con mio figlio - Costellazione Apulia

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D
A tutti voi
Il vostro supporto è lo stimolo a continuare
questa avventura migliorando costantemente.
Lo stesso spirito positivo siamo riusciti a
trasmetterlo alle persone che hanno accettato
di collaborare con noi, ai nostri sponsor, a
tutti coloro che ci sono d'aiuto nel realizzare
Primal Free Time. Grazie a tutti voi.
iecimila copie distribuite gratuitamente del numero estivo di Primal
Free Time sono state una bella
scommessa. Il vostro riscontro è
stato sensazionale: ci sono arrivate e-mail di
complimenti e una pioggia di riscontri positivi.
La gente, incontrandomi, mi stringeva la mano
e si complimentava per l’iniziativa del giornale.
L’Editore
sommario
16
rubrica
è edito da
PRIMAL COMPANY s.r.l.
www.primal.it
Anno I - n. 1, febbraio/aprile 2008
Registrazione al Tribunale di Taranto n. 18 del 2008
Direzione
PIETRO ANDREA ANNICELLI
Direttore responsabile ed editoriale
[email protected]
PINO FUMAROLA
Condirettore
[email protected]
ANNA RITA CARUCCI
ADRIANA MARSEGLIA
Coordinamento editoriale
Rubriche
BEATRICE ANCONA, LINO FORNARO,
ANDREA GELAO, ROBERTO LACARBONARA,
FRANCESCO LENOCI e STEFANO PEOLA,
AGOSTINO QUERO
Hanno scritto in questo numero
DANIELE ANNICELLI, MARK AYMONDI,
FRANCO CARDINI e MARINA MONTESANO,
PIERPAOLO CAZZOLLA, PIERLUIGI FRASSANITO,
DALMAZIA FUMAROLA, SIMONA LOCONSOLE,
AGOSTINO PICICCO, ANNALISA SCIALPI,
GIANCARLO VALLETTA
Concept
IL CONTRASTO s.r.l.
www.ilcontrasto.it
Via Ferrara 2, 74016 Massafra (Ta)
Telfax + 39.099.8851057
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Fotografie
NICOLA AMATI, CARMELO RICCI
Art director
RENATO STABILE
Grafica e immagine
RAFFAELLA MARTUCCI
Ricerca fotografica e d'archivio
il Contrasto s.r.l., Edizioni dei Corrieri Cosmici
Primal Company
Foto di esterni
Fabio Lovino/Contrasto,
www.laboratoriopoliziademocratica.it,
Riccardo Spinella, Warner Music Italy,
Settimio Beneduci, Edizioni Piemme
Intervento grafico spazi pubblicitari
Angelo Simeone
Direzione, redazione e amministrazione
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Direttore generale: PINO FUMAROLA
Stampa
Stampa Sud s.p.a
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Le immagini e gli articoli pubblicati, salvo accordo scritto,
si considerano utilizzati a titolo gratuito. Manoscritti,
disegni e immagini, anche se non pubblicati, non si
restituiscono.
2 Loro
Nathalie Caldonazzo
«Io, Dino Risi e mia madre»
di Agostino Quero
3 Trend
18
L’oro rosso
e quella cicatrice per sempre
4 La Finanza
di Francesco Lenoci
e Stefano Peola
pugliesità
19
32
Renzo Arbore
34
Al centro del mondo
5 Art’è
di Roberto Lacarbonara
6 L’impresa
20
Questi pugliesi
di Lino Fornaro
52 Cura di sè
53 Lo Chef
54 Primal news
Sing a song
di Pierpaolo Cazzolla
37 Primal al Top Audio
la musica che
ci gira intorno
22
Ecco l’amplificatore
giusto per il vostro iPod
di Giancarlo Valletta
25
Zeps on the iPod!
di Pietro Amdrea Annicelli
il cinema che
ci gira intorno
Il ritorno
40
41
26
Tivoli, il piacere della
semplicità
27
Strange Flowers
over Europe
14 Dino Risi
«Il mondo? Una porcheria.
ma il sud dell’Italia mi
piace ancora»
Associazione
«Noci in tavola»
si, star bene
42
In viaggio
con mio figlio
44
Depiliamoci:
come contribuire al Bil
di Simona Loconsole
di Anna Rita Carucci
«Quella mosca alle olive
Oliamoci bene
di Dalmazia Fumarola
12 di Oronzo Canà
13 della prossima volta»
L’olio d’oliva
e il senso del tempo
di Pierluigi Frassanito
Led Zeppelin again
di Mark Aymondi
24
38
Oui, je suis
8 Edwige Fenech
La mini
è diventata grande
si, assaggiare
Il piacere della lettura
belle con l’anima
Primal Engine Show
di Agostino Picicco
di Andrea Gelao
L’informatico
Breve storia di un
camion Primal
di Daniele Annicelli
33
di Beatrice Ancona
56
si, viaggiare
29
Pasquale Mega
Ensemble:
i colori del sentimento
46
Angelo Nardelli
international
Giuseppe Goffredo:
l’amor loci e le contrade
madri di aprile
di Annalisa Scialpi
48
moda
30
storia e storie
Neocon
di Franco Cardini e
Marina Montesano
Zero: caso editoriale
51 sull’11 settembre
di Agostino Quero
Michele Riondino
Mimmo Carrata
Flavia Pennetta
Raffaele Bagnardi
MICHELE RIONDINO
Il venticinquenne tarantino esordisce
come attore cinematografico ne Il
passato è una terra straniera, girato
in Puglia tra novembre e dicembre
con riprese a Bari e a Taranto, tratto
dal romanzo omonimo di Gianrico
Carofiglio vincitore del Premio Bancarella 2006. Diretto da Daniele Vicari, prodotto dalla Fandango di
Domenico Procacci in collaborazione con la R&C di Tilde Corsi e Gianni Romoli, il film si avvale del contributo della Fondazione Apulia Film
Commission. Nel cast: Chiara Caselli, Valentina Lodovini, Romina
Carrisi. E il protagonista Elio Germano, che interpreta lo studente di
buona famiglia Giorgio contrapposto
a Riondino, il baro e truffatore Francesco. Una storia dove il bianco e il
nero si mescolano, e le cose non
sono come sembrano.
CLAUDIA CALABRESE
Il suo provvedimento di dicembre,
permettere a un disabile totale di
poter usare il supporto informatico
per sostenere l’esame da avvocato,
forse farà storia. Non tanto o non
solo perché introduce l’informatica
là dove si poteva usare solo il materiale cartaceo per gli aspiranti avvocati. Il vero motivo è che questa
giudice ha buttato giù, con dolcezza,
barriere culturali e mentali ancora
prima che architettoniche. Qualche
speranza per la tutela dei diritti civili,
insomma, c’è.
MIMMO CARRATA
Collezionista massimo di memorabilia dei Dire Straits e di Mark Knopfler, s’imbatte nell’archivio d’un collezionista americano in una copia
Fabiano Caruana
2
unica, test in vinile, del secondo
album di Fabrizio De André, Tutti
morimmo a stento, cantato in inglese. «Ha una copertina apribile a
colori con una grafica inedita e completamente diversa dall’edizione italiana. All’interno sono stampati tutti
i testi in inglese con i credits dettagliati dei musicisti che avevano suonato nell’album. Sulla quarta di copertina c’è una foto di De André con
una breve biografia del cantante
scritta in inglese» dice. Riporta il
disco in Italia. A casa sua, a Polignano a Mare.
RAFFAELE BAGNARDI
Il sindaco di Grottaglie partecipa da
protagonista alla strutturazione del
polo aeronautico nazionale nel Mezzogiorno. Insieme a Foggia e a Brindisi, Grottaglie si consolida infatti
come vertice del triangolo pugliese
dell’industria in questo settore con
il centro d’eccellenza di Alenia per
lo sviluppo e la produzione di sezioni
della fusoliera del Boeing Dreamliner. Grazie alle commesse che
Boeing sta acquisendo, è stato programmato il raddoppio dello stabilimento con un’occupazione che a
regime supererà le mille unità. Importanti le recenti dichiarazioni del
vice presidente della Regione Puglia,
Sandro Frisullo: «Puntiamo a fare
del polo aeronautico meridionale
un asse portante del nostro sistema
manifatturiero, in grado di competere con quello di altre regioni del
mondo».
FLAVIA PENNETTA
Grazie soprattutto alla vittoria a
ottobre nel torneo di Bangkok, la
venticinquenne tennista brindisina
aveva chiuso il 2007 tra le prime
cinquanta del mondo e quindi in
una posizione di classifica più consona alle sue qualità. Il 2008, sui
campi dell'emisfero australe, si è
aperto lasciando intravedere una
giocatrice ritrovata, consapevole di
potersi giocare le sue carte per ritornare tra le prime venti (piazzamento
più alto in carriera: numero sedici).
E che Flavia abbia una testa e i colpi
giusti per poter puntare in alto lo ha
dimostrato proprio nella capitale
della Thailandia battendo con autorità Venus Williams e conquistando
il quarto torneo della sua carriera
dopo Sopot e Bogotà nel 2004, Acapulco nel 2005.
FABIANO CARUANA
È un ragazzino di quindici anni, ma
è anche campione italiano di scacchi. Il titolo è arrivato a Martina
Franca al termine della fase finale
della rassegna tricolore. Caruana,
nato a Miami, ha la doppia cittadinanza: è italiana sua madre. Rappresenta una promessa assoluta. Con
questo giocatore che è considerato
il più forte under 16 al mondo, gli
scacchi azzurri possono guardare
con fiducia al confronto con il resto
del mondo. Strada ancora in salita,
ma Caruana può aiutarci a percorrerla.
TREND
di Beatrice Ancona
E
cco la hit list delle nuove proposte e dei classici rivisitati. Materiali,
colori innovativi, stampe micro e macro. Sopra la giacca bon ton
un bel tocco folk con una sciarpa extra large, etnica magari,
avvolta tante volte intorno al collo e fissata con una spilla. Portata
sopra un cappotto, doppio petto e avvolgente come fosse una collana
tricottata.
Il trench ottimo passe-partout sopra jeans a vita alta, oppure un
cardigan fermato in vita da una cinta annodata con pantalone a sigaretta.
Il tutto con tacchi vertiginosi assolutamente in vernice o magari un tocco
animalier con un décolletée o una pochette.
Dedicato alle centaure, invece, il chiodo in pelle è un must di stagione
smorzato con una blusa in jersey fantasia, jeans elasticizzato e un tronchetto
con fibbia da abbinare a una shopping bag extra large.
L’inverno strizza l’occhio ai colori con toni intensi e brillanti come il
verde, il bordeaux, il viola, il blu, il grigio, il bianco e, novità: questi sono
anche dégradé. Sempre forte e intramontabile il magico nero utilizzato nei
pantaloni slim o con pinces, gilet, giacche. Dandy si, ma declinato al
femminile. Torna protagonista il lucido e l’opaco. Di giorno un duvet,
giubbotto oversize classico da montagna, in chiave metropolitana. Perfetto
di sera, lucido con tubino.
Parlando di classici, torna il color cammello per mantelle, cappotti da
scegliere al ginocchio, ma anche in versione extra long. Belli da portare
con abiti da sera o pantaloni maschili. Ultima interpretazione direttamente
dai college londinesi, il tartan in tutte le salse, dal tailleur bon ton
all’accessorio. Per la gran sera abiti lunghissimi, tagliati a bustier dai tessuti
preziosi con borse e scarpe a contrasto.
Queste sono una parte delle tendenze che hanno sfilato nelle principali
capitali europee della moda: per una donna sicura di se, sempre femminile.
Perché non assorbirle e poi fare di testa propria? La moda vuol essere
un’ispirazione. Personalizzarla, significa essere se stessi.
3
A
di Francesco Lenoci e Stefano Peola
ccade sempre più spesso che
nel dialogo tra banca e impresa i contenuti della
Centrale dei rischi di Banca
d’Italia diventino oggetto di chiarimenti e precisazioni. La ragione è che una
parte del processo di valutazione del
merito creditizio o rating aziendale,
introdotta con Basilea 2, dipende da
una componente di valutazione definita andamentale che, in buona sostanza, si basa sulla lettura e
l’interpretazione d’una banca dati sintetica concernente l’andamento dei
rapporti che le imprese intrattengono
con il sistema bancario.
Queste informazioni sono rilevate
da ogni singola banca l’ultimo giorno
lavorativo di ogni mese e trasmesse a
Banca d’Italia, che a sua volta le aggrega per tipologia e le restituisce al
sistema in forma aggregata. Ciò è un
serio limite per la lettura e
l’interpretazione da parte delle banche
stesse: la forma aggregata non consente di ridefinire il dettaglio delle informazioni.
I soggetti censiti nelle anagrafi della
Centrale dei rischi possono conoscere
le informazioni registrate a loro nome.
Banca d’Italia, dietro specifica richiesta
predisposta su apposita modulistica,
rende nota al soggetto segnalato, o al
suo rappresentante, la sua posizione
globale e parziale di rischio secondo
i flussi informativi ricevuti dalla medesima. L’istanza deve essere preferibilmente indirizzata alla Filiale pro-
4
vinciale della Banca d’Italia nel cui
ambito il richiedente ha la residenza
o la sede legale. La Banca d’Italia
fornisce gratuitamente al diretto interessato, o al suo eventuale delegato,
un prospetto cartaceo o informatico
con i dati richiesti. In definitiva, è
previsto un sistema semplice e gratuito
per ottenere informazioni e soprattutto
per condividerle con le singole banche
che, senza il supporto dell’impresa
cliente, non saprebbero ricostruire il
dettaglio delle segnalazioni.
Di centrali dei rischi non ne esiste
solo una. Oltre a Banca d’Italia vi
sono altre strutture denominate Ecai
(External Credit Assessment Institutions, cioè Agenzie esterne di valutazione del merito di credito) che hanno
in gestione delle banche dati relative
all'andamento dei rapporti di soggetti
privati (persone fisiche e giuridiche)
con il sistema bancario. Un altro temine utilizzato per le Ecai è credit bureau o, in italiano, Sic (Sistemi di informazioni creditizie). Sono sigle che
probabilmente rimarranno tra gli addetti ai lavori, ma l’impatto in termini
pratici, specialmente per le piccole e
medie imprese, sarà elevatissimo. Basti
pensare che un’indagine della Banca
Mondiale nel 2005 ha fatto emergere
che la probabilità per una piccola
impresa di ottenere un prestito bancario senza passare dal filtro dei Sic è
solo del 28%.
A dimostrazione dell'importanza acquisita dalle Ecai si segnala la modifica
del Testo unico bancario avvenuta lo
scorso febbraio a seguito
dell'approvazione della Legge 23 febbraio 2007, n. 15 (nella Gazzetta Ufficiale n. 46 del 24 febbraio 2007).
All’articolo 53 del Testo unico bancario s’incontra la definitiva accettazione
delle società esterne di rating quali
soggetti autorizzati a fornire dati che
le banche possono utilizzare in alternativa a fonti interne di valutazione.
Le Ecai, oltre a raccogliere informazioni, possono esprimere anche giudizi
completi (rating), e le banche possono
legittimamente fare uso di tali dati
addirittura in sostituzione di valutazioni proprie. Banca d’Italia ha riconosciuto quali Ecai: Fitch Ratings e
Moody’s Investors Service.
Il livello informativo delle centrali
dei rischi è sempre più dettagliato. Si
rileva la tradizionale informazione
relativa agli affidamenti accordati,
utilizzati e sconfinati, sulla base della
tipologia di linea concessa: autoliquidante (linee di smobilizzo commerciale), a scadenza (linee di finanziamento)
e a revoca (scoperti di conto corrente
e import). Si rilevano, altresì, nuove
informazioni: il valore del cosiddetto
mark to market dei derivati finanziari,
cioè il valore in termini assoluti
dell'esposizione dell’impresa verso
questa tipologia di prodotti finanziari,
e il past due, lo scaduto oltre i 90
giorni e lo scaduto oltre i 180 giorni.
Nell’ottica di Basilea 2 lo scaduto,
cioè il mancato incasso-pagamento,
laddove si protragga rispetto alla scadenza di oltre 90 giorni, con una deroga per
i prossimi 5 anni a 180 giorni, è considerato insolvenza (in termini tecnici,
default). Per le imprese che operano
con clientela che ricorre a continue
dilazioni di pagamento rispetto a una
scadenza originaria prefissata ciò comporta che, trascorsi 90/180 giorni dalla
prima (e teoricamente unica) scadenza,
non è più possibile mantenere aperta la
partita di anticipo presso il sistema bancario, con evidenti ripercussioni in termini di liquidità. La gestione del circolante operativo (clienti, fornitori e
magazzino) delle piccole e medie imprese che, negli ultimi decenni, ha potuto,
grazie al ricorso al sistema dei castelletti
bancari di anticipazione (ricevute bancarie e fatture), usufruire di un facile
canale di finanziamento, di fatto è ora
messa a dura prova. Le ripercussioni
Art’è
D
Cesare Brandi
a Roma a Bruxelles, da
Parigi a Londra, fino a San
Francisco e a New York, la
parola e la saggezza di
Cesare Brandi hanno illuminato il
mondo dell'arte nelle celebrazioni del
centenario della sua nascita. Critico e
storico delle arti, studioso di estetica,
massimo teorico e propugnatore d'una
metodologia del restauro nota e apprezzanta a livello mondiale, Brandi
cercò, nel fascino dei percorsi intrapresi in numerosi viaggi, di rendere
alla memoria la pura bellezza, l’opera
d’ingegno e di natura, facendo di ogni
scrittura una poesia di immagini e
impressioni.
L’omaggio che qui si propone è
nell’eco stessa delle parole con cui
amava raccontare alla storia l’eleganza
e l’incanto delle terre di Puglia. Pellegrino di Puglia (1960, Laterza) e Martina Franca (1968, Guido Le Noci
Editore) sono i libri con cui Brandi ci
raccontava al mondo. Ai suoi occhi si
schiudeva «il Gargano scosceso e la
ridente Valle d’Itria, Castel del Monte
ventosa e le buie cripte basiliane, il
romanico di Trani e di Bari, il barocco di Lecce. La Puglia è regione di
tanti volti, dialetti, culture. Non è
possibile coglierne lo spirito senza
farsi pellegrino sulle sue strade assolate».
Martina Franca, vero capolavoro
della letteratura riferita a una città,
testimonia invece il fascino delle architetture rurali o le opere d’arte dei
pittori settecenteschi come Leonardo
Antonio Olivieri o Domenico Carella,
tuttora i maggiori pittori nella storia
cittadina. E poi la pietra, le strade, i
sentieri, le case e i ruderi; e di fronte
al tramonto, il respiro della natura e
delle scenografie floreali.
Come può un racconto dire
l’identità di un posto, di una terra?
Brandi rispondeva con la sua visione
appassionata nel solo gesto di descrivere gli alberi e le piante che aveva
veduto. Così scriveva nel 68: «Il leccio
è la pianta, ancor più del pino, che
fa Italia, Mediterraneo, sole.
Il colore di queste foglie è ineguagliabile; è il verde dell'acqua cupa e il
sono tutte da valutare, ma il fatto merita
sicura attenzione.
Le imprese devono migliorare la gestione del denaro concesso dalle banche,
in quanto le procedure di rating sulla
parte andamentale legata all’analisi delle
centrali dei rischi sono molto sensibili.
Sono influenzate ogni fine mese dalle
nuove rilevazioni, con evidenti rischi di
continuo peggioramento se non si interviene con tempestività.
di Roberto Lacarbonara
lustro degli occhi delle lucertole, è
bronzo e marmo, o meglio diaspro. Ed
è subito antico. Un bosco di lecci è
come una città da cui tutti sono assenti, ma la sera torneranno. Le ombre
cadono a picco dai lecci come cortine
nere, come le tende del deserto […]
contro la roccia d’argento con i licheni rossastri e l’immemore passo del
tempo».
5
L’impresa
di Andrea Gelao
I
n Italia e in Europa il tema della responsabilità sociale
d’impresa (Corporate social responsibility) è da diversi
anni oggetto d'interesse di un ristretto numero di soggetti
appartenenti al mondo accademico, economico e sociale.
Negli ultimi anni, in particolare con la pubblicazione del
Libro Verde nel 2001 da parte della Commissione Europea,
l’argomento si è andato diffondendo a macchia d’olio, tanto
da far avanzare sospetti di una moda.
Nel Libro Verde della Commissione Europea la responsabilità sociale d'impresa è definita come «assunzione volontaria
di impegni che vanno al di là delle esigenze regolamentari
e convenzionali cui devono comunque conformarsi le imprese, sforzandosi di elevare le norme collegate allo sviluppo
sociale, alla tutela dell'ambiente e al rispetto dei diritti
fondamentali, adottando un sistema di governo aperto, in
grado di conciliare gli interessi degli stakeholder nell’ambito
di un approccio globale alla qualità e allo sviluppo sostenibile».
È ormai opinione largamente condivisa che le imprese e
l’economia tutta non possono evolversi se non assumono in
piena consapevolezza le proprie responsabilità di soggetti
facenti parte della società. In sostanza, l’impresa prende
coscienza del proprio ruolo di soggetto parte della società (si
parla infatti di cittadinanza d’impresa) e in maniera volontaria
agisce ritagliandosi un ruolo attivo in essa.
Innanzitutto punta a migliorare le relazioni con lavoratori,
clienti, fornitori, istituzioni pubbliche che gravitano attorno
ad essa e che possono essere influenzati o influenzare direttamente e indirettamente l’attività. Sono i cosiddetti stakeholder
(portatori d’interesse).
Migliorare le relazioni con gli stakeholder significa realizzare azioni che alimentano la fiducia verso l’mpresa, innescando
un circolo virtuoso che nella ripetizione delle relazioni conferma
la fiducia e nel tempo si capitalizza in reputazione positiva.
La reputazione è un asset intangibile tra i più importanti
nell’attuale economia, dove il valore di un’impresa è dato per
la maggior parte dal suo capitale intangibile. È evidente che
ciò non riguarda solo le grandi imprese, ma tutte le realtà
organizzative anche piccole e medie che in gran parte formano
il tessuto imprenditoriale sul nostro territorio.
Concludendo, la responsabilità sociale d’impresa non è
un fenomeno moda, ma è un modo diverso d'intendere
l’impresa come soggetto che è parte attiva, corretta e rispettosa
della società e nella società. Tutto ciò è utile a creare ed
evidenziare gli aspetti valoriali, etici e intangibili della gestione,
veri creatori di valore nell’economia moderna.
L’informatico
di Lino Fornaro
P
rivacy e sicurezza li ritroviamo sempre più insieme.
Il loro significato si è evoluto insieme alla società e
alla tecnologia. Volendo poi parlarne rispetto a internet, che al contrario ci lascia pensare alla libertà
di fare, di comunicare, di condividere, potremmo
trovarci di fronte a un paradosso.
di internet la nostra privacy può essere violata costantemente
dagli autori dei siti web che noi liberamente visitiamo. Ciò
attraverso l’utilizzo di cookies (biscotti, in inglese) che tracciano
la nostra navigazione quasi sempre senza che lo sappiamo.
Stessa cosa per i log (registrazioni delle visite a un sito fatte
dai server internet). Sono tenuti dai provider per fini statistici
o per la repressione di reati. Potrebbero però anche essere
utilizzati impropriamente indagando e scoprendo la località
da cui era connesso chi visitava il sito.
Un tentativo di regolamentare almeno in termini formali,
non potendo controllare se i comportamenti sono diversi dalle
dichiarazioni, lo ha fatto il decreto legge 196/03, la cosiddetta
legge sulla privacy. Prevede che i siti, attraverso una specifica
informativa, siano trasparenti rispetto all’utilizzo dei dati
raccolti.
La privacy e la sicurezza su internet, a un livello accettabile,
si possono ottenere: ma a che prezzo? Basilari precauzioni:
dotarsi di un firewall (muro di fuoco), anche di tipo personale,
se siamo degli utenti domestici, o di rete (nella rete aziendale)
6
se siamo delle utenze business. È poi importante dotarsi di
un antivirus (aggiornato!) ed evitare comportamenti a rischio
come visitare siti di cracking (software pirata e di strumenti
d’intrusione informatica), pornografici e così via. Se poi nel
nostro arsenale c’è un antispyware, ne beneficerà soprattutto
la nostra privacy.
In realtà servirebbe molto di più anche solo per navigare
su internet. Il rischio di vederci invasi da pop-up pubblicitari
(anche a sfondo erotico) o da veri e propri intrusi nel nostro
pc aumenta, soprattutto se utilizziamo software di instant
messaging (quei software utilizzati per chattare in tempo
reale, molto noti e diffusi anche tra i meno esperti: Messanger,
Icq e similari) o di file sharing (programmi utilizzati per
cercare e scambiarsi file musicali, come Emule, Kazaa e
similari).
Dobbiamo quindi rinunciare a chattare e scambiare musica? Il problema è quando non si è sufficientemente acculturati
e, oltre a rinunciare inconsapevolmente alla nostra privacy,
mettiamo anche a rischio di sicurezza noi stessi e la nostra
azienda se operiamo in ufficio, o i nostri familiari se operiamo
da casa. Una sana dose di formazione, anche tecnica, serve
a muoversi in un mondo virtuale che abbiamo la presunzione
di conoscere a sufficienza o, se ammettiamo di no, frequentiamo
con disinvoltura: perché è nella vita quotidiana di ognuno di
noi.
Consonsorzio Costellazione Apulia
Il Consorzio Costellazione Apulia nasce nel dicembre del 2001 e ad esso aderiscono 63 imprenditori
pugliesi che si interrogano sul ruolo e sulla responsabilità che hanno le imprese nello sviluppo sociale
del proprio territorio.
Costellazione Apulia è un laboratorio dove è possibile sperimentare modalità di fare sistema, convinti
che il nostro modello di sviluppo, basato sulla crescita permanente, non è sostenibile nel lungo termine.
I soci del Consorzio sono profondamente motivati a sostenere le seguenti buone prassi:
• Rispettare la dignità dell’uomo;
• Contenere il consumo di risorse;
• Ridurre la produzione di rifiuti;
• Scambiare esternalità;
• Accrescere il bene comune.
Per raggiungere tali fini il Consorzio ha considerato lo scambio delle esternalità una modalità innovativa
e integrativa degli attuali modelli economici, per rendere il territorio pugliese più sostenibile e competitivo.
Lo scambio di esternalità avviene attraverso la piattaforma tecnologica “Avanzare”, strumento con il
quale i soci del Consorzio hanno costruito un sistema di relazioni, anche estranee al profitto economico,
ma che consentono a chi le pratica di trarne un utile.
Al Consorzio Costellazione Apulia aderiscono:
A.R.T. SNC di A. e R. TARTAGLIONE
HAROLD SRL
REMAX STELLA POLARE S. I. SRL
ADRIATICA LEGNAMI SRL+
INDECO IND SPA
RIENERGIA SRL
ALTACOM NETGROUP SRL
INDUSTRIA TESSILE NARDELLI SRL
ROSS SYSTEMS DI M. RUSSI
BA.DIS SRL
INFOAZIENDE SRL
SAFIRI SPA
BIT SISTEMI SRL
INFODIVANI SRL
SAICAF SPA
CAMPANALE GIOVANNI & CO. SNC
INNOVATEK P.S.C. A RL
SAMO SRL
CARTSERVICE SUD SRL
LA LUCENTE SPA
SCRIMIERI ARREDAMENTI SRL
CARUCCIECHIURAZZI SNC
LORUSSO INDUSTRIE SRL
SEC MEDITERRANEA SRL
CENTRO SERVIZI QUALITA' SRL
MANGINI STEFANO SRL
SEDIT SRL
CENTRO UFFICIO DI DAMATO ROSA MARIA
MASSELLI ANTONIO & FIGLI
SERVECO SRL
COLLEGE ORLANDO SRL
MASTERFORM SRL
SIDERURGICA PUGLIESE SRL
CONSEA SRL
MGR & CO. SAS
SOLUZIONI & STRATEGIE SRL
D T SRL
NICOLA PANTALEO SPA
STUDIO DELTA SRL
DENTAMARO SRL
PERSIA SRL
SUD SISTEMI SRL
EDIVISION SPA
PILAR F.M. SRL
TEATRO KISMET A RL
EQUALS SRL
PLANETK ITALIA SRL
TECHNIVER SRL
EURODOMUS SRL
PRIMAL COMPANY SRL
TECNARREDO SRL
FIMCO SPA
PRIMED SRL
TECNOACCIAI SRL
FUTUROFFICE DI LAFORNARA MICHELE
PROFILO SRL
TECSAM SRL
GAMINA SRL
PROGETTO CITTA' COOP. SOCIALE
TELCOSYS SRL
GRAFISYSTEM SNC
PUGLIA ALIMENTARE SRL
UNIVERSUS - CSEI
Consorzio Costellazione Apulia – Via Omodeo, 5 Bari
belle con l’anima
Oui, je suis
Edwige Fenech
«
di Pietro Andrea Annicelli
Se ripenso al passato, non vedo un granché di speciale. La mia vita è stata normale: banale, anche.
Non sento di aver lasciato alcunché di straordinario».
L’understatement è perfetto per una che, sullo
schermo, sapeva essere di classe anche facendo la
doccia. Edwige Fenech, regina della commedia sexy
all’italiana, oggi produttrice cinematografica di successo,
non fa concessioni al divismo. «Ho letto una volta che
Ferzan Özpetek, che stimo tantissimo, era rimasto a
fare una foto con me perché ero il suo mito. Mi sembrò
che parlasse di un'altra persona: ero io restata a fare
una foto con lui perché è il mio mito».
Papà maltese, mamma siciliana, nasce in Algeria.
Vive lì fino ai dodici anni. È l’epoca della rivolta degli
algerini contro il colonialismo francese, con Charles
De Gaulle che riconosce il loro diritto all’autodeterminazione. Nel 1960 i Fenech giungono in Francia.
Sono pieds noirs: così i residenti chiamano i francesi
d’Algeria che ritornano. La gente li accoglie con le uova
e la verdura marcia. Il futuro sogno degli italiani vuol
diventare étoile, ma la scuola di danza la discrimina.
She is the only italian actress of the last thirty years
that all the italians remember only saying her name.
«I am a woman like everyone. Enjoy myself reading
somebody consider me a legend, but when I wake up
in the morning I don’t think I am in his dreams. During
the years I’ve been able to build a breastplate of coyness,
and consider it a gift from the Lord. The sense of the
family is the most important value for me, and I think
the best in my life is yet to come».
8
Si rifà a Cannes, dove è eletta Lady France. Federico
Fellini la sceglie per Amarcord, ma non se ne fa nulla.
Ma chi è realmente Edwige Fenech? «Una donna
come le altre» dice, con il caratteristico accento francese
che rende vezzosa e sensuale la risposta, in contrasto
con il timbro di voce diretto, spontaneo. «Sono una
persona di assoluta semplicità e sincerità. Ho iniziato
a lavorare nel cinema a diciotto anni:
ora ne ho cinquantanove. Mi fa
piacere quando leggo di essere
un mito, ma non ho mai pensato
di poterlo diventare. Quando
ero un’attrice, mi dicevano che
facevo sognare. Molti lo dicono
ancora, e per questo qualcuno
vorrebbe vedermi camminare a
cinquanta centimetri da terra.
Sarebbe una tragedia! Risulterei di
un’antipatia mortale. Detesto
l’ipocrisia, la mondanità. E uscire,
farmi vedere: il trambusto intorno. Ho
dentro me una specie di recettore di
bugie: capisco se mi si parla con sincerità
oppure no. Non penso mai di essere
nell’immaginario degli italiani. Se dovessi alzarmi tutti i giorni e pensare
di aver fatto sognare ge-
nerazioni, mi sarei montata la testa da morire, oppure
non accetterei il tempo che passa. Meno male, invece,
che ho saputo costruirmi una corazza di modestia: la
considero una grazia che il Signore mi ha fatto. Riesco
così ad attraversare gli anni con la consapevolezza
dell’amore per la mia famiglia e per mio figlio. Quando
mi sveglio al mattino, penso, come tutti, a quel che farò
durante la giornata. Ringrazio di rivedere il sole, e di
fare qualcosa di positivo per me, per la mia famiglia,
per la gente che mi circonda».
Solo negli anni Novanta gli ambienti intellettuali
si sono accorti del valore, in termini di recitazione
e di estetica, dei cosiddetti b-movie dove Edwige
Fenech aveva via via interpretato l’insegnante, la
dottoressa, la poliziotta, la soldatessa, entrando
progressivamente nella cultura nazionalpopolare.
Ma lei aveva già lasciato il cinema fondando due
case di produzione e partecipando a trasmissioni
televisive, fino a presentare il Festival di San
Remo. Senza mai perdere di vista, a suo modo,
ciò che conta. «La famiglia, per me,
viene prima di tutto. Mi riferisco
a mia madre, dopo che mio padre è scomparso sei anni fa, a
mio figlio Edwin e a Max, il
mio gatto. Ho convissuto per
sedici anni con Luca Cordero
di Montezemolo e siamo stati
una vera famiglia. I suoi due figli
Ph. Fabio Lovino/Contrasto
9
belle con l’anima
era come se fossero anche i miei. Mi considero
una donna mediterranea. L’Algeria, dove sono
nata, l’ho persa per sempre, ma nel sud
dell’Italia ci sto benissimo. La metà del mio
sangue è siciliana, e mi sento italiana. La mia
vita e la mia carriera sono state realizzate in
Italia. Mio figlio è stato concepito in Italia.
Ho un amore forte per tutto quello che è
italiano».
Ride di gusto, Edwige Fenech,
quando scopre che Wikipedia, sbagliando, considera il suo vero cognome
Sfenek: «Questi sono matti!». È ritornata al cinema un anno fa dopo che
Quentin Tarantino, suo ammiratore, l’ha
voluta per un cameo in Hostel 2 diretto
da Eli Roth, un film horror da lui prodotto
ben più truculento dei thriller e dei gialli a
sfondo erotico che pure lei interpretò da ragazza. E nella primavera scorsa è giunto nelle
librerie Il sistema Fenech, monografia di
Andrea Pergolari pubblicata da Un Mondo a
Parte Editrice, che spiega: «È l’unica attrice
del cinema italiano degli ultimi trent’anni
capace di essere rievocata da tutta la popolazione anche solo nominandola».
Si parla d’un suo ritorno al cinema da
protagonista. Lei, come sempre, ha le idee
Ph. www.laboratoriopoliziademocratica.it,
per gentile concessione
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chiare: «Se un giorno un regista che amo
molto mi proponesse una storia pazzesca,
avrei la spinta per tornare. Quando non ho
fatto più l’attrice per diventare produttrice,
ho smesso di pensare a un ruolo per me. Amo
i personaggi giusti nei ruoli giusti, e dovrebbe
esserci qualcosa di davvero speciale per farmi
ritornare. Io, però, credo nel futuro. Sono una
Capricorno, e sono persuasa che il meglio
della mia vita debba ancora venire. L’unica
cosa che chiedo è di non annoiarmi».
il cinema che ci gira intorno
Il ritorno di
di Anna Rita Carucci
Oronzo Canà
P
asquale Zagaria, al secolo Lino Banfi, torna
sul grande schermo con L’allenatore nel
pallone 2. Eccolo quindi nuovamente nei
panni di Oronzo Canà, l’allenatore della
Longobarda, impegnato con la sua bizona e a incitare
i suoi ragazzi negli spogliatoi con il suo «vi voglio tonici
e incazzeti per la partita».
La Longobarda torna nuovamente in serie A e Lino
Banfi torna alla sua comicità originaria. E lo fa dopo
essere passato attraverso una metamorfosi che lo aveva
portato nelle case degli italiani con vari personaggi, ma
soprattutto come Nonno Libero che, afferma lo stesso
Banfi, «è quello che più ha preso il pubblico». Il suo
percorso si è compiuto attraverso i ruoli comici delle
commedie degli anni Settanta e Ottanta, i ruoli drammatici di varie fiction, fino ad interpretare «un personaggio di rottura», ne Il padre delle spose, film
d’importante impatto sociale. Ma Banfi non vedeva
l’ora «di tornare a fare la comicità mia, a far ridere le
persone». Ed è stato soprattutto il pubblico che lo ama
e lo segue da sempre a spingerlo a tornare al cinema
dal quale proveniva.
«In questi anni sentivo la gente dire: com’è che non
ci fai ridere alla vecchia maniera? Queste cose che fai
sono bellissime, ma noi vogliamo
ridere, vogliamo risentire frasi come
“porca puttena”, “Ti spezzo la noce
del capocollo” dette da te. Inoltre,
già un anno prima che decidessi di
fare il film, stavo riproponendo, per
conto di alcune aziende telefoniche,
battute e monologhi di Oronzo
Canà, così i giovani se li possono
passare di telefono in telefono. Ma
nessuno mi aveva detto: rifacciamo
il film. Poi venne fuori l’idea di rifarlo. Io non ho mai creduto molto
ai remake, però lì mi son detto: io
non vedo l’ora di far ridere di nuovo
a modo mio, e quale migliore opportunità di un film che avevo già
fatto e che sembrerebbe attualissi-
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mo? Perchè L’allenatore nel
pallone di ventitré anni fa
sembra fatto ieri. Inoltre, era
una prova con me stesso. Mi
dicevo: vediamo se dopo
tanti anni e con una ventina di chili in più preferisco
questo genere o l’altro, se la gente preferirà l’uno o
l’altro, se si divertiranno oppure no. Mi ponevo tutte
queste domande finché non ho accettato di fare il film.
E ho fatto bene, perché ho finito di girarlo, non l'ho
ancora visto, ma mi dicono tutti che si ride molto».
Così Nonno Libero ha ceduto, almeno temporaneamente, il passo ad Oronzo Canà. Il primo atto di questo
cambio della guardia è stato il taglio dei baffi. Lo stesso
Banfi afferma: «È stato la prova generale. Un po' mi
sono trovato quasi nudo, e dopo dodici anni che avevo
i baffi mi sono sentito diverso. Però mi sto abituando
anche senza». La storia sembra ripetersi. L’allenatore
nel pallone uscì nel 1984, due anni dopo il campionato
del mondo vinto dagli azzurri di Enzo Bearzot in Spagna
e dopo lo scandalo delle scommesse clandestine. Ora
il suo sequel uscirà nelle sale italiane a quasi due anni
dalla vittoria del mondiale 2006 in Germania, dopo lo
scandalo calciopoli e a ridosso degli europei 2008. In
questo calcio italiano fatto di tanti
scandali e polemiche, ma fortunatamente anche di belle vittorie, un personaggio come Oronzo Canà che crede
in un calcio pulito è importante per far
riaffiorare il lato veramente sportivo di
questo gioco, il più seguito e amato in
Italia. Come sottolinea lo stesso Banfi,
«addirittura Matarrese, come presidente
della Lega Calcio, ha detto che una
faccia come quella di Canà, convincente, bonaria, ci vorrebbe negli stadi,
ogni domenica prima delle partite a
dire: “Cari raghezzi, non fate cazzete,
mi raccomando” e placare gli animi».
L’allenatore nel pallone vede
confermato dietro la macchina da presa
lo stesso regista di allora, Sergio Mar-
LUCIO MONTANARO
tino, la stessa produzione e la stessa distribuzione
nonché gli stessi attori e alcuni nuovi, fra i quali
Anna Falchi, Biagio Izzo e il pugliese Lucio Montanaro. Anche in questo secondo episodio sono
numerosi i giocatori e gli allenatori di serie A, e i
giornalisti sportivi, che compaiono e che hanno
fatto a gara per parteciparvi. «Ho avuto l’onore di
avere grandi nomi di giocatori nel film, e loro stessi
si prenotavano» prosegue un Banfi entusiasta di
questa nuova avventura. «Nessuno, credo in Italia
e forse neanche in Europa, convincerebbe questi
divi del mondo del calcio, strapagati, ricchi e famosi
in tutto il mondo, a fare quello che loro hanno fatto
spontaneamente per me nel film». Del Piero, Totti,
Buffon, Spalletti e tanti tanti altri del Milan, della
Roma e di altre squadre partecipano. «Sicuramente
fra tutti i calciatori e allenatori del calcio italiano
di ieri e di oggi, quello che è più vicino allo straripante Oronzo Canà è Carlo Mazzone, un pò il
simbolo di un calcio pulito, fatto di sacrificio e
dedizione, spesso votato a imprese sportive difficili
fatte di recuperi e salvezze di squadre non sempre
blasonate. Un allenatore incazzoso, ma buono e
popolare, che ricorda molto da vicino il personaggio
di Canà». E anche Mazzone ha un ruolo nel film.
«È il mio maestro» ci dice Banfi. «È quello che mi
ha insegnato a fare l’allenatore. Anche se non è
stato lui a ispirare il personaggio di Canà nel primo
episodio. Allora lo spunto per scrivere il soggetto
l’ho preso da Oronzo Pugliese, un grande allenatore
pugliese soprannominato il mago di Turi, che trenta,
quarant'anni anni fa ha allenato la Roma e tante
altre squadre grandi. A raccontarmi di lui fu Nils
Liedholm»: altro grande allenatore, recentemente
scomparso, a cui Canà, nel film, cerca d’ispirarsi,
ma che sicuramente è molto lontano da lui come
stile. «Mi raccontò di quest’uomo sanguigno, che
faceva di tutto in campo: urlava, si portava una
gallina sotto l’impermeabile e la faceva volare al
primo gol. Insomma, era un casinista».
Lino Banfi ci saluta con una piccola anticipazione. Nel film ci saranno delle canzoni su Oronzo
Canà, alcune delle quali scritte da lui. «Ma quella
che rimarrà è la canzone che accompagna sia i titoli
di testa che di coda. L’abbiamo scritta io e Amedeo
Minghi, che è autore anche delle altre musiche del
film. S’intitola La marcia di Oronzo Canà, e presumo che una volta imparata la modificheranno e
la suoneranno prima delle partite».
Ora non ci resta che tornare a ridere e divertirci
con Canà e la sua dirompente comicità.
«Quella mosca alle olive
della prossima volta»
«Lucio, tu fai una parte piccola ma che fa divertire
tantissimo!». Lo ha detto Sergio Martino, regista de
L'allenatore nel pallone 2. E Lucio Montanaro, veterano
della sexy commedia all'italiana, gongola per la soddisfazione.
È stato Lino Banfi a volerlo e a ritagliargli nel film la
parte del maggiordomo di Oronzo Canà. Insieme i due
comici hanno studiato le gag … onomatopeiche che
caratterizzano il ruolo di Montanaro. E il maggiordomo
Peppino, che don Oronzo decide di far tornare dopo essere
stato lasciato dalla badante rumena amata da Biagio Izzo,
finisce inevitabilmente al centro di situazioni dove poter
esprimere «la mia comicità, che è di grande naturalezza»,
spiega l'attore di Martina Franca.
Ecco quindi Peppino indossare la camicia della bella
rumena e finire … abbordato da Biagio Izzo. E poi bruciare
le portate del pranzo di Natale perché non sa raccapezzarsi
con il forno a microonde. E cantare a don Oronzo le
canzoni di quando era piccolo.
Inizialmente L'allenatore nel pallone II, girato nella
campagna di Viterbo, doveva avere come location anche
la Puglia. Poi il progetto, con relativo corredo di battute,
è stato rinviato a un eventuale terzo film della serie. «È
saltata la battuta sulla mosca alle olive, con cui sono
fissato. Quando l'ho raccontata a Sergio Martino, rideva
perché diceva d'immaginarsi la scena già filmata!».
Il ritorno di Lucio Montanaro insieme a Lino Banfi, con
conseguenti vernacoli particolarmente espressivi croce
e delizia dei conterranei, aggiunge un nuovo capitolo alla
saga della commedia all'italiana che ha reso i due, e tutti
gli altri attori degli anni Settanta a cominciare da Edwige
Fenech, dei benemeriti, tra gli altri, di Quentin Tarantino.
Se il film nelle sale in queste settimane avrà il successo
che molti pronosticano, continuare sarà un'esigenza.
Lucio Montanaro ha le battute già pronte.
13
DINO RISI
Il mondo?
Una porcheria.
Ma il sud dell’Italia mi piace ancora
D
ino Risi, il grande vecchio del cinema italiano,
non tornerà a fare film. Un anno fa, compiuti
novant’anni (il 23 dicembre), annunciò il definitivo addìo: «Con il cinema ho chiuso».
Resta quindi l’episodio Myriam in Esercizi di stile,
1996, film collettivo con quattordici episodi di registi
diversi e altrettanti modi di raccontare un addìo, l’ultimo
lavoro per il grande schermo. Per la televisione, però,
realizza nel 2000 la fiction Bellissime, ispirata al concorso di Miss Italia. Due anni dopo, alla cinquantanovesima Mostra del Cinema di Venezia, riceve il Leone
d’Oro alla carriera. Un ritorno in televisione c’è stato
il 30 maggio scorso, intervistato da Piero Chiambretti
per la trasmissione Markette.
Settantaquattro film da regista a partire dal cortometraggio Barboni, 1948, sulla disoccupazione a Milano,
Risi rifiuta di diventare psichiatra dopo aver conseguito
la laurea in Medicina seguendo le orme del padre,
medico di Benito Mussolini. Inizia a fare cinema lavorando come assistente di Mario Soldati nel 1940 in
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Piccolo mondo antico.
Nell’indimenticato Il sorpasso, 1962,
sulle vacanze degli italiani negli anni del
boom economico, abolisce il lieto fine.
Con l’autobiografia I miei mostri, 2004,
dimostra attraverso aforismi, ricordi,
citazioni, d'aver talento anche per la
narrazione brillante.
Risi vive oggi in un residence nel
centro di Roma. L’uomo che ha diretto
personalità come Totò, Vittorio Gassman, Alberto Sordi,
Nino Manfredi, Giancarlo Giannini, continua a seguire
il cinema italiano con distaccata curiosità. «I miei
preferiti? Paolo Virzì, uno molto bravo. Michele Placido,
ottimo regista, bravissimo attore. E poi Toni Servillo,
Sorrentino, la Bellucci, Castellitto, Margherita Buy».
Se la prende con Milano dove «l’ultima volta che ci
sono andato non sono riuscito a mangiare il risotto alla
milanese: me lo sono dovuto fare io». E con il mondo
che «è diventato una grande porcheria». Non ha però
il cinema che ci gira intorno
dimenticato i viaggi nel sud dell’Italia, in particolare in
Puglia.
L’ultima volta c'è stato un pò di anni fa a ritirare un
premio al Villaggio In di Martina Franca. Ma un viaggio
particolarmente significativo avvenne negli anni Settanta
con la compagna Leontine e la figlia di lei, Nathalie
Caldonazzo. «Non ho seguito un itinerario prestabilito.
Più di tutto mi ricordo d'aver mangiato benissimo. E
poi il mare, molto pulito, lungo la costiera ionico
salentina dove feci il bagno. Ricordo con piacere Alberobello. E le ragazze di Martina Franca, che mi hanno
colpito per la loro femminilità altera, difficile ad conquistare. Mi piaceva di notte, Martina Franca». L’occhio
del regista si rivela in quest’ultima osservazione: anche
un altro grande uomo di spettacolo del Novecento
italiano, Paolo Grassi, la cui famiglia era martinese
d'origine, intervistato proprio in quegli anni parlò di
«Martina bella di notte».
Dal grande Salento e dalla Valle d'Itria, Dino Risi
risalì verso il
Gargano. «Posso
dire di aver visitato
la Puglia dopo
averla conosciuta
attraverso le
chiacchierate con
i tanti pugliesi dell'ambiente del cinema» dice. «Da
Lecce mi diressi verso Taranto. Poi arrivai a Bari,
proseguendo fin quasi ad arrivare dalle parti del paese
di Ettore Scola». Quel paese è Trevico, nella zona in
provincia di Avellino chiamata Baronìa che confina
con la provincia di Foggia. «Un ricordo della Puglia?
Sicuramente i trulli, splendidi. E le orecchiette con le
cime di rape: deliziose». Peccato che Dino Risi abbia
smesso di fare film. Oggi che la Puglia è territorio per
location importanti, sarebbe valsa la pena di riattualizzare la commedia all'italiana attraverso il cinismo
sentimentale d'uno dei suoi grandi maestri.
15
il cinema che ci gira intorno
NATHALIE CALDONAZZO
«Io, Dino Risi e mia madre»
N
athalie Caldonazzo ha lasciato la Puglia, a
novembre, da mattatrice, come quei personaggi
che Dino Risi rappresentava nei suoi celebri
film. Moulin rouge, il musical che la vede
protagonista insieme a Ramona Badescu e che le sta
facendo girare l’Italia, è infatti andato in scena al palasport di Bitritto. Lei, cantando e ballando, era Avril,
che alla Ninì interpretata dalla Badescu ha conteso il
ruolo di primadonna. Il pubblico ha apprezzato. «È
assolutamente affascinante come esperienza» dice Nathalie. «Per una donna che ha scelto la carriera teatrale,
fare un musical è un premio per i tanti classici ai quali
ha partecipato. È un’esperienza espressiva completa,
perché consente emozioni nuove che ti portano a presentarti artisticamente in un altro modo».
La Puglia l’ha conosciuta da bambina. «Avevo, credo,
dieci anni. Mi ci ha portata Dino Risi,
che era legato sentimentalmente a
mia madre. Visitammo tutti insieme
la zona di Alberobello: i trulli, i boschi, la Valle d’Itria. Da allora questa
terra, con i suoi paesaggi, mi è restata
nel cuore».
Sua madre, Leontine Snel, olandese, è stata la persona di riferimento
d'una infanzia orgogliosa e malinconica. «Lei era stata una ballerina
al Lido di Parigi. Portavo a scuola le
sue foto di scena dov'era con le piume
in testa: mi sentivo la figlia d’una
regina. Ero una bambina difficile
16
perché dovevo accettare che mia madre stesse con un
altro uomo che non era mio padre. Con Dino Risi c’era
un rapporto particolare, anche perché lui è una persona
particolare, difficile da conquistare. Inizialmente c’era
una diffidenza reciproca, e un senso di rivalità nel
rapporto con mia madre. Negli anni ci siamo assolutamente accettati. Lo stimo molto come artista, ed è stato
una persona importantissima nella mia vita. Magari lo
rimprovero per non avermi aiutata artisticamente: insieme avremmo potuto fare delle grandi cose, anche
perché lui è uno dei pochi veri grandi registi italiani.
Però è fatto così: non ha neppure aiutato i suoi figli.
Ha un senso assolutamente meritocratico».
Il legame rimane profondo. «Per mia madre, lui è
stato tutto. L’ha accolta tra le sue braccia in un momento
di grande difficoltà emotiva. So che chiede del mio
lavoro, e di solito viene a tutte le mie
prime». Nathalie Caldonazzo si sente
pronta a fare del buon cinema. «È
possibile che partecipi a un film
d'epoca con Maria Grazia Cucinotta.
Grazie alla scelta del teatro, sono
riuscita a gestire tantissimi ruoli
femminili: tutti personaggi con diversi
caratteri, sfumature. Quindi, mi sono
potuta sbizzarrire. Ora vedremo cosa
offre il cinema. Ci sono diversi registi
bravi, ma non chiedetemi di fare delle
scelte. L’importante è che ci sia un
bravo regista, una storia valida, un
buon personaggio».
«I went in Puglia for the first time
when I was a child. Dino Risi carried
me there. He was my mother's fellow. I appreciate him very much and
he is a very important person in my
life. I reproach him, too, because
together we could have done great
things. He is one of the few great
italian movie directors. But I know
he asks about my work, and usually
come at the openings when I perform on stage».
17
L’oro rosso
e quella cicatrice per sempre
N
ella vita ci sono episodi che non si dimenticano,
ferite che difficilmente si rimarginano e ricordi
che si sedimentano, contribuendo a forgiare
la personalità e il carattere. E quando tutto
sembra superato, ecco che una frase, un particolare, un
avvenimento richiamano alla mente tutto quel che si
credeva dimenticato. Il passato irrompe nel presente,
e la ferita ricomincia a sanguinare.
Accade a Erika, protagonista del corto L’oro rosso,
interpretata da Antonella Bavaro. Erika è una ragazza
rumena, ormai in Italia da anni e che in questo paese,
dapprima straniero, è riuscita a crearsi una famiglia e
a trovare una stabilità. Ma si tratta, in realtà, di una
stabilità solo apparente e pronta a vacillare quando le
domande innocenti e semplici della sua bambina Elena
(Elena di Marco) risvegliano in lei ricordi carichi di
dolore, sofferenza e crudeltà.
La favola sul pomodoro, che la bimba le chiede di
raccontare, risveglia in lei il ricordo della
violenza subita al suo arrivo in Italia.
Un cugino, per poter ottenere un lavoro
come bracciante per la raccolta dei pomodori, la cede al volgare Giovanni
(Alessandro Haber) e al suo caporale
(Michele Sinisi). Giovanni si rivela, a
spese della povera Erika, un uomo senza
scrupoli, schiavista e violento, sempre
pronto a sfruttare la manodopera straniera e a godere di un possesso imposto.
Nel corto scene della quotidianità di
Erika si alternano a continui flash-back
che la fanno riaffondare nel suo passato
oscuro. Ma lei cerca di proteggere la sua
bambina non facendo trapelare nulla
mentre le narra la favola del pomodoro.
Non ci sono né orchi né mostri nella
storia che le racconta. Gli orchi e i mostri
li rivede scavando nel suo subconscio
per nulla sopito.
La storia è ambientata in una notte
d`inverno a casa di Erika, mentre i suoi
ricordi la riportano a una mattina d`estate
torrida e soleggiata in una campagna del
Mezzogiorno d`Italia. Un territorio ricco
ma a volte contraddittorio: la Puglia.
Mentre la notte del presente sembra
18
preludere a un nuovo giorno di tranquillità e serenità
familiare, quel mattino di tanti anni addietro fa riaffiorare
le ombre e le nubi che hanno spezzato per sempre
l'innocenza di Erika.
L’oro rosso, scritto e diretto da Cesare Fragnelli e
prodotto da Cinema Sud Films, è stato l’unico lavoro
italiano, selezionato tra oltre trecento in gara, nella
sezione corti al Festival Des Films Du Monde di Montreal, Canada. Con esso, Fragnelli ha proseguito il suo
viaggio nella denuncia del mondo deviato, che scorre
parallelo e mimetizzato nella quotidianità. Lui stesso
afferma: «Non so se questo sia un film d’inchiesta. Non
so neppure se sia utile a conoscere la società di oggi.
L’oro rosso vuole mettere fuori la vergogna, lo schifo
d'un mondo senza legge, fondato sullo sfruttamento.
Con i pomodori, l’oro rosso appunto, molti hanno fatto
i soldi massacrando di botte i braccianti stranieri che
protestano, alloggiandoli in tuguri pericolanti senza
acqua, né luce, né igiene. È gente disposta a tutto per i propri affari e capace
di tutto nei confronti delle donne che
arrivano da lontano per lavorare».
Alessandro Haber, il violento e crudele Giovanni, invece rileva: «Il mio
ruolo è quello di un figlio di puttana
come ce ne sono tanti e in tanti ambiti:
quelli che lo sono nelle azioni e quelli
che lo sono solo nella mente. È un
personaggio ostico e sgradevole. Questi
personaggi, però, esistono, fanno parte
del quotidiano. Usano il potere in maniera violenta, spietata. A me piace fare
personaggi estremi. Può servire a fare
riflettere le persone, e spero che questi
film portino a reagire».
Sicuramente il film di Fragnelli porta
a riflettere. Nell'interpretazione dolce
e sofferta, serena e drammatica, ma mai
eccessiva, di Antonella Bavaro, emerge
una raffigurazione del male intesa come
crudele sopprafazione e violento annullamento della dignità dell'altro. Soprattutto quando l'altro è considerato
diverso e per questo inferiore, e visto
solo come possibile fonte di guadagno
(ac).
pugliesità
RENZO ARBORE
al centro del mondo
Q
uali sono i cinque dischi preferiti di Renzo Arbore?
Risposta pronta: «Louis Armstrong, il box The
complete Hot Five and Hot Seven recordings. Poi
Ella and Louis, naturalmente, con lo stesso Armstrong ed Ella Fitzgerald. Kind of blue di Miles
Davis. I grandi della canzone napoletana, con Roberto
Murolo che canta Salvatore Di Giacomo e le melodie di
Mario Costa. Infine Titanic di Francesco De Gregori: un
vero disco di musica country italiana che racconta l'epopea
dei nostri emigranti».
Senza l’allegro foggiano, la musica in televisione non
sarebbe stata la stessa. Basti pensare a Speciale per voi,
il primo talk-show italiano, che vide l’esordio televisivo
di Lucio Battisti. Oppure a D.o.c., con star come Miles
Davis, James Brown, David Crosby. «Quelle puntate sono
un archivio preziosissimo per gli stessi americani, che ce
le chiedono» dice. «Oggi certa musica raffinata, importante,
che viene da New Orleans.
Penso poi al jazz italiano: Danilo Rea, Stefano Bollani. Anche
per la canzone popolare abbiamo
delle buone proposte. Gli autori
non sono però esportabili tranne
qualcuno: la Pausini, Ramazzotti,
un pò Zucchero».
Intanto è stata pubblicata Renzo
Arbore ovvero quello della musica, prima biografia
autorizzata edita da Raro Libri e realizzata dal giovane
appassionato Claudio Cavallaro («Quando non mi ricordo
qualche episodio della mia vita, chiedo a lui»). Dice
l’autore, clarinettista come il biografato: «Non è d'una
canonica biografia che si tratta, perché conoscere il Renzo
Arbore musicista ma anche musicologo, musicofilo, quasi
musicofago oserei dire, vuol dire conoscere anche il Renzo
non ha accesso in televisione. O ci finisce la musica
commerciale, sebbene io detestassi questa parola già negli
anni Sessanta, oppure l’unica possibilità per la musica
leggera è arrivare a Sanremo Giovani. Anche la televisione
satellitare propone i videoclip, quindi una musica confezionata, non passionale come piace a me: sudore, sangue
e lacrime. Tutto è sacrificato a quel dittatore assoluto che
è l’Auditel».
Ma qual è, oggi, lo stato della musica nazionalpopolare
del villaggio globale? «C’è una perdita di radici per quanto
riguarda il rock» riflette Arbore. «Non ci sono nuovi
inventori come i Led Zeppelin, Sting, Prince, gli U2, Bruce
Springsteen. A loro volta questi artisti erano e sono epigoni
di grandi maestri del passato. Le radici del rock si stanno
estinguendo, comprese quelle del rock italiano: questo
spiega la riscoperta dei grandi gruppi che di questi tempi
si riuniscono. Ciò non accade invece nel jazz, dove le
radici si riscoprono: mi viene in mente Wynton Marsalis,
Arbore uomo che della musica ha fatto la compagna della
sua vita e che in essa ha sempre cercato e riversato emozioni
genuine e veraci». Si tratta di 271 pagine con molte
foto selezionate dall’archivio privato di Arbore, e
interventi di compagni di viaggio, come Gegè Telesforo
e Dario Salvatori, che delineano il percorso musicale
assolutamente originalissimo, ma anche nel solco
della tradizione popolare, d’uno dei protagosti autentici dei media italiani.
L’attività prevista nel 2008 lo conferma. «Innazitutto finalmente esce il cofanetto dell'Orchestra Italiana con tutte le canzoni, da tempo ormai introvabili.
Poi a febbraio me ne vado negli Stati Uniti per una
serie di concerti». E per la televisione italiana Arbore
non ha in programma alcuna sorpresa? «Vedremo.
Ho in mente una trasmissione sulla musica popolare
nella sua accezione vera: la musica che canta la gente».
19
Questi
PUGLIESI
di Agostino Picicco
Responsabile culturale Associazione Regionale Pugliesi di Milano
L
a storia ci dice che già dal 1921 esisteva una
Associazione regionale di pugliesi a Milano.
Dopo alterne vicende, tale realtà associativa
ricevette maggiore slancio a metà degli anni
Ottanta imponendosi nel panorama cittadino.
A Milano i pugliesi attualmente residenti sono circa
ottantamila (fonte comunale), caratterizzandosi numericamente come la prima comunità regionale presente,
ben rappresentata anche nelle istituzioni. A titolo di
esempio, si consideri che sono pugliesi il vice sindaco
Riccardo De Corato, il presidente del Tribunale Livia
Pomodoro, il pro rettore dell’Università Cattolica Maria
Luisa De Natale, il prof. Francesco Lenoci, il musicista
Sante Palumbo, l’attore Gerardo Placido, oltre a diversi
professionisti e giornalisti di chiara fama. L’Associazione
raccoglie oltre quattrocento nuclei familiari, che vivono un rapporto molto
stretto con la terra natia costituito
da vincoli familiari e da conseguenti
costanti visite.
Il sodalizio si caratterizza per
avere una sede
autonoma.
20
È gestito da un consiglio che coadiuva il presidente e
vive fortemente i valori dell’amicizia. È ben radicato
nel territorio annoverando tra i suoi soci commercianti,
imprenditori, professionisti, studenti universitari. Il
presidente onorario è l’avvocato Anna Maria Bernardini
de Pace, e il presidente effettivo è il cavalier Dino
Abbascià, esponente di spicco del mondo imprenditoriale.
I rapporti con le istituzioni sono caratterizzati da
grande collaborazione anche in vista dell’utilizzo delle
loro strutture per le manifestazioni. Infatti l’Associazione
è iscritta nell’Albo delle Associazioni riconosciute dalla
Regione Puglia. Le attività svolte sono sostanzialmente
di due tipi: ricreative e culturali. Quelle ricreative
prevedono l’organizzazione di riunioni e d’incontri
amichevoli che si svolgono soprattutto il sabato pomeriggio, riproponendo a Milano «la piazza
del paese», per usare una felice
espressione del dottor Giuseppe
Selvaggi, coordinatore delle attività. Non mancano poi i consueti veglioni e i pranzi in occasione delle feste tradizionali
(Natale, Carnevale) oppure in
estate, oltre a gite sociali, castagnate, iniziative enogastronomiche.
L’attività che caratterizza
l’Associazione, però, è
quella culturale, variamente costituita dal sostegno ad attività teatrali,
rassegne cinematografiche e in
particolare alla presentazione di libri, che sono occasioni
di dibattito e di conoscenza della Puglia, dei suoi valori
e delle sue tradizioni. In tal senso si è creato un canale
privilegiato di contatto con le amministrazioni comunali,
i personaggi della cultura, le case editrici. Così è nato
il progetto di far pagare una quota associativa ai singoli
Comuni per poter usufruire una volta l'anno della sede
per iniziative a carattere cittadino. Una tale esperienza
è maturata in occasione della partecipazione delle realtà
locali alla Borsa internazionale del Turismo, con relativo
intervento di rappresentanti delle amministrazioni locali
e delle pro loco. Da segnalare, inoltre, lo svolgimento
di attività culturali anche in Puglia, in prevalenza nel
periodo estivo, in collaborazione con gli enti locali.
L’estate scorsa l’Associazione ha organizzato eventi
per favorire la memoria del messaggio di monsignor
Tonino Bello e di don Pasquale Uva, figure di spicco
del patrimonio umano pugliese e non solo.
Nell’ambito della comunicazione, il rilievo alle
manifestazioni è fornito da giornali a carattere locale
e dal sito www.arpugliesi.com con cronache e foto di
diverse iniziative dell’Associazione con la partecipazione
di autorevoli nomi. In particolare citiamo: lo scrittore
Raffaele Nigro, la professoressa Bianca Tragni,
l’arcivescovo di Bari monsignor Francesco Cacucci. Di
notevole rilievo è l'impegno dell’Associazione a riunire
molte realtà di campanile a Milano e provincia, a offrire
supporto organizzativo e contenutistico a costituende
analoghe realtà in province vicine, a promuovere
turisticamente la Puglia grazie alle iniziative svolte e
alla funzione di garanzia che l’emigrante offre all’amico
del nord che vuole conoscerla. I fuori sede, quindi,
diventano i primi promotori turistici della loro regione.
E in tal senso c’è tutto l'impegno a favorire il sorgere
di uno sportello turistico.
È in corso la preparazione della terza edizione del
Premio Puglia Ambasciatore di terre di Puglia Francesco
Attanasi, in omaggio a un giovane musicista prematuramente scomparso la cui eredità è stata raccolta da
giovani amici, che hanno visto nei talenti di Francesco
un ottimo biglietto da visita per la valorizzazione della
Puglia in Italia. Sono già stati premiati il gruppo musicale
dei Negramaro, il cantante Al Bano Carrisi, il presidente
del tribunale di Milano Livia Pomodoro.
È questa la nuova prospettiva dell’Associazione: se
in passato si proponeva di offrire un mutuo aiuto ai
nuovi arrivati, di fornire occasioni di aggregazione e
condivisione di amicizia, oggi, fermi restando tali intenti,
fa un passo avanti. Non è più un luogo di nostalgici o
di gente sterilmente legata al campanile di appartenenza,
ma si pone quale laboratorio culturale e di orientamento.
Oggi le associazioni regionali sono diventate a pieno
titolo centri culturali di alto profilo, come dimostrano
le tante iniziative intraprese, a vantaggio di un reciproco
arricchimento con la città ospitante.
21
again
di Mark Aymondi
P
Ultima raccolta dei
Led Zeppelin,
Mothership
22
iangeva come un vitello, Roberto
Pianta, tremenda ma fedele traduzione
di Robert Plant, nell’aereo che lo riportava a casa insieme agli altri tre Led
Zeppelin. Era appena stato annullato, per gli
scontri tra gli spettatori e la polizia con lancio
di lacrimogeni e fuga del complesso dal palco,
il concerto del 5 luglio 1971 a Milano, l’unico
in Italia della loro storia. Il ventitreenne inglese,
a quel tempo il miglior cantante rock
in attività, subìva l’accaduto come
l’antitesi della sua idea del concerto
dove l’hard rock trasmetteva emozioni positive a giovani che
s'incontravano con senso di amicizia.
Una vita e almeno duecento
milioni di dischi dopo, Robert
Plant (20 agosto 1948), Jimmy
Page (9 gennaio 1944), John
Baldwin al secolo John Paul Jones (3 gennaio 1946), 185 anni in tre, sono
tornati a suonare insieme come Led Zeppelin.
Lo avevano fatto solo tre volte dal 1980, anno
di scioglimento della band dopo la morte del
grande batterista John Bonham: nel 1985 a
Filadefia per il Live Aid con Tony Thompson e
Phil Collins alla batteria, nel 1988 per il quarantesimo anniversario della casa discografica
Atlantic, nel 1995 per il loro ingresso nella
Rock’n’roll Hall of Fame. In queste due ultime
circostanze, alla batteria c’era l’uomo che c’è
anche ora: Jason Bonham, figlio di John, classe
1966. Il curioso e improbabile film concerto del
1976, The songs remains the same, lo fa vedere,
bambino, alla batteria del padre.
«Led Zeppelin is the greatest rock band of
all time inspiring millions of fans around the
world and influencing countless bands with
songs like Whole lotta love, Kashmir and Stairway to heaven». Se è vero i Beatles sono stati
i più grandi, per una volta è anche vero quel
che dice la pubblicità della Warner. Lo conferma
il sito della Rock and Roll Hall of Fame: gli
Zeppelin sono stati influenti negli anni Settanta
come i Beatles lo furono nel decennio precedente. Il tempo ha chiarito chi, tra Zeppelin e
Rolling Stones, vale di più. Più astuti e modaioli,
bravi a vendere e a vendersi, Mick Jagger e soci.
Più spontanei e potenti, anche negli eccessi e
nella sfortuna, gli Zep. Non hanno inventato
nulla, ma sublimato in canzoni indimenticabili
il blues e il rock’n’roll, il folk, la musica orientale
e mediterranea. Assolutamente inarrivabili.
Stairway to heaven, 1971, la più ascoltata
nelle radio americane, è forse anche la più bella
canzone rock di sempre. L’assolo di Page, con
la chitarra Gibson a doppio manico, è considerato the greatest of all time. Solo la paranoia
dei fondamentalisti evangelici ha preteso, ascoltandola al contrario a velocità accelerata o
rallentata, d’individuarvi subliminali odi sataniche. È invece l’apice d'una tendenza alla ricerca
del rapporto tra l’uomo e la natura che si respira
nelle divagazioni folk celtiche del gruppo, apoteosi dell’idea, cantata dalla loro musa Joni
la musica che ci gira intorno
«Led Zeppelin were important for the Seventies
like the Beatles were for the previous decade.
Time has explained who counts more between
them and the Rolling Stones. Mick Jagger and
his partners were more sharp and fashionable:
the Zep were more spontaneous and powerful,
even in overindulgence and in bad luck. They
didn't invented anything, but sublimed in unforgettable songs the blues, the rock'n'roll, the
folk, the oriental and the mediterranean music
they loved. Absolutely unreachable».
Mitchell, del rock come ascesi dove «ovunque
c'era musica e aria di festa».
Il ragazzo Eddie Van Halen, scrutando le
dita di Page nell’assolo di Heartbreaker al Los
Angeles Forum nel ‘72, concerto nello straordinario album live How the West was won del
2003, ideò la tecnica del tapping. Sono molti
i chitarristi che Page ha ispirato. Eccone alcuni:
John Frusciante, Yngwie Malmsteen, Steve Vai,
Joe Satriani, Noel Gallagher, Andrea Braido,
Dodi Battaglia, Alex Britti, Slash. Ma non è
esatto dire che gli Zeppelin hanno fondato
l’heavy metal. A differenza delle sonorità tecnicamente impeccabili ma creativamente povere
che caratterizzano questo genere, i quattro
avevano solidissime basi nel blues, fondamento
delle loro lunghe improvvisazioni dal vivo. Gli
stessi furti d’autore
di alcune loro grandi
canzoni non sarebbero
stati possibili senza
l’intelligenza e il mestiere di Page e di Jones,
l’amore di Plant per il
folk e la grande cantante araba Aum Kalsoum,
la superiore qualità ritmica di Bonham. Anche
solo tornare per far conoscere e riconoscere, ai
giovani e ai meno giovani, tutto ciò che ancora
resta nel tesoro indifferente della loro musica,
vale la pena. Perché «lascia che il sole batta sul
mio viso /e le stelle riempiano i miei sogni. /Io
sono un viaggiatore nel tempo e nello spazio
/per essere dove sono già stato» (Kashmir).
Jason Bonham in una foto
pubblicitaria
Robert Plant in copertina al suo ultimo
album Raising sand con Alison Krauss
John Paul Jones in un concerto
ad aprile 2007 mentre suona il mandolino
Copertina della rivista
Rolling Stone con la foto
più recente del gruppo.
Jimmi Page con la mitica Gibson a doppio
manico per suonare Stairway to Heaven
23
Ecco l’amplificatore
di Giancarlo Valletta
giusto per il vostro iPod
Ecco uno splendido amplificatore ibrido per il vostro
iPod. Preamplificatore a valvole e finale a Mos Fet per
un suono di incredibile livello, che vi lascerà esterrefatti.
Music Cocoon MC4 di Roth, in un solo telaio, racchiude
una docking station per iPod e un vero e proprio amplificatore Hi-Fi di alta qualità.
Dotato di due valvole 12-AX7 e due 12-AU7, sezioni
finali ad alta corrente in tecnologia Mos, viene alimentato
tramite una sezione esterna di elevatissima capacità. Lo
chassis che lo contiene fonde l'alluminio satinato nero
per la base con il plexiglass per la parte superiore, che
rende visibili le valvole e i condensatori di filtro contenuti
in eleganti capsule metalliche. Un complesso assolutamente funzionale nelle prestazioni e caratterizzato da
un'estetica d'eccezione, in grado di valorizzare qualsiasi
ambiente con un design raffinato e accattivante.
L’originalità costruttiva è resa ancora più affascinante
dall'illuminazione, che diffonde un caldo colore rosso
alla base dell'iPod e alle quattro valvole, assicurando un
valore aggiunto alla caratterizzazione della stanza in cui
viene installato. Sul frontale sono posizionate due manopole in alluminio satinato, una per il controllo del volume
e l'altra per la selezione degli ingressi. Tali funzioni
possono essere svolte anche dal telecomando in dotazione, in alluminio tornito dal pieno e dal quale si può
governare anche l'iPod.
Caratteristiche tecniche:
Potenza di uscita RMS su 8 ohm: 2X13W
Risposta in frequenza: 20Hz-30kHz
Distorsione: <0,5%
Rapporto segnale/rumore: 90dB
Impedenza di ingresso: 100 kohm
Alimentazione: 110V/230V AC selezionabile
Consumo: 50VA
Dimensioni: 187X174X108 (LXAXP)
Peso: 1,8 kg solo amplificatore
Prezzo: 549¤
24
la musica che ci gira intorno
ZEPs on the iPod!
Da Led Zeppelin I, 1969:
GOOD TIMES BAD TIMES
BABE, I’M GONNA LEAVE YOU
Dal Box set, 1990:
TRAVELLING RIVERSIDE BLUES
dal vivo negli studi della BBC,
24 giugno 1969
WHITE SUMMER/BLACK MOUNTAIN SIDE,
dal vivo a Londra, 27 giugno 1969
Da Led Zeppelin II, 1969:
WHOLA LOTTA LOVE
LIVING LOVING MAID
RAMBLE ON
Da Led Zeppelin III, 1970:
FRIENDS
CELEBRATION DAY
TANGERINE
Da Led Zeppelin IV, 1970:
WHEN THE LEEVE BREAKS
THE BATTLE OF EVERMORE
STAIRWAY TO HEAVEN
Tutto How the West was won:
Led Zeppelin dal vivo negli Stati Uniti
al Los Angeles Forum il 25 giugno e alla
Long Beach Arena il 27 giugno 1972:
IMMIGRANT SONG
HEARTBREAKER
BLACK DOG
OVER THE HILLS AND FAR AWAY
SINCE I’VE BEEN LOVING YOU
STAIRWAY TO HEAVEN
GOING TO CALIFORNIA
THAT’S THE WAY
BRON-YR-AUR STOMP
DAZED AND CONFUSED
Ecco il meglio reperibile nella discografia ufficiale
dei Led Zeppelin, scelto da me per voi e il vostro iPod.
Buon ascolto (Pietro Andrea Annicelli).
WHAT IS AND WHAT SHOULD NEVER BE
DANCING DAYS
MOBY DICK
WHOLA LOTTA LOVE
ROCK’N’ROLL
THE OCEAN
BRING IT ON HOME
Da Houses of the holy, 1973
THE SONG REMAINS THE SAME
THE RAIN SONG
Da The song remains the same, 1976:
NO QUARTER dal vivo al
Madison Square Garden, New York, 1973
Da Physical graffiti, 1975:
THE ROVER
IN MY TIME OF DYING
TEN YEARS GONE
KASHMIR
Da Presence, 1976:
ACHILLE’S LAST STAND
NOBODY’S FAULT BUT MINE
Da In through the out door, 1979:
IN THE EVENING
Da No quarter: Jimmy Page & Robert Plant
unledded, 1994
THANK YOU
NO QUARTER
FRIENDS
GALLOWS POLE
FOUR STICKS
KASHMIR
Da Walking into Clarksdale,
Jimmy Page e Robert Plant, 1998
WALKING INTO CLARKSDALE
WHEN I WAS A CHILD
27
Tivoli,
il piacere della semplicità
Tivoli Audio è una compagnia fondata da
Tom De Vesto, il cui obiettivo principale è
continuare una lunga e importante tradizione:
portare sul mercato prodotti tecnologicamente
innovativi e unici nel loro genere, in grado di
soddisfare sempre il consumatore.
Il marchio Tivoli Audio garantisce standard
qualitativi di ricezione radio molto elevati,
associandoli a nuove tecnologie per rispondere
alle sempre nuove e crescenti richieste dei
fruitori di musica più esigenti.
Il tutto è contrassegnato da
quel che da sempre
caratterizza Tivoli: la
semplicità nell'utilizzo. Ogni
radio del marchio Tivoli è
infatti progettata per essere
easy-to-use. Il design semplice
e lineare è realizzato con legni pregiati, decorati
con faceplates colorati, che la rendono
perfettamente adatta ad ogni ambiente.
26
Il marchio Tivoli Audio ha favorito lo sviluppo
e la commercializzazione di molti tra i più diffusi
prodotti per l'intrattenimento degli ultimi dieci
anni, compresi quelli progettati da Henry Kloss.
Il suo nome e la sua carriera sono legati a quelli
di Tom De Vesto, in quanto co-fondatori della
Cambridge Soundworks. Henry Kloss iniziò a
costruire diffusori acustici per i suoi colleghi
studenti che volevano ascoltare le esibizioni
della Boston Symphony Orchestra. Da allora in
poi la sua carriera è stata costellata da numerosi
e incredibili successi.
Come sostiene lo stesso Kloss, la sua nuova
radio «è il culmine di oltre quarant'anni di attività
per portare la musica in casa degli appassionati
con prodotti che essi tendono a conservare e
a utilizzare con piacere. Sebbene la nuova radio
non sia stata disegnata con l'intento di sembrare
retrò, mi piace pensare che questa ricordi i
tempi in cui i prodotti venivano progettati con
onestà, gusto ed efficienza».
la musica che ci gira intorno
Strange Flowers over Europe
«
Vecchi e nuovi
Strange Flowers
I’ve been a big fan of the Strange Flowers
ever since I first saw them at the BeatO-Mania festival in Munich in 1994». Lo dice
Rudi Protrudi, leader dei
Fuzztones, storica garage rock’n’roll band americana in attività dal 1980.
In Germania, Protrudi divise il palco con
gli Strange Flowers cantando una canzone,
Little olive, finita sul disco tratto da
quell’evento, Beat-o-mania at its best. Il
gruppo di Pisa fondato da un pugliese,
Michele Marinò (chitarra e voce), aveva
appena pubblicato un album, Music
for astronauts, per l’etichetta tedesca
Music Maniac Records. Con qualche
canzone splendida come Girls of
april e Of perception, e tutte le altre che valeva la
pena ascoltare, faceva ben sperare. Rudi Protrudi,
di quel disco, disegna la copertina. Le situazioni
della vita, e un contratto da ricercatore in endocrinologia a Boston per Marinò, portano però il gruppo
a sciogliersi.
Tornano dieci anni dopo con un bellissimo
singolo, Across the river and through the trees,
pubblicato dalle italiane Edizioni dei Corrieri Cosmici. Contiene altre tre canzoni, registrate nel ‘94
per quello che doveva essere il secondo album degli
Strange Flowers. Arriva alla fine del 2005, ancora
per un’etichetta tedesca, la Beyond Your Mind: è
Ortoflorovivaistica, un grande affresco psichedelico
che riassume tutta le qualità musicali del gruppo
che intanto ha ripreso a suonare in Italia e in
Germania. Giovanni Bruno (chitarra solista), Maurizio Falciani (batteria), Stefano Montefiori (basso)
non proseguono ulteriormente l’avventura con
Marinò. Giusto il tempo di realizzare il loro terzo
album, The imaginary space travel of the naked
monkeys, poi lasciano progressivamente spazio
all’attuale line-up: Nicola Cionini (chitarra solista),
Alessandro Santoni (basso), Gabriele Pozzolini (batteria).
Sono loro gli Strange Flowers che hanno suonato
dal vivo nel 2007, anche in Inghilterra, e di questi
tempi hanno una ventina di concerti in giro per l’Italia
per poi suonare in Germania e in Olanda. Si parla,
anche, di concerti in Argentina. Intanto è pronto il
nuovo disco: il primo dei nuovi Strange Flowers, il
quarto album in tutto. Si chiama Aeroplanes in the
backyard, sarà pubblicato a marzo. Per tutti e in
particolare per Michele Marinò, che a fare il medico
ha associato le buone vibrazioni del rock, vale
un'affermazione di Jerry Garcia, il grande psichedelico
che non c’è più: «Abbiamo tutti bisogno della musica,
punto e basta. Non so bene perché: forse abbiamo
bisogno della magia, del mito. Per celebrare le nostre
vite, e renderle speciali. Ecco a cosa serve la musica ».
27
28
Pasquale Mega Ensemble:
i colori del sentimento
M
usica vera. Di quella che non si dimentica. Musica
di mente e cuore: scelta, studiata, sentita, resa un
progetto diventato suono. È Coloriade, album del
Pasquale Mega Ensemble che alle musiche di Pasquale Mega (pianoforte) arrangiate da Luigi
Giannatempo unisce la qualità di Javier Girotto (sax soprano
e baritono), Marco Tamburini (tromba e flugelhorn) e del
Vertere String Quartet con Giuseppe Amatulli (violino),
Ida Ninni (violino), Domenico Mastro (viola), Giovanna
Buccarella (violoncello). Inoltre, due vecchi comopagni
di Pasquale nell’Alma Dançante Sextet: Camillo Pace
(basso) e Antonio Dambrosio (batteria).
Del lavoro con l’Alma Dançante, Oltretango, album
del 2002 in omaggio ad Astor Piazzolla, Mega ha voluto
recuperare la composizione a sua firma, Piazza Storallo,
anagramma del nome del grande musicista argentino, che
è diventata forse la migliore delle otto che costituiscono
l’album, tutte di personalità e vita propria, tutte a sua firma.
Ha scritto di lui Bruno Tommaso nelle note di copertina:
«Quante volte, dopo interminabili dibattiti, si è concluso
che per quel personaggio o per quel progetto la semplice
parola jazz si rivelava insufficiente in
relazione ai complessi significati
cui i soggetti di cui sopra
facevano riferimento?
Ebbene la definizione alternativa risultava inevitabilmente composta da
contorti giri di parole
al termine dei quali si
conveniva sulla necessità di concretizzare una sintesi immediata ed efficace,
cioè...jazz. Tutto questo non solo per af-
fermare che stiamo parlando
di un disco di jazz, ma anche
per individuare una parola che
sintetizzi il principale responsabile di questo cd, ovvero Pasquale Mega. Io credo di averla
trovata: gentiluomo. La cosa non
riguarda soltanto gli aspetti personali, peraltro non di poco conto, ma specificatamente la
direzione musicale e l’essenza poetica».
Mega, classe 1958, farmacista a Martina Franca, studia
pianoforte al Conservatorio Egidio Romualdo Duni della
natìa Matera e ha le prime esperienze jazzistiche a Padova
durante l’università. Negli anni ha costantemente praticato
il jazz come senso quasi spirituale oltre che artistico, con
volontà di apprendimento, ricerca, esplorazione, senza la
necessità di arrivare per arrivare. Ed è per questo che
Coloriade rappresenta, oltre che un momento di musica
a suo modo grande, anche un esercizio di stile.
Scrive Pasquale Mega nelle note di copertina: «Da
tempo avevo in mente di registrare alcuni dei miei brani
utilizzando una formazione abbastanza insolita nel jazz:
mi piaceva infatti l'idea di un connubio tra il classico
quintetto jazz (sax, tromba, pianoforte, contrabbasso,
batteria) e il classico
quartetto d'archi (due
violini, viola, violoncello),
considerando che la mia
musica avrebbe potuto adattarsi bene a un organico del
genere. Avrei voluto che il
quartetto d'archi non fungesse
solo da supporto al materiale jazzistico, bensì fosse parte integrante
del progetto, ne costituisse una delle
colonne portanti e avesse anche dei
propri spazi ben definiti».
Credeteci: buon ascolto.
29
moda
Angelo Nardelli
P
Mimmo Nardelli:
«We have launched
several flagship store
in Italy, and looked
to famous testimonials, to let our For-
malwear and Sportswear men's clothes
collections well
known. Our approach is to diversify the
production for being
competitive in the various sections of the
worldwide marketplace. If you go to our
Milan’s flagship store
in Piazza Cordusio,
you can understand
who is Nardelli and
what he does».
30
international
iazza Cordusio, Milano. In lontananza,
il Duomo. E il Castello Sforzesco, Piazza
Affari. Oltre quattrocento metri quadri su
tre piani dello storico palazzo delle Assicurazioni Generali. Allestimento moderno, atmosfera di design contemporaneo. Una forte brand
identity trasmessa dalle collezioni monomarca
Formalwear e Sportswear.
È il flagship store Angelo Nardelli nel cuore
della capitale della moda. Inaugurato in autunno,
costituisce un punto d’arrivo nella storia di Itn,
l'azienda sorta nel 1951 e titolare del marchio,
che è poi il nome del suo fondatore. Da due anni
la strategia aziendale è puntare sui negozi mono-
settore dell’alta moda. L’obiettivo dichiarato è
«investire sulla brand identity finalizzata a trasmettere un’emozione, una filosofia e una chiara
direzione aziendale». I capi d’abbigliamento
riguardano il total look per uomo: giacche, pantaloni e gilet, integrati con maglie, camicie, giacconi, cappotti e capi in tessuto tecnico, oltre ad
accessori come cravatte, scarpe, sciarpe e cinture.
Qualità, innovazione e competitività portano a
realizzare abiti di elevata qualità artigianale, tutti
made in Italy.
La Itn si estende su una superficie di quindicimila metri quadri nella zona industriale di
Martina Franca. Impiega circa cinquecento di-
marca, e il marchio Angelo Nardelli è oggi tra le
firme più significative del made in Italy. Nell’aprile
2005 è stato inaugurato a Taranto il primo flagship
store. Tra il 2006 e lo scorso settembre sono stati
inaugurati i negozi di Altamura, Palermo, Milano
e Lecce. Lo scopo è rafforzare ulteriormente il
brand sul territorio nazionale.
A Milano, insieme al negozio in piazza Cordusio è stato aperto lo show room aziendale in
via Melzi d’Eril, angolo corso Sempione. La
campagna pubblicitaria è firmata dal fotografo
Settimio Beneduci. Gli allestimenti interni sono
dell’azienda Scrimieri Arredamenti. Angelo Nardelli, che ha punti vendita diretti, indiretti e
showroom in Italia e all’estero, in particolare a
New York, Madrid, Londra e Mosca, nel prossimo
futuro intende essere in corner e shop in shop
dislocati nei più importanti department-store del
mondo.
La svolta di Itn consolida la produzione nel
pendenti distribuiti in ambito territoriale e nazionale, per un fatturato medio annuo di trenta
milioni di euro. Il mercato principale per la produzione interna e per la vendita dei prodotti finiti
è l’Italia.
L’export è circa il 30% del fatturato. È alla
terza generazione. Dopo che Angelo Nardelli ha
lasciato l’attività al figlio Mimmo, amministratore
unico coadiuvato dalla moglie Anna Palmisano,
sono gradualmente entrati a far parte del management i tre figli Paola, Angelo, Antonio. «La
nostra strategia è diversificare la produzione per
essere competitivi nei diversi ambiti della filiera»
spiega Mimmo Nardelli. «Questo ci permette di
recepire la situazione reale del mercato. Aver
creato una serie di negozi in Italia, dove si colloca
strategicamente la nostra clientela, e ricorrere
talvolta a testimonial famosi per far conoscere
le nostre linee d'abbigliamento, ci porta a dare
l'idea di chi è Nardelli e cosa fa».
31
PH settimio beneduci
si, viaggiare
Breve storia
d’un camion Primal
«
Martino Castellana:
«Pino Fumarola and I
were friends for years.
In 2006 we put a little
hi-fi centre in my truck.
We have been rewarded
winning at Sossano. In
2007 we did over the
hi-fi centre, obtaining
other good awards. In
the following weeks, we
will change it a little to
be ready for the hi-fi
trucks meetings. We’ll
see what we will be able
to think out to win
again».
32
Ho iniziato a fare raduni di camion nel 2001
come socio dell’Hi-way Truck Team. Ho
sempre avuto la passione per l’hi-fi: ho un
impianto personalizzato anche in auto. Mi
piacciono gli impianti estremi: la musica va
sentita».
Martino Castellana, quarantatré anni, è il
proprietario del camion motrice che, con un
impianto unico realizzato da Primal Company,
è diventato un must nei raduni del genere. «Se
la musica non l’ascolti perfettamente, non è
musica» dice. «Se vuoi ascoltare la radio, ascolti
la radio. Se vuoi ascoltare della buona musica,
serve qualcosa di sostanzioso». Insomma, una
qualità sonora garantita da un impianto Primal
su misura.
Martino è socio in un’azienda di autotrasporti sia in Italia che all’estero con il fratello
Eligio, di quattro anni più giovane. E ha un
amico, Gloriano Di Pancrazio a San Benedetto
del Tronto, che è presidente dell'East Coast
Truck Team della città marchigiana. «Con lui
facciamo delle ragazzate da adulti: piccole gare
su chi ha l’impianto migliore nei piazzali degli
di Daniele Annicelli
autogrill» dice Martino. «Ho partecipato questa
estate a sette raduni nazionali, vincendo a Martina, piazzandomi secondo a San Benedetto del
Tronto e ottenendo delle benemerenze negli
altri, dove non c’era una competizione secondo
classifica. L'anno scorso ho vinto a Sossano,
in provincia di Vicenza. Mi hanno pure messo
un video su You-Tube come impianto hi-fi estremo».
Ma come nasce la collaborazione tra Martino
Castellana e Primal Company? «Con Pino Fumarola siamo amici da anni» risponde. «Nel
2006 abbiamo messo su un piccolo impianto
hi-fi nel mio camion. Siamo stati premiati vincendo a Sossano. Nel 2007 abbiamo perciò
rifatto completamente l’impianto ottenendo
degli ottimi risultati. Si tratta d’un impianto
realizzato appositamente che forse modificheremo in previsione dei raduni di marzo. Vedremo cosa riusciremo a inventarci».
Ma cosa ascolta Martino Castellana? «Di
solito, musica house. Però apprezzo molto
anche Antonello Venditti. Ad alto volume, è
bellissimo».
Primal
Engine Show
A settembre si è svolto a Martina Franca il Primal
Engine Show, un format d’intrattenimento che ha
spaziato dalle esibizioni di mini moto fino alle motrici
degli autotreni passando dal go-kart, motrici, tre
ruote. Vitantonio Liuzzi è stato intervistato da Mauro
Pulpito in un talk-show con Lello Di Bari, pilota e
sindaco di Fasano, e Cesare Fiorio, ex commissario
tecnico della Ferrari
Varie altre iniziative tra le quali il Mafra sexy carwash sull'auto Block Shaft, la serata danzante con
un impianto da ben ventimila watt sapientemente
messo a punto da Andrea Carofiglio e la degustazione
di prodotti tipici della Puglia hanno ulteriormente
coinvolto il pubblico. L'appuntamento è per l'estate
2008 con nuovi ospiti e spettacolari attrazioni.
si, viaggiare
La Mini
di Pierpaolo Cazzolla
è diventata grande
N
on era facile mettere mani
alla bellissima linea della
Mini senza correre il rischio
di creare un ibrido senza personalità.
Invece, basta guardarla la nuova Mini Clubman
per capire che di personalità ne ha da vendere.
Sarà la terza porta laterale posta unicamente
sul lato destro con apertura controvento. Sarà
il simpatico portellone posteriore diviso in due
parti apribili a battente separatamente. Sarà che
la vecchia Clubman fa parte della storia
dell’automobile. Fatto sta che questa nuova
Mini ti fa subito venire voglia di possederla.
Naturale evoluzione del progetto Mini, la
Clubman ha il compito di rinverdire i fasti della
sua progenitrice degli anni Settanta e di conquistare una nuova fascia di clienti: coloro che
amano la Mini con il cuore, ma la detestano
con la ragione per la sua cronica assenza di
spazio per i bagagli e per i passeggeri posteriori.
34
Con i sui ventiquattro centimetri
di lunghezza in più, la Clubman
rimane piccola quanto basta per
sgusciare via facilmente nel traffico cittadino,
e acquista spazio per i bagagli e soprattutto per
le gambe dei passeggeri posteriori, che ringraziano commossi anche per l’ottima accessibilità
al divanetto, merito della geniale terza porta
laterale. Se fino a oggi i proprietari di Mini
potevano ambire al massimo a un romantico
weekend fuori porta, ora con la Clubman è
possibile sistemare i bagagli anche per l’intera
settimana bianca, a patto di non esagerare però.
La Clubman, è bene chiarirlo subito, non è una
station wagon.
Sul piano tecnico la “Clubman”ricalca fedelmente le caratteristiche della sorella minore.
La top di gamma è la Cooper S Clubman,
equipaggiata con il quattro cilindri 1.6 turbo da
175 CV e 240 Nm di coppia che diventano 260
se si attiva la funzione Overboost. Le prestazioni
dichiarate sono: velocità 224 km/h, uno 0-100
Km/h in 7,6 secondi e un consumo di 6,3 litri/100 km. Sempre con alimentazione a benzina
c’è la più tranquilla Cooper Clubman, che monta
lo stesso motore, ma senza turbo, da 120 CV e
160 Nm di coppia, che accelera da 0 a 100
Km/h in 9.8 secondi e raggiunge 201 Km/h,
con un consumo di 5,5 litri/100 Km. Infine il
quattro cilindri turbodiesel da 1560 cc della
versione Cooper D Clubman offre 110 CV e
240 Nm di coppia (260 con overboost attivo),
a fronte di un’accelerazione 0-100 Km/h in 10.4
secondi e un consumo medio di 4.1 litri/100
km. Il lavoro dei tecnici BMW è stato orientato
proprio al contenimento dei consumi e delle
emissioni. Infatti tutte le Clubman sono equipaggiate con sistema di recupero dell’energia
frenante, funzione Auto Start/Stop e indicatore
del punto ottimale di cambiata. Il cambio di
serie è un manuale a sei rapporti, ma a richiesta
è disponibile per tutte le tre varianti anche una
trasmissione automatica a sei rapporti con modalità manuale di selezione tramite bilancieri
al volante. L’equipaggiamento di serie comprende inoltre ABS, EBD, sistema di controllo di
frenata in curva CBC (cornering brake control)
e il controllo dinamico di stabilità (DSC) con
assistente di partenza in salita, oltre a un differenziale autobloccante disponibile, come optional, per la Mini Cooper S Clubman.
Il livello di allestimento sarebbe unico, ma
il listino è composto, oltre a quello base, anche
da pacchetti opzionali: Salt, Pepper e Chili, che
costituiscono ognuno uno step superiore al
precedente. Ma al di là dei numeri, la nuova
Clubman deve vincere la sfida più importante,
cioè garantire la stessa dinamica di guida della
Mini normale che ha il suo punto di forza
proprio nelle sensazioni quasi da go-kart che
si, viaggiare
è capace di trasmettere. Ebbene, è qui che la
Clubman sorprende di più: al volante è difficile
trovare delle differenze con la sorella, e i suoi
ventiquattro centimetri in più sembrano svanire.
La Clubman si guida che è uno spettacolo, ed
è difficile trovare in circolazione una accoppiata
motori-telaio così riuscita. La nuova Mini Clubman
arriva nei concessionari italiani con prezzi chiavi
in mano che varieranno da 21.400 a 24.250 Euro
per la Cooper Clubman, da 22.900 a 25.750 Euro
per la Cooper D e da 25.800 a 28.600 Euro per la
sportiva Cooper S. Ultima annotazione: la Clubman, come tutte le Mini, ha innumerevoli possibilità di personalizzazione e una lista accessori
lunghissima. Ma attenzione a non farvi prendere
troppo la mano, perché in questo caso il prezzo
potrebbe salire così in alto da far venire davvero
le vertigini.
36
si, viaggiare
Primal
Modella con l’automobile allestita da Primal al Top Audio
al Top Audio
Il Top Audio è il più importante appuntamento
in Italia e uno dei più attesi in Europa dagli
appassionati dell'hi-fi domestico Hig End. Per la
prima volta, quest'anno, il mondo del care e
quello dell'home sono stati fatti convergere
nell'unico universo del Top Audio. Al suo interno,
per la prima volta, sono state esposte dodici tra
le migliori auto europee. Tra esse, la vincitrice
del campionato hi-fI europeo, l'auto ufficiale del
Team Italia e una, splendida, equipaggiata con
elettroniche McHintosh e diffusori Finauris allestita
dalla Primal Company. Oltre ai molteplici riscontri
positivi del pubblico, un elemento di soddisfazione
è venuto da Canale 5. Sabato 15 settembre, in
prima serata, ha dedicato un servizio al Top
Audio, concentrando di fatto l'attenzione sulla
vettura allestita da Primal Company.
37
si, assaggiare
L’olio d’oliva
e il senso
del tempo
di Pierluigi Frassanito
«Puglia is the land of the
olive trees by definition, the ideal
place for the weather and the latitudes. Still in the XVII century the olive
oils from Puglia were exported all around
Europe. They used to compete with those
from Toscana for the supremacy of quality.
Actually Puglia is the first italian region
in the production of the olive oil. The
Coratina and the Ogliarola kind of olives
are the most spread in that area. They
contribute to the reputation of the olive
oils from Puglia. They are considered the
ones whose taste is the most persevering
and without compromises».
38
L’inizio dell’inverno è il tempo dell’olio
nuovo. Senza bisogno di essere esperti degustatori o agronomi professionisti, sappiamo
riconoscere quest’epoca da conversazioni ascoltate
fin da bambini, iniziate o concluse con il passaggio
di mano delle bottiglie in questione. L’olio buono si
vende e si regala adesso, a quelli che non hanno la fortuna
di averlo a portata di mano.
Parliamo, se non siamo stati chiari abbastanza, dell’olio
extravergine di oliva, il più apprezzato nelle nostre cucine
per la sua grande delicatezza e bassa acidità, il più speciale
fra gli oli vegetali per essere l’unico prodotto da un frutto
invece che da un seme. L’olio, dunque, è un prodotto prima
di tutto del tempo, e il migliore possibile è quello appena
uscito dal frantoio. È un liquido
particolare, suscettibilissimo: ha bisogno di
essere realiz-
zato in fretta, da olive raccolte a mano e portate subito
alla lavorazione, e la fragranza e gli aromi che troviamo
oggi nell’olio del nuovo raccolto, già fra qualche mese
non saranno più gli stessi.
Fascino della contraddizione, il tempo dell’olio è
veloce. Ma quello dell’olivo no. Gli olivi sono piante
dalla vita molto lunga, e spesso impiegano anni per
cominciare a dare un raccolto soddisfacente. Sono
scorbutici e incoerenti. La resa in qualità e quantità
delle olive è diversa di anno in anno, e i piccoli produttori
vivono di fatica e pazienza, di olive raccolte solo a
mano e solo al perfetto grado di maturazione, e di
spremiture a pietra: un romantico antibusiness, per
come è intesa la produzione alimentare di massa al
giorno d’oggi.
La Puglia è terra di olivi e di olio per definizione,
luogo ideale per clima e latitudini. Già nel Settecento
gli oli pugliesi erano esportati in tutta Europa, e contendevano a quelli toscani il primato della qualità.
Ancora oggi siamo di gran lunga la prima regione italiana
per produzione: la Coratina e l'Ogliarola, le due varietà
di olive più diffuse dalle nostre parti, contribuiscono
alla nomea degli oli pugliesi come quelli dal sapore più
deciso e senza compromessi. Ma per fortuna esiste la
biodiversità. Siamo una regione grande e gli olivi ce li
abbiamo dal Gargano al Salento: togliamoci la curiosità
di provare per sfatare un pò di luoghi comuni.
L’olio è un grasso, in alimentazione, e questo negli
ultimi anni non ha contribuito alla sua fortuna. Senza
entrare in considerazioni dietetiche eccessive, dovrebbe
bastarci sapere che i grassi hanno il compito di fornire
energia all’organismo e spesso sono le sostanze che
danno più sapore al cibo. In cucina, l’olio extravergine
d’oliva dà il meglio da crudo, come condimento che
finisce i piatti, fonde gusti e sapori e aggiunge di suo
come tutti gli altri oli, parlandone con rispetto e compassione, mai potrebbero fare. Nella nostra tradizione
fieramente meridionale è usato da sempre anche in
cottura, e non ci verrebbe in mente niente di meglio,
ad esempio, per saltare in padella verdure con aglio e
peperoncino.
Esistono vari e diffusi pregiudizi sull’uso dell’extravergine nella frittura. Anche la considerazione che gli
oli di semi costano molto meno vale fino a un certo
punto, dato che per quanto riguarda la nutrizione e la
salute l’olio d’oliva non ha paragoni. Vale invece la
pena di scegliere in base al gusto: a cibi poco saporiti
come le patate, la frittura in extravergine dà qualcosa
in più, mentre può risultare eccessiva per quanto è già
gustoso per conto suo, come il pesce.
Questa storia finisce qui, ma l’olio extravergine
d’oliva inizia adesso: anche se l’avete già in casa, andatelo
a cercare e assicuratevi che sia del nuovo raccolto.
Ci saprete dire.
intenso retrogusto
dell’espresso
italiano
www.marodda.it
39
si, assaggiare
Oliamoci bene
Un tour onogastronomico alla scoperta dei sapori
dell'olio novello: è quello, denominato spiritosamente
Oliamoci bene, che è stato promosso, tutti i week end
di novembre e di metà dicembre, dal Consorzio per la
valorizzazione della ciliegia e della frutta tipica di Bisceglie
e dallo stesso Comune. Pagando 79 euro a persona,
con un supplemento di cinque per la camera singola,
per due giorni si è diventati protagonisti della tradizione
olivicola pugliese: dalla raccolta delle olive alla degustazione dei cbvi tipici conditi con olio novello. Trattamento
all inclusive: cena, colazione, pranzo, bevande, pernottamento in hotel quattro stelle, trasferimenti in pullman
gran turismo, servizio guida turistica, visite al centro
storico, al museo, al Dolmen della Chianca, alle campagne
per partecipare alla raccolta delle olive guidata dai
contadini anziani, visita al frantoio per assistere alle fasi
della molitura e degustare l'olio appena spremuto. È
un'esperienza da ripetere nel 2008.
40
«Noci in tavola»
Noci, città caratterizzata da una grande vocazione
agricola e da un'importante tradizione enogastronomica,
alimentata di generazione in generazione all'interno
delle famiglie, vede il formarsi il 14 marzo 2005
l'associazione «Noci in tavola». È voluta e costituita da
professionisti della ristorazione nocese, accomunati da
una passione per il mangiar bene e per lo stare insieme
con gusto.
I soci di «Noci in tavola» si fanno promotori della
valorizzazione del territorio e dell'immagine non solo
nocese, ma anche pugliese, attraverso la tipicità della
cucina e dei prodotti della sua terra, e l'amore per le
sue tradizioni. L'associazione è parte attiva in numerose
manifestazioni enogastronomiche, facendosi spesso
promotrice di proposte e idee sempre nuove in ambito
culinario, avvalendosi anche d'un dialogo continuo e
aperto con le altre categorie produttive, le istituzioni
pubbliche e i consumatori.
In viaggio
A
con mio figlio
gosto 2004, ultima settimana di
gestazione. Sono da mio fratello
a controllarmi la posta, quando
arriva un vecchio amico diventato
padre da alcuni mesi. Dopo i reciproci
auguri, inizia a raccontarmi delle difficoltà che incontrava nell’effettuare i più
semplici spostamenti (due borse piene
di cambi, pappe, pannolini, creme, eccetera, più il passeggino, navicella, e
questo solo per andare a casa di sua
madre). Mi ha detto che la mia vita
sarebbe cambiata e sicuramente non
avrei più viaggiato con tanta facilità.
Credo che stesse ancora parlando
mentre compravo on-line il primo biglietto aereo per mio figlio. Per il primo
controllo pediatrico ci siamo rivolti al
dottor Antonio Padovano di Martina
Franca. Ero un pò intimorita: ero convinta che non ci fossero problemi a viaggiare con un bimbo, ma forse aveva
ragione mia madre e il bambino ne
avrebbe sofferto (chiunque pare ne sappia più dei genitori su qualsiasi argomento riguardi la crescita ).
Sono entrata nella sala d’aspetto e
ho visto dei quadri di New Orleans. Poi,
nello studio, una magnifica foto scattata
in Cina. Ho capito che ci sarebbe stato
feeling. Subito mi ha rassicurata dicendomi che non c’erano assolutamente
contro indicazioni a viaggiare con un
bambino, e mi ha semplicemente consigliato di portare il numero del pediatra
e la tachipirina. Per l’alimentazione mi
ha detto che non sarebbe stato necessario portarmi dall’Italia troppe cose, visto
che avrei trovato tutto sul posto. In
fondo ai bimbi basta dello yogurt, del
latte (che tra l’altro l’Italia importa) e
dei biscotti.
Il dottor Padovano è ancora il mio
pediatra in Puglia, e a volte vado a tro-
42
varlo solo per lasciarmi affascinare dalla
sua cultura e dalle sue conoscenze. Durante un viaggio in Ungheria all’età di
dieci mesi, Marco non solo ha dimostrato un incredibile spirito di adattamento,
ma ha anche mosso i suoi primi passi,
a conferma di quello che mi aveva detto
il dottor Padovano: il viaggio è un momento in cui la famiglia è più serena,
lontana dai problemi quotidiani e dalle
pressioni esterne, e di conseguenza più
attenta anche alle esigenze del bambino.
Voglio condividere alcuni trucchi.
Ricordo per esempio, che a Budapest
Marco aveva gattonato un pò ovunque.
Era davvero sporco. Così abbiamo investito venti euro circa per una consumazione al sushi bar dell’Hilton e in questo
modo ci siamo assicurati l’utilizzo di
uno dei bagni più puliti ed esclusivi della
città. Per il bagaglio consiglio un passeggino di quelli leggeri ed economici, una
fasciatoio da viaggio formato borsetta,
una confezione di gel disinfettante (non
più di 100 ml altrimenti ve la sequestrano
all’imbarco).
Far mangiare o bere il bimbo durante
la fase di decollo e di atterraggio vi
eviterà problemi alle orecchie. Se prende
ancora il latte, fate coincidere la poppata
con la fase di decollo. Se è un pò più
grande, andate sul sicuro con una confezione di patatine.
Ricordate che se c’è una turbolenza
in volo, un ingorgo, una parata o un
qualsiasi evento che già di per se tende
a complicarvi la vita, sarà proprio quello
il momento in cui il bambino dovrà
andare in bagno: non è colpa sua o del
vostro partner, quindi non arrabbiatevi.
Sulle guide c’è sempre una sezione
dedicata ai bimbi dove sono indicati
parchi e attrazioni per i più piccoli.
Durante la vacanza cercate sempre di
di Dalmazia Fumarola
fermarvi al parco giochi: servirà a rilassare un pò tutti. Se il tempo è brutto,
entrate in una chiesa: è un ottimo posto
per liberare un pò i vostri figli in un
ambiente chiuso e di solito ben disposto
nei loro confronti. Magari, con un pò
di fortuna e gentilezza, sarà una suora
o un prete a correre dietro i vostri pargoli
per assicurarsi che non facciano danni
mentre voi vi riposate un pò.
In vacanza non bisogna dimenticare
le buone abitudini. Così a Praga (Marco
aveva circa venti mesi e iniziava a cenare
a tavola seduto con noi) abbiamo optato
per un appartamento. È stata un ottima
scelta: abbiamo speso meno che in albergo, gli spazi erano decisamente grandi
e abbiamo mantenuto le nostre abitudini.
Inoltre l’appartamento era in pieno centro e con un grande supermarket vicino.
Non dimenticate un libro di fiabe e dei
quaderni da colorare (ideale è la serie
degli staccattacca). Per i lunghi spostamenti in auto o le serate fuori con gli
amici, stiamo utilizzando anche il dvd
portatile, con moderazione e solo in casi
estremi. Personalmente faccio vedere al
massimo un’ora di televisione al giorno.
Ultimo consiglio: evitate di entrare
in un museo se vostro figlio è stanco o
affamato. I pannolini li vendono ovunque, così come tutte le altre cose che
siamo abituati a usare quotidianamente.
State tranquilli: un bambino rilassato e
contento non fa capricci. Se decidete di
rimanere in Italia, optate sempre per
agriturismi e fattorie interattive. Ne ho
travate di bellissime ovunque, ma consiglio di mandare sempre una e-mail per
chiedere se gradiscono i bambini e se
hanno dei giochi.
Ricordate che sono sempre a disposizione per fornirvi indirizzi e consigli mirati:
[email protected]
si, star bene
si, star bene
come contribuire al Bil (Benessere interno lordo)
di Simona Loconsole
T
rasformare un’impresa miope
in una impresa solidale che
contribuisce al bene comune.
Non è impossibile. Lo spiegano Roberto Lorusso e Nello
De Padova nel libro DePILiamoci-Liberarsi del PIL superfluo e vivere felici (Editori Riuniti): «La responsabilità sociale
dell’impresa è cosa seria. Essa
grida a squarciagola che
l’impresa deve essere una comunità solidale non chiusa negli
interessi corporativi, per tendere
ad un’ecologia sociale del lavoro
e contribuire al Bene Comune
anche mediante la salvaguardia
dell’ambiente naturale».
Può, infatti, essere giudicata
sana (moralmente e socialmente)
l’impresa che rispetta l’uomo e
l’ambiente, non quella che persegue solo l’obiettivo del profitto
a tutti i costi. Come dicono gli
autori, «oltre alla funzione tipicamente economica, l’impresa
svolge una funzione sociale, per-
44
ché è luogo dove si generano
occasioni di incontro e di collaborazione, nonché di crescita
e di valorizzazione delle capacità
delle persone coinvolte. La dimensione economica dell’impresa è pertanto condizione per
il raggiungimento tanto di obiettivi di profitto, quanto di obiettivi
sociali e morali, che vanno perseguiti congiuntamente».
Il concetto di responsabilità
sociale dell’impresa è strettamente connesso con quello di decrescita del Pil (prodotto interno
lordo), cioè della capacità di superare il circolo vizioso dei consumi e della mercificazione ad
ogni costo per innescare il circolo
virtuoso del Bil (benessere interno lordo), che porta a un consumo consapevole delle risorse naturali, umane e del tempo. Un
comportamento socialmente responsabile, infatti, permette agli
imprenditori d’integrare preoccupazioni di valore etico
all’interno della visione strategica
dell’azienda e di praticare la cultura della temperanza, contro
l’intemperanza dominante quando si sceglie un consumo eccessivo e irrispettoso di materie prime e risorse per la produzione e
del capitale umano a disposizione. «La possibilità di eliminare
i fattori d’inquinamento e di assicurare condizioni di igiene e
di salute adeguate per le persone
che vi lavorano e per le comunità
che le ospitano è alla portata di
tutte le imprese», scrivono Lo-
russo e De Padova. I quali ricordano come svolgere in maniera efficiente l’attività di produzione sia un dovere per le
imprese, chiamate responsabilmente a evitare lo spreco di risorse e a evitare che la crescita
economica sia ottenuta a discapito d’interi popoli e soprattutto
delle future generazioni.
Un’impresa che agisce in maniera socialmente responsabile,
oltretutto, è premiata dal mercato, perché oggi i consumatori
sono sempre più sensibili ai valori etici che si trovano alle spalle
di un prodotto. In più, è in grado
d’innescare un processo virtuoso
di riduzione dei costi di produzione, derivato dall’uso consapevole delle risorse naturali, delle
materie prime e dell’energia (cosa
che migliora i processi e porta a
una riduzione dei rifiuti), e dalla
pratica di buone prassi come lo
scambio di esternalità tra aziende. «Basato sulla condivisione
dei beni e servizi, sulla cultura
del dono e la pratica della solidarietà, lo scambio di esternalità
non è baratto, cioè scambio senza danaro di prestazioni professionali, ma una liberalità vera
e propria che ciascuna impresa
realizza a vantaggio della comunità delle imprese» si legge nel
libro DePILiamoci.
Notevoli vantaggi si hanno
poi dalla capacità di predisporre
piani d’investimento e
d’innovazione che tengano conto delle potenzialità dei dipendenti e che garantiscano lo sviluppo integrale della persona
umana. Un imprenditore che è
in grado di scegliere strategie
aziendali a favore della qualità
della vita dei lavoratori, concedendo loro non solo di esercitare la propria professionalità e
creatività ma anche di godere
di tempo libero e ritmi di lavoro
più umani, potrà verificare che
il rendimento dei dipendenti
aumenta, così come la loro fedeltà e dedizione.
Basta consultare la mappa
del Bil, una sorta di moderno
gioco dell’oca, per scegliere il
proprio percorso ideale e i semplici gesti quotidiani che si possono attuare per praticare la
responsabilità sociale
dell’impresa e la cultura della
decrescita, a tutto vantaggio della salvaguardia di principi e valori etici fondamentali per la
sussistenza dell’individuo e della comunità, nel presente e nel
futuro. Inoltre visitando il sito
www.depiliamoci.it, si potrà
dare il proprio contributo suggerendo buone pratiche o nuove interazioni per la mappa del
Bil.
Dalla lettura di DePILiamoci si rileva, infatti, una grande
fiducia nella possibilità di cambiamento e nella disponibilità
delle persone di mettere in discussione comportamenti, fortemente radicati, finalizzati al
consumismo fine a se stesso, e
di aprirsi a un nuovo percorso
verso il Bil. Tale ottimismo
emerge con forza quando si parla dell’uso delle tecnologie, che
non vanno demonizzate, ma al
contrario possono diventare un
importante strumento etico. In
definitiva: «Lo Stato incentiva
ancora troppo poco la ricerca
di innovazioni capaci di ridurre
l’impatto sull’ambiente provocato dalla produzione e dal consumo. Mai come oggi, infatti, il
ruolo della tecnologia risulta
determinante in vista di uno
sviluppo autenticamente solidale e integrale dell’umanità. Esiste una tecnologia che inquina
ma anche quella capace di disinquinare; una tecnologia che
spreca ma anche una che fa risparmiare; una tecnologia che
rende schiavi, ma anche una
tecnologia che ci rende liberi.
Dipende soltanto da noi, saper
scegliere quella buona in vista
di quello che desideriamo sia il
nostro benessere».
5
storia e storie
Giuseppe Goffredo
l’amor loci e le contrade madri di aprile
A
di Annalisa Scialpi
ccostarsi a un vero poeta è, sempre,
impresa delicata. Sciogliersi il legaccio dei sandali, allora, per avvicinarsi al fuoco sacro della parola,
in una complicità silente con chi ha fatto lo
stesso sciogliendosi dai lacci della banalità,
del pregiudizio, del consueto, dell’indifferenza
ipocrita, dell’omertà, per farsi strumento della
parola. Unico vincolo che un poeta è in grado
di tollerare.
Perché la poesia per Giuseppe Goffredo?
È possibile cercare di disegnare, attraverso i
colori e la forza del linguaggio, il paesaggio
nutrito dalla linfa divina che spinge il poeta
a essere, nella musicalità e verità del verso, se
stesso e più e oltre e per? Meglio lasciare da
parte le risposte di cliché, per entrare in punta
di piedi in un mondo vivo dal sapore di terra,
nella grazia di luce ritrovata «accanto a un
croco giallo» in un fluire di immagini in bilico
tra memoria e attesa, tormento ed estasi, coscienza e oblio, contemplazione e rinascita.
Un mondo vivo che Giuseppe Goffredo conserva intatto dalla sua infanzia, e del quale si
alimenta la sua poesia.
Nascere nel Mezzogiorno significa per il
poeta, soprattutto, accogliere l’insegnamento
che la propria cultura è il risultato, nel tempo
e nello spazio, di rapporti tra i popoli e le
civiltà del Mediterraneo. Quindi lezione di
pluralità, complessità, incontro. L’amor loci
Giuseppe Goffredo è nato nel
1956 ad Alberobello. Per la poesia
ha pubblicato Fra muri e sogni in
Nuovi Poeti Italiani n.2, Einaudi,
1982. Paesaggi di Maggio in Almanacco dello Specchio n. 13, Mondadori, 1989. Elegie Empiriche,
Guerini e Associati, 1992. Elegie
Empiriche ampliata, Argo, 1995.
L'antologia Alle porte di Alessandria
(poesie 1977-2000), La Mongolfiera, 2002. Contrade madri di aprile,
Lietocolle, 2007. Ha curato Da qui,
piccola antologia della poesia e
dei poeti mediterranei, Argo, 1993,
46
si mescola così all’insegnamento vivo d’una
originarietà impressa nella memoria del corpo
che è identità e appello, riconoscimento e
debito, per una voce che risponde nell’essere
voce e sguardo.
La luce, allora, come guida verso un interrogarsi che rischia di perdersi nel silenzio
straniante dell’ineffabile se non soccorso dalla
risposta della natura, madre con le sue contrade dove, quasi ricalcando un antico simbolismo, le voci parlano nell’assenza. È la ragione
ritrovata nella e dalla terra in una contemplazione che non è assenza ma luogo di ritorno
e rinascita, incontro con le origini. Abbraccio
sinestetico nel grembo della madre ma non
annullamento, affogamento estetico.
Una poesia da leggere con l’intera corporeità, lasciando a essa il contagio di sprazzi
di vissuto che si mescolano nella coscienza
del presente e in grado di stanare la verità da
«sistemi di omertà organizzati in un gioco
confuso/ di luci e ombre che sospendono in
noi la verità». Il poeta «animale fuori dal
branco» porta con sé il peso di un vedere che
è appello frammisto a coscienza di un dover
ripartire da zero «con infinita pazienza»,
«per capire ciò che siamo» perchè «non c’è
altra soluzione quando le merci/ lungo il
confine sono maneggiate con cura/ mentre
i passeggeri sono la merce più scadente e
inutile».
e con Michelangelo Zizzi Poeti circus, i nuovi poeti italiani intorno
ai trent'anni, Poiesis Editrice,
2005. Per la narrativa ha pubblicato il romanzo Tutto apposcito (Tutto
a posto), Stampa Alternativa,
1994, e Con i fiori dei mandorli in
faccia, Poiesis Editrice, 2006. Per
la saggistica ha pubblicato Cadmos
cerca Europa, Bollati Boringhieri,
2000, e Il cielo sopra Baghdad,
diario di un viaggio in Iraq, La Mongolfiera, 2003. Nel 2005 ha realizzato, con le musiche di Stefano
Battaglia, le coreografie di Michela
Mucci e le immagini di Michele
Stallo, la rappresentazione poetica
e drammaturgica Baghdad Baghdad. Dirige la rivista da Qui:
letteratura, arte e società fra le
regioni e le culture Mediterranee,
Poiesis Editrice. Ha diretto la rassegna di poesia e di arti fra i paesi
mediterranei Poesia in Chiostro a
Conversano dal 1983 al 1993. Dal
1994 dirige il Laboratorio Poiesis
e i Seminari di Marzo, che si occupano del dialogo fra l'Italia, il Mediterraneo e l'Europa.
In fondo, dice il poeta, lo sapevamo. C’era
qualcosa da cambiare nella spirale di desideri
della premodernità. Siamo arrivati troppo tardi
dove non volevamo arrivare. Ecco allora il
soccorso: immagini sfiatate a rincorrersi nello
spazio di ricordi di una sovrabbondanza di
vita in una vertigine, quasi, di libertà e vita.
Riprendere fiato, ritrovarsi vivi per continuare
un interrogarsi continuo, lacerato, come
un’aria di vecchia canzone ostinata: dove
cercare la speranza? In quale dio? «Il dio che
ammassa yogurt nei supermercati. Il dio
delle vacanze al mare. (…) Il dio dei soldi
in banca. Il dio della guerra contro i mussulmani. Il dio senza più occhi. Senza più
mani»?
È un Occidente cieco che agonizza trascinato nello pagine di Goffredo. Un occidente
malato. Schiavo, in fondo, tenuto in piedi dal
«neonazismo totalizzante delle leggi del
mercato». «Credersi i padroni del mondo»:
ecco il nostro imperdonabile errore. «Ma io
vedo. /Ho gli occhi spalancati al cielo (…)
Dicono la legge del mio tempo/ è questa.
Ma nessuno rischia/ per inventarsi altro».
Ripartire, allora. Andare senza voltarsi indietro.
Sotto lo sguardo dei paesaggi. Ricominciare
sulla scia dell’«ultima di quelle civiltà/ che
ha vestito gli occhi delle stagioni/ per farmi
sentire uomo sulla terra».Resistere e reesistere in un sentire che è conoscere, antidoto
alla «razionalizzazione che è il muto totalizzante della brutalità». A tutti i costi. Sentire
perché si è diversi, ma anche essere diversi
per sentire. «Contadini del cosmo/ con il
proprio bastone che batte/ (…) Pronti a
ricevere il mondo che ritorna. Essere diversi.
Sentire./ Desiderare le cose. Non capire./
Vivere una solitaria gioia che ci fa vivi».
È l’appello lucido, tagliente come lama
della sua poesia che è impegno e testimonianza
di vent’anni trascorsi per rinsaldare valori
comuni e favorire lo scambio culturale tra
Occidente e Oriente. Poesia in Chiostro negli
anni Ottanta, i Seminari di Marzo nei Novanta, il libro Cadmos cerca Europa (Bollati
Boringhieri) e la rivista da Qui, sono stati i
momenti d’incontro per arginare integralismi
d’ogni provenienza in favore della cooperazione e del dialogo. In Cadmos cerca Europa
Goffredo scrive: «Parlare di Mediterraneo
(...) significa parlare del futuro dei nostri
figli e delle loro prospettive di vita. (…) Se
vivranno in una condizione di pace e di
guerra, di coabitazione o di violenza. Sono
queste alcune delle questioni a cui bisogna
dare una risposta nei prossimi anni. Le armi
possono dare ragione soltanto ai puri calcoli
di potere, da una parte e dall’altra. Ma dietro
quelle scelte ci sono uomini e donne, madri
e figli. La guerra di per sé è un azzeramento
di qualsiasi forma di civiltà. Sicché a vincere
è la violenza, l’oppressione, l’empietà. Il
nostro compito, invece, è reinventare il
gioco in favore della pace».
Ringrazio Giuseppe Goffredo per aver
fatto dono a noi distratti postmoderni di
un nuovo sguardo sui paesaggi ridotti
spesso, nel migliore dei casi, al nostro
giardino, allargandone i confini per spingerli sino alla luce del dialogo,
dell’incontro e della pace.
storia e storie
Neocon
Politica, cultura,
affiliazioni
del movimento
neoconservatore
di Franco Cardini e Marina Montesano
I
n occasione delle elezioni che
hanno condotto al secondo
mandato, quando l’11 settembre
era divenuto un argomento di
minor presa rispetto al passato, il
governo Bush e i suoi strateghi elettorali sono riusciti a nascondere i
problemi e gli insuccessi interni ed
esterni dietro l’appello etico-religioso
sostenuto da molte Chiese cristiane
(compresa, in parte, la cattolica): la
lotta contro l’aborto, i matrimoni
gay, perfino l’insegnamento
dell’evoluzionismo e suoi derivati
nelle scuole. La nuova ricerca di
valori forti è venuta in aiuto al progetto neocon che continua a fondarsi
sulla sintesi tra una rinnovata formulazione del principio del “destino
manifesto” degli Stati Uniti e la tesi,
cara alle origini trotzkiste di parecchi
neoconservatori, che ormai il mondo
non vada più contemplato bensì
cambiato. Magari anche con la forza,
legittimata dalla formula della
“esportazione delle democrazia”.
Quest’aberrazione ha fatto scuola
e trovato in tutto il cosiddetto
“nostro Occidente” e anche fuori di
esso entusiasti sostenitori, emuli,
soci in affari, complici ed ascari anche perché, nella stessa Europa, sono
entrati in crisi tutti quei valori
ch’eravamo abituati a considerare
caratteristici e irrinunziabili della
nostra modernità democratica con-
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nessa (in modo apparentemente solido) con l’idea di progresso, la tolleranza, il relativismo etico: e che
oggi appaiono sbaragliati e vanificati
dinanzi all’arroganza
dell’individualismo neoliberista e del
“turbocapitalismo” da una parte, alla
ferocia del fondamentalismo religioso dall’altra (e teniamo presente che
accanto al fondamentalismo musulmano ne esiste anche uno cristiano,
uno ebraico, uno indù eccetera). I
quali, tra l’altro, con il loro violento
e rozzo manicheismo, hanno il vantaggio di proporre al disorientato
“occidentale” che ha smarrito i suoi
vecchi punti di riferimento una chiave interpretativa semplice, chiara,
che gli consente di scegliere “da che
parte stare” e gli fornisce quindi un
tragico e pericoloso surrogato di
quelle che forse un tempo si sarebbero definite le certezze spirituali (o
delle vecchie ideologie).
Ma come abbiamo potuto arrivare a questo punto? Che cosa ci ha
ridotti così? Siamo stati per lunghi
decenni tutti convinti - chi non lo
era, fingeva di esserlo - che “il nostro
Occidente” si fondasse sui valori
della pace, della tolleranza, del rifiuto
della violenza. Poi, sono successe
molte cose: la fine del tempo
dell’equilibrio brutale tra le due Superpotenze, con il franare di una di
esse; la crisi di valori di quanti ad
essa avevano in qualche modo fatto
riferimento. Intanto, pian piano, il
disincanto: con la “certezza della
ragione”, molte altre illusioni erano
franate. Un fallimento etico e culturale. Scomparse le certezze, vanificate le ideologie, svuotata di senso
la storia, sembra che a noi
“occidentali” resti solo quel che i
fondamentalisti islamici ci rimproverano: l’edonismo e
l’individualismo.
Ma dalla crisi dei valori del cosiddetto “nostro Occidente”, in particolare dalla crisi della fiducia nella
forza della ragione e dalla tentazione
di rifugiarsi in nuovi “valori forti”
che ne è stata conseguenza, deriva
uno dei più gravi rischi che il mondo
d’oggi sta correndo.
Si potrebbe concludere, che quel ch’è davvero
entrato in crisi è vera forza della
Modernità occidentale, quello che
i neoconservatori e i loro accoliti
definiscono con disprezzo
“relativismo”: la capacità di confrontarsi col diverso da noi senza cedere
alla tentazione di sentirsi superiori,
la lucidità che ci permetteva di distinguere la superiorità economica,
tecnologica, magari perfino sociopolitica, con la superiorità tout
court, quella sul piano civile e culturale; quella che un tempo si
sarebbe forse definita con l’aggettivo
“spirituale”. Ma proprio questo è il
punto: relativisti sul serio - nel senso
che Claude Lévi-Strauss conferisce
a tale termine - non siamo stati mai.
La capacità di ascoltare, d’intendere
e di cercar di comprendere i punti
di vista altrui, le “ragioni nascoste”
delle altre culture; di rispettare le
voci diverse dalla nostra, le gararchie
di valori fondate su principi di altro
tipo, le tradizioni di origine differente. La grande lezione impartitaci da
Nicola Cusano nel De pace fidei,
mezzo millennio fa.
Il fatto è
che ha ragione, in un
suo aforisma non accettato
quasi da nessuno ma diventato celebre, Massimo Fini: l’Occidente
faustiano si è modellato, da almeno
due secoli e qualcosa,
sull’autodefinizione di Mefistofele,
ma invertendone i termini. Esso
vuole infinitamente solo il Bene e
si dimostra capace di operar solo il
Male. E sembra non rendersene conto perché in realtà non accetta di
cercar di uscire dalla sua vecchia
schizofrenia: da una parte ha elaborato un’etica e un diritto fondati
sulla Libertà individuale e sui Diritti
dell’Uomo, dall’altro ha sistematicamente perseguito una politica e
un’economia mondiali non meno
costantemente fondati sulla propria
Volontà di Potenza. Dietro la stessa
autoreferenziale convinzione che
Libertà individuale e Diritti
dell’Uomo siano “valori universali”
v’era ancora la Volontà di Potenza,
sotto forma di convinzione che i
valori da noi elaborati siano naturalmente e obiettivamente i
migliori, che tutte le altre culture
e tutti gli altri popoli dovessero
prima o poi conformarvisi e che
il senso della storia a ciò stava
appunto conducendo.
(…) L’obiettivo neocon in
realtà consiste
nell’“assolutizzare” il principio
dei “Diritti naturali inalienabili
dell’Uomo”, di sottrarlo alla
corrosione della critica e delle
stesse vicende storiche e di
fondare come dato irreversibile e incontestabile il paradigma del processo storico
di affermazione del liberalismo e del liberismo come
“dinamica della libertà”, su
un cammino aperto da
John Locke e dai padri
Fondatori degli Stati Uniti
d’America.
Il neoconservatorismo, che nascerebbe
«For long decades we have all been
convinced that our Western culture was
established on the values of peace, tolerance and refusal of violence. Then, many
things have happened. The time of the
harsh balancing between the two Superpowers ended when one of them collapsed. With the obviousness of the reason,
many other illusions were collapsed. The
disappearing of the certainties, the waste
of the ideologies, the history's draining
of sense, let seem that only what the
islamic fundamentalists reproach remains
to us western people: hedonism and individualism. After the weak thought we
are at the void thought, that is very strong
when it requires to give intellectual legitimacy to the powerful of money, of the
marketplace and weapons manouvred
by financial and entrepreneurial elites,
who are taking up directly the control of
the government in the Usa and in various
western countries».
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come reazione ai totalitarismi nazionalsocialista e comunista, prosegue
la sua lotta contro ogni forma di
“barbarie” e di “tirannia”, riserbandosi il diritto di definire che cosa
significhi, appunto, essere “barbaro”
o in che modo si configuri un regime
“tirannico”. È un aspetto molto importante dell’ideologia e della propaganda neoconservatrici questa
“lotta contro tutte le dittature” che
si presenta come intransigente, e che
pertanto si appoggia alla pratica della
“esportazione della democrazia”:
ma è noto al riguardo che la pratica
diplomatico-militare statunitense è
da lungo tempo impegnata in un
metodo che ricorda abbastanza da
vicino quello di Hermann Goering
il quale, com’è noto, decideva lui
chi era ebreo e chi no. I governi
americani sono fieramente avversi
ai dittatori, ma decidono loro chi è
tale e chi no. Il Saddam Hussein
della “guerra dimenticata” degli Anni
Ottanta, ad esempio, poteva anche
gasare i curdi e perseguitare gli sciiti:
ma era pur sempre il Presidente d’un
paese amico, laico, progressista, forse
al massimo “autoritario” (forse si
sarebbe potuto parlare di una
“dittatura di sviluppo”). È una vec-
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chia tattica che riguarda e/o ha riguardato i Noriega, i Pinochet, i
Suharto, i Saddam, i Musharraf e
altri.
(…) Dopo il “pensiero debole”,
siamo al “pensiero vuoto” che però
è fortissimo nella misura in cui pretende di fornire legittimità intellettuale alla forza del danaro, del mercato e delle armi manovrata dalle
élites finanziarie e imprenditoriali
che stanno occupando direttamente
le leve di governo della superpotenza
e di molti paesi dell’Occidente.
In sintesi, il progetto neoconservatore è chiaro e palesa con decisa
evidenza le ormai “lontane” (ma
solo di qualche decennio) origini
ideologiche dei suoi iniziatori, radicate nel marxismo trotzkista. I neocons hanno fatto proprio il vecchio
principio marxiano che ormai contemplare il mondo, com’era scopo
della filosofia, non basta più: bisogna
cambiarlo. Questo è stato forse fin
dal principio del suo primo mandato,
certo a partire dall’indomani dell’11
settembre 2001, il progetto
dell’équipe di governo e di potere
che fa capo, quanto meno istituzionalmente, a George Bush. Essi sono
portatori d’un progetto che, piaccia
o no, va definito “rivoluzionario”:
all’interno della società statunitense,
far degli States una “società di
proprietari”; all’esterno, vincere quella ch’è stata definita la “guerra contro
il Terrore” e, attraverso la gestione
di essa, trasformare definitivamente
il mondo a cominciare dal Vicino
Oriente forzando il bene
dell’umanità a coincidere con
l’interesse degli Stati Uniti, vale a
dire dei suoi attuali padroni e dirigenti e degli ambienti che essi rappresentano o dei quali essi sono
“comitato d’affari”.
(…) Di fronte alle sconfitte e alle
situazioni di scacco che si registrano
in Afghanistan, in Iraq, in Palestina,
la “guerra senza fine” e i neoconservatori che l’hanno inventata e promossa hanno bisogno ormai di un
nemico che sia anch’esso “senza
fine”: Iran, stati canaglia, terroristi
immaginari.
Abstract dal saggio pubblicato in Zero, perché la
versione ufficiale sull'11/9 è un falso, Edizioni
Piemme, per gentile concessione degli Autori
storia e storie
ZERO
caso editoriale
sull’11 settembre
«In questi anni, è stato
possibile accumulare una tale
massa di dati, di immagini, di
analisi da poter affermare
senza ombra di dubbio che la
“versione ufficiale” è un falso.
Abbiamo sfidato il tabù, spinti
dalla necessità di ricercare la
verità, ben sapendo che essa
non è celata in un posto solo.
Meno che mai in qualche
grotta afgana. Lo abbiamo
fatto perché sappiamo che
la verità sull'11 settembre è importante, anzi essenziale: per sopravvivere». Così
Giulietto Chiesa scrive nell'introduzione a Zero,
perché la versione ufficiale sull'11/9 è un falso,
libro pubblicato dalle Edizioni Piemme che sta
diventando un caso editoriale. Con una serie di
materiali eterogenei di autori di diversa estrazione
culturale e politica, dimostra in maniera molto
chiara ciò che ormai è evidente anche rispetto ad
altre ricostruzioni: gli eventi dell'11 settembre non
sono andati così come pretende la versione ufficiale
propalata dall'Amministrazione Bush. Parola, oltre
che dello stesso Chiesa, di Gore Vidal, Franco
Cardini, Marina Montesano, Gianni Vattimo, Lidia
Ravera, Andreas Von Bülow, Steven Jones, Claudio
Fracassi, Jürgen Elsässer, Webster Griffin Tarpley,
Thierry Meissan, Enzo Modugno, David Ray Griffin,
Barrie Zwicker, Michel Chossudovsky. «Per avvicinarci alla verità, siamo ripartiti da zero» dice ancora
Chiesa, che sulla vicenda ha anche elaborato un
film con lo stesso titolo del libro.
Cura di sè
L’
«
estetologia è l’espressione più avanzata di una visione
innovativa nei campi dell’immagine fisica e del benessere. «È una nuova operatività professionale delle
dsicipline bio-naturali» spiega Guglielmo Lanza,
promotore del corso di estetologia alla Libera Università Leonardo
da Vinci di Roma. «Si è diffusa e affermata nelle realtà sociali
da oltre un decennio come parte integrante e irrinunciabile,
nell’attuale contesto del mercato mirante al benessere, per la
difesa e il ripristino delle migliori condizioni della forma fisica,
l’attenuazione degli stati di disagio emotivo, la prevenzione delle
disarmonie dell’immagine del corpo. Tutto ciò è finalizzato a
migliorare la qualtà della vita».
Questa espressione della scienza del benessere porta
l’estetologo a svolgere servizi di consulenza e assistenza finalizzati
a promuovere e conservare una buona forma fisica ed emotiva.
«Tra i suoi compiti c’è anche la corretta applicazione delle
metodologie in materia d’immagine, per insegnare al cliente a
riconoscere e ad assumere una consapevole responsabilità in
relazione al suo stile di vita, imparando a gestire gli squilibri
fisico emotivi con prestazioni naturali: educazione alimentare,
attività motorie, tecniche di rilassamento e respirazione, e così
via. Occorre un raopporto olistico del corpo e della mente»
spiega il professor Lanza. «L’estetologo, inoltre, utilizza le
apparecchiature meccaniche ed elettroniche per il fitness, prodotti
eroboristici ed alimentari, essenze floreali, musiche, luci cromatiche. Collabora, poi, con le altre figure professionali per inquadrare e tratatre in maniera multidisciplinare i difetti complessi
dell’immagine».
L’obiettivo ultimo è il benessere profondo dell’individuo: la
salute. L’Organizzazione mondiale della sanità la definisce «stato
completo di benessere fisico, psichico, sociale e non semplice
assenza di malattia». Lanza evidenzia: «Molto spesso l’idea di
benessere proprosto è solo un’abusata espressione alla moda,
e un luogo comune privo d’ogni dignità scientifica e idonea
tecnica applicativa. L’utenza è però più consapevole. Oggi prevale
la necessità di prevenire i segni dell’invecchiamento, di ottenere
informazioni per i trattamenti a casa, attraverso le pratiche che
che stimolano le risorse naturali e i comportamenti da adottare
per questo. Si cerca il benessere globale per star bene con se
stessi e con gli altri: sentirsi a proprio agio».
Lo
Chef
Fricassea di agnello
(di Pasquale Fatalino, Noci)
INGREDIENTI PER 4 PERSONE
• Cosciotto di agnello disossato
• 6 carciofi
• 250 gr. di lampascioni bolliti
• 150 gr. di pane raffermo
• 2 mozzarelle
• 100 gr.di formaggio grattugiato
• 3 uova
• 150 gr. di olio extra vergine d'oliva
• 50 gr. di cipolla
• 2 spicchi d'aglio
• un bicchiere di vino bianco
• 3 foglie di alloro
• prezzemolo, sale e pepe q.b.
Preparazione
In una ciotola unite al pane raffermo, bagnato in acqua
calda e strizzato, la mozzarella, il formaggio, le uova e
il prezzemolo. Amalgamate il tutto per formare un unico
impasto. Tagliate il cosciotto di agnello a pezzi e fatelo
rosolare in una padella con dell'olio. Aggiungete del vino
bianco, dell'aglio tritato, l'alloro, sale e pepe e lasciate
cuocere il tutto per trenta minuti.
In un'altra padella mettete dell'olio e fate soffriggere
della cipolla con i carciofi
precedentemente puliti e
tagliati a spicchi. Aggiungete successivamente i
lampascioni bolliti, sale,
pepe e fate cuocere per
venti minuti, aggiungendo
durante la cottura un po'
d'acqua. Unite il cosciotto
d'agnello con i carciofi e i
lampascioni e disponete il tutto
in una teglia di terracotta.
Prendete l'impasto ottenuto con
il pane raffermo e cospargetelo sulla
carne sino a coprirla interamente.
Completate aggiungendo una spolverata di
formaggio e un filo d'olio. Cuocere in forno caldo
a centottanta gradi per circa quaranta minuti.
Vino consigliato
Il cosciotto d'agnello si accompagna a un buon vino
rosso, ma considerando gli altri ingredienti si può abbinare
anche un bianco strutturato proveniente da barrique.
Primal news
«Fobia» vince Ascoli in corto - Continua a
riscuotere prestigiosi riconoscimenti nel
circuito dei maggiori festival e concorsi
italiani il cortometraggio Fobia,
scritto e diretto da Eugenio Caliandro. Dopo essere stato selezionato, su oltre un centinaio
di lavori, nel ristretto gruppo dei
dodici cortometraggi finalisti del
festival Cinemazero di Trento,
Fobia ha vinto l’edizione 2007
del Festival Ascoli in corto. Caliandro sta ora lavorando al
prossimo cortometraggio, che
sarà girato in primavera nella Valle d'Itria:
una storia, scritta da lui e da Annalisa
Palmisano, ambientata nel 1940. Protagonisti principali, tre bambini e la loro infanzia
spazzata via dalla guerra.
Una top alle orecchiette - Natalia Angelini,
ventitré anni, di Fasano è la nuova testimonial del colosso dell’elettronica Intreeo. La
giovanissima Miss Miliardo, avendo vinto
un montepremi di cinquecentomila euro a
Cultura Moderna, ha superato una selezione di
oltre mille modelle provenienti da tutto il mondo,
compresi grandi nomi
internazionali come Letizia Casta. L’arma segreta di Natalia pare che
sia stato un piatto di
orecchiette alle cime di
rape preparate dalla mamma. Le ha mangiate durante una pausa, conquistando i
selezionatori della Intreeo. Il ragionamento:
una ragazza che apprezza il buon cibo
pugliese ha tutte le caratteristiche per
essere la testimonial di un’azienda che
crede nell’italian digital life.
Marchio d’area e portale per la Terra delle
Gravine - L'Istituto professionale per i servizi
turistici «Mauro Perrone», di Castellaneta,
ha presentato il portale e il marchio d’area
«Terre di Mare e di Gravine». L’iniziativa è rientrata
nel contesto dei finanziamenti europei 20062013 riguardanti il progetto L'Osservatorio di
Aracne.
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Primo libro sui Negramaro - Negramaro,
storia di 6 ragazzi, Aliberti Editore, è la
prima biografia sul gruppo rock salentino.
L'autore è il giornalista Lucio Palazzo. Il
lavoro sta ottenendo un significativo riscontro, soprattutto in considerazione alla diffusione della notizia attraverso internet.
Bianca Guaccero presenta il Festival di
San Remo - Sarà l'attrice di Bitonto, ventisette anni, ad affiancare Pippo Paudo sul
palco del Teatro Ariston di Sanremo per
la cinquantottesima edizione del Festival, in programma dal 25 febbraio
al 1 marzo. Insieme a lei, la ventottenne
ungherese Andrea Osvart. La scelta
della Guaccero e della Osvart ristabilisce
la formula della presentatrice bruna e
di quella bionda accanto al presentatore.
Bianca Guaccero ha esordito nel cinema
nel 1999 in Terra bruciata, con Giancarlo
Giannini e Michele Placido.
Autunno leccese per Monica Bellucci e
Sophie Marceau - Il capoluogo del Salento
è stato per quattro settimane, in autunno,
teatro delle riprese del film Ne te
retourne pas (Non ti voltare), per
la regia di Marina de Van. Nel cast,
Monica Bellucci e Sophie Marceau.
Le riprese sono iniziate il 22 ottobre, per complessive tredici
settimane di lavoro. Oltre al Salento, le altre location sono state
in Francia, a Parig, e nel Lussemburgo. Il film è una produzione internazionale realizzata in collaborazione con
la Apulia Film Commission.
Primo album per l’Escargot - I suoni storici
della musica popolare europea utilizzando
strumenti tradizionali in un senso di ricerca
sono il riferimento dei quattro musicisti
che compongono l’Escargot: Alessandro
Pipino (organetti diatonici, fisarmonica,
concertina, piano, percussioni, glockenspiel, kalimba, bulbul tarang, harmonium
indiano), Massimo La Zazzera (flauto,
chalumeau, bansuri, sansula, percussioni). Stefania Ladisa (violino e viola)
ed Adolfo La Volpe (chitarra acustica e
classica, banjo, chitarra portoghese,
basso acustico). Il gruppo è arrivato
all'esordio su album con Corri, autoprodotto,
con undici composizioni. Per informazioni:
www.quartettolescargot.com.
sing a song
il piacere della lettura
Massimo Carrieri
Howard Sounes
SEVEN
ANNI '70
autoprodotto
Editori Laterza
Opera prima d’un pianista di trentatré
anni, poco noto al grande pubblico, che
dà il senso d’una ascesi verso la musica
che l’autore si porta dentro. Musica fatta
da chi ci crede. Musica da ascoltare.
Realizzano le libertà cercate negli anni
Sessanta attraverso una grande creatività
nel cinema, nella musica, nell'arte. Sounes
racconta le storie dei personaggi chiave
nei cambiamenti e nelle realizzazioni.
Fabularasa
Cristina Zagaria
EN PLEIN AIR
L’OSSO DI DIO
Egea
Dario Flaccovio Editore
«Canzoni schiette, levantine»: così si
presentano i quattro Fabularasa. Ovvero
«un laboratorio artigianale di suoni, musiche e versi aperto a Bari dal febbraio
2004». En plein air è il loro esordio.
È la storia di Santo Panzarella, vittima di
lupara bianca, ma soprattutto di sua madre, Angela Todaro, che reclama giustizia.
Perché «per sconfiggere la 'ndrangheta, a
volte, bisogna sconfiggere se stessi».
Radiodervish
Mariella Berra
L’IMMAGINE DI TE
SOCIOLOGIA DELLE RETI TELEMATICHE
Radiofandango
Qualità, meno esotismo, ricerca d’un
pubblico più ampio per questo lavoro che
vede come coproduttore Franco Battiato.
E la musica resta uno dei meglio riusciti
incontri tra sponde del Mediterraneo.
Editori Laterza
Le reti telematiche trasformano la realtà
facendo partecipare le persone. Ciò attraverso l’interconnessione con le reti sociali,
realizzando un sistema di comunicazione
mai avvenuto prima nella storia dell’uomo.
Lisa Manosperti
«LA FOULE - VOYAGE DAS LES LIEUX
D’EDITH PIAF»
Dodicilune
La sensibilità tormentata della grande
cantante francese interpretata da Lisa
Manosperti, accompagnata da strumentisti d'eccezione. Eleganza appassionata
in un omaggio suggestivo per originalità.
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Franco Cassano, Danilo Zolo
L’ALTERNATIVA MEDITERRANEA
Feltrinelli Editore
Il Mediterraneo: grande spazio, risorsa
strategica, luogo privilegiato di cooperazione. Va ripensato il rapporto tra
l’unificazione dell’Europa, la sua appartenenza all'emisfero occidentale, le sue
radici mediterranee, la relazione con il
mondo islamico.
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