanti, fattibili, ma non scontati. Lavorare su un canto popolare o un brano di Palestrina, su Dallapiccola o una villanella rinascimentale poco importa. Ciò che è importante è comprendere la musica che si vuol realizzare, conoscerne le trappole tecniche o le magie interpretative. I cantori del Coro Giovanile Italiano sono già molto preparati e lavorano da tempo a buoni o ottimi livelli con i loro gruppi, quindi più che sul “cosa” l’arricchimento musicale e culturale è sul “come”». DT: «Pochi repertori come quello della grande tradizione polifonica obbligano il cantore a confrontarsi con certe esigenze tecniche oltre che stilistiche. Basti pensare all’uso del legato, dell’uguaglianza dell’emissione, alle problematiche relative all’intonazione. Ho cercato il più possibile di aiutare i ragazzi a “leggere” la partitura, cercando di evidenziare loro come, attraverso l’uso della sola notazione musicale, i compositori antichi suggerissero la loro personale lettura del testo poetico per arrivare poi a una vera e propria interpretazione». Personalmente ho sempre pensato che, per far crescere i direttori italiani, gli incontri di studio del Coro Giovanile Italiano potrebbero essere connotati anche come stages di approfondimento per direttori, i quali avrebbero potuto seguire le prove del coro. In questo modo potrebbero vedere da vicino il direttore all’opera, magari nell’atto di superare le difficoltà tecnico-vocali dei cantori con suggerimenti appropriati, o per capire le sue scelte gestuali in merito alla resa sonora di un determinato passaggio, o ancora, nel vostro caso specifico, per capire le differenze di un approccio interdisciplinare tra repertori di epoche diverse. Questa configurazione degli incontri non dovrebbe intralciare il lavoro di preparazione del coro, se non per un breve incontro tra direttore/i e allievi direttori per approfondire qualche particolare questione. Oltretutto, volendo, sarebbe pure possibile individuare tra di loro eventuali assistenti, che potrebbero facilitare il lavoro di costruzione dei brani. Cosa ne pensate? LD: «Gli stage del Coro Giovanile sono sempre aperti e discretamente pubblicizzati. In due anni di attività a parte qualche sporadica e momentanea apparizione, si è visto un unico collega che ha frequentato alcune nostre prove. 43 Comunque in questo coro ci sono qualcosa come sedici giovani direttori di coro che, oltre a cantare, vengono a vedere, confrontare, apprendere. Potremmo dire che le prove del Coro Giovanile sono uno stage di direzione itinerante e per noi direttori un buono stimolo a far bene». DT: «Credo che sarebbe un’iniziativa utilissima e molto bella che non vedo nemmeno di difficile realizzazione. Assistere al lavoro altrui è sempre un’occasione di arricchimento, se poi c’è la possibilità di seguire un gruppo importante come il Coro Giovanile credo che sarebbe una grossa opportunità soprattutto per i giovani direttori». Avendo fatto numerose audizioni per selezionare le voci del coro che guidate, avete avuto la possibilità di capire le connotazioni caratterizzanti dei giovani cantori provenienti da tutta l’Italia. Avete qualche notizia da darci sullo stato di salute delle voci italiane, sulla capacità di lettura dei cantori, sulla capacità di adattare la prassi esecutiva a repertori storicamente diversificati? LD: «La maggioranza dei cantori del Coro Giovanile Italiano legge abbastanza bene. Siamo riusciti grazie alla lettura e allo studio a realizzare partiture importanti in pochissimo tempo. Non posso dirlo, perché non ci si dovrebbe mai vantare di essere in grado di studiare qualcosa velocemente, ma questo gruppo ha tenuto dei ritmi veramente alti. Per quanto riguarda invece il progresso vocale complessivo, l’idea di scegliere tra coristi appartenenti al nostro mondo corale ha in alcuni casi fatto prevalere qualche suono più spontaneo e meno curato. Per questo il lavoro d’insieme diviene indispensabile». DT: «Quello che è subito emerso dalle audizioni effettuate è che tutti provenivano da cori stabili e che non si trattava di studenti di canto che cercavano un’esperienza diversa. La coralità italiana è in forte crescita e queste audizioni sono state una conferma in tal senso. Sulla lettura e sulla prassi esecutiva forse siamo ancora un po’ indietro rispetto ad altre realtà, ma il futuro è roseo». c’era e una certa maturazione dei nostri cori e nostri direttori dipende anche dal fatto che in Italia siamo riusciti a portare anche docenti stranieri». Maestro Tabbia, tu sai che io ho parafrasato il titolo di un tuo libro, intitolando – con il tuo permesso – un mio recente corso per direttori con il motto: “Il gesto è già suono”. Sei d’accordo? DT: «Certamente e la cosa non poteva che farmi piacere. In comune con il libro dedicato a Fosco Corti Il respiro è già Ciò che è importante è comprendere la musica che si vuol realizzare. Maestro Donati, tu hai vinto il concorso internazionale per direttori di Bologna e quindi, anche per la tua attività, hai conosciuto tanti direttori. Quali sono le tue impressioni sui direttori stranieri e le loro scuole? LD: «Quando ho iniziato a cantare in coro esisteva ancora la memoria delle scuole nazionali di pensiero tecnico-vocale. C’erano delle realtà socio-culturali che avevano creato e protetto alcune tipologie come i direttori ungheresi, la scuola russa, quella bulgara, la scuola di Eric Ericson, i polifonisti italiani. Oggi non credo si possa più parlare di vere e proprie scuole. I giovani direttori si muovono per tutta Europa a studiare e lo stesso fanno i docenti-direttori. Ad Arezzo ogni anno, oltre a tre o quattro docenti italiani, vengono docenti dalla Svezia, Gran Bretagna, Francia, Spagna. Ogni allievo filtra, sceglie, trasforma. Questa ricchezza quindi anni fa non canto c’è la consapevolezza del “prima”, dell’atto creativo che precede il contatto con il suono stesso, la preoccupazione, in questo caso, del direttore di “donare” innanzitutto prima che “ricevere”. Cosa che non è così frequente come si potrebbe pensare…» La direzione del coro sta assumendo sempre più i connotati di una professione vera e propria. Che consigli vorreste dare a un giovane che si affaccia nel panorama dei direttori? LD: «Studiare. Conoscere repertorio, ascoltare cori buoni, vedere al lavoro direttori di qualità. Pensare al mondo corale come a un mondo almeno europeo, se non mondiale. Imparare a cantare e leggere la musica. Viaggiare per vedere concorsi e festival internazionali. Ma soprattutto, divertirsi nel fare tutto questo». DT: «Il primo potrebbe essere: “Adagio, che ho fretta!”. Al giorno d’oggi ci sono tantissimi strumenti di studio e di in collaborazione con Associazione Regionale Cori Marchigiani 44 7 European Academy th apprendimento, a partire dalla disponibilità delle partiture alla facilità dei relativi ascolti. Il giovane direttore parte con conoscenze e consapevolezze (vedi la necessità di una preparazione vocale da parte del coro) che una volta erano impensabili. Il consiglio è quello di non bruciare le tappe, di farsi una sana gavetta senza iniziare dalla direzione di un coro superiore alle proprie capacità effettive. Di curare la propria preparazione tecnica e musicale prima di pretenderla dagli altri» Pensate che “direttori” si nasca o lo si diventi? LD: «Questa è una domanda difficile. Credo che un po’ lo si nasca e molto lo si diventi. Se non avessi avuto dei bravi insegnanti non avrei neanche avuto la possibilità di appassionarmi a quello che faccio. Di base qualcosa ci deve essere che ti porti dentro fin dall’inizio, e senza questa cosa non si riesce a far molto, ma poi sono importantissimi i maestri, gli incontri, le fortune o le sfortune. Diciamo che, essendo migliorata la proposta didattica per lo studio della direzione di coro, molti giovani adesso hanno la possibilità di diventare bravi direttori, talvolta anche se non lo sono nati». DT: «Direttori si nasce e si diventa. Per arrivare a certi livelli è indispensabile avere delle qualità che si aggiungono a quelle musicali congenite, come il carisma o la facilità di comunicazione. Tuttavia senza la necessaria esperienza sul campo certe qualità rischiano di restare inespresse. Questo non toglie tuttavia che in assenza di certe qualità non sia possibile dirigere un coro onestamente, con professionalità e con buoni risultati. La passione e il cuore dovrebbero essere requisiti comuni e indispensabili e, spesso, valgono più di un diploma». La cosa importante è fare musica bene. for choral conductors Fano/Italy 8/15 settembre 2013 Docente Nicole Corti (France) Repertorio francese, inglese e italiano del ’900 L’Accademia europea è una masterclass professionale aperta ai direttori, che ha luogo in una città marchigiana situata sulla costa adriatica del centro Italia. I partecipanti avranno la possibilità di fare pratica di direzione con un coro laboratorio di alto livello, che sarà a loro disposizione per tutta la durata del corso. L’Accademia si conclude con un concerto diretto dai partecipanti stessi. www.feniarco.it in collaborazione con Comune di Fano Coro Polifonico Malatestiano Incontro Internazionale Polifonico Città di Fano iscrizioni entro il 31 maggio 2013 informazioni Feniarco - Via Altan, 49 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn) Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - [email protected] ASSOCIAZIONE 47 note, emozioni, vibrazioni salerno festival 2012 di Anna Bisogno «Il segreto del canto risiede tra la vibrazione della voce di chi canta e il battito del cuore di chi ascolta». Così scriveva nel 1923 il poeta e filosofo Khalil Gibran ne Il Profeta, sancendo lo stretto legame, l’imprescindibile connessione che nella musica c’è tra note ed emozioni, tecnica e vibrazioni. Se poi l’esperienza del canto diventa corale, quelle stesse note ed emozioni, vibrazioni si moltiplicano in un tripudio di musica straordinario. Un’esperienza del genere in Italia porta il nome di Salerno Festival - Festival Corale Nazionale che, giunto quest’anno alla terza edizione, si è confermato un evento in grado di rinnovarsi nel tempo mantenendo ben salda la sua cifra distintiva e diventando un appuntamento fisso e atteso nel programma delle iniziative culturali del Comune di Salerno. La città delle luci d’artista e del poeta Alfonso Gatto dall’8 all’11 novembre si è trasformata nella capitale dei cori e del bel canto con quarantasei cori (per un totale di oltre 1.000 partecipanti), di cui sedici provenienti da diverse regioni italiane (412 persone) e trenta cori campani (630 persone), cinque cori provenienti dal Lazio, quattro dalla Calabria, due dall’Abruzzo, uno rispettivamente da Emilia Romagna, Piemonte, Puglia, Sicilia e Toscana. Le formazioni corali, composte da coristi di tutte le età, si sono esibite in oltre venticinque concerti proponendo un repertorio misto che ha spaziato dai canti liturgici romano-bizantini alle melodie pop italiane e internazionali, dal popolare tradizionale della nostra nazione al gospel americano, toccando tra i luoghi più suggestivi del territorio salernitano e della regione Campania: Atrani (Collegiata di Santa Maria Maddalena), Cava de’ Tirreni (Badia della Salerno Festival, organizzato da Feniarco in collaborazione con Arcc, con la partecipazione del Comune di Salerno, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Provincia di Salerno, Camera di Commercio di Salerno, Salerno Mobilità, Sovraintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici per le province di Salerno e Avellino, Università degli Studi di Salerno, Facoltà di Agraria Università degli Studi di Napoli Federico II, Enoteca provinciale di Salerno e Unitalsi. Ciò a testimonianza delle molteplici valenze che l’iniziativa esprime: animazione del territorio, momento di aggregazione e di coesione sociale, recupero e rilancio delle tradizioni popolari, così come ha sottolineato l’Arcivescovo metropolita di Salerno nella santa messa animata dai cori nella giornata conclusiva della rassegna. La kermesse ha porposto due novità. Si tratta di progetti, uno di carattere formativo e l’altro più squisitamente esecutivo, che hanno ulteriormente arricchito l’edizione di quest’anno: un incontro formativo sul tema La musica campana di matrice popolare, con il prof. Matteo Cantarella e l’accompagnamento de i musicantica aperto a cantori, direttori e a tutti gli interessati, e Frijenn Cantann… il canto è libero! che ha consentito ai cori di esibirsi, improvvisando, in alcuni spazi di diversa natura e grandezza della città, dai negozi alle case private, dall’ostello alle chiese. Il momento clou è stata l’esecuzione di due canti comuni nella centralissima piazza Portanova dove i tantissimi salernitani e turisti di passaggio in città si sono uniti ai cori per cantare tutti insieme ’O sole mio e Santa Lucia in un tripudio di voci e suggestioni fortissime alla presenza, tra gli altri, del presidente di eca-ec e di Feniarco, Sante Fornasier, dell’assessore alla cultura del Comune di Salerno, del presidente dell’Associazione Cori Campani, Vicente Pepe, e dell’assessore alle politiche culturali del Comune di Salerno, Ermanno Guerra. Un canto che sa di “grazie” e di un “arrivederci al prossimo anno”. salerno Un evento in grado di rinnovarsi nel tempo mantenendo ben salda la sua cifra distintiva. Santissima Trinità), Fisciano (Teatro d’Ateneo dell’Università di Salerno) e Portici (Reggia, Sala Cinese), Scafati (Teatro San Francesco), Vallo della Lucania (Teatro La Provvidenza), Vietri sul Mare (Duomo di San Giovanni Battista) e a Salerno presso il Teatro Augusteo dove le corali, a gruppi, si sono esibite nel concerto di apertura e in quello di gala. Il segreto del canto risiede tra la vibrazione della voce di chi canta e il battito del cuore di chi ascolta. ASSOCIAZIONE 48 La coralità italiana nella sfera dell’eccellenza internazionale Impressioni e riflessioni dall’assemblea nazionale Feniarco di Alvaro Vatri La prima Assemblea Nazionale Feniarco del dopo Festival Europa Cantat Torino 2012 si è tenuta il 20 e 21 ottobre a Bolzano, nella lieta ricorrenza del quarantennale della Federazione Cori dell’Alto Adige. Ricca, come al solito, l’agenda dei lavori iniziati, come doveroso, nel segno del festival che ha lanciato definitivamente l’Italia corale nella sfera dell’eccellenza internazionale. Nella cartella della documentazione abbiamo trovato un dettagliato comunicato stampa conclusivo che riporta non solo cifre, commenti e proiezioni per il futuro, ma la sensazione di quanti conoscono, e non da ora, la realtà del Festival Europa Cantat: il successo della manifestazione ha sorpreso persino gli stessi organizzatori. L’esperienza del festival è stata entusiasmante per tutti: per le oltre 5000 persone coinvolte, provenienti da 42 paesi di quattro continenti, ma anche per la Città di Torino e la Regione Piemonte che come sempre si sono dimostrate terre accoglienti e capaci di rispondere con grande entusiasmo a proposte culturali diversissime. A corredo visivo è stato proiettato il video dello speciale La Musica di Rai3 di circa 40 minuti dedicato dalla Rai al festival e trasmesso il 14 agosto scorso. Sia coloro che erano stati presenti al festival che quanti non avevano potuto presenziare hanno rivissuto e provato emozioni intense, una gratificazione profonda e un legittimo senso di orgoglio per quanto la nostra federazione corale ha saputo mettere in campo di fronte al mondo. L’assemblea ha affrontato poi la disamina e la valutazione delle iniziative concluse nel 2012, tra le quali spiccano il Festival di Primavera, svoltosi in aprile a Montecatini Terme che, con le oltre 1200 presenze tra ragazzi delle scuole medie e superiori, si conferma un punto di riferimento importante per la coralità scolastica nazionale, tanto più significativo negli attuali tempi critici. Analogo significato e valore per i numeri riguardanti il Festival di Salerno, con 46 cori per un totale di circa 1000 partecipanti. Un altro settore importante che ha visto un grande impegno e meritorio sforzo di Feniarco è quello editoriale, dove, oltre ai tre numeri della rivista Choraliter (il cui comitato di redazione si è riunito a Bolzano in parallelo con l’assemblea), sono stati stampati e distribuiti i volumi Melos 3, Giro Giro Canto 4, il volume dedicato al Piemonte della collana Voci & Tradizioni, Elementi base nella tecnica della direzione di Per Paolo Scattolin, mentre contemporaneamente sono in corso di realizzazione l’Antologia Choraliter 10, Giro Giro Canto 5 e Teenc@nta 2. Rilevante anche l’attività del Coro Giovanile Italiano e del Coro Accademia Feniarco, che hanno meritato “sul campo”, nelle diverse occasioni, il plauso e il riconoscimento di un lavoro positivo che li ha messi alla pari Una gratificazione profonda e un legittimo senso di orgoglio per quanto la nostra federazione corale ha saputo mettere in campo. delle più affermate compagini giovanili nazionali europee. L’assemblea ha espresso calorosa gratitudine a tutti coloro che nei diversi ruoli hanno lavorato con competenza, professionalità e nobile senso di abnegazione per affrontare con successo una “sfida” alta, ambiziosa forse ma sicuramente non velleitaria. Per le iniziative del 2013 sono state esaminati in particolare il Festival di Primavera di Montecatini, con una ricognizione degli atelier e dei docenti proposti, la ripresa della settimana cantante Alpe Adria Cantat a Lignano Sabbiadoro dopo la pausa del 2012, a cui segue la settima Accademia Europea per direttori di coro, a Fano in settembre, con la docenza di Nicole Corti. Rimanendo in campo europeo, l’assemblea ha ratificato le candidature per il prossimo Board di European Choral Association - Europa Cantat (a seguito della conclusione del mandato del presidente Sante Fornasier) e della Commissione Musicale della stessa che saranno presentate in occasione dell’assemblea di eca-ec a Tolosa in novembre: Feniarco ha proposto rispettivamente i maestri Carlo Pavese e Nicola Campogrande. Domenica 21 l’assemblea ha affrontato l’analisi e la valutazione della proposta di un nuovo logo per Feniarco. Il progetto scaturisce dalle conclusioni dei gruppi di lavoro, tenutisi nella precedente assemblea nazionale di Arezzo nello scorso marzo. In quell’occasione si convenne sulla necessità di una evoluzione e aggiornamento della base associativa che, coinvolgendo più consapevolmente i diversi attori del movimento corale amatoriale italiano, potesse dare alla federazione ulteriore incisività istituzionale e forza contrattuale nei diversi ambiti. Già allo stato attuale Feniarco ha raggiunto, per opinione condivisa all’interno e all’esterno del mondo corale e istituzionale, una rilevante posizione sul fronte della rappresentatività e della progettualità. Il suo ruolo è quello di una rilevante organizzazione del terzo settore nella quale l’informazione e la comunicazione risultano strategiche. Questa, del resto, era la conclusione del gruppo di lavoro su Informazione, comunicazione e promozione che aveva approfondito il tema ad Arezzo. La riflessione in questo ambito in realtà procede da diversi anni, almeno dal 2005, quando all’argomento venne dedicato un convegno a Bologna. Imprescindibile la funzione di Choraliter, strumento di informazione sia interno che verso il pubblico, ma anche potente fattore identitario che documenta e alimenta l’identità e l’appartenenza al mondo corale amatoriale italiano così ricco di contenuti culturali, sociali e umani. Comunicare l’identità e l’appartenenza è centrale per il consolidamento del ruolo della federazione. Già ad Arezzo si era discusso del problema della molteplicità delle sigle regionali, che tuttavia hanno una loro storia e una riconoscibilità locale importante da non disperdere, alle quali già molte associazioni affiancano il logo di Feniarco. Il restyling grafico di quest’ultimo può essere sicuramente l’occasione per ricercare una modalità di presentazione che riesca a coniugare identità regionale e appartenenza nazionale. Il brillante staff di Feniarco, che tanto apprezzamento ha riscosso per la campagna di comunicazione di Torino 2012, ha presentato alcune proposte all’assemblea che, a testimonianza dell’interesse e dell’importanza di questo processo, ha sviluppato una ricca e articolata analisi dandosi appuntamento, per la decisione definitiva, alla prossima riunione nella primavera del 2013. 49 Feniarco ha raggiunto una rilevante posizione sul fronte della rappresentatività e della progettualità. ASSOCIAZIONE 50 L’Italia corale protagonista nel panorama europeo Assemblea generale eca-ec 2012 di Giorgio Morandi Secondo tempi e modalità previste da statuti e regolamenti di cui è dotata, ogni associazione umana ben organizzata tiene ogni anno la propria assemblea (ordinaria e/o straordinaria). European Choral Association - Europa Cantat lo ha fatto nei giorni 16, 17 e 18 novembre, raccogliendo nella bella città di Toulouse oltre 150 rappresentanti di associazioni nazionali, regionali, cori e membri individuali provenienti da 22 diversi paesi europei. Particolarmente nutrita e rappresentativa è stata la delegazione che ha portato la voce del movimento corale italiano grazie a Sante Fornasier (presidente Feniarco, nonché presidente di eca-ec al termine del mandato), Alvaro Vatri e Pierfranco Semeraro (vicepresidenti di Feniarco), Lorenzo Benedet (segretario di Feniarco), Sandro Bergamo (direttore di Choraliter), Marco Fornasier, Annarita Rigo, Michela Francescutto e Pier Filippo Rendina (staff organizzativo del Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012), Carlo Pavese (artistic manager del Festival Europa Cantat di Torino, nonché candidato al nuovo Board di eca-ec), Gianni Vecchiati e Giorgio Morandi (del gruppo Feniarco, nonché, il secondo, membro diretto individuale di eca-ec). Assemblea annuale di eca-ec (già Europa Cantat prima della felice fusione con agec - Arbeitsgemeinschaft Europäischer Chorverbände) da sempre non è che la denominazione in forma breve di una manifestazione corale di ben più ampio respiro che, in realtà, oltre alla riunione assembleare vera e propria, nell’arco di tre giorni offre adeguati spazi e tempi per molte altre importanti attività. Nell’assemblea generale di eca-ec di quest’anno hanno avuto luogo le riunioni delle varie componenti istituzionali, dal Board dell’associazione allo Youth Committee, al comitato editoriale e fino al meeting dei partners del progetto voice. A tutti partecipanti all’assemblea, invece, è stata offerta la possibilità di godere davvero il meglio dell’espressione corale del paese ospitante in aperitivi musicali e concerti veri e propri. È stato il caso dell’esibizione del coro di ragazzi di Toulouse La Lauzeta diretto da François Terrieux e del Choeur National des Jeunes diretto da Régine Theodoresco, oltre che del concerto di Maîtrise du Conservatoire de Toulouse e del meraviglioso concerto di musica antica offerto dal conservatorio. Importante, nelle nostre general assembly, è la realizzazione di diversi workshop che danno la possibilità ai partecipanti di presentare le proprie esperienze, ascoltare quelle che si realizzano in altri paesi e regioni e confrontarle fra loro, per arrivare infine a chiarire aspetti e problemi e fornire al Board e alla Music Commission dell’associazione indicazioni e suggerimenti per le attività future. Tutto questo è avvenuto nei sei workshop che proponevano i seguenti temi: Cori giovanili nazionali e regionali di Germania, Estonia, Norvegia e Svezia, Catalogna/Spagna, Svizzera, Olanda, Italia e Austria; Creazione e rinnovo del repertorio per cori di bambini: quali iniziative si sono rivelate decisive o potrebbero essere adottate in futuro per ottenere risultati in merito; Teenagers e cori, nuove pratiche e nuove procedure di avvicinamento; Cori giovanili nazionali e regionali, problematiche e prospettive; Educare il coro con l’aiuto di un repertorio specifico: il repertorio è importante per il successo del coro, ma può essere molto di più (il repertorio può essere educativo per i cantori ma anche per il pubblico); Coro in scena. Il processo artistico: la relazione fra musica e movimento; I colori delle voci europee: insegnanti/preparatori vocali provenienti da varie parti d’Europa (Germania, Lettonia, Portogallo, Russia e Francia) hanno parlato di come le diverse culture vocali “colorano” la voce e come influenzano i metodi di insegnamento vocale e la pratica del canto in aree geografiche diverse. Ben organizzata dalle associazioni francesi Arpa, Platforme Interrégionale, A Coeur Joie e Ifac in una bella città come Toulouse, l’assemblea vera e propria è entrata nel vivo con il saluto ai convenuti da parte del presidente Sante Fornasier. La sua relazione, che è stata sì relazione annuale, ma anche (essendo in scadenza di mandato) relazione consuntiva del triennio da lui presieduto, s’è fatta occasione per esprimere soddisfazione e gratitudine. «Per me è stato un onore, un arricchimento personale stupendo e memorabile, nonché grande opportunità di incontri esperienze ed emozioni. Grazie infinite per la fiducia che mi avete dato. Ho sempre cercato di lavorare con impegno e passione. Spero di essere riuscito a dare un contributo positivo alla causa». Piccolo importante appunto di cronaca: la relazione si è conclusa con il ringraziamento a tutti i collaboratori, a tutte le componenti dell’associazione, alla Segreteria Generale (Sonja Greiner e collaboratori), a «cantori, cori e federazioni che costituiscono la base fondamentale della nostra associazione… E per ultimo, ma non meno importante, grazie agli amici francesi che ci hanno accolto qui a Toulouse per questo importante incontro». Dopo di che, per il presidente uscente è scoppiato uno spontaneo scrosciante applauso, una vera e propria standing ovation durata diversi minuti. Da parte dei convenuti in assemblea è stata l’espressione di un gradimento e di una gratitudine di cui chi scrive (presente ormai a molte assemblee) non ricorda uguali. A quella del presidente hanno fatto seguito le relazioni della Music Commission, del tesoriere, dello Youth Committee, dei Centri Regionali d’Ungheria (Pomáz) e di Spagna (Barcellona), della segretaria generale e del tesoriere. Adeguato spazio è stato dato in assemblea a quello che indiscutibilmente s’è rivelato l’evento corale del triennio, il Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012: i componenti del comitato organizzatore italiano presenti a Toulouse – Carlo Pavese (artistic manager), Marco Fornasier, Annarita Rigo, Michela Francescutto e Pier Filippo Rendina – con l’ausilio di uno stupendo video hanno commentato l’esito del festival. Scendere in molti altri dettagli (peraltro interessantissimi) dell’assemblea non è qui possibile, e del resto nei tempi e modi previsti seguirà adeguato verbale, ma non si può tacere uno dei momenti principali di questa assemblea che ha coinciso con l’elezione del nuovo Board. La scadenza del mandato triennale che tutti i membri del Board avevano ricevuto nell’assemblea di Sofia nel novembre 2009 lo ha richiesto. La nuova elezione è stata un passaggio che, tra l’altro, segna ancora un momento estremamente significativo e importante per la coralità italiana in Europa. Tra i 17 candidati al nuovo Board era presente il maestro Carlo Pavese che, con il forte convinto appoggio di Feniarco, ha dato la sua disponibilità a mettere esperienza, cultura, preparazione, entusiasmo e tempo a disposizione della coralità europea. Non è questo né il tempo né il luogo di esprimere elogi o critiche del candidato (che peraltro molti lettori di Choraliter conoscono personalmente). Né ce n’è bisogno, visto che il risultato delle votazioni parla da solo e per tutti. Dei 664 voti disponibili Carlo Pavese ne ha ottenuti 660 (pari al 99,50% per chi ama statistiche percentuali), risultando l’eletto con maggior numero di voti. Nell’intera storia dell’associazione, è certamente la prima volta che un candidato ottiene un consenso di questa portata, anche se è piacevole ricordare che anche tre anni fa a Sofia il maggior numero di voti era stato ottenuto (ma guarda un po’ che vizio!) dal candidato italiano Sante Fornasier, voluto poi all’unanimità presidente dell’associazione. Nell’ambito del nuovo Board, Carlo Pavese ha accettato la carica di primo vicepresidente e ha già cominciato a lavorare con Gábor Móczár (Ungheria, nominato dal Board presidente di eca-ec per il triennio 2013-2015), Jan Schumacher (Germania), Kaie Tanner (Estonia), Anneliese Zeh (Austria), Reijo Kekkonen (Finlandia), Séverine Delforge (Vallonia/Belgio), Guido Helbling (Svizzera), Victoria Liedbergius (Norvegia), Martí Ferrer (Spagna/Cat), Konraad De Meulder (Fiandre/Belgio), Jean Claude Wilkens (Francia), Daphne Wassink (Olanda) (nomi elencati in ordine decrescente secondo i voti ricevuti). Un’ultima informazione importante per il movimento corale italiano: nella sua prima riunione il nuovo Board ha nominato anche la Music Commission. Un altro italiano, il maestro Nicola Campogrande (uno dei compositori più interessanti della giovane generazione italiana, direttore artistico dell’Orchestra Filarmonica di Torino e già membro della Music Commission di Europa Cantat XVIII a Torino) è stato nominato membro di questa importante commissione. 51 Se tre anni fa Gianni Vecchiati presentando in Choraliter gli eventi dell’assemblea generale di Sofia in cui Sante Fornasier era stato eletto presidente dell’associazione affermava con orgoglio «quel giorno c’ero anch’io», oggi, ringraziato Sante Fornasier per la sua grande opera in seno a European Choral Association, con altrettanta soddisfazione possiamo dire ancora «quel giorno c’ero anch’io»… Io, coralità italiana! Ancora per un triennio esponenti italiani generosi, entusiasti e ben preparati con la loro fattiva presenza alla direzione dell’associazione garantiscono la continuità dello straordinario momento della coralità italiana in ambito internazionale in corso da ormai alcuni anni. Al nuovo presidente Gábor Móczár e a tutti i suoi collaboratori l’assemblea dice “buon lavoro”, affinché, come si augurava nel suo saluto finale il presidente uscente Fornasier, si realizzi quella maggior crescita, quel rafforzamento di ruolo nel paesaggio europeo che ancora è possibile per la nostra European Choral Association, secondo i principi di rispetto e coesistenza su cui l’associazione è nata. «Il cantare insieme ci aiuti nel comune cammino basato sul rispetto delle nostre diverse culture, dei differenti linguaggi e della nostra unicità che deve essere considerata una risorsa» (pensiero conclusivo di Sante Fornasier). CRONACA 52 53 ANCHE L’ITALIA IN GARA PER IL TROFEO DELLE NAZIONI A GORIZIA 51º Concorso Internazionale di canto corale Seghizzi di Rossana Paliaga Ha superato il traguardo del cinquantesimo anniversario ed è uno dei concorsi internazionali più longevi, segue un percorso autonomo senza connessioni ufficiali con realtà analoghe e contando soltanto sulle proprie forze attira cori da tutto il mondo, vantando una peculiare varietà di provenienze, si rinnova ogni anno per essere sempre unico in ogni edizione. Il concorso internazionale di canto corale Seghizzi naviga con una certa stabilità attraverso la crisi generale del settore culturale e ha garantito anche quest’anno una settimana di concerti, convegni e competizione con partecipanti provenienti da tre continenti. Negli ultimi anni il Seghizzi ha consolidato una formula pluritematica nella quale i momenti corali vengono affiancati da concerti di musica strumentale in collaborazione con il conservatorio Frescobaldi di Ferrara, ma quest’anno anche con la Nuova Banda di Carlino che ha introdotto la serata delle premiazioni con un concerto all’aperto. Si tratta di un abbinamento che interrompe senza particolari collegamenti a livello di contenuto la monograficità del concorso e che integra l’intenso programma con iniziative volte ad attirare verso la manifestazione anche un pubblico diverso da quello specifico della coralità. In un contesto così focalizzato è tuttavia difficile trovare la giusta connessione tra le due aspirazioni e le aspettative del pubblico. È stato più “a tema” il concerto inaugurale nella basilica gradese di Sant’Eufemia con la Messa di Gloria di Puccini diretta da Giorgio Mazzucato con il suo Venezze Consort, mentre la chiusura è stata affidata a un concerto d’organo “a quattro mani e quattro piedi” con Paolo Accardi e Alessandro Casali. La novità più evidente del concorso di quest’anno è stato il trasferimento nella sala del centro culturale Lojze Bratuz̆ di Gorizia che ha accolto la manifestazione con entusiasmo e spirito di collaborazione, inoltre con il gradito omaggio di una buona acustica. Serbia, Spagna, Paesi Bassi, Italia e Slovenia sono stati i paesi rappresentati in giuria da Boz̆idar Crnjanski, Francisco José Herrero, Geert-Jan van Beijeren Bergen en Henegouwen, Paola Versetti e Sebastjan Vrhovnik. L’assegnazione dei premi (anche senza considerare la lunga serie di premi speciali che riescono a regalare qualche soddisfazione quasi a tutti i partecipanti) ha rivelato una giuria indulgente per un assortimento di cori che quest’anno ha presentato un buon livello medio senza vertici di qualità e nel quale distinguere qualche intepretazione preparata con cura o l’armonia vocale d’insieme di alcuni gruppi. Tra le categorie per periodi storici è stata sospesa quella di musica barocca e classica, sempre poco frequentata dai cori, mentre le altre suddivisioni sono rimaste invariate secondo una formula che effettivamente funziona bene, permette ai cori di concentrarsi di volta in volta sui singoli stili ma non impedisce il confronto tra le esecuzioni di brani di periodi diversi, dato che di norma i cori di punta si iscrivono sempre a più categorie. Purtroppo nel commentare le esibizioni nella categoria di musica rinascimentale (e questo vale piuttosto in generale per i concorsi), il commento si ripete quasi immutato di anno in anno: ascoltare esecuzioni musicalmente e stilisticamente appropriate sembra quasi impossibile, sebbene siano sempre in molti a cimentarsi, cosa che non potremmo dire per altri periodi e stili storici più trascurati ma che potrebbero dare risultati più soddisfacenti. Solitamente si oscilla tra la noia e l’errore e non è detto che la prima risulti più desiderabile, come hanno dimostrato i cori in gara quest’anno con esecuzioni fondamentalmente corrette, pulite, ma prive di quella comprensione profonda che dà respiro alla musica, trovando la chiave per esprimere con efficacia la sua bellezza più autentica. Tuttavia la giuria ha ritenuto di poter assegnare un primo premio al coro misto Paramabira di Jakarta (Indonesia) che grazie a questo piazzamento, seguito dal secondo premio nel repertorio romantico, ha potuto partecipare alla competizione finale tra vincitori e conquistare il premio più ambito, il 24º Grand Prix Seghizzi, nonostante una tendenza generale a schematizzare le interpretazioni e una certa durezza del fraseggio, ma grazie al lavoro accurato e il controllo del suono esercitato dal direttore Rainir Revireino. Al secondo posto assoluto si è piazzato invece un coro che ha fatto della comunicativa il proprio asso nella manica. A priori sarebbe stato difficile puntare sul coro virile canadese Leoni che per età media dei coristi non prometteva all’apparenza grandi performance, ma ha saputo conquistare gli spettatori con la capacità di divertirsi (e divertire) e un evidente coinvolgimento emotivo in tutte le interpretazioni, con il valore aggiunto di una direttrice molto determinata. I Leoni di Vancouver che hanno affrontato in frac il programma romantico e si sono poi scatenati in travolgenti coreografie da matrimonio indiano in stile Bollywood, hanno convinto per espressività e dedizione, anche per la capacità di valorizzare e dare la giusta importanza ai testi. È loro la collezione più ricca di premi del 51º concorso Seghizzi con tre primi premi nelle categorie di spiritual e gospel, repertorio contemporaneo e romantico, integrati da sei premi speciali, tra cui due assegnati del pubblico. Canada, Estonia e Ungheria sono stati nell’ordine i paesi che hanno conquistato il podio nella categoria di musica contemporanea che assieme al popolare detiene sempre il primato di cori partecipanti. La medaglia d’argento è andata all’E Stuudio Girl’s choir, giudicato anche il miglior complesso a voci pari femminili. All’interno della predominante presenza di cori centro ed est-europei non ci sono stati risultati di rilievo, ma l’energica Zsofia Cseri ha tenuto alto il nome della tradizione corale ungherese conquistando il premio speciale al miglior direttore di coro. Il suo gruppo numeroso, l’Erkel Ferenc, ha potuto partecipare alla competizione del Grand Prix con un secondo posto nel popolare e due terzi posti per programma contemporaneo e romantico, dimostrando di essere un buon coro, forse meno appariscente degli altri finalisti, ma preparato, motivato, dal suono intenso e che con la consueta sobrietà dei cori ungheresi non ha cercato mai di catturare l’attenzione con brani di facile effetto. Nella musica leggera e jazz si è piazzato al primo posto il gruppo vocale croato Octachord che per sua natura e inclinazione aveva puntato tutto proprio sulla categoria popolare-leggera-jazz, seguito dall’armonioso e preciso ensemble polacco Rondo. Lo spiritual ha visto giustamente arrivare i suoi migliori interpreti da oltreoceano con la vittoria dei canadesi di Vancouver, mentre il calore del coro dell’Università autonoma de Bucaramanga (Colombia) ha fatto centro come previsto nella categoria di elaborazioni di musica popolare che quest’anno si è svolta in un tono insolitamente sobrio. Sono stati ben sei i cori italiani che hanno preso parte al concorso, tra i quali il coro femminile Eos di Roma ha avuto Una settimana di concerti, convegni e competizione con partecipanti provenienti da tre continenti. accesso alla finale per il Gran Premio. Il coro di Fabrizio Barchi ha descritto un percorso lineare e coerente, affrontato partecipando al maggior numero di categorie, vincendo il primo premio per l’esecuzione del brano contemporaneo proposto dal concorso, il secondo nel rinascimento e il terzo nella musica leggera e jazz, il premio per presentazione e coreografia, infine il premio Feniarco come miglior complesso italiano. A Barchi va riconosciuta una visione ampia del repertorio e uno studio attento per amalgamare la vocalità con emissione e pronuncia omogenea delle coriste, ma indulgendo troppo a una grazia femminile che manca di CRONACA 54 temperamento e intensità all’interno di una gamma dinamica ridottissima, della quale sono causa e effetto poco trasporto e poco colore. Tra gli italiani partecipanti, il Coro Polifonico Turritano diretto da Luca Cristiano Sannai è stato spinto al limite delle proprie possibilità, incrinandosi sull’insicurezza negli attacchi e la scarsa compattezza del suono. Il coro femminile In Laetitia di Arese (diretto da Massimo Mazza) ha deciso di mettersi alla prova soltanto nel programma contemporaneo, dove non è stato agevolato dalla durezza di un approccio forse condizionato dalla tensione. Gli esuberanti coristi livornesi dello Springtime si sono presentati invece nelle due categorie in sintonia con il loro repertorio più abituale: la musica leggera e il gospel. Incitato dal vivace direttore Cristiano Grasso e animato da un evidente entusiasmo, il coro non è risucito tuttavia a sottrarsi al rischio comune agli organici di grandi dimensioni di interpretare i brani in maniera poco diversificata. Considerando le esibizioni al di fuori dei parametri necessari alla giuria, dal punto di vista di una pura considerazione di efficacia, interesse o curiosità, andrebbero evidenziati due gruppi che non hanno ottenuto risultati di rilievo nella graduatoria ufficiale, innanzitutto il coro virile veneto La Stele che ha partecipato nella sola categoria con programma romantico. Attenti alla musicalità, anche se a tratti meno alla precisione, con un suono suggestivo e voci curate, i coristi veneti hanno lavorato con cura dei dettagli sotto la guida di Matteo Valbusa che ha scelto per loro un ingresso prudente e ponderato nel mondo delle competizioni internazionali. «Il gruppo nasce come coro di montagna e solo in seguito ha ampliato il suo repertorio. Facciamo molti concerti di ispirazione popolare, ma abbiamo intrapreso anche un percorso che offre spunti interessanti nel contemporaneo grazie alla collaborazione di giovani musicisti che hanno scritto per il nostro coro. Nel 2009, anno dell’anniversario della nascita di Mendelssohn, abbiamo preparato un programma monografico di ispirazione sacra. Credo che i cori italiani possano attingere con ottimi risultati alla polifonia ottocentesca, relativamente poco frequentata nel nostro paese per una questione di gusto e cultura. Si tratta spesso di brani che conquistano immediatamente coristi e pubblico e nonostante questo si eseguono pochissimo in Italia. Abbiamo partecipato soltanto a questa categoria per una questione di concentrazione, per focalizzare la vocalità richiesta. Siamo soddisfatti del nostro lavoro, è stato il coronamento di mesi di lavoro. Per noi è stata la prima uscita in un concorso di questa portata, quindi il riconoscimento della giuria o il premio contano fino a un certo punto». Tra i gruppi che al di là dei risultati finali hanno caratterizzato con una nota insolita il concorso di quest’anno va citato il gruppo femminile romano Quartetto della Rinascenza, formato da quattro dame coraggiose che hanno affrontato il concorso e la sfida quotidiana dell’attività di un gruppo da camera sulla base di un curioso assortimento di voci che difficilmente si potrebbe immaginare abbinate tra di loro. La leggerezza di soprani dal timbro quasi infantile che tenta di bilanciarsi con le ombre delle voci gravi in un continuo gioco di forze è la sigla particolare del gruppo che in questa esperienza ha trasmesso soprattutto l’emozione e l’entusiasmo di giovani coriste che in virtù del proprio ridottissimo organico hanno voluto caratterizzarsi anche per una ricerca di repertori insoliti che amplificasse ulteriormente il loro carattere specifico. Il quartetto ha conquistato così il premio per la valorizzazione del patrimonio musicale con la scelta di brani poco frequentati non per difficoltà ma per scarsa consuetudine, scegliendo Animuccia, Anerio e Soto de Langa per il Rinascimento, Villa Lobos per il Novecento, un austero trittico arrangiato da Colacicchi nel popolare. Il bilancio di questo debutto è stato quindi positivo per Eugenia, Francesca, Francesca e Serenella Casilli, direttore e portavoce del gruppo: «Ci siamo conosciute cantando nel coro del dipartimento di storia della musica dell’Università La Sapienza e un anno fa abbiamo intrapreso un percorso autonomo. Questo è il nostro primo concorso e devo ammettere che ci Il Seghizzi ha superato il traguardo del cinquantesimo anniversario ed è uno dei concorsi internazionali più longevi. siamo iscritte con un po’ di incoscienza. Vedendo le foto degli altri cori, che sono tutti gruppi numerosi, ci siamo accorte della scelta azzardata ma ormai bisognava provare e fare del proprio meglio. Il quartetto è una formazione delicata, che richiede una cura particolare del suono e che d’altra parte proprio per questa caratteristica permette di personalizzare molto il carattere complessivo del gruppo. Il programma portato in concorso è un concentrato dei nostri approfondimenti musicali, dalla lauda filippina al Novecento, trovando invece per il popolare un legame con un percorso già iniziato su Colacicchi. Gli organizzatori del concorso ci hanno dato un grande sostegno e ci siamo sentite in famiglia, anche se sul palco ovviamente c’è stata molta agitazione: rispetto al coro, lo stesso carico di tensione ed emozione va diviso in quattro!» 55 RISULTATI DEL 51º CONCORSO INTERNAZIONALE DI CANTO CORALE SEGHIZZI Categoria 1a - Rinascimento 1° Paramabira (Indonesia) 2° Coro femminile Eos (Italia) 3° E Stuudio Girl’s choir (Estonia) 4° Vocal Ensemble Rondo (Polonia) 5° AZM Silesian University of Technology (Polonia) 6° Quartetto della Rinascenza (Italia) Categoria 1c - Ottocento 1° Chor Leoni Men’s choir (Canada) 2° Paramabira (Indonesia) 3° Erkel Ferenc Mixed choir (Ungheria) 4° Vocal Ensemble Rondo (Polonia) 5°La Stele (Italia) Categoria 1d - Novecento 1° Chor Leoni Men’s choir (Canada) 2° E Stuudio Girl’s choir (Estonia) 3° Erkel Ferenc Mixed choir (Ungheria) 4° Paramabira (Indonesia) 5° AZM Silesian University of Technology (Polonia) 6° Coro femminile Eos (Italia) Categoria 2a - Musica popolare 1° Coro UNAB - Univ. Autonoma de Bucaramanga (Colombia) 2° Erkel Ferenc Mixed choir (Ungheria) 3° Vocal Ensemble Rondo (Polonia) 4° E Stuudio Girl’s choir (Estonia) 5° Chor Leoni Men’s choir (Canada) 6° Coro femminile Eos (Italia) Categoria 2b - Spiritual 1° Chor Leoni Men’s choir (Canada) 2° Coro UNAB - Univ. Autonoma de Bucaramanga (Colombia) 3° Vocal Ensemble Rondo (Polonia) 4° AZM Silesian University of Technology (Polonia) 5° Vokalna Skupina Octachord (Croazia) 6° Springtime (Italia) Categoria 2c - Musica leggera, jazz, tradizionale 1° Vokalna Skupina Octachord (Croazia) 2° Vocal Ensemble Rondo (Polonia) 3° Coro femminile Eos (Italia) 4° Chor Leoni Men’s choir (Canada) 5° Springtime (Italia) Categoria 3 1° Vocal Ensemble Rondo (Regina caeli) Coro femminile Eos (Salve Regina) 2° AZM Silesian University of Technology (Regina caeli) 24° GRAND PRIX SEGHIZZI 1° Paramabira (Indonesia) 2°Leoni Men’s Choir (Canada) 3° Erkel Ferenc Mixed Choir (Ungheria) 4° E Stuudio Girls’ choir (Estonia) 5° Coro femminile Eos (Italia) CRONACA 56 RINASCERE A SESSANT’ANNI L’ANNIVERSARIO DEL POLIFONICO, IL PIÙ ANTICO CONCORSO CORALE AL MONDO di Rossana Paliaga Al Polifonico di Arezzo si respira un’aria nuova, che dopo anni di instabilità e ricerca di soluzioni efficaci a mutamenti interni ed esterni al concorso regala nuovo slancio ai cori. I protagonisti del più antico concorso corale al mondo, che sembravano essere diventati quasi comprimari tra le pressioni di esigenze economiche e politiche necessarie ma condizionanti, si sono sentiti nuovamente a casa, in tempo per festeggiare il sessantesimo anniversario di fondazione dell’importante manifestazione culturale. La crisi si è fatta sentire sul bilancio dell’organizzazione come anche sul numero dei partecipanti, ma la Fondazione Guido D’Arezzo ha saputo integrare le carenze materiali con quanto non ha prezzo: il rispetto, l’entusiasmo per la musica corale, l’attenzione per le priorità di coristi e appassionati, inoltre l’autenticità delle intenzioni che si è immediatamente messa in sintonia con lo spirito condiviso da chiunque faccia attività corale amatoriale. I fondi a disposizione sono ridotti, eppure il festival proprio in questo momento e nel suo anniversario sembra aver ritrovato la strada della gente, del rapporto cordiale con il territorio, di uno scambio semplice, sincero tra persone che condividono la stessa, coinvolgente passione. Forse è il risultato di un percorso progressivo, più probabilmente di una felice sinergia che si è creata all’interno del nuovo organigramma con il musicista Carlo Pedini confermato nel ruolo di presidente, il compositore Piero Caraba al suo debutto come direttore artistico, Lorenzo Donati che continua a portare avanti il progetto collaterale della Scuola superiore per direttori di coro e un importante sostegno esterno come quello dell’assessore alla cultura del comune di Arezzo Pasquale Giuseppe Macrì che da ex presidente della Fondazione conosce il valore della manifestazione e mantiene quindi un legame importante con il mondo della coralità. Prosegue a questo proposito il rapporto della Fondazione aretina con Feniarco, un legame che passa attraverso Lorenzo Donati, direttore del Coro Giovanile Italiano che ha aperto la settimana del Guidoneum festival con un programma di musica italiana del Novecento. Donati è poi ritornato sul podio per dirigere l’evento di apertura del concorso, l’esecuzione del Requiem di Mozart nella versione con accompagnamento al pianoforte di Carl Czerny e l’aggiunta di due voci recitanti che hanno permesso all’ideatore della serata Piero Caraba di confutare alcuni dei luoghi comuni e delle leggende più diffuse sulla genesi di questo capolavoro. Per festeggiare il proprio anniversario, il concorso si è concesso il privilegio di una giuria importante, formata esclusivamente da direttori di coro: Javier Busto, Gary Graden, Bo Holten, Filippo Maria Bressan, Eugeniusz Kus, Marco Berrini e Maja Cilens̆ek, ai quali si sono aggiunti Gianmartino Durighello e Luigi Marzola per il concorso nazionale. Sono stati sei i cori che hanno partecipato alla competizione internazionale e a riprova del fatto che le loro ottime esibizioni non abbiano fatto rimpiangere un numero più alto di concorrenti, ben quattro gruppi hanno ottenuto il punteggio necessario per partecipare alla finale per il Grand Prix. La vittoria ha sorriso al coro universitario Tone Toms̆ic̆ di Ljubljana che fa già parte dell’albo d’oro del Polifonico (con la vittoria del gpe nel 2002 sotto la direzione di Stojan Kuret) e che quest’anno è stato portato al successo dal direttore Sebastjan Vrhovnik. Non è stata una vittoria scontata in rapporto ai concorrenti e il fattore che ha certamente fatto la differenza nel giudizio finale è stata la musicalità di questo coro, il suono smagliante, ma controllato e armonioso che ha ottenuto il punteggio più alto nella sezione con programma storico, unito all’energia con la quale i coristi hanno conquistato il primo premio nel contemporaneo attraverso una scelta efficace di brani ad alto contenuto adrenalinico. L’annuncio del vincitore del Grand Prix ha colto di sorpresa Vrhovnik che non si aspettava la vittoria e a dire il vero è stato spinto dai coristi a partecipare, ritenendo tuttavia che la loro collaborazione fosse troppo recente per poter sostenere l’impegno di un concorso di questo calibro. Fortunatamente per loro l’audacia ha avuto in questo caso la meglio sulla prudenza e permetterà al coro sloveno di gareggiare per il Gran Premio Europeo di canto corale che nel 2013 verrà ospitato proprio da Arezzo. Nella categoria con programma storico sono saliti sul secondo gradino del podio gli ambasciatori musicali di Quezon City, che hanno aggiunto un primo premio nel programma romantico (pur essendo in questo caso gli unici partecipanti, ma con un punteggio sufficiente per conquistare la medaglia). L’University of the Philippines Singing Ambassadors ha dimostrato solidità vocale nell’intera estensione, grande carica, concentrazione e lo smalto sonoro di un coro che è risultato più coinvolgente per conduzione ritmica e dinamica che per l’espressione, in esecuzioni condotte da un direttore di polso come Edgardo Manguiat. Fabrizio Barchi si è procurato un’estate di lavoro straordinario grazie a due partecipazioni con cori diversi ai concorsi internazionali più importanti d’Italia. Nel caso del coro Musicanova di Roma si è trattato addirittura di un doppio impegno, perché il coro si è iscritto sia al concorso nazionale che a quello internazionale, ottenendo un primo premio ex aequo con la buona resa stilistica dei brani rinascimentali e un secondo premio nella graduatoria generale dei cori italiani, risultati che avrebbero potuto essere anche maggiori se la volontà di precisione e levigatezza non avesse imposto al coro una sorta di costante “sordina” espressiva. Il coro romano ha condiviso l’ex aequo nella categoria con programma rinascimentale con Los Peques del Leon de Oro, degno vivaio giovanile del noto coro asturiano. Le ottime coriste sono giovani ma dimostrano già un grande temperamento, sono capaci di spaziare tra generi diversi, di 57 realizzare esecuzioni coreografate con una carica a volte strabordante e coltivando la consapevolezza dell’immagine necessaria a un coro che si esibisce in concerto (e vuole lasciare il segno). La direttrice Elena Rosso non è passata inosservata; la giuria le ha consegnato infatti il premio come miglior direttore. Hanno chiuso il cerchio il coro ungherese dal suono omogeneo ma dall’espressione troppo uniforme Szekszárdi Madrigálkórus, terzo nella categoria con programma storico, e il gruppo vocale polacco Proforma Vocal Ensemble che ha peccato di poca incisività. Sul gradino più alto del podio del concorso nazionale è salito invece il Coro da camera di Torino, gruppo di carattere ma che deve ancora acquistare una maggiore coerenza sonora interna e per il quale il direttore Dario Tabbia ha scelto un programma ricercato con brani di Fernandez, Vaughan Williams, Mezzalira e Dominutti con i quali ha meritato il premio per il miglior programma. Dopo il già citato secondo premio del Musicanova di Roma, il terzo premio è andato all’Insieme corale Ecclesia Nova, coro dalla sonorità ancora da maturare ma motivato dalle buone idee del direttore Matteo Valbusa. Molta buona volontà ma qualche carenza vocale e stilistica hanno fatto seguire in graduatoria la Polifonica Santa Cecilia di Sassari e infine Il concerto delle Dame Genovesi. Tutti i concerti a corollario del concorso hanno celebrato la musica corale, dal raccoglimento della monodia in un omaggio al genius loci Guido D’Arezzo, fino ai concerti dei tre vincitori del riconoscimento onorario del Guidoneum award: i Philippine Madrigal Singers, ormai di casa e sempre amatissimi dal pubblico, il coro femminile della televisione estone diretto da Aarne Saluveer e il coinvolgente coro di voci bianche Cantemus di Dénes Szabó. I grandi concorsi sono il momento in cui godere dell’arte corale nella sua forma più alta. La categoria-evento della musica di ispirazione popolare ha avuto quest’anno un sapore particolare non tanto per lo spostamento obbligato dal grande prato dell’anfiteatro romano allo spazio più raccolto di piazza della Badia, quanto per il bel messaggio che il Polifonico ha voluto dare al suo pubblico affidando fuori concorso al coro toscano La Martinella di Firenze il benvenuto musicale con un florilegio di canti toscani, sardi e alpini. I coristi hanno cantato con il cuore, trasmettendo al pubblico la sensazione di aver vissuto un’esperienza quasi esotica alla luce della sempre scarsa conoscenza e valorizzazione del repertorio popolare italiano. Anche per questo motivo il Polifonico del sessantesimo anniversario è stato capace di creare un’atmosfera autentica, CRONACA 58 Risultati 60º CONCORSO POLIFONICO INTERNAZIONALE GUIDO D’AREZZO Gran Premio Città di Arezzo APZ Tone Toms̆ic̆ University of Ljubljana (Slovenia) rivolta totalmente ai valori e alle priorità della musica come unica protagonista, attenta al rapporto con il territorio, rispettosa nei confronti della storia e al tempo stesso consapevole di una necessità di cambiamento. Lo conferma il direttore artistico Piero Caraba che ha già fornito le anticipazioni sulla prossima edizione. «Nel concorso nazionale del prossimo anno vogliamo introdurre la categoria di voci bianche che il Polifonico non ha mai avuto e che in realtà rappresenta un vero e proprio uovo di Colombo più che una novità. Al suo interno prevediamo un programma ben definito con un massimo di sei brani dei quali uno solo con accompagnamento di pianoforte e l’utilizzo di strumenti soltanto se suonati dagli stessi bambini, almeno un pezzo spazializzato e uno di autore italiano contemporaneo. Nel concorso internazionale la categoria di canto monodico si amplierà per comprendere oltre al cosiddetto canto gregoriano anche la musica antica fino al 1365 con possibilità di impiego di uno strumento non obbligato. Verrà inoltre introdotta la categoria a voci pari. In tutte le categorie ci sarà un pezzo d’obbligo che senza dubbio stimolerà un coinvolgimento diverso del pubblico e della giuria che potranno confrontare le diverse interpretazioni di uno stesso brano. Abbiamo intenzione di potenziare l’attenzione sulla musica contemporanea. Nel concorso di composizione di quest’anno abbiamo già espresso in maniera molto decisa la necessità di scrivere musiche eseguibili perché soltanto in questo modo è possibile garantire la diffusione e la valorizzazione dei brani. Non ha senso riempire gli scaffali degli archivi di partiture che nessuno utilizza. Abbiamo fatto quindi una scelta a monte; la commissione addetta verifica le partiture anche in base a questo criterio prima di passare al vaglio della commissione giudicatrice. Per quanto riguarda invece i cambiamenti a livello istituzionale, occorre segnalare il fatto che la Fondazione ha un nuovo statuto che prevede la partecipazione dei privati. La grande differenza rispetto al passato sarà un ampliamento del campo di attività che si estenderà ad ambiti musicali non necessariamente corali. Probabilmente ci sarà la necessità di introdurre una doppia direzione artistica per poter gestire il nuovo indirizzo. In conclusione vorrei ritornare sul concerto di musica popolare per parlare del rapporto con la coralità locale: l’associazione regionale dei cori della Toscana non aveva mai preso parte ufficialmente al Polifonico in questo sessantennio. L’invito a partecipare è stato Sezioni 2 e 3 Gruppi vocali e cori 1° APZ Tone Toms̆ic̆ University of Ljubljana (Slovenia) 2°University of the Philippines Singing Ambassadors (Filippine) 3° Szekszárdi Madrigálkórus (Ungheria) 4° Coro Musicanova (Italia) 5° ProForma vocal ensemble (Polonia) Sezione 5 Rassegna per periodi storici Periodo storico A (ex aequo) Coro Musicanova (Italia) Los Peques del León de Oro (Spagna) Periodo storico B non assegnato Periodo storico C University of the Philippines Singing Ambassadors (Filippine) Periodo storico D APZ Tone Toms̆ic̆ University of Ljubljana (Slovenia) Sezione 7 Festival di Canto Popolare 1° University of the Philippines Singing Ambassadors (Filippine) 2°Los Peques del León de Oro (Spagna) 3° Szekszárdi Madrigálkórus Premio speciale al miglior direttore nelle sezioni della categoria B Elena Rosso del coro Los Peques del León de Oro (Spagna) Risultati 29º CONCORSO POLIFONICO NAZIONALE GUIDO D’AREZZO 1° 2° 3° 4° 5° Coro da camera di Torino Coro Musicanova (Roma) Insieme Corale Ecclesia Nova (Bosco Chiesanuova, Vr) Polifonica Santa Cecilia (Sassari) Il Concerto delle Dame Genovesi (Genova) 59 quindi un’altra novità a portata di mano. All’associazione, che festeggia il trentennale di attività, è stata dedicata una giornata intera, inoltre l’apertura del concerto folk. Non è possibile guardare lontano se non vediamo prima le cose che stanno intorno a noi». Oltre a guardare intorno a sè, il concorso ha guardato quest’anno anche alla propria storia, inaugurando nei giorni del concorso una mostra con foto e documenti che ripercorrono sessant’anni di storia a partire dal primo programma di sala del concorso, datato 1952. La mostra vuole documentare anche l’evoluzione del gusto e del livello dei cori: nell’Italia del dopoguerra non si richiedeva di essere funambolici, anzi, i brani d’obbligo erano elementari, ma permettevano di concorrere per un premio cospicuo di ben 150.000 lire. La giuria era presieduta dal leggendario pianista Arturo Benedetti Michelangeli, al quale erano state affiancate personalità di spicco come Luigi Colacicchi, Francesco Coradini, Celestino Eccher, Guido Pannain, Achille Schinelli, Bonaventura Somma. In quei primi anni i cori eseguivano canti semplici, con predilezione per il popolare, come ha voluto testimoniare anche un ospite speciale, il corista Giuseppe Marussi, che con una lettera in occasione di questo anniversario ha voluto ristabilire un affettuoso contatto con il concorso al quale ha preso parte nel 1953 con il coro Montasio. Anche a livello istituzionale il Polifonico è stato in quegli anni oggetto di grande considerazione: le copie di due pagine che citano il Polifonico dal diario privato di un assiduo del concorso negli anni ’50, l’ex presidente della Repubblica Amintore Fanfani, sono state esposte per la prima volta per gentile concessione dell’Archivio storico del Senato, accanto a foto del presidente Segre che consegna i premi ai cori, a testimonianza del rapporto con le più alte istituzioni che continua a essere rappresentato dalle medaglie consegnate a personaggi che si sono particolarmente distinti nel campo della cultura e della musica corale in particolare. Il festival proprio in questo momento e nel suo anniversario sembra aver ritrovato la strada della gente. Medaglia d’onore al presidente Feniarco Sante Fornasier Il presidente della Federazione nazionale italiana delle associazioni corali regionali Feniarco e già presidente della European Choral Association - Europa Cantat Sante Fornasier è stato insignito della medaglia del Presidente della Repubblica che lo storico concorso corale Polifonico di Arezzo ha la facoltà di consegnare a personalità del mondo della cultura che si siano particolarmente distinte nella diffusione e crescita della musica corale. Il direttore friulano a capo della coralità nazionale ha ricevuto il riconoscimento nella cornice suggestiva della chiesa di San Francesco ad Arezzo in occasione della cerimonia di apertura della sessantesima edizione del concorso. Il suo attuale presidente Carlo Pedini ha conferito la medaglia a Fornasier che ha voluto dedicarla e condividerla con i 2500 cori iscritti alla Federazione che con un impegno individuale e comune hanno fatto crescere la coralità italiana. La direzione del Polifonico ha voluto premiare il tenace pragmatismo, la capacità imprenditoriale e la sensibilità artistica che hanno guidato la coralità nazionale verso risultati di eccellenza sempre più spesso riconosciuti a livello internazionale (non da ultimo il grande successo ottenuto con la gestione del più grande festival corale europeo, portato per la prima volta in Italia, a Torino). La motivazione della medaglia ha elencato i meriti di Fornasier, che ha «immaginato nuove prospettive e nuovi campi di presenza e partecipazione della musica corale, stimolando ogni iniziativa su tutto il territorio italiano che favorisse la diffusione capillare del cantare come momento culturale e aggregativo» e favorendo inoltre «la produzione di nuova musica corale e di musiche adatte all’alfabetizzazione polifonica dei più giovani». RUBRICHE 60 61 DISCOGRAFIA&Scaffale Voci & Tradizione Piemonte Canti della tradizione orale armonizzati o elaborati per coro Contemporaneamente Corale Zumellese 40º Anniversario dalla fondazione A cura di Ettore Galvani e Alessandro Ruo Rui San Vito al Tagliamento, Feniarco, 2012 Raccolta di composizioni inedite, dedicate alla Corale Zumellese di Mel (Bl) Attraverso la collana antologica Voci & Tradizione, Feniarco ha voluto dar voce a quel canto di tradizione orale che costituisce una ricchezza inestimabile per la cultura italiana. Si tratta di un canto che affonda le proprie radici nella terra e nel territorio delle proprie regioni e che si caratterizza per peculiarità linguistiche, stilistiche, formali e musicali. Ecco quindi le ragioni di una collana dedicata al canto di tradizione orale, un volume per ogni regione italiana, con un duplice obiettivo: da un lato incentivare la ricerca e lo studio delle fonti del canto di tradizione e dall’altro stimolare i giovani compositori a reinterpretare, attraverso le peculiarità del linguaggio musicale contemporaneo, questo importante corpus tematico. L’inaugurazione della collana è avvenuta nel 2008 con il volume dedicato alla regione Toscana, a cui ha fatto seguito quello dedicato alla regione Friuli Venezia Giulia. È di quest’anno invece la pubblicazione del terzo volume, dedicato alla regione Piemonte, terra ricca di musicisti che al canto popolare hanno dedicato grande attenzione: basti ricordare Costantino Nigra e Leone Sinigaglia. Come per le pubblicazioni precedenti, il volume raccoglie brani armonizzati o elaborati per diverse formazioni corali e accompagnati da accurate schede etnomusicologiche che riportano la trascrizione della versione melodica originale e illustrano le fonti e i dati musicologici essenziali (luogo e data di raccolta, informatore, raccoglitore, trascrittore, eventuale altra pubblicazione ecc.). La raccolta dei brani di questo terzo volume è preceduta da alcuni importanti contributi informativi a opera dei curatori: la distribuzione geografica e le varianti della parlata piemontese, alcune indicazioni sulla grafia piemontèisa, cenni sulle minoranze linguistiche del Piemonte (Franco-Provenzale, Occitano, Walser), elementi storici sulla ricerca etnomusicale in Piemonte, il rapporto fra la tradizione musicale piemontese e il compositore Leone Sinigaglia (la cui elaborazione del brano popolare La pastora e il lupo apre la raccolta). Seguono quindi le schede etnomusicologiche e le partiture di 27 brani: 14 per coro a voci miste e 7 ciascuno per i coro di voci femminili e di voci maschili, con organici che si diversificano da 3 a 6 voci. Ampio anche il panorama dei compositori che hanno armonizzato o elaborato i brani, alcuni già molto conosciuti nell’ambito della coralità e altri che avranno modo di farsi apprezzare attraverso questo lavoro: Angelo Bernardelli, Elena Camoletto, Davide Cantino, Giuseppe Cappotto, Giacomo Giorgio Ciffo, Arnaldo De Colle, Giuseppe Di Bianco, Claudia Favaro, Fausto Fenice, Sandro Filippi, Corrado Margutti, Alessandro Ruo Rui, Marco Santi, Mauro Zuccante. Una ricca e articolata bibliografia conclude il volume. Efisio Blanc Quando ricorre un significativo anniversario, le compagini corali usano celebrarlo, tra le altre consuetudini, producendo un segno concreto a testimonianza del percorso artistico svolto. Un cd, un album storico-fotografico, una pubblicazione di inediti in repertorio. Iniziative encomiabili che vanno ad arricchire il patrimonio di materiali che supportano l’attività del nostro mondo corale e ne documentano l’evoluzione. La Corale Zumellese di Mel (Bl), in occasione del quarantennale dalla fondazione, ha scelto di mettere insieme una serie di nuove composizioni corali, commissionandole direttamente a un manipolo di autori, rappresentativi delle ultime generazioni di musicisti che hanno dedicato, nella loro produzione, particolare attenzione alla musica corale. Ne è uscito Contemporaneamente, un volume che contiene più di 150 pagine di nuove proposte corali, a firma di Andrea Basevi, Paolo Bon, Javier Busto, Piero Caraba, Manolo Da Rold, Stefano Da Ros, Raffaele De Giacometti, Fabrizio De Rossi Re, Orlando Dipiazza, Lorenzo Donati, Gianmartino Durighello, Sandro Filippi, Alessandro Kirschner, Nicola Manca, Corrado Margutti, Enrico Miaroma, Eros Antonio Negri, Fabrizio Perone, Battista Pradal e Giorgio Susana. La pubblicazione si presenta sotto l’aspetto di un’accurata veste grafica. L’ampia sezione delle partiture è preceduta, come tradizione, dai saluti e dalle attestazioni di stima di persone autorevoli, da un breve contributo poetico di Edoardo Comiotto e dalle note di presentazione di Manolo Da Rold, curatore della raccolta, nonché responsabile artistico del coro bellunese. Segue, quindi, un sobrio ma esauriente profilo iconografico e testuale che illustra e racconta la storia della Corale Zumellese; un’istituzione musicale di cui la comunità di Mel, a ragione, va fiera. I compositori incaricati dalla Zumellese hanno contribuito alla raccolta attraverso opere, le cui fatture denotano, a seconda dei casi, atteggiamenti di originalità, o di tendenza. Ma per la maggior parte, esse manifestano efficacia nella stesura. Un pregio questo, che è l’esito della frequentazione da parte dei loro autori con la pratica corale, o di una particolare sensibilità che essi vantano nei confronti di un tipo di scrittura, che richiede una qual creanza nel trattamento delle parti vocali. Insomma, si tratta di lavori pensati sulle reali potenzialità e problematiche tecnico-espressive del coro. Lavori pertanto affidabili, in grado di garantire agli esecutori – con i dovuti distinguo in merito ai diversi livelli di difficoltà – un impatto sonoro ed emotivo di sicuro effetto. Gran parte delle opere si inquadra nel genere sacro o religioso. E altro connotato comune a diversi lavori è l’allargamento dell’organico, rispetto alla più diffusa ripartizione a quattro voci a cappella. Si trovano infatti brani che prevedono un impianto vocale fino a 8 voci. Si distinguono dalla tipologia a voci miste i brani Beata viscera e O Christmas tree, rispettivamente di Stefano Da Ros e di Fabrizio De Rossi Re, destinati alle sole voci femminili. In particolare il secondo, in virtù di una generale impostazione di ricerca timbrica, prevede anche l’aggiunta di alcuni tocchi di wind chimes. Consapevole di attirarmi accuse di mancato rispetto della par condicio, vorrei ugualmente spendere qualche parola per segnalare alcuni lavori sui quali si è soffermata la mia attenzione. Innanzitutto, cito le composizioni di due stimati e indiscussi “padri” della nostra coralità. Puer et puella di Paolo Bon e Ditirambo III di Orlando Dipiazza. La prima attesta un ulteriore e convincente passaggio metamorfico di Paolo Bon; senza nascondere la personale preferenza che va agli spumeggianti lavori giovanili, apprezzo infatti l’abilità del musicista veneto nell’assimilare e tradurre in forma personale i più diversi modelli di canto corale. La seconda è l’ennesima dimostrazione di padronanza della scrittura vocale da parte di Orlando Dipiazza, disinvoltamente alla prova, in questa occasione, con un brano di sapiente impronta madrigalistica. L’Ave Maria di Sandro Filippi, si rivela, invece, per un interessante e coerente connubio tra il discorso polifonico neofiammingo e l’efficacia delle moderne scelte armoniche. Infine, Gianmartino Durighello, il quale con il suo esteso Trittico «De jubilatione» occupa diverse pagine dell’intera pubblicazione. Il valente compositore bellunese si cimenta in un affresco che sconfina nella drammaturgia; una sacra rappresentazione, raffigurata attraverso quei tratti inconfondibili che caratterizzano in generale lo stile d’intreccio melodico ed espressivo del suo autore. Contemporaneamente, stampato presso Grafiche Leone di Dolo (Ve) per conto delle edizioni Pro-loco Zumellese, è a disposizione rivolgendosi direttamente alla Corale Zumellese. Mauro Zuccante RUBRICHE 62 in collaborazione con 63 Di fronte al mare, vicini alla meravigliosa Venezia e alla suggestiva Trieste, questa settimana internazionale di canto corale ospiterà 6 atelier, aperti a cori, direttori, singoli cantori e amanti della musica! Ogni sera ci saranno dei concerti, introdotti da un open singing, e tutti i partecipanti sono invitati a unirsi a questa magica atmosfera e vivere la musica. Alla fine della settimana, ogni atelier si esibirà in un concerto finale. Cantiamo il futuro Raccolta di brani di autori italiani per coro di voci bianche dal Novecento a oggi Coro Garda Trentino - Riva del Garda (Tn) dir. Enrico Miaroma SMAG, 2011 Strumento modernissimo, il coro. È questo che, prima di tutto, ci vuol dire il Coro di voci bianche Garda Trentino, diretto da Enrico Miaroma, con il suo terzo lavoro discografico, intitolato Cantiamo il futuro. Uno sguardo fiducioso al futuro della musica corale, sia per la giovane età dei cantori, all’inizio, così ci piace immaginarli, di un percorso musicale capace di accompagnarli tutta la vita, sia per il contenuto del cd, che accanto ad alcuni compositori significativi del Novecento, colloca brani di autori viventi e destinati a dare ancora molto di sé. Un percorso che si snoda prevalentemente in terra trentina, a partire da Celestino Eccher (1892-1970) esponente di quel movimento ceciliano che diede un grande contributo alla musica corale non solo attraverso la composizione, ma anche grazie a una vasta opera di formazione e di incentivo alla creazione di cori liturgici. Ma dell’Eccher, oltre a brani di una messa (significativamente intitolata a Santa Cecilia) compare anche un ciclo di Sette canzoncine per bambini su testi di Trilussa, una delle rare escursioni del sacerdote trentino dall’ambito della musica sacra. È poi un proseguire da maestro ad allievo, a testimoniare una tradizione che è quasi una scuola: allievo di Eccher è Renato Dionisi, nato in Istria da genitori trentini, di cui si può ascoltare la Cantata di Primavera, allievo di Dionisi è Sandro Filippi (Magia). Compare in veste di compositore anche lo stesso direttore Enrico Miaroma, con un trittico raccolto sotto il titolo di Sonatina e una propria elaborazione del canto natalizio medievale Resonet in laudibus. Trentino d’adozione anche Riccardo Giavina, di cui compaiono alcune elaborazioni su testi di laudi medievali (tra cui il Cantico di san Franceco). E trentino è pure Ilario Defrancesco (1970) il più giovane tra i compositori presenti in questa incisione. Ci porta invece fuori dal Trentino l’omaggio a due tra i più prolifici compositori italiani per coro: il romano Piero Caraba, che tra l’altro musica un curioso testo di Fosco Maraini, Ballo, e il friulano Orlando Dipiazza, presente con un canto popolare infantile. Una bella panoramica, quella che ci presentano Entico Miaroma e i suoi ragazzi, sulla musica italiana per coro di voci bianche. Il coro Garda Trentino si mostra ancora una volta come una delle realtà di punta della coralità infantile italiana, capace non solo di valide esecuzioni, ma anche di articolati progetti musicali che sottolineano il positivo fermento che, in questi anni, attraversa il mondo corale italiano. Sandro Bergamo international singing week AlPe ADriA CANtAt 2013 •Atelier 1 Musica per cori di voci bianche e corso per direttori Docente Luigi Leo (IT) •Atelier 2 Monteverdi e la Scuola Veneziana Docente Fabio Lombardo (IT) •Atelier 3 Spiritual e gospel Docente André J. Thomas (US) •Atelier 4 Musica romantica Docente Rainer Held (CH) •Atelier 5 Vocal Pop / Jazz Lignano/Italy Docente Rogier IJmker (NL) •Atelier 6 World Music Docente Silvana Noschese (IT) 1»8 settembre iscrizioni entro il 31 maggio 2013 con il sostegno di Regione Friuli Venezia Giulia Ministero per i Beni e le Attività Culturali Fondazione CRUP informazioni Feniarco Via Altan, 49 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn) Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - [email protected] www .fen iar co.i t RUBRICHE 64 65 LA VITA CANTATA Rubrica dedicata al canto di ispirazione popolare a cura di Puccio Pucci Si è svolto nel marzo scorso ad Arta Terme un interessante convegno sulle tematiche che investono il canto di tradizione orale, con un particolare riferimento al rapporto che esiste tra il momento della ricerca e la successiva riproposta corale. Il convegno è stato coordinato dagli amici del Coro Peresson di Piano d’Arta diretto dal maestro Arnaldo De Colle e ha visto la presenza di cori e gruppi spontanei di cantori, testimoni della cultura popolare che essi rappresentano. Abbiamo chiesto all’amico De Colle di esporci i risultati della lodevole iniziativa. Nel corso dei lavori è stato molto bene sottolineato il grande valore culturale del canto di tradizione e quale potrà essere l’approccio di cori e di armonizzatori nella riproposta di queste musiche. Esse infatti dovranno rappresentare alle giovani generazioni la viva testimonianza della tradizione orale, permettendone altresì la sopravvivenza. Il canto popolare di tradizione orale: dall’informatore alla proposta corale Arta Terme - Palazzo Savoia Gli organizzatori hanno voluto dare all’iniziativa una particolare caratteristica; non ci sono state relazioni iniziali e interventi scritti. Guidati da un conduttore, ogni gruppo di canterini aveva un proprio presentatore, non necessariamente praticante in campo musicologico; un personaggio rappresentativo della comunità di appartenenza, conoscitore e cultore delle usanze e delle tradizioni del proprio paese. Interventi a braccio, espressi con grande libertà e spontaneità e con descrizioni convinte e convincenti a giustificare la passione e l’interesse per il canto di tradizione orale, capace di rigenerare nei modi e nelle forme espressive le sensazioni trasmesse da un filo conduttore sospeso, nei suoi lunghi anni di vita, tra ricerca, conoscenza e ignavia e mai spezzato. E così, in quelle due serate, nel Palazzo Savoia di Arta Terme si è stabilito, con lieta sorpresa, un clima di piacevole conversazione tra pubblico, esecutori e organizzatori, tutti ben disposti ad attribuire agli ideatori dell’iniziativa una speciale nota di merito. L’effetto si è prodotto nel momento di entrare a pieno nel tema del progetto Il canto popolare di tradizione orale: dall’informatore alla proposta corale, cioè il momento della “diretta” tra l’informatore, la persona o il gruppo che conserva nella memoria il cjant di une volte (il canto di una volta) e l’immediata proposta corale, presentata al pubblico come una specie di contenitore, ovvero una struttura armonica e melodica adatta a un organico corale che al suo interno identifica, valorizza e custodisce la melodia antica. Le convinzioni del Coro Peresson, che agisce nel concreto e si adopera per renderle palesi, trovano motivazione nel fatto che se c’è chi passa il testimone, partendo dai ragazzi della scuola, se c’è un valido elaboratore/armonizzatore e se c’è il coro che canta, il canto popolare di tradizione orale è vivo, non può morire. E, visto che tutto questo c’è, vanno definitamene cancellate le teorie che un tempo, da autorevoli cattedre, sentenziavano che «i gruppi corali uccidono il canto popolare. Che il coro non conserva ma distrugge. Che la devastazione della cultura popolare è tale che più cori ci sono e meno si conserva» (sentito de visu e subito con­traddetto). Il convegno di Arta Terme ha dato degli indirizzi che puntano sulla convivenza tra “vecchio” e “nuovo”, tra – come si dice in Friuli – un ch’al tire e un ch’al poche (uno che tira e uno che spinge). Sappiamo che l’espressione della parola cantata, appartenente a qualsiasi etnia o cultura popolare, è unica e irripetibile: la sua autonomia e la sua specificità vivono solo nel momento del “parto”. Tuttavia, la sua imitazione, che nel passaggio generazionale è pur soggetta a involontarie modificazioni, ricrea idealmente la fonte dal sapore antico, percepito in chiave moderna, che per l’uomo d’oggi rappresenta il fondamento di una tradizione destinata a durare nel tempo perché in essa risiede il germe della saggezza dei padri, fulcro vitale di cultura e di identità specifiche, in una società che appare evanescente, sempre più globalizzata e multietnica. Sul tema del convegno, l’obiettivo primario del Coro Peresson è stato quello di riuscire a trasmettere, attraverso il pensiero musicale e il linguaggio della parola cantata, sensazioni vere e pertinenti il soggetto da rappresentare. Di questi aspetti, i presentatori dei vari gruppi canori si sono resi interpreti sottolineandone ampiamente l’importanza, con le loro diversità e specificità, dando testimonianza di esperienze vissute nel concreto in contesti di vita sociale, comunitaria. Relativamente ai criteri da usare per le elaborazioni corali, i ragionamenti e le discussioni hanno portato a conclusioni dai risvolti unanimi, dando rilievo al fatto che il corpo vocale a più voci dispone oggi di specifiche capacità di arricchire e sviluppare la sostanza musicale del canto popolare a una sola voce, avvicinandosi più di ogni altro genere alla limpidezza vocale e all’espressività del modello folcloristico. Il canto tradizionale, il canto antico – è stato detto – non può accendere e spegnersi, con rassegnazione, nel ricordo di rituali che non esistono più. Serve una stilizzazione analitica degli elementi fondamentali del modello popolare, per accrescere la loro suggestività e dare libero sfogo al sostrato emozionale della canzone. Con il canto dei ragazzi (scuola primaria e secondaria), dei giovani, degli adulti e degli anziani (anche sopra i 90), nel cielo della Carnia, su Palazzo Savoia, si è aperto uno squarcio rasserenante senza confini, per rassicurare e dire con riconoscenza a chi si occupa e spende del proprio per la coralità – le associazioni regionali, Feniarco, Europa Cantat, e persone disponibili come Pucci, De Colle e tantissimi altri amici – che la gente indaffarata e a volte disorientata ha ancora voglia di cantare. Arnaldo De Colle UN’ESPERIENZA DI ARCHIVIAZIONE DI CANTI POPOLARI L’archivio del ccs - Centro Culturale Sletutis è ora in rete L’avventura della “ricerca sul campo” ebbe inizio alla fine degli anni ’60. Era da tempo che il maestro Giorgio Vacchi, direttore di coro e già affermato armonizzatore, era dibattuto da un problema che lo stimolava in modo particolare. Vacchi giovanissimo aveva fondato nel 1947 il Coro Stelutis, gruppo che si dilettava a far musica sulla scorta dei repertori corali allora noti: i canti della montagna. Ma da tempo si chiedeva se davvero, come dicevano valenti esponenti della prima cultura, non esistessero anche in Emilia-Romagna canti di tradizione popolare dello stesso filone di quelli da cui erano derivate le cante alpine nelle regioni dell’area settentrionale italiana, composizioni che tanto seguito avevano trovato nel repertorio dei cori, derivati dalle esperienze dei cori sosat e sat. Le visite che il maestro frequentemente faceva in quegli anni presso quei gruppi corali dell’Appennino e della bassa che stavano aderendo alla appena nata associazione dei cori regionali, da lui fermamente voluta, spesso finivano all’osteria con un bicchiere e una canta spontanea. Ma i contenuti stessi di quelle cante, per quanto a volte simili a quelli già noti e famosi nei canti alpini, avevano davvero in Emilia un altro suono e venivano espressi con altra vocalità. Da queste constatazioni nacque la sua profonda convinzione che i canti di estrazione popolare, che la gente delle campagne e dei paesi aveva cantato, forse ora erano ancora presenti, magari solo nei ricordi lontani di alcuni anziani e quindi esistevano davvero anche nella nostra Regione. Occorreva solo provare a ricercarli e nessuno sino allora lo aveva fatto! Iniziò così l’avventura della ricerca sul campo e del peregrinare con il registratore in mano in qualche sagra paesana, presso casolari o abitazioni di tanti informatori scovati da una rete di amici per trovare nuove testimonianze sonore. E fu davvero un successo! Il maestro Vacchi, conscio della valenza di quanto si andava riscoprendo, propose che il tema della ricerca fosse inserito tra le finalità statutarie dell’associazione regionale; per cui fu davvero tutto un fiorire di iniziative, di gruppi che presero coscienza di questo problema e si attivarono contemporaneamente in questo lavoro dalla Romagna al piacentino. Le cassette dei registratori, man mano che la tecnologia offriva più facili opportunità di ripresa sonora, si andavano riempiendo di testimonianze vocali che aprivano il campo alla scoperta di RUBRICHE 66 Lino Conti uno spaccato di cultura popolare che, senza questo lavoro scientificamente portato avanti sul territorio, sarebbero andate totalmente perdute. Contemporaneamente a tutto questo lavoro, veniva acquisita una profonda conoscenza del vissuto contadino e popolare, che portava alcuni armonizzatori, tra i quali lo stesso Vacchi, a rivestire con armonie non banali le più belle melodie ritrovate, per ricreare le stesse atmosfere in cui i canti erano nati a commentare momenti di vita, tradizioni popolari e religiose o il duro lavoro dei campi. Queste nuove composizioni iniziarono il loro percorso esecutivo nel repertorio di tantissimi cori e divennero note e apprezzate da pubblico e giurie dei concorsi. Il materiale raccolto andò davvero crescendo in modo esponenziale in pochi anni e divenne difficile potersi orientare sulle centinaia di nastri raccolti solo utilizzando tabelle cartacee, per dare una catalogazione sistematica a tutto quanto veniva riscoperto. Giorgio Vacchi attorno agli anni ’80 pensò allora di creare un’applicazione a mezzo computer per l’archiviazione e l’elaborazione dati dei materiali reperiti attinenti al canto popolare emiliano. Ne disegnò un progetto per utilizzare allo scopo le possibilità che il progresso delle conoscenze informatiche offriva in quel momento. Fu creato nell’ambito del coro da lui diretto un gruppo di lavoro che si dedicasse specificamente a questo problema: il ccs – Centro Culturale Stelutis – di cui si occuparono alcuni coristi e per la parte tecnica Amos Lelli, ingegnere informatico, e suo fratello, ingegnere meccanico esperto di informatica; ma più che occuparsene si innamorarono di quanto Vacchi richiedeva e già nel ’90 venne realizzato un primo modello, principalmente in ambiente Microsoft Access, che fu anche acquisito dall’Istituto dei Beni Culturali dell’Emilia Romagna. Ma il lavoro non poteva dirsi concluso perché le ricerche avevano un continuo incremento di dati, e il maestro Vacchi richiedeva sempre qualche modifica migliorativa al già importante complesso di programmi che il sistema richiedeva; per cui l’applicazione venne continuamente perfezionata sempre da Amos Lelli, coadiuvato questa volta da suo figlio Marco. Nel 2000, con l’inaugurazione della nuova sede del coro, un vecchio fienile con stalla (in dialetto Tîż) perfettamente ristrutturato ad ampia sala musica e varie zone servizi, fu presentato in un convegno e a mezzo di una pubblicazione il progetto definitivo: Un’esperienza di archiviazione di canti popolari, che ebbe vasta risonanza tra gli addetti ai lavori. Accedendo a questo materiale furono realizzate e discusse tre tesi di laurea al dams (Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo) dell’Università di Bologna. Nel 2012, con l’evoluzione dei sistemi informatici, l’applicazione ccs 2000 non era più facilmente fruibile e il lavoro di archiviazione rischiava di non potere essere più utilizzato. Fu lo stesso Amos Lelli che si fece parte dirigente per la ricerca di un’azienda specializzata che operasse gli adeguamenti, indispensabili a salvare trenta anni di lavoro informatico. Anche con l’intento di offrire a studiosi e ricercatori, oltre che a musicisti e direttori di coro, la possibilità di accedere a questo archivio, direttamente attraverso la rete. È stata così individuata la ditta idem di Granarolo Emilia (Bo), che ha curato le variazioni di progetto e di codifica che hanno consentito di mettere in rete l’applicazione stessa con alcune implementazioni importanti, come la possibilità di ascoltare i canti dalla voce degli informatori e di vedere i testi dei canti trascritti negli anni ’80 e ’90. Ora, finalmente, tutti potranno accedere al sito web del Coro Stelutis e consultare gli oltre 4000 canti dell’archivio, per la maggior parte dei quali sono disponibili, oltre ai dati anagrafici, lo spartito della melodia e l’ascolto della voce dell’informatore. È anche possibile vedere e scaricare i testi dei canti ed eseguire ricerche sulle parole-chiave e sulle melodie. Per rendere più facile l’accesso è stato anche predisposto un piccolo manuale operativo che si rivolge a coloro che hanno desiderio di consultare l’archivio dei canti popolari raccolti dal ccs. Questo manuale, in formato pdf, può essere richiesto a: [email protected] Per registrarsi nel sito web, occorre entrare in: http://www.corostelutis.org e compilare la parte sinistra (fornire una e-mail e una password). Rispondere sì per memorizzare la password. In poco tempo si riceverà un’e-mail con un link da visitare per essere abilitati alla consultazione dell’archivio del ccs (Centro Culturale Stelutis). Una particolare attenzione per i graditi navigatori: non usare il browser Explorer (ha dei problemi per la sezione musicale). Altri browser sono, ad esempio, Google Chrome oppure Mozilla Firefox. Puccio Pucci, presidente del Coro Stelutis Amos Lelli, tecnico e coordinatore del progetto Ricordo di Lino Conti Lo scorso febbraio gli amici del Coro Sette Laghi annunciavano con immensa tristezza l’immatura scomparsa del loro maestro, che aveva fondato e diretto il coro dal 1965. Gli anni Settanta furono infatti per la coralità italiana anni di vivo fermento; il movimento corale cresceva e stava maturando idee per nuovi repertori e per nuove forme associative, che permettessero l’affermarsi dei valori culturali che il “far coro” stava assumendo e meritava. Si susseguivano le iniziative di convegni, fondamentale quello di Cortina 1970, dove anche Lino fu tra i protagonisti. La crescita musicale dei complessi in attività era evidenziata di anno in anno dai successi che cori, come appunto il Sette Laghi, andavano mietendo nei numerosi concorsi che si svolgevano in Italia. Lo ricordo, Lino, a casa mia a ricavare accordi dalla mia chitarra, dopo un incontro a Bologna al quale parteciparono oltre al Lino, Giorgio Vacchi, Gianni Malatesta e Giancarlo Bregani e durante il quale si parlò a lungo di armonizzazioni e di un futuro corale che oggi è realtà. I suoi ragazzi lo hanno ricordato così: «Protagonisti non vuole dire avere la genialità o la spiritualità di alcuni, ma avere il proprio volto, che è, in tutta la storia e l’eternità, unico e irripetibile». 67 Ecco un ritratto della sua figura di uomo e di musicista inviatoci dal fratello Gabriele: «Per poter tracciare in poche righe un significativo ricordo di mio fratello Lino sono costretto a scegliere tra un’infinità di ricordi e di sensazioni. Ci provo, partendo da due parole che mi sembrano importanti: originalità e musicalità. Nel 1965, quando Lino assume la direzione del coro Sette Laghi, di cui era stato uno dei fondatori due anni prima, la coralità popolare dà di sé un’immagine ancora molto “rustica”, nell’abbigliamento, nel modo di porsi e anche nel modo di cantare che, nella migliore delle ipotesi, tende a una imitazione dello stile sat. Non credo che Lino avesse pianificato chissà quale rivoluzione del mondo corale, semplicemente la sua naturale, ricchissima musicalità, nutrita da buoni studi musicali con lo zio Paolo Conti, e la sua istintiva originalità, intesa come propensione alla ricerca e a un costante miglioramento, lo portano a plasmare il coro in modo veramente personale, perseguendo l’obiettivo di un suono morbido e caldo, di un’intonazione curata e di un’interpretazione sincera e appassionata ma mai fuori misura. Anche le scelte di repertorio sono sempre guidate da attente valutazioni musicali, considerate ben più importanti rispetto al potenziale successo di pubblico che altri brani, più popolari e famosi, avrebbero garantito. In pochi anni questo lavoro porta il Sette Laghi a ottenere numerose vittorie in alcuni dei più importanti concorsi nazionali di canto popolare e questi successi costituiscono per Lino, non particolarmente sensibile ai complimenti e del tutto allergico all’adulazione, uno stimolo sempre nuovo. La consapevolezza delle sue lacune nella preparazione musicale lo porta, con umiltà e con tenacia, a coltivare l’amicizia di musicisti, fra tutti Angelo Mazza e Giacomo Mezzalira – suo successore alla direzione del coro – con i quali confrontarsi e dai quali imparare. Ma mi accorgo di avere scordato un’altra parola chiave per descrivere Lino: passione. Passione significa adesione piena, anima e corpo, senza misura. Una passione grandissima per la musica, che lo accompagna per tutta la vita fin sul letto di morte, una passione infinita per la sua famiglia e, ancora, gli amici, la montagna, il buon vino… Penso che la capacità di amare la vita, cioè di essere veramente appassionati a essa, sia un dono che Lino ha ricevuto in abbondanza e che è rimasto ben visibile anche durante due lunghi anni di malattia, vissuti con fede sincera e solida, con una consapevolezza e una serenità che ancor oggi ci riempiono di meraviglia e di gratitudine». Gabriele Conti RUBRICHE 68 69 MONDOCORO a cura di Giorgio Morandi Il nostro canto… Come un bosco, di castagni e robinie, in un autunno accennato di fine settembre, in cui l’anima si mescola con il profumo di terra e foglie, intrecciata coi raggi come lame, di un sole da Occidente, così il nostro Canto permette che dentro il suono si uniscano le note di Amicizia e Semplicità, Comprensione e Pazienza, Partecipazione e Solidarietà. È un amico fedele che aiuta a vivere meglio. «Si dice che il mattino abbia l’oro in bocca» è un verso di una canzone di The Zen Circus, e può anche far pensare al film deel 2008 di Francesco Patierno. Però il mio richiamo mentale diretto va ai due antichi proverbi popolari: «il mattino ha l’oro in bocca» e «il buon giorno si vede dal mattino». Infatti il presente numero di Mondocoro arriverà a tutti voi con Choraliter proprio all’inizio dell’anno, un “mattino” che Mondocoro vuole per voi ricco di salute che permetta attività – tutte, ma in particolare quelle corali – di alta qualità e di infinita gioia per tutti i suoi protagonisti. Ecco allora che “Buon Anno” detto da Mondocoro significa esattamente “buona giornata corale 2013” per tutti, magari costellata da particolari pensieri e attività legate alle scadenze di numerosi anniversari musicali (di cui si accenna nel contesto che segue). Buon anno a voi, buon anno al canto, «l’amico fedele che aiuta a vivere meglio», come ci suggerisce padre David Maria Turoldo nella poesia sopra citata. Musica - Mozart Nessuno dei nostri 24 lettori sente la necessità di spiegazione di un simile binomio. Per tutti è la definizione per antonomasia e bifronte: musica è Mozart; Mozart è musica. Di questo non c’è dubbio, ma cosa passi nella mente dei titolisti dei giornali non è sempre chiaro: io lo voglio essere e allora chiarisco che… Musica in questo caso è la denominazione del database mondiale di musica corale che al momento raccoglie la presentazione di più di 164.200 partiture corali di tutto il mondo, 29.400 biografie di compositori, 2.200 schede di editori di musica corale, oltre 9.000 link a video accuratamente selezionati per qualità, il tutto arricchito da testi originali e traduzioni, dizione da parte di parlante lingua madre, esecuzione di molti dei brani ed esemplificazione delle partiture. Davvero quando si vuole fare una ricerca di repertorio o semplicemente “sbirciare” canti nuovi, Musica merita sempre di più di essere il “tuo” strumento preferito di ricerca. Tra l’altro possiamo segnalare in positivo anche che il sito www.musicanet.org/en è stato recentemente ridisegnato per offrire una migliore accessibilità alle innumerevoli opzioni che il database Musica offre. Mozart, invece, sta proprio per il nostro Joannes Chrysostomus Wolfgangus Theophilus (Amadeus, Gotlieb) Mozart (Salisburgo, 27 gennaio 1756 - Vienna, 5 dicembre 1791) o, come talvolta lui stesso si firmava, Wolfangus Amadeus Mozartus. Qui in questo scritto il grande compositore sta abbinato a Musica perché dalla newsletter di Musica International colgo – per trasmettervela immediatamente – la novità che segue. Sappiamo che la malattia e la morte di Mozart sono stati e sono tuttora un difficile argomento di studio, oscurato da leggende romantiche e farcito di teorie contrastanti, e anche l’effettiva causa del decesso di Mozart è – o è stata fino alla presente notizia – materia di congettura. Ora c’è una nuova tesi molto convincente di Michèle Lhopiteau-Dorfeuille, appassionata mozartiana che ha voluto veder chiaro e saperne di più sul compositore considerato il pilastro della musica classica e l’ispiratore di molti musicisti a lui posteriori. La signora Michèle L.-D. è musicologa, direttore di coro e di orchestra e ha interpretato e diretto molte volte le opere di Mozart. Passando per un gran numero di documenti e studiando a fondo quelli più inediti che si trovano a Salisburgo, in particolare la corrispondenza tra Mozart e chi gli fu più vicino, è risalita alle origini della questione. Due anni di ricerche le hanno permesso di gettare uno sguardo nuovo sulla troppo breve vita del compositore e di fare qualche rivelazione importante nel libro con cd che ha appena pubblicato nelle Editions Le Bord de l’Eau (Wolfgang Amadeo Mozart, rêver avec les sons). Sicuramente non è la notizia minore quella che riguarda la morte di Mozart. Secondo le sue deduzioni il salisburghese sarebbe rimasto vittima dell’abuso di un ricostituente molto diffuso a quell’epoca, il liquore di Van Swieten la cui principale componente era il cloruro di mercurio. L’autore del Flauto Magico negli ultimi giorni di sua vita ha manifestato – come dimostrano testimonianze dell’epoca – tutti i segni clinici di un avvelenamento da mercurio. In quei giorni lui stesso diceva di essere vittima di un avvelenamento, anche se non avrebbe mai pensato di accusare la sinistra pozione che ha privato l’umanità di chissà quante altre opere immortali… Cambiamenti nel mondo della comunicazione Lo tsunami della tecnologia negli ultimi quindici anni ha cambiato totalmente il modo di comunicare in generale, ma in particolare quello delle associazioni corali, a qualsiasi livello. La tecnologia è cambiata alla velocità della luce e con essa i suoi strumenti. Nel mondo della comunicazione tredici anni (la vita di Choraliter!) sono una vita intera. Nella comunicazione si operava su base scritta, lettere, lettere circolari, brochure, comunicati, moduli di iscrizione, e si è passati a una comunicazione prevalentemente online, con un sistema basato sulle pagine dei siti internet. Tutti gli strumenti della comunicazione sono cambiati, con una sola notevolissima eccezione, la scrittura. Anzi, il bello scrivere è addirittura diventato molto importante perché ora c’è la necessita di un maggior numero di stili diversi. Una relazione su una ricerca o un articolo richiedono stile e sensibilità diverse rispetto al tweetting, al blogging, alle newsletter, al web posting o al marketing blurb. Cori e cantori come sono coinvolti nella comunicazione? Cori, cantori e associazioni corali comunicano regolarmente con le proprie componenti, siano esse i singoli cantori, i consigli direttivi, il pubblico, i fondatori, i media o la comunità in generale. E usano gli ultimi ritrovati della tecnologia, li usano per far giungere i propri messaggi velocemente, col minor dispendio di risorse e al costo minore. Così facendo essi costruiscono gruppi di supporto e diffondono e difendono più efficacemente la propria immagine. Anche i cori oggi si trovano a dover creare “contenuti” in modi che nel passato non erano nemmeno immaginabili. Ancora pochi anni fa un concerto era un prodotto proprio, solo del coro coinvolto o dell’organizzatore. Ora attorno a un concerto si creano communities in Facebook, si tweettano notizie sui compositori, si blogga di musica, si postano video clips su YouTube, si invita il pubblico a interagire e contattare gli esecutori… Chissà cos’altro succederà in futuro? Sto pensando, per esempio, se i cori più saggi non potrebbero un giorno guadagnare visibilità anche tramite i siti corali regionali e le associazioni regionali attraverso il sito nazionale e questo at- RUBRICHE 70 traverso “portali” più generici. E io utente che navigo per la costruzione della mia vacanza eccezionale mentre scopro la città di Pécs in Ungheria mi imbatto nel XIX Festival Europa Cantat a cui partecipano 98 cori italiani! Toh! E così l’immagine di questi cori non sarebbe visibile ancor più di oggi e a un livello molto diffuso che va ben oltre lo spazio corale coperto dall’associazionismo? Qualcosa in questa direzione forse ha avuto inizio con Italiacori.it ma… davvero è il caso di continuare il ragionamento. Liberamente ispirato e tratto dall’editoriale del presidente di Chorus America, The Voice n. 1, autunno 2012 Il mattino ha l’oro in bocca Credo che tanti di noi abbiano un modo personale di iniziare la propria giornata, intendo una specie di rito che si svolge prima di iniziare le attività principali. Io, per esempio, un cantore qualsiasi, spalanco la finestra del bagno di casa e, con qualunque tempo, ammiro (ho la fortuna di averlo di fronte) luci, colori, sfumature, nebbie e nubi del bel «Resegone dai molti suoi cocuzzoli in fila» (A. Manzoni) e del cielo soprastante. Beethoven, invece, era solito fare una passeggiata mattutina durante la quale, ovunque si trovasse, su un vecchio notes scribacchiava le note di qualsiasi idea musicale che gli entrasse in mente in quel momento. E Stravinsky? Come entrava nel suo studio si sedeva al pianoforte e suonava una fuga di Bach. Uscire alle 5.30 ogni mattina per far ginnastica è invece il rito quotidiano di Twyla Tharp, danzatrice e coreografa statunitense (classe 1941) di fama mondiale, che di sé dice: «Sono diventata la più grande coreografa del mio tempo; era il mio compito ed è ciò che ho cercato di fare». Dai nostri 24 lettori – cantori, direttori, compositori… – sono gradite segnalazioni interessanti circa i loro riti mattutini. Un punto fisso che ci incanta! La voce umana che canta nell’era del Tweetter Benché l’impetuoso fiume del tempo ci abbia ingolfato con infiniti cambiamenti, la bellezza e la purezza della voce umana rimane una costante. Nell’età del tweetting qual è il destino della voce che canta, in particolare per quanto riguarda la sua applicazione al canto corale in tutte le sue forme? Si può essere ottimisti? Sì, si può! I cambiamenti ci sono. Il fiume del tempo scorre inesorabilmente e ci trasporta nella sua corrente, incurante dei nostri affari personali. Internet e i media sociali hanno trasformato profondamente la nostra vita e le nostre professioni. Mandare un tweet è come passarsi il sale a tavola. Per molti ormai questi strumenti sono indispensabili, o comunque utili. Lo sono certamente anche per la coralità. È per mezzo loro che le notizie sul canto corale girano il mondo in breve tempo, e così ci teniamo Facebook, Tumblr, YouTube, e LinkedIn fino a che questi saranno spazzati via da una nuova generazione di strumenti, proprio come accadde agli lp nel XX secolo, o alla ibm Selectric o, più recentemente, al floppy disk. Ci sono, comunque, alcuni piaceri umani che non sono cambiati molto: la voce per il canto, per esempio, che quale miglior strumento musicale sappiamo antico quanto la vita stessa. Come ha ipotizzato Daniel Levitin, forse abbiamo avuto la musica e il canto prima delle stesse parole che li identificano. La voce è lo strumento musicale più puro, più bello, più vario, più naturale. Questa non è cambiata! Che cosa, allora è cambiato? La moda, i gusti, le tendenze… dal canto piano dei tempi di Hildegarda alla polifonia del Rinascimento, dal “niente donne” del Medioevo al “donne ovunque” di oggi, dal coro di uomini e ragazzi alle voci miste di bambini, dai cori di 12-36 cantori di Bach alle 400 voci per il festival di Händel al Cristal Palace di Londra del 2000, alle migliaia di voci in piazza San Carlo a Torino per il Festival Europa Cantat 2012, dalle prime incisioni su dischi in polivinile ai video filmati Rai del festival appena citato… Il XX secolo ha visto un cambiamento anche nell’uso della voce, dallo Sprechgesang – mezzo cantato e mezzo parlato di Schoenberg e altri – al sussurro, alla recitazione corale, al Humming, al glissando, all’urlato… ma è sempre la stessa voce, la stessa muscolatura vocale. In Canada è stato recuperato il throat singing della tradizione Inuit in una reinvenzione delle Quattro Stagioni di Vivaldi. Insomma, è sempre la voce umana nel canto, sia che si tratti di Morten Lauridsen o di Charles Wuorinen. Una cosa cambiata, invece, è certamente attinente ai castrati: non si castrano più ragazzi pre-adolescenti (un alto prezzo pagato per tener fuori le donne!). Altro cambiamento: la tv ha scoperto il canto corale, certo, all’estero più che in Italia, nonostante il filmato Rai per il festival Europa Cantat 2012. Forse tutto ebbe inizio dal film francese Les Coristes nel 2004; oggi abbiamo, invece, Glee negli usa per gli show choirs, The Choirs alla bbc, Choirs of hard knocks in Australia e poi Clash of the choirs alla nbc e Choir! Choir! Choir! a Toronto. Finalmente il nostro segreto, la nostra gioia sono stati scoperti e vengono ora celebrati per strada (ben presto speriamo anche in Italia!). Ma cosa dà il cantare in coro ai nostri cantori? Andiamo a prova di coro – diciamo al mercoledì sera – dopo una brutta giornata di lavoro, con svariati problemi di casa/famiglia, stressati oltre- 71 misura dai ritmi vitali moderni, e l’ultima cosa che vorremmo è… andare a prova. Ma non ci vuole molto, dopo il riscaldamento voce, appena si entra nel repertorio, tutto quello stress e quelle preoccupazioni di vita cominciano a svanire. Appena cominci a cantare, ad alzare la voce nel canto, senti le spalle che si alleggeriscono, sono libere da pesi. Cantare è terapia, la meno costosa e la più affidabile. Si sono sempre citati i Greci per i quali la musica guarisce i malanni e provoca benefici mentali e fisici. Ma oggi è provato scientificamente. Studi tedeschi e australiani su cantori di cori amatoriali hanno dimostrato che il canto porta effetti benefici in campo emotivo, fa aumentare la immunoglobulina a (che significa incremento dell’immunità verso le malattie) e diminuisce gli stati negativi. Quindi il canto fa bene alla chimica del corpo tanto quanto alla mente e all’umore, insomma fa bene al corpo e allo spirito. Ecco ancora qualcosa che non è cambiato. La ricerca di fondi per le attività è ancor oggi una dura sfida, anche per cori famosi. Bisogna lavorare un sacco per vendere biglietti, per farsi notare nel frastuono dell’affollatissimo mercato, per convincere i cantori a un lavoro serio durante le prove, per mandare in pensione cantori fedelissimi e reclutarne di nuovi. In questo nulla è cambiato. Ma ancora più importante, non è cambiata la mission. Presi in considerazione cori professionali grandi e piccoli, cori amatoriali, cori di bambini, cori di chiesa e cori speciali, ci sono temi comuni nelle motivazioni del far coro; si continua a presentare un repertorio tradizionale, ma si vorrebbe ampliarlo per comprendere altre diverse esperienze culturali, si vuole servire un pubblico il più vasto possibile, si vuole educare, insegnare, incidere, trasmettere e commissionare musica nuova, ma più di tutto spesso si vuole celebrare la voce e il suo potere di ispirare e arricchire la nostra vita, di guarire anima e corpo, di fornirci bagliori di bellezza, di eccellenza, di grazia e di bontà. Questo è ciò che si fa ogni volta che i nostri cantori aprono bocca per cantare. Questo è ciò che profondamente non è cambiato. È ciò che rende angeli della cultura i cori, i cantori, i direttori, gli amministratori, coloro che si occupano di raccogliere fondi e di fare mercato. In tutta questa situazione la voce umana che canta è, per citare Elliot, il punto fisso in un mondo che cambia, un punto fisso che ci incanta e che ci porta a fermarci un momento per cogliere un bagliore di paradiso. Liberamente tratto da The Voice n. 1, autunno 2012, Chorus America, articolo di Eric Friesen RUBRICHE 72 Un concerto è una cattedrale Misterioso? Come in tutte le grandi cattedrali, qualcosa di misterioso c’è sicuramente, ma ecco la citazione completa che mi ha colpito e che volevo condividere: «Le note, il ritmo e il testo sono solo le fondamenta; il concerto è una cat­tedrale». Si è già accesa qualche luce, vero? A dire questo è Matthew D. Oltman che entrando nella discussione Cosa si può dire della memorizzazione dei canti rispetto all’uso della partitura ricorda quanto gli disse una volta un uomo saggio: «Solo i migliori cantanti del mondo possono cantare con lo spartito in mano» (e si riferiva sia a cantanti solisti che a coristi). La ragione è che se questi “migliori cantanti” usano la musica, è solo come riferimento, come risorsa che viene utilizzata a colpo d’occhio, per avere rapidi richiami, per ricordarsi della tecnica vocale accuratamente studiata, dell’interpretazione musicale, delle considerazioni fatte in merito alla dizione, al corpo e alla postura del viso, e per ricordarsi del testo che però è già stato interiorizzato. Non ha certo lo scopo di “leggere” le note, i segni di articolazione o le parole. Dice Oltman che quindi bisogna affrontare la questione non – come ha fatto qualcuno – con riferimento alla lunghezza e alla semplicità del brano (che per la verità potrebbe essere più esigente per esempio in fatto di interpretazione) ma piuttosto come un problema di tecnica. I cantori usano gli spartiti per “leggere” la musica? Sono abbastanza esperti da dare occhiate saltuarie e recepire immediatamente veloci suggerimenti circa i molti sovrapposti elementi musicali che sono stati sviscerati durante le prove (ma che non hanno nulla a che vedere con le note, il ritmo e le parole)? Ecco un esempio di come guardare al problema: immaginiamo di andare a vedere Shakespeare presentato da una compagnia teatrale di medio livello dove gli attori agiscono tenendo in mano il copione e leggendo spesso da esso per la sola ragione che il pezzo è molto lungo o difficile da memorizzare. Non credo che qualcuno di noi ascolterebbe a lungo in una simile situazione. Però se un grande attore shakespeariano stesse recitando un monologo tenendo il testo in mano, probabilmente ci piacerebbe perché è ovvio che egli non sta soltanto leggendo le parole, ma usa la pagina come semplice riferimento che gli permette di focalizzare la sua energia sulla profondità della comprensione e attraverso quell’interpretazione del testo che l’intenso allenamento e l’esperienza gli ha dato. «Penso – dice Oltman – che sfidare i cantori del coro in questo modo sia più interessante. Fa capire loro che con la loro arte possono andare molto più in profondità, che le note, i ritmi e le parole sono le fondamenta, ma uno spettacolo è una cattedrale». Spunto preso dal Forum ChoralNet; un intervento sulla provocazione “Partiture sì o partiture no in mano ai coristi?” Corale armonia Forse il più bel commento sul Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012. Nessun commento, ma gratitudine all’autrice che cito testualmente (e al giornale su cui l’ho letto): «Seguo in televisione Europa Cantat, un festival dedicato ai cori europei. Ogni tre anni si svolge in un Paese diverso e quest’anno per la prima volta in Italia, a Torino. Ci sono cori (un’enormità, una folla) di ogni grandezza e genere, di montagna e di chiesa, di musica classica e contemporanea, di professionisti e di appassionati. Ascolto, guardo i visi dei coristi, la loro serietà e contentezza di cantare insieme, e constato quanto i cori, di tradizione antichissima, siano vivi. Essere “fuori del coro” nei nostri anni è un merito, un vanto: si esaltano le singole voci libere, stridenti in modo consapevole e fiero. Allora, al di là della piacevolezza musicale, mi chiedo che cosa mi affascini in quei cori, se ci sia qualcosa da imparare in quella coralità lontana da dogmi e convenienze. Un aspetto mi colpisce, probabilmente scontato, ma è quello che diamo per scontato ad avere bisogno di maggiore considerazione: come si possa, in uno stesso coro, essere diversi, per età, caratteristiche fisiche, provenienza e, immagino, convinzioni, e nello stesso tempo cantare in comune, estraendo ciascuno dalle proprie differenze un’armonia. L’Inno alla gioia di Beethoven, che l’Europa ha scelto per rappresentarla e che esprime la visione idealistica di Schiller di una fratellanza fra gli uomini, è un coro. È il caso di ricordarlo?» Laura Bosio, Sguardi, in Avvenire, del 19 ottobre 2012 Chanticleer cd Chanticleer takes you out of this world è un cd con cui il famoso gruppo americano Chanticleer accompagna l’ascoltatore in un viaggio musicale attraverso stili e generi diversi. Davvero… ti porta fuori dal mondo. L’ensemble canta con squisita bellezza tonale e insieme impeccabile in questo disco che raccoglie brani live e registrazioni fatte in studio. Il sole, la luna, le stelle, i pianeti e l’universo intero con la loro forza seducente hanno sempre affascinato i compositori. Questo è il tema della nuova 73 selezione musicale che si introduce con Assumpta es Maria in coelum di Palestrina per passare a Ave Regina coelorum di Giovanni Gabrieli e quindi ai due brani Sfogava con le stelle ed Ecco mormorar l’onde di Monteverdi. L’Inno di S. Cecilia di Britten, in insolita versione per voci maschili, riceve nuova vita da Chanticleer che sa aderire a tutte le richieste musicali del compositore. Nel semplice e diretto Past life melodies dell’australiana Sarah Hopkins il gruppo usa tecniche di canto non occidentali per raggiungere, in modo unico, l’animo dell’ascoltatore, lasciando percepire in tutto il pezzo accenni di canto aborigeno. Altri brani sono di Schumann (An die Sterne), Britten, Mechem, Gershwin e altri. Gli ultimi quattro pezzi del cd comprendono brani di Gustav Mahler (Ich bin der Welt), Mason Bates e Vince Peterson. Tra questi il pezzo che colpisce di più è Magellanic Cloud scritto appositamente per Chanticleer. In esso Mason Bates cattura una futuristica visione di mondi che passano in allineamento celeste. Il brano è eseguito da due cori talvolta contrastanti e talvolta intrecciati. Ancora una volta con questo cd Chanticleer dimostra incredibile accuratezza e attenzione ai dettagli più minuti ed è capace di creare esecuzioni musicalmente espressive che non sono seconde a nessuno. La tecnica vocale di ciascuno dei cantori del gruppo è così solida che l’ascoltatore tende a dimenticarsi della tecnica rimanendo semplicemente trasformato dalla bellezza della musica. Anniversari musicali nel 2013 Benjamin Britten (1913-1976) Nella musica inglese è stato una forza unica; tra i contemporanei uno dei più grandi e raffinati compositori di musica per coro. Nessun altro compositore ha mai scritto una così grande varietà di musica di tutti i generi, per tutte le età e abilità. Benché abbia composto vigorosamente fin da ragazzo, si è presto reso conto della necessità di una solida guida e nel 1928 si rivolse a Frank Bridge, mentre due anni dopo frequentò il Royal college of Music di Londra studiando con Arthur Benjamin, Harold Samuel e John Ireland. Nell’anno del centenario della sua nascita qualsiasi coro (di ogni età e di ogni genere) può partecipare in tanti modi alle celebrazioni, in particolare un modo semplice è quello di aderire al festival corale virtuale su YouTube utilizzando il seguente link: www.halleonard.com/Britten/youtubeEntryForm.jsp Unica condizione vincolante: la produzione musicale deve essere tassativamente un brano corale di Benjamin Britten. Nella stessa pagina www.halleonard.com/Britten è disponibile una catalogazione per grado di difficoltà di tutte le opere corali di Britten. RUBRICHE 74 Giuseppe Verdi (1813-1901) Nel 2013 ricorre il bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi, interprete di grandi valori dell’umanità, musicista di inestimabile talento e innovatore del linguaggio musicale a lui contemporaneo; l’evento rappresenta un’importante occasione per celebrare la biografia umana, politica e culturale di uno dei maggiori esponenti della storia della musica e del melodramma. Le iniziative proposte, pervenute dagli enti e dalle istituzioni coinvolte, si caratterizzano per una notevole varietà sia in termini contenutistici che qualitativi, mostrando una particolare attenzione alla valorizzazione e conservazione dei luoghi verdiani, sia in una prospettiva di riqualificazione strutturale sia di promozione turistica, all’organizzazione di studi o convegni, alla pubblicazione di edizioni relative alla vita e all’opera di Verdi e alla programmazione prettamente operistico-musicologica. Tipologie delle attività proposte: 1) interventi di natura strutturale su edifici, immobili e pertinenze, caratterizzanti la vita di Verdi nel territorio; 2) attività di promozione che ripropongano immagini, lasciti e memorie biografiche del Maestro; 3) rappresentazione delle opere liriche, anche al di fuori del Festival Verdi; 4) iniziative collaterali al bicentenario di promozione turistica, anche enogastronomica, dei luoghi legati al Maestro. I dettagli del programma sono verificabili in www.comune.parma.it Wilhelm Richard Wagner (1813-1883) È stato compositore, librettista, direttore d’orchestra e saggista tedesco. Riconosciuto come uno dei più importanti musicisti di ogni epoca, nonché del romanticismo, Wagner è principalmente noto per la riforma del teatro musicale. Diversamente dalla maggioranza degli altri compositori di opera lirica Wagner scrisse sempre da sé libretto e sceneggiatura dei propri lavori. Le sue composizioni, in particolare quelle del suo ultimo periodo, sono rilevanti per la loro tessitura contrappuntistica, il ricco cromatismo, le armonie, l’orchestrazione e per l’uso della tecnica del Leitmotiv, temi musicali associati a persone, luoghi o sentimenti. Wagner inoltre fu il principale precursore del linguaggio musicale moderno. Appassionato anche di montagna (la quale ricorre spesso – insieme al mare – nell’ambientazione dei suoi drammi), intraprese avventurose passeggiate a piedi sui monti della Svizzera centrale. Carlo Gesualdo da Venosa (1566-1613) Carlo Gesualdo, noto come Gesualdo da Venosa, è stato un compositore italiano che eccelse nella musica polifonica imponendosi come compositore di madrigali e di musica sacra. Considerato da alcuni il principale madrigalista del suo tempo, fu sicuramente uno dei principali innovatori del linguaggio musicale. A partire dal XX secolo ispirò alcuni compositori moderni e la realizzazione di fiction e drammi musicali. In negativo la sua fama è in parte dovuta anche al fatto di aver assassinato la sua prima moglie (nonché cugina) e il relativo amante. Luciano Berio (1925-2003) Nel 2013 ricorre il decimo anniversario della morte di Luciano Berio, compositore italiano d’avanguardia e pioniere nel campo della musica elettronica. Figlio d’arte (organisti sia il padre, sia il nonno), da militare si ferisce a una mano per cui essendogli preclusa la carriera concertistica come pianista, Berio sceglie di concentrarsi sulla composizione. Nel 1951 si reca negli Stati Uniti per studiare con Luigi Dallapiccola che gli trasmette un vivo interesse per le problematiche legate alla scrittura dodecafonica. Successivamente incontra Boulez, Stockhausen, Ligeti e Kagel. Preso vivo interesse anche alla musica elettronica, con Bruno Maderna fonda a Milano lo Studio di Fonologia della Rai, uno studio dedito alla produzione di musica elettronica. È in questo studio che Berio invita parecchi famosi compositori, tra cui Henri Pousseur e John Cage. Successivamente fonda anche il periodico Incontri Musicali. Francis Poulenc (1899-1963) È stato compositore e pianista francese, membro del “Gruppo dei Sei” con Darius Milhaud, Georges Auric, Arthur Honegger, Louis Durey e Germaine Tailleferre. Precocemente attratto dalla musica, a sette anni compose i primi piccoli brani. La perdita di alcuni amici intimi e un pellegrinaggio alla Madonna Nera di Rocamadour nel 1936, lo portarono a riscoprire la fede cattolica, in conseguenza della quale il suo stile compositivo si trasformò notevolmente, soprattutto per quanto riguarda l’ela­­ borazione della musica sacra. Il rapporto con la morte fu molto complesso per Poulenc, amante della buona vita e della spensieratezza. Ma fu nel 1936, con la morte dell’amico e compositore Pierre-Octave Ferroud, che Poulenc si avvicinò veramente alla dimensione mistica del cristianesimo. Gli apici del suo pensiero cristiano vennero raggiunti negli anni ’50, con la creazione del Gloria, della Messa in Sol minore e dello Stabat Mater (scritto nel 1951 dopo la perdita del caro amico Christian Bérard, a cui è dedicato). Nel corso degli anni fu anche un pianista molto amato, sia come solista, sia in duo con importanti musicisti dell’epoca. Gli anni ’40 furono per Poulenc molto impegnativi nel campo della composizione, che lo impegnò soprattutto dal punto di vista vocale. Realizzò un lungo tour negli Stati Uniti dove ricevette un’ottima accoglienza ed ebbe la possibilità di far conoscere la sua musica. Il 30 gennaio 1963 un infarto letale lo colse a casa, in Rue de Médicis, a Parigi. Per sua stessa richiesta, il funerale fu celebrato nella più grande semplicità, accompagnato dalla sola musica di Bach. 75 Giovane compositore Un giovane compositore che per la prima volta si rivolge al forum ChoralNet chiede ai membri del forum stesso un buon testo, una bella poesia da mettere in musica. È la solita domanda semplicissima! Ecco una delle risposte che ha ricevuto: «Caro amico, sii il benvenuto. Posso senz’altro suggerirti prima di tutto che, se sei giovane come dici, hai tutto il tempo per conoscere poesia di tutti i generi e di tutti i paesi e giungere quindi a una tua scelta. Nessuno può sapere che cosa potrebbe colpirti e interessarti. Poi devi cercare di conoscere bene la legge sul diritto d’autore nel tuo paese o anche in altri paesi se vuoi estendere la tua ricerca. Sappi che puoi usare qualsiasi poesia di pubblico dominio. Non puoi usare – senza prima averne l’autorizzazione – una poesia che sia ancora sotto copyright. Giuseppe Ungaretti, per esempio, è morto il 1º giugno 1970. Sai cosa vuol dire per la maggior parte della sua poesia? Forse vorrai considerare altre due possibilità: perché non provare a scrivere tu stesso o trovare qualche poeta tuo coetaneo che non ha ancora pubblicato e cercare di lavorare insieme? E infine, a seconda delle tue preferenze religiose, qualsiasi religione organizzata ha una propria storica tradizione di testi liturgici. Se hai voglia di scrivere musica corale adatta al servizio liturgico qualcuno di questi testi potrebbe non solo essere per te attraente ma potrebbe anche avere un quid che lo rende facilmente eseguibile. Auguri. John». Il respiro dei musicisti Il respiro dei musicisti: il ruolo della respirazione nell’espressione umana (The Musician’s Breath: The Role of Breathing in Human Expression), un libro (228 pg) e un dvd (anche vendita separata) di James Jordan, Mark Moliterno e Nova Thomas (gia Publications Inc., Chicago). «Il libro offre a cantori, direttori e preparatori di musicisti un innovativo ed energizzante avvicinamento all’arte dell’espressione musicale. Direttori, cantori, strumentisti e attori sono incoraggiati a capire da questo libro e dvd se hanno ulteriore interesse a sviluppare una più profonda, più intellettuale ed emozionale connessione con il respiro». Sono parole di J. Jordan il quale fin dalle prime pagine dà anche la seguente indicazione: «La sfida qui è che tu non stai semplicemente facendo un respiro in senso biologico e per il mantenimento della vita, tu stai usando il respiro per portare un messaggio, per trasferire non solo un’idea musicale, ma anche idee di emozione umana». Libro e dvd offrono valide informazioni filosofiche e pedagogiche sull’importanza del respiro nella comunicazione delle emozioni e nell’espressività musicale. I concetti sono perfettamente ac- 76 cessibili e applicabili alla pratica individuale degli esecutori (cantori e attori) e traducibili nel gesto del direttore di coro. «Respirare con intenzione convinta deve diventare un fatto naturale ed è importante per l’artisticità di un persona». Il libro è diviso in due parti: La forza del respiro e poi Interpretazioni e applicazioni. Raccoglie, inoltre, il contributo di Mark Moliterno, professore associato aggiunto di voce e istruttore patentato di yoga, dal titolo Il respiro, connettore mente/corpo. È una classica prospettiva yoga sul processo creativo; in essa descrive il ruolo del respiro nel creare sinergie con il corpo. L’espressione artistica nella musica è il risultato di uno sforzo coordinato fra l’intento creativo interno del musicista, l’energia del respiro e l’attività fisica. Nova Thomas – professore assistente di voce al Westminster Choir College dell’Università di Rider e professore di pratica alla New School for Drama della New School University di New York – è la terza co-autrice del libro. Ella contribuisce al libro con la sua idea sull’uso del respiro da parte di cantori e attori nel capitolo Il respiro di coloro che eseguono. Nel dvd che accompagna il libro, una sua intervista rafforza il contenuto del capitolo del libro attraverso la sua articolata e appassionata descrizione dell’importanza del respiro per gli esecutori. Un compositore alla volta: John Rutter Musicista e compositore tra i più eseguiti anche dai cori italiani, ne presentiamo una telegrafica scheda biografica. Nato a Londra nel 1945 ha ricevuto la sua prima formazione musicale come corista alla Highgate School per passare poi al Clare College di Cambridge dove, ancora studente, ha pubblicato le sue prime composizioni e diretto la sua prima incisione. Come compositore si è sempre dedicato a opere corali e pezzi orchestrali e strumentali di grandi e piccole dimensioni, ha composto un piano concerto, due opere per ragazzi, molta musica per la televisione e, specificamente, per gruppi come il Philip Jones Brass Ensemble e i King’s Singers. Le sue opere maggiori Gloria (1974), Requiem (1985), Magnificat (1990), Psalmfest (1993) e Mass of the Children (2003) sono state ripetutamente eseguite in Inghilterra, Nord America e molti altri Paesi. Ha pubblicato con Sir David Willcocks quattro volumi di Carols for Choir e successivamente nella nuova serie Oxford Choral Classics due volumi dal titolo Opera Choruses (1995) e European Classic Music. Dal 1975 al 1979 ha diretto il coro del Clare College in molte trasmissioni e incisioni. Lasciato il Clare College per avere più tempo per la composizione, ha fondato il gruppo professionista Cambridge Singers per dedicarsi primariamente alle incisioni; ora spartisce il suo tempo fra composizione e direzione. È stato direttore ospite e relatore di conferenze in molte sale da concerto, università, chiese e festival in Europa, Africa, Nord e Centro America e Australasia. Nel 1980 è stato nominato socio onorario del Westminster Choir College di Princeton e otto anni dopo socio onorario della Corporazione dei Musicisti da Chiesa. Nel 1996 l’Arcivescovo di Canterbury gli ha conferito il Lambeth Doctorate of Music per il suo contributo alla musica da chiesa e nel 2007 la Regina Elisabetta gli ha assegnato il titolo onorifico di cbe (Commander British Empire) per gli importanti contributi dati alla musica. + notizie> Anno XIII n. 39 - settembre-dicembre 2012 Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co. Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Presidente: Sante Fornasier Direttore responsabile: Sandro Bergamo Comitato di redazione: Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina Hanno collaborato: Michela Francescutto, Rossana Paliaga, Lorenzo Montanaro, Manolo Da Rold, Davide De Lucia, Ambrogio Sparagna, Anna Bisogno, Alvaro Vatri Redazione: via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 [email protected] In copertina: Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012 Progetto grafico e impaginazione: Interattiva, Spilimbergo Pn Stampa: Tipografia Menini, Spilimbergo Pn Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana Editoriale + approfondimenti> Ci sono avvenimenti che segnano la storia e la dividono in un prima e un dopo. L’esperienza di Europa Cantat 2012 è una di queste. Dopo il festival di Torino, per la coralità italiana nulla tornerà come prima e tutti saremo un po’ diversi. Quello che ci sembrava già troppo sognare, quello che qualche anno fa non osavamo sperare, oggi è storia. Grande nei numeri, grande nella qualità: questo è stato il Festival Europa Cantat 2012 a Torino. Sentire, dal palco di piazza San Carlo, l’assessore alla cultura definire il festival «il più grande avvenimento per la città dopo le Olimpiadi invernali», affermazione condivisa e confermata dai cittadini di Torino, è, prima di tutto, una grande emozione e rafforza poi la convinzione di aver centrato l’obiettivo. La presenza sulla stampa e sui mezzi di comunicazione, il coinvolgimento di importanti istituzioni musicali, prima fra tutte l’orchestra della Rai, il rapporto con le istituzioni della Città di Torino e della Regione Piemonte, che non si interromperà e potrà portare altri eventi, ci danno la misura di un salto di qualità della coralità italiana, di un capitale accumulato che abbiamo il dovere di mettere a frutto. Abbiamo raccolto il risultato di anni di lavoro: non solo i quattro anni trascorsi da quando fu posta la candidatura della città, ma i dodici anni di lavoro dedicati a creare un sistema della coralità italiana: un sistema che a Torino ha dimostrato di saper funzionare e reggere carichi notevoli come quelli di un festival europeo. Tutto questo è dovuto a un impegno di squadra. Ma a Sante Fornasier va riconosciuto di essere stato l’anima di questa squadra, senza mai perdere la capacità, anche nei momenti più difficili, di indicare obiettivi per tutti noi impensati né il coraggio di perseguirli, contro ogni arrendevolezza vestita di ragionevole prudenza. È con un po’ di malinconica nostalgia che siamo rientrati alla vita di ogni giorno, dopo momenti così intensi ed esaltanti come quelli vissuti a Torino. Ma siamo rientrati anche con la gioia dello scopo raggiunto: che non è solo quello del festival realizzato nel migliore dei modi, ma soprattutto quello di aver cambiato la percezione che l’Italia ha del canto corale, del suo valore musicale e culturale, del capitale che rappresenta nella vita di un grande paese. E siamo quindi tornati con la voglia di rimetterci subito all’opera, pensando in grande: davvero, lo spread tra la coralità italiana e quella europea non è mai stato così basso. E che sia questo segno di speranza per tutta l’Italia. + curiosità> + rubriche> + + servizi sui principali> avvenimenti corali LA RIVISTA DEL CORISTA Anche per il 2013 Sandro Bergamo direttore responsabile rinnova il tuo abbonamento e fai abbonare anche i tuoi amici ISSN 2035-4851 Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Abbonamento annuale: 25 € 5 abbonamenti: 100 € c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn musica> Feniarco aliter r o h C i d ione e l a re d a z utti t a o n a r augu uovo n o n n a e c un feli CHORALITER + ITALIACORI.IT Rivista quadrimestrale della FENIARCO abbonamento annuo: 25 euro / 5 abbonamenti: 100 euro Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Via Altan, 39 33078 S. 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In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Associazione Cori della Toscana n. 39 - settembre-dicembre 2012 n. 39 - settembre-dicembre 2012 Festival organizzato da o d n a t n a c a r t n o c n i i s a l o u c s la 2013 e m r e T i n i t a c e t Toscana Mon PIERO CARABA TRA CORO E COMPOSIZIONE IL NATALE NELLE PAGINE DI GIOVANNI GABRIELI NOTE, EMOZIONI, VIBRAZIONI CRONACHE DALL’ITALIA CORALE festival per cori scolastici 10•13 aprile scuole medie scuole superiori iscrizioni entro il 15 febbraio 2013 Festival associato a Feniarco 17•20 aprile con il patrocinio di Ministero per i Beni e le Attività Culturali Regione Toscana Provincia di Pistoia Comune di Montecatini Terme www.feniarco.it ready to sing echi dal festival EUROPA CANTAT XVIII TORINO 2012