D A tutti voi Il vostro supporto è lo stimolo a continuare questa avventura migliorando costantemente. Lo stesso spirito positivo siamo riusciti a trasmetterlo alle persone che hanno accettato di collaborare con noi, ai nostri sponsor, a tutti coloro che ci sono d'aiuto nel realizzare Primal Free Time. Grazie a tutti voi. iecimila copie distribuite gratuitamente del numero estivo di Primal Free Time sono state una bella scommessa. Il vostro riscontro è stato sensazionale: ci sono arrivate e-mail di complimenti e una pioggia di riscontri positivi. La gente, incontrandomi, mi stringeva la mano e si complimentava per l’iniziativa del giornale. L’Editore sommario 16 rubrica è edito da PRIMAL COMPANY s.r.l. www.primal.it Anno I - n. 1, febbraio/aprile 2008 Registrazione al Tribunale di Taranto n. 18 del 2008 Direzione PIETRO ANDREA ANNICELLI Direttore responsabile ed editoriale [email protected] PINO FUMAROLA Condirettore [email protected] ANNA RITA CARUCCI ADRIANA MARSEGLIA Coordinamento editoriale Rubriche BEATRICE ANCONA, LINO FORNARO, ANDREA GELAO, ROBERTO LACARBONARA, FRANCESCO LENOCI e STEFANO PEOLA, AGOSTINO QUERO Hanno scritto in questo numero DANIELE ANNICELLI, MARK AYMONDI, FRANCO CARDINI e MARINA MONTESANO, PIERPAOLO CAZZOLLA, PIERLUIGI FRASSANITO, DALMAZIA FUMAROLA, SIMONA LOCONSOLE, AGOSTINO PICICCO, ANNALISA SCIALPI, GIANCARLO VALLETTA Concept IL CONTRASTO s.r.l. www.ilcontrasto.it Via Ferrara 2, 74016 Massafra (Ta) Telfax + 39.099.8851057 [email protected] Fotografie NICOLA AMATI, CARMELO RICCI Art director RENATO STABILE Grafica e immagine RAFFAELLA MARTUCCI Ricerca fotografica e d'archivio il Contrasto s.r.l., Edizioni dei Corrieri Cosmici Primal Company Foto di esterni Fabio Lovino/Contrasto, www.laboratoriopoliziademocratica.it, Riccardo Spinella, Warner Music Italy, Settimio Beneduci, Edizioni Piemme Intervento grafico spazi pubblicitari Angelo Simeone Direzione, redazione e amministrazione Via Alessandro Fighera, 107 74015 Martina Franca (Ta) Tel. +39.080.4838311 - Fax +39.080.4839330 [email protected] Direttore generale: PINO FUMAROLA Stampa Stampa Sud s.p.a Via Paolo Borsellino, 7/9 74017 Mottola (Ta) Le immagini e gli articoli pubblicati, salvo accordo scritto, si considerano utilizzati a titolo gratuito. Manoscritti, disegni e immagini, anche se non pubblicati, non si restituiscono. 2 Loro Nathalie Caldonazzo «Io, Dino Risi e mia madre» di Agostino Quero 3 Trend 18 L’oro rosso e quella cicatrice per sempre 4 La Finanza di Francesco Lenoci e Stefano Peola pugliesità 19 32 Renzo Arbore 34 Al centro del mondo 5 Art’è di Roberto Lacarbonara 6 L’impresa 20 Questi pugliesi di Lino Fornaro 52 Cura di sè 53 Lo Chef 54 Primal news Sing a song di Pierpaolo Cazzolla 37 Primal al Top Audio la musica che ci gira intorno 22 Ecco l’amplificatore giusto per il vostro iPod di Giancarlo Valletta 25 Zeps on the iPod! di Pietro Amdrea Annicelli il cinema che ci gira intorno Il ritorno 40 41 26 Tivoli, il piacere della semplicità 27 Strange Flowers over Europe 14 Dino Risi «Il mondo? Una porcheria. ma il sud dell’Italia mi piace ancora» Associazione «Noci in tavola» si, star bene 42 In viaggio con mio figlio 44 Depiliamoci: come contribuire al Bil di Simona Loconsole di Anna Rita Carucci «Quella mosca alle olive Oliamoci bene di Dalmazia Fumarola 12 di Oronzo Canà 13 della prossima volta» L’olio d’oliva e il senso del tempo di Pierluigi Frassanito Led Zeppelin again di Mark Aymondi 24 38 Oui, je suis 8 Edwige Fenech La mini è diventata grande si, assaggiare Il piacere della lettura belle con l’anima Primal Engine Show di Agostino Picicco di Andrea Gelao L’informatico Breve storia di un camion Primal di Daniele Annicelli 33 di Beatrice Ancona 56 si, viaggiare 29 Pasquale Mega Ensemble: i colori del sentimento 46 Angelo Nardelli international Giuseppe Goffredo: l’amor loci e le contrade madri di aprile di Annalisa Scialpi 48 moda 30 storia e storie Neocon di Franco Cardini e Marina Montesano Zero: caso editoriale 51 sull’11 settembre di Agostino Quero Michele Riondino Mimmo Carrata Flavia Pennetta Raffaele Bagnardi MICHELE RIONDINO Il venticinquenne tarantino esordisce come attore cinematografico ne Il passato è una terra straniera, girato in Puglia tra novembre e dicembre con riprese a Bari e a Taranto, tratto dal romanzo omonimo di Gianrico Carofiglio vincitore del Premio Bancarella 2006. Diretto da Daniele Vicari, prodotto dalla Fandango di Domenico Procacci in collaborazione con la R&C di Tilde Corsi e Gianni Romoli, il film si avvale del contributo della Fondazione Apulia Film Commission. Nel cast: Chiara Caselli, Valentina Lodovini, Romina Carrisi. E il protagonista Elio Germano, che interpreta lo studente di buona famiglia Giorgio contrapposto a Riondino, il baro e truffatore Francesco. Una storia dove il bianco e il nero si mescolano, e le cose non sono come sembrano. CLAUDIA CALABRESE Il suo provvedimento di dicembre, permettere a un disabile totale di poter usare il supporto informatico per sostenere l’esame da avvocato, forse farà storia. Non tanto o non solo perché introduce l’informatica là dove si poteva usare solo il materiale cartaceo per gli aspiranti avvocati. Il vero motivo è che questa giudice ha buttato giù, con dolcezza, barriere culturali e mentali ancora prima che architettoniche. Qualche speranza per la tutela dei diritti civili, insomma, c’è. MIMMO CARRATA Collezionista massimo di memorabilia dei Dire Straits e di Mark Knopfler, s’imbatte nell’archivio d’un collezionista americano in una copia Fabiano Caruana 2 unica, test in vinile, del secondo album di Fabrizio De André, Tutti morimmo a stento, cantato in inglese. «Ha una copertina apribile a colori con una grafica inedita e completamente diversa dall’edizione italiana. All’interno sono stampati tutti i testi in inglese con i credits dettagliati dei musicisti che avevano suonato nell’album. Sulla quarta di copertina c’è una foto di De André con una breve biografia del cantante scritta in inglese» dice. Riporta il disco in Italia. A casa sua, a Polignano a Mare. RAFFAELE BAGNARDI Il sindaco di Grottaglie partecipa da protagonista alla strutturazione del polo aeronautico nazionale nel Mezzogiorno. Insieme a Foggia e a Brindisi, Grottaglie si consolida infatti come vertice del triangolo pugliese dell’industria in questo settore con il centro d’eccellenza di Alenia per lo sviluppo e la produzione di sezioni della fusoliera del Boeing Dreamliner. Grazie alle commesse che Boeing sta acquisendo, è stato programmato il raddoppio dello stabilimento con un’occupazione che a regime supererà le mille unità. Importanti le recenti dichiarazioni del vice presidente della Regione Puglia, Sandro Frisullo: «Puntiamo a fare del polo aeronautico meridionale un asse portante del nostro sistema manifatturiero, in grado di competere con quello di altre regioni del mondo». FLAVIA PENNETTA Grazie soprattutto alla vittoria a ottobre nel torneo di Bangkok, la venticinquenne tennista brindisina aveva chiuso il 2007 tra le prime cinquanta del mondo e quindi in una posizione di classifica più consona alle sue qualità. Il 2008, sui campi dell'emisfero australe, si è aperto lasciando intravedere una giocatrice ritrovata, consapevole di potersi giocare le sue carte per ritornare tra le prime venti (piazzamento più alto in carriera: numero sedici). E che Flavia abbia una testa e i colpi giusti per poter puntare in alto lo ha dimostrato proprio nella capitale della Thailandia battendo con autorità Venus Williams e conquistando il quarto torneo della sua carriera dopo Sopot e Bogotà nel 2004, Acapulco nel 2005. FABIANO CARUANA È un ragazzino di quindici anni, ma è anche campione italiano di scacchi. Il titolo è arrivato a Martina Franca al termine della fase finale della rassegna tricolore. Caruana, nato a Miami, ha la doppia cittadinanza: è italiana sua madre. Rappresenta una promessa assoluta. Con questo giocatore che è considerato il più forte under 16 al mondo, gli scacchi azzurri possono guardare con fiducia al confronto con il resto del mondo. Strada ancora in salita, ma Caruana può aiutarci a percorrerla. TREND di Beatrice Ancona E cco la hit list delle nuove proposte e dei classici rivisitati. Materiali, colori innovativi, stampe micro e macro. Sopra la giacca bon ton un bel tocco folk con una sciarpa extra large, etnica magari, avvolta tante volte intorno al collo e fissata con una spilla. Portata sopra un cappotto, doppio petto e avvolgente come fosse una collana tricottata. Il trench ottimo passe-partout sopra jeans a vita alta, oppure un cardigan fermato in vita da una cinta annodata con pantalone a sigaretta. Il tutto con tacchi vertiginosi assolutamente in vernice o magari un tocco animalier con un décolletée o una pochette. Dedicato alle centaure, invece, il chiodo in pelle è un must di stagione smorzato con una blusa in jersey fantasia, jeans elasticizzato e un tronchetto con fibbia da abbinare a una shopping bag extra large. L’inverno strizza l’occhio ai colori con toni intensi e brillanti come il verde, il bordeaux, il viola, il blu, il grigio, il bianco e, novità: questi sono anche dégradé. Sempre forte e intramontabile il magico nero utilizzato nei pantaloni slim o con pinces, gilet, giacche. Dandy si, ma declinato al femminile. Torna protagonista il lucido e l’opaco. Di giorno un duvet, giubbotto oversize classico da montagna, in chiave metropolitana. Perfetto di sera, lucido con tubino. Parlando di classici, torna il color cammello per mantelle, cappotti da scegliere al ginocchio, ma anche in versione extra long. Belli da portare con abiti da sera o pantaloni maschili. Ultima interpretazione direttamente dai college londinesi, il tartan in tutte le salse, dal tailleur bon ton all’accessorio. Per la gran sera abiti lunghissimi, tagliati a bustier dai tessuti preziosi con borse e scarpe a contrasto. Queste sono una parte delle tendenze che hanno sfilato nelle principali capitali europee della moda: per una donna sicura di se, sempre femminile. Perché non assorbirle e poi fare di testa propria? La moda vuol essere un’ispirazione. Personalizzarla, significa essere se stessi. 3 A di Francesco Lenoci e Stefano Peola ccade sempre più spesso che nel dialogo tra banca e impresa i contenuti della Centrale dei rischi di Banca d’Italia diventino oggetto di chiarimenti e precisazioni. La ragione è che una parte del processo di valutazione del merito creditizio o rating aziendale, introdotta con Basilea 2, dipende da una componente di valutazione definita andamentale che, in buona sostanza, si basa sulla lettura e l’interpretazione d’una banca dati sintetica concernente l’andamento dei rapporti che le imprese intrattengono con il sistema bancario. Queste informazioni sono rilevate da ogni singola banca l’ultimo giorno lavorativo di ogni mese e trasmesse a Banca d’Italia, che a sua volta le aggrega per tipologia e le restituisce al sistema in forma aggregata. Ciò è un serio limite per la lettura e l’interpretazione da parte delle banche stesse: la forma aggregata non consente di ridefinire il dettaglio delle informazioni. I soggetti censiti nelle anagrafi della Centrale dei rischi possono conoscere le informazioni registrate a loro nome. Banca d’Italia, dietro specifica richiesta predisposta su apposita modulistica, rende nota al soggetto segnalato, o al suo rappresentante, la sua posizione globale e parziale di rischio secondo i flussi informativi ricevuti dalla medesima. L’istanza deve essere preferibilmente indirizzata alla Filiale pro- 4 vinciale della Banca d’Italia nel cui ambito il richiedente ha la residenza o la sede legale. La Banca d’Italia fornisce gratuitamente al diretto interessato, o al suo eventuale delegato, un prospetto cartaceo o informatico con i dati richiesti. In definitiva, è previsto un sistema semplice e gratuito per ottenere informazioni e soprattutto per condividerle con le singole banche che, senza il supporto dell’impresa cliente, non saprebbero ricostruire il dettaglio delle segnalazioni. Di centrali dei rischi non ne esiste solo una. Oltre a Banca d’Italia vi sono altre strutture denominate Ecai (External Credit Assessment Institutions, cioè Agenzie esterne di valutazione del merito di credito) che hanno in gestione delle banche dati relative all'andamento dei rapporti di soggetti privati (persone fisiche e giuridiche) con il sistema bancario. Un altro temine utilizzato per le Ecai è credit bureau o, in italiano, Sic (Sistemi di informazioni creditizie). Sono sigle che probabilmente rimarranno tra gli addetti ai lavori, ma l’impatto in termini pratici, specialmente per le piccole e medie imprese, sarà elevatissimo. Basti pensare che un’indagine della Banca Mondiale nel 2005 ha fatto emergere che la probabilità per una piccola impresa di ottenere un prestito bancario senza passare dal filtro dei Sic è solo del 28%. A dimostrazione dell'importanza acquisita dalle Ecai si segnala la modifica del Testo unico bancario avvenuta lo scorso febbraio a seguito dell'approvazione della Legge 23 febbraio 2007, n. 15 (nella Gazzetta Ufficiale n. 46 del 24 febbraio 2007). All’articolo 53 del Testo unico bancario s’incontra la definitiva accettazione delle società esterne di rating quali soggetti autorizzati a fornire dati che le banche possono utilizzare in alternativa a fonti interne di valutazione. Le Ecai, oltre a raccogliere informazioni, possono esprimere anche giudizi completi (rating), e le banche possono legittimamente fare uso di tali dati addirittura in sostituzione di valutazioni proprie. Banca d’Italia ha riconosciuto quali Ecai: Fitch Ratings e Moody’s Investors Service. Il livello informativo delle centrali dei rischi è sempre più dettagliato. Si rileva la tradizionale informazione relativa agli affidamenti accordati, utilizzati e sconfinati, sulla base della tipologia di linea concessa: autoliquidante (linee di smobilizzo commerciale), a scadenza (linee di finanziamento) e a revoca (scoperti di conto corrente e import). Si rilevano, altresì, nuove informazioni: il valore del cosiddetto mark to market dei derivati finanziari, cioè il valore in termini assoluti dell'esposizione dell’impresa verso questa tipologia di prodotti finanziari, e il past due, lo scaduto oltre i 90 giorni e lo scaduto oltre i 180 giorni. Nell’ottica di Basilea 2 lo scaduto, cioè il mancato incasso-pagamento, laddove si protragga rispetto alla scadenza di oltre 90 giorni, con una deroga per i prossimi 5 anni a 180 giorni, è considerato insolvenza (in termini tecnici, default). Per le imprese che operano con clientela che ricorre a continue dilazioni di pagamento rispetto a una scadenza originaria prefissata ciò comporta che, trascorsi 90/180 giorni dalla prima (e teoricamente unica) scadenza, non è più possibile mantenere aperta la partita di anticipo presso il sistema bancario, con evidenti ripercussioni in termini di liquidità. La gestione del circolante operativo (clienti, fornitori e magazzino) delle piccole e medie imprese che, negli ultimi decenni, ha potuto, grazie al ricorso al sistema dei castelletti bancari di anticipazione (ricevute bancarie e fatture), usufruire di un facile canale di finanziamento, di fatto è ora messa a dura prova. Le ripercussioni Art’è D Cesare Brandi a Roma a Bruxelles, da Parigi a Londra, fino a San Francisco e a New York, la parola e la saggezza di Cesare Brandi hanno illuminato il mondo dell'arte nelle celebrazioni del centenario della sua nascita. Critico e storico delle arti, studioso di estetica, massimo teorico e propugnatore d'una metodologia del restauro nota e apprezzanta a livello mondiale, Brandi cercò, nel fascino dei percorsi intrapresi in numerosi viaggi, di rendere alla memoria la pura bellezza, l’opera d’ingegno e di natura, facendo di ogni scrittura una poesia di immagini e impressioni. L’omaggio che qui si propone è nell’eco stessa delle parole con cui amava raccontare alla storia l’eleganza e l’incanto delle terre di Puglia. Pellegrino di Puglia (1960, Laterza) e Martina Franca (1968, Guido Le Noci Editore) sono i libri con cui Brandi ci raccontava al mondo. Ai suoi occhi si schiudeva «il Gargano scosceso e la ridente Valle d’Itria, Castel del Monte ventosa e le buie cripte basiliane, il romanico di Trani e di Bari, il barocco di Lecce. La Puglia è regione di tanti volti, dialetti, culture. Non è possibile coglierne lo spirito senza farsi pellegrino sulle sue strade assolate». Martina Franca, vero capolavoro della letteratura riferita a una città, testimonia invece il fascino delle architetture rurali o le opere d’arte dei pittori settecenteschi come Leonardo Antonio Olivieri o Domenico Carella, tuttora i maggiori pittori nella storia cittadina. E poi la pietra, le strade, i sentieri, le case e i ruderi; e di fronte al tramonto, il respiro della natura e delle scenografie floreali. Come può un racconto dire l’identità di un posto, di una terra? Brandi rispondeva con la sua visione appassionata nel solo gesto di descrivere gli alberi e le piante che aveva veduto. Così scriveva nel 68: «Il leccio è la pianta, ancor più del pino, che fa Italia, Mediterraneo, sole. Il colore di queste foglie è ineguagliabile; è il verde dell'acqua cupa e il sono tutte da valutare, ma il fatto merita sicura attenzione. Le imprese devono migliorare la gestione del denaro concesso dalle banche, in quanto le procedure di rating sulla parte andamentale legata all’analisi delle centrali dei rischi sono molto sensibili. Sono influenzate ogni fine mese dalle nuove rilevazioni, con evidenti rischi di continuo peggioramento se non si interviene con tempestività. di Roberto Lacarbonara lustro degli occhi delle lucertole, è bronzo e marmo, o meglio diaspro. Ed è subito antico. Un bosco di lecci è come una città da cui tutti sono assenti, ma la sera torneranno. Le ombre cadono a picco dai lecci come cortine nere, come le tende del deserto […] contro la roccia d’argento con i licheni rossastri e l’immemore passo del tempo». 5 L’impresa di Andrea Gelao I n Italia e in Europa il tema della responsabilità sociale d’impresa (Corporate social responsibility) è da diversi anni oggetto d'interesse di un ristretto numero di soggetti appartenenti al mondo accademico, economico e sociale. Negli ultimi anni, in particolare con la pubblicazione del Libro Verde nel 2001 da parte della Commissione Europea, l’argomento si è andato diffondendo a macchia d’olio, tanto da far avanzare sospetti di una moda. Nel Libro Verde della Commissione Europea la responsabilità sociale d'impresa è definita come «assunzione volontaria di impegni che vanno al di là delle esigenze regolamentari e convenzionali cui devono comunque conformarsi le imprese, sforzandosi di elevare le norme collegate allo sviluppo sociale, alla tutela dell'ambiente e al rispetto dei diritti fondamentali, adottando un sistema di governo aperto, in grado di conciliare gli interessi degli stakeholder nell’ambito di un approccio globale alla qualità e allo sviluppo sostenibile». È ormai opinione largamente condivisa che le imprese e l’economia tutta non possono evolversi se non assumono in piena consapevolezza le proprie responsabilità di soggetti facenti parte della società. In sostanza, l’impresa prende coscienza del proprio ruolo di soggetto parte della società (si parla infatti di cittadinanza d’impresa) e in maniera volontaria agisce ritagliandosi un ruolo attivo in essa. Innanzitutto punta a migliorare le relazioni con lavoratori, clienti, fornitori, istituzioni pubbliche che gravitano attorno ad essa e che possono essere influenzati o influenzare direttamente e indirettamente l’attività. Sono i cosiddetti stakeholder (portatori d’interesse). Migliorare le relazioni con gli stakeholder significa realizzare azioni che alimentano la fiducia verso l’mpresa, innescando un circolo virtuoso che nella ripetizione delle relazioni conferma la fiducia e nel tempo si capitalizza in reputazione positiva. La reputazione è un asset intangibile tra i più importanti nell’attuale economia, dove il valore di un’impresa è dato per la maggior parte dal suo capitale intangibile. È evidente che ciò non riguarda solo le grandi imprese, ma tutte le realtà organizzative anche piccole e medie che in gran parte formano il tessuto imprenditoriale sul nostro territorio. Concludendo, la responsabilità sociale d’impresa non è un fenomeno moda, ma è un modo diverso d'intendere l’impresa come soggetto che è parte attiva, corretta e rispettosa della società e nella società. Tutto ciò è utile a creare ed evidenziare gli aspetti valoriali, etici e intangibili della gestione, veri creatori di valore nell’economia moderna. L’informatico di Lino Fornaro P rivacy e sicurezza li ritroviamo sempre più insieme. Il loro significato si è evoluto insieme alla società e alla tecnologia. Volendo poi parlarne rispetto a internet, che al contrario ci lascia pensare alla libertà di fare, di comunicare, di condividere, potremmo trovarci di fronte a un paradosso. di internet la nostra privacy può essere violata costantemente dagli autori dei siti web che noi liberamente visitiamo. Ciò attraverso l’utilizzo di cookies (biscotti, in inglese) che tracciano la nostra navigazione quasi sempre senza che lo sappiamo. Stessa cosa per i log (registrazioni delle visite a un sito fatte dai server internet). Sono tenuti dai provider per fini statistici o per la repressione di reati. Potrebbero però anche essere utilizzati impropriamente indagando e scoprendo la località da cui era connesso chi visitava il sito. Un tentativo di regolamentare almeno in termini formali, non potendo controllare se i comportamenti sono diversi dalle dichiarazioni, lo ha fatto il decreto legge 196/03, la cosiddetta legge sulla privacy. Prevede che i siti, attraverso una specifica informativa, siano trasparenti rispetto all’utilizzo dei dati raccolti. La privacy e la sicurezza su internet, a un livello accettabile, si possono ottenere: ma a che prezzo? Basilari precauzioni: dotarsi di un firewall (muro di fuoco), anche di tipo personale, se siamo degli utenti domestici, o di rete (nella rete aziendale) 6 se siamo delle utenze business. È poi importante dotarsi di un antivirus (aggiornato!) ed evitare comportamenti a rischio come visitare siti di cracking (software pirata e di strumenti d’intrusione informatica), pornografici e così via. Se poi nel nostro arsenale c’è un antispyware, ne beneficerà soprattutto la nostra privacy. In realtà servirebbe molto di più anche solo per navigare su internet. Il rischio di vederci invasi da pop-up pubblicitari (anche a sfondo erotico) o da veri e propri intrusi nel nostro pc aumenta, soprattutto se utilizziamo software di instant messaging (quei software utilizzati per chattare in tempo reale, molto noti e diffusi anche tra i meno esperti: Messanger, Icq e similari) o di file sharing (programmi utilizzati per cercare e scambiarsi file musicali, come Emule, Kazaa e similari). Dobbiamo quindi rinunciare a chattare e scambiare musica? Il problema è quando non si è sufficientemente acculturati e, oltre a rinunciare inconsapevolmente alla nostra privacy, mettiamo anche a rischio di sicurezza noi stessi e la nostra azienda se operiamo in ufficio, o i nostri familiari se operiamo da casa. Una sana dose di formazione, anche tecnica, serve a muoversi in un mondo virtuale che abbiamo la presunzione di conoscere a sufficienza o, se ammettiamo di no, frequentiamo con disinvoltura: perché è nella vita quotidiana di ognuno di noi. Consonsorzio Costellazione Apulia Il Consorzio Costellazione Apulia nasce nel dicembre del 2001 e ad esso aderiscono 63 imprenditori pugliesi che si interrogano sul ruolo e sulla responsabilità che hanno le imprese nello sviluppo sociale del proprio territorio. Costellazione Apulia è un laboratorio dove è possibile sperimentare modalità di fare sistema, convinti che il nostro modello di sviluppo, basato sulla crescita permanente, non è sostenibile nel lungo termine. I soci del Consorzio sono profondamente motivati a sostenere le seguenti buone prassi: • Rispettare la dignità dell’uomo; • Contenere il consumo di risorse; • Ridurre la produzione di rifiuti; • Scambiare esternalità; • Accrescere il bene comune. Per raggiungere tali fini il Consorzio ha considerato lo scambio delle esternalità una modalità innovativa e integrativa degli attuali modelli economici, per rendere il territorio pugliese più sostenibile e competitivo. Lo scambio di esternalità avviene attraverso la piattaforma tecnologica “Avanzare”, strumento con il quale i soci del Consorzio hanno costruito un sistema di relazioni, anche estranee al profitto economico, ma che consentono a chi le pratica di trarne un utile. Al Consorzio Costellazione Apulia aderiscono: A.R.T. SNC di A. e R. TARTAGLIONE HAROLD SRL REMAX STELLA POLARE S. I. SRL ADRIATICA LEGNAMI SRL+ INDECO IND SPA RIENERGIA SRL ALTACOM NETGROUP SRL INDUSTRIA TESSILE NARDELLI SRL ROSS SYSTEMS DI M. RUSSI BA.DIS SRL INFOAZIENDE SRL SAFIRI SPA BIT SISTEMI SRL INFODIVANI SRL SAICAF SPA CAMPANALE GIOVANNI & CO. SNC INNOVATEK P.S.C. A RL SAMO SRL CARTSERVICE SUD SRL LA LUCENTE SPA SCRIMIERI ARREDAMENTI SRL CARUCCIECHIURAZZI SNC LORUSSO INDUSTRIE SRL SEC MEDITERRANEA SRL CENTRO SERVIZI QUALITA' SRL MANGINI STEFANO SRL SEDIT SRL CENTRO UFFICIO DI DAMATO ROSA MARIA MASSELLI ANTONIO & FIGLI SERVECO SRL COLLEGE ORLANDO SRL MASTERFORM SRL SIDERURGICA PUGLIESE SRL CONSEA SRL MGR & CO. SAS SOLUZIONI & STRATEGIE SRL D T SRL NICOLA PANTALEO SPA STUDIO DELTA SRL DENTAMARO SRL PERSIA SRL SUD SISTEMI SRL EDIVISION SPA PILAR F.M. SRL TEATRO KISMET A RL EQUALS SRL PLANETK ITALIA SRL TECHNIVER SRL EURODOMUS SRL PRIMAL COMPANY SRL TECNARREDO SRL FIMCO SPA PRIMED SRL TECNOACCIAI SRL FUTUROFFICE DI LAFORNARA MICHELE PROFILO SRL TECSAM SRL GAMINA SRL PROGETTO CITTA' COOP. SOCIALE TELCOSYS SRL GRAFISYSTEM SNC PUGLIA ALIMENTARE SRL UNIVERSUS - CSEI Consorzio Costellazione Apulia – Via Omodeo, 5 Bari belle con l’anima Oui, je suis Edwige Fenech « di Pietro Andrea Annicelli Se ripenso al passato, non vedo un granché di speciale. La mia vita è stata normale: banale, anche. Non sento di aver lasciato alcunché di straordinario». L’understatement è perfetto per una che, sullo schermo, sapeva essere di classe anche facendo la doccia. Edwige Fenech, regina della commedia sexy all’italiana, oggi produttrice cinematografica di successo, non fa concessioni al divismo. «Ho letto una volta che Ferzan Özpetek, che stimo tantissimo, era rimasto a fare una foto con me perché ero il suo mito. Mi sembrò che parlasse di un'altra persona: ero io restata a fare una foto con lui perché è il mio mito». Papà maltese, mamma siciliana, nasce in Algeria. Vive lì fino ai dodici anni. È l’epoca della rivolta degli algerini contro il colonialismo francese, con Charles De Gaulle che riconosce il loro diritto all’autodeterminazione. Nel 1960 i Fenech giungono in Francia. Sono pieds noirs: così i residenti chiamano i francesi d’Algeria che ritornano. La gente li accoglie con le uova e la verdura marcia. Il futuro sogno degli italiani vuol diventare étoile, ma la scuola di danza la discrimina. She is the only italian actress of the last thirty years that all the italians remember only saying her name. «I am a woman like everyone. Enjoy myself reading somebody consider me a legend, but when I wake up in the morning I don’t think I am in his dreams. During the years I’ve been able to build a breastplate of coyness, and consider it a gift from the Lord. The sense of the family is the most important value for me, and I think the best in my life is yet to come». 8 Si rifà a Cannes, dove è eletta Lady France. Federico Fellini la sceglie per Amarcord, ma non se ne fa nulla. Ma chi è realmente Edwige Fenech? «Una donna come le altre» dice, con il caratteristico accento francese che rende vezzosa e sensuale la risposta, in contrasto con il timbro di voce diretto, spontaneo. «Sono una persona di assoluta semplicità e sincerità. Ho iniziato a lavorare nel cinema a diciotto anni: ora ne ho cinquantanove. Mi fa piacere quando leggo di essere un mito, ma non ho mai pensato di poterlo diventare. Quando ero un’attrice, mi dicevano che facevo sognare. Molti lo dicono ancora, e per questo qualcuno vorrebbe vedermi camminare a cinquanta centimetri da terra. Sarebbe una tragedia! Risulterei di un’antipatia mortale. Detesto l’ipocrisia, la mondanità. E uscire, farmi vedere: il trambusto intorno. Ho dentro me una specie di recettore di bugie: capisco se mi si parla con sincerità oppure no. Non penso mai di essere nell’immaginario degli italiani. Se dovessi alzarmi tutti i giorni e pensare di aver fatto sognare ge- nerazioni, mi sarei montata la testa da morire, oppure non accetterei il tempo che passa. Meno male, invece, che ho saputo costruirmi una corazza di modestia: la considero una grazia che il Signore mi ha fatto. Riesco così ad attraversare gli anni con la consapevolezza dell’amore per la mia famiglia e per mio figlio. Quando mi sveglio al mattino, penso, come tutti, a quel che farò durante la giornata. Ringrazio di rivedere il sole, e di fare qualcosa di positivo per me, per la mia famiglia, per la gente che mi circonda». Solo negli anni Novanta gli ambienti intellettuali si sono accorti del valore, in termini di recitazione e di estetica, dei cosiddetti b-movie dove Edwige Fenech aveva via via interpretato l’insegnante, la dottoressa, la poliziotta, la soldatessa, entrando progressivamente nella cultura nazionalpopolare. Ma lei aveva già lasciato il cinema fondando due case di produzione e partecipando a trasmissioni televisive, fino a presentare il Festival di San Remo. Senza mai perdere di vista, a suo modo, ciò che conta. «La famiglia, per me, viene prima di tutto. Mi riferisco a mia madre, dopo che mio padre è scomparso sei anni fa, a mio figlio Edwin e a Max, il mio gatto. Ho convissuto per sedici anni con Luca Cordero di Montezemolo e siamo stati una vera famiglia. I suoi due figli Ph. Fabio Lovino/Contrasto 9 belle con l’anima era come se fossero anche i miei. Mi considero una donna mediterranea. L’Algeria, dove sono nata, l’ho persa per sempre, ma nel sud dell’Italia ci sto benissimo. La metà del mio sangue è siciliana, e mi sento italiana. La mia vita e la mia carriera sono state realizzate in Italia. Mio figlio è stato concepito in Italia. Ho un amore forte per tutto quello che è italiano». Ride di gusto, Edwige Fenech, quando scopre che Wikipedia, sbagliando, considera il suo vero cognome Sfenek: «Questi sono matti!». È ritornata al cinema un anno fa dopo che Quentin Tarantino, suo ammiratore, l’ha voluta per un cameo in Hostel 2 diretto da Eli Roth, un film horror da lui prodotto ben più truculento dei thriller e dei gialli a sfondo erotico che pure lei interpretò da ragazza. E nella primavera scorsa è giunto nelle librerie Il sistema Fenech, monografia di Andrea Pergolari pubblicata da Un Mondo a Parte Editrice, che spiega: «È l’unica attrice del cinema italiano degli ultimi trent’anni capace di essere rievocata da tutta la popolazione anche solo nominandola». Si parla d’un suo ritorno al cinema da protagonista. Lei, come sempre, ha le idee Ph. www.laboratoriopoliziademocratica.it, per gentile concessione 10 chiare: «Se un giorno un regista che amo molto mi proponesse una storia pazzesca, avrei la spinta per tornare. Quando non ho fatto più l’attrice per diventare produttrice, ho smesso di pensare a un ruolo per me. Amo i personaggi giusti nei ruoli giusti, e dovrebbe esserci qualcosa di davvero speciale per farmi ritornare. Io, però, credo nel futuro. Sono una Capricorno, e sono persuasa che il meglio della mia vita debba ancora venire. L’unica cosa che chiedo è di non annoiarmi». il cinema che ci gira intorno Il ritorno di di Anna Rita Carucci Oronzo Canà P asquale Zagaria, al secolo Lino Banfi, torna sul grande schermo con L’allenatore nel pallone 2. Eccolo quindi nuovamente nei panni di Oronzo Canà, l’allenatore della Longobarda, impegnato con la sua bizona e a incitare i suoi ragazzi negli spogliatoi con il suo «vi voglio tonici e incazzeti per la partita». La Longobarda torna nuovamente in serie A e Lino Banfi torna alla sua comicità originaria. E lo fa dopo essere passato attraverso una metamorfosi che lo aveva portato nelle case degli italiani con vari personaggi, ma soprattutto come Nonno Libero che, afferma lo stesso Banfi, «è quello che più ha preso il pubblico». Il suo percorso si è compiuto attraverso i ruoli comici delle commedie degli anni Settanta e Ottanta, i ruoli drammatici di varie fiction, fino ad interpretare «un personaggio di rottura», ne Il padre delle spose, film d’importante impatto sociale. Ma Banfi non vedeva l’ora «di tornare a fare la comicità mia, a far ridere le persone». Ed è stato soprattutto il pubblico che lo ama e lo segue da sempre a spingerlo a tornare al cinema dal quale proveniva. «In questi anni sentivo la gente dire: com’è che non ci fai ridere alla vecchia maniera? Queste cose che fai sono bellissime, ma noi vogliamo ridere, vogliamo risentire frasi come “porca puttena”, “Ti spezzo la noce del capocollo” dette da te. Inoltre, già un anno prima che decidessi di fare il film, stavo riproponendo, per conto di alcune aziende telefoniche, battute e monologhi di Oronzo Canà, così i giovani se li possono passare di telefono in telefono. Ma nessuno mi aveva detto: rifacciamo il film. Poi venne fuori l’idea di rifarlo. Io non ho mai creduto molto ai remake, però lì mi son detto: io non vedo l’ora di far ridere di nuovo a modo mio, e quale migliore opportunità di un film che avevo già fatto e che sembrerebbe attualissi- 12 mo? Perchè L’allenatore nel pallone di ventitré anni fa sembra fatto ieri. Inoltre, era una prova con me stesso. Mi dicevo: vediamo se dopo tanti anni e con una ventina di chili in più preferisco questo genere o l’altro, se la gente preferirà l’uno o l’altro, se si divertiranno oppure no. Mi ponevo tutte queste domande finché non ho accettato di fare il film. E ho fatto bene, perché ho finito di girarlo, non l'ho ancora visto, ma mi dicono tutti che si ride molto». Così Nonno Libero ha ceduto, almeno temporaneamente, il passo ad Oronzo Canà. Il primo atto di questo cambio della guardia è stato il taglio dei baffi. Lo stesso Banfi afferma: «È stato la prova generale. Un po' mi sono trovato quasi nudo, e dopo dodici anni che avevo i baffi mi sono sentito diverso. Però mi sto abituando anche senza». La storia sembra ripetersi. L’allenatore nel pallone uscì nel 1984, due anni dopo il campionato del mondo vinto dagli azzurri di Enzo Bearzot in Spagna e dopo lo scandalo delle scommesse clandestine. Ora il suo sequel uscirà nelle sale italiane a quasi due anni dalla vittoria del mondiale 2006 in Germania, dopo lo scandalo calciopoli e a ridosso degli europei 2008. In questo calcio italiano fatto di tanti scandali e polemiche, ma fortunatamente anche di belle vittorie, un personaggio come Oronzo Canà che crede in un calcio pulito è importante per far riaffiorare il lato veramente sportivo di questo gioco, il più seguito e amato in Italia. Come sottolinea lo stesso Banfi, «addirittura Matarrese, come presidente della Lega Calcio, ha detto che una faccia come quella di Canà, convincente, bonaria, ci vorrebbe negli stadi, ogni domenica prima delle partite a dire: “Cari raghezzi, non fate cazzete, mi raccomando” e placare gli animi». L’allenatore nel pallone vede confermato dietro la macchina da presa lo stesso regista di allora, Sergio Mar- LUCIO MONTANARO tino, la stessa produzione e la stessa distribuzione nonché gli stessi attori e alcuni nuovi, fra i quali Anna Falchi, Biagio Izzo e il pugliese Lucio Montanaro. Anche in questo secondo episodio sono numerosi i giocatori e gli allenatori di serie A, e i giornalisti sportivi, che compaiono e che hanno fatto a gara per parteciparvi. «Ho avuto l’onore di avere grandi nomi di giocatori nel film, e loro stessi si prenotavano» prosegue un Banfi entusiasta di questa nuova avventura. «Nessuno, credo in Italia e forse neanche in Europa, convincerebbe questi divi del mondo del calcio, strapagati, ricchi e famosi in tutto il mondo, a fare quello che loro hanno fatto spontaneamente per me nel film». Del Piero, Totti, Buffon, Spalletti e tanti tanti altri del Milan, della Roma e di altre squadre partecipano. «Sicuramente fra tutti i calciatori e allenatori del calcio italiano di ieri e di oggi, quello che è più vicino allo straripante Oronzo Canà è Carlo Mazzone, un pò il simbolo di un calcio pulito, fatto di sacrificio e dedizione, spesso votato a imprese sportive difficili fatte di recuperi e salvezze di squadre non sempre blasonate. Un allenatore incazzoso, ma buono e popolare, che ricorda molto da vicino il personaggio di Canà». E anche Mazzone ha un ruolo nel film. «È il mio maestro» ci dice Banfi. «È quello che mi ha insegnato a fare l’allenatore. Anche se non è stato lui a ispirare il personaggio di Canà nel primo episodio. Allora lo spunto per scrivere il soggetto l’ho preso da Oronzo Pugliese, un grande allenatore pugliese soprannominato il mago di Turi, che trenta, quarant'anni anni fa ha allenato la Roma e tante altre squadre grandi. A raccontarmi di lui fu Nils Liedholm»: altro grande allenatore, recentemente scomparso, a cui Canà, nel film, cerca d’ispirarsi, ma che sicuramente è molto lontano da lui come stile. «Mi raccontò di quest’uomo sanguigno, che faceva di tutto in campo: urlava, si portava una gallina sotto l’impermeabile e la faceva volare al primo gol. Insomma, era un casinista». Lino Banfi ci saluta con una piccola anticipazione. Nel film ci saranno delle canzoni su Oronzo Canà, alcune delle quali scritte da lui. «Ma quella che rimarrà è la canzone che accompagna sia i titoli di testa che di coda. L’abbiamo scritta io e Amedeo Minghi, che è autore anche delle altre musiche del film. S’intitola La marcia di Oronzo Canà, e presumo che una volta imparata la modificheranno e la suoneranno prima delle partite». Ora non ci resta che tornare a ridere e divertirci con Canà e la sua dirompente comicità. «Quella mosca alle olive della prossima volta» «Lucio, tu fai una parte piccola ma che fa divertire tantissimo!». Lo ha detto Sergio Martino, regista de L'allenatore nel pallone 2. E Lucio Montanaro, veterano della sexy commedia all'italiana, gongola per la soddisfazione. È stato Lino Banfi a volerlo e a ritagliargli nel film la parte del maggiordomo di Oronzo Canà. Insieme i due comici hanno studiato le gag … onomatopeiche che caratterizzano il ruolo di Montanaro. E il maggiordomo Peppino, che don Oronzo decide di far tornare dopo essere stato lasciato dalla badante rumena amata da Biagio Izzo, finisce inevitabilmente al centro di situazioni dove poter esprimere «la mia comicità, che è di grande naturalezza», spiega l'attore di Martina Franca. Ecco quindi Peppino indossare la camicia della bella rumena e finire … abbordato da Biagio Izzo. E poi bruciare le portate del pranzo di Natale perché non sa raccapezzarsi con il forno a microonde. E cantare a don Oronzo le canzoni di quando era piccolo. Inizialmente L'allenatore nel pallone II, girato nella campagna di Viterbo, doveva avere come location anche la Puglia. Poi il progetto, con relativo corredo di battute, è stato rinviato a un eventuale terzo film della serie. «È saltata la battuta sulla mosca alle olive, con cui sono fissato. Quando l'ho raccontata a Sergio Martino, rideva perché diceva d'immaginarsi la scena già filmata!». Il ritorno di Lucio Montanaro insieme a Lino Banfi, con conseguenti vernacoli particolarmente espressivi croce e delizia dei conterranei, aggiunge un nuovo capitolo alla saga della commedia all'italiana che ha reso i due, e tutti gli altri attori degli anni Settanta a cominciare da Edwige Fenech, dei benemeriti, tra gli altri, di Quentin Tarantino. Se il film nelle sale in queste settimane avrà il successo che molti pronosticano, continuare sarà un'esigenza. Lucio Montanaro ha le battute già pronte. 13 DINO RISI Il mondo? Una porcheria. Ma il sud dell’Italia mi piace ancora D ino Risi, il grande vecchio del cinema italiano, non tornerà a fare film. Un anno fa, compiuti novant’anni (il 23 dicembre), annunciò il definitivo addìo: «Con il cinema ho chiuso». Resta quindi l’episodio Myriam in Esercizi di stile, 1996, film collettivo con quattordici episodi di registi diversi e altrettanti modi di raccontare un addìo, l’ultimo lavoro per il grande schermo. Per la televisione, però, realizza nel 2000 la fiction Bellissime, ispirata al concorso di Miss Italia. Due anni dopo, alla cinquantanovesima Mostra del Cinema di Venezia, riceve il Leone d’Oro alla carriera. Un ritorno in televisione c’è stato il 30 maggio scorso, intervistato da Piero Chiambretti per la trasmissione Markette. Settantaquattro film da regista a partire dal cortometraggio Barboni, 1948, sulla disoccupazione a Milano, Risi rifiuta di diventare psichiatra dopo aver conseguito la laurea in Medicina seguendo le orme del padre, medico di Benito Mussolini. Inizia a fare cinema lavorando come assistente di Mario Soldati nel 1940 in 14 Piccolo mondo antico. Nell’indimenticato Il sorpasso, 1962, sulle vacanze degli italiani negli anni del boom economico, abolisce il lieto fine. Con l’autobiografia I miei mostri, 2004, dimostra attraverso aforismi, ricordi, citazioni, d'aver talento anche per la narrazione brillante. Risi vive oggi in un residence nel centro di Roma. L’uomo che ha diretto personalità come Totò, Vittorio Gassman, Alberto Sordi, Nino Manfredi, Giancarlo Giannini, continua a seguire il cinema italiano con distaccata curiosità. «I miei preferiti? Paolo Virzì, uno molto bravo. Michele Placido, ottimo regista, bravissimo attore. E poi Toni Servillo, Sorrentino, la Bellucci, Castellitto, Margherita Buy». Se la prende con Milano dove «l’ultima volta che ci sono andato non sono riuscito a mangiare il risotto alla milanese: me lo sono dovuto fare io». E con il mondo che «è diventato una grande porcheria». Non ha però il cinema che ci gira intorno dimenticato i viaggi nel sud dell’Italia, in particolare in Puglia. L’ultima volta c'è stato un pò di anni fa a ritirare un premio al Villaggio In di Martina Franca. Ma un viaggio particolarmente significativo avvenne negli anni Settanta con la compagna Leontine e la figlia di lei, Nathalie Caldonazzo. «Non ho seguito un itinerario prestabilito. Più di tutto mi ricordo d'aver mangiato benissimo. E poi il mare, molto pulito, lungo la costiera ionico salentina dove feci il bagno. Ricordo con piacere Alberobello. E le ragazze di Martina Franca, che mi hanno colpito per la loro femminilità altera, difficile ad conquistare. Mi piaceva di notte, Martina Franca». L’occhio del regista si rivela in quest’ultima osservazione: anche un altro grande uomo di spettacolo del Novecento italiano, Paolo Grassi, la cui famiglia era martinese d'origine, intervistato proprio in quegli anni parlò di «Martina bella di notte». Dal grande Salento e dalla Valle d'Itria, Dino Risi risalì verso il Gargano. «Posso dire di aver visitato la Puglia dopo averla conosciuta attraverso le chiacchierate con i tanti pugliesi dell'ambiente del cinema» dice. «Da Lecce mi diressi verso Taranto. Poi arrivai a Bari, proseguendo fin quasi ad arrivare dalle parti del paese di Ettore Scola». Quel paese è Trevico, nella zona in provincia di Avellino chiamata Baronìa che confina con la provincia di Foggia. «Un ricordo della Puglia? Sicuramente i trulli, splendidi. E le orecchiette con le cime di rape: deliziose». Peccato che Dino Risi abbia smesso di fare film. Oggi che la Puglia è territorio per location importanti, sarebbe valsa la pena di riattualizzare la commedia all'italiana attraverso il cinismo sentimentale d'uno dei suoi grandi maestri. 15 il cinema che ci gira intorno NATHALIE CALDONAZZO «Io, Dino Risi e mia madre» N athalie Caldonazzo ha lasciato la Puglia, a novembre, da mattatrice, come quei personaggi che Dino Risi rappresentava nei suoi celebri film. Moulin rouge, il musical che la vede protagonista insieme a Ramona Badescu e che le sta facendo girare l’Italia, è infatti andato in scena al palasport di Bitritto. Lei, cantando e ballando, era Avril, che alla Ninì interpretata dalla Badescu ha conteso il ruolo di primadonna. Il pubblico ha apprezzato. «È assolutamente affascinante come esperienza» dice Nathalie. «Per una donna che ha scelto la carriera teatrale, fare un musical è un premio per i tanti classici ai quali ha partecipato. È un’esperienza espressiva completa, perché consente emozioni nuove che ti portano a presentarti artisticamente in un altro modo». La Puglia l’ha conosciuta da bambina. «Avevo, credo, dieci anni. Mi ci ha portata Dino Risi, che era legato sentimentalmente a mia madre. Visitammo tutti insieme la zona di Alberobello: i trulli, i boschi, la Valle d’Itria. Da allora questa terra, con i suoi paesaggi, mi è restata nel cuore». Sua madre, Leontine Snel, olandese, è stata la persona di riferimento d'una infanzia orgogliosa e malinconica. «Lei era stata una ballerina al Lido di Parigi. Portavo a scuola le sue foto di scena dov'era con le piume in testa: mi sentivo la figlia d’una regina. Ero una bambina difficile 16 perché dovevo accettare che mia madre stesse con un altro uomo che non era mio padre. Con Dino Risi c’era un rapporto particolare, anche perché lui è una persona particolare, difficile da conquistare. Inizialmente c’era una diffidenza reciproca, e un senso di rivalità nel rapporto con mia madre. Negli anni ci siamo assolutamente accettati. Lo stimo molto come artista, ed è stato una persona importantissima nella mia vita. Magari lo rimprovero per non avermi aiutata artisticamente: insieme avremmo potuto fare delle grandi cose, anche perché lui è uno dei pochi veri grandi registi italiani. Però è fatto così: non ha neppure aiutato i suoi figli. Ha un senso assolutamente meritocratico». Il legame rimane profondo. «Per mia madre, lui è stato tutto. L’ha accolta tra le sue braccia in un momento di grande difficoltà emotiva. So che chiede del mio lavoro, e di solito viene a tutte le mie prime». Nathalie Caldonazzo si sente pronta a fare del buon cinema. «È possibile che partecipi a un film d'epoca con Maria Grazia Cucinotta. Grazie alla scelta del teatro, sono riuscita a gestire tantissimi ruoli femminili: tutti personaggi con diversi caratteri, sfumature. Quindi, mi sono potuta sbizzarrire. Ora vedremo cosa offre il cinema. Ci sono diversi registi bravi, ma non chiedetemi di fare delle scelte. L’importante è che ci sia un bravo regista, una storia valida, un buon personaggio». «I went in Puglia for the first time when I was a child. Dino Risi carried me there. He was my mother's fellow. I appreciate him very much and he is a very important person in my life. I reproach him, too, because together we could have done great things. He is one of the few great italian movie directors. But I know he asks about my work, and usually come at the openings when I perform on stage». 17 L’oro rosso e quella cicatrice per sempre N ella vita ci sono episodi che non si dimenticano, ferite che difficilmente si rimarginano e ricordi che si sedimentano, contribuendo a forgiare la personalità e il carattere. E quando tutto sembra superato, ecco che una frase, un particolare, un avvenimento richiamano alla mente tutto quel che si credeva dimenticato. Il passato irrompe nel presente, e la ferita ricomincia a sanguinare. Accade a Erika, protagonista del corto L’oro rosso, interpretata da Antonella Bavaro. Erika è una ragazza rumena, ormai in Italia da anni e che in questo paese, dapprima straniero, è riuscita a crearsi una famiglia e a trovare una stabilità. Ma si tratta, in realtà, di una stabilità solo apparente e pronta a vacillare quando le domande innocenti e semplici della sua bambina Elena (Elena di Marco) risvegliano in lei ricordi carichi di dolore, sofferenza e crudeltà. La favola sul pomodoro, che la bimba le chiede di raccontare, risveglia in lei il ricordo della violenza subita al suo arrivo in Italia. Un cugino, per poter ottenere un lavoro come bracciante per la raccolta dei pomodori, la cede al volgare Giovanni (Alessandro Haber) e al suo caporale (Michele Sinisi). Giovanni si rivela, a spese della povera Erika, un uomo senza scrupoli, schiavista e violento, sempre pronto a sfruttare la manodopera straniera e a godere di un possesso imposto. Nel corto scene della quotidianità di Erika si alternano a continui flash-back che la fanno riaffondare nel suo passato oscuro. Ma lei cerca di proteggere la sua bambina non facendo trapelare nulla mentre le narra la favola del pomodoro. Non ci sono né orchi né mostri nella storia che le racconta. Gli orchi e i mostri li rivede scavando nel suo subconscio per nulla sopito. La storia è ambientata in una notte d`inverno a casa di Erika, mentre i suoi ricordi la riportano a una mattina d`estate torrida e soleggiata in una campagna del Mezzogiorno d`Italia. Un territorio ricco ma a volte contraddittorio: la Puglia. Mentre la notte del presente sembra 18 preludere a un nuovo giorno di tranquillità e serenità familiare, quel mattino di tanti anni addietro fa riaffiorare le ombre e le nubi che hanno spezzato per sempre l'innocenza di Erika. L’oro rosso, scritto e diretto da Cesare Fragnelli e prodotto da Cinema Sud Films, è stato l’unico lavoro italiano, selezionato tra oltre trecento in gara, nella sezione corti al Festival Des Films Du Monde di Montreal, Canada. Con esso, Fragnelli ha proseguito il suo viaggio nella denuncia del mondo deviato, che scorre parallelo e mimetizzato nella quotidianità. Lui stesso afferma: «Non so se questo sia un film d’inchiesta. Non so neppure se sia utile a conoscere la società di oggi. L’oro rosso vuole mettere fuori la vergogna, lo schifo d'un mondo senza legge, fondato sullo sfruttamento. Con i pomodori, l’oro rosso appunto, molti hanno fatto i soldi massacrando di botte i braccianti stranieri che protestano, alloggiandoli in tuguri pericolanti senza acqua, né luce, né igiene. È gente disposta a tutto per i propri affari e capace di tutto nei confronti delle donne che arrivano da lontano per lavorare». Alessandro Haber, il violento e crudele Giovanni, invece rileva: «Il mio ruolo è quello di un figlio di puttana come ce ne sono tanti e in tanti ambiti: quelli che lo sono nelle azioni e quelli che lo sono solo nella mente. È un personaggio ostico e sgradevole. Questi personaggi, però, esistono, fanno parte del quotidiano. Usano il potere in maniera violenta, spietata. A me piace fare personaggi estremi. Può servire a fare riflettere le persone, e spero che questi film portino a reagire». Sicuramente il film di Fragnelli porta a riflettere. Nell'interpretazione dolce e sofferta, serena e drammatica, ma mai eccessiva, di Antonella Bavaro, emerge una raffigurazione del male intesa come crudele sopprafazione e violento annullamento della dignità dell'altro. Soprattutto quando l'altro è considerato diverso e per questo inferiore, e visto solo come possibile fonte di guadagno (ac). pugliesità RENZO ARBORE al centro del mondo Q uali sono i cinque dischi preferiti di Renzo Arbore? Risposta pronta: «Louis Armstrong, il box The complete Hot Five and Hot Seven recordings. Poi Ella and Louis, naturalmente, con lo stesso Armstrong ed Ella Fitzgerald. Kind of blue di Miles Davis. I grandi della canzone napoletana, con Roberto Murolo che canta Salvatore Di Giacomo e le melodie di Mario Costa. Infine Titanic di Francesco De Gregori: un vero disco di musica country italiana che racconta l'epopea dei nostri emigranti». Senza l’allegro foggiano, la musica in televisione non sarebbe stata la stessa. Basti pensare a Speciale per voi, il primo talk-show italiano, che vide l’esordio televisivo di Lucio Battisti. Oppure a D.o.c., con star come Miles Davis, James Brown, David Crosby. «Quelle puntate sono un archivio preziosissimo per gli stessi americani, che ce le chiedono» dice. «Oggi certa musica raffinata, importante, che viene da New Orleans. Penso poi al jazz italiano: Danilo Rea, Stefano Bollani. Anche per la canzone popolare abbiamo delle buone proposte. Gli autori non sono però esportabili tranne qualcuno: la Pausini, Ramazzotti, un pò Zucchero». Intanto è stata pubblicata Renzo Arbore ovvero quello della musica, prima biografia autorizzata edita da Raro Libri e realizzata dal giovane appassionato Claudio Cavallaro («Quando non mi ricordo qualche episodio della mia vita, chiedo a lui»). Dice l’autore, clarinettista come il biografato: «Non è d'una canonica biografia che si tratta, perché conoscere il Renzo Arbore musicista ma anche musicologo, musicofilo, quasi musicofago oserei dire, vuol dire conoscere anche il Renzo non ha accesso in televisione. O ci finisce la musica commerciale, sebbene io detestassi questa parola già negli anni Sessanta, oppure l’unica possibilità per la musica leggera è arrivare a Sanremo Giovani. Anche la televisione satellitare propone i videoclip, quindi una musica confezionata, non passionale come piace a me: sudore, sangue e lacrime. Tutto è sacrificato a quel dittatore assoluto che è l’Auditel». Ma qual è, oggi, lo stato della musica nazionalpopolare del villaggio globale? «C’è una perdita di radici per quanto riguarda il rock» riflette Arbore. «Non ci sono nuovi inventori come i Led Zeppelin, Sting, Prince, gli U2, Bruce Springsteen. A loro volta questi artisti erano e sono epigoni di grandi maestri del passato. Le radici del rock si stanno estinguendo, comprese quelle del rock italiano: questo spiega la riscoperta dei grandi gruppi che di questi tempi si riuniscono. Ciò non accade invece nel jazz, dove le radici si riscoprono: mi viene in mente Wynton Marsalis, Arbore uomo che della musica ha fatto la compagna della sua vita e che in essa ha sempre cercato e riversato emozioni genuine e veraci». Si tratta di 271 pagine con molte foto selezionate dall’archivio privato di Arbore, e interventi di compagni di viaggio, come Gegè Telesforo e Dario Salvatori, che delineano il percorso musicale assolutamente originalissimo, ma anche nel solco della tradizione popolare, d’uno dei protagosti autentici dei media italiani. L’attività prevista nel 2008 lo conferma. «Innazitutto finalmente esce il cofanetto dell'Orchestra Italiana con tutte le canzoni, da tempo ormai introvabili. Poi a febbraio me ne vado negli Stati Uniti per una serie di concerti». E per la televisione italiana Arbore non ha in programma alcuna sorpresa? «Vedremo. Ho in mente una trasmissione sulla musica popolare nella sua accezione vera: la musica che canta la gente». 19 Questi PUGLIESI di Agostino Picicco Responsabile culturale Associazione Regionale Pugliesi di Milano L a storia ci dice che già dal 1921 esisteva una Associazione regionale di pugliesi a Milano. Dopo alterne vicende, tale realtà associativa ricevette maggiore slancio a metà degli anni Ottanta imponendosi nel panorama cittadino. A Milano i pugliesi attualmente residenti sono circa ottantamila (fonte comunale), caratterizzandosi numericamente come la prima comunità regionale presente, ben rappresentata anche nelle istituzioni. A titolo di esempio, si consideri che sono pugliesi il vice sindaco Riccardo De Corato, il presidente del Tribunale Livia Pomodoro, il pro rettore dell’Università Cattolica Maria Luisa De Natale, il prof. Francesco Lenoci, il musicista Sante Palumbo, l’attore Gerardo Placido, oltre a diversi professionisti e giornalisti di chiara fama. L’Associazione raccoglie oltre quattrocento nuclei familiari, che vivono un rapporto molto stretto con la terra natia costituito da vincoli familiari e da conseguenti costanti visite. Il sodalizio si caratterizza per avere una sede autonoma. 20 È gestito da un consiglio che coadiuva il presidente e vive fortemente i valori dell’amicizia. È ben radicato nel territorio annoverando tra i suoi soci commercianti, imprenditori, professionisti, studenti universitari. Il presidente onorario è l’avvocato Anna Maria Bernardini de Pace, e il presidente effettivo è il cavalier Dino Abbascià, esponente di spicco del mondo imprenditoriale. I rapporti con le istituzioni sono caratterizzati da grande collaborazione anche in vista dell’utilizzo delle loro strutture per le manifestazioni. Infatti l’Associazione è iscritta nell’Albo delle Associazioni riconosciute dalla Regione Puglia. Le attività svolte sono sostanzialmente di due tipi: ricreative e culturali. Quelle ricreative prevedono l’organizzazione di riunioni e d’incontri amichevoli che si svolgono soprattutto il sabato pomeriggio, riproponendo a Milano «la piazza del paese», per usare una felice espressione del dottor Giuseppe Selvaggi, coordinatore delle attività. Non mancano poi i consueti veglioni e i pranzi in occasione delle feste tradizionali (Natale, Carnevale) oppure in estate, oltre a gite sociali, castagnate, iniziative enogastronomiche. L’attività che caratterizza l’Associazione, però, è quella culturale, variamente costituita dal sostegno ad attività teatrali, rassegne cinematografiche e in particolare alla presentazione di libri, che sono occasioni di dibattito e di conoscenza della Puglia, dei suoi valori e delle sue tradizioni. In tal senso si è creato un canale privilegiato di contatto con le amministrazioni comunali, i personaggi della cultura, le case editrici. Così è nato il progetto di far pagare una quota associativa ai singoli Comuni per poter usufruire una volta l'anno della sede per iniziative a carattere cittadino. Una tale esperienza è maturata in occasione della partecipazione delle realtà locali alla Borsa internazionale del Turismo, con relativo intervento di rappresentanti delle amministrazioni locali e delle pro loco. Da segnalare, inoltre, lo svolgimento di attività culturali anche in Puglia, in prevalenza nel periodo estivo, in collaborazione con gli enti locali. L’estate scorsa l’Associazione ha organizzato eventi per favorire la memoria del messaggio di monsignor Tonino Bello e di don Pasquale Uva, figure di spicco del patrimonio umano pugliese e non solo. Nell’ambito della comunicazione, il rilievo alle manifestazioni è fornito da giornali a carattere locale e dal sito www.arpugliesi.com con cronache e foto di diverse iniziative dell’Associazione con la partecipazione di autorevoli nomi. In particolare citiamo: lo scrittore Raffaele Nigro, la professoressa Bianca Tragni, l’arcivescovo di Bari monsignor Francesco Cacucci. Di notevole rilievo è l'impegno dell’Associazione a riunire molte realtà di campanile a Milano e provincia, a offrire supporto organizzativo e contenutistico a costituende analoghe realtà in province vicine, a promuovere turisticamente la Puglia grazie alle iniziative svolte e alla funzione di garanzia che l’emigrante offre all’amico del nord che vuole conoscerla. I fuori sede, quindi, diventano i primi promotori turistici della loro regione. E in tal senso c’è tutto l'impegno a favorire il sorgere di uno sportello turistico. È in corso la preparazione della terza edizione del Premio Puglia Ambasciatore di terre di Puglia Francesco Attanasi, in omaggio a un giovane musicista prematuramente scomparso la cui eredità è stata raccolta da giovani amici, che hanno visto nei talenti di Francesco un ottimo biglietto da visita per la valorizzazione della Puglia in Italia. Sono già stati premiati il gruppo musicale dei Negramaro, il cantante Al Bano Carrisi, il presidente del tribunale di Milano Livia Pomodoro. È questa la nuova prospettiva dell’Associazione: se in passato si proponeva di offrire un mutuo aiuto ai nuovi arrivati, di fornire occasioni di aggregazione e condivisione di amicizia, oggi, fermi restando tali intenti, fa un passo avanti. Non è più un luogo di nostalgici o di gente sterilmente legata al campanile di appartenenza, ma si pone quale laboratorio culturale e di orientamento. Oggi le associazioni regionali sono diventate a pieno titolo centri culturali di alto profilo, come dimostrano le tante iniziative intraprese, a vantaggio di un reciproco arricchimento con la città ospitante. 21 again di Mark Aymondi P Ultima raccolta dei Led Zeppelin, Mothership 22 iangeva come un vitello, Roberto Pianta, tremenda ma fedele traduzione di Robert Plant, nell’aereo che lo riportava a casa insieme agli altri tre Led Zeppelin. Era appena stato annullato, per gli scontri tra gli spettatori e la polizia con lancio di lacrimogeni e fuga del complesso dal palco, il concerto del 5 luglio 1971 a Milano, l’unico in Italia della loro storia. Il ventitreenne inglese, a quel tempo il miglior cantante rock in attività, subìva l’accaduto come l’antitesi della sua idea del concerto dove l’hard rock trasmetteva emozioni positive a giovani che s'incontravano con senso di amicizia. Una vita e almeno duecento milioni di dischi dopo, Robert Plant (20 agosto 1948), Jimmy Page (9 gennaio 1944), John Baldwin al secolo John Paul Jones (3 gennaio 1946), 185 anni in tre, sono tornati a suonare insieme come Led Zeppelin. Lo avevano fatto solo tre volte dal 1980, anno di scioglimento della band dopo la morte del grande batterista John Bonham: nel 1985 a Filadefia per il Live Aid con Tony Thompson e Phil Collins alla batteria, nel 1988 per il quarantesimo anniversario della casa discografica Atlantic, nel 1995 per il loro ingresso nella Rock’n’roll Hall of Fame. In queste due ultime circostanze, alla batteria c’era l’uomo che c’è anche ora: Jason Bonham, figlio di John, classe 1966. Il curioso e improbabile film concerto del 1976, The songs remains the same, lo fa vedere, bambino, alla batteria del padre. «Led Zeppelin is the greatest rock band of all time inspiring millions of fans around the world and influencing countless bands with songs like Whole lotta love, Kashmir and Stairway to heaven». Se è vero i Beatles sono stati i più grandi, per una volta è anche vero quel che dice la pubblicità della Warner. Lo conferma il sito della Rock and Roll Hall of Fame: gli Zeppelin sono stati influenti negli anni Settanta come i Beatles lo furono nel decennio precedente. Il tempo ha chiarito chi, tra Zeppelin e Rolling Stones, vale di più. Più astuti e modaioli, bravi a vendere e a vendersi, Mick Jagger e soci. Più spontanei e potenti, anche negli eccessi e nella sfortuna, gli Zep. Non hanno inventato nulla, ma sublimato in canzoni indimenticabili il blues e il rock’n’roll, il folk, la musica orientale e mediterranea. Assolutamente inarrivabili. Stairway to heaven, 1971, la più ascoltata nelle radio americane, è forse anche la più bella canzone rock di sempre. L’assolo di Page, con la chitarra Gibson a doppio manico, è considerato the greatest of all time. Solo la paranoia dei fondamentalisti evangelici ha preteso, ascoltandola al contrario a velocità accelerata o rallentata, d’individuarvi subliminali odi sataniche. È invece l’apice d'una tendenza alla ricerca del rapporto tra l’uomo e la natura che si respira nelle divagazioni folk celtiche del gruppo, apoteosi dell’idea, cantata dalla loro musa Joni la musica che ci gira intorno «Led Zeppelin were important for the Seventies like the Beatles were for the previous decade. Time has explained who counts more between them and the Rolling Stones. Mick Jagger and his partners were more sharp and fashionable: the Zep were more spontaneous and powerful, even in overindulgence and in bad luck. They didn't invented anything, but sublimed in unforgettable songs the blues, the rock'n'roll, the folk, the oriental and the mediterranean music they loved. Absolutely unreachable». Mitchell, del rock come ascesi dove «ovunque c'era musica e aria di festa». Il ragazzo Eddie Van Halen, scrutando le dita di Page nell’assolo di Heartbreaker al Los Angeles Forum nel ‘72, concerto nello straordinario album live How the West was won del 2003, ideò la tecnica del tapping. Sono molti i chitarristi che Page ha ispirato. Eccone alcuni: John Frusciante, Yngwie Malmsteen, Steve Vai, Joe Satriani, Noel Gallagher, Andrea Braido, Dodi Battaglia, Alex Britti, Slash. Ma non è esatto dire che gli Zeppelin hanno fondato l’heavy metal. A differenza delle sonorità tecnicamente impeccabili ma creativamente povere che caratterizzano questo genere, i quattro avevano solidissime basi nel blues, fondamento delle loro lunghe improvvisazioni dal vivo. Gli stessi furti d’autore di alcune loro grandi canzoni non sarebbero stati possibili senza l’intelligenza e il mestiere di Page e di Jones, l’amore di Plant per il folk e la grande cantante araba Aum Kalsoum, la superiore qualità ritmica di Bonham. Anche solo tornare per far conoscere e riconoscere, ai giovani e ai meno giovani, tutto ciò che ancora resta nel tesoro indifferente della loro musica, vale la pena. Perché «lascia che il sole batta sul mio viso /e le stelle riempiano i miei sogni. /Io sono un viaggiatore nel tempo e nello spazio /per essere dove sono già stato» (Kashmir). Jason Bonham in una foto pubblicitaria Robert Plant in copertina al suo ultimo album Raising sand con Alison Krauss John Paul Jones in un concerto ad aprile 2007 mentre suona il mandolino Copertina della rivista Rolling Stone con la foto più recente del gruppo. Jimmi Page con la mitica Gibson a doppio manico per suonare Stairway to Heaven 23 Ecco l’amplificatore di Giancarlo Valletta giusto per il vostro iPod Ecco uno splendido amplificatore ibrido per il vostro iPod. Preamplificatore a valvole e finale a Mos Fet per un suono di incredibile livello, che vi lascerà esterrefatti. Music Cocoon MC4 di Roth, in un solo telaio, racchiude una docking station per iPod e un vero e proprio amplificatore Hi-Fi di alta qualità. Dotato di due valvole 12-AX7 e due 12-AU7, sezioni finali ad alta corrente in tecnologia Mos, viene alimentato tramite una sezione esterna di elevatissima capacità. Lo chassis che lo contiene fonde l'alluminio satinato nero per la base con il plexiglass per la parte superiore, che rende visibili le valvole e i condensatori di filtro contenuti in eleganti capsule metalliche. Un complesso assolutamente funzionale nelle prestazioni e caratterizzato da un'estetica d'eccezione, in grado di valorizzare qualsiasi ambiente con un design raffinato e accattivante. L’originalità costruttiva è resa ancora più affascinante dall'illuminazione, che diffonde un caldo colore rosso alla base dell'iPod e alle quattro valvole, assicurando un valore aggiunto alla caratterizzazione della stanza in cui viene installato. Sul frontale sono posizionate due manopole in alluminio satinato, una per il controllo del volume e l'altra per la selezione degli ingressi. Tali funzioni possono essere svolte anche dal telecomando in dotazione, in alluminio tornito dal pieno e dal quale si può governare anche l'iPod. Caratteristiche tecniche: Potenza di uscita RMS su 8 ohm: 2X13W Risposta in frequenza: 20Hz-30kHz Distorsione: <0,5% Rapporto segnale/rumore: 90dB Impedenza di ingresso: 100 kohm Alimentazione: 110V/230V AC selezionabile Consumo: 50VA Dimensioni: 187X174X108 (LXAXP) Peso: 1,8 kg solo amplificatore Prezzo: 549¤ 24 la musica che ci gira intorno ZEPs on the iPod! Da Led Zeppelin I, 1969: GOOD TIMES BAD TIMES BABE, I’M GONNA LEAVE YOU Dal Box set, 1990: TRAVELLING RIVERSIDE BLUES dal vivo negli studi della BBC, 24 giugno 1969 WHITE SUMMER/BLACK MOUNTAIN SIDE, dal vivo a Londra, 27 giugno 1969 Da Led Zeppelin II, 1969: WHOLA LOTTA LOVE LIVING LOVING MAID RAMBLE ON Da Led Zeppelin III, 1970: FRIENDS CELEBRATION DAY TANGERINE Da Led Zeppelin IV, 1970: WHEN THE LEEVE BREAKS THE BATTLE OF EVERMORE STAIRWAY TO HEAVEN Tutto How the West was won: Led Zeppelin dal vivo negli Stati Uniti al Los Angeles Forum il 25 giugno e alla Long Beach Arena il 27 giugno 1972: IMMIGRANT SONG HEARTBREAKER BLACK DOG OVER THE HILLS AND FAR AWAY SINCE I’VE BEEN LOVING YOU STAIRWAY TO HEAVEN GOING TO CALIFORNIA THAT’S THE WAY BRON-YR-AUR STOMP DAZED AND CONFUSED Ecco il meglio reperibile nella discografia ufficiale dei Led Zeppelin, scelto da me per voi e il vostro iPod. Buon ascolto (Pietro Andrea Annicelli). WHAT IS AND WHAT SHOULD NEVER BE DANCING DAYS MOBY DICK WHOLA LOTTA LOVE ROCK’N’ROLL THE OCEAN BRING IT ON HOME Da Houses of the holy, 1973 THE SONG REMAINS THE SAME THE RAIN SONG Da The song remains the same, 1976: NO QUARTER dal vivo al Madison Square Garden, New York, 1973 Da Physical graffiti, 1975: THE ROVER IN MY TIME OF DYING TEN YEARS GONE KASHMIR Da Presence, 1976: ACHILLE’S LAST STAND NOBODY’S FAULT BUT MINE Da In through the out door, 1979: IN THE EVENING Da No quarter: Jimmy Page & Robert Plant unledded, 1994 THANK YOU NO QUARTER FRIENDS GALLOWS POLE FOUR STICKS KASHMIR Da Walking into Clarksdale, Jimmy Page e Robert Plant, 1998 WALKING INTO CLARKSDALE WHEN I WAS A CHILD 27 Tivoli, il piacere della semplicità Tivoli Audio è una compagnia fondata da Tom De Vesto, il cui obiettivo principale è continuare una lunga e importante tradizione: portare sul mercato prodotti tecnologicamente innovativi e unici nel loro genere, in grado di soddisfare sempre il consumatore. Il marchio Tivoli Audio garantisce standard qualitativi di ricezione radio molto elevati, associandoli a nuove tecnologie per rispondere alle sempre nuove e crescenti richieste dei fruitori di musica più esigenti. Il tutto è contrassegnato da quel che da sempre caratterizza Tivoli: la semplicità nell'utilizzo. Ogni radio del marchio Tivoli è infatti progettata per essere easy-to-use. Il design semplice e lineare è realizzato con legni pregiati, decorati con faceplates colorati, che la rendono perfettamente adatta ad ogni ambiente. 26 Il marchio Tivoli Audio ha favorito lo sviluppo e la commercializzazione di molti tra i più diffusi prodotti per l'intrattenimento degli ultimi dieci anni, compresi quelli progettati da Henry Kloss. Il suo nome e la sua carriera sono legati a quelli di Tom De Vesto, in quanto co-fondatori della Cambridge Soundworks. Henry Kloss iniziò a costruire diffusori acustici per i suoi colleghi studenti che volevano ascoltare le esibizioni della Boston Symphony Orchestra. Da allora in poi la sua carriera è stata costellata da numerosi e incredibili successi. Come sostiene lo stesso Kloss, la sua nuova radio «è il culmine di oltre quarant'anni di attività per portare la musica in casa degli appassionati con prodotti che essi tendono a conservare e a utilizzare con piacere. Sebbene la nuova radio non sia stata disegnata con l'intento di sembrare retrò, mi piace pensare che questa ricordi i tempi in cui i prodotti venivano progettati con onestà, gusto ed efficienza». la musica che ci gira intorno Strange Flowers over Europe « Vecchi e nuovi Strange Flowers I’ve been a big fan of the Strange Flowers ever since I first saw them at the BeatO-Mania festival in Munich in 1994». Lo dice Rudi Protrudi, leader dei Fuzztones, storica garage rock’n’roll band americana in attività dal 1980. In Germania, Protrudi divise il palco con gli Strange Flowers cantando una canzone, Little olive, finita sul disco tratto da quell’evento, Beat-o-mania at its best. Il gruppo di Pisa fondato da un pugliese, Michele Marinò (chitarra e voce), aveva appena pubblicato un album, Music for astronauts, per l’etichetta tedesca Music Maniac Records. Con qualche canzone splendida come Girls of april e Of perception, e tutte le altre che valeva la pena ascoltare, faceva ben sperare. Rudi Protrudi, di quel disco, disegna la copertina. Le situazioni della vita, e un contratto da ricercatore in endocrinologia a Boston per Marinò, portano però il gruppo a sciogliersi. Tornano dieci anni dopo con un bellissimo singolo, Across the river and through the trees, pubblicato dalle italiane Edizioni dei Corrieri Cosmici. Contiene altre tre canzoni, registrate nel ‘94 per quello che doveva essere il secondo album degli Strange Flowers. Arriva alla fine del 2005, ancora per un’etichetta tedesca, la Beyond Your Mind: è Ortoflorovivaistica, un grande affresco psichedelico che riassume tutta le qualità musicali del gruppo che intanto ha ripreso a suonare in Italia e in Germania. Giovanni Bruno (chitarra solista), Maurizio Falciani (batteria), Stefano Montefiori (basso) non proseguono ulteriormente l’avventura con Marinò. Giusto il tempo di realizzare il loro terzo album, The imaginary space travel of the naked monkeys, poi lasciano progressivamente spazio all’attuale line-up: Nicola Cionini (chitarra solista), Alessandro Santoni (basso), Gabriele Pozzolini (batteria). Sono loro gli Strange Flowers che hanno suonato dal vivo nel 2007, anche in Inghilterra, e di questi tempi hanno una ventina di concerti in giro per l’Italia per poi suonare in Germania e in Olanda. Si parla, anche, di concerti in Argentina. Intanto è pronto il nuovo disco: il primo dei nuovi Strange Flowers, il quarto album in tutto. Si chiama Aeroplanes in the backyard, sarà pubblicato a marzo. Per tutti e in particolare per Michele Marinò, che a fare il medico ha associato le buone vibrazioni del rock, vale un'affermazione di Jerry Garcia, il grande psichedelico che non c’è più: «Abbiamo tutti bisogno della musica, punto e basta. Non so bene perché: forse abbiamo bisogno della magia, del mito. Per celebrare le nostre vite, e renderle speciali. Ecco a cosa serve la musica ». 27 28 Pasquale Mega Ensemble: i colori del sentimento M usica vera. Di quella che non si dimentica. Musica di mente e cuore: scelta, studiata, sentita, resa un progetto diventato suono. È Coloriade, album del Pasquale Mega Ensemble che alle musiche di Pasquale Mega (pianoforte) arrangiate da Luigi Giannatempo unisce la qualità di Javier Girotto (sax soprano e baritono), Marco Tamburini (tromba e flugelhorn) e del Vertere String Quartet con Giuseppe Amatulli (violino), Ida Ninni (violino), Domenico Mastro (viola), Giovanna Buccarella (violoncello). Inoltre, due vecchi comopagni di Pasquale nell’Alma Dançante Sextet: Camillo Pace (basso) e Antonio Dambrosio (batteria). Del lavoro con l’Alma Dançante, Oltretango, album del 2002 in omaggio ad Astor Piazzolla, Mega ha voluto recuperare la composizione a sua firma, Piazza Storallo, anagramma del nome del grande musicista argentino, che è diventata forse la migliore delle otto che costituiscono l’album, tutte di personalità e vita propria, tutte a sua firma. Ha scritto di lui Bruno Tommaso nelle note di copertina: «Quante volte, dopo interminabili dibattiti, si è concluso che per quel personaggio o per quel progetto la semplice parola jazz si rivelava insufficiente in relazione ai complessi significati cui i soggetti di cui sopra facevano riferimento? Ebbene la definizione alternativa risultava inevitabilmente composta da contorti giri di parole al termine dei quali si conveniva sulla necessità di concretizzare una sintesi immediata ed efficace, cioè...jazz. Tutto questo non solo per af- fermare che stiamo parlando di un disco di jazz, ma anche per individuare una parola che sintetizzi il principale responsabile di questo cd, ovvero Pasquale Mega. Io credo di averla trovata: gentiluomo. La cosa non riguarda soltanto gli aspetti personali, peraltro non di poco conto, ma specificatamente la direzione musicale e l’essenza poetica». Mega, classe 1958, farmacista a Martina Franca, studia pianoforte al Conservatorio Egidio Romualdo Duni della natìa Matera e ha le prime esperienze jazzistiche a Padova durante l’università. Negli anni ha costantemente praticato il jazz come senso quasi spirituale oltre che artistico, con volontà di apprendimento, ricerca, esplorazione, senza la necessità di arrivare per arrivare. Ed è per questo che Coloriade rappresenta, oltre che un momento di musica a suo modo grande, anche un esercizio di stile. Scrive Pasquale Mega nelle note di copertina: «Da tempo avevo in mente di registrare alcuni dei miei brani utilizzando una formazione abbastanza insolita nel jazz: mi piaceva infatti l'idea di un connubio tra il classico quintetto jazz (sax, tromba, pianoforte, contrabbasso, batteria) e il classico quartetto d'archi (due violini, viola, violoncello), considerando che la mia musica avrebbe potuto adattarsi bene a un organico del genere. Avrei voluto che il quartetto d'archi non fungesse solo da supporto al materiale jazzistico, bensì fosse parte integrante del progetto, ne costituisse una delle colonne portanti e avesse anche dei propri spazi ben definiti». Credeteci: buon ascolto. 29 moda Angelo Nardelli P Mimmo Nardelli: «We have launched several flagship store in Italy, and looked to famous testimonials, to let our For- malwear and Sportswear men's clothes collections well known. Our approach is to diversify the production for being competitive in the various sections of the worldwide marketplace. If you go to our Milan’s flagship store in Piazza Cordusio, you can understand who is Nardelli and what he does». 30 international iazza Cordusio, Milano. In lontananza, il Duomo. E il Castello Sforzesco, Piazza Affari. Oltre quattrocento metri quadri su tre piani dello storico palazzo delle Assicurazioni Generali. Allestimento moderno, atmosfera di design contemporaneo. Una forte brand identity trasmessa dalle collezioni monomarca Formalwear e Sportswear. È il flagship store Angelo Nardelli nel cuore della capitale della moda. Inaugurato in autunno, costituisce un punto d’arrivo nella storia di Itn, l'azienda sorta nel 1951 e titolare del marchio, che è poi il nome del suo fondatore. Da due anni la strategia aziendale è puntare sui negozi mono- settore dell’alta moda. L’obiettivo dichiarato è «investire sulla brand identity finalizzata a trasmettere un’emozione, una filosofia e una chiara direzione aziendale». I capi d’abbigliamento riguardano il total look per uomo: giacche, pantaloni e gilet, integrati con maglie, camicie, giacconi, cappotti e capi in tessuto tecnico, oltre ad accessori come cravatte, scarpe, sciarpe e cinture. Qualità, innovazione e competitività portano a realizzare abiti di elevata qualità artigianale, tutti made in Italy. La Itn si estende su una superficie di quindicimila metri quadri nella zona industriale di Martina Franca. Impiega circa cinquecento di- marca, e il marchio Angelo Nardelli è oggi tra le firme più significative del made in Italy. Nell’aprile 2005 è stato inaugurato a Taranto il primo flagship store. Tra il 2006 e lo scorso settembre sono stati inaugurati i negozi di Altamura, Palermo, Milano e Lecce. Lo scopo è rafforzare ulteriormente il brand sul territorio nazionale. A Milano, insieme al negozio in piazza Cordusio è stato aperto lo show room aziendale in via Melzi d’Eril, angolo corso Sempione. La campagna pubblicitaria è firmata dal fotografo Settimio Beneduci. Gli allestimenti interni sono dell’azienda Scrimieri Arredamenti. Angelo Nardelli, che ha punti vendita diretti, indiretti e showroom in Italia e all’estero, in particolare a New York, Madrid, Londra e Mosca, nel prossimo futuro intende essere in corner e shop in shop dislocati nei più importanti department-store del mondo. La svolta di Itn consolida la produzione nel pendenti distribuiti in ambito territoriale e nazionale, per un fatturato medio annuo di trenta milioni di euro. Il mercato principale per la produzione interna e per la vendita dei prodotti finiti è l’Italia. L’export è circa il 30% del fatturato. È alla terza generazione. Dopo che Angelo Nardelli ha lasciato l’attività al figlio Mimmo, amministratore unico coadiuvato dalla moglie Anna Palmisano, sono gradualmente entrati a far parte del management i tre figli Paola, Angelo, Antonio. «La nostra strategia è diversificare la produzione per essere competitivi nei diversi ambiti della filiera» spiega Mimmo Nardelli. «Questo ci permette di recepire la situazione reale del mercato. Aver creato una serie di negozi in Italia, dove si colloca strategicamente la nostra clientela, e ricorrere talvolta a testimonial famosi per far conoscere le nostre linee d'abbigliamento, ci porta a dare l'idea di chi è Nardelli e cosa fa». 31 PH settimio beneduci si, viaggiare Breve storia d’un camion Primal « Martino Castellana: «Pino Fumarola and I were friends for years. In 2006 we put a little hi-fi centre in my truck. We have been rewarded winning at Sossano. In 2007 we did over the hi-fi centre, obtaining other good awards. In the following weeks, we will change it a little to be ready for the hi-fi trucks meetings. We’ll see what we will be able to think out to win again». 32 Ho iniziato a fare raduni di camion nel 2001 come socio dell’Hi-way Truck Team. Ho sempre avuto la passione per l’hi-fi: ho un impianto personalizzato anche in auto. Mi piacciono gli impianti estremi: la musica va sentita». Martino Castellana, quarantatré anni, è il proprietario del camion motrice che, con un impianto unico realizzato da Primal Company, è diventato un must nei raduni del genere. «Se la musica non l’ascolti perfettamente, non è musica» dice. «Se vuoi ascoltare la radio, ascolti la radio. Se vuoi ascoltare della buona musica, serve qualcosa di sostanzioso». Insomma, una qualità sonora garantita da un impianto Primal su misura. Martino è socio in un’azienda di autotrasporti sia in Italia che all’estero con il fratello Eligio, di quattro anni più giovane. E ha un amico, Gloriano Di Pancrazio a San Benedetto del Tronto, che è presidente dell'East Coast Truck Team della città marchigiana. «Con lui facciamo delle ragazzate da adulti: piccole gare su chi ha l’impianto migliore nei piazzali degli di Daniele Annicelli autogrill» dice Martino. «Ho partecipato questa estate a sette raduni nazionali, vincendo a Martina, piazzandomi secondo a San Benedetto del Tronto e ottenendo delle benemerenze negli altri, dove non c’era una competizione secondo classifica. L'anno scorso ho vinto a Sossano, in provincia di Vicenza. Mi hanno pure messo un video su You-Tube come impianto hi-fi estremo». Ma come nasce la collaborazione tra Martino Castellana e Primal Company? «Con Pino Fumarola siamo amici da anni» risponde. «Nel 2006 abbiamo messo su un piccolo impianto hi-fi nel mio camion. Siamo stati premiati vincendo a Sossano. Nel 2007 abbiamo perciò rifatto completamente l’impianto ottenendo degli ottimi risultati. Si tratta d’un impianto realizzato appositamente che forse modificheremo in previsione dei raduni di marzo. Vedremo cosa riusciremo a inventarci». Ma cosa ascolta Martino Castellana? «Di solito, musica house. Però apprezzo molto anche Antonello Venditti. Ad alto volume, è bellissimo». Primal Engine Show A settembre si è svolto a Martina Franca il Primal Engine Show, un format d’intrattenimento che ha spaziato dalle esibizioni di mini moto fino alle motrici degli autotreni passando dal go-kart, motrici, tre ruote. Vitantonio Liuzzi è stato intervistato da Mauro Pulpito in un talk-show con Lello Di Bari, pilota e sindaco di Fasano, e Cesare Fiorio, ex commissario tecnico della Ferrari Varie altre iniziative tra le quali il Mafra sexy carwash sull'auto Block Shaft, la serata danzante con un impianto da ben ventimila watt sapientemente messo a punto da Andrea Carofiglio e la degustazione di prodotti tipici della Puglia hanno ulteriormente coinvolto il pubblico. L'appuntamento è per l'estate 2008 con nuovi ospiti e spettacolari attrazioni. si, viaggiare La Mini di Pierpaolo Cazzolla è diventata grande N on era facile mettere mani alla bellissima linea della Mini senza correre il rischio di creare un ibrido senza personalità. Invece, basta guardarla la nuova Mini Clubman per capire che di personalità ne ha da vendere. Sarà la terza porta laterale posta unicamente sul lato destro con apertura controvento. Sarà il simpatico portellone posteriore diviso in due parti apribili a battente separatamente. Sarà che la vecchia Clubman fa parte della storia dell’automobile. Fatto sta che questa nuova Mini ti fa subito venire voglia di possederla. Naturale evoluzione del progetto Mini, la Clubman ha il compito di rinverdire i fasti della sua progenitrice degli anni Settanta e di conquistare una nuova fascia di clienti: coloro che amano la Mini con il cuore, ma la detestano con la ragione per la sua cronica assenza di spazio per i bagagli e per i passeggeri posteriori. 34 Con i sui ventiquattro centimetri di lunghezza in più, la Clubman rimane piccola quanto basta per sgusciare via facilmente nel traffico cittadino, e acquista spazio per i bagagli e soprattutto per le gambe dei passeggeri posteriori, che ringraziano commossi anche per l’ottima accessibilità al divanetto, merito della geniale terza porta laterale. Se fino a oggi i proprietari di Mini potevano ambire al massimo a un romantico weekend fuori porta, ora con la Clubman è possibile sistemare i bagagli anche per l’intera settimana bianca, a patto di non esagerare però. La Clubman, è bene chiarirlo subito, non è una station wagon. Sul piano tecnico la “Clubman”ricalca fedelmente le caratteristiche della sorella minore. La top di gamma è la Cooper S Clubman, equipaggiata con il quattro cilindri 1.6 turbo da 175 CV e 240 Nm di coppia che diventano 260 se si attiva la funzione Overboost. Le prestazioni dichiarate sono: velocità 224 km/h, uno 0-100 Km/h in 7,6 secondi e un consumo di 6,3 litri/100 km. Sempre con alimentazione a benzina c’è la più tranquilla Cooper Clubman, che monta lo stesso motore, ma senza turbo, da 120 CV e 160 Nm di coppia, che accelera da 0 a 100 Km/h in 9.8 secondi e raggiunge 201 Km/h, con un consumo di 5,5 litri/100 Km. Infine il quattro cilindri turbodiesel da 1560 cc della versione Cooper D Clubman offre 110 CV e 240 Nm di coppia (260 con overboost attivo), a fronte di un’accelerazione 0-100 Km/h in 10.4 secondi e un consumo medio di 4.1 litri/100 km. Il lavoro dei tecnici BMW è stato orientato proprio al contenimento dei consumi e delle emissioni. Infatti tutte le Clubman sono equipaggiate con sistema di recupero dell’energia frenante, funzione Auto Start/Stop e indicatore del punto ottimale di cambiata. Il cambio di serie è un manuale a sei rapporti, ma a richiesta è disponibile per tutte le tre varianti anche una trasmissione automatica a sei rapporti con modalità manuale di selezione tramite bilancieri al volante. L’equipaggiamento di serie comprende inoltre ABS, EBD, sistema di controllo di frenata in curva CBC (cornering brake control) e il controllo dinamico di stabilità (DSC) con assistente di partenza in salita, oltre a un differenziale autobloccante disponibile, come optional, per la Mini Cooper S Clubman. Il livello di allestimento sarebbe unico, ma il listino è composto, oltre a quello base, anche da pacchetti opzionali: Salt, Pepper e Chili, che costituiscono ognuno uno step superiore al precedente. Ma al di là dei numeri, la nuova Clubman deve vincere la sfida più importante, cioè garantire la stessa dinamica di guida della Mini normale che ha il suo punto di forza proprio nelle sensazioni quasi da go-kart che si, viaggiare è capace di trasmettere. Ebbene, è qui che la Clubman sorprende di più: al volante è difficile trovare delle differenze con la sorella, e i suoi ventiquattro centimetri in più sembrano svanire. La Clubman si guida che è uno spettacolo, ed è difficile trovare in circolazione una accoppiata motori-telaio così riuscita. La nuova Mini Clubman arriva nei concessionari italiani con prezzi chiavi in mano che varieranno da 21.400 a 24.250 Euro per la Cooper Clubman, da 22.900 a 25.750 Euro per la Cooper D e da 25.800 a 28.600 Euro per la sportiva Cooper S. Ultima annotazione: la Clubman, come tutte le Mini, ha innumerevoli possibilità di personalizzazione e una lista accessori lunghissima. Ma attenzione a non farvi prendere troppo la mano, perché in questo caso il prezzo potrebbe salire così in alto da far venire davvero le vertigini. 36 si, viaggiare Primal Modella con l’automobile allestita da Primal al Top Audio al Top Audio Il Top Audio è il più importante appuntamento in Italia e uno dei più attesi in Europa dagli appassionati dell'hi-fi domestico Hig End. Per la prima volta, quest'anno, il mondo del care e quello dell'home sono stati fatti convergere nell'unico universo del Top Audio. Al suo interno, per la prima volta, sono state esposte dodici tra le migliori auto europee. Tra esse, la vincitrice del campionato hi-fI europeo, l'auto ufficiale del Team Italia e una, splendida, equipaggiata con elettroniche McHintosh e diffusori Finauris allestita dalla Primal Company. Oltre ai molteplici riscontri positivi del pubblico, un elemento di soddisfazione è venuto da Canale 5. Sabato 15 settembre, in prima serata, ha dedicato un servizio al Top Audio, concentrando di fatto l'attenzione sulla vettura allestita da Primal Company. 37 si, assaggiare L’olio d’oliva e il senso del tempo di Pierluigi Frassanito «Puglia is the land of the olive trees by definition, the ideal place for the weather and the latitudes. Still in the XVII century the olive oils from Puglia were exported all around Europe. They used to compete with those from Toscana for the supremacy of quality. Actually Puglia is the first italian region in the production of the olive oil. The Coratina and the Ogliarola kind of olives are the most spread in that area. They contribute to the reputation of the olive oils from Puglia. They are considered the ones whose taste is the most persevering and without compromises». 38 L’inizio dell’inverno è il tempo dell’olio nuovo. Senza bisogno di essere esperti degustatori o agronomi professionisti, sappiamo riconoscere quest’epoca da conversazioni ascoltate fin da bambini, iniziate o concluse con il passaggio di mano delle bottiglie in questione. L’olio buono si vende e si regala adesso, a quelli che non hanno la fortuna di averlo a portata di mano. Parliamo, se non siamo stati chiari abbastanza, dell’olio extravergine di oliva, il più apprezzato nelle nostre cucine per la sua grande delicatezza e bassa acidità, il più speciale fra gli oli vegetali per essere l’unico prodotto da un frutto invece che da un seme. L’olio, dunque, è un prodotto prima di tutto del tempo, e il migliore possibile è quello appena uscito dal frantoio. È un liquido particolare, suscettibilissimo: ha bisogno di essere realiz- zato in fretta, da olive raccolte a mano e portate subito alla lavorazione, e la fragranza e gli aromi che troviamo oggi nell’olio del nuovo raccolto, già fra qualche mese non saranno più gli stessi. Fascino della contraddizione, il tempo dell’olio è veloce. Ma quello dell’olivo no. Gli olivi sono piante dalla vita molto lunga, e spesso impiegano anni per cominciare a dare un raccolto soddisfacente. Sono scorbutici e incoerenti. La resa in qualità e quantità delle olive è diversa di anno in anno, e i piccoli produttori vivono di fatica e pazienza, di olive raccolte solo a mano e solo al perfetto grado di maturazione, e di spremiture a pietra: un romantico antibusiness, per come è intesa la produzione alimentare di massa al giorno d’oggi. La Puglia è terra di olivi e di olio per definizione, luogo ideale per clima e latitudini. Già nel Settecento gli oli pugliesi erano esportati in tutta Europa, e contendevano a quelli toscani il primato della qualità. Ancora oggi siamo di gran lunga la prima regione italiana per produzione: la Coratina e l'Ogliarola, le due varietà di olive più diffuse dalle nostre parti, contribuiscono alla nomea degli oli pugliesi come quelli dal sapore più deciso e senza compromessi. Ma per fortuna esiste la biodiversità. Siamo una regione grande e gli olivi ce li abbiamo dal Gargano al Salento: togliamoci la curiosità di provare per sfatare un pò di luoghi comuni. L’olio è un grasso, in alimentazione, e questo negli ultimi anni non ha contribuito alla sua fortuna. Senza entrare in considerazioni dietetiche eccessive, dovrebbe bastarci sapere che i grassi hanno il compito di fornire energia all’organismo e spesso sono le sostanze che danno più sapore al cibo. In cucina, l’olio extravergine d’oliva dà il meglio da crudo, come condimento che finisce i piatti, fonde gusti e sapori e aggiunge di suo come tutti gli altri oli, parlandone con rispetto e compassione, mai potrebbero fare. Nella nostra tradizione fieramente meridionale è usato da sempre anche in cottura, e non ci verrebbe in mente niente di meglio, ad esempio, per saltare in padella verdure con aglio e peperoncino. Esistono vari e diffusi pregiudizi sull’uso dell’extravergine nella frittura. Anche la considerazione che gli oli di semi costano molto meno vale fino a un certo punto, dato che per quanto riguarda la nutrizione e la salute l’olio d’oliva non ha paragoni. Vale invece la pena di scegliere in base al gusto: a cibi poco saporiti come le patate, la frittura in extravergine dà qualcosa in più, mentre può risultare eccessiva per quanto è già gustoso per conto suo, come il pesce. Questa storia finisce qui, ma l’olio extravergine d’oliva inizia adesso: anche se l’avete già in casa, andatelo a cercare e assicuratevi che sia del nuovo raccolto. Ci saprete dire. intenso retrogusto dell’espresso italiano www.marodda.it 39 si, assaggiare Oliamoci bene Un tour onogastronomico alla scoperta dei sapori dell'olio novello: è quello, denominato spiritosamente Oliamoci bene, che è stato promosso, tutti i week end di novembre e di metà dicembre, dal Consorzio per la valorizzazione della ciliegia e della frutta tipica di Bisceglie e dallo stesso Comune. Pagando 79 euro a persona, con un supplemento di cinque per la camera singola, per due giorni si è diventati protagonisti della tradizione olivicola pugliese: dalla raccolta delle olive alla degustazione dei cbvi tipici conditi con olio novello. Trattamento all inclusive: cena, colazione, pranzo, bevande, pernottamento in hotel quattro stelle, trasferimenti in pullman gran turismo, servizio guida turistica, visite al centro storico, al museo, al Dolmen della Chianca, alle campagne per partecipare alla raccolta delle olive guidata dai contadini anziani, visita al frantoio per assistere alle fasi della molitura e degustare l'olio appena spremuto. È un'esperienza da ripetere nel 2008. 40 «Noci in tavola» Noci, città caratterizzata da una grande vocazione agricola e da un'importante tradizione enogastronomica, alimentata di generazione in generazione all'interno delle famiglie, vede il formarsi il 14 marzo 2005 l'associazione «Noci in tavola». È voluta e costituita da professionisti della ristorazione nocese, accomunati da una passione per il mangiar bene e per lo stare insieme con gusto. I soci di «Noci in tavola» si fanno promotori della valorizzazione del territorio e dell'immagine non solo nocese, ma anche pugliese, attraverso la tipicità della cucina e dei prodotti della sua terra, e l'amore per le sue tradizioni. L'associazione è parte attiva in numerose manifestazioni enogastronomiche, facendosi spesso promotrice di proposte e idee sempre nuove in ambito culinario, avvalendosi anche d'un dialogo continuo e aperto con le altre categorie produttive, le istituzioni pubbliche e i consumatori. In viaggio A con mio figlio gosto 2004, ultima settimana di gestazione. Sono da mio fratello a controllarmi la posta, quando arriva un vecchio amico diventato padre da alcuni mesi. Dopo i reciproci auguri, inizia a raccontarmi delle difficoltà che incontrava nell’effettuare i più semplici spostamenti (due borse piene di cambi, pappe, pannolini, creme, eccetera, più il passeggino, navicella, e questo solo per andare a casa di sua madre). Mi ha detto che la mia vita sarebbe cambiata e sicuramente non avrei più viaggiato con tanta facilità. Credo che stesse ancora parlando mentre compravo on-line il primo biglietto aereo per mio figlio. Per il primo controllo pediatrico ci siamo rivolti al dottor Antonio Padovano di Martina Franca. Ero un pò intimorita: ero convinta che non ci fossero problemi a viaggiare con un bimbo, ma forse aveva ragione mia madre e il bambino ne avrebbe sofferto (chiunque pare ne sappia più dei genitori su qualsiasi argomento riguardi la crescita ). Sono entrata nella sala d’aspetto e ho visto dei quadri di New Orleans. Poi, nello studio, una magnifica foto scattata in Cina. Ho capito che ci sarebbe stato feeling. Subito mi ha rassicurata dicendomi che non c’erano assolutamente contro indicazioni a viaggiare con un bambino, e mi ha semplicemente consigliato di portare il numero del pediatra e la tachipirina. Per l’alimentazione mi ha detto che non sarebbe stato necessario portarmi dall’Italia troppe cose, visto che avrei trovato tutto sul posto. In fondo ai bimbi basta dello yogurt, del latte (che tra l’altro l’Italia importa) e dei biscotti. Il dottor Padovano è ancora il mio pediatra in Puglia, e a volte vado a tro- 42 varlo solo per lasciarmi affascinare dalla sua cultura e dalle sue conoscenze. Durante un viaggio in Ungheria all’età di dieci mesi, Marco non solo ha dimostrato un incredibile spirito di adattamento, ma ha anche mosso i suoi primi passi, a conferma di quello che mi aveva detto il dottor Padovano: il viaggio è un momento in cui la famiglia è più serena, lontana dai problemi quotidiani e dalle pressioni esterne, e di conseguenza più attenta anche alle esigenze del bambino. Voglio condividere alcuni trucchi. Ricordo per esempio, che a Budapest Marco aveva gattonato un pò ovunque. Era davvero sporco. Così abbiamo investito venti euro circa per una consumazione al sushi bar dell’Hilton e in questo modo ci siamo assicurati l’utilizzo di uno dei bagni più puliti ed esclusivi della città. Per il bagaglio consiglio un passeggino di quelli leggeri ed economici, una fasciatoio da viaggio formato borsetta, una confezione di gel disinfettante (non più di 100 ml altrimenti ve la sequestrano all’imbarco). Far mangiare o bere il bimbo durante la fase di decollo e di atterraggio vi eviterà problemi alle orecchie. Se prende ancora il latte, fate coincidere la poppata con la fase di decollo. Se è un pò più grande, andate sul sicuro con una confezione di patatine. Ricordate che se c’è una turbolenza in volo, un ingorgo, una parata o un qualsiasi evento che già di per se tende a complicarvi la vita, sarà proprio quello il momento in cui il bambino dovrà andare in bagno: non è colpa sua o del vostro partner, quindi non arrabbiatevi. Sulle guide c’è sempre una sezione dedicata ai bimbi dove sono indicati parchi e attrazioni per i più piccoli. Durante la vacanza cercate sempre di di Dalmazia Fumarola fermarvi al parco giochi: servirà a rilassare un pò tutti. Se il tempo è brutto, entrate in una chiesa: è un ottimo posto per liberare un pò i vostri figli in un ambiente chiuso e di solito ben disposto nei loro confronti. Magari, con un pò di fortuna e gentilezza, sarà una suora o un prete a correre dietro i vostri pargoli per assicurarsi che non facciano danni mentre voi vi riposate un pò. In vacanza non bisogna dimenticare le buone abitudini. Così a Praga (Marco aveva circa venti mesi e iniziava a cenare a tavola seduto con noi) abbiamo optato per un appartamento. È stata un ottima scelta: abbiamo speso meno che in albergo, gli spazi erano decisamente grandi e abbiamo mantenuto le nostre abitudini. Inoltre l’appartamento era in pieno centro e con un grande supermarket vicino. Non dimenticate un libro di fiabe e dei quaderni da colorare (ideale è la serie degli staccattacca). Per i lunghi spostamenti in auto o le serate fuori con gli amici, stiamo utilizzando anche il dvd portatile, con moderazione e solo in casi estremi. Personalmente faccio vedere al massimo un’ora di televisione al giorno. Ultimo consiglio: evitate di entrare in un museo se vostro figlio è stanco o affamato. I pannolini li vendono ovunque, così come tutte le altre cose che siamo abituati a usare quotidianamente. State tranquilli: un bambino rilassato e contento non fa capricci. Se decidete di rimanere in Italia, optate sempre per agriturismi e fattorie interattive. Ne ho travate di bellissime ovunque, ma consiglio di mandare sempre una e-mail per chiedere se gradiscono i bambini e se hanno dei giochi. Ricordate che sono sempre a disposizione per fornirvi indirizzi e consigli mirati: [email protected] si, star bene si, star bene come contribuire al Bil (Benessere interno lordo) di Simona Loconsole T rasformare un’impresa miope in una impresa solidale che contribuisce al bene comune. Non è impossibile. Lo spiegano Roberto Lorusso e Nello De Padova nel libro DePILiamoci-Liberarsi del PIL superfluo e vivere felici (Editori Riuniti): «La responsabilità sociale dell’impresa è cosa seria. Essa grida a squarciagola che l’impresa deve essere una comunità solidale non chiusa negli interessi corporativi, per tendere ad un’ecologia sociale del lavoro e contribuire al Bene Comune anche mediante la salvaguardia dell’ambiente naturale». Può, infatti, essere giudicata sana (moralmente e socialmente) l’impresa che rispetta l’uomo e l’ambiente, non quella che persegue solo l’obiettivo del profitto a tutti i costi. Come dicono gli autori, «oltre alla funzione tipicamente economica, l’impresa svolge una funzione sociale, per- 44 ché è luogo dove si generano occasioni di incontro e di collaborazione, nonché di crescita e di valorizzazione delle capacità delle persone coinvolte. La dimensione economica dell’impresa è pertanto condizione per il raggiungimento tanto di obiettivi di profitto, quanto di obiettivi sociali e morali, che vanno perseguiti congiuntamente». Il concetto di responsabilità sociale dell’impresa è strettamente connesso con quello di decrescita del Pil (prodotto interno lordo), cioè della capacità di superare il circolo vizioso dei consumi e della mercificazione ad ogni costo per innescare il circolo virtuoso del Bil (benessere interno lordo), che porta a un consumo consapevole delle risorse naturali, umane e del tempo. Un comportamento socialmente responsabile, infatti, permette agli imprenditori d’integrare preoccupazioni di valore etico all’interno della visione strategica dell’azienda e di praticare la cultura della temperanza, contro l’intemperanza dominante quando si sceglie un consumo eccessivo e irrispettoso di materie prime e risorse per la produzione e del capitale umano a disposizione. «La possibilità di eliminare i fattori d’inquinamento e di assicurare condizioni di igiene e di salute adeguate per le persone che vi lavorano e per le comunità che le ospitano è alla portata di tutte le imprese», scrivono Lo- russo e De Padova. I quali ricordano come svolgere in maniera efficiente l’attività di produzione sia un dovere per le imprese, chiamate responsabilmente a evitare lo spreco di risorse e a evitare che la crescita economica sia ottenuta a discapito d’interi popoli e soprattutto delle future generazioni. Un’impresa che agisce in maniera socialmente responsabile, oltretutto, è premiata dal mercato, perché oggi i consumatori sono sempre più sensibili ai valori etici che si trovano alle spalle di un prodotto. In più, è in grado d’innescare un processo virtuoso di riduzione dei costi di produzione, derivato dall’uso consapevole delle risorse naturali, delle materie prime e dell’energia (cosa che migliora i processi e porta a una riduzione dei rifiuti), e dalla pratica di buone prassi come lo scambio di esternalità tra aziende. «Basato sulla condivisione dei beni e servizi, sulla cultura del dono e la pratica della solidarietà, lo scambio di esternalità non è baratto, cioè scambio senza danaro di prestazioni professionali, ma una liberalità vera e propria che ciascuna impresa realizza a vantaggio della comunità delle imprese» si legge nel libro DePILiamoci. Notevoli vantaggi si hanno poi dalla capacità di predisporre piani d’investimento e d’innovazione che tengano conto delle potenzialità dei dipendenti e che garantiscano lo sviluppo integrale della persona umana. Un imprenditore che è in grado di scegliere strategie aziendali a favore della qualità della vita dei lavoratori, concedendo loro non solo di esercitare la propria professionalità e creatività ma anche di godere di tempo libero e ritmi di lavoro più umani, potrà verificare che il rendimento dei dipendenti aumenta, così come la loro fedeltà e dedizione. Basta consultare la mappa del Bil, una sorta di moderno gioco dell’oca, per scegliere il proprio percorso ideale e i semplici gesti quotidiani che si possono attuare per praticare la responsabilità sociale dell’impresa e la cultura della decrescita, a tutto vantaggio della salvaguardia di principi e valori etici fondamentali per la sussistenza dell’individuo e della comunità, nel presente e nel futuro. Inoltre visitando il sito www.depiliamoci.it, si potrà dare il proprio contributo suggerendo buone pratiche o nuove interazioni per la mappa del Bil. Dalla lettura di DePILiamoci si rileva, infatti, una grande fiducia nella possibilità di cambiamento e nella disponibilità delle persone di mettere in discussione comportamenti, fortemente radicati, finalizzati al consumismo fine a se stesso, e di aprirsi a un nuovo percorso verso il Bil. Tale ottimismo emerge con forza quando si parla dell’uso delle tecnologie, che non vanno demonizzate, ma al contrario possono diventare un importante strumento etico. In definitiva: «Lo Stato incentiva ancora troppo poco la ricerca di innovazioni capaci di ridurre l’impatto sull’ambiente provocato dalla produzione e dal consumo. Mai come oggi, infatti, il ruolo della tecnologia risulta determinante in vista di uno sviluppo autenticamente solidale e integrale dell’umanità. Esiste una tecnologia che inquina ma anche quella capace di disinquinare; una tecnologia che spreca ma anche una che fa risparmiare; una tecnologia che rende schiavi, ma anche una tecnologia che ci rende liberi. Dipende soltanto da noi, saper scegliere quella buona in vista di quello che desideriamo sia il nostro benessere». 5 storia e storie Giuseppe Goffredo l’amor loci e le contrade madri di aprile A di Annalisa Scialpi ccostarsi a un vero poeta è, sempre, impresa delicata. Sciogliersi il legaccio dei sandali, allora, per avvicinarsi al fuoco sacro della parola, in una complicità silente con chi ha fatto lo stesso sciogliendosi dai lacci della banalità, del pregiudizio, del consueto, dell’indifferenza ipocrita, dell’omertà, per farsi strumento della parola. Unico vincolo che un poeta è in grado di tollerare. Perché la poesia per Giuseppe Goffredo? È possibile cercare di disegnare, attraverso i colori e la forza del linguaggio, il paesaggio nutrito dalla linfa divina che spinge il poeta a essere, nella musicalità e verità del verso, se stesso e più e oltre e per? Meglio lasciare da parte le risposte di cliché, per entrare in punta di piedi in un mondo vivo dal sapore di terra, nella grazia di luce ritrovata «accanto a un croco giallo» in un fluire di immagini in bilico tra memoria e attesa, tormento ed estasi, coscienza e oblio, contemplazione e rinascita. Un mondo vivo che Giuseppe Goffredo conserva intatto dalla sua infanzia, e del quale si alimenta la sua poesia. Nascere nel Mezzogiorno significa per il poeta, soprattutto, accogliere l’insegnamento che la propria cultura è il risultato, nel tempo e nello spazio, di rapporti tra i popoli e le civiltà del Mediterraneo. Quindi lezione di pluralità, complessità, incontro. L’amor loci Giuseppe Goffredo è nato nel 1956 ad Alberobello. Per la poesia ha pubblicato Fra muri e sogni in Nuovi Poeti Italiani n.2, Einaudi, 1982. Paesaggi di Maggio in Almanacco dello Specchio n. 13, Mondadori, 1989. Elegie Empiriche, Guerini e Associati, 1992. Elegie Empiriche ampliata, Argo, 1995. L'antologia Alle porte di Alessandria (poesie 1977-2000), La Mongolfiera, 2002. Contrade madri di aprile, Lietocolle, 2007. Ha curato Da qui, piccola antologia della poesia e dei poeti mediterranei, Argo, 1993, 46 si mescola così all’insegnamento vivo d’una originarietà impressa nella memoria del corpo che è identità e appello, riconoscimento e debito, per una voce che risponde nell’essere voce e sguardo. La luce, allora, come guida verso un interrogarsi che rischia di perdersi nel silenzio straniante dell’ineffabile se non soccorso dalla risposta della natura, madre con le sue contrade dove, quasi ricalcando un antico simbolismo, le voci parlano nell’assenza. È la ragione ritrovata nella e dalla terra in una contemplazione che non è assenza ma luogo di ritorno e rinascita, incontro con le origini. Abbraccio sinestetico nel grembo della madre ma non annullamento, affogamento estetico. Una poesia da leggere con l’intera corporeità, lasciando a essa il contagio di sprazzi di vissuto che si mescolano nella coscienza del presente e in grado di stanare la verità da «sistemi di omertà organizzati in un gioco confuso/ di luci e ombre che sospendono in noi la verità». Il poeta «animale fuori dal branco» porta con sé il peso di un vedere che è appello frammisto a coscienza di un dover ripartire da zero «con infinita pazienza», «per capire ciò che siamo» perchè «non c’è altra soluzione quando le merci/ lungo il confine sono maneggiate con cura/ mentre i passeggeri sono la merce più scadente e inutile». e con Michelangelo Zizzi Poeti circus, i nuovi poeti italiani intorno ai trent'anni, Poiesis Editrice, 2005. Per la narrativa ha pubblicato il romanzo Tutto apposcito (Tutto a posto), Stampa Alternativa, 1994, e Con i fiori dei mandorli in faccia, Poiesis Editrice, 2006. Per la saggistica ha pubblicato Cadmos cerca Europa, Bollati Boringhieri, 2000, e Il cielo sopra Baghdad, diario di un viaggio in Iraq, La Mongolfiera, 2003. Nel 2005 ha realizzato, con le musiche di Stefano Battaglia, le coreografie di Michela Mucci e le immagini di Michele Stallo, la rappresentazione poetica e drammaturgica Baghdad Baghdad. Dirige la rivista da Qui: letteratura, arte e società fra le regioni e le culture Mediterranee, Poiesis Editrice. Ha diretto la rassegna di poesia e di arti fra i paesi mediterranei Poesia in Chiostro a Conversano dal 1983 al 1993. Dal 1994 dirige il Laboratorio Poiesis e i Seminari di Marzo, che si occupano del dialogo fra l'Italia, il Mediterraneo e l'Europa. In fondo, dice il poeta, lo sapevamo. C’era qualcosa da cambiare nella spirale di desideri della premodernità. Siamo arrivati troppo tardi dove non volevamo arrivare. Ecco allora il soccorso: immagini sfiatate a rincorrersi nello spazio di ricordi di una sovrabbondanza di vita in una vertigine, quasi, di libertà e vita. Riprendere fiato, ritrovarsi vivi per continuare un interrogarsi continuo, lacerato, come un’aria di vecchia canzone ostinata: dove cercare la speranza? In quale dio? «Il dio che ammassa yogurt nei supermercati. Il dio delle vacanze al mare. (…) Il dio dei soldi in banca. Il dio della guerra contro i mussulmani. Il dio senza più occhi. Senza più mani»? È un Occidente cieco che agonizza trascinato nello pagine di Goffredo. Un occidente malato. Schiavo, in fondo, tenuto in piedi dal «neonazismo totalizzante delle leggi del mercato». «Credersi i padroni del mondo»: ecco il nostro imperdonabile errore. «Ma io vedo. /Ho gli occhi spalancati al cielo (…) Dicono la legge del mio tempo/ è questa. Ma nessuno rischia/ per inventarsi altro». Ripartire, allora. Andare senza voltarsi indietro. Sotto lo sguardo dei paesaggi. Ricominciare sulla scia dell’«ultima di quelle civiltà/ che ha vestito gli occhi delle stagioni/ per farmi sentire uomo sulla terra».Resistere e reesistere in un sentire che è conoscere, antidoto alla «razionalizzazione che è il muto totalizzante della brutalità». A tutti i costi. Sentire perché si è diversi, ma anche essere diversi per sentire. «Contadini del cosmo/ con il proprio bastone che batte/ (…) Pronti a ricevere il mondo che ritorna. Essere diversi. Sentire./ Desiderare le cose. Non capire./ Vivere una solitaria gioia che ci fa vivi». È l’appello lucido, tagliente come lama della sua poesia che è impegno e testimonianza di vent’anni trascorsi per rinsaldare valori comuni e favorire lo scambio culturale tra Occidente e Oriente. Poesia in Chiostro negli anni Ottanta, i Seminari di Marzo nei Novanta, il libro Cadmos cerca Europa (Bollati Boringhieri) e la rivista da Qui, sono stati i momenti d’incontro per arginare integralismi d’ogni provenienza in favore della cooperazione e del dialogo. In Cadmos cerca Europa Goffredo scrive: «Parlare di Mediterraneo (...) significa parlare del futuro dei nostri figli e delle loro prospettive di vita. (…) Se vivranno in una condizione di pace e di guerra, di coabitazione o di violenza. Sono queste alcune delle questioni a cui bisogna dare una risposta nei prossimi anni. Le armi possono dare ragione soltanto ai puri calcoli di potere, da una parte e dall’altra. Ma dietro quelle scelte ci sono uomini e donne, madri e figli. La guerra di per sé è un azzeramento di qualsiasi forma di civiltà. Sicché a vincere è la violenza, l’oppressione, l’empietà. Il nostro compito, invece, è reinventare il gioco in favore della pace». Ringrazio Giuseppe Goffredo per aver fatto dono a noi distratti postmoderni di un nuovo sguardo sui paesaggi ridotti spesso, nel migliore dei casi, al nostro giardino, allargandone i confini per spingerli sino alla luce del dialogo, dell’incontro e della pace. storia e storie Neocon Politica, cultura, affiliazioni del movimento neoconservatore di Franco Cardini e Marina Montesano I n occasione delle elezioni che hanno condotto al secondo mandato, quando l’11 settembre era divenuto un argomento di minor presa rispetto al passato, il governo Bush e i suoi strateghi elettorali sono riusciti a nascondere i problemi e gli insuccessi interni ed esterni dietro l’appello etico-religioso sostenuto da molte Chiese cristiane (compresa, in parte, la cattolica): la lotta contro l’aborto, i matrimoni gay, perfino l’insegnamento dell’evoluzionismo e suoi derivati nelle scuole. La nuova ricerca di valori forti è venuta in aiuto al progetto neocon che continua a fondarsi sulla sintesi tra una rinnovata formulazione del principio del “destino manifesto” degli Stati Uniti e la tesi, cara alle origini trotzkiste di parecchi neoconservatori, che ormai il mondo non vada più contemplato bensì cambiato. Magari anche con la forza, legittimata dalla formula della “esportazione delle democrazia”. Quest’aberrazione ha fatto scuola e trovato in tutto il cosiddetto “nostro Occidente” e anche fuori di esso entusiasti sostenitori, emuli, soci in affari, complici ed ascari anche perché, nella stessa Europa, sono entrati in crisi tutti quei valori ch’eravamo abituati a considerare caratteristici e irrinunziabili della nostra modernità democratica con- 48 nessa (in modo apparentemente solido) con l’idea di progresso, la tolleranza, il relativismo etico: e che oggi appaiono sbaragliati e vanificati dinanzi all’arroganza dell’individualismo neoliberista e del “turbocapitalismo” da una parte, alla ferocia del fondamentalismo religioso dall’altra (e teniamo presente che accanto al fondamentalismo musulmano ne esiste anche uno cristiano, uno ebraico, uno indù eccetera). I quali, tra l’altro, con il loro violento e rozzo manicheismo, hanno il vantaggio di proporre al disorientato “occidentale” che ha smarrito i suoi vecchi punti di riferimento una chiave interpretativa semplice, chiara, che gli consente di scegliere “da che parte stare” e gli fornisce quindi un tragico e pericoloso surrogato di quelle che forse un tempo si sarebbero definite le certezze spirituali (o delle vecchie ideologie). Ma come abbiamo potuto arrivare a questo punto? Che cosa ci ha ridotti così? Siamo stati per lunghi decenni tutti convinti - chi non lo era, fingeva di esserlo - che “il nostro Occidente” si fondasse sui valori della pace, della tolleranza, del rifiuto della violenza. Poi, sono successe molte cose: la fine del tempo dell’equilibrio brutale tra le due Superpotenze, con il franare di una di esse; la crisi di valori di quanti ad essa avevano in qualche modo fatto riferimento. Intanto, pian piano, il disincanto: con la “certezza della ragione”, molte altre illusioni erano franate. Un fallimento etico e culturale. Scomparse le certezze, vanificate le ideologie, svuotata di senso la storia, sembra che a noi “occidentali” resti solo quel che i fondamentalisti islamici ci rimproverano: l’edonismo e l’individualismo. Ma dalla crisi dei valori del cosiddetto “nostro Occidente”, in particolare dalla crisi della fiducia nella forza della ragione e dalla tentazione di rifugiarsi in nuovi “valori forti” che ne è stata conseguenza, deriva uno dei più gravi rischi che il mondo d’oggi sta correndo. Si potrebbe concludere, che quel ch’è davvero entrato in crisi è vera forza della Modernità occidentale, quello che i neoconservatori e i loro accoliti definiscono con disprezzo “relativismo”: la capacità di confrontarsi col diverso da noi senza cedere alla tentazione di sentirsi superiori, la lucidità che ci permetteva di distinguere la superiorità economica, tecnologica, magari perfino sociopolitica, con la superiorità tout court, quella sul piano civile e culturale; quella che un tempo si sarebbe forse definita con l’aggettivo “spirituale”. Ma proprio questo è il punto: relativisti sul serio - nel senso che Claude Lévi-Strauss conferisce a tale termine - non siamo stati mai. La capacità di ascoltare, d’intendere e di cercar di comprendere i punti di vista altrui, le “ragioni nascoste” delle altre culture; di rispettare le voci diverse dalla nostra, le gararchie di valori fondate su principi di altro tipo, le tradizioni di origine differente. La grande lezione impartitaci da Nicola Cusano nel De pace fidei, mezzo millennio fa. Il fatto è che ha ragione, in un suo aforisma non accettato quasi da nessuno ma diventato celebre, Massimo Fini: l’Occidente faustiano si è modellato, da almeno due secoli e qualcosa, sull’autodefinizione di Mefistofele, ma invertendone i termini. Esso vuole infinitamente solo il Bene e si dimostra capace di operar solo il Male. E sembra non rendersene conto perché in realtà non accetta di cercar di uscire dalla sua vecchia schizofrenia: da una parte ha elaborato un’etica e un diritto fondati sulla Libertà individuale e sui Diritti dell’Uomo, dall’altro ha sistematicamente perseguito una politica e un’economia mondiali non meno costantemente fondati sulla propria Volontà di Potenza. Dietro la stessa autoreferenziale convinzione che Libertà individuale e Diritti dell’Uomo siano “valori universali” v’era ancora la Volontà di Potenza, sotto forma di convinzione che i valori da noi elaborati siano naturalmente e obiettivamente i migliori, che tutte le altre culture e tutti gli altri popoli dovessero prima o poi conformarvisi e che il senso della storia a ciò stava appunto conducendo. (…) L’obiettivo neocon in realtà consiste nell’“assolutizzare” il principio dei “Diritti naturali inalienabili dell’Uomo”, di sottrarlo alla corrosione della critica e delle stesse vicende storiche e di fondare come dato irreversibile e incontestabile il paradigma del processo storico di affermazione del liberalismo e del liberismo come “dinamica della libertà”, su un cammino aperto da John Locke e dai padri Fondatori degli Stati Uniti d’America. Il neoconservatorismo, che nascerebbe «For long decades we have all been convinced that our Western culture was established on the values of peace, tolerance and refusal of violence. Then, many things have happened. The time of the harsh balancing between the two Superpowers ended when one of them collapsed. With the obviousness of the reason, many other illusions were collapsed. The disappearing of the certainties, the waste of the ideologies, the history's draining of sense, let seem that only what the islamic fundamentalists reproach remains to us western people: hedonism and individualism. After the weak thought we are at the void thought, that is very strong when it requires to give intellectual legitimacy to the powerful of money, of the marketplace and weapons manouvred by financial and entrepreneurial elites, who are taking up directly the control of the government in the Usa and in various western countries». 49 come reazione ai totalitarismi nazionalsocialista e comunista, prosegue la sua lotta contro ogni forma di “barbarie” e di “tirannia”, riserbandosi il diritto di definire che cosa significhi, appunto, essere “barbaro” o in che modo si configuri un regime “tirannico”. È un aspetto molto importante dell’ideologia e della propaganda neoconservatrici questa “lotta contro tutte le dittature” che si presenta come intransigente, e che pertanto si appoggia alla pratica della “esportazione della democrazia”: ma è noto al riguardo che la pratica diplomatico-militare statunitense è da lungo tempo impegnata in un metodo che ricorda abbastanza da vicino quello di Hermann Goering il quale, com’è noto, decideva lui chi era ebreo e chi no. I governi americani sono fieramente avversi ai dittatori, ma decidono loro chi è tale e chi no. Il Saddam Hussein della “guerra dimenticata” degli Anni Ottanta, ad esempio, poteva anche gasare i curdi e perseguitare gli sciiti: ma era pur sempre il Presidente d’un paese amico, laico, progressista, forse al massimo “autoritario” (forse si sarebbe potuto parlare di una “dittatura di sviluppo”). È una vec- 50 chia tattica che riguarda e/o ha riguardato i Noriega, i Pinochet, i Suharto, i Saddam, i Musharraf e altri. (…) Dopo il “pensiero debole”, siamo al “pensiero vuoto” che però è fortissimo nella misura in cui pretende di fornire legittimità intellettuale alla forza del danaro, del mercato e delle armi manovrata dalle élites finanziarie e imprenditoriali che stanno occupando direttamente le leve di governo della superpotenza e di molti paesi dell’Occidente. In sintesi, il progetto neoconservatore è chiaro e palesa con decisa evidenza le ormai “lontane” (ma solo di qualche decennio) origini ideologiche dei suoi iniziatori, radicate nel marxismo trotzkista. I neocons hanno fatto proprio il vecchio principio marxiano che ormai contemplare il mondo, com’era scopo della filosofia, non basta più: bisogna cambiarlo. Questo è stato forse fin dal principio del suo primo mandato, certo a partire dall’indomani dell’11 settembre 2001, il progetto dell’équipe di governo e di potere che fa capo, quanto meno istituzionalmente, a George Bush. Essi sono portatori d’un progetto che, piaccia o no, va definito “rivoluzionario”: all’interno della società statunitense, far degli States una “società di proprietari”; all’esterno, vincere quella ch’è stata definita la “guerra contro il Terrore” e, attraverso la gestione di essa, trasformare definitivamente il mondo a cominciare dal Vicino Oriente forzando il bene dell’umanità a coincidere con l’interesse degli Stati Uniti, vale a dire dei suoi attuali padroni e dirigenti e degli ambienti che essi rappresentano o dei quali essi sono “comitato d’affari”. (…) Di fronte alle sconfitte e alle situazioni di scacco che si registrano in Afghanistan, in Iraq, in Palestina, la “guerra senza fine” e i neoconservatori che l’hanno inventata e promossa hanno bisogno ormai di un nemico che sia anch’esso “senza fine”: Iran, stati canaglia, terroristi immaginari. Abstract dal saggio pubblicato in Zero, perché la versione ufficiale sull'11/9 è un falso, Edizioni Piemme, per gentile concessione degli Autori storia e storie ZERO caso editoriale sull’11 settembre «In questi anni, è stato possibile accumulare una tale massa di dati, di immagini, di analisi da poter affermare senza ombra di dubbio che la “versione ufficiale” è un falso. Abbiamo sfidato il tabù, spinti dalla necessità di ricercare la verità, ben sapendo che essa non è celata in un posto solo. Meno che mai in qualche grotta afgana. Lo abbiamo fatto perché sappiamo che la verità sull'11 settembre è importante, anzi essenziale: per sopravvivere». Così Giulietto Chiesa scrive nell'introduzione a Zero, perché la versione ufficiale sull'11/9 è un falso, libro pubblicato dalle Edizioni Piemme che sta diventando un caso editoriale. Con una serie di materiali eterogenei di autori di diversa estrazione culturale e politica, dimostra in maniera molto chiara ciò che ormai è evidente anche rispetto ad altre ricostruzioni: gli eventi dell'11 settembre non sono andati così come pretende la versione ufficiale propalata dall'Amministrazione Bush. Parola, oltre che dello stesso Chiesa, di Gore Vidal, Franco Cardini, Marina Montesano, Gianni Vattimo, Lidia Ravera, Andreas Von Bülow, Steven Jones, Claudio Fracassi, Jürgen Elsässer, Webster Griffin Tarpley, Thierry Meissan, Enzo Modugno, David Ray Griffin, Barrie Zwicker, Michel Chossudovsky. «Per avvicinarci alla verità, siamo ripartiti da zero» dice ancora Chiesa, che sulla vicenda ha anche elaborato un film con lo stesso titolo del libro. Cura di sè L’ « estetologia è l’espressione più avanzata di una visione innovativa nei campi dell’immagine fisica e del benessere. «È una nuova operatività professionale delle dsicipline bio-naturali» spiega Guglielmo Lanza, promotore del corso di estetologia alla Libera Università Leonardo da Vinci di Roma. «Si è diffusa e affermata nelle realtà sociali da oltre un decennio come parte integrante e irrinunciabile, nell’attuale contesto del mercato mirante al benessere, per la difesa e il ripristino delle migliori condizioni della forma fisica, l’attenuazione degli stati di disagio emotivo, la prevenzione delle disarmonie dell’immagine del corpo. Tutto ciò è finalizzato a migliorare la qualtà della vita». Questa espressione della scienza del benessere porta l’estetologo a svolgere servizi di consulenza e assistenza finalizzati a promuovere e conservare una buona forma fisica ed emotiva. «Tra i suoi compiti c’è anche la corretta applicazione delle metodologie in materia d’immagine, per insegnare al cliente a riconoscere e ad assumere una consapevole responsabilità in relazione al suo stile di vita, imparando a gestire gli squilibri fisico emotivi con prestazioni naturali: educazione alimentare, attività motorie, tecniche di rilassamento e respirazione, e così via. Occorre un raopporto olistico del corpo e della mente» spiega il professor Lanza. «L’estetologo, inoltre, utilizza le apparecchiature meccaniche ed elettroniche per il fitness, prodotti eroboristici ed alimentari, essenze floreali, musiche, luci cromatiche. Collabora, poi, con le altre figure professionali per inquadrare e tratatre in maniera multidisciplinare i difetti complessi dell’immagine». L’obiettivo ultimo è il benessere profondo dell’individuo: la salute. L’Organizzazione mondiale della sanità la definisce «stato completo di benessere fisico, psichico, sociale e non semplice assenza di malattia». Lanza evidenzia: «Molto spesso l’idea di benessere proprosto è solo un’abusata espressione alla moda, e un luogo comune privo d’ogni dignità scientifica e idonea tecnica applicativa. L’utenza è però più consapevole. Oggi prevale la necessità di prevenire i segni dell’invecchiamento, di ottenere informazioni per i trattamenti a casa, attraverso le pratiche che che stimolano le risorse naturali e i comportamenti da adottare per questo. Si cerca il benessere globale per star bene con se stessi e con gli altri: sentirsi a proprio agio». Lo Chef Fricassea di agnello (di Pasquale Fatalino, Noci) INGREDIENTI PER 4 PERSONE • Cosciotto di agnello disossato • 6 carciofi • 250 gr. di lampascioni bolliti • 150 gr. di pane raffermo • 2 mozzarelle • 100 gr.di formaggio grattugiato • 3 uova • 150 gr. di olio extra vergine d'oliva • 50 gr. di cipolla • 2 spicchi d'aglio • un bicchiere di vino bianco • 3 foglie di alloro • prezzemolo, sale e pepe q.b. Preparazione In una ciotola unite al pane raffermo, bagnato in acqua calda e strizzato, la mozzarella, il formaggio, le uova e il prezzemolo. Amalgamate il tutto per formare un unico impasto. Tagliate il cosciotto di agnello a pezzi e fatelo rosolare in una padella con dell'olio. Aggiungete del vino bianco, dell'aglio tritato, l'alloro, sale e pepe e lasciate cuocere il tutto per trenta minuti. In un'altra padella mettete dell'olio e fate soffriggere della cipolla con i carciofi precedentemente puliti e tagliati a spicchi. Aggiungete successivamente i lampascioni bolliti, sale, pepe e fate cuocere per venti minuti, aggiungendo durante la cottura un po' d'acqua. Unite il cosciotto d'agnello con i carciofi e i lampascioni e disponete il tutto in una teglia di terracotta. Prendete l'impasto ottenuto con il pane raffermo e cospargetelo sulla carne sino a coprirla interamente. Completate aggiungendo una spolverata di formaggio e un filo d'olio. Cuocere in forno caldo a centottanta gradi per circa quaranta minuti. Vino consigliato Il cosciotto d'agnello si accompagna a un buon vino rosso, ma considerando gli altri ingredienti si può abbinare anche un bianco strutturato proveniente da barrique. Primal news «Fobia» vince Ascoli in corto - Continua a riscuotere prestigiosi riconoscimenti nel circuito dei maggiori festival e concorsi italiani il cortometraggio Fobia, scritto e diretto da Eugenio Caliandro. Dopo essere stato selezionato, su oltre un centinaio di lavori, nel ristretto gruppo dei dodici cortometraggi finalisti del festival Cinemazero di Trento, Fobia ha vinto l’edizione 2007 del Festival Ascoli in corto. Caliandro sta ora lavorando al prossimo cortometraggio, che sarà girato in primavera nella Valle d'Itria: una storia, scritta da lui e da Annalisa Palmisano, ambientata nel 1940. Protagonisti principali, tre bambini e la loro infanzia spazzata via dalla guerra. Una top alle orecchiette - Natalia Angelini, ventitré anni, di Fasano è la nuova testimonial del colosso dell’elettronica Intreeo. La giovanissima Miss Miliardo, avendo vinto un montepremi di cinquecentomila euro a Cultura Moderna, ha superato una selezione di oltre mille modelle provenienti da tutto il mondo, compresi grandi nomi internazionali come Letizia Casta. L’arma segreta di Natalia pare che sia stato un piatto di orecchiette alle cime di rape preparate dalla mamma. Le ha mangiate durante una pausa, conquistando i selezionatori della Intreeo. Il ragionamento: una ragazza che apprezza il buon cibo pugliese ha tutte le caratteristiche per essere la testimonial di un’azienda che crede nell’italian digital life. Marchio d’area e portale per la Terra delle Gravine - L'Istituto professionale per i servizi turistici «Mauro Perrone», di Castellaneta, ha presentato il portale e il marchio d’area «Terre di Mare e di Gravine». L’iniziativa è rientrata nel contesto dei finanziamenti europei 20062013 riguardanti il progetto L'Osservatorio di Aracne. 54 Primo libro sui Negramaro - Negramaro, storia di 6 ragazzi, Aliberti Editore, è la prima biografia sul gruppo rock salentino. L'autore è il giornalista Lucio Palazzo. Il lavoro sta ottenendo un significativo riscontro, soprattutto in considerazione alla diffusione della notizia attraverso internet. Bianca Guaccero presenta il Festival di San Remo - Sarà l'attrice di Bitonto, ventisette anni, ad affiancare Pippo Paudo sul palco del Teatro Ariston di Sanremo per la cinquantottesima edizione del Festival, in programma dal 25 febbraio al 1 marzo. Insieme a lei, la ventottenne ungherese Andrea Osvart. La scelta della Guaccero e della Osvart ristabilisce la formula della presentatrice bruna e di quella bionda accanto al presentatore. Bianca Guaccero ha esordito nel cinema nel 1999 in Terra bruciata, con Giancarlo Giannini e Michele Placido. Autunno leccese per Monica Bellucci e Sophie Marceau - Il capoluogo del Salento è stato per quattro settimane, in autunno, teatro delle riprese del film Ne te retourne pas (Non ti voltare), per la regia di Marina de Van. Nel cast, Monica Bellucci e Sophie Marceau. Le riprese sono iniziate il 22 ottobre, per complessive tredici settimane di lavoro. Oltre al Salento, le altre location sono state in Francia, a Parig, e nel Lussemburgo. Il film è una produzione internazionale realizzata in collaborazione con la Apulia Film Commission. Primo album per l’Escargot - I suoni storici della musica popolare europea utilizzando strumenti tradizionali in un senso di ricerca sono il riferimento dei quattro musicisti che compongono l’Escargot: Alessandro Pipino (organetti diatonici, fisarmonica, concertina, piano, percussioni, glockenspiel, kalimba, bulbul tarang, harmonium indiano), Massimo La Zazzera (flauto, chalumeau, bansuri, sansula, percussioni). Stefania Ladisa (violino e viola) ed Adolfo La Volpe (chitarra acustica e classica, banjo, chitarra portoghese, basso acustico). Il gruppo è arrivato all'esordio su album con Corri, autoprodotto, con undici composizioni. Per informazioni: www.quartettolescargot.com. sing a song il piacere della lettura Massimo Carrieri Howard Sounes SEVEN ANNI '70 autoprodotto Editori Laterza Opera prima d’un pianista di trentatré anni, poco noto al grande pubblico, che dà il senso d’una ascesi verso la musica che l’autore si porta dentro. Musica fatta da chi ci crede. Musica da ascoltare. Realizzano le libertà cercate negli anni Sessanta attraverso una grande creatività nel cinema, nella musica, nell'arte. Sounes racconta le storie dei personaggi chiave nei cambiamenti e nelle realizzazioni. Fabularasa Cristina Zagaria EN PLEIN AIR L’OSSO DI DIO Egea Dario Flaccovio Editore «Canzoni schiette, levantine»: così si presentano i quattro Fabularasa. Ovvero «un laboratorio artigianale di suoni, musiche e versi aperto a Bari dal febbraio 2004». En plein air è il loro esordio. È la storia di Santo Panzarella, vittima di lupara bianca, ma soprattutto di sua madre, Angela Todaro, che reclama giustizia. Perché «per sconfiggere la 'ndrangheta, a volte, bisogna sconfiggere se stessi». Radiodervish Mariella Berra L’IMMAGINE DI TE SOCIOLOGIA DELLE RETI TELEMATICHE Radiofandango Qualità, meno esotismo, ricerca d’un pubblico più ampio per questo lavoro che vede come coproduttore Franco Battiato. E la musica resta uno dei meglio riusciti incontri tra sponde del Mediterraneo. Editori Laterza Le reti telematiche trasformano la realtà facendo partecipare le persone. Ciò attraverso l’interconnessione con le reti sociali, realizzando un sistema di comunicazione mai avvenuto prima nella storia dell’uomo. Lisa Manosperti «LA FOULE - VOYAGE DAS LES LIEUX D’EDITH PIAF» Dodicilune La sensibilità tormentata della grande cantante francese interpretata da Lisa Manosperti, accompagnata da strumentisti d'eccezione. Eleganza appassionata in un omaggio suggestivo per originalità. 56 Franco Cassano, Danilo Zolo L’ALTERNATIVA MEDITERRANEA Feltrinelli Editore Il Mediterraneo: grande spazio, risorsa strategica, luogo privilegiato di cooperazione. Va ripensato il rapporto tra l’unificazione dell’Europa, la sua appartenenza all'emisfero occidentale, le sue radici mediterranee, la relazione con il mondo islamico.