anno III
numero 26
giugno 2006
poste italiane spa
spedizione in abbonamento
postale DCB 70% Lecce
FIGLI DEI FESTIVAL
[
CoolClub.it
Quelli della mia generazione sono tutti figli dei festival, cresciuti con il mito di Woodstock, i papà con i vinili di Hendrix e
Santana in bella mostra accanto a quelli di Drupi e Fausto Papetti.
Figli dei cortei, delle assemblee, dello stare insieme. Animali sociali eravamo al Parco Lambro nel 1976, al mitico concerto
di Bob Marley al Meazza di Milano nel 1980. È in questi riti collettivi, in questi rituali studiati da Durkheim in ambito religioso
e da Goffman in quello teatrale, l’atto è puro, irripetibile e unico.
Il live è il solo supporto impossibile da riprodurre, è ogni volta diverso, un momento in cui la gente si incontra catalizzata
da qualcosa. Festival, parola presa in prestito dall’inglese, in italiano, quello del Panzini (1905), sarebbe “Musicone”. I
Musiconi sono “feste musicali all’aperto”. E quale stagione migliore per i musiconi se non l’estate. Ce ne sono ovunque,
da ieri fino a settembre e ancora dopo. E sotto le stelle di questa nuova estate non c’è solo spazio per la musica, ma
anche per il teatro e la letteratura. A volte sono l’escamotage per stare insieme (altra creatura dei situazionisti) altre
volte eventi da non perdere, maratone del divertimento, scorpacciate di cultura, full immersion di libertà.
Qualunque siano il motivo e lo spirito questo numero di Coolclub.it è una piccola guida (parziale e non esaustiva) ai
Festival.
Abbiamo prediletto quelli musicali, i più grandi, stranieri e nazionali (sui festival locali ci concentreremo nei prossimi
numeri), abbiamo intervistato gli organizzatori, raccolto testimonianze, stilato un piccolo calendario. Troverete ancora
le interviste ad alcuni tra i protagonisti dei festival musicali di questa estate (Super Elastic Bubble Plastic, Bugo, Massimo
Bubola, Harddiscount, Assalti Frontali), quelle a Efraim Medina Reyes ( è appena uscito il suo nuovo romanzo La
sessualità della pantera rosa), Tommaso Pincio ( è nelle librerie Gli Alieni, il suo ultimo libro), Libero De Rienzo (nelle sale
con Sangue, il suo primo film da regista).
Continua la nostra inchiesta sulle etichette discografiche e case editrici piccole e indipendenti (Wallace per la musica,
Zandegù per i libri), la nostra rubrica sul fumetto, quelle dedicate ai dischi, ai libri, ai film in uscita.
Tra gli appuntamenti consigliati manca però il più importante, un evento che la famiglia di Coolclub.it vive con una
felicità che da tempo non si sentiva nell’aria. Questo mese Tobia e Cecilia si sposano e il loro amore ci ha contagiati,
più che auguri verrebbe da dire grazie ma si finisce col sorridere guardando un sogno che si realizza.
Osvaldo Piliego
CoolClub.it
Via De Jacobis 42 73100 Lecce
Telefono: 0832303707
e-mail: [email protected]
[email protected]
Sito: www.coolclub.it
Anno 3 Numero 26
giugno 2006
Iscritto al registro della stampa
del tribunale di Lecce il
15.01.2004 al n.844
Direttore responsabile
Osvaldo Piliego
Collettivo redazionale
Dario Goffredo, Pierpaolo Lala,
C. Michele Pierri, Cesare Liaci,
Antonietta Rosato
Hanno collaborato a questo
numero: Davide Rufini, Viviana
Martucci, Roberto Cesano,
Valentina Cataldo, Dino
Amenduni, Federico Baglivi,
Giovanni Ottini, Rakelman,
Ennio Ciotta, Giovanni
Copertino, Nicola Pace, Ilario
Galati, Lorenzo Coppola,
Gianpaolo Chiriacò, Livio
Polini, Dario Quarta, Stefania
Ricchiuto, Rossano Astremo,
Pierpaolo Quarta, Sabrina
Manna, Arcangelo Licinio,
Marco Montanaro
FIGLI DEI FESTIVAL
4 Sziget
Festival
6 Arezzo Wave
9 Keep Cool
19 Bugo
18 Assalti
frontali
23 Coolibrì
}
26 Efraim
Medina Reyes
Per la foto di copertina
ringraziamo Antonello Maggi
e tutta l’organizzazione del
Sziget Festival
29 BeCool
Ringraziamo le redazioni di
Blackmailmag.com, RadioErre
di Foggia, Primavera Radio di
Taranto e Lecce, Controradio
di Bari, Mondoradio di Tricase
(Le), Ciccio Riccio di Brindisi,
L’impaziente di Lecce,
QuiSalento, Pugliadinotte.net.
Progetto grafico
dario
36 Appuntamenti
Impaginazione
Danilo Scalera
38 Fumetto
Stampa
Martano Editrice - Lecce
Chiuso in redazione prima
dell’Impaziente (evvai!!!).
Per inserzioni pubblicitarie e
abbonamenti:
Antonietta Rosato
T 3404722974
[email protected]
foto: Viviana Martucci
CoolClub.it C
L a W O O dst O C K
del da N u B i O
figli dei festival
dal 9 al 16 agosto Sziget
Festival -Ungheria
Da più di dieci anni Budapest, “la perla
del Danubio”, “la Parigi dell’est”, ospita
in agosto, nel suo cuore verde, l’isola di
Obuda, decine di migliaia di persone
provenienti da tutto il mondo, giunte in
Ungheria per partecipare a uno degli
eventi musicali estivi più eccitanti d’Europa:
il Sziget Festival. L’Italia, e in particolare la
Puglia, gode di un rapporto privilegiato con
questo mega-evento, grazie al lavoro e
alla passione dei ragazzi de “L’Alternativa”
che da anni collaborano con il festival
ungherese. Abbiamo contattato uno di
loro, Antonello Maggi, per approfondire un
po’ le nostre conoscenze sul passato e sul
presente della Woodstock del Danubio.
Il Sziget è nato nel 1993 come festival per
band locali, ma già dal secondo anno è
stato capace di richiamare artisti del calibro
di Jethro tull, Ten year after, Birds. Oggi è
diventato qualcosa di megagalattico. Tu
che hai vissuto praticamente tutto il suo
sbalorditivo sviluppo, avresti mai creduto
che si sarebbero potuti raggiungere certi
risultati, tanto da guadagnarsi il titolo di
“più grande festival europeo”?
Francamente non mi aspettavo una simile
evoluzione perché già il mio primo Sziget
(sto parlando di dodici anni fa) mi pareva
un evento immenso. Però, ricordo di aver
subito colto le straordinarie capacità
organizzative di quei pochi giovani che
sono riusciti a mettere su una macchina
così perfetta. E quando, in seguito, ho avuto
modo di conoscere personalmente tutto
l’organico che ci lavorava, e che ancora
ci lavora, mi è sembrata assolutamente
naturale questa crescita esponenziale.
Considerato che l’impegno di questi
giovani si è concretizzato in un momento e
in un contesto socio-politico decisamente
difficile, quello dell’est europeo, credo
che i risultati siano da ritenersi più che
straordinari… C’è da imparare molto da
questi popoli, che non perdono tempo
a piangersi addosso, che sposano ogni
forma di collaborazione e che hanno solo
voglia di riscattarsi: poche parole e tanti,
tantissimi fatti!
Anche quest’anno il cast è davvero
variegato. Quali sono i nomi che reputi più
interessanti? Personalmente sono ansioso
di vedere dal vivo i Deus, gli Exploited,
Femi Kuti (il figlio del mitico Fela - che sarà
anche nel Salento il 21 luglio ndr), e, lo
confesso, Robert Plant.
Anch’io “confesso” che Robert Plant
è tra i miei preferiti di quest’anno.
Ma personalmente ho imparato ad
apprezzare tutta la buona musica, ragion
per cui attendo con ansia le performance
più disparate: Radiohead, Ministry, Gogol
Bordello, Placebo, The Gathering, Natacha
Atlas, Enzo Avitabile & Manu Dibango… e
rivedo con piacere alcuni amici come Roy
Paci & Aretuska, musicisti eccellenti che
tengono alto il “made in Italy”! Poi, per
affinità artistiche, non posso esimermi dal
presenziare alcuni dei concerti più “cattivi”
proposti sul metal-stage: Cathedral,
Exploited, Fear Factory, Morbid Angel, Sick
Of It All… Ma non c’è Sziget senza una
buona dose di musica elettronica, che
quest’anno ospita in consolle: Anthony
Rother, Carl Craig, Mylo, Hernan Cattaneo,
Tiefschwarz, Layo & Bushwacka…
Ci sono anche alcuni artisti italiani, come
Jovanotti e Roy Paci e Enzo Avitabile.
Quanto è diffusa la musica italiana
‘alternativa’ da quelle parti?
Anche in questo gli ungheresi (e, secondo
me, non solo loro nell’Europa dell’est)
dimostrano di avere un’ottima cultura
musicale. A differenza, ad esempio, dei
tedeschi che hanno accolto a braccia
aperte i vari Ramazzotti e Pausini, già da
anni gli ungheresi ospitano e ci richiedono
nomi, come Subsonica, Mau Mau, Modena
City Ramblers, Africa Unite, Sud Sound
System, 99 Posse, Linea 77, Almamegretta,
Banda Bassotti…Ciò denota un’attenzione
straordinaria per la musica di qualità e
riscatta noi italiani dal solito stereotipo
“pizza, spaghetti e mandolino”, di cui è
pregna anche quella musica commerciale
che, ahinoi, ci rappresenta nel mondo.
La caratteristica principale del Sziget è la
sua capacità di abbracciare davvero ogni
genere artistico-musicale. Come sono
suddivisi gli artisti: ci sono diverse aree per
ogni genere? E quali sono le attività e gli
eventi collaterali?
Il Sziget Festival nasce in un momento storico
in cui era improponibile un evento musicale
così eterogeneo. Ma questa scelta, che io
CoolClub.it
ritengo essere nobile, col tempo ha dato
ragione al Sziget, che ha fatto scuola in
questo senso ed ha aperto molte menti.
Oggi la convivenza di generi musicali, stili e
culture disparate all’interno di un raduno è
diventata un trend imprescindibile. Il Sziget
si svolge sulla verdissima isola (in ungherese
“sziget”) di Obuda, che per tutto il periodo
del festival si trasforma in una vera e
propria cittadina attrezzata di ogni servizio,
pronta ad accogliere circa 100.000
campeggiatori. All’interno della stessa area
sono disseminati i 60 stage che ospitano
ognuno un genere musicale diverso, ma
non solo… infatti, il Sziget è anche teatro,
mostre, installazioni, danza, rassegne video
e cinematografiche, sport estremi, cucina
internazionale… un’immensa vetrina per
artisti ed artigiani provenienti da tutto il
mondo. A tutto ciò vanno aggiunte aree
ludiche per bambini, molteplici follie e
spettacoli extracalendario improvvisati da
artisti di strada che, spesso, finiscono col
rapire i visitatori distraendoli anche dagli
eventi principali… ed è questo, a mio
avviso, lo spirito giusto con cui va affrontata
l’esperienza dell’isola di Obuda.
In effetti, credo che la cosa più affascinante
sia proprio la sua vastità e la sua ecletticità.
Ci sono così tante cose e così diverse che il
rischio è quello di perdersi nel marasma...
ma probabilmente è proprio questo
lasciarsi andare la cosa più bella, vero?
Senz’altro! Vivere il Sziget è un po’ come
essere in un gioco virtuale che cambia ad
ogni quadro: più lo si esplora, più ci si abitua
ai suoi ritmi e più si resta rapiti. Ed, infatti, in
tantissimi lo aspettano tutto l’anno, fino a
raccontare simpaticamente sul forum del
nostro sito ufficiale di avere delle vere e
proprie crisi di astinenza da Sziget!
A Bari ci saranno le selezioni per partecipare
con la propria band al festival. Ma non solo,
ci sarà la possibilità di esser selezionati
per dei festival italiani, ci saranno ospiti
speciali, dj e vj. Giustamente, avete deciso
di nominare il tutto Sziget Sound Fest.
Parlaci dell’edizione 2006.
Per questa edizione, in qualità di direttore
artistico, ho selezionato dodici band
emergenti pugliesi, ognuna proponente
un genere diverso. In palio, oltre alla
partecipazione al Sziget Festival 2006,
ci sono altri due premi prestigiosi: una
esibizione dal vivo al M.E.I. Fest di Faenza
(meeting delle etichette indipendenti) ed
una al Neapolis Festival. Le due serate di
selezioni si sono tenute il 2 e il 3 giugno e
la serata finale il 10 giugno. Si esibiranno:
Modaxì, Astrea, Contrada Caipiroska,
Queimada, Orient express, The Carving,
Ushuaia, Il kif, Ragion pura, Godyva, Rocky
horror fuckin’ shit, Jolaurlo. In ognuna delle
tre serate del festival è previsto un gruppo
ospite: Marta sui tubi (2 giugno); Bambole
di pezza (3 giugno); Ozric Tentacles (10
giugno). Le esibizioni dei gruppi ospiti
saranno sempre seguite da dj e vj set. In
particolare segnalo la crew di lab080 che
il 10 giugno, dopo il concerto degli Ozric,
prolungherà la maratona elettronica con i
dj set di Arpino e Doraemon.
So che organizzate anche dei viaggi
dall’Italia per raggiungere l’isola di
Obuda. Come funzionano e come si fa per
aderire?
Sono dieci anni che organizziamo viaggi
dall’Italia per il Sziget ed ogni anno
aggiungiamo nuove partenze. I viaggi
sono comprensivi di ogni servizio e per
alcune città c’è la possibilità di scegliere
tra autobus ed aereo. Inoltre, siamo in
grado di procurare alloggi alternativi
al campeggio dell’isola di Obuda con
sistemazione in comodi appartamenti nel
centro di Budapest. Ogni informazione
a riguardo la si può trovare sul nostro sito
ufficiale (www.szigetfestival.it) dal quale è
anche possibile effettuare la prenotazione.
Mi preme aggiungere solo una cosa: chi
decide di vivere l’esperienza del Sziget,
data la durata della manifestazione (7
giorni + 1 di start, 24 ore su 24!), ha tutto il
tempo di visitare anche la città di Budapest,
una delle più belle capitali est europee.
Davide Rufini
figli dei festival
Festival internazionali
dal 9 all’11 giugno
Isle of Wight Festival Seaclose
Park - Inghilterra
Info: www.isleofwightfestival.org
dal 15 al 17 giugno
Sonar Barcellona - Spagna
Info: www.sonar.es
dal 23 giugno al 2 luglio
New Orleans Jazz Ascona
Canton Ticino (Svizzera)
Info: www.jazzascona.ch
dal 25 giugno al 2 luglio
Roskilde Festival - Danimarca
Il più grande festival
musicale del Nord
Europa si tiene a
Roskilde
(35
km
da Copenhagen).
Il
programma
m u s i c a l e
spazia
dal
rock
contemporaneo all’elettronica, dall’hip
hop al jazz passando per la etno e molto
altro ancora. Tra i grandi nomi di questa
edizione ci saranno: Bob Dylan, Roger
Waters, Morrissey, Placebo, Guns’n’roses,
Franz Ferdinand (foto) , Sigur Ròs,
Arctic Monkeys, Rufus Wainwright, Tool,
Coldcut, The Streets e tanti altri non
meno importanti. Il prezzo del biglietto è
180 Euro (biglietto di 8 giorni, valido dalla
domenica). Info: www.roskilde-festival.it
dal 29 giugno al 16 luglio
Vienna Jazz Festival Vienna
Austria
Info: www.viennajazz.org
dal 30 giugno al 2 luglio
Eurock Belfort - Francia
Info: www.eurockeennes.fr
dal 30 giugno al 15 luglio
Montreux Jazz Festival Montreux
Svizzera
Info: www.montreuxjazz.com
dal 30 giugno al 2 luglio
Wood Stage Roitzschjora
Germania
Info: www.woodstage.de
dal 4 all’8 luglio
Quart Festival Kristansand
Norvegia
Info: www.quart.no
dall’11 al 12 luglio
Rockwave Festival
Grecia
CoolClub.it C
figli dei festival
Atene
-
Info: www. didimusic.gr
dal 13 al 16 luglio
Dour Festival – Belgio
Quattro giorni di musica alternativa,
indipendente con uno spazio riservato ai
gruppi emergenti. Sei palchi dalle 11 del
mattino sino all’alba del giorno dopo. Nel
cartellone Maxïmo Park, Miss Kittin dj set,
Primal Scream, Mercury Rev, Capleton,
Adam Green, Nada Surf (solo per fare
alcuni nomi). Il biglietto giornaliero costa
32 euro. L’abbonamento ai quattro giorni
è di 70 euro. Info: www.dourfestival.be
dal 20 al 23 Luglio
Benicassim - Spagna
Andare a Benicàssim è come calarsi
in una realtà parallela, esporsi a una
valanga di sensazioni che concorrono
a creare un’esperienza che non ha
confronti. Un luogo dove incontrarsi con
migliaia di persone che arrivano da tutto
il mondo, un’armonia pacifica nella
quale condividere eccitanti emozioni e
incontenibili entusiasmi. Una settimana
sulle rive della Costa Azahar proprio
nel pieno dell’estate, per una vacanza
autenticamente intensa (dal sito www.
mtv.it). Tra gli ospiti Scissor Sisters, (20
luglio), Echo & the Bunnymen, The
Pixies, Babyshambles, Lou Barlow e The
Strokes (22), Franz Ferdinand e Morrisey
(22) Depeche Mode, Madness, Deus e
Placebo (23). Info: www.fiberfib.com
dal 24 al 26 agosto
Reading Festival - Inghilterra
Il Reading Festival è il più vecchio
festival musicale inglese, la prima
edizione risale infatti al 1960. Nel cast
di quest’anno Franz Ferdinand, Kaiser
Chiefs, Audioslave, Feeder, Bell &
Sebastian, (venerdì 24 agosto); Muse,
Arctic Monkeys, The Streets, Yeah
Yeah Yeahs (sabato 25); Pearl Jam,
Placebo, Slayer, (domenica 26). Info:
www.readingfestivalonline.co.uk
AMORe e MusiCa,
AuguRi AReZZO Wave
dall’11 al 16 Luglio Arezzo - Italia
C’è aria di festa ad Arezzo Wave. Quest’anno
uno dei più grandi festival italiani festeggia
il suo ventesimo compleanno. Quale
occasione migliore per parlarne con il suo
“patron” Mauro Valenti.
Prima di tutto auguri. Venti anni di
amore e musica, venti anni di un festival
che quest’anno decide di festeggiare
alla grande. Mi anticipi qualcosa?
Grazie
per
gli
auguri!
Quest’anno
festeggiamo il nostro ventesimo anno di età
e lo faremo in modo stellare, extraterrestre!
Sì, perché il fil rouge di questa edizione 2006
di Arezzo Wave sarà lo spazio; avendo ormai
coperto tutte le aree geografiche, abbiamo
deciso di rivolgerci all’altro, all’alieno. Ma,
se vuoi dei nomi, posso dirti che ad Arezzo
Wave, che ti ricordo sarà dall’11 al 16
Luglio, si potranno ascoltare Caparezza,
Sinead O’Connor, Daniele Silvestri, Skin
e Gianna Nannini, Mau Mau, Marlene
Kuntz, Roy Paci, Greg Dulli, Bandabardò,
Verdena, Baustelle, Africa Unite, Giuliano
Palma. Accanto a questi nomi famosissimi,
ci saranno anche gruppi meno conosciuti
nel nostro Paese ma di altissimo livello tra
le novità dell’Europa, degli Stati Uniti e di
altri paesi. Per fare alcuni nomi, ci saranno
Cocorosie, zZz, Baba Zula, Gogol Bordello,
Susheela Raman, Bersuit, N’Guyen Le,
Kaizers Orchestra e i Sunshiners, molti di
loro per la prima volta in Italia, come Soil
& Pimp Sessions che arrivano direttamente
da Tokyo. Altri appuntamenti interessanti
saranno nei palchi della mattina e del
pomeriggio dove Marky Ramone insieme
a Super Elastic Bubble Plastic e Hormonauts
daranno vita a un tributo ai 30 anni dalla
nascita dei Ramones. Per il popolo della
notte, invece, nei palchi di Elettrowave si
alterneranno Carl Craig, Laurent Garnier,
Jimmy Edgar, Alex Neri&Planetfunk e molti
altri.
Nel corso di tutta queste edizioni Arezzo
Wave è sempre cresciuto, non solo palchi
dedicati alla musica, ma molto di più, ce ne
parli?
Arezzo Wave nasce come festival
esclusivamente musicale, ma negli anni
abbiamo dovuto aprire le porte a molte
altre forme di arte perché la cultura e la
creatività si manifestano in un’infinità di
modi e noi vogliamo dare voce a tutti
ma soprattutto vogliamo che il nostro
pubblico coltivi interessi variegati, che
continuino ad essere curiosi. Così, uno alla
volta, sono nati i palchi collaterali, ma non
secondari, a quelli musicali. Da qualche
anno abbiamo il Word Stage, un luogo
dove si parla di letteratura con scrittori del
calibro di Lucarelli, Baricco e Sepulveda.
C’è ComicsWave, lo spazio dedicato ai
creatori e agli amanti del fumetto, c’è
CabaWave, che prevede un concorso per
giovani cabarettisti e una finale durante il
Festival con la partecipazione di nomi già
affermati della comicità nazionale. Ma c’è
anche un palco per il cinema, quest’anno
il collaborazione con Fandango, uno per il
teatro, uno per la musica polifonica, uno
per il cibo…
La filosofia del festival in poche parole...
Siamo un Festival con il cuore. La nostra
mission è valorizzare la diversità culturale e la
creatività. Non diamo niente per scontato,
cerchiamo di essere sempre curiosi verso
CoolClub.it
figli dei festival
BAUSTELLE
Festival italiani
dal 1 giugno al 22 luglio
Pop Eye Festival - La Spezia
le nuove proposte, di prestare attenzione
soprattutto alla qualità e quindi, invitando
il nostro pubblico a seguirci sempre,
soprattutto quando si parla di sostenere il
valore delle diversità culturali, cerchiamo
di incentivare la sua crescita non solo in
termini quantitativi.
Arezzo Wave è da sempre gratuito, a
differenza degli altri festival, perché?
Come fate?
Per quanto riguarda questo aspetto,
quest’anno c’è una novità: siamo stati
costretti ad inserire un biglietto per
l’ingresso al Main Stage. In linea di principio
il festival resta comunque gratuito, al
pubblico la scelta se pagare o meno!
Fino alle 21.15 si continuerà ad entrare
liberamente allo Stadio Comunale, dopo
di che si pagheranno 5 euro per poter
assistere ai concerti degli headliners. Non
è stata una scelta facile da prendere, ma
si è resa necessaria fondamentalmente
per due motivi: il primo è di carattere
puramente economico in quanto i fondi
che fino ad ora ci venivano dalle Istituzioni
(in particolare da Regione e Comune)
sono stati drasticamente ridotti. Il secondo
motivo è invece di carattere più ideologico:
vorremmo che anche i gruppi che sono i
primi a salire sul Main Stage (molti dei quali
di qualità eccellente e provenienti da ogni
parte del mondo) avessero una quantità
maggiore di pubblico.
Arezzo Wave oltre ad ospitare nomi di fama
internazionale è anche una importante
vetrina per band emergenti... qual è il
rapporto con i nuovi fermenti musicali?
Arezzo Wave per i giovani gruppi
emergenti italiani, e non solo, è una vetrina
molto importante, un punto di partenza
dal quale poter iniziare una carriera nel
mondo dello spettacolo. Non pochi degli
artisti che hanno suonato nei nostri palchi
quando erano completamente sconosciuti
sono poi diventati molto famosi. Un nome
per tutti? Ben Harper, che ha suonato ad
Arezzo Wave come proposta e oggi è
diventato quello che tutti conoscono.
Arezzo Wave è come una grande famiglia
che ha parenti in tutta Italia ed è sempre
aperta alle adozioni, tra antenne e
responsabili regionali si è in tanti, come
funziona questa rete?
Arezzo Wave è esattamente una grande
famiglia. In molti lavorano perché la
macchina del festival che dà mostra di sé
durante la settimana di Luglio, ma che in
realtà esiste tutto l’anno, continui a portare
i risultati di partecipanti e pubblico ai quali
siamo abituati. I responsabili regionali e le
antenne, che oggi sono diventate 232,
sono gli occhi, le orecchie, le braccia della
Fondazione Arezzo Wave Italia in tutto il
territorio nazionale. A loro spetta il compito
di monitorare l’orizzonte musicale nazionale
e raccogliere tutte le proposte dei giovani
talenti per poi operare le selezioni che
portano alla scelta dei gruppi che si
esibiranno nei palchi di Arezzo Wave.
Invita i lettori di Coolclub.it alla nuova
edizione di Arezzo Wave...
Dall’11 al 16 Luglio 2006 venite ad Arezzo
Wave Love Festival, parteciperete alla
festa di compleanno più divertente della
vostra vita!
Osvaldo Piliego
Pop Eye nasce nell’ambito di un network
denominato
Metamorphosea
che
comprende i festival Neapolis di Napoli
e Primavera Sound di Barcellona. Il
programma di prevede (tra gli altri): Lou
Reed (1 giugno), Ivano Fossati (29 giugno),
Notte del Salento feat. Nidi D’Arac (21
luglio), 24grana-Alamamegretta-BiscaDaniele Sepe-O Zulù-Linea 77 (22 luglio).
Info: www.popeye.it
dall’ 8 all’11 giugno
Rockando Parco del Villino Rossi
Povolaro (Vi)
Info: www.rockando.it
dal 9 al 10 giugno
Miami Festival - Milano
Info: 02.30351633 – [email protected].
Ingresso: 7 euro;
abbonamento due giornate: 10 euro.
dal 9 all’11 giugno
Rumble festival - Milano
Info: 02 36533507;
[email protected]
dal 15 giugno al 28 agosto
Salento Negroamaro – Provincia
di Lecce
La sesta edizione della
Rassegna delle culture
migranti organizzata
dalla
Provincia
di
Lecce, che include
musica, libri, cinema,
teatro,arte, è dedicata
all’Africa. Tra gli ospiti
(nell’ambito musicale) Lokua Kanza (7
luglio a Maglie), Tambours De Brazza
continua a pag. 34
Keep Cool
Pop, Alternative, Metal, Elettronica, Lounge,Italiana, Indie
la musica secondo coolcub
K I M G OR D ON
Sonic Youth
Rather Ripped
Geffen
L’indie rock/*****
Niente ma e niente se. Quando si parla di
loro non transigo e sono pronto a negare
anche l’evidenza. I Sonic Youth sono la mia
prima volta, la mia iniziazione musicale e
come tale sono uno dei più bei e anche
dei più traumatici ricordi che custodisco
gelosamente nel mio cuore. A rischio di
sembrare melenso e romantico posso
affermare candidamente che senza di
loro non sarei così: probabilmente non
avrei impugnato le bacchette, forse non
ci sarebbe questo giornale... Questa
stupida parentesi serve solo a spiegare,
nel piccolissimo, quale influenza e peso
un gruppo come i Sonic Youth abbia
avuto nel mondo della musica. Passando
dall’infinitamente piccolo ai grandi
spazi del mondo e della storia si può
semplicemente dire che i Sonic Youth
sono stati e sono ancora un gruppo
seminale, uno di quelli che ha influenzato
gli ultimi venti anni di rock alternativo.
Si possono trovare tracce della loro
paternità (o maternità) quasi ovunque.
Nati in piena no-wave, figli del punk,
hanno fatto del rumore (noise) il filo
conduttore delle loro strutture musicali a
tratti isteriche altre volte ipnotiche, sexy,
carezzevoli, altre ancora morbide come
una ninna nanna. Un percorso fatto di
dischi, varie collaborazioni (anche in
contesti di musiche cosiddette “colte”),
esperimenti e una solida coerenza, la
stessa che alle origini fece scegliere
loro
l’indipendenza
nonostante
i
corteggiamenti delle major. Oggi i Sonic
Youth sono cresciuti, hanno superato gli
anta, hanno messo su famiglia, ma non
hanno perso un briciolo del loro smalto e
della classe (provate a vedere Kim Gordon
sul palco). Il loro nuovo album Rather
Ripped, che uscirà in Italia il 13 giugno
ma si può già ascoltare per intero sul sito
della band (www.sonicyouth.com), è una
piacevole concessione alla “melodia”.
Parola pericolosa quando si parla dei
Sonic Youth ma che si tiene in bilico tra
le dissonanze di una splendida doppietta
in apertura (Reena, Incinerate) dove tra
arpeggi ritmiche essenziali e l’alternarsi
al microfono di Kim e Thurston riconosci
l’inconfondibile impronta di sempre. La
forma canzone ha svolgimento quasi
regolare, non mancano le svisate più
“soniche” e momenti più grintosi. Nella
cadenza di Do you believe in rapture
sembra a un tratto di sentire lo spettro
dei Velvet, l’attacco di Sleeping Around
sembra un tuffo nel passato ai tempi di
Dirty (1992). Ma c’è un’aria diversa, uno
stato emotivo che attraversa le canzoni.
Alcuni la chiamano maturità, altri
consapevolezza, basta sentire Jams run
free per capirlo. Il suo incedere ansimante
ma allo stesso tempo rilassato sono
l’immagine di una band che non ha perso
la passione ma ha messo da parte, forse,
le escandescenze giovanili. Può il rumore
diventare silenzioso? Ascoltate il tappeto
di Rats. E come non ci si può innamorare
ancora una volta di Kim Gordon dopo
aver ascoltato Turquoise Boy (6:14, con
tanto di inciso con muro di chitarre noise).
La mancanza di Jim O’Rourke (per un
periodo unitosi alla formazione originale
e ora tornato ai suoi mille progetti) non si
sente, segno che l’assenza di una figura
geniale come la sua non ha inficiato la
grande ispirazione dei “ragazzi sonici”.
Alcuni diranno sempre la stessa minestra,
altri è il mio piatto preferito e ne mangerei
a valanghe.
Io sono tra i secondi.
Osvaldo Piliego
KeepCool
10
Snow Patrol
Eyes Open
Polydor
Brit pop/***
là, di superare il risultato ottenuto con
il precedente. Alla fine, nonostante il
sottobosco di trame strumentali, l’idea
è quella di un quaderno di appunti. Il
tutto scritto con una grafia elegantissima,
non può non piacere, ma difficilmente
conquista. Musica da sottofondo, e non
credo sia un complimento. E pensare
che solo qualche tempo fa con When
it falls ci bevevo l’ultimo bicchiere e
accendevo il nuovo giorno. (O.P.)
Radio Dept
Pet Grief
Labrador
Pop/***
Il successo del precedente e bellissimo
The Final Straw ha montato attenzione
e pressione intorno agli Snow Patrol
e questo nuovo Eyes Open arriva a
giustificare i due milioni di copie vendute
e le vette delle classifiche conquistate
nel 2003. Titoli e numeri che nel mondo
del Brit-pop possono sparire nell’arco di
una manciata di settimane ed eclissarsi
come comete per sempre. Il loro ritorno
vale e pesa molto dunque. La formula
degli Snow Patrol pur rimanendo fedele
a quel suono tra Inghilterra e America,
qualcosa a metà tra i Sebadoh e i
Lowgold (a proposito di comete) ha in
sé la grande capacità di concentrarsi in
canzoni capaci di sprigionare dolcezza
anche da un muro di chitarre, di saper
alternare momenti intimi (bellissima
Set the fire to the tird bar in coppia
con Martha Wainwright) e crescendo
che (sarà l’originale irlandese?) hanno
un non so che di vagamente U2. Il
disco ha in serbo ottime cartucce da
classifica e uno stato di ispirazione
stabile, senza guizzi, senza cali. Merito
forse della splendida voce di Gary
Lightbody il disco catalizza l’attenzione,
trascina e poco importa dargli un
peso perché basta ascoltarlo. (O.P.)
Zero 7
The Garden
Atlantic/ Warner
Downtempo/ ***
Prima miscelatori di
canzoni per grandi
nomi, poi esordienti
compositori, ancora
dopo
fenomeno
inglese con When it
falls (2004), la riposta anglosassone ai
cugini francesi Air secondo alcuni. E dire
che i presupposti c’erano proprio tutti. Gli
elementi sembravano tutti ben disposti
sul piano di lavoro per costruire un disco
perfetto. Ma qualcosa non è andata. La
ricerca del down tempo a cadenzare
melodie un po’ retrò, un po’ futuribili, gli
inserti chill-out trendy ma non troppo, la
bossa da tastierina casio in stile Nouvelle
Vague trovano scarsa consistenza e
ingranaggi poco oleati in cui muoversi.
Sembra di sentire tra gli arrangiamenti
e le melodie la voglia di andare più in
Si apre con quello
che
sembra
un
omaggio ai Cure
l’ultimo album dei
Radio Dept, tastiere
che si perdono in
un’eco lontano, una
batteria
elettronica
new wave, accennati fraseggi di chitarra
effettati e lunghi come la malinconia. Poi
ci si risolleva, sempre restando in zona
eighteis shoegaze con un brano (la title
track) dai toni sognanti. Su questo clima
sospeso e aereo, i brani si susseguono
rilassati, soffiati quasi da una voce filtrata,
da batterie sottili e cascate di tastiere.
C’è grande passione per gruppi come
Jesus and Mary Chain, Prefab Sprout
ma anche New Order, Pet shop Boys,
le diverse anime di un decennio. Non è
bello come l’osannato Lesser Matters,
sembra librarsi a pochi centimetri da
terra senza mai decollare veramente
ma ci sono momenti, istanti preziosi,
in cui tutto riesce ad avvolgerti in una
spirale da cui non vorresti uscire. (O.P.)
Zutons
Tired of hanging around
Deltasonic – Sony
Pop/***
Mersey è il nome del
fiume che attraversa
Liverpool, mitica città
inglese che ha dato
i natali
ai
Beatles
e che sembra aver
mantenuto tutt’ora una
particolare fascinazione
per gli anni 60. Gli Zutons sono figli di
quello che è stato rinominato Merseyssipi.
Perché questi ragazzotti inglesi sembrano
venire, per certi versi, dal delta del mitico
fiume americano dove nacque il blues.
Nella loro musica c’è un approccio
molto black, soul, r’n’b, il tutto filtrato
passando attraverso il country, il funk gli
anni 80. il risultato è un mix di citazioni
in cui è piacevole ritrovare tracce di
band che ami (Rolling Stones, Sly and
the family stone, Talkin Heads e tanto di
più). Questo era il loro precedente Who
killed the Zutons? Questo, con dovute
variazioni sul tema, il nuovo Tired of
Hangin’around. Manca l’effetto sorpresa
dell’esordio ma il tiro è più o meno quello
ci trascina a pattinare in pista cosparsa
di apposito borotalco per evoluzioni
come tradizione di ballerino mod docet.
Provate ad ascoltare canzoni come
Why don’t you give me your love dal
retrogusto un po’ glam, la più rock Hello
Conscience, o il mid tempo di Valerie
e provate a stare fermi. E poi ci sono
i coretti, il sax che incalza e trascina,
che dire di più... buon divertimento.
(O.P.)
Ron Sexsmith
Time Being
V2
Folk-pop-country/****
Ron Sexsmith viene da
una terra, il Canada,
che vanta un tradizione
di song writer di tutto
rispetto (basta citare
Neil
Young).
Ron
Sexsmith è uno di quelli
che definiresti artigiano
della canzone, ha in sé il fascino del nerd,
quelli che all’apparenza non diresti ma
che nascondono un grande dono. Senza
curarsi delle mode, senza alzare troppo
lo sguardo fa le sue cose, canzoni dolci
che non serve a niente gridare, ma basta
cantare nel modo più semplice e vero.
Non ha paura di mettere in mostra i suoi
sentimenti come se ci si muovesse in un film
anni 50 (Reason for our love), è blues nel
senso più ampio del termine, folk perché
fedele a stilemi classici. Acustico, intimo,
lirico Ron Sexsmith è un sacco di cose
che ammaliano. Soffuse le sue canzoni ti
entrano dentro e hanno sangue, vigore,
quel mezzo sorriso per non prenderti
troppo sul serio e tutto quello serve per
ricordarti che di cuore vive l’uomo. (O.P.)
Juana Molina
Son
Domino/Self
Electro-folk/***
Non ben identificati suoni elettronici una tuba forse?- e
limpidi accordi di
chitarra
acustica
aprono questo disco.
Poi una delicata
voce spagnola inizia
a cantare. Stiamo
parlando di Juana
Molina e il suo nuovo quarto disco Son.
Lei è di Buenos Aires, volto noto della
televisione argentina, e le sue radici
latino-americane si ritrovano tutte nel
gusto folk di questo lavoro. Non c’è
solo questo però. L’attenzione della
Molina per le sperimentazioni digitali e le
contaminazioni tra generi diversi fanno di
Son un disco originale, che ben coniuga
tradizione e ricerca. Voce bassa e lenta,
atmosfere che richiamano spazi aperti,
chitarre soffici si equilibrano a vicenda,
creando dei ritmi di piacevole ascolto.
Nei commenti ai suoi tre precedenti
album è stata più volte accostata a Björk,
e proprio come Björk si dice assembli
i suoi lavori da sé, a casa. Con una
certa fantasia e originalità, a giudicare
dall’ascolto di Son. Perché in questo disco
KeepCool
c’è di tutto, dagli strumenti popolari quali
corni ai cinguettii di uccelli a vocalizzi
che imitano miagolii, tutto frullato insieme
per un electro-folk spagnoleggiante. Non
tutti i pezzi del disco rimangono sullo
stesso livello, ma si tratta comunque di un
lavoro interessante.
Valentina Cataldo
The Czars
Goodbye
Bella Union
Songs/****
Non è un disco estivo, questo va premesso.
Ma poco importa. Li ha scoperti e lanciati
Simon Raymonde (ex Cocteau Twins) e
questo la dice lunga sul clima musicale
in questione. Bisogna avere il tempo
necessario e la giusta predisposizione
per avvicinarsi a questo disco. Bellissimo,
inutile dirlo, vicino a tutta quella nutrita
schiera di dischi che cantano lo spleen,
vicini all’abisso, sorprendenti per spessore
musicale, capaci di mettere in piedi
ballate elettro acustiche minimali come
robuste. L’incedere da camera dell’intro
della commovente Goodbye, la marcia
country crepuscolare di Paint the moon,
l’incipit mistico di Hymn, la “pinkfloydiana”
My Love, la più incalzante I am the man,
il carillon jazzato di I saw a Ship e di Little
pink house il finale rock di Pain sono alcuni
dei brani che compongono un disco da
prendere con cura, da non sprecare.
(O.P.)
11
Thievery Corporation
Versions
lounge remixes/****1/2
Eric Hilton e Rob Garza
non hanno inventato
niente. E ne sono
consapevoli. Il nome del
loro gruppo, tradotto, è
semplicemente
“una
corporazione di ladri”.
I Thievery sono cresciuti e hanno
accresciuto le loro doti musicali
acquistando vecchi vinili nei negozi di
Washington, la loro città. Ma anche
per essere ladri ci vuole classe. E questo
lavoro ne è forse la prova più evidente.
Pur nell’ennesima riproposizione della
loro formula lounge, bellissima anche
se ripetitiva alla lunga, è con queste
Versions che i Thievery hanno pescato
l’asso vincente. Dopo il mezzo flop di The
Cosmic Game, l’ultimo cd tutto loro, i due
dj impongono il loro classico mood su tutte
le canzoni scelte per essere “riviste” (e la
grandezza di un cd di remix sta anche
nella selezione delle tracce). Alcune
migliorano addirittura rispetto all’originale
(The desert di Emilie Simon), su altre era
proprio impossibile migliorare ancora
(Angels dei Wax Poetic). Protagonisti
più o meno consapevoli anche i Doors,
con Strange Days, Sarah McLachlan, e la
generazione Gilberto (Astrud e Bebel). Un
cd senza punti deboli, bello dall’inizio alla
fine, buono per un cocktail, una cena un
po’ chic, una notte d’amore. Magari in
loop.
Dino “doonie” Amenduni
Sud Sound System
Live and direct 2006
Salento Sound System/V2 Records
Reggae/****
Quando salgono sul palco la piazza salta, i
locali si infuocano, il dialetto salentino risuona
mischiato a strani accenti piemontesi,
toscani, padani. I Sud Sound System, con
un po’ di retorica, sono i paladini della
salentinità in Italia (e non solo). Dopo
più di dieci anni di carriera discografica
esce il primo cd live, registrato il 22 marzo
all’Alcatraz di Milano. E non è l’unica
sorpresa per gli appassionati. La confezione,
prodotta da Salento Sound System e V2
Records, contiene anche un Dvd molto
ricco e ben curato con le interviste a Terron
Fabio, Don Rico e Nandu Popu, i video clip, i
brani live, il backstage e altro ancora. Audio
e video che raccolgono quello che i Sud
sanno fare meglio: cantare e mpunnare di
fronte al pubblico, accompagnati dalla Big
a riddim Band. E non è un caso che la lista
dei concerti previsti per questa estate sia
lunghissima.
Pedroso
Samuele Bersani
L’aldiqua
Ricordi/SonyBmg
Canzone d’autore/****
La nuova scuola cantautorale emilianoromagnala passa inevitabilmente da
questo (ormai non proprio) giovanotto di
Cattolica. Samuele Bersani, a tre anni di
distanza dall’osannato Caramella Smog,
torna con L’aldiqua. È inutile sprecare
troppe parole sulla vena artistica del
cantautore, consolidata dagli anni
e dalle belle canzoni, forse è meglio
focalizzare l’attenzione sulla sua crescita
nelle scelte di produzione del disco
che suona meno piatto e più caldo dei
precedenti (questa è l’impressione). Il cd,
aperto da una convincente Lascia stare,
si muove tra sottile ironia (La soggettività
del pollo arrosto, Il maratoneta e
Maciste), impegno civile (Occhiali rotti,
dedicata al giornalista Enzo Baldoni
ucciso in Iraq, Lo scrutatore non votante
e Sicuro precariato) e (più o meno) dolci
ballate (Sogni, Una delirante poesia,
Come due somari – che richiama calde
atmosfere sudamericane). Forse, ed è
l’unico peccato de L’aldiqua, manca un
brano memorabile.
Pierpaolo Lala
KeepCool
12
Nathan Fake
Drowning in a sea of love
Border community rec.
Indietronica/****
Questo ragazzo appena ventitrenne
è bravo davvero. Il suo ultimo album
Drowning in a sea of love ci lascia
intendere come il ragazzo abbia imparato
in fretta la lezione dell’elettronica
applicando le sue conoscenze in undici
tracce di indubbia bellezza.
Fresco ed originale, riesce a ficcar
dentro svariati panorami elettronici degli
ultimi anni: dall’electro alla minimal, alla
techno, facendoli confluire in una dolce
indietronica che strizza l’occhio a tutte le
nuove produzioni glitch pop degli ultimi
tempi, senza per questo uniformarsi a
queste.
Dai Mum ad Aphex Twin, passando per
Mogwai, Boards of Canada, Pan Sonic,
un miscuglio eterogeneo che non stona
mai. Charlie’s House, Bumblechord, You
Are Here, tra le tracce migliori, anche se
la scelta è ardua. Dolcezze indietroniche
da un mondo naif, come già la splendida
cover lasciava presagire, ci introducono
in un sogno tanto allegro (You are here)
quanto teneramente malinconico (Long
Sunny).
In definitiva un lavoro da laptop e
cameretta ben riuscito; ed ora si ha
già fame delle sue prossime creazioni. Il
futuro, visto l’età, è tutto suo.
Federico Baglivi
Gomez
How we operate
Ato
Indie/***
Sembra ieri ed invece
sono
passati otto
anni da
quando,
nell’Inghilterra
di
Radiohead,
Verve
e
Massive
Attack,
iniziavano ad irradiarsi
le
contagiose ed
accattivanti
melodie di Bring It On,
felice esordio di questo simpatico gruppo
del nord-est. Maturi e capaci come non
diresti di cinque sbarbatelli che hanno
appena finito le scuole, i Gomez si fanno
subito apprezzare per la disinvoltura
con cui maneggiano tante cose.
Folk e blues bianco, rock e
altcountry, mescolati con stile e fare
scanzonatamente pop. Chi all’epoca
puntava su di loro oggi non si pente, tranne
la Virgin forse (loro etichetta di sempre),
che due anni fa li lasciò per strada.
Oggi tornano con un nuovo disco,
nuova etichetta, e per la prima volta,
si avvalgono di un produttore esterno
come Gil Norton (Doolittle dei Pixies
vi dice niente?) che si fa notare per
la chiarezza con cui incasella gli
elementi della loro poliedrica scrittura.
Abbandonati i volumi da stadio del loro
ottimo precedente Split The Difference,
ora i nostri si concentrano maggiormente
su melodie e parole che si fanno più spesse
che mai, intime, talvolta un po’ scontate e
ridondanti, ma si tratta sempre di canzoni
spigliatamente leggere e dal piglio facile.
Dolci e rassicuranti come le commedie
romantiche di Meg Ryan alla tv,
piacevolmente consueti come gli auguri
il giorno del tuo compleanno, ai Gomez
non si può non voler bene. Anche quando
ti aspetteresti qualcosa di più.
Giovanni Ottini
Lou Rhodes
Beloved one
Infinite bloom
Folk ballad/***
Finisce
l’amore
e
finiscono i Lamb, uniti ai
Moloko in un destino
assolutamente identico.
Inspiegabilmente
ignorati dal grande
pubblico
nonostante
la notissima Gorecki
(colonna sonora di uno spot di crociere
di qualche anno fa), raggiungono un
improvviso successo quando grazie alla
colonna sonora del film Tre metri sopra il
cielo tutti (o quasi) gli adolescenti iniziano
a cantare a squarciagola le prime strofe
di Gabriel. Purtroppo questo boom nel
nostro Paese è coinciso temporalmente
con
lo
scioglimento
del
duo.
Louise Rhodes ed Andrew Barlow
erano uniti non solo musicalmente,
erano anche marito e moglie, e così la
prima prova solista della cantante è un
episodio fortemente intimista, che non
può non risentire della separazione.
Lou, una delle voci più brillanti della
scena anglosassone (se non di più)
degli ultimi 15 anni, dà corpo ai suoi
pensieri in un’opera di songwriting
che
purtroppo
non
è
possibile
cogliere a un ascolto disattento.
Svincolata dai ritmi sincopati, a volte
addirittura ossessivi (ma era anche
questo il bello dei Lamb), la sua voce
può
essere
l’unica
protagonista.
Allo stesso tempo l’album appare
musicalmente un po’ scarno, anche
se probabilmente questo era già nelle
intenzioni della cantante la quale, a
parte un paio di episodi realmente
felici (la title-track su tutte) non
riesce a emozionare sin da subito.
Un cd per cultori.
Dino “doonie” Amenduni
Candi Staton
His hands
Honest Jons/Astralwerks
Soul/****
Stando alla sua bio,
la nostra Candi (66
anni suonati) a sfiga
se la gioca con la
più famosa Tina:
alcolismo ­ vinto con
20 anni di chiesa, ‘sti
Americani! ­Matrimoni
sbagliati, botte e soprusi. Dopo un best of
uscito nel 2004, ritorna on stage rinnovata
in tutti i sensi. Sweetheart of gospel per gli
amici, alternativa “dannata” all’Aretha,
la Staton partorisce 4 dei 10 pezzi inclusi
nell’album, registrato nella Beech House
(Nashville) di Mark Nevers (leader dei
Lambchop) e prodotto da Will “Bonnie
Prince Billy” Oldham (autore della
title-song): His hands, dalle mani di un
bastardo a quelle del Redentore, questo
il senso. La leggenda narra che Candi
la canti al telefono e Oldham pianga a
dirotto. Ascoltare per credere. Un ritorno
maiuscolo dell’indimenticabile interprete
di Young hearts run free.
Rakelman
Built to spill
You in reverse
Warner
Rock / ****
I
Grandaddy
si
sciolgono,
ma
per fortuna in giro
c’è ancora gente
come i Built To Spill.
You in reverse è la
rivincita dopo la
tiepida accoglienza
riservata ad Ancient
melodies of the future (2000). Obiettivo
centrato, si direbbe. Forte senso di libertà,
slide guitars, echi di Neil Young e guizzi
elettrici danno vita a lunghi brani registrati
in presa diretta. Evviva il coraggio del
primo singolo Goin’ against your mind,
che per quasi 9 minuti frulla desert rock
e new wave con “stupore”. E tanta
psichedelia si respira in Wherever you go,
Conventional wisdom e Gone, vero valore
aggiunto ad un album eccezziunale. Poi
la malinconia tutta californiana di Traces;
Liar, lo-fi pop da ballare all’happy hour in
spiaggia, l’appeal hard di Mess with time
e pure il mantra elettro-velvettiano Just a
habit.
Rakelman
The Vines
Vision Valley
Capitol/EMI
Pop / ****
Brevi, fresche, accattivanti: così sono le
canzoni che compongono questo terzo
album dell’ensemble australiano. 13
pezzi da un paio di minuti l’uno, ­ unica
eccezione i 6 minuti dell’ovviamente
psichedelica Spaceship in chiusura ­ nei
quali si alternano soffici momenti di 60’s
power pop (l’omonima Vision Valley) a
KeepCool
bastonante di rawck (!) sporco brutto e
cattivo (Gross out, fulmineo e irresistibile
secondo singolo estratto). Il primo singolo,
Don’t listen to the radio, è un pop rock
che non potrete fare a meno di ballare
nei vostri party estivi, parola d’onore.
Nicholls, front-man della band, dimostra
ancora una volta di riuscire ad essere
sguaiato come un accanito bevitore di
XXXX e smielato come un dandy con la
fissa per i Beatles. Per ora questo è il miglior
prodotto di casa Vines down here.
Rakelman
13
come originale anche se spesso queste
soluzioni post-core si assomigliano fra di
loro e fanno calare il livello d’attenzione
dell’ascoltatore.
Ennio Ciotta
Tool
10.000 Days
Volcano
Nu Metal/*****
Dopo una lunga assenza – cinque
anni passati ad aspettare il seguito
My dear killer
Clinical Shyness
Madcap collective/Under my Bed/
Eaten by Squirrels
Indie rock/***
Succede all’ improvviso:
siete in casa, bussano
alla porta, voi andate
ad aprire e chi ci
trovate? È Thruston
Moore dei Sonic Youth,
un po’ triste perché ha
troppi pensieri per la
testa (di cui non vuole parlare), ma ha in
mano un cd-r di canzoni intime di stampo
cantautorale che ha registrato in casa
da solo mentre Kim Gordon era al Mall
(centro commerciale americano).
Superando
rapidamente
questo
fantasioso volo pindarico atterriamo
“soffici” su My dear killer, all’anagrafe
Stefano S., che nella vita fa tutt’altro
che suonare, ma nonostante tutto ci
regala un disco costellato di canzoni
dai toni dimessi ma piene di sentimenti
forti. I suoi arpeggi, i suoi accordi e il
suo modo di cantare ricco di sensibilità
sono totalmente coperti da feedback
chitarristici. Non siamo di fronte ad un
mattatore, e di questo sono davvero
contento. Fragile, schivo e totalmente
indipendente, per me può bastare così.
Ennio Ciotta
Oshinoko bunker orchestra
Oshinoko bunker orchestra
Anti Dot
Rock/***
Oshinoko bunker
orchestra
nasce
dalle ceneri della
rock band De
Glaen, attiva dalla
metà degli anni
novanta con due
dischi
pubblicati
ed un tour insieme
allo scrittore Enrico Brizzi.
Anche in questo caso si parla di rock,
ma sicuramente più viscerale e carico
di tensioni. Il sound della band è scarno,
minimale e nervoso: spesso le sonorità si
ripetono in maniera ossessiva, quasi alla
ricerca di una catarsi nell’ascoltatore. Le
forme melodiche non sono riconoscibili
come tali e vanno ricercate nelle
sequenze di rumori chitarristici presenti
nei brani. La formula è stimolante e credo
che non abbia la pretesa di presentarsi
estremizzano, creando a sorpresa brani
coerenti e naturali. Ascoltiamo serratissimi
riff death-metal, growl rabbiosi e potenti,
accompagnati da grandi accordi
di hammond, alternati ad incursioni
acustiche, dove jazz, folk, goth e persino
momenti psichedelici fanno capolino,
fondendosi alla perfezione. Per non
parlare della preparazione strumentale e
vocale del leader e maggior compositore
Mikael, capace di esprimersi con
tecniche diverse sempre ad altissimi livelli.
Io reputo gli O., veri e assoluti protagonisti
della musica contemporanea, non solo
nel settore heavy, poiché propongono
realmente qualcosa di originale, senza
mai pensare cosa piace o non piace al
pubblico. In oltre giudico la loro opera
una sorta di laboratorio di ricerca e
sperimentazione musicale, dove un
gruppo di ragazzi ha deciso di innovare,
con stile e sonorità contemporanee,
quella che fu la grande esperienza
progressiva degli anni settanta.
Nicola Pace
Dark Lunacy
dell’entusiasmante Lateralus – e dopo
i dischi realizzati dai bravissimi A Perfect
Circle, ritorna finalmente la rabbia di
Maynard e compagni. Gli undici brani
di 10.000 Days, uno più entusiasmante
dell’altro, ripercorrono le psicosi degli
album precedenti, dall’oscuro Aenima
al penultimo Lateralus, ma con una
visione più moderna nelle architetture
melodiche. Un viaggio nella profonda
dimensione tooliana, con gli agenti
mentali claustrofobici, la psichedelia di
suoni e immagini, e alcune chicche. Tra
cui spicca Lipan Conjuring: un canto
sciamanico, da scenari lunari, che
sconfinano nella successiva Intension.
Molto “vecchio stampo” le tracce
iniziali: allucinazioni acustiche che,
senza scostarsi dalla forma consueta,
dimostrano però una notevole evoluzione
nei suoni. Insomma, i Tool sono tornati e
sono sempre loro: dei grandi maestri.
Giovanni Copertino
Opeth
Ghost revieres
Roadrunner /Universal
ProgDeathMetal/****
Gli Opeth sono una
di quelle band che
sin dagli esordi, ha
clamorosamente
diviso il pubblico in
due frange estreme
ed opposte. C’è chi
li considera non solo
grandi musicisti, ma una specie di semidei della musica (esagerati); dall’altra
parte quelli che li hanno da sempre
superficialmente bistrattati. Comunque la
band propone un difficilissimo connubio
fra death-metal e progressive anni
settanta. Il pregio fondamentale degli O.
è quello di non ammorbidire queste due
opposte influenze, al fine di amalgamare
più facilmente il tutto, ma al contrario le
The Diarist
Fuel/Self
Death-metal/****
Ottimo
ritorno
dei
parmensi Dark Lunacy,
dopo
l’acclamato
Forget me not del
2003. Ritornano con
il loro grande
e
monumentale,
drammatic
deathmetal;
essenzialmente
un
deathmetal molto teatrale coadiuvato da
numerosi arrangiamenti orchestrali. Le
composizioni di Forget…, riferibili ad un
tardo barocco, rompevano la forma
canzone, per costruire con gli ossessivi
e determinanti riff degli archi, antiche
forme strumentali. Questa volta in The
Diarist, la band ha confezionato un
lavoro più vicino alla forma canzone,
dove la componente sinfonica è
determinata da grandi inserti corali ed
orchestrali, facendoci assaporare un
certo tardo romanticismo. La massiccia
presenza di sinfonismo, non ha negato la
possibilità dei D.L. di essere taglienti ed
aggressivi, ma ne ha migliorato la propria
vocazione drammatica. The Diarist è
un concept incentrato sull’assedio a
Leningrado, durante la seconda guerra
mondiale, dei nazisti. Attacco a sorpresa,
al cuore pulsante della rivoluzione socialcomunista. Gli eventi raccontati, ci
spiegano come l’armata rossa seppe
reagire e respingere il nemico ( successo
che
galvanizzò
tutti i comunisti
del mondo). Sono completamente
soddisfatto non solo dell’operato dei
D.L., ma in genere di tutto il movimento
musicale italiano, che allontanandosi
da i soli e sorpassati stereo tipi rock,
comunica ai fan
storie e messaggi
intelligenti. Insomma Dark Lunacy=musica
colta+death-metal. Provare per credere.
(N.P.)
Carmen Consoli
KeepCool
14
Eva contro Eva
Universal
Pop d’autore/ ****
Carmen è finalmente Carmen. Non è più
la Janis italiana, non ha bisogno di piume
di struzzo e ammiccamenti alle sue
eroine. È una donna. Ha abbandonato
(per sempre) i capelli a caschetto per
una chioma folta, ha abbandonato (per
ora) la chitarra elettrica per ambizioni più
intimiste. Appare lenta, saggia, matura.
Aveva minacciato di mettere in piedi un
ultimo album da due milioni di copie, e
poi sparire dalle scene. Ha costruito un
album quasi ostico, che sicuramente non
farà il botto nei negozi di dischi.
Il singolo, Signor Tentenna, non di discosta
troppo dalle sue abitudini melodiche,
Sulle rive di Morfeo potrebbe anche
essere un nuovo Ultimo bacio, il quadro
di una Sicilia afosa o forse di un’Italia
ancora poco ispirata non manca (Maria
Catena). Poi basta. Per il resto cambia
tutto. Ambientazioni pop-folk, testi
probabilmente mai così ispirati (Tutto su
Eva è tra le 5 migliori canzoni di sempre
della Cantantessa), all’interno dei quali si
intravedono anche riferimenti alla politica
e alla società, elemento abbastanza
evidente nel “blob” curato da Enrico
Grezzi e proiettato nelle date del tour.
Carmen ha oramai una sua chiara
personalità: per questo, chi la amava, la
amerà ancora di più. Chi la odiava, non
smetterà di farlo.
Chi non la conosce, probabilmente non
verrà rapito da quest’album, troppo fuori
dagli schemi discografici attuali. Peccato
per loro.
Dino “doonie” Amenduni
Assalti Frontal
Mi sa che stanotte…
Il Manifesto
Hip hop/****
A distanza di due anni dall’acclamato
Hsl, gli Assalti Frontali - la più coerente,
poetica e politica entità rap del nostro
Paese - ritornano con un disco nuovo
di zecca che li vede ancora indiscussi
protagonisti di un’epopea che a più
di 15 anni da Batti il Tuo Tempo sembra
non conoscere cedimenti. Mi sa che
stanotte…, che esce ancora una volta
sotto l’egida dei materiali musicali de
Il Manifesto, è un grande disco di rap
urbano, dove poesia di strada e voglia
di denunciare soprusi vanno di pari passo
senza stridere. I testi di Militant A non
cedono mai allo “sloganismo” puerile ma
al contrario sono capaci di raccontare
con intensità fatti privati che assumono
facilmente una dimensione pubblica, nei
quali non è difficile riconoscersi. Le rime
di Luca, dicevamo, trovano in questo
nuovo lavoro, un supporto convincente
ed “evoluto” nei beat di Max Casacci
e nel talento del giovane Bonnot, in una
sintesi riuscita che risulta appagante
tanto per il neofita quanto per il fan di
vecchia data dando vita a strani ibridi
(Plus Militant, Gaia per Davvero, Dall’altra
parte) che innovano senza snaturare un
percorso musicale fiero e di rigore. Bello lo
scatto della cover, che fa il verso ad una
celebre istantanea che ritraeva Malcom
X, il che chiarisce meglio di mille parole la
sostanza barricadiera di un disco riuscito
ed emozionante.
Ilario Galati
Petra Magoni- Ferruccio
Spinetti
Musica Nuda 2
Radiofandango / Edel
Pop d’autore/****
La voce di Petra
Magoni è una
sorta di usignolo
schizofrenico
che s’arrampica,
si
spinge
ovunque senza
timore. Ferruccio
Spinetti e il suo
contrabbasso
s’accollano l’ardua impresa di tenerle
testa, e ci riescono divinamente. Sebbene
paresse difficile che potesse esserci un
seguito a Musica Nuda (Storie di Note,
2004), album in cui i due bombardavano
una manciata di covers a cui di fedele
alle originali restava giusto il titolo o poco
più, rieccoli con un doppio album che
comprende anche degli inediti. Quando
si è consci della propria, singolarissima,
personalità ci si può concedere il lusso
di rifare classici già riletti da cani e porci
(Come together, Over the rainbow) o di
rendere l’adattamento di Ne me quitte
pas di Brel cadenzato e a tratti isterico.
Si può ridurre alle ossa l’aria di un’opera
(Lascia ch’io pianga dal Rinaldo) e poi
pescare dal repertorio di Madonna (Like
a virgin) o Donatella Rettore (Splendido
splendente), correndo su un ponte che
va dalla ricerca al pop senza sembrare
incoerenti. Meno emozionante il secondo
cd in cui Petra e Ferruccio fanno gli onori
di casa a Stefano Bollani, alla bravissima
Monica Demuru e ad altri ospiti forse però
non molto graditi dall’ascoltatore.
È una vergogna che in Francia i due
siano così famosi e che da noi l’intensa Io
sono metà, con testo firmato da Pacifico,
non sia riuscita neppure a vedere le luci
dell’Ariston sanremese.
Lorenzo
Fiamma Fumana
Onda
Mescal
Etnopop/**
Dopo
1.0,
Home,
partecipazioni
internazionali
e
un
discreto
interessamento degli addetti ai lavori,
arriva Onda, la terza prova discografica
realizzata dai Fiamma Fumana. Undici
pezzi (più un remix) improntati alla inanità
KeepCool
melodica pressoché assoluta. L’energia
prodotta è discreta, i suoni freschi, le
collaborazioni di livello – da segnalare
la presenza di Peter Walsh in produzione
–, ma sono del tutto assenti spunti
melodici rilevabili. E non si rintracciano
né frasi acchiappone né contaminazioni
particolarmente ragguardevoli. La voce
di Lisa Kant e l’uso di strumenti etnici sono
i fattori maggiormente caratterizzanti,
capaci di dare qualche sfumatura
accattivante ai pezzi in scaletta, tuttavia
le canzoni proposte sono destinate a
perdersi nella memoria con inevitabile
precisione. Nel singolo Prendi l’onda
compaiono anche Lorenzo Cherubini e
Mc Navigator, invitati a fornire il proprio
talento al lavoro che avrebbe dovuto
portare ancora più in alto la band, ma
che finisce per essere un episodio poco
riuscito. Che va presto superato con altri
lavori, più spontanei e immediati.
Gianpaolo Chiriacò
Corde Oblique
Respiri
Ark
Folk/***1/2
Riccardo Prencipe,
oltre che chitarrista
abilissimo,
è
un
compositore gentile. Il
suo mondo è sospeso,
aurato, impalpabile.
E gentile (appunto)
giacché i brani non
mirano a conquistarsi
uno spazio sonoro ma
piuttosto a dissolverlo, abbandonandosi
a soffi sottili. Accantonato il progetto
Lupercalia, Prencipe elabora, con il
nuovo pseudonimo di Corde Oblique,
un lavoro meditato e ciò nonostante
ispiratissimo. La cura negli arrangiamenti
disvela una perizia maniacale ma anche
un gusto elevato, il cui risultato più valido
è probabilmente Ascesi: un insieme di frasi
che fluttuano sostenute dall’impertinenza
del clarinetto e dalla leggerezza degli
archi. A evidenziare l’eleganza e la
sensibilità dell’autore ci sono poi Orme, My
Promise, Dentro. Strumenti prettamente
acustici – percussioni, pianoforti, voci,
in aggiunta a quelli già citati – che si
cullano in atmosfere rarefatte e sognanti,
impregnate di un folk senza età e
suggestioni celtiche. Respiri richiede un
ascolto assorto, non è certo un disco
per tutte le situazioni, ma dedicargli del
tempo vale sicuramente la pena.
Gianpaolo Chiriacò
15
Ataraxia
Arcana Eco
Ark
Neofolk/***
Un tuffo nelle sonorità e nelle suggestioni
della musica antica. Atmosfere rarefatte,
esecuzioni raffinate e la voce di
Francesca Nicoli sono la cifra stilistica di
questa formazione emiliana (una pietra
miliare per gli amanti del genere) che
contempera folk, musica medievale e un
immaginario gotico. La confezione del
cd racchiude un secondo supporto: un
libro digitale con numerose informazioni
sul gruppo, interviste, e una carrellata
di visioni in vario modo correlate alle
composizioni degli Ataraxia e ad
Arcana Eco. I sette pezzi di quest’ultimo
si dividono tra versioni originali di
canzoni già pubblicate e composizioni
inedite. Proprio i lavori nuovi sono
indubbiamente il tassello più prezioso;
spiccano in particolare Mirsilio, un quadro
sfaccettato, retto da un andamento
chitarristico limpido e deciso, e Fire In
The Wood, un flamenco intorno al quale
il canto si avvinghia e contorce come
un’anaconda. La mancanza di varietà
appesantisce un po’ gli arrangiamenti,
nondimeno la grana sognante del lavoro
permette di abbandonarsi con trasporto
al suo fluire.
Gianpaolo Chiriacò
The Reverse
The Reverse
Copasetik Recordings
E chi lo dice che
l’elettronica italiana
non può sbarcare
all’estero?
A
chi
crede che il beat
catturato non sia
musica arriva The
Reverse, un progetto
unico nel suo genere.
Unire due tradizioni apparentemente
antitetiche: il turntablism (far girare
dischi, skracciare) il basso e la chitarra.
Mettere insieme dj Myke, Svedonio,
Lillo e un’infornata di ospiti, andare a
Londra da Nigel Godrich (Radiohead)
a farselo mixare, ad Abbey road (gli
studi dei Beatles) per la masterizzazione
(John lennon è tra l’altro omaggiato
con un versione incredibile di Imagine)
è pericoloso come confezionare una
bomba...e questa è riuscita benissimo. Il
groove è pazzesco prezioso, talentuoso,
gli strumenti sono il collante perfetto per
questo puzzle caleidoscopico. Dentro
c’è, rock, blues, hip hop, trip hop e chi
più ne ha più ne metta, roba che pompa
forte, spacca le casse. (O.P.)
Ushuaia
Disarmonie
Autoprodotto
Rock/*** 1/2
Tra le band salentine a persistere e
resistere nel segno della coerenza ci
sono sicuramente gli Ushuaia. Da sempre
fedeli al verbo del rock, cresciuti eppur
giovanissimi, si presentano oggi con
cinque nuovi brani. Le loro “disarmonie”
sono il risultato di un percorso che rispetto
agli esordi li vede raggiungere una
maturità che fa rima con personalità.
Se prima l’amore per i Litfiba e per certo
rock era evidente e dichiarato, oggi il
tutto ha un sapore più denso e corposo.
Sembra abbiano scelto di prendersi del
tempo, di ammorbidire alcuni toni, per
poi dirompere in generose aperture.
Fin dall’apertura di La verità è una
bugia, si respira un sound che ha corpo
e anima. Hanno il senso del pop, lo
afferrano un attimo prima del ritornello
che arriva e rimane in testa. Ciecamusa
si lascia trascinare compatta da inserti
di elettronica ed un groove lento e
grintoso. Cera (la migliore tra le cinque a
mio avviso) è ispirata, romantica, sottile
e potente allo stesso tempo come la
voce di Alfredo che sembra migliorare
e crescere con il tempo e sa ruggire
e sussurrare. La titletrack Disarmonie
è un funky rock dispari che esprime al
massimo le potenzialità e la grinta della
band. Lame nel cuore parte piano per
poi crescere ed esplodere generosa.
KeepCool
16
Psychocandy
Chiusi Dentro
Autoprodotto
Rock/***
La rabbia non è una
cosa che ti puoi
inventare, la grinta
non la compri insieme
con
l’amplificatore.
Gli
Psychocandy
tutte queste cose le
hanno in gola e nelle
mani, sono autentici,
abbastanza giovani da potersi permettere
un nome così pretenzioso ( Psychocandy è
un disco dei Jesus and mary chain) ruvidi,
abrasivi come qualcosa che dopo il suo
passaggio lascia un segno, un graffio, una
ferita.
Segnati dalla poetica decadente di Kurt
Cobain, dal suo urlo lancinante e i suoi
bicordi, affascinati dalla new wave e dal
sound robusto di gruppi come Melvins gli
Psychocandy potrebbero sembrare ai
più distratti vicini ai Verdena. Ma è solo
uno spunto, una radice comune, da cui il
gruppo parte per intraprendere un discorso
musicale personale. Piacevolmente acerbi
in alcuni frangenti, devono forse ancora
mettere a fuoco alcune cose, ma, merito
di un drumming convincente e di un tiro
compatto e nervoso promettono bene.
Vedremo.
Smoke
Smoke
V2 Records
Reggae/*** ½
Ha decisamente un
giusto sound questo
esordio degli Smoke.
Nulla di innovativo
o di trascendentale,
per
carità,
ma
nel
marasma
di
lavori reggae che
invadono gli scaffali dei negozi e le
piazze (soprattutto dalle nostre parti)
questo nuovo progetto, prodotto dalla
V2 e distribuito nei live dalla Wayout, ha
qualcosa in più. Smoke nasce dall’incontro
tra Alessandro Soresini (batterie, voci,
production), Gianluca Pelosi (basso,
production) e Marco Zaghi (sax, flauti,
production), che già avevano militato in
band reggae di rilievo,e include numerosi
musicisti italiani e stranieri (Zoe, Raymond
Wright, e Alborosie aka Stena). Tredici
brani, mixati in Giamaica, che mischiano
ritmi in levare, roots, blues e soul.
Pedroso
Kessler
Un altro giorno d’amore
Alternative Produzioni
Rock e altro/** ½
Insomma... non è
proprio un debutto
con
i
fiocchi
questo dei Kessler.
Quattro
ragazzi
che
propongono
Un
altro
giorno
d’amore, prodotto
da Riccardo Tesio dei Marlene Kuntz e
(in un paio di episodi) dall’elettroreggae
Madaski. Rock alternativo? Marlene?
Verdena? Subsonica?
I Kessler mettono dentro queste undici
tracce un po’ di tutto. Il risultato? Banale
nei testi, ripetitivo nelle melodie e nelle
composizioni ma ottimamente arrangiato
ed eseguito. (Pila)
Matmos
The Rose Has Teeth In The Mouth
Of A Beast
Matador
elettronica sperimentale/****
Drew Daniel e Martin
Schmidt,
in
arte
Matmos,
tornano
con
un
nuovo
entusiasmante
concept album di
pura sperimentazione
elettronica, 10 tracce,
ognuna delle quali
dedicata ad un personaggio famoso. Tante
ed importanti le collaborazioni per questo
nuovo disco (Zeena Parkins, Bjork, Laetitia
Sonami, Antony, Kronos Quartet…). Nel
passato di questo duo di eccellenti artisti
vi è una serie di album contraddistinti dalla
ricerca di nuove vie sonore (sia elettroniche
che non), di nuove combinazioni, come
in The Civil War, interpretazione del tutto
personale della guerra civile, o come in A
Chance To Cut…, dove sono le voci degli
strumenti della chirurgia estetica a parlare. Il
nuovo The Rose... , forse più riuscito rispetto ai
suoi predecessori, continua lo stile singolare
che ha caratterizzato e resi famosi in ambito
internazionale Drew e Martin. I brani proposti
incontrano i generi più diversi, miscelati tra
loro, lo scopo è quello di produrre visioni, veri
e propri mosaici. La complessità è parte del
fascino di un album sicuramente non facile
da assimilare, anche per gli ascoltatori più
esperti. Uno dei migliori album dell’anno
probabilmente, nettamente lontano da
ogni stereotipo musicale.
Livio Polini
Carla Bozulich
Evangelista
Constellations
dark-blues, folk *** ½
Carla Bozulich (ex
Geraldine Fibbers ed
ex Ethyl Meatplow)
con questo disco
è
riuscita
senza
dubbio a stravolgere
la psiche di molti
ascoltatori. Il blues di
chitarra ed organo
accompagnato
da
una
voce
straziante può produrre manifestazioni
di forte disturbo emotivo, momenti di
meditazione sul dolore, far emergere
se non già presenti forti pensieri di
amoralità,
perversione, istinti suicidi
(questi ultimi solo su predisposizione). La
struttura musicale è apparentemente
semplice, a volte volutamente irregolare,
di buon livello, la voce si aggiunge come
un vero e proprio strumento esaltando
l’album, rendendolo unico. Il passato
difficile di droga e prostituzione che ha
caratterizzato la vita di Carla determina
certamente una credibilità maggiore
relativa all’interpretazione, le atmosfere
create risultano vere e coinvolgenti
come visioni di film drammatici, in bianco
e nero, pronte per inghiottire chiunque
sia davanti lo schermo. Tra i collaboratori
di questo disco vi sono alcuni membri di
Godspeed You! Black Emperor, A Silver
Mt. Zion e Black Ox Orkestar, inoltre nella
tracklist è presente Pissing, una cover dei
Low. Sorprendente, senza dubbio, un
disco che entusiasmerà gli amanti del
buio.
Livio Polini
Danielson
Ships
Secretly Canadian
indie-rock, alt-folk *** ½
Dietro
il
nome
Danielson, per questo
album, si nascondono
all’incirca
una
quarantina
di
musicisti. Al gruppo
base, formato da
Daniel Smith e i suoi
fratelli, si aggiungono
svariati amici ed ospiti importanti della
scena alternativa, rappresentanti di
generi musicali differenti (Sufjan Stevens,
Why?, Deerhoof, Serena Maneesh,...).
Le canzoni di quest’album, quasi tutte
d’istinto folk, come doti principali hanno
l’estro e l’imprevedibilità, spesso e
volentieri le contaminazioni nei suoni
ostacolano gradevolmente l’equilibrio
spostando i confini verso indie-rock, pop,
jazz e perfino glam, materializzando
forti energie in un clima festoso fatto di
disordine e rumore. Il tema nei testi di
queste canzoni è l’amore per la vita,
all’insegna di valori come l’uguaglianza,
la fratellanza ed il rispetto. Gli strumenti
musicali usati sono i più diversi: basso,
chitarre acustiche ed elettriche, batteria,
percussioni, tastiere, fiati, violino,….
Questo gruppo a conduzione non più
esclusivamente familiare, sembra si sia
trasformato in qualcosa di altamente
complesso e qualificato, somigliante
per freschezza e buone capacità
ad Architecture In Helsinki ed Animal
Collective. Davvero un gran album
questo Ships, estremamente piacevole.
Livio Polini
KeepCool
17
GLI ARTISTI SONO SEMPRE NELL’ARIA
Intervista a Massimo Bubola
Una vecchia Tdk da 90’ con lo storico
live di Fabrizio De André e della Pfm. A
riempire gli ultimi giri di nastro una strana
ballata, tipo country, che parlava di un
bar, il Bar dei cuori infranti. A metà degli
anni ’80 non c’era internet, fu così una
gran fatica trovare chi fosse l’autore di
quel pezzo; fatto sta che in “piena tarda”
adolescenza, quando aprire un bar poteva
rappresentare un sogno, e il cuore infranto
era una realtà, quel pezzo mi è rimasto
dentro. Come tutti di quella cassetta,
molti (Andrea, Rimini, Sally...) scritti da
Massimo Bubola, trent’anni fa o giù di lì. Poi
decenni di dischi e canzoni, altre celebri
collaborazioni, libri, poesie e, adesso, Neve
sugli aranci. Uno scrigno con otto poesie,
tre lettere musicate, due canzoni e un
racconto irlandese.
Cantautore, narratore popolare, poeta...
nel corso degli anni sei stato definito in
tanti modi, hai pensato a Neve sugli aranci
per mettere un po’ tutti d’accordo?
L’intento non era proprio questo...
ti
ringrazio,
comunque,
non
avevo
considerato quanto questo lavoro fosse
onnicomprensivo. Neve sugli aranci
mi ha accompagnato in questi anni:
mentre realizzavo i miei dischi “canonici”;
lentamente prendeva corpo quest’opera,
nata per una necessità interiore.
È comunque un prodotto anomalo, sia
come libro che come disco, in contrasto
con le regole del marketing che oggi
spingono ad un consumo veloce, anche
dei sentimenti. Ti senti un po’ vecchio?
Se “vecchio” significa autore di lavori
estremamente curati, sia dal punto di
vista della registrazione che da quello
del packaging, ebbene sì: sono vecchio.
Comunque, non mi pare di avere sbagliato
più di tanto neanche dal punto di vista del
marketing, in quanto la tiratura limitata
di questo libro mi risulta che sia già in
esaurimento.
Come trovi sia cambiato il mondo della
musica rispetto a 30 anni fa? Dal punto di
vista della produzione, del pubblico, del
mercato.
Oggi a nessuno viene data la possibilità di
provarsi in più di un disco prima di emergere.
Gli artisti, come i batteri, sono sempre
nell’aria. È la grande discografia che non
è più quella, che non ha l’ambizione né la
cultura per far crescere nuovi artisti. Una
fioritura di nuovi talenti come quella degli
anni settanta oggi sarebbe impossibile.
Il fatto che sia diventata così fruibile è
positivo, o ha anche aspetti negativi?
La musica è fruibile, tutto è fruibile; ma
spesso mi confronto con persone che
hanno perso le categorie di giudizio: non
saprebbero più dirmi se quel disco è bello o
brutto o, peggio, se amano o non amano
la persona che hanno accanto.
Sei stato uno dei primi, anche da
cantautore rock, ad interessarti del “filone
folk- popolare”, continui a seguirlo? Che
pensi dell’ondata di “rivalutazione” degli
ultimi anni?
La musica popolare, il folk ha innervato
tutta la mia produzione e anche quella di
tanti grandi maestri. Hai osservato quante
volte ritorna sul folk Dylan nella sua recente
autobiografia? Rivalutazione? In fondo non
si era mai svalutato.
Che cosa ascolta oggi Massimo Bubola?
Lila Downs, Le Nozze di Figaro di Mozart,
Street Legal di Dylan: questi sono i dischi
appoggiati accanto al mio lettore cd
oggi.
Il filo conduttore di Neve sugli aranci è la
memoria; ti capita spesso di “scavare nella
tua storia, e colpire un po’ a casaccio,
perché non hai più memoria?”
...Uhm!
...Lo confesso, la citazione di Coda di Lupo,
magari un po’ forzata, è strumentale per
una domanda assai più banale: in ogni
parte d’Italia ci sono commemorazioni
e celebrazioni - anche istituzionali - di
Fabrizio De Andrè, tu hai vissuto molto
tempo al fianco, ci racconti “una cosa”?
In effetti poche volte vengono interpellati
coloro che, come me, hanno co-firmato
molte canzoni di Fabrizio. Eseguo ancora
alcune fra le canzoni scritte con Fabrizio
in concerto: negli anni si sono allargate
dallo spunto iniziale, sono diventate più
vaste, come Fiume Sand Creek. Quando
scrivemmo quei versi di Fiume Sand Creek:
“Si son presi il nostro cuore sotto una coperta
scura / sotto una luna morta piccola
dormivamo senza paura”, in effetti la
coperta poteva essere anche chiara; solo
che la rima forte era su “paura”, la parola
su cui si doveva comunque centrare la
rima. “Scura” con “paura” andava bene.
La canzone, scritta nell’80, era dedicata
ad un massacro di pellerossa; negli anni,
poi, ha continuato a parlare anche di
altre guerre diverse da quelle che l’hanno
ispirata, anche grazie a queste rime.
Quando scrivemmo Fiume Sand Creek
non ci avevo pensato: la “coperta scura”,
oltre alla coltre del cielo, ricorda anche
un soffitto o una prigione e ha moltissime
possibilità di richiami, una grande potenza,
che è stata scatenata dalla rima.
Ti senti più uno che ha lavorato “con” altri
o “per” altri?
Mi sento uno che ha lavorato.
Ci sarà una promozione “live” di Neve sugli
Aranci? Qualche data in Puglia?
È già in atto una promozione, attraverso
reading e presentazioni nelle librerie. Spero
avremo modo di ritornare anche in Puglia,
regione che già altre volte ha accolto il
mio lavoro con attenzione.
Dario Quarta
KeepCool
18
IN ALTO
LA MIA BANDA
Intervista agli
Assalti Frontali
Sono passati più di 15 anni da Batti Il Tuo
Tempo e, inevitabilmente, gli Assalti Frontali
sono cambiati. Mi Sa che Stanotte… (il
manifesto) ce li riconsegna in piena forma,
grazie a canzoni ispirate e a collaborazioni
riuscite. Eccovi il resoconto di una
intervistatelefonica con Militant A, da
sempre voce e anima poetica della band
romana, che a questo giro si prende una
pausa dai fidi Brutopop per abbracciare
la collaborazione con Casasonica e non
nasconde la soddisfazione per il nuovo
lavoro.
La prima cosa che credo gli appassionati
della musica di Assalti Frontali avranno
notato sono i tempi, insospettabilmente
ridotti tra HSL e Mi sa che stanotte. Urgenza
di comunicare?
In passato, una volta fatto il disco veniva
il tour, dopodiché ognuno si prendeva
una pausa dal gruppo per seguire stimoli
personali. Questa volta, finito il tour di Hsl,
ho chiesto ai Brutopop di riprendere subito
il lavoro perché avevo già pronti i pezzi. Mi
sentivo ‘in battuta’, dopo il tour mi sentivo
davvero allenato, per cui avevo l’esigenza
di mettermi subito a lavorare al nuovo disco,
ma loro avevano altri tempi, così abbiamo
optato per un’altra soluzione, con il nuovo
ingresso di Bonnot, un giovane talento
che ci seguiva ormai da diversi anni e che
conosceva bene la storia di Assalti. Inoltre
ho incrociato per caso Max Casacci e la
sua Casasonica e alla fine, nel giro di pochi
mesi, siamo riusciti a fare il disco.
A proposito di Casacci, credo che il suo
apporto sia stato notevole e mi sembra
molto riuscita la sintesi tra i suoi suoni e le
tue rime. Rispetto ai dischi precedenti il
sound mi sembra molto cambiato ma il tuo
stile è rimasto invariato. Come ti sei trovato
con loro? Qual è stato il metodo di lavoro
seguito?
Loro
sono
bravissimi,
dei
grandi
professionisti. Ho portato il mio demo,
con i provini preparati da Bonnot, e ho
dato mano libera a Casacci per quanto
riguarda la produzione artistica perché
gli riconosco una grande capacità e un
grande stile. Anzi, ero davvero curioso di
vedere cosa sarebbe uscito fuori da questa
collaborazione. C’è stato un lavoro molto
accurato, che è durato circa 40 giorni, per
15 ore al giorno. Credo che abbiano svolto
un grande compito. Per quanto riguarda
l’identità di Assalti, quella magari è più
legata ai testi, per cui non temevo troppo
il rischio di uno snaturamento. Anche nei
dischi precedenti avevamo osato soluzioni
diverse
dal
solito,
decidendo di mettere
molte chitarre oppure
di dare ai pezzi un
vestito più hip hop, e in
nessun caso ho corso
il rischio di perdere
la mia identità, per
cui non lo temevo
nemmeno per Mi sa
che stanotte… che
secondo me ha uno
standard compositivo
molto alto.
Mi parli della scelta
dellacopertina,
graficamente
meno
ricercata dei dischi
precedenti,
ma
che
contiene
una
citazione
nemmeno
tanto
criptica.
La cover è ripresa
da una famosa foto
egli anni 60, che ritraeva Malcom X che
guardava fuori dalla finestra con un fucile
in mano. Per lui bisognava difendere “con
tutti i mezzi necessari” il popolo nero,
facendo riferimento all’arma che aveva
in pugno. Chiaramente, noi abbiamo
pensato bene di sostituire al mitra il
microfono, ma è l’inquietudine che è negli
occhi di chi guarda fuori dalla finestra e
vede quello che accade che ci aveva
colpito maggiormente. Ecco, la tensione
di quello sguardo era quello che volevamo
cogliere.
Attraverso le canzoni di questo disco
secondo me è possibile costruire un bel
pezzo di storia recente. Ce n’è una in
particolare, introdotta dalla sigla di un
telegiornale, Che Stress i Ros, nella quale
parli di una vicenda che ti ha visto, tuo
malgrado, protagonista in prima persona
in quanto oppositore culturale ad un
pensiero dominante.
Si, io sono stato spiato e pedinato per
diverso tempo finché non si sono presentati
i carabinieri a casa mia alle prime ore del
mattino e quello che si prova non è cosa
facile da mandar giù. È una violenza
molto forte. Naturalmente la gente che
hai intorno ti aiuta e se conosci i tuoi
diritti non ti fai mettere i piedi in testa.
L’articolo 270 bis, che sostanzia l’accusa
di terrorismo, introdotto dopo l’attentato
dell’11 settembre, permette di fare certe
equazioni solo perché frequenti certi posti
o perché hai partecipato, 20 anni prima,
all’occupazione di spazi sociali nella tua
città. Chiaramente io analizzo questa
vicenda sia da un punto di vista politico,
cioè il rapporto fra democrazia e diritti,
e dal punto di vista personale, e cioè le
inquietudini che si provano in situazioni
come queste.
Mi pare di capire che anche le situazioni
più pesanti abbiano un risvolto sempre
molto comico. Ho letto che in sede di
interrogatorio avete detto che avreste fatto
una canzone su questa faccenda…
Beh, si, abbiamo necessariamente spostato
la cosa su un piano anche ironico, un
po’ per dissacrare quello che ci stava
accadendo e per non risultare troppo
pesanti.
Siete già in tour. Il tuo è un pubblico molto
affezionato. Che tipo di reazioni hai potuto
notare?
Siamo contentissimi perché le reazioni sono
ottime. Credo che questo sia un disco
molto immediato, diretto, che racconta
cose pubbliche ma da un punto di vista
più personale rispetto ad Hic Sunt Leones.
Quando ho finito il disco la sensazione
che c’avevo era di grande serenità, a
differenza dei dischi precedenti, per i quali
una volta registrati continuavo a stressarmi
perché pensavo che una certa cosa l’avrei
potuta fare meglio. Questa volta sono
davvero felice, per l’evoluzione che hanno
avuto i testi, per il lavoro con Casasonica e
per tutto il resto.
Ilario Galati
KeepCool
19
HARDDISKAUNT,
I L S U P E RM E RC A T O
DELLA MUSICA
La buena y la mala onda, da poco uscito
per la Maninalto!, è il disco che celebra i
dieci anni di carriera degli Harddiskaunt.
Dodici tracce (e un remix dub firmato da
Kearney) in cui l’elemento fondamentale
è lo ska con una spruzzatina di ritmi
sudamericani, swing, reggae, punk, dub,
tarantella. Abbiamo fatto due chiacchiere
con Luka, il cantante.
Una prima, stupidissima, domanda. Perché
questo nome?
Harddiskaunt, il supermercato della
musica!!! Potrebbe essere una trovata per
il nostro ufficio marketing (?!?)...Ma il nome
vuole ricordare la matrice working-class
a cui siamo da sempre legati, e in tipico
stile Ska, il supermercato a più basso costo
diventa il nome della nostra band...
Il disco è uscito prima in Europa e poi in
Italia. Una scelta o una casualità?
Una scelta casuale... Scherzo... L’idea
di uscire prima in Europa che a casa
nostra ci allettava parecchio... una
sorta di band in esilio... si, in
esilio sulla SpondaMagra... non
dimentichiamoci che siamo dei
reietti!!! La realtà poi sta a metà
tra le difficoltà discografiche e la
leggenda...
Questo numero è dedicato ai festival.
Credi che ci sia differenza nella filosofia
dei festival tra l’Italia e il resto d’Europa?
Due parrocchie completamente diverse.
In Italia la maggior parte dei festival sono
ad oggi meeting di band e di etichette,
accomunati dalla sola passione per il
soldo... questo lo dimostra il fatto che lo
sponsor viene sempre prima del nome
dell’evento nel resto d’Europa, ma senza
andare troppo lontano, anche nella vicina
Svizzera, i festival sono l’occasione per
divertirsi, ballare, conoscere nuove band e
nuovi suoni...
Il tutto a basso costo e incentivato il più
possibile e i giovani non se lo fanno dire
due volte.
Qual è la situazione dello ska oggi?
Mah... lo ska resta, piaccia o meno, una
musica alternativa che paga poco...
e questo credo che sia una sorta di
castrazione-iniziazione.
Detto
questo
chi ama lo ska, va avanti per la sua
strada... ma noto che si sta abbandonato
quell’integralismo che generava definizioni
quali ska band. Le ultime produzioni di
diversi artisti dediti solo allo ska da sempre,
sono divenuti una miscellanea tra levare e
altri suoni... vicini, simili... ma cercando di
aggiungere i famosi ingredienti segreti alla
ricetta e lo ska in Jamaica, dove è nato,
resta solo un ricordo legato, ormai, a pochi
nostalgici di questa solarissima musica
d’intrattenimento caraibica. (pila)
L O sgua R d O C O N te M p O R a N e O
intervi sta a B ugo
Io e Bugo non ci siamo capiti. un giorno mi
scrive che ho sbagliato... e ha ragione. Io
gli dico che sono un suo fan dai tempi di
Sentimento Westernato, gli faccio leggere
la mia recensione di Golia e Melchiorre e gli
propongo un’intervista. Dal suo concerto
nel Salento (gennaio 2003) dai tempi
di Dal lo fai al ci sei molto è cambiato. Il
suo nuovo Sguardo Contemporaneo è la
nuova parabola del rock italiano. Fedele
alla poetica della semplicità Bugo è un
pittore del quotidiano, uno che con pochi
tratti riesce a ritrarre il complesso. Quello
che sembra gioco, gioco non è, semmai
può divertire. Dietro alle canzoni di Bugo
c’è sentimento, amarezza, critica ai clichè,
passione. Tante anime musicali convivono
in lui (folk, rock, hip hop, electro) e tutto
sembra convivere sul filo della lucida follia
che fa del suo lavoro un caso unico in
Italia.
Sguardo contemporaneo è un disco
maturo, il tuo sguardo sul mondo (Che
lavoro fai) e sui particolari (La caffettiera)
sembra più profondo e attento...
È un disco molto personale, è come mi
vedo adesso nel mondo, in Italia, nel mio
ruolo di artista, è molto profondo con
alcuni momenti di divertimento.
Musicalmente il disco è diretto. Com’è
stato lavorare con Giorgio Canali?
Giorgio è stato l’inchiostro con cui ho
scritto le canzoni, è riuscito con il suo stile
a far trasparire qualcosa di me che prima
era più nascosto. È un disco rock perché
volevo fare come si faceva una volta, con
un gruppo a registrare in diretta.
Non hai rinunciato al tuo lato più giocoso,
al tuo ironizzare sui clichè (Ggell), quante
anime ci sono in Bugo?
Vediamo quello che vogliamo. Ho momenti
di gioia così come quelli di riflessione e
di abbandono. Non mi nascondo a me
stesso anche se è la cosa più difficile per
vivere bene.
Sempre restando in tema di gioco, è una
cosa che ti piace fare con le parole, con
le loro somiglianze, i loro accostamenti per
assonanza, c’è lavoro o istinto in questo?
La mia musica è sempre nata da un
insieme di più fattori. C’è l’ aria così come
c’è la terra il cielo e il mare. La lingua
italiana è meravigliosa, un frigorifero che
non si svuota mai.
Il tuo passaggio ormai consolidato ad
una major non ha intaccato il tuo spirito
libero, anzi sembra avere aperto strade e
possibilità per la tua musica...è così?
Non mi sono mai preoccupato di questo
passaggio. Io faccio la mia musica e la
Universal la distribuisce. Ho sempre saputo
le mie priorità e questo mi rende forte.
Universal è pronta ad ascoltare le mie idee
ma è anche con loro che sono nate delle
idee.
Questo numero del nostro giornale è
dedicato ai festival, come sarà l’estate di
Bugo, promozione, concerti?
Promozione, concerti, gelati, docce
fredde, mari caldi, pizza, spero di suonare il
più possibile, ho una gran voglia.
Molti si sono sprecati in paragoni riguardo
alla tua musica, ma come vive l’ascolto
della musica Bugo? Cosa ti piace? Quali
sono i dischi che girano nel tuo lettore in
questo periodo?
Ho quasi sempre lo stereo acceso, ascolto
tantissima musica: metal, rap, cantautori,
sperimentale, africana, classica, non mi
importa il genere. Ora sto ascoltando
Amari, Ali Farka Toure, Stefano Fontana,
Marco Passarani, Rino Gaetano, Prince.
Osvaldo Piliego
KeepCool
20
I l R u M O R e delle pi C C O le sta N Z e
Intervista ai Super Elastic Bubble Plastic
Tornano i Super Elastic Bubble Plastic.
Dopo il successo di critica e pubblico
dello scorso The swindler e una serie
infinita di concerti arriva il nuovo atteso
album. Small rooms è il titolo di questo
nuovo capitolo di storia della band
mantovana. Ne abbiamo parlato con
Gionata (cantante, chitarrista della
band).
Esce in questi giorni il vostro nuovo album,
dopo un anno intensissimo, cosa c’è
dentro dei Sebp di the Swindler e cosa
è cambiato rispetto all’esordio? Perché
Small rooms?
Dentro ci sono i Sebp al 100%, solo un po’
più “vecchi” (vorrei dire più maturi, ma
non sta a me...) rispetto a The Swindler,
visto che sono passati quasi 4 anni tra le
due registrazioni... Siamo meno irruenti e
abbiamo cercato di incanalare la nostra
“violenza” in un modo diverso rispetto al
vecchio disco. Abbiamo capito che non
c’è bisogno di suonare velocissimi per
essere violenti...
Perché Small Rooms?
Small Rooms perché ci piace pensare a
questo disco come ad un appartamento
pieno di stanze, ognuna arredata in modo
diverso, a volte piene di cose, a volte
minimali, ma sempre parti della stessa
casa. Come nel disco, piccole canzoni,
piccole stanze... E poi, personalmente
amo i luoghi un po’ claustrofobici.
Il vostro debutto è stato accolto con
un entusiasmo sorprendente da critica
e pubblico. Un piccolo miracolo per
un gruppo di Mantova, prodotto da
una piccola indipendente (la Red Led
Records) che suona la vostra musica.
Che ne pensi?
Una bella soddisfazione, decisamente
oltre le nostre aspettative. E con Small
Rooms speriamo di bissare...
Come definiresti il sound dei Sebp?
Nervoso. Che taglia. Small Rooms è un
disco più “scuro”, notturno...
Molti vi hanno accostati ai One
dimensional man... Ti ritrovi in questa
affermazione?
Abbiamo un background di ascolti
abbastanza simile ed era inevitabile che
ci accostassero a loro. Ma credo che con
questo disco si sia riusciti ad allontanarsi
dal cliché “alla Jesus Lizard”; o forse mi
sbaglio... Credo che in questo disco ci
siano più Melvins, Neurosis, Appleseed
Cast o Unwound che Jesus Lizard... E,
perché no, molto più Super Elastic...
Il vostro caso sembra la dimostrazione
che un mondo migliore è possibile,
come vedi il mercato indipendente in
Italia, come ci si muove fuori dai grandi
circuiti?
Penso che non sia giusto che in Italia ci
siano un sacco di gruppi musicalmente
validi (potenzialmente anche a livello
commerciale) che restano nell’ombra
più totale. Penso che non ci sia coraggio
da parte di quasi tutte le etichette; ma
penso soprattutto che non ci siano soldi,
da una parte e dall’altra. Non si può
pretendere che uno vada a un concerto,
paghi un biglietto, beva (perché è col
bar che i gestori riescono a pagare i
gruppi e a guadagnare), compri un
disco e magari una maglietta. Mica uno
può spendere 50/70 euro in 4 ore! Io non
potrei... Non so se mi sono spiegato, il
fatto è che mi ci vorrebbero un paio d’ore
per farlo decentemente... Comunque
posso anche dire che il fatto che ci sia
così tanta attenzione (mediatica e non)
attorno ai SEBP è il segno che qualcosa
può funzionare nel verso giusto... Non
voglio sbilanciarmi e pensare a un
mondo migliore, ma, chissà... magari,
piano piano...
L’anno scorso tra le tantissime date
anche una nel Salento. La dimensione
live è sicuramente congeniale al vostro
sound...Quando di nuovo in tour?
Subito! Non riusciamo a stare più di un
mese senza fare concerti..! Siamo ripartiti
appena finito di registrare Small Rooms
(nei primi di marzo) e contiamo di non
fermarci fino all’anno prossimo o, per lo
meno, fino al prossimo disco...
Osvaldo Piliego
KeepCool
21
IL SALTO NELL’INDIE:
W A L L A C E R E COR D S
Ha sede a Trezzano Rosa, alle porte
di Milano, una tra le più apprezzate e
interessanti etichette indipendenti italiane.
E sorprende sapere che dietro al marchio
Wallace ci sia una sola persona, che dal
1999 porta avanti questa bella realtà con
ortodossia “do it yourself”. Mirko Spino
è colui che ascolta tutti i demo, sceglie i
gruppi da pubblicare, realizza le ricercate
grafiche dei suoi dischi, va su e giù dalle
poste con pacchi e pacchetti, cura il sito
web…
Cosa sto dimenticando?
Non dimentichi niente, c’è da dire che non
stiro le camicie e non importuno le fidanzate
dei musicisti. “Do it yourself” in teoria vuol
dire suonare e pubblicarsi i dischi, però è
una filosofia che condivido pienamente
e quindi cerco di pormi come l’elemento
aggiunto del gruppo, colui che non suona
ma fa gli interessi della band come se fosse
parte di loro. Questo comporta uno stretto
rapporto personale con i gruppi, quindi un
fattore decisivo nel decidere se collaborare
o meno è che io mi senta parte del combo
e che loro mi accettino in quanto tale. Mi
capita a volte di fare anche grafiche o
promozione per amici che poi non escono
su Wallace. Credo comunque che non ci
sia niente di particolarmente eccezionale
in tutto ciò, ognuno dà anima e core ad
amici, famiglia, vicini di casa, associati al
motoclub o compagni di merenda. Io ho
la Wallace.
Cosa deve avere un gruppo perché tu ti
senta, appunto, parte di loro? E parlando
più strettamente di stili e generi musicali,
cosa ti piace pubblicare?
È difficile dirlo, si tratta di rapporti personali
e quindi non ci sono regole affinché
nascano e si consolidino. Certamente mi
verrebbe difficile lavorare con qualcuno
che intende il mio lavoro come un utile
trampolino di lancio in una carriera rock
(cosa che peraltro non è pensabile). In
linea di massima ci deve essere un minimo
comune denominatore nell’intendere
il modo di fare musica. Ma, ripeto,
sono cose che nascono casualmente,
annusandosi e chiacchierando, guai a
deciderle a tavolino. Il genere musicale
è spesso secondario, che non vuol dire
meno importante ma intendo “non
determinante” nel decidere se il gruppo mi
piace o meno. Del resto il mio catalogo va
dal cantautorato all’elettronica minimale,
passando per una miriade di diversi stili.
Non so cosa abbiano in comune i dischi
che pubblico, una linea di fondo ci sarà
sicuramente ed è ben nascosta nei
meandri del mio cervello.
Probabilmente è una semplice questione di
gusti. Certo che mi piacerebbe pubblicare
un gruppo di heavy metal anni 80 e un
disco di techno, ma non
ho mai conosciuto nessuno
che mi convincesse a pieno.
Capiterà...
Nell’epoca delle 5000 canzoni
in tasca, tu scegli di ridare
dignità al supporto fonografico
racchiudendo i cd in speciali
confezioni, perlopiù cartonate,
dalla grafica ben curata.
L’ultimo album dei Rosolina
Mar è disponibile anche in
vinile (in passato pure One
Dimensional Man, Zu, Bugo,
Old Time Relijun...). È una scelta
che viene ripagata in qualche
maniera?
Ripagata non certo dal punto
di vista economico, dato
che le confezioni costano di
più ma vendo i dischi a poco
prezzo. Ho notato che alcune
persone, magari ai banchetti
dei concerti, si convince ad
acquistare i dischi perché
hanno una bella confezione.
Per me comprare dischi è
come comprare libri, tocchi
la copertina, li metti in ordine
alfabetico e te li riguardi ogni
tanto. Toccare l’iPod non mi
da questa sensazione. E comunque dopo
70 dischi questo è uno dei segni distintivi
dell’etichetta, che non deve essere in
primo piano rispetto alla musica, ma sono
parecchio affezionato alla cosa, ed aprire
lo scatolone con i dischi usciti freschi freschi
dalla fabbrica mi da ancora una bella
sensazione...
E nei prossimi scatoloni cosa ci sarà?
Tantissima roba... È appena uscito il
nuovo dei Sedia, ed ho quasi pronto il
debutto su lunga distanza per Polvere,
che pubblicarono un miniCD per la
wallaceMailSeries, dischi “piccoli”, 8cm
con una confezione particolare. Questa
serie si sta per concludere con le uscite
di Oleo Strut e The Shipwreck Bag Show.
Poi è pronto l’album nuovo dei Rollerball
e il debutto su Wallace degli Hutchinson.
Quest’autunno, speriamo, ci sarà una
raccolta dei SixMinuteWarMadness, forse
CD+DVD. Anche il DVD per il Wallace Party
di un anno e mezzo fa sta giungendo a
termine. In studio poi ci sono i Bachi da
Pietra, Uncode Duello, Bron y Aur, R.u.n.i.,
Anatrofobia, Permanent Fatal Error e
un po’ più in la Hell Demonio e Agatha.
Mentre questa estate insieme a Sound
Metak, il negozio di Xabier Iriondo (www.
soundmetak.com) inizieremo una serie di
vinili in 10” split, la cui prima uscita è ZU/
ICEBURN.
Seguiranno lavori di Paolo Angeli, Mats
BACHI DA PIETRA
Gustaffson, Sinistri, Arrington De Dionyso e
poi si vedrà. Ce n’è per riempire quattro
garage....
Ho letto dal sito che la Wallace è distribuita
nella Repubblica Ceca e Benelux, oltre che
in Giappone e Stati Uniti. Qual è la reazione
ai tuoi dischi in questi paesi?
Suscitano molta curiosità. Diciamo che
il rock alternativo italiano non è troppo
conosciuto all’estero, forse gli ZU sono
la band più esportata che abbiamo.
Tuttavia credo che la qualità sia molto
elevata, quindi chi si trova in mano una
band sconosciuta con un bel disco, ben
prodotto, ben suonato, ben confezionato,
al settantesimo numero di catalogo di
un’etichetta... viene portato a pensare
che ci sia una scena attiva e vitale.
Con le distribuzioni estere ho iniziato
a ricevere un gran numero di promo
dall’estero, richieste di interviste etc... e
per qualche disco anche delle vendite
interessanti. Oltre a questo si sono anche
aperte alcune possibilità di tour, i Sedia a
fine estate potrebbero avere delle date
in Repubblica Ceca e Giappone, dove
i dischi Wallace sono piaciuti in maniera
particolare.
Sette anni e più di settanta dischi dicevamo.
Riusciresti a fare un bilancio sommario di
questa esperienza?
Soddisfazioni, delusioni, obbiettivi raggiunti,
ripensamenti…
Giovanni Ottini
KeepCool
22
Ogni anno , in settembre, nel mio paesotto
in provincia di Brindisi ha luogo il più grande
festival estivo pugliese. Non ho dubbi
nell’affermare questo, e non sono certo
uno sprovveduto: ho fatto i miei giri a destra
e a sinistra, dall’Alterfesta di Cisternino, ai
raduni reggae e metal nel Salento.
Il mio paese è di destra così come
potrebbe essere di sinistra se solo fosse
posizionato sul Reno. Per noia e tradizione.
E sarò sincero, quello di cui sto parlando
non è un festival vero e proprio: è molto
di più, è una kermesse, è un rito tribale di
rigenerazione della gente. È la festa della
Madonna della Fontana.
Fuochi d’artificio, sagre degli gnimmareddi,
della sasizza, ti lu mieru, si mangia gratis
e la gente non si fa pregare, ringrazia
gli organizzatori della Chiesa Madre, e
comincia a vociferare, spettegolare, sul
nome del gruppo che chiuderà la festa il
quattordici settembre. Come ogni anno,
sono quasi sempre due i nomi che arrivano
in finale, uno è quello di un gruppo
giovane, che potrebbe attrarre ragazzi da
fuori paese, il secondo è invece il nome
di qualche vecchio trombone italiano.
Sicché il dilemma degli organizzatori è
sempre quello: cambiamento, aria fresca,
birra e amore giovanile davanti al piazzale
della Chiesa Madre, o orgasmi per vecchi
contadini e vecchine truccate per
l’occasione?
Al mio paese l’evento che ha fatto epoca
e che segna il termine di paragone per
organizzare qualsiasi cosa, è il concerto
di Gigi d’Alessio di qualche anno fa,
che ha portato migliaia di persone nella
zona industriale. Capite bene che è
sempre il vecchio trombone a vincere la
finale. L’anno scorso Antonella Ruggero
ha scalzato l’ipotesi Negramaro, due
anni fa Enrico Ruggeri ha disintegrato le
chance dei Negrita. Ma capita, nel mio
paesino annoiato e conservatore, che la
kermesse porti ugualmente qualche serata
innovativa.
Ad esempio, due anni fa dimenticai
completamente che nel piazzale della
Chiesa Madre c’era uno spettacolo che
apriva la kermesse patronale. Passai di lì a
piedi, dovevo uscire, ed eccomi davanti
una folla assolutamente narcotizzata di
signori e signore anziani, rigorosamente
E NR I CO R U G G I E R I
P O C H I A L L U C I N A T I V E CC H I E T T I
seduti dietro assessori, consiglieri e
sindaco, a godersi uno spettacolo d’arte
“contemporanea”. Mi fermai, incuriosito.
Vidi esibirsi, sul palco montato davanti
alla Chiesa Madre, una ragazza nuda,
mi dissero che era originaria del paese
ma che era emigrata a Milano, e voglio
vedere, pensai, giacché si trattava di un
body painting live. Era nuda, “e si pitta le
menne culli croci”, si disegnava delle croci
sul petto e sulle braccia, e le vecchiette
stringevano i denti, guardavano un po’ in
cielo e un po’ allo sguardo dei mariti.
Qualche giorno dopo, poi, l’apocalisse.
Era il giorno di Enrico Ruggeri. Non potevo
mancare, era l’anno in cui era uscito Punk
prima di te, il cd che festeggiava il passato
del vecchio Enrico.
Ed eccolo lì sul palco: tirato, vestito di nero,
occhiali da sole neri, come il Lou Reed di
Take no prisoners, terribilmente finto.
Ma, pensai, se fa quello che penso...
Fece molto di più. Testi punk, noia punk,
disgusto punk, vecchiette punk intorno a
me (non lo sono, forse, quando rifanno la
tinta ai capelli?), e un mucchio di cover
che lì, davanti alla mia bella Chiesa
Madre, insomma, non l’avrei mai detto.
Ruggeri mise in fila, davanti alla Madonna
e ai suoi riti sacri e tribali, davanti alla pietra
barocca e al
pubblico immobile, Ramones, Sex Pistols,
Lou Reed, Stooges. E negli intervalli parlò
di anarchia, guerra in Irak, televisione,
Berlusconi, droga. Il pubblico alternò
sguardi stupiti, ad altri decorosamente
indignati, almeno quelli che erano rimasti.
Gli altri, la maggior parte, “ma no putìano
fa viné cuddu tell’isola, comu si chiama,
Pappalardo”. L’anno scorso, invece,
una svolta più soft. Come detto, è stato
scongiurato il rischio Negramaro e tutta
la ventata di modernità che avrebbe
potuto interdire i più, così ecco sul palco
Antonella Ruggero. Questa volta nessun
attacco frontale all’ordine costituito: ma
subito l’ex Matia Bazar annuncia di aver
composto molta musica di ritorno da un
recente viaggio in India. Chiesa Madre
psichedelica. Campanelli ipnotici, suoni
lunghi e lisergici, cantilene in loop, una
viola che fosse stata distorta ecco John
Cale, la folla in visibilio perlomeno interiore,
gli occhi illuminati fissi sul palco, ogni tanto
la domanda, “ma questa no ‘ccantava
vacanzi romani?”. Sì, ha finito con Vacanze
Romane. Mi sono girato per andar via,
eravamo rimasti in pochi come un anno
prima. Pochi allucinati vecchietti.
Marco Montanaro
Coolibrì
Narrativa, Noir, Giallo, Italiana, Sperimentale
23
la letteratura secondo coolcub
Il caso Jane Eyre
Jasper Fforde
Marcos y Marcos
*****
Romanzo colto e surreale, ambientato
in un 1985 strampalato, narra di tempi
e spazi dalla dimensione elastica, in cui
agiscono personaggi stravaganti, per
i quali i libri sono il bene più prezioso.
Conosciamo
i
bizzarri
protagonisti
attraverso pagine erudite e ricercate:
Mycroft, inventore folle, appassionato
studioso del senso “fisico” del tempo e
dello spazio, sperimenta e concretizza la
possibilità di entrare ed uscire in libertà,
con il proprio corpo, da un testo letterario;
Acheron Hades, suo nemico giurato, si
appropria del risultato della ricerca, e
grazie all’illuminazione di Mycroft riesce
a rapire Jane Eyre direttamente dal
manoscritto della Bronte, chiedendo
un improbabile riscatto; Thursday Next,
nipote del vecchio e amatissimo zio
Mycroft, lavora come detective letteraria
e si occupa proprio del caso Jane Eyre,
cercando di strappare dalle grinfie del
crudele Acheron l’eroina brontiana, e
riportando forse la pace nel cuore di
milioni di lettori, disperati per l’assurdo
sequestro. Lo spunto che dà l’avvio alla
storia è assolutamente originale, e la
trama scorre senza inciampi nonostante
la complessità narrativa. La scrittura
è fresca ed efficace, e paralizza il
lettore, che segue con il fiato sospeso le
avventure fantastiche ed arzigogolate
di un’indagatrice da biblioteca. Non
si comprende bene, però, perché nel
titolo si faccia riferimento all’episodio
che compare molte pagine dopo
rispetto all’inizio, a lettura praticamente
avanzata. Quando, invece, il romanzo
tutto è un invito a riflettere sulla dinamicità
fisica del mondo, sui tentativi maldestri
dell’uomo di governare tanta naturale
scorrevolezza, sull’opportunità di vivere in
armonia con le leggi universali attraverso
il semplice abbandonarsi ad esse. Ma
è l’unica pecca, peraltro irrilevante,
del capolavoro dello sceneggiatore
di Entrapment, che si è visto rifiutare il
manoscritto per ben settantasei volte,
per poi diventare, grazie all’intuizione
della casa editrice Hodder&Stoughton,
l’autore riconosciuto di un’autentica
saga-fenomeno.
Il passo del Cammello
24
La misura del mondo
Daniel Kehlmann
Feltrinelli
*****
Invenzione narrativa
e fedele fondamento
storico si coalizzano
nell’ultima
fatica
di
Kehlmann,
e
sorprendono il lettore
con
un
intreccio
ironico e divertente.
Nel 1828 Humboldt,
esploratore e padre
della
moderna
cartografia, riesce a
convincere Gauss, illustre matematico,
a partecipare ad un congresso di
scienziati a Berlino. Gauss è un solitario
pigro ed indolente, per niente attratto
dalle occasioni mondane e affezionato
alle sue rassicuranti abitudini quotidiane.
Humboldt, di contro, sguazza nella
socialità, è pieno d’iniziativa e di interessi,
ed assolutamente testardo e volitivo.
Queste due personalità, così diverse
ma egualmente geniali, nate e formate
nella potente Germania illuminista, sono
ora piuttosto avanti con l’età, e possono
contare su fama e prestigio. Si incontrano
così nel racconto dell’autore, che può
dare inizio ad un viaggio notevole ed
intelligente attraverso scoperte ed
intuizioni, interrogativi ed intenzioni, dubbi
e soluzioni. Come sfondo, il disordine
politico e sociale della Germania postnapoleonica, che coinvolgerà le due
menti in un’avventura dai tratti filosofici. Il
tutto senza tralasciare deliziose digressioni
sul privato dei due studiosi, che essendo
prima di tutto uomini, e poi scienziati,
vivono come il resto dell’umanità tra
passioni e manie. I ritratti arguti e mordaci,
però, non si limitano ai due protagonisti,
ma toccano anche altre identità sacre
della cultura tedesca, Goethe e Kant su
tutti, costruendo uno scherzo narrativo
godibile e frizzante. La scrittura è sciolta
e nervosa, è ben rende aneddoti ed
ambienti. Una penna che si definirebbe
pienamente matura, per uno scrittore
appena trentenne, già autore di casi
letterari riconosciuti come Io e Kaminski,
e vincitore in patria di premi importanti e
prestigiosi.
Il Passo del Cammello
John Belushi.
blues
Boo Williams
Bevivino Editore
*****
La mattina del 5
marzo 1982 John
Belushi viene trovato
morto in un albergo
di
Los
Angeles
stroncato
da
un
micidiale cocktail di
droghe. È la fine di
un mito giovane e
famosissimo che in
pochi film è riuscito a
diventare una icona
Mio
fratello
del cinema mondiale. John Belushi. Mio
fratello blues di Boo Williams, uscito per la
sempre interessante collana I Cattivi della
Bevivino Editore, ripercorre la breve vita
(era nato nel 1949) dell’attore di origine
albanese dalle sue avventure sportive
al college, alle sue prime esperienze
come attore sino al suo esordio televisivo
con il Saturday Night Live (con giovani
attori destinati ad avere un brillante
futuro come Steve Martin, Bill Murray e
Dan Aykroyd) dove Belushi si esibisce
in imitazioni e caroselli vari che fanno
letteralmente impazzire il pubblico. Come
scrisse Mel Gussow sul New York Times
“Non c’è bisogno di sapere che Belushi
sta facendo la parodia di Joe Cocker
per gustare la sua straordinaria esibizione
cortorsionistica. Sembra che l’abbiano
infilato in una presa elettrica”. Questa
palestra di comicità sarà viatico per i
successi cinematografici Animal House,
1941: Allarme a Hollywood, Chiamami
aquila, I vicini di casa e soprattutto The
Blues Brothers. Le straordinarie capacità
d’attore, una mimica ineguagliabile e
una fisicità coinvolgente sono disturbate
dal carattere difficile e soprattutto
dall’implacabile tunnel della droga. Sul
finire degli anni ’70 durante una delle sue
tante fughe per New York alla caccia di
roba, Belushi diventa amico di Hertzan,
uno dei pezzi grossi del narcotraffico e
decide di fare un film su di lui. La Universal
vorrebbe finanziare il progetto ma la
risposta dei registi John Landis e Steven
Spielberg e categorica “La droga è
come lo sport: la gente si diverte di più
a praticarlo che a guardarlo”. Peccato
certamente che un duro come lui abbia
finito così presto di giocare.
Quando io vedevo suoni
Consolata Chiantelassa
Salani editore
****
Lucida ma anche
piuttosto
confusa,
sincera, trasparente,
dura e dettagliata.
A n o r e s s i c a ,
schizofrenica
e
tossicodipendente.
Consolata - o “Consi,
Cochi,
e
persino
Colgate,
senza
offendermi” - scrive
a trentasette anni la
sua autobiografia, per essere d’aiuto a sé
stessa ma soprattutto agli altri, per far luce
sugli anni e le esperienze ormai passate,
per affermare ormai convinta che si può
tornare indietro, e recuperare. La Torino
perbene di sottofondo, e poi una Londra
di droghe e techno, una Boston ricca
e complicata. Le visioni, le fissazioni,
i sogni. L’elettroshock, gli attacchi, le
cliniche. Il teatro, la montagna, di nuovo
la coca. Gli anni difficili di una ragazza
considerata per anni affetta da sindrome
bipolare (continuo alternarsi fra periodi di
depressione profonda e grande euforia),
poi schizofrenica, e infine borderline. Un
racconto che non lascia spazio ai respiri,
una confessione che ti spiazza ma che
ti apre anche gli occhi con forza sulla
realtà. Ecco di cosa ha paura Consolata:
Coolibrì
“che la sua vita non abbia significato né
per se stessa né per nessun altro”. Ma
questo non accadrà, anche grazie al suo
libro.
Valentina Cataldo
Dimettersi dal sud
Franco Ungaro
Laterza
****
Venti
anni
di
storia. Un percorso
artistico e umano
intensissimo, dalle tre
masserie di Aradeo
sino alla ex fabbrica
alla
periferia
di
Lecce. La storia
dei Cantieri Teatrali
Koreja, Teatro stabile
di
innovazione
riconosciuto
dal
Ministero dei Beni
Culturali ma non dall’Amministrazione
Comunale di Lecce, viene ripercorsa da
questo volume scritto da Franco Ungaro
che raccoglie le difficoltà e gli ostacoli,
l’entusiasmo e il sacrificio di fare teatro
oggi nel sud d’Italia, promuovendo la
ricca e complessa identità culturale di
un territorio tra i più peculiari del nostro
paese. Dimettersi dal Sud è il racconto in
presa diretta di una esperienza teatrale
particolare, quella di Koreja, radicata
in quel Salento ricco di
fascino e
contraddizioni, arcaico e innovativo allo
stesso tempo e di cui l’autore (direttore
organizzativo) indaga luoghi, relazioni e
utopie.
Il libro ricostruisce amori e umori, successi
e insuccessi, ossessioni e contraddizioni
di una comunità teatrale che continua
ad operare lontana dallo star system
e dall’impero mediatico, impegnata
a valorizzare il patrimonio di energie,
risorse e memorie di un territorio in un
dialogo costante e ravvicinato con la
contemporaneità.
Vertigine
periodico di scrittura e critica
letteraria
Nuove serie, numero unico 2006
Luca Pensa Editore
Vertigine, il periodico di scrittura e critica
letteraria, curato da
Rossano
Astremo,
dopo tre anni e la
pubblicazione di sei
numeri
autoprodotti,
cambia
totalmente
pelle. È da poco
disponibile nelle librerie
il primo volume della
nuova
serie
della
rivista, pubblicato dalla
Luca Pensa Editore.
Oltre duecento pagine per ripercorrere
la storia della rivista, a partire dal numero
dell’esordio, uscito nell’agosto del 2003,
per proseguire con il secondo numero,
stampato nel novembre del 2003, dedicato
ad alcuni episodi di sperimentazione
letteraria. Il terzo numero, del marzo 2004,
è dedicato ad Antonio L. Verri, poeta e
narratore totalmente dimenticato dalla
critica letteraria pugliese e non solo. Nel
Coolibrì
quarto numero, uscito nell’estate del 2004,
comprendente interventi di alcuni grandi
animatori della scena letteraria italiana,
Vertigine ha ospitato in anteprima assoluta
un estratto di New Thing di Wu Ming 1, che
sarebbe poi uscito nell’ottobre dello stesso
anno. Il quinto numero, Merda d’autore,
uscito nel marzo 2005, è una raccolta di testi
giudicati pessimi e impubblicabili dagli stessi
autori. Vertigine ha reso possibile la pubblica
lettura di interventi altrimenti destinati all’oblio.
In Politicamente scorretto, dell’ottobre 2005,
ampio spazio, invece, a racconti, poesie e
riflessioni sulla situazione politica e sociale
italiana. Oltre al già pubblicato, questo
numero contiene una sezione di inediti,
Tritature, nella quale sono presenti recensioni
e riflessioni su libri dimenticati nel corso della
passata stagione editoriale. A partire dai
prossimi numeri la rivista presenterà al suo
interno due sezioni, una sezione di argomento
tematico sul quale si accederà per invito,
come d’altronde è accaduto in questi anni,
e, questa la grande novità, una sezione
dedicata al laboratorio delle scritture, nella
quale verranno ospitati poesie, racconti e
contributi critici di giovani autori in cerca di
nuovi luoghi d’espressione. Per contattare
la redazione [email protected], per
ordinare una copia della rivista penspol@
alice.it.
Pulsatilla
La ballata delle prugne secche
Castelvecchi
***
In un periodo in cui
va di moda il sesso
sbandierato, le lolite
disinibite, libri come
reality mordi e fuggi,
diari on line, blogghisti
romanzieri,
l’editore
più
provocatorio
d’Italia lancia la sua
nuova sfida: Pulsatilla.
Giovanissima scrittrice
senza peli sulla lingua,
la risposta al finto erotismo da salotto di
Melissa P., Pulsatilla si racconta senza
mezzi termini. Votata ai più umani dei vizi,
affetta da paranoie generazionali quali la
linea e l’estetica, vive la sua sessualità, il
suo rifiuto per la città natale (Foggia) con
la naturalezza con cui si parlerebbe per
ore al telefono con la migliore amica. Ci
sono momenti assolutamente esilaranti,
altri un po’ faciloni in realtà. Quello che
sorprende è la sfrontatezza con cui si
mette a nudo. Senza filtri, senza stare a
girarci intorno. È per questo che Pulsatilla
non può che piacerti alla fine, per quella
sua acerba semplicità, per il suo sguardo
fresco sul mondo, per le sue ragazzate
che un po’ vorremmo aver fatto anche
noi. Tra le leggerezze e le risate c’è anche
spazio per momenti più bui. Non perdetevi
la sua iniziazione sessuale, le sue lezioni di
foggiano, il suo James, il suo bestiario di
blogghisti. Libro un po’ da ombrellone, un
po’ da voyeur. (O.P.)
25
G L I A L I E N I S E CON D O
T OMM A S O P I NC I O
Come mai gli extraterrestri hanno
impiegato secoli e secoli per entrare
compiutamente nel nostro immaginario
quotidiano? È soltanto un caso che gli
alieni siano giunti fra noi all’indomani
della seconda guerra mondiale? E che
dire della loro spiccata predilezione per
gli Stati Uniti? A tutte queste ed ad altre
domande risponde Tommaso Pincio
in Gli alieni (Fazi, euro 16), suo ultimo e
recente lavoro, pubblicato ad un anno
di distanza dal lisergico romanzo La
ragazza che non era lei.
Chi conosce le tue opere narrative prima
o poi avrebbe dovuto aspettarsi questo
libro sugli alieni. I tuoi romanzi giocano
molto spesso con questa relazione
con l’“oltreumano”. Quando è iniziata
questa tua “passione” per gli alieni? Hai
qualche aneddoto in proposito?
È andata più o meno come racconto
in Un amore dell’altro mondo: da
bambino pensavo di essere un piccolo
alieno che per qualche ragione era
stato punito e costretto a vivere sulla
Terra in una famiglia che non era la sua.
Speravo che un giorno o l’altro i miei veri
genitori mi venissero a riprendere con
un disco volante. Non è mai accaduto.
Col tempo ho cercato di farmene una
ragione, ma non è che abbia perso del
tutto la speranza. Disfarsi dei fantasmi
dell’infanzia è impossibile.
Quanti film, serie televisive e libri hai
ingurgitato sul tema degli extraterrestri?
Moltissimi film e tante serie televisive.
Quanto ai libri, relativamente pochi.
La saggistica sull’argomento è spesso
noiosa e inconcludente. Non di rado
rasenta anche il ridicolo. Del resto, non
potrebbe essere altrimenti. La ragione
per cui l’ufologia non viene considerata
una scienza è l’impossibilità di un accesso
diretto al suo oggetto di studio. Gli alieni
sono elusivi per natura. Ci provocano
con fugaci apparizioni ma alla resa dei
conti puntualmente si ritraggono, quasi
pretendessero un nostro atto di fede.
Vogliono che crediamo in loro alla stessa
maniera in cui si crede alla favole o in
Babbo Natale. La loro dimensione ideale
è il mito, non la realtà in cui pretendiamo
di vivere. Per questo le riflessioni più
serie e credibili sugli extraterrestri vanno
cercate nel cinema di fantascienza.
Perché non dedicarti al tuo quinto
romanzo? Per liberarti da un’ossessione
personale? Per cercare di chiarire alcuni
punti oscuri sulla questione degli alieni
che sono sconosciuti a gran parte del
pubblico o per altre ragioni?
Il libro sugli alieni è nato quasi per caso.
Mi si è presentata l’occasione e l’ho
colta al volo in quanto volevo evitare di
immergermi subito in un nuovo romanzo.
Ti sembrerà incredibile ma le storie che
racconto le vivo mentre le scrivo e
“La ragazza che non era lei” è stata
un’esperienza difficile da vivere.
È da poco consultabile in rete Aliens don’t
suck!, un periodico di integrazione non
violenta degli extraterrestri da te curato
(www.webalice.it/tommasopincio). Che
tipo di spazio sarà?
Uno spazio anarchico con regole
precise. Una di queste è di non usare
il web alla stregua di un contenitore
dove accumulare materiali a tempo
indeterminato. Ogni due settimane i
contenuti verranno cambiati senza dare
ai visitatori la possibilità di accedere ai
numeri precedenti. L’accesso limitato è
la principale direttiva imposta dagli alieni
al fine di giungere a un’integrazione
pacifica con noi terrestri.
A proposito del prossimo romanzo, è già
in cantiere qualcosa?
Ha un titolo provvisorio: Apocalypse
Rome.
Dal
che
ognuno
potrà
evincere che sarà ambientato nella
città in cui sono nato. Ovviamente,
trattandosi di un mio romanzo sarà
una Roma alquanto devastata dalla
mia immaginazione. Il cantiere è già
aperto ma contemporaneamente sto
lavorando ad un altro libro che andrà in
stampa prima del romanzo e sul quale
preferisco mantenere il riserbo.
Per
concludere
questa
nostra
chiacchierata?
Soltanto il monito il finale: gli alieni
esistono ma forse è meglio se non ci
crediamo.
Rossano Astremo
Coolibrì
26
S E S S O , A L COO L E ROM A NZ I :
L A ROCK S T A R D E L L A
LETTERATURA SUDAMERICANA
Intervista a Efraim Medina Reyes
Il suo romanzo C’era una volta l’amore
ma ho dovuto ammazzarlo è stato un
caso letterario, un vademecum per i delusi
dall’amore, dedicato a quelli ancora
incazzati come iene per una lei che non
c’è più. Il suo Tecniche di masturbazione tra
Batman e Robin è una guida, un manuale
per diventare un seduttore infallibile. La
sessualità della Pantera Rosa è il suo ultimo
romanzo. Ne abbiamo parlato proprio con
l’autore Efraim Medina Reyes in occasione
di una sua visita in Italia.
Notoriamente si associa alla letteratura
dell’America Latina un immaginario fatto
di folklore, magia, tradizione. I tuoi romanzi
rappresentano una rottura in questo senso,
anche le tue posizioni rispetto ad autori
apparentemente intoccabili, perché?
Non mi sono mai proposto di diventare uno
scrittore, mia madre voleva che diventassi
medico e infatti ho studiato medicina per
quasi quattro anni. La mia prima rottura
è stata quella, con la tradizione fatta di
madri colombiane umili il cui unico sogno
è quello di avere un figlio medico (a quel
tempo essere medico era importante),
che desse loro uno status e una vita più
degna. Mi dissi: Se realizzo i sogni di mia
madre chi cazzo realizzerà i miei? Quando
lasciai l’università rimasi alla deriva,
avevo fatto della musica e praticato
la boxe senza alcun successo, e da un
momento all’altro, per calmare la rabbia
e l’ansia, cominciai a scrivere. I miei libri
rappresentano la Colombia e l’America
Latina della mia generazione: siamo stati
tutti alimentati, attraverso la televisione,
con merda gringa del tipo: se lo vuoi puoi
farcela; puoi essere biondo, forte e vincere
un milione di dollari. Da bambino andavo
al cinema con gli amici del quartiere per
vedere i western e quando quei pistoleri
biondi sparavano agli indiani e ai negri,
festeggiavamo con risate e applausi.
Divertente no? È il lavoro che fanno i
mass media, ti insegnano a odiarti e a
disprezzarti, a sentire schifo per quello che
sei. I miei libri parlano di quello schifo, il mio
folklore non ha nessuna magia; è fatto di
pezzi di merda gringa e ricordi personali.
I miei eroi sono Morrison o Cobain. Mi
riconosco nella letteratura di Capote o
Bukowski, non in García Márquez. Sono, in
fin dei conti, un figlio bastardo dell’impero
yankee.
Nei tuoi romanzi quello che sorprende
subito è la lingua, il modo diretto che hai
di dire e raccontare le cose, la stessa
capacità di sintesi che hai nel scegliere i
titoli dei tuoi libri...uno stile che ha fatto del
tuo primo libro un grande successo e di te
un caso letterario. Quale è il tuo approccio
alla scrittura?
Non ho mai studiato letteratura ne ho mai
sognato di scrivere, da bambino passavo
il tempo leggendo fumetti e durante
l’adolescenza mi appassionai ai romanzi
polizieschi. Andavo continuamente al
cinema, penso che il mio linguaggio
abbia molto a che fare con tutto ciò;
sottotitoli (in Colombia i film non vengono
doppiati), frammentazione, giochi con le
strutture e i generi. Descrivere un albero o
una stanza mi sembra una stupidaggine,
mi interessa la situazione, la circostanza
umana. Il lettore può fare il resto. Quando
scrivo cerco di proporre un dialogo, i miei
libri non sono pappa per bebè come Il
Codice Da Vinci. Scrivo per gente che
non teme di confrontarsi con le proprie
tare, gente con l’anima nel posto giusto.
Da C’era una volta l’ amore ma ho dovuto
ammazzarlo a La sessualità della Pantera
Rosa, cosa è cambiato a Città Immobile?
Le cose vanno di male in peggio, ora
l’unico turismo che arriva è fatto di orde di
vecchi grassoni e calvi, spagnoli e italiani,
con un pacchetto che include droga a
buon mercato e bambine o bambini tra
i 7 e 15 anni, ancora più a buon mercato.
Il centro storico della città è una bella
cartolina ma fuori da lì circa un milione
di persone affondano nella miseria più
atroce. Si tratta di uno dei luoghi più
ingiusti e spietati che esistono al mondo.
Anche se nei miei libri non c’è un vero e
proprio discorso politico e sociale, i miei
personaggi rappresentano questa realtà
crudele e a suo modo unica e vibrante.
Si balla ancora, si beve, si ride e si ama
quasi con disperazione. Ognuno sa che
la canzone che sta ascoltando potrebbe
essere l’ultima. La gente sogna di
andarsene da qualche altra parte, come
il personaggio centrale de La Sessualità
della pantera Rosa che pensa che la
vita possa essere migliore a Parigi fino a
quando non conosce i francesi...
Coolibrì
Le donne, il sesso, l’alcool che ruolo hanno
nella tua vita?
Il sesso e l’alcool sono la nostra religione,
le donne un male necessario. La
maggioranza dei miei amici non mi ha
mai invitato a cena, a noi colombiani
sembra pomposo e anche un po’ stupido.
Bere è ciò che abbiamo fatto per quasi
tutta la vita e quando si beve ci sono
sempre musica e donne. Ci piace ballare,
muoverci. Balliamo stringendo le nostre
donne come preliminare a una buona
ripassata. Sono cresciuto e ho vissuto tra
questi elementi; intorno al rum e al whisky
di contrabbando ho avuto le esperienze
più intense, divertenti e tragiche che
possiate immaginare.
La musica è sempre nei tuoi romanzi,
quale musica e quali band ami?
Ho un gusto eclettico, come dev’essere
per un vero bastardo: The Doors, Roy
Buchana, Zeppelin, Sex Pistols, Ramones,
King Crimson, ma anche Ben E. King, Sam
Cooke, The Temptations, Marvin Gaye,
Smokey Robinson, Gladys Knight. Degli
anni novanta naturalmente Nirvana e
Pearl Jam. E poi The Cure, Radiohead,
Disco Inferno, Cul de Sac, Talk Talk fino ai
fratelli Hartnoll e i suoi Orbital. Della musica
latina adoro Richie Ray, Lavoe, Héctor
Casanova. La musica per me è come
una droga, è l’unica cosa per cui sono
ancora vivo. A proposito, ho formato una
band con due musicisti italiani del Veneto,
Sebastiano e Taddeo Tronca, la 7 Torpes
Band (cfr. La banda dei 7 imbranati) e
stiamo registrando un album sperimentale
con i miei testi e la loro musica il cui titolo è
Canzioni ancora più mediocri, che credo
sarà pronto per il prossimo autunno.
Quali letture ti hanno segnato?
Sono adirittura più eclettico come lettore:
Ray Bradbury, il poeta peruviano César
Vallejo, Celine, Pavese, Onetti, Stefano
Benni, Laurence Sterne, Heinrich Boll,
Andrés Caicedo, il poeta colombiano
Juan Manuel Roca, Raymond Chandler,
Carson McCullers, Djuna Barnes e molta,
moltissima peosia anglosassone ma anche
tedesca, soprattutto poeti del XIX secolo
come Heinrich Heine.
Quanto della tua vita è nei tuoi romanzi?
Non negherò che c’è un bel pò della mia
vita in quello che scrivo, però tutto viene
filtrato per produrre determinati effetti.
Uno non vive nella verità, la costruisce e
il linguaggio, che è la bugia più grande
che abbiamo inventato, può essere un
eccellente alleato della verità. Come
dice José Bergamín: “Si mente più del
necessario per mancanza di fantasia, ma
anche la verità si inventa”.
Che rapporto hai con l’Italia?
Per qualche ragione che ignoro mi sento
bene qui; è un paese patetico e impostato,
però più vitale del resto dei paesi europei,
inclusa la Spagna. Gli italiani non sanno
ballare ma almeno ci provano. Hanno
una lunga storia e una gran cultura però
sono sempre più ignoranti. Il cibo è sempre
uguale, eppure riescono a farlo sembrare
differente. Sanno che il loro calcio è
una farsa ma soffrono e si emozionano
comunque. Gli uomini si truccano più
delle donne e, proprio come i colombiani,
ovunque vadano si credono i più furbi e
applaudono quando l’areo atterra.
Osvaldo Piliego
27
ZANDEGU’, CASA EDITRICE CON
TANTA VOGLIA DI CRESCERE
Per partire, un po’ di retorica non guasta:
in un Paese come l’Italia in cui i lettori
sono putride mosche bianche e l’editoria
è nelle mani di pochi potenti che bavosi
arraffano tutto, che senso ha dare vita
ad una nuova casa editrice? Lo abbiamo
chiesto a Marianna Martino, ventiduenne
di Torino, a capo della casa editrice
Zandegù, piccola realtà editoriale che
ha tanta voglia di crescere.
Allora Marianna, come è nata l’idea di
aprire una casa editrice?
L’idea nasce dopo che ho finito il
master Holden. Che fare? Non è che
proprio i lavori da scrittore piovano dal
cielo, tanto meno sei hai solo 20 anni e
esperienza zero. E poi, a dirla tutta, a me
di scrivere non mi andava per niente,
perché durante il master avevo scoperto
una grande passione per l’editing e la
revisione dei testi altrui. Così, un giorno,
mio papà mi ha detto “perché non apri
una casa editrice?” E io ho pensato,
“perché no? Sarà difficile, ma sai che
divertimento e che soddisfazione?”.
All’inizio ero spaventatissima, non sapevo
cosa fare, da dove cominciare. Allora
ho frequentato dei corsi di editoria, ho
studiato libri, ho chiesto consigli ad altri
editori e alla fine ero sempre più convinta
e mi sono messa a cercare i testi da
pubblicare. È stato complesso e spesso
avevo momenti di smarrimento, ma grazie
all’appoggio dei miei genitori e del mio
ragazzo ce l’ho fatta e ho tenuto duro.
Però non sono completamente sola. Con
me, collaborano Antonio, il grafico, e
Marco, che si occupa dei contratti.
Qual è la linea editoriale della casa
editrice?
Zandegù pubblica racconti e romanzi
italiani surreali. Cioè storie che esaltino
l’aspetto buffo e assurdo della vita di
tutti i giorni. Racconti rocamboleschi del
quotidiano. Ma anche favole moderne,
con aspetti tipicamente fantastici.
Insomma, pubblico tutto ciò che è molto
divertente, originale e fuori dal coro.
Un accenno ai primi due titoli usciti?
I libri usciti per primi, a marzo 2006, sono
due raccolte di racconti, Hollywood
Party, antologia di giovani autori, e
Cosa faccio quando vengo scaricato
di Simone Marcuzzi. La prima è una
raccolta di nove racconti ispirati ad
altrettanti film famosi americani dagli
anni 50 ad oggi (da La donna che
visse due volte a Million dollar baby). I
racconti sono intervallati da tre “pareri
dell’esperto”, scritti da Marco Ponti,
Steve Della Casa e Bruno Fornara.
La seconda uscita è una raccolta
di
storie
d’amore
tipicamente
maschili, cattive, sboccate, audaci,
divertentissimamente
feroci.
A
metà
maggio
è
uscito
il primo romanzo I
sassi vanno matti per
le sasse di Roberto
Tossani, una storia di
sassi che contengono
misteriosi ricordi al loro
interno, di un uomo
che li sa leggere, ma
ha un brutto rapporto con le donne. E un
rapporto migliore coi palloncini colorati
I prossimi libri?
Tra settembre e novembre usciranno altri
tre romanzi e un’altra raccolta.
Scrittori preferiti?
Gli autori che più amo sono Amelie
Nothomb,
Yehoshua,
Saramago,
Bradbury, Ammaniti, Nori. E poi il mitico
Lansdale. Irraggiungibile!
Quali le speranze e le paure? La strada
che hai intrapreso è impervia, no?
La mia speranza è di diventare un
marchio che sia sinonimo di qualità,
bei libri, scritti bene, storie interessanti e
tematiche mica da ridere. Però ridendo!
Cioè grandi pensieri detti senza annoiare
il lettore con tanti giri di parole. La mia
paura più grande è di deludere gli autori
che si sono affidati a me e che con me si
sono lanciati in questa epica avventura.
E spero proprio di non deluderli mai.
I primi riscontri di critica e pubblico?
Per il momento mi sembra che ci sia
un buon interesse. Piccolo ma positivo.
Quindi, non mi resta che lavorare sodo
perché il riscontro aumenti!
Qualcosa da aggiungere?
L’indirizzo del mio sito www.zandegu.
it e quello del mio blog www.zandegu.
splinder.com, dove racconto le mie
vicissitudini da editore.
Rossano Astremo
Zandegù Editore
Via Giovanni da Verrazzano 59
Torino
Tel. 0115681564
[email protected]
28
filh O s de B i M B a a le C C e
Caà-pueera. Il “bosco che non esiste
più”, in un antico dialetto degli indios
sudamericani, ma anche co-puera,
“campagna
abbandonata”,
quasi
un pensiero ecologista ante-litteram:
il trauma del disboscamento operato
dai colonizzatori, lo scontro tra civiltà
dall’esistenza simbiotica con la natura
e invasori per i quali essa, privata di ogni
valore spirituale, si riduce ad elemento
da plasmare, nel migliore dei casi, o
distruggere senza preoccupazioni di
ricadute di lungo termine sull’ecosistema.
Nel Brasile contemporaneo è anche
il nome di un uccello, segno di una
confluenza simbolica di ideali di libertà
e approcci alla realtà ormai perduti e
vissuti con nostalgia. Infine uno spaziare
attraverso un arco di significati che parte
da “teppista” o “malavitoso” sino ad
arrivare a designare un’arte marziale
che, proibita dal governo brasiliano
sino al 1930 circa (data del suo ufficiale
riconoscimento come disciplina sportiva
da parte del governo brasiliano), era
praticata ed utilizzata prevalentemente
da quei soggetti ritenuti pericolosi dalla
polizia per l’ordine sociale. Sino al XIX
secolo questi individui pericolosi erano,
appunto, gli schiavi di origine africana,
resi violenti dallo sradicamento e dalle
insopportabili condizioni di vita cui erano
costretti. Una tipica strategia schiavista
era quella di mescolare nelle fazendas
africani provenienti da tribù diverse o
nemiche, parlanti lingue reciprocamente
incomprensibili, così da rendere difficoltosa
l’auto organizzazione che avrebbe potuto
portare alla rivolta.
Nelle piantagioni di cotone essi dovettero
tentare, per limitare lo spaesamento, di
conservare alcune loro tradizioni religiose,
quali il candomblé, e comportamenti
rituali come la lotta tra I pretendenti di una
stessa donna, la danza zebra. Al principio i
riti religiosi vengono fortemente ostacolati,
ma data l’impossibilità di una loro
totale eliminazione, finiscono per essere
ufficiosamente tollerati, con ciò offrendo
un opportunità di mascheramento per
pratiche di altro genere. Ed è proprio
in questo ambito che, insieme a quelle
di una lenta ma inarrestabile presa di
coscienza, vanno rintracciate le vere
origini della attuale capoeira, da molti
ancora erroneamente ritenuta di origine
propriamente africana.
La prima scuola ufficiale, il centro di
cultura fisica e lotta regional bahiana,
aprirà i battenti solo nel 1932, a 40 anni
dall’abolizione della schiavitù, grazie agli
sforzi di Manoel do Reis Machado, detto
Mestre Bimba. Brasiliano di origine africana,
uno dei “negros” più importanti della sua
epoca in tutto il mondo. Illetterato, nacque
a Salvador de Bahia nel 1900,
quando ormai morivano gli
ultimi africani del Brasile. Fu
non solo un capoeirista, ma
soprattutto un “costruttore di
uomini”, che mai dimenticò
le sue origini e l’eredità
culturale africana. È a lui che
si deve la definitiva uscita dalla
clandestinità della disciplina e
la sua strutturazione attraverso
regole che ne mettono in risalto
l’aspetto agonistico, più che
quello puramente offensivo
di
“combattimento
senza
regole”.
L’Assessorato alle Politiche
Giovanili della provincia di
Lecce, l’associazione “Progetto
Ginga” e la Fundaçao Mestre
Bimba di Salvador di Bahia,
presentano a Lecce dal 9 all’11
giugno, presso il residence
“I Giardini d’Atena”, il primo
incontro italiano di capoeira
regional del gruppo Filhos de
Bimba.
Il
programma
della
manifestazione
(visibile
sul
sito web www.filhosdebimbalecce-italy.org)
prevede
laboratori di Capoeira, danze
Afro-Brasiliane e musica e sarà
diretto dal figlio di Mestre Bimba,
Mestre Nenel, continuatore
dell’opera
del
padre
e
fondatore della escola de
capoeira filhos de bimba, oltre
che promotore del progetto
capoeré, per il recupero degli
adolescenti in situazioni di
disagio. Ad affiancare il Mestre
ci sarà, tra gli altri, il Profesor
Tatà del nucleo Lecce.
Nella mattina dell’11 giugno,
infine, avrà luogo la prima festa italiana di
batizado della capoeira regional (evento
che segna la vera e propria iniziazione alla
pratica marziale, al ritmo del berimbau),
alla quale tutti sono invitati ad assistere.
L’ingresso è gratuito, su prenotazione
quello per le proiezioni e lo stage. Info
340.3178900
Almesse per Progetto GINGA
Be Cool
29
il cinema secondo coolcub
Anche libero va bene
Kim Rossi Stuart
01 Distribution
****
Cos’è la fanciullezza? Non credo esista un
termine che possa descriverne appieno
tutte le sfumature, ma se ci fosse sarebbe
crescita. Figlio d’arte e attore navigato,
a 36 anni Kim Rossi Stuart decide che è il
momento di rimettersi in gioco e si pone
in evidenza con uno degli esordi più
interessanti degli ultimi anni. Ed è proprio
dall’infanzia che riparte, quasi costituisse
una sorta di metafora che accomuna il
film (presentato con successo a Cannes
alla Quinzaine des rèalisateurs) alla sua
neonata carriera. La storia è quella di
una famiglia come tante di cui Renato
è padre e padrone, complice una
moglie assente e instabile. Al suo fianco
due figli. Protagonista indiscusso è uno
di loro, Alessandro Morace che nel film
interpreta Tommaso ed è dal suo sguardo
che passa tutta la narrazione, tra le
incomprensioni con gli amici e le pressioni
di un genitore che tenta di forgiarlo alla
durezza della vita. Sullo sfondo una Roma
popolare e il peso della sopravvivenza.
Interpretazioni al di sopra della media
vengono anche da Barbora Bobulova
e ovviamente dallo stesso Rossi Stuart,
che interpreta un padre affettuoso ma
allo stesso tempo portatore di un peso
incredibile, quello di una famiglia ormai
smembrata che tenta di tenere unita.
Anche libero va bene (riprendendo una
frase cruciale del bambino al padre)
è un film sincero che respira a pieni
polmoni neorealismo (De Sica, I bambini
ci guardano) e nouvelle vague (Truffaut
e il suo I 400 colpi in particolare) da cui
riesce a riprendere e riproporre, anche
se non impeccabilmente, un certo
tratto intimo e personale e le tematiche
popolari. Efficace la fotografia, senza
fronzoli e artifici, nuda e cruda come la
situazione richiederebbe e primo viatico
per una rappresentazione coinvolgente.
Rossi Stuart in questa pellicola compie
una scelta, ed è quella di abbandonare
il cinema per puntare l’obiettivo
sull’esistenza. Sulla sua tristezza e difficoltà
(contestata una scena con parole di
particolare crudezza), ma anche sulle
piccole grandi soddisfazioni che a volte
riesce a regalare. Un’esistenza non
sempre facile. E vista da occhi diversi. Gli
occhi di un bambino strappato troppo
presto all’infanzia per la consapevolezza
che non tutto va sempre per il meglio.
E non fa niente se a volte i sogni vanno
ridimensionati. Fa parte della vita. Non
importa piccolo Tommi. Anche libero va
bene.
Be Cool
30
B U ON
SANGUE
NON
MENTE
SCENA DEL FILM “SANGUE”
n e l l a f o t o E M A N U E L A B A R I L OZZ I
Il nuovo regista
Libero De Rienzo
A
volte
raccontare
nasce
da
un’esigenza, è la nostra carne, sono le
nostre viscere che ce lo chiedono, come
fosse qualcosa di cui non possiamo fare
a meno. È il caso di Libero De Rienzo
(David di Donatello come migliore attore
non protagonista in Santa Maradona).
Regista, sceneggiatore e attore è al suo
primo lungometraggio intitolato Sangue
- la morte non esiste, presentato al 58mo
Festival di Locarno nella sezione Cineasti
del Presente. Più che un’intervista a un
promettente artista (inteso nel suo senso
più pieno) è uno scambio di idee con
una persona di rara sensibilità, un amico
che ha saputo tirare fuori un lavoro a
tratti politico, a tratti intimo, figlio del suo
stesso sangue. Una piccola perla che
non bisognerebbe smarrire, perché è
vero, può non piacere, ma di certo non
può lasciare indifferenti.
Il tuo è un film poco italiano, di sicuro
politicamente scorretto, e per nulla
semplice. Me ne racconti la genesi?
È nato tutto dall’esigenza di raccontare
una storia per me importante, poi con il
passare del tempo la vicenda è passata
in secondo piano ed è diventata un
pretesto per dire cose sul cinema.
Sei già un attore apprezzato e per giunta
giovane. Cosa ti ha spinto a metterti in
gioco dietro la macchina da presa? E
quali sono le maggiori difficoltà con cui ti
sei confrontato?
Fare l’attore era l’iter da seguire per
arrivare alla regia, sui film che ho fatto ero
un infiltrato che cercava di carpire tutto,
da come si gestiva la produzione a come
si smontava la macchina da presa, ho
fatto il macchinista, l’elettricista, mi sono
occupato di scenografia e mi è servito per
gestire al meglio il mio set e capire ogni
esigenza della mia troupe. Questa forte
necessità di rendere una cosa eterna e
fare dell’arte con il cinema mi ha reso
forte per realizzare il mio film che avevo
già stampato nella mente da anni, gli
inconvenienti ci sono stati, dai problemi
economici ai problemi organizzativi, ma
la nostra forza era e sempre sarà di fare
di necessità virtù e risolvere le cose.
Dalla struttura del film e alle scelte
stilistiche ai tabù che affronta, Sangue
è un lavoro indubbiamente complesso.
Come lo definiresti?
Sangue è la carne del mio pensiero,
sono io, con tutti i miei pregi e difetti ed
è il frutto di tutte le scelte che ho fatto
fin’ora.
Vedendo il film si ha la sensazione che tu
conosca bene quello di cui parli. Quanto
c’è di autobiografico? E quali influenze ti
hanno maggiormente condizionato?
Sono convinto che non si possano
raccontare realtà di cui non si conosce
nulla e a cui non si appartiene, è una
condizione che conosco bene perché è
il modo in cui vivo, Ogni giorno della mia
vita con i suoi avvenimenti, con le sue
scelte, con quel particolare libro letto al
liceo mi ha influenzato e portato fino a
qui.
Purtroppo il film è nelle sale in solo 8
copie…credi dipenda da quanto detto
prima? O da cos’altro?
Sicuramente gli argomenti “tabù” di cui in
Italia non si può parlare, hanno influenzato
chi lo distribuiva a limitarne il numero di
copie in uscita e poi c’è sempre il solito
problema che se crei un prodotto diverso
da tutto ciò che ci circonda, hai poche
possibilità di avere una visibilità buona.
Sangue vuole essere un film per tutti
coloro che stanchi di andare al cinema
solo a Natale a vedere sempre le stesse
cose hanno smesso di andarci, quelli
della mia generazione per primi.
Credi il budget ridotto abbia influito
sul risultato, o ritieni Sangue un lavoro
comunque riuscito?
Sangue è ciò che mi immaginavo da
anni, lo avevo già impressionato nella
mia mente. E’ un film ricco più di tanti altri
a low budget, con un sistema interno ben
delineato che ha permesso cose come il
digital intermediate, macchine da presa
che volano, inseguimenti, sparatorie,
insomma non ci è mancato nulla.
Sangue ha il sapore di un fantastico
film indipendente. Alla luce di questa
esperienza, cosa vorresti dire al sistema
cinema?
Che c’è bisogno di sostegno alle opere dei
registi nostrani che vogliono rivendicarsi il
fatto di creare capolavori italiani e che
fare un cinema diverso, un cinema che ti
lascia qualcosa è possibile.
Al di là della qualità di cui il tuo lavoro
é impregnato, cosa pensi di aver detto e
lasciato? E il tuo messaggio, se c’è, a chi
è rivolto?
Sangue è un film contro la paura e tutte
le cose che ti porta a fare, la paura è
senza età, ti segue sempre se decidi di
piegartici. Una persona che ho incontrato
ad un festival mi ha detto che da quando
ha visto il film tutte le volte che ha paura
di un qualche cosa pensa al discorso
finale di Iuri e si sente più forte. Questo è
ciò che speravo di riuscire ad ottenere.
Michele C. Pierri
Be Cool
Volver
Pedro Almodóvar
Warner Bros
*****
31
IMMAGING IMMAGINARIA
Intervista a Giuseppe
De Mattia e Luigi
Iovine, direttori
artistici di Imaginaria
film Festival
Con questa pellicola Pedro Almodóvar
puntava alla Palma d’oro come miglior
film. E proprio come nel 1999 con
Tutto su mia madre anche in questa
occasione è stato un altro regista a
festeggiare.
Raimunda (Penelope Cruz, nella foto) e
Sole (Lola Duenas), due sorelle originarie
de La Mancha, vivono nella Madrid dei
quartieri della classe lavoratrice: l’una
con la figlia nel pieno dell’adolescenza
e il marito, fresco disoccupato; l’altra
guadagnandosi da vivere in un negozio
da parrucchiera abusivo.
Le due donne vengono raggiunte dalla
notizia della morte dell’anziana zia,
Paula, che viveva “al paese”, accudita
dalla vicina Augustina. Raimunda, pur
essendone profondamente legata,
non può andare al funerale; ha
trovato il marito morto in cucina: la
figlia ha confessato di essere stata
lei ad aver ucciso il padre perché
questi, ubriaco, l’aveva molestata.
Fa da legante alle varie vicende la
“presenza” di Irene (Carmen Maura),
madre delle due ragazze, morta in
un incendio con il marito. È difficile
racchiudere questo capolavoro in una
semplice sinossi. Questa “commedia
drammatica”, molto distante dal
cupo e maschile La mala educacion,
rappresenta l’ennesima dichiarazione
d’amore del regista alle donne; ma
non solo. Almodóvar, facendo sempre
riferimento all’esperienza personale,
fa uno straordinario affresco dei riti e
del costume di una “certa” Spagna,
“luminosa e solidale”, lontana dal
concetto tragico della morte.
Dirige magistralmente questo cast,
esclusivamente al femminile, tra cui
spiccano Carmen Maura e Penelope
Cruz, in una delle sue prove più
importanti, vicina alla tradizione italiana
delle migliori Anna Magnani e Sofia
Loren.
Sabrina Manna- Zero Project
Come nasce il festival di Imaginaria?
La manifestazione nasce quattro anni fa
sull’esperienza di Vedo Corto un festival di
cortometraggi diretto, tra gli altri dal regista
Federico Greco. Poi Luigi co-direttore di
Imaginaria, ha fondato il circolo del cinema
“Atalante” che fa parte del circuito UICC
e così nel 2003 è partito il festival come
rassegna cinematografica. Nel 2004 è
stata istituita la competizione nazionale
con 350 film iscritti al concorso. Dal 2005 la
selezione è diventata internazionale (800
opere iscritte); il festival si è circondato
di collaboratori in Italia ed all’estero e
di nuovi patrocinatori come L’Università
degli Studi di Bari che si è unita a Regione,
Provincia e Comune.
A spiccare, in modo particolare, è la
definizione di festival indipendente. Ci
spieghi il senso di questa indipendenza?
Indipendente da schemi festivalieri
da cui prendevamo distanza con
pochissimi fondi a nostra disposizione e ne
prendiamo adesso con qualche soldino
in più. Nel senso che abbiamo seguito
la linea di un “lusso cinematografico”
sciolto da passerelle e da strani sistemi
di finanziamento. Di festival ne nascono
centinaia ogni anno e questo è, a nostro
avviso, un segnale positivo poiché sono gli
unici mezzi che alcuni progetti hanno per
essere visti, criticati e premiati. Alcuni dei
film concorrenti ad Imaginaria nelle passate
edizioni non raggiungevano i 1000 euro di
costi di produzione, ma si sono rivelati lavori
interessanti che hanno ottenuto numerosi
consensi oltre il nostro. Di indipendente
quindi, oltre alla maggior parte degli autori
che partecipano al festival, c’è la nostra
scelta di formare giurie eterogenee e
realmente di esperti. Quest’anno il discorso
non cambia: massima importanza alle
giurie (documentario, video-arte e videoclip, fiction e animazione), alla cura dei
contenuti del catalogo, alle pellicole delle
retrospettive, ai seminari e agli incontri con
gli autori.
Imaginaria si svolge a Conversano. Si tratta
di una scelta casuale o c’è un progetto
legato al territorio?
Conversano è città d’arte della provincia
di Bari e da alcuni anni c’è un tentativo da
parte delle associazioni locali di dare vita
ad iniziative culturali non essenzialmente
legate al territorio in quanto tale ma con
lo scopo di aprire nuove finestre sul mondo
andando “oltre le mura” della propria
città, del proprio vivere quotidiano.
Imaginaria è legata ad un progetto di
recupero e riqualificazione di una struttura
pubblica degli anni ‘30 al fine di realizzare
un centro polivalente per le arti dello
spettacolo. L’iniziativa è stata finanziata
dalla società Cosis di Roma grazie ad un
bando nazionale per nuove cooperative
sociali. Nonostante alcune difficoltà
con gli interlocutori politici di turno, la
cooperativa aprirà a breve il cantiere e
presumibilmente entro natale 2006 ci sarà
l’inaugurazione. È possibile immaginare
pertanto le ripercussioni che una tale
iniziativa può suscitare sul territorio e sulla
possibilità concreta di dar vita a nuovi posti
di lavoro nel settore dello spettacolo.
Quali sono le novità quest’anno?
Una delle novità di questa edizione è
l’apertura del concorso ai lungometraggi
nazionali ed internazionali; questo ha fatto
lievitare il numero di opere pervenute
da tutto il mondo che sono circa 1000.
Un’altra importante svolta è la nascita
della collaborazione amichevole e
professionale con il gruppo barese di Lab
080 a cui è stata affidata la selezione e
l’allestimento delle proiezioni di videoarte e video-clip. A loro è stato dato un
nuovo spazio (la chiesa sconsacrata di
San Giuseppe) rispetto ai classici che
ci ospitano dalla prima edizione nel
complesso di San Benedetto. Gli amici
della passata edizione sono rimasti; in più,
oltre a Lab 080, c’è l’organizzazione del
festival toscano Visionaria, la Cineteca
comunale di Bologna, la casa di
animazione Loop, la Cineteca Lucana,
la Cineteca Cinetoscopio di Altamura,
ecc. Altro attivissimo collaboratore sul
territorio regionale è il festival “Cinema
del Reale” di Galatone, organizzato da
Big Sur, con il quale stiamo pensando di
creare un “Archivio Filmico della Memoria
Familiare” grazie alla collaborazione
dell’associazione
Home
Movies
di
Bologna. Ci sarà un omaggio al cinema
di Marco Ferreri con la proiezione de La
Cagna, L’ape regina e La donna scimmia.
Il giorno conclusivo sarà proiettato il film Il
ritorno di Cagliostro di Ciprì e Maresco. Per
la sezione Mutosonoro gli appuntamenti
saranno tre: la proiezione di Maciste
all’Inferno di Guido Brignone in pellicola
musicato dall’orchestra del Conservatorio
di Monopoli, il Faust di Murnau, sempre in
pellicola, accompagnato al pianoforte dal
Maestro Gianni Lenoci e la proiezione di
Catherine work in progress: una collezione
di film amatoriali (16mm, 8mm e super8)
che percorrono la vita di Catherine,
orgoglio di una ricca famiglia francese.
Poi la rassegna sul cinema sovietico che
intende aprire uno spaccato inedito
sulle cinematografie nazionali delle ex
– repubbliche sorelle, con un occhio
particolare alle opere prime delle giovani
leve della scuola statale di cinema
(VGIK). Verrà dedicato un pomeriggio
all’horror anni ‘80e sarà presentato anche
il documentario Il sibilo lungo della taranta
del regista salentino Paolo Pisanelli.
Arcangelo Licinio
32
festival
CoolClub.it C
34
continua da pag. 7
(venerdì 14 luglio a Lecce), Femi Kuti (21
luglio a Galatina). I due ospiti più importanti
di questo segmento saranno Cesaria Evora
(giovedì 13 luglio) e Youssou N’Dour (sabato
15 luglio) che si esibiranno nell’atrio di
Palazzo dei Celestini a Lecce. Info: www.
provincia.le.it
dal 16 al 17 giugno
Heineken Jammin’festival - Imola
BlueBeaters (29 giugno), Roy Paci & Aretuska
(7 luglio), MondoMarcio (8 luglio, foto),
Caparezza (15 luglio). Info: redazione@
sherwood.it
dal 20 al 26 giugno
Adda Rock Fest - Medolago (Bg)
Info: www.addarock.it
23 giugno, 25 giugno e 2 luglio
Cornetto Freemusic Festival
Milano, Napoli, Roma
-
Info: www.cornettoalgida.com
dal 7 al 16 luglio
Umbria Jazz 2006 - Perugia
l’Umbria jazz è stata la costante ed
eccellente qualità; riuscire a far esibire per
quattro anni quasi consecutivi un uomo di
nome Miles Davis basta come garanzia. Ma
veniamo al presente, il 2006 vede di scena
mostri sacri del jazz passato, se passato si
può definire (Herbie Hancock - nella foto
a sinistra - , Chick Corea, Dr Lonnie Smith),
del presente (Bill Frisell, Pat Metheney,
Brad Mehldau) e del futuro (a partire dal
giovanissimo fenomeno Francesco Cafiso,
fino al supremo Roy Hargrove e la sua RH
Factor); non mancano giganti di svariate
estrazioni: James Brown, Eric Clapton, Sergio
Mendes, Caetano Veloso, Santana… basta
così?
Info: www.umbriajazz.com
Zanca
dal 7 al 15 luglio
Rototom Sun Splash - Udine
Anche nella nona edizione di Heineken
Jammin’ Festival l’Autodromo Enzo e Dino
Ferrari di Imola verrà animato da una serie di
eventi paralleli, che intratterranno il pubblico
durante i due giorni della rassegna musicale
e che avranno luogo nell’area denominata
Green Village. Questo invece l’elenco
degli ospiti del palco principale: Depeche
Mode, Negramaro, Morrissey (foto), Hard
fi, Finley, Kill the young, Goldfrapp (venerdì
16), Metallica, The darkness, Avenged
seven fold, Lacuna Coil, Living thing, Trivium
(sabato 17). Info: www.heineken.it
dal 16 giugno al 15 luglio
Sherwood festival – Padova
Lo Sherwood Festival,
che si svolge da circa
15 anni a Padova,
è
soprattutto
la
principale fonte di
finanziamento
di
Radio. Nel cast Linea
77 (16 giugno), Assalti
frontali (17 giugno),
Offlaga Disco Pax (23
giugno), Indie Attack Fest, festival della
scena indipendente (24 e 25 giugno), Louise
Attaque (28 giugno), Giuliano Palma & The
Quando nel 1973 nacque il festival del Jazz
di Perugia, la tranquilla cittadina umbra
fu sconvolta da un afflusso inaspettato
di giovani e non, accorsi da tutte parti
d’Europa. Basti pensare che nei primi anni si
esibivano gratuitamente (!) artisti del calibro
di Keith Jarrett, Charles Mingus, Sun Ra,
Gerry Mulligan etc.etc. Nella seconda metà
degli anni ’70 il festival, al culmine della sua
importanza e notorietà, aveva attirato su di
sé le ire delle amministrazioni locali e della
cittadinanza che non tollerava più la marea
di pubblico “freak” che colorava le strade
di dormitori improvvisati, e portò così alla
chiusura del 1978 durata 5 anni. A detta dei
partecipanti (pubblico e musicisti) dall’82 in
poi l’atmosfera era differente, più sobria, più
di nicchia e un po’ più cara. Ma quello che
ha sempre e comunque contraddistinto
Il Sunsplash è il festival per eccellenza della
musica giamaicana. Si tratta di un autentico
rito, il cui nome deriva dall’usanza di
protrarre lo spettacolo fino a quando il sole
fa “splash”, ovvero schizza fuori dal mare
per inaugurare il nuovo giorno. Il Rototom
Sunsplash, proliferazione dell’omonima
manifestazione giamaicana, è il primo e più
importante festival di musica reggae in Italia.
Quest’anno l’apertura del festival vedrà
sul palco Bushman, The Bongos, Jamaica
All stars (7 luglio); Andrew Tosh, Luciano,
Burning Spear (8 luglio), e poi ancora per i
giorni a seguire Teddy Afro, Alpha Blondy,
Gladiators, The Bluebeaters, I Wayne, Africa
Unite, Groundation, Tiken Jah Fakoly, Sud
Sound System (foto), Third world, Steel Pulse,
Eek-a-mouse, Easy star all stars. Info: www.
rototomsunsplash.com; sunsplash@rototom.
com
CoolClub.it
dal 12 al 15 luglio
Traffic – Torino free festival
Quattro giorni di
eventi
gratuiti,
completamente
sovvenzionati
dal Comune di
Torino, Telecom
Italia e Regione
Piemonte.
Il
12
luglio
in
programma
Richard Hawley
e Baustelle, il
13 Manu Chao
(foto), Caparezza e Joe R. Lansdale, il 14
Franz Ferdinand e Joseph O’Connor, il 15
The Strokes e Patrick McGrath. Info: www.
trafficfestival.com
dal 14 al 16 luglio
Pistoia Blues Festival
Info: www.pistoiablues.com
dal 14 al 16 luglio
Neapolis Festival - Napoli
Il Carpisa Neapolis
Festival, già dalla
sua prima edizione
svoltasi nel luglio
del 1997, si è
imposto come uno
dei più importanti
e
significativi
festival
Rock
d’Italia.
Questo
il
programma:
venerdì 14 luglio
Baustelle,
Eels,
Morrissey, Santos
e Peedoo (dj Set),
Schneider TM, The
Robocop
Kraus,
Tiga (dj Set), Tying Tiffany, dEUS. Il 15 luglio
spazio al leader dei 24 grana Francesca Di
Bella, Iggy Pop & The Stooges (foto), Jason
Firrest aka Donna Summer, Liars, Mouse On
Mars e il grande Robert Plant & The Stange
Sensation. La chiusura di domenica 16 luglio
è dedicata a Santana, Jovanotti, Mondo
Marcio. Per informazioni: www.neapolis.it.
Info: 0812404276
35
dal 20 al 23 Luglio
Porretta soul festival 2006 – Porretta
(Bo)
A 70 kilometri da Bologna e 200 metri da
Memphis, Porretta è la città più “nera”
d’Italia; in centro trovi il Parco Rufus Thomas
e un po’ più avanti ci si incammina su
Via Otis Redding; l’atmosfera di questo
festival è splendida, è intima ma potente; il
parco (Rufus Thomas appunto) nel quale si
svolgono i concerti, non ha una capienza
proporzionata alla fama degli artisti che si
esibiscono, capita quindi di poter assistere
ad un concerto di Isaac Hayes (lo ricordate
“Shaft”?) a due metri di distanza, oppure
di poter vedere “The King of Rhythm and
Blues” l’ enorme Mr. Solomon Burke seduto
su un trono che porge rose rosse al pubblico
femminile sedutogli intorno. L’edizione del
2006 (la diciannovesima) è dedicata alla
memoria delle vittime (le persone quanto
la città stessa) dell’uragano che ha colpito
New Orleans la scorsa estate; gli ospiti in
scena saranno i “Neville Brothers” (Aaron,
Art, Cyril e Charles che dagli ’50 macinano
hits soul una dopo l’altra), “Irma Thomas”
(considerata la Queen of New Orleans e
che tutti i giornali davano per dispersa dopo
l’uragano), e Davell Crawford (dotatissimo
astro nascente della black music vecchio
stile). Una cittadina, Porretta, talmente soul
da meritarsi un posto d’onore a Soulsville
lo Stax (si..la gloriosa Stax) Museum Of
American Soul Music di Memphis. Info: www.
porrettasoul.com
Zanca
dal 21 al 22 luglio
Flippaut Festival - Idroscalo di
Milano
Tra gli artisti già confermati: Massive Attack,
Gotan Project, George Clinton, Parliament,
Funkadelic, Paul Weller, Tom Verlaine,
Nouvelle Vague, Robocop Kraus, Ig, e tanti
altri. Info: www.flippaut.com
dal 27 al 30 luglio
Ruffano Tren&blues Festival
La quarta edizione del Ruffano Tren&blues
Festival ospiterà Petra Magoni e Ferruccio
Per segnalare il tuo festival estivo scrivi a:
[email protected]
Spinetti, Mr Charles Walker e i Mò Amigo, Joe
Castellano e Miss Keish & Charles Walker
dal 29 al 31 luglio
Giovinazzo
Rock
Giovinazzo (Ba)
Festival
-
Info: www.giovinazzorock.it
dal 4 al 6 agosto
Pollino Music Festival - San Severino
Lucano (Pz)
Info: www.pollinomusicfestival.it
14 agosto
Salento Summer Festival
Sizzla
(molto
probabilmente)
e
Antony B (foto) saranno
i protagonisti della sesta
edizione del Salento
Summer Festival che in
questi anni ha ospitato i
migliori nomi del reggae
mondiale ma anche del
rock, del metal e della
scena
indipendente
italiana. L’anteprima è
fissata per il 30 giugno con Buju Banton. Info
www.salentosummerfestival.it
dal 21 al 27 agosto
Ferrara Buskers Festival
Diciannovesima edizione per la rassegna
non competitiva dei migliori musicisti di
strada del mondo. In termini di tradizione
e dimensione è il più importante festival di
questo genere. Ogni anno l’organizzazione
invita a proprie spese 20 gruppi, ma a questi
se ne aggiungono molti altri.
Info: www.ferrarabuskers.com
dal 23 al 27 agosto
Ariano Folk Festival
Irpino(Av)
-
Ariano
Info: www.arianofolkfestival.it
dal 2 al 3 settembre
Rock in Idro - Idroscalo Milano
Info: www.rockinidro.com
appu N ta M e N ti
CoolClub.it C
36
MUSICA
giovedì 15/ Salento Negroamaro a Galatina
(Le)
L’Africa verso il Social Forum di Nairobi 2007
è il titolo del convegno che alle 18.00 presso
i padiglioni della Fiera di Galatina inaugura
ufficialmente
Salento
Negroamaro,
rassegna delle culture migranti della
Provincia di Lecce, quest’anno interamente
dedicato all’Africa. L’articolato programma
comprende musica, cinema, libri, premi,
teatro, arte. La direzione artistica delle tre
sezioni principali, ed è questa la grande
novità di quest’anno, è stata affidata ad
altrettanti artisti africani. Il musicista del
Congo Lokua Kanza ha messo in piedi un cast
che racchiude varie generazioni di musicisti
africani da Femi Kuti a Youssou n’dour,
da Dobet Gnaorè alla grande Cesaria
Evora. La sezione teatro sarà diretta invece
dall’attore senegalese Mandiaye N’Dyaie.
Il produttore Toussaint Tiendrebeogo
affiancherà Paolo Pisanelli nella selezione
delle pellicole che parteciperanno alla terza
edizione del Cinema del Reale, organizzata
a Galatone (dal 17 al 21 luglio) da Big Sur.
All’incontro di inaugurazione parteciperà
anche il sindaco di Nairobi Dick Wathika.
Alle 21.30 la festa si sposta in Piazza San
Pietro con il concerto dell’ensemble keniota
Big Matata & Nyamulo Tradicional Dancers
che proporranno il loro mix tra safari, soul,
reggae, pop e funky. Ingresso gratuito. Info
800242815.
giovedì 15/ Paolo Conte a Bari
venerdì 16/ Sound res a San Cesario di
Lecce
Concerto di apertura per la terza edizione
della residenza, festival e scuola estiva
di musica contemporanea organizzata
da Loop House, in collaborazione con
Coolclub, con la direzione artistica di David
Cossin e Alessandra Pomarico dedicata
alle percussioni. Sul palco Glenn Kotche
(batterista dei Wilco - nella foto), lo stesso
David Cossin, River Guerguerian, Maisar
Ndiaye e i salentini Vito De Lorenzi e Dj
Trinketto. Sarà proiettato anche il docufilm
Sound Res: i giorni del suono di Ippolito
Chiarello e prodotto dalla Prometeo Video.
Ingresso gratuito. Info su www.soundres.
com, 0832303707.
sabato 17 / Sound res a San Cesario di
Lecce
Dopo la presentazione il confronto musicale
di Sound res entra nel vivo. Il Palazzo Ducale
di San Cesario ospita infatti due workshop
(dalle 17 alle 20). Glenn Kotche, batterista
statunitense anima dei Wilco e di molte altre
esperienze musicali, presenterà “Un nuovo
approccio alla batteria con molteplici
percussioni. Il Kecak Balinese negli assolo
di batteria. Sfide e soluzioni nello studio
di registrazione”. Il dj salentino Trinketto
esplorerà le “Possibilità del turn table”.
sabato 17 / Adel’s ad Erchie (Br)
lunedì 19 / Sound res ad Arnesano (Le)
Secondo appuntamento con la scuola
estiva di musica contemporanea di
Sound res. La Sede università di Arnesano
(dalle 17 alle 20) ospita i seminari di River
Guerguerian (Guida all’ascolto profondo.
Come far risuonare i tamburi. Le percussioni
dal mondo e la batteria etnica) e Vito De
Lrenzi (Percussioni, tamburelli e tammorre,
batteria. L’evoluzione della tradizione tra
musica popolare e sperimentazione).
martedì 20 / Sound res a San Cesario
La Cooperativa Solidarietà Salento di San
Cesario di Lecce ospita (dalle 17 alle 20)
l’ultimo workshop inserito nel programma di
Sound Res.
mercoledì 21/ Fiera della musica a Cursi
(Le)
In occasione del solstizio d’estate in
tutta Europa si celebra la Festa della
Musica, nata nel 1982 a Parigi. Il Centro di
produzioni musicali Dilinò di Muro Leccese,
in collaborazione con il Comune di Cursi
e Quisalento ha pensato quest’anno
di far coincidere questa Festa con la
Prima fiera della musica che prevede
mostre, show-case, musica live, dibattiti,
merchandising delle maggiori produzioni
CoolClub.it
indipendenti salentine. Un’idea che cerca
di unire in un programma di appuntamenti
e manifestazioni a partire dal primo
pomeriggio le maggiori produzioni salentine
che negli anni hanno realizzato progetti
e prodotti “made in salento” nell’ambito
musicale esportandoli anche oltre i propri
confini locali. Chiunque fosse interessato ad
aderire alla Fiera della musica, esponendo
i propri lavori e progetti all’interno della
mostra-mercato può rivolgersi entro il 15
giugno a: Centro Dilinò, v.comm. Luigi
Maggiulli,12 – 73036 - Muro leccese (Le),
tel. 0836/341153 – cell. 348/0442053; e-mail:
[email protected]. La fiera, nelle Sale di
Palazzo De Donno a Cursi, è aperta al
pubblico a partire dalle ore 17.00. Ingresso
libero
giovedì 22/ Crifiu a Vaste (Le)
giovedì 22/ Superpartner e PensierinVolgare
al Parco della Grottella di Copertino (Le)
PopLab musik organizza un interessante
evento con le sonorità raffinate dei
Superpartner e il rock in dolce stilnovo dei
PensierinVolgare. A seguire selezioni indie,
rock, drum n bass. Ingresso gratuito.
giovedì 22/ Sound Res band al Rettorato di
Lecce
Dopo dieci di giorni di prove, incontri,
scambi sonori e culturali la Sound Res
band, composta dai musicisti che hanno
partecipato alla residenza artistica di
San Cesario, presenterà i suoi inediti in un
concerto unico. Glenn Kotche (batterista
dei Wilco), il direttore artistico David
Cossin, il canadese River Guerguerian, il
senegalese Maisar Ndiaye e i salentini Vito
De Lorenzi e Dj Trinketto proporranno una
esibizione coinvolgente e rumorosa, ricca di
percussioni tradizionali africane e salentine,
batterie e nuovi strumenti costruiti per
l’occasione. L’appuntamento, che rientra
nel programma della rassegna Salento
Negroamaro della provincia di Lecce,
è nell’atrio del Rettorato di Lecce. Inizio
ore 21.30. Ingresso gratuito. Info su www.
soundres.com, 0832303707.
venerdì 23/ Municipale Balcanica a Bitetto
(Ba)
venerdì 23 e sabato 24/ Festival dei Musicisti,
dei dj e dei vj di strada a Lecce
Salento Negroamaro ospita nel Centro
Storico di Lecce la poliedrica carovana del
Festival dei Musicisti, dei dj e dei vj di strada,
37
organizzata dall’associazione culturale
Altreforme. Tra gli ospiti Son 3 (Spagna),
Capoeira de saia (Brasile), Taffetas (Burkina
faso), Tamales de chipil (Italia), Narod
(Italia), Jorge y Miguel (Galizia), i salentini
Scientist&Cynic e i dj Pascal Kleiman
(Francia), e David Avramov (Israele). È
prevista anche la partecipazione del vj
newyorkese Kyle lyons.
venerdì 23/ Dixieland all’Out LIne di Lecce
sabato 24/ Salentu Reggae a Sogliano
cavour (Le)
La lunga estate salentina del reggae si
apre con Rankin Lele, Krikka reggae e
Franziska protagonisti della serata Salentu
Reggae, organizzata da Mediterraneo
Production e Pagano Movement con il
patrocinio del Comune di Sogliano Cavour.
Salentu Reggae è l’anteprima della sesta
edizione del Mediterraneo Festival che il 4
agosto vedrà la partecipazione di Carmen
Consoli. Per informazioni e iscrizioni www.
mediterraneofestival.it
Venerdì 30/ Salento Summer Festival-Buju
Banton a Otranto (Le)
Il grande reggae internazionale è ormai il
marchio di fabbrica del Salento Summer
festival, organizzato da Alta Fedeltà
Produzioni, giunto ormai alla sua sesta
edizione ed affermatosi come uno dei
più importanti appuntamenti estivi del
Sud Italia. L’anteprima del festival è nel
fossato del Castello di Otranto con il
concerto/evento di Buju Banton (già ospite
acclamato nell’edizione 2004), portavoce
in tutto il mondo della nuova scena reggae
jamaicana considerato il diretto erede di
Bob Marley. In apertura i salentini SteeLa.
Ingresso 12 euro. Per informazioni www.
salentosummerfestival.it
domenica 2 luglio/ Julia Sarr (Senegal) al
Castello di Otranto (Le)
La redazione di CoolClub.it non è responsabile
di eventuali variazioni o annullamenti.
Gli altri appuntamenti su www.coolclub.it
Per segnalazioni:
[email protected]
FUM ETT O
CoolClub.it
Due stRaNieRe
iN paRadisO
di Roberto Cesano
“Perlomeno ho imparato che non è facile
trovare un rifugio fuori, né calore dentro
di sé. E senza amore, noi non siamo
che stranieri in Paradiso”: con queste
parole esordisce Strangers in Paradise
serie di punta del fumetto indipendente
statunitense, scritta ed illustrata da Terry
Moore e che ha conquistato un importante
spazio all’interno di un mercato dominato
dalle major Marvel e DC.
Le “due straniere in Paradiso” Francine
e Katcho (Katina Chovanski) sono due
giovani donne unite da un forte legame
d’amicizia che, potenzialmente, potrebbe
sfociare in una relazione amorosa. Vicine
sin dai tempi del liceo, le ragazze vivono
assieme nella Houston (USA) dei giorni
nostri (città industriale distante anni luce
dalle patinate New York e Los Angeles)
pur essendo completamente differente:
Francine è sensibile ed insicura a causa
della sua incapacità a gestire i rapporti
con gli uomini ed alle continue oscillazioni
del suo peso; Katchoo è irascibile, abituata
a risolvere a suo modo ogni situazione. Nel
suo passato vi sono violenze, alcolismo e
prostituzione da cui è uscita ad un prezzo
carissimo e con l’ eredità d’un odio feroce
verso il genere maschile.
Due
personaggi,
dunque,
“straordinariamente” comuni assurgono
a protagoniste d’un fumetto che,
grazie all’estro di Moore, strega il lettore
attraverso vicende cariche di una
struggente, briosa umanità. Non vi sono
eventi epici in Strangers in Paradise ma
quotidianità, vittorie e sconfitte, catarsi
e separazioni ed una forte critica alla
società americana ossessionata da una
alienante corsa al successo; perduta
in una costante ed, a volte infruttuosa
ricerca del proprio io e dell’amore, inteso
come esperienza di totale fusione con
l’altro. “Una volta tutto mi era chiaro...
Quando tutto quel che facevo e dicevo
era giusto per quella che credevo di
essere... Mentivo... Il fatto è che ho paura
di scoprire chi sono veramente” riflette
Francine contemplando Katchoo dormire,
chiedendosi cosa provi realmente per lei
e quale sia la sua identità più profonda.
Moore affronta l’argomento sessualità con
un tono lieve: Francine e Katchoo non sono
gay soltanto due persone che desiderano
essere amate al di là dei rigidi schematismi
maschile/femminile/gay. Tra loro c’è
David, un efebico ragazzo che prova un
dolce sentimento d’amore per la “virile”
Katchoo, riconoscendo in lei la ragazzina
ferita che si cela dietro la sua parvenza
di dura. La stessa Francine è attratta
da lui, pur non riuscendo a dimenticare
l’ex fidanzato, il donnaiolo impenitente
Freddie. Desiderio, passione ed incertezza
sul futuro, scandiscono il ritmo degli episodi,
illustrati con un efficace bianco e nero ed
un tratto ispirato alle “strips” popolari della
tradizione americana.
Moore incastona i disegni in vignette
dal taglio cinematografico, per poi
lasciarli esplodere in immagini a tutto
campo, utilizzando spesso dissolvenze
filmiche, strazianti monologhi interiori
che ci trasportano
visivamente nel
mondo interiore delle nostre “eroine”,
ed alternando uno stile grafico più
convenzionale
ad
espressioni
più
sperimentali. I virtuosismi del fumettista gli
hanno procurato alcuni riconoscimenti
tra i quali l’ Eisner Awards, il più prestigioso
premio fumettistico che prende il nome
da uno dei maestri di tale medium Eisner.
Grazie a questi riconoscimenti e ad
un grosso seguito di fan Terry Moore è
riuscito ad autofinanziarsi la produzione
di Strangers, liberandosi ancor di più
dalle rigide regole dell’editoria USA che
soffocano la creatività degli autori in
nome del profitto e dei gusti del grande
pubblico. Moore è un “outsiders” al quale
non importa imbonire i lettori; li emoziona
con un comic tenero e dissacrante
libero da false retoriche e pietismi anche
nell’affrontare temi controversi quali l’Aids,
l’eterno conflitto tra i sessi e tra il cuore e la
ragione. In Italia la serie ha avuto una vita
editoriale piuttosto movimentata.
I primi (introvabili) volumi cartonati sono
stati pubblicati dalla Castelvecchi per poi
passare a Macchia Nera, alla defunta
Lexy Production, sino ad arrivare alla
“piccola” casa editrice Free Books che,
contemporaneamente alla pubblicazione
del materiale inedito sempre in volumi
cartonati sta ristampando le prime storie
in edizione pocket da edicola (Bimestrale
2,40 euro). Se rovistando tra fumetti d’ogni
genere doveste trovarne una copia
acquistatelo; è assicurata una buona
lettura.
38