Sommario / Contents 3 Editoriale Focus On 7 Il ritorno della «Juive» L’opera di Halévy apre la stagione della Fenice The return of the «Juive» Halévy’s opera opens the season at the Fenice di / by Emilio Sala 9 L’intrattenimento morale di Scribe 7 Maestro del «vaudeville» firmò una produzione sterminata Scribe’s moral entertainment The «vaudeville» maestro signed an infinite production 10 Eléazar, ebreo fanatico vittima di se stesso Il tenore Neil Shicoff racconta il suo personaggio nella «Juive» Eléazar, a fanatic Jew who falls victim to himself The tenor Neil Shicoff talks about his character in «Juive» di / by Enrico Bettinello 14 Il magico talento di Frédéric Chaslin Direttore e pianista, un astro in costante ascesa The enchanted talent of Frédéric Chaslin Conductor and pianist, a star that won’t stop rising 15 Fenice, una stagione ricca e drammatica «Rischiamo di perdere il nostro primato di grandi creatori d’opera» Fenice, an intense and dramatic season 10 «We risk losing our primacy as the great creators of opera» da una conversazione con / from a conversation with Sergio Segalini 17 «I tagli faranno sparire metà stagione» Il sovrintendente Vianello sulle ripercussioni della Finanziaria «The cuts will mean half the season disappears» Superintendent Vianello talks about the Financial bill 18 Il generoso gesto di Kitajenko Il maestro ha rinunciato al cachet per protesta contro i tagli The generous gesture by Kitajenko The maestro foregoes his fee in protest against the cuts 20 Teatro: sempre più impresa e meno cultura Dalla riduzione del Fus all’assenza di mecenatismo Theatre more as a business and with less culture From the reduction of contributions to the lack of patrons di / by Mario Messinis All’Opera 22 Trieste, dalla «Turandot» alla «Bohème» 24 I «Pagliacci», amore-morte tra scena e realtà 25 Il colore esotico delle turcherie 24 Il direttore del Teatro Verdi illustra la prossima stagione da una conversazione con Daniel Pacitti Il capolavoro di Ruggero Leoncavallo conquista Rovigo Al Comunale di Treviso «L’Italiana in Algeri» di Rossini di Martina Buran La cornice sinfonica 27 La musica antica incontra i suoni del mondo 28 Alla Fenice una rara sonata di Fano 29 Da Schubert a Chopin, venti concerti a Padova 31 Treviso brilla con Carmignola e Sokolov Al Malibran il suggestivo concerto dell’Ensemble Hesperion XXI di Arianna Silvestrini 28 Il 5 dicembre anche brani «storici» di Casella e Pizzetti di Chiara Squarcina Il fitto programma della LXI stagione degli Amici della Musica di Filippo Juvarra Ricca e di gran richiamo la sesta stagione della Marca Sacro e barocco 33 Musica sotto le volte della Salute 34 Frari: 1 cd, 2 organi e 35 anni di musica 4 I concerti in Basilica nel periodo della festa più veneziana di Paola Talamini La stagione concertistica raccontata dall’organista titolare di Chiara Squarcina 34 Sommario / Contents Note veneziane 38 L’Ateneo Veneto ha aperto le porte alla musica 39 Una Fenice per Uto Ughi e l’Airc 40 Rubelli «veste» la Fenice per i suoi cinquant’anni di attività Cento eventi in quattro anni voluti dal presidente Alfredo Bianchini Mondanità e beneficenza al concerto organizzato da Vittorio Coin In scena il «Mitridate» di Porpora con i tessuti dell’azienda Contemporanea 41 «Risonanze» pop & jazz Nuove sonorità al Teatro Fondamenta Nuove di Massimo Ongaro 40 L’altra musica 43 Bella e brava, tutti pazzi per Natalie 44 L’ora dei Balcani 46 Simply Red, concerto e nuovo album 47 Il «matematico» con la chitarra jazz 48 Musica, l’altra faccia delle emozioni 48 San Servolo, isola a tutto jazz La Imbruglia porta in Veneto i suoi ultimi lavori di Tommaso Gastaldi La musica di Bregovic tra tradizione e sperimentazione di Andrea Dusio 44 Lanfranco Malaguti racconta la sua musica di Guido Michelone A San Servolo un convegno sul rapporto tra cervello e note di Massimiliano Goattin Tra Triangulation e Metamorfosi Trio fino al 24 novembre di Massimiliano Goattin In vetrina 51 Bob Dylan, quando una storia è senza fine Due soli concerti in Italia del «patrimonio dell’umanità» di John Vignola Dintorni 52 L’«Urfaust» secondo Andrea Liberovici 53 «Il Campiello» tra populismo e folklore 54 Un matrimonio senza emozioni e senza regole: ma accettato con brio! 55 Cenni per una grammatica corpoorale 57 Tintoretto riscoperto Marionette, diavoli e suoni con Paola Gassman e Ugo Pagliai 51 Nella commedia di Goldoni il rigore documentario nella descrizione del popolo di Bruno Rosada Maria Amelia Monti protagonista di «Ti ho sposato per allegria» di Carmelo Alberti Alla Biennale gli Ortographe, gruppo di punta del teatro italiano di Amerigo Nutolo In mostra opere appartenenti alla collezione del Patriarca di Andrea Dusio Carta Canta 58 Pizzi, genio e passione nella scenografia 59 Tutto Puccini in settecento pagine 60 Teatro archetipico e fiabesco 61 «The Return», scenografia acustica e visiva 63 65 69 70 Zoom Appuntamenti / Events Il Veneto in musica Dopo lo spettacolo / After the performance 57 Un libro dedicato al mezzo secolo di lavori del regista in Fenice L’opera di Marcel Marnat dedicata al grande compositore di Silvano Onda In volume il percorso tra boschi e angeli di Giuliano Scabia Straordinario cd del film vincitore alla Mostra nel 2003 60 5 In copertina: La Juive, allestimento realizzato dalla Wiener Staatsoper. VeneziaMusica e dintorni Anno II – n. 7 – novembre / dicembre 2005 Periodico bimestrale Reg. Tribunale di Venezia n. 1496 del 19 / 10 / 2004 Editore: Euterpe Venezia s.r.l. 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Vio, 56; Duodo Palace Hotel, 62; Margerie, 64; Bugno Art Gallery, terza di copertina; Cassa di Risparmio di Venezia, quarta di copertina VeneziaMusica e dintorni si può trovare presso: Associazione Culturale Spiazzi, Castello 3865, Venezia; Bottega d’Arte San Vio, Dorsoduro 720/B, Venezia; Caffè Rosso, campo Santa Margherita, Venezia; Libreria Cafoscarina, Dorsoduro 3259, Libreria Goldoni, San Marco 4742, Venezia; Libreria IUAV-Tolentini, Santa Croce 191, Venezia; Libreria Mondadori, San Marco 1345, Venezia; Libreria Toletta, Dorsoduro 1213, Venezia; Cantinone Già Schiavi, Dorsoduro 992, Venezia; Discoland, campo San Barnaba, Venezia; Teatro Fondamenta Nuove, cannaregio 5013, Venezia; Vivaldi Store/Nalesso, San Marco 5537; Effe Bi Musica, via Cardinal Massaia 35, Mestre; Libreria Feltrinelli, piazza XXVII Ottobre 1, Mestre; Zydeco sas, via verdi 43, Mestre; Musica e Suono, via Galilei 2, Portogruaro; Cartolibreria Marton, Corso del Popolo 40, Treviso 6 Focus On Il ritorno della «Juive» L’opera di Halévy apre la stagione della Fenice The return of the «Juive» Halévy’s opera opens the season at the Fenice di / by Emilio Sala* M olti penseranno trattarsi di un repêchage, tra l’archeologico e l’iperspettacolare. Tipo il Salieri scaligero dell’anno scorso. Niente di tutto ciò. Semmai ci troviamo di fronte a un tentativo di riappropriazione. L’ebrea di Halévy (1835), un po’ come gli Ugonotti di Meyerbeer (1836), ha segnato profondamente il mondo operistico ottocentesco, diventando un successo popolare e internazionale. Percorsa l’Europa, La juive varcò ben presto l’oceano (New York 1845, Montevideo 1853, Buenos Aires 1854). In Italia fu introdotta in ritardo, a Genova, nel 1858. Per più di mezzo secolo venne regolarmente applaudita dal pubblico borghese della penisola e del mondo intero. Poi, ad un certo punto, verso la prima guerra mondiale (durante l’affermarsi dei totalitarismi), l’oblio. Tenendo presente che tanto Meyerbeer quanto Halévy sono ebrei e che i loro due capolavori mettono in musica e in scena fenomeni di persecuzione e intolleranza collettive, vien fatto di chiedersi se si tratta di oblio o se non piuttosto di rimozione… D’altronde, l’ambivalenza nei confronti degli ebrei è evidente anche in un’opera di chiaro segno «illuminista». Rachel, la bella «juive» del titolo, si rivela alla fine una cristiana. L’identificazione del pubblico è così, retrospettivamente, assai meno disagevole. Un «romanzo popolare» pubblicato a Milano nel 1891 (L’ebrea di Mario Mariani), una sorta di parafrasi narrativa del libretto di Scribe (ma anche della musica di Halévy) e prova vivente del grande successo dell’opera, appare esemplare al riguardo. In esso, infatti, il pregiudizio contro quella «disgraziata razza» (la quale «ancor oggi, non ostante le molte pretese della nostra civiltà, è, in molti luoghi, tenuta lontano dai pubblici uffici») è sì duramente condannato. Ma l’antisemitismo cacciato dalla porta rientra dalla finestra quando viene descritta l’avidità di Eleazaro, il padre (che scopriremo adottivo) di Rachele, i cui occhi «brillano di cupidigia» alla presenza di un buon affare, secondo l’antico stereotipo che va da Shylock a Ebenezer Scrooge. M any will think it is just a repêchage, a mix of the archaeological and hyper-spectacular. Just like the Salieri at the Scala last year. Nothing could be further from the truth. If anything, we find ourselves in front of an attempt of re-appropriation. The Jewess by Halévy (1835), a little like the Ugonotti by Meyerbeer (1836), left a profound mark on the nineteenth century opera world, becoming a general and international success. After being performed in Europe, La Juive soon crossed the Atlantic (New York 1845, Montevideo 1853, Buenos Aires 1854). It was introduced in Italy much later in Genoa in 1858. For over half a century audiences in the peninsula and throughout the world regularly applauded it. Then, at a certain point, around the time of the First World War (when totalitarianism established itself), it fell into oblivion. In view of the fact that both Meyerbeer and Halévy are Jewish and that their two masterpieces put the phenomena of collective persecution and intolerance to music and on the set, one can ask oneself if it is a case of oblivion or displacement… On the other hand, the ambivalence towards the Jews can also be seen in an opera of a clearly «enlightened» nature. Rachel, the beautiful «juive» of the title, is shown to be a Christian at the end. Thus, retrospectively, the identification of the audience is much less awkward. A «popular novel» published in Milan in 1891 (The Jewess by Mario Mariani), is a sort of narrative paraphrasing of the libretto by Scribe (but also of Halévy’s music) and the living evidence of the opera’s resounding success would seem exemplary of this fact. Indeed, in it the prejudice against that «wretched race» (which, «despite the great claims of our civilisation is still kept at a distance from public offices in many places») is severely condemned. However, the anti-Semitism that is banished from one window comes back in through another when the avidness of the Rachel’s father, Eleazaro (who turns out to have adopted her) and whose eyes «gleam with greed» when he scents a bargain, following the ancient stereotype that goes from Shylock to Ebenezer Scrooge. However, leaving aside the aspect of displacement, the cultural importance of Halévy’s La Juive is demonstrated in various ways. It suffices to think of the «Rachel quand du Seigneur» of Proust’s Recherche. Wagner himself, as is known (all «Per più di mezzo secolo “L’ebrea” di Halévy venne regolarmente applaudita dal pubblico borghese del mondo intero. Poi, ad un certo punto, durante l’affermarsi dei totalitarismi, l’oblio» «“The Jewess” by Halévy for over half a century audiences throughout the world regularly applauded it. Then, at a certain point, when totalitarianism established itself, it fell into oblivion.» 7 Focus On too well), repeatedly praised La juive. But what I find even more significant is the obvious relational link that unites the two fabulae – that of the Juive and that of the Trovatore. It is also interesting to note that Verdi saw Halévy’s opera in the Grande Boutique of Paris, during his first visit to the French capital in September 1847. Rachel is to the Jew Eléazar what Manrico is to the gypsy Azucena. The sound of the anvil, present in both scores (as well as in Wagner’s Siegfried), evokes the restless world of the outcast – unimportant whether gypsies or Jews. Eléazar also saw his children burnt at the stake and despite his obsessive desire for revenge, he loves a daughter (Rachel) with fatherly love, who is not his blood and whom he kidnaps one day in mysterious circumstances from Cardinal Brogni. The climax with which both operas end is basically the same. Azucena says «Egl’era tuo fratel!» [He was your brother!] to Count Luna while Manrico is being executed just as Eléazar says to Cardinal Brogli «La voilà!»[ (ell’era figlia tua!) [she was your daughter] while Rachel is thrown into the «dans la cuve bouillante». In short, although today we are used to enjoying operas that are placed one by one in a repertoire (fortunately one that is constantly being expanded) as if they were unrelated and decontextualised monads like museum pieces, the return of La Juive is not just one more title to be conserved, but the possibility to reconstruct an important part of connective fabric. It is an opportunity not only to reactivate the fundamental link of the nervous system to that of melodramatic imagination, which, despite everything, still exists in each one of us. Comunque sia, questione della rimozione a parte, l’importanza culturale della Juive di Halévy è variamente testimoniata. Basti pensare alla «Rachel quand du Seigneur» della Recherche proustiana. Lo stesso Wagner, com’è (fin troppo) noto, lodò a più riprese La juive. Ma ciò che mi sembra ancor più significativo è l’evidente legame di parentela che unisce le due fabulae – quella della Juive e quella del Trovatore. In questo quadro, può essere interessante segnalare che Verdi vide l’opera di Halévy nella Grande Boutique di Parigi, durante il suo primo viaggio nella capitale francese, nel settembre 1847. Rachel sta all’ebreo Éléazar come Manrico alla zingara Azucena. Il suono dell’incudine, presente in entrambe le partiture (nonché nel Siegfried wagneriano), rinvia all’inquietante mondo degli emarginati – zingari o ebrei poco importa. Anche Éléazar ha visto perire i suoi figli sul rogo e, nonostante l’ossessivo desiderio di vendetta, ama d’amor paterno una figlia (Rachel) che non è sua e che egli rapì un giorno, in circostanze misteriose, al Cardinale Brogni. Il colpo di scena che chiude entrambe le opere è sostanzialmente lo stesso. Azucena dice «Egl’era tuo fratel!» al Conte di Luna mentre Manrico viene giustiziato esattamente come Éléazar dice al Cardinale Brogni «La voilà!» (ell’era figlia tua!) mentre Rachel viene gettata «dans la cuve bouillante». Insomma, anche se oggi siamo abituati a fruire di opere collocate una per una in un repertorio (fortunatamente in fase di continuo allargamento) come se fossero delle monadi irrelate e decontestualizzate, a mo’ di museo, il recupero della Juive non significa solo un titolo in più da mettere sottovetro, ma la possibilità di ricostruire un pezzo importante di tessuto connettivo. Un’occasione per riattivare uno snodo fondamentale del circuito nervoso di quell’immaginazione melodrammatica che, nonostante tutto, abita ancora dentro di noi. * Associato di Drammaturgia musicale e di Fondamenti di storiografia musicale presso l’Università degli Studi di Milano. Ø 8 La Juive, Wiener Staatsoper Focus On L’intrattenimento morale di Scribe Maestro del «vaudeville» firmò una produzione sterminata Scribe’s moral entertainment The «vaudeville» maestro signed an infinite production A Le Prophète N ue ug Les H on sono molti, oltre alla Juive, i libretti d’opera di Eugène Scribe (1791-1861), il mago del vaudeville, che solo tra il 1815 e il 1830 ha composto ben 148 commedie brillanti, divenendo una stella del teatro d’intrattenimento, maestro riconosciuto dentro e fuori della Francia. All’interno della sua opera si possono comunque isolare due percorsi. Il primo, che arriva fino al 1850, tende esclusivamente a divertire il pubblico, affollando le pièce di battute ad effetto e colpi di scena. Il secondo invece, sviluppato nel periodo della maturità – pur rispettando le regole drammatiche dei vari generi, che vanno appunto dal vaudeville al dramma al libretto d’opera e comprendono tutta la gamma di possibilità offerte a un autore teatrale – tenta di descrivere attraverso i testi drammatici la vita contemporanea, fornendo spaccati della società parigina e aprendosi a un certo grado di realismo. Soprattutto all’interno del vaudeville si percepisce questa sua opera riformatrice, che colora le pièce di considerazioni e spunti morali oltre che di crude descrizioni a sfondo sociale. Nella sua sterminata produzione, Scribe contribuisce anche a trasformare l’opéracomique in vero e proprio dramma musicale, fornendo a musicisti del calibro di Donizetti, Halévy, Auber e Meyerbeer libretti a sfondo storico tra cui Robert Le Diable (1831), Les Huguenots (1836) e Le Prophète (1849). Fortemente antiromantico e da molti accusato di simpatie per Luigi Filippo, Scribe per molto tempo dovette risentire dei pregiudizi sulla sua persona, che si riverberarono anche sulla sua opera. Ma almeno per il ventennio 1830-1850 fu il più famoso autore drammatico del mondo occidentale, e non solo, se è vero l’aneddoto che vuole una sua commedia, Michel et Christine, recitata davanti all’imperatore cinese. Nell’ultimo decennio della sua vita, tuttavia, pur non cessando di scrivere assiduamente, il suo astro – ancora splendente all’estero – in patria venne offuscato dalle nuove personalità letterarie che vi si affacciavano, tra cui Sardou, Augier e soprattutto Dumas fils. (l.m.) part from La Juive, Eugène Scribe (1791-1861) did not write many opera libretti. He was a magician of vaudeville, writing no less than 148 brilliant comedies between only 1815 and 1830, thus becoming a star of the theatre of entertainment, and a maestro who was recognised both in France and beyond. However, his work follows two different paths. The first, which goes up to 1850, tends towards the exclusive enjoyment of the audience, with a multitude of jokes and coup de theatre. The second, however, which was developed during his mature period, respects the dramatic rules of the various genres the author deals with – ranging from vaudeville to drama to opera librettos, including the whole range of possibilities at a theatre author’s disposal – and he tries to describe contemporary life using the dramatic texts, offering insights into Parisian society and with a certain degree of realism. In his vaudeville in particular, one can feel this reforming work, which colours the pièce with moral considerations and views, together with harsh descriptions of a social nature. In his infinite production, Scribe also plays his role in the transformation of opéra-comique into true musical drama, providing outstanding musicians such as Donizetti, Halévy, Auber and Meyerbeer with historically based libretti including Robert Le Diable (1831), Les Huguenots (1836) and Le Prophète (1849). Strongly anti-romantic and accused by many of sympathising with Louis Philippe, for a long time Scribe suffered from considerable prejudice, which also made itself felt in his work. However, for the twenty year period from 1830 to 1850 he was the most famous drama author in the western world and beyond, if it is true that one of his comedies, Michel et Christine, was performed before the Chinese emperor. During the last decade of his life, however, while never ceasing to write assiduously, his star – which was still shining high abroad – was outshone in his homeland by the appearance of new literary figures including Sardou, Augier and Dumas fils in particular. (l.m.) no ts 9 Focus On Eléazar, ebreo fanatico vittima di se stesso Il tenore Neil Shicoff racconta il suo personaggio nella «Juive» Eléazar, a fanatic Jew who falls victim to himself The tenor Neil Shicoff talks about his character in «Juive» A interpretare il tormentato personaggio di Eléazar nella Juive di Halévy che aprirà la stagione lirica della Fenice è uno tra i più importanti tenori americani della sua generazione, il newyorkese Neil Shicoff, che dal debutto a Cincinnati di trent’anni fa ha affrontato con grande successo un vastissimo numero di ruoli, grazie all’intensità e alla liricità della propria voce. La Juive è opera con cui ha una notevole familiarità ed è proprio da qui che abbiamo dato inizio a una piacevole chiacchierata. Lei sta interpretando già da tempo il personaggio di Eléazar in La Juive. Quali difficoltà e quali stimoli offre questa figura a un tenore? Devo premettere che non mi interessano le parti romantiche, non sono un eroe. Amo i personaggi complessi, paranoici (quelli che io chiamo i «broken characters»), che stimolano la mia fantasia e nei quali mi identifico. È un gioco pericoloso, perché dopo la recita bisogna «ritornare» e spesso non si riesce. Nel caso di Eléazar il coinvolgimento emotivo è il maggior problema: a volte mi capita che per tutta la giornata successiva alla recita non mi riprendo e cammino persino curvo e trascinando le gambe, come il vecchio ebreo. Lo stimolo che trovo nella parte di Eléazar è la possibilità di trasmettere un messaggio, anche politico – La Juive Neil Shicoff 10 T di / by Enrico Bettinello he opera season of the Fenice is to be opened with the performance of the Juive by Halèvy, with the tormented character of Eléazar to be played by one of the most important American tenors of his generation, the New Yorker Neil Schicoff, who made his debut in Cincinnati thirty years ago and has successfully had an endless number of roles, thanks to the intensity and lyricism of his voice. La Juive is an opera he is very familiar with and it is with this that we started our extremely pleasant chat. You have been playing the character of Eléazar in La Juive for some time now. What difficulties and stimulus does this figure have for a tenor? I’d like to start by saying that I’m not interested in romantic parts; I’m not a hero. I love complex, paranoid characters (what I call «broken characters»), that stimulate my imagination and that I can identify with. It’s a dangerous game because after the performance you have to «return», and often it’s not possible. In the case of Eléazar, emotional involvement is the greatest problem: sometimes I find that for the whole day after the performance I don’t recover and I even walk buckled over and dragging my legs, like the old Jew. The stimulus I find in the part of Eléazar is the possibility of transmitting a message – also political – La Juive is a political opera and of all operas is probably the most current Focus On La Juive, New Israeli Opera è un’opera politica e di tutte le opere, forse la più attuale nel mondo di oggi – e il messaggio è che il fanatismo e l’intolleranza non pagano e che la mancanza di dialogo tra persone o popoli porta con sé tremende conseguenze. Alla fine – e non solo nel finale della Juive – sono tutti perdenti. L’abbiamo sotto gli occhi ogni giorno, dappertutto nel mondo. Talvolta mi si rimprovera di rendere Eléazar troppo «umano», non abbastanza cattivo. È il mio personale modo di vedere un personaggio che non è certamente simpatico. È un fanatico, un uomo incatenato e dilaniato dall’odio e questo odio lo spinge sino al sacrificio della propria figlia. Ma è, comunque, una vittima e la sua sofferenza è proporzionale alla violenza del suo carattere! Il ruolo di Eléazar è stato in passato un cavallo di battaglia di tenori come Caruso, Tucker, Slezak. Cosa ha tratto da quelle memorabili interpretazioni? Caruso ha cantato Eléazar verso la fine della sua vita, quando già era sofferente e questo ha dato grande pathos alla sua interpretazione. Slezak ha cantato il miglior recitativo di tutti e Tucker, essendo ebreo, è probabilmente quello che ha trovato la migliore identificazione. Questa combinazione di pathos, espressione e identificazione sarebbe la perfezione, la «summa» di una grande interpretazione e mi è servita da ispirazione e insegnamento. Vocalmente parlando tutti e tre i suddetti tenori erano tenori eroici. La mia voce è invece più lirica e il mio approccio lo è quindi di conseguenza. Del resto ho potuto sentire soltanto in disco quelle voci meravigliose (a parte Tucker) e ai loro tempi l’allesti- in today’s world – and the message is that fanaticism and intolerance are rewarded and that the lack of communication between people(s) has terrible consequences. In the end – and not just in the finale of the Juive – they are all losers. We can see the same thing everyday, all over the world. Sometimes I am criticised for making Eléazar too «human», not evil enough. It’s my own personal way of seeing a character that is anything but nice. He’s a fanatic, enchained and tormented by hate, and this hate even pushes him to sacrifice his own daughter. However, he is still a victim and his suffering is proportional to the violence of his character. In the past, the role of Eléazar has been a warhorse of tenors such as Caruso, Tucker and Slezak. What attracted you in those memorable performances? Caruso sang Eléazar towards the end of his life, when he was already suffering and this gave immense pathos to his performance. Slezak sang the best recitative of all of them and Tucker, being Jewish, was probably the one who was able to identify himself with the character the best. This combination of pathos, expression and identification would be the perfection, the «total» of a great performance and it gave me both inspiration and served me as a lesson. Vocally speaking, all the three aforementioned tenors were heroic tenors. But my voice is more lyrical and as a result so is my approach. Furthermore, I’ve only been able to listen to those marvellous voices on a record (apart from Tucker) and in those times the production was traditional. A propos production, which details will we enjoy in this production of the opera by Halévy? Compared to the traditional productions, this Juive is completely different: we aren’t at the beginning of the fifteenth century, here Eléazar is a persecuted Jew wearing a yellow star, and in the background is the holocaust! The production is modern but it isn’t set in a specific period, it’s sort of timeless. Let’s see whether the Venetian audience appreciates this choice or not! Apart from that of Eléazar, which roles are you particularly fond of ? Which would you like to play or repeat because you think they can give new inspiration? The opera I’ve sung most often is The Tales of Hoffmann, starting in Florence in 1980, in the production by Luca Ronconi, and if I had to choose a character I’d like to be remembered for, it’s as Hoffmann! It’s another of those «broken characters» that fascinate me. I’ve sung it countless times, in opera houses all over the world, even in La Scala in Milan in 1995 and the last time was two years ago at the Salzburg Festival. Peter Grimes is another opera I will always sing, and then obviously there’s also La Juive. These are characters you go on exploring. I’ve always put off La dama di picche because it’s so difficult vocally, but I can’t wait to sing German. There’s a project in the air for that. Then, of course there’s Verdi, for the voice … 11 Focus On mento era tradizionale. A proposito, quali particolarità apprezzeremo in questo allestimento dell’opera di Halévy? Rispetto agli allestimenti tradizionali, questa Juive è molto diversa: non siamo all’inizio del Quattrocento, Eléazar è qui l’ebreo perseguitato, con la stella gialla, e sullo sfondo c’è l’Olocausto. L’allestimento è moderno, ma non è ambientato in un’epoca specifica, è come fuori dal tempo. Vedremo se il pubblico veneziano apprezzerà o meno questa scelta! Oltre a quello di Eléazar, quali sono i ruoli cui è più legato? Quali quelli che vorrebbe interpretare o reinterpetare perché ritiene possano suggerire nuovi spunti? L’opera che ho cantato di più è I Racconti di Hoffmann, a partire dal 1980 a Firenze, con la regia di Luca Ronconi, e se dovessi scegliere un personaggio per cui vorrei essere ricordato, mi piacerebbe essere ricordato come Hoffmann! È un altro di quei «broken characters» che mi affascinano. L’ho cantato un’infinità di volte, in tutti i teatri del mondo, anche alla Scala di Milano nel 1995 e l’ultima volta due anni fa al Festival di Salisburgo. Peter Grimes è un’altra opera che canterò sempre e poi c’è naturalmente La Juive. Sono personaggi che non si finiscono mai di esplorare. Ho sempre rimandato La dama di picche, perchè vocalmente è molto pesante, ma attendo ansiosamente di cantare German. C’è un progetto in tal senso. Poi ci sarà, naturalmente, Verdi, per la voce… Quali qualità le ha portato la familiarità con una modalità come quella cantoriale di cui suo padre Sidney è stato un grande Which qualities made you familiar with cantorial canto such as the one of which your father Sidney was such a great exponent? I only studied under my father for a short while because he died when I was just sixteen, but he will always be with me. In the second act of the Juive, I use the cantorial canto, which I regard as a further means of expression and enrichment. You made your début as Ernani and have frequently performed works by Verdi. Which roles do you think are most suited to your expressive characteristics? Verdi is a real heal-all for the voice! Before any performance I always warm my voice up singing half of Un ballo in maschera! I made my debut with Ernani when I was really young and reckless because I replaced Richard Tucker at the last minute when he died. Then I put Ernani aside and made my debut at the Metropolitan as Rinuccio in Gianni Schicchi. I went back to Ernani much later and I still sing it. I’ve sung both Il trovatore and Un ballo in maschera many times. However, I do believe that Don Carlo and Luisa Miller are the two operas by Verdi that are best suited to me. In Italy there is the fear of considerable cuts to funding for the opera. What do you think and what does your international experience tell you? It is a bad and shortsighted decision; it’s a great disappointment. The foundation of our civilisation is culture, music; it’s something that hardly needs to be pointed out in a country with a history such as Italy’s. Private parties will need to intervene more with sponsorships and donations, the way they do in America. Which Italian opera houses do you like most? I’ve sung in many Italian opera houses and I must say that I’m La Juive, New Israeli Opera 12 Focus On equally at ease in all of them. But I must admit – and I’m not saying it deliberately – that I am particularly happy about my return to the Fenice where I sang frequently before the fire. It was terrible when La Fenice was destroyed so my joy now it has risen once more is so much greater. What are your next commitments and projects for the future? My most important commitments are in January 2006 with Idomeneo in a new production of the Vienna Staatsoper, then in July in Cagliari with Manon Lescaut and in September the opening of the Metropolitan. In 2007 I’ll be working on Britten’s Death in Venice for a new production in Vienna, then in Salzburg in the summer and autumn on a new production of La Juive in Paris. In 2008 there’s a new production at the Metropolitan with Peter Grimes and lév there are also projects for a Benvenuto Cela lH lini. As you can see, I’ve never had so many new enta m o r F operas in my life in my repertoire as now. I have to study a lot, but you need new operas so you don’t get bored. My career began over thirty years ago and I can’t imagine just going on singing only La Bohème. y esponente? Ho studiato con mio padre per breve tempo, perché è morto quando avevo solo sedici anni, ma lo porto dentro di me, sempre. Nel secondo atto della Juive uso proprio il cosiddetto canto cantoriale, che ritengo un ulteriore mezzo di espressione e di arricchimento. Lei ha debuttato con Ernani e ha spesso affrontato il repertorio verdiano. Quali pensa siano i ruoli che meglio si attagliano alle Sue caratteristiche espressive? Verdi è un vero toccasana per la voce! Prima di ogni mia recita riscaldo regolarmente la voce cantando mezzo Un ballo in maschera! Ho debuttato giovanissimo e incosciente con Ernani, perchè ho sostituito all’ultimo momento Richard Tucker che era morto. Poi ho messo da parte Ernani e ho debuttato al Metropolitan con il Rinuccio nel Gianni Schicchi. Molto più tardi ho ripreso Ernani e lo canto ancora. Ho cantato molte volte il Trovatore e molte volte Un ballo in maschera. Ritengo, comunque, che Don Carlo e Luisa Miller siano le due opere verdiane a me più congeniali. In Italia sono stati paventati notevoli tagli ai finanziamenti per la lirica. Cosa ne pensa e cosa la sua esperienza internazionale le suggerisce in quest’ottica? È una decisione infelice e miope, una grande delusione. La base della nostra civiltà è la cultura, la musica, una cosa che sembra quasi inutile sottolineare in un Paese che ha una storia come l’Italia. Dovranno maggiormente intervenire i privati con sponsorizzazioni e donazioni, in America funziona così. Quali sono i teatri italiani in cui si trova meglio? Ho cantato in molti teatri italiani e devo dire che mi trovo benissimo dappertutto. Ma non nascondo – e non lo dico per calcolo – che il mio ritorno alla Fenice, dove prima dell’incendio ho cantato molto, mi rende particolarmente felice. La distruzione della Fenice è stata terribile e tanto più grande è adesso per me la gioia di vederla risorta. Quali sono i suoi prossimi impegni e i progetti per il futuro? Gli impegni più importanti sono, nel gennaio 2006 un Idomeneo in una nuova produzione della Staatsoper di Vienna, poi a luglio Manon Lescaut a Cagliari e a settembre l’inaugurazione del Metropolitan. Nel 2007 sarò impegnato con la Morte a Venezia di Britten per una nuova produzione a Vienna, poi Salisburgo in estate e in autunno una nuova produzione della Juive a Parigi. Nel 2008 una nuova produzione del Metropolitan con il Peter Grimes e ci sono dei progetti per un Benvenuto Cellini. Come vede, sto mettendo in repertorio così tante opere nuove come mai in tutta la mia vita. Devo studiare molto, ma le opere nuove sono necessarie per non annoiarsi. Sono in carriera da trent’anni ed è inimmaginabile continuare a cantare soltanto La Bohème. la Locandina La juive (L’ebrea) prima rappresentazione a Venezia in lingua originale opera in cinque atti libretto di Eugène Scribe musica di Fromental Halévy personaggi e interpreti principali Éléazar Neil Shicoff / John Uhlenhopp Jean-François de Brogni Roberto Scandiuzzi / Riccardo Zanellato Léopold Bruce Sledge / Ricardo Bernal Eudoxie Annick Massis Rachel Susan Neves / Francesca Scaini Ruggiero Vincent Le Texier / Vincenzo Taormina Albert Massimiliano Velleggi maestro concertatore e direttore Frédéric Chaslin regia Günter Krämer scene Gottfried Pilz costumi Isabel Inez Glathar Orchestra e Coro del Teatro La Fenice direttore del Coro Emanuela Di Pietro La juive (The Jewess) text by Eugène Scribe music by Fromental Halévy Main characters and performers Éléazar Neil Shicoff / John Uhlenhopp Jean-François de Brogni Roberto Scandiuzzi / Riccardo Zanellato Léopold Bruce Sledge / Ricardo Bernal Eudoxie Annick Massis Rachel Susan Neves / Francesca Scaini Ruggiero Vincent Le Texier / Vincenzo Taormina Albert Massimiliano Velleggi conductor Frédéric Chaslin director Günter Krämer scenery Gottfried Pilz costumes Isabel Inez Glathar The Fenice Orchestra and Choir Choir director Emanuela Di Pietro 13 Focus On Il magico talento di Frédéric Chaslin Direttore e pianista, un astro in costante ascesa The enchanted talent of Frédéric Chaslin Conductor and pianist, a star that won’t stop rising F rédéric Chaslin nasce a Parigi nel 1963. Dopo aver studiato pianoforte e direzione d’orchestra, comincia la sua carriera di direttore, sebbene continui a esser per lui cosa gradita l’apparire anche come pianista solista e accompagnatore. La sua carriera lo vede iniziare affiancando Daniel Barenboim nella direzione dell’Orchestra di Parigi (1987 – 1989) e al Festival di Bayreuth (1988). Dal 1989 al 1991 è invece assistente di Pierre Boulez a Parigi con l’Ensemble Intercontemporain. A Rouen viene nominato direttore d’orchestra della Opera and Symphony Orchestra (1991-1994). Nel 1993 risiede come direttore ospite al Bregenz Festival dove dirige Nabucco e Fidelio. In Italia è al Teatro La Fenice di Venezia nel 1994 con I racconti di Hoffmann di Jacques Offenbach e l’anno successivo con La Sonnambula di Vincenzo Bellini. Dal 1997 viene regolarmente invitato come direttore ospite alla Royal Scottish National Orchestra; dal ’99 al 2002 è direttore della Jerusalem Symphony Orchestra. Nel febbraio dello stesso anno dirige Falstaff al Teatro Real di Madrid, e molti concerti anche a Las Palmas, Valencia e al Perelada Festival. Poi ancora: La Favorita di Gaetano Donizetti all’Opera di Roma, concerti al Teatro Regio di Torino, con l’orchestra di Arturo Toscanini e al Teatro Carlo Felice di Genova. Viene regolarmente invitato dall’Orchestra Filarmonica di Israele, e recentemente è stato nominato direttore del Teatro Nazionale di Mannheim. Dirige Tosca, La traviata, Romeo e Giulietta, Il barbiere di Siviglia con l’Opera di Monaco e di Los Angeles. Viene acclamato a Vienna per la sua direzione dei Puritani di Bellini, e nel 2004 vi ritorna con L’Elisir d’Amore di Donizetti nelle vesti di direttore ospite. Durante la stagione 2003/2004 dirige il Don Pasquale e il Faust a Berlino, mentre il Macerata Festival lo vede alla direzione del Simon Boccanegra. Nei progetti futuri, I Vespri Siciliani e I racconti di Hoffmann al Metropolitan e prestigiose collaborazioni con l’Opera di Vienna e Monaco. (i.p.) Nabucco, Bregenz Festival, 1993 14 Fidelio, Bregenz Festival, 1993 F rédéric Chaslin was born in Paris in 1963. After his general and musical studies (piano and conducting), he began his career as a conductor although he still enjoys appearing as a pianist and piano accompanist. He began his conducting career as Daniel Barenboim’s assistant at both the Orchestre de Paris (from 1987-89) and at the Bayreuth Festival (1988). From 1989 to 1991 he was Pierre Boulez’s assistant at the Ensemble Intercontemporain in Paris. He was then appointed Musical Director of the Opera and Symphony Orchestra in Rouen from 1991 to 1994. Since 1993, Frédéric Chaslin has been permanent guest conductor of the Bregenz Festival conducting Nabucco and Fidelio there. In Italy, he conducted in Venice’s Teatro La Fenice both The Tales of Hoffmann in 1994, and Sonnambula in 1995. Since 1997, he has also been a regular guest conductor at the «Royal Scottish National Orchestra». Frédéric Chaslin was chief conductor of the Jerusalem Symphony Orchestra from 1999 to 2002. At Madrid’s Teatro Real, he conducted Falstaff in February 2002. He also conducted concerts in Las Palmas, Valencia and at the Perelada Festival; then La Favorita at the Rome Opera; concerts at the Teatro Regio in Torino, concerts with the Arturo Toscanini Orchestra, concerts at the Teatro Carlo Felice in Genova. He is now regularly invited by the Israel Philharmonic Orchestra and he wasc recently named music director of Mannheim’s National Theater. He conducted Tosca, La Traviata, Romeo e Giulietta, Il Barbiere di Siviglia with Munich’s Bavarian State Opera and the Los Angeles Opera. After Chaslin’s acclaimed debut at the Vienna Opera with I Puritani, he was appointed guest conductor there and returned with L’Elisir d’Amore in 2004. In 2003/2004 season he also conducted Don Pasquale and Faust at the Deutsche Oper in Berlin and appeared at the Macerata Festival conducting Simon Boccanegra. Future plans include I vespri Siciliani and The Tales of Hoffmann at the Metropolitan this autumn and further engagements with the Vienna State Opera and Bavarian State Opera, Munich. (i.p.) Focus On Fenice, una stagione ricca e drammatica «Rischiamo di perdere il nostro primato di grandi creatori d’opera» Fenice, an intense and dramatic season «We risk losing our primacy as the great creators of opera» da una conversazione con / from a conversation with Sergio Segalini O I l cartellone della Fenice anche quest’anno si rivela ricco e variato, comprendendo, oltre all’opera d’esordio, La Juive di Fromental Halévy, molti altri titoli importanti, a cominciare dal Flauto magico e dal Lucio Silla di Mozart per proseguire con La valchiria wagneriana e la Luisa Miller di Verdi. Ma le difficoltà economiche delle Fondazioni musicali hanno spinto i direttori artistici a ricorrere spesso a coproduzioni e collaborazioni con istituzioni gemelle, magari straniere. A questo argomento già accennava Sergio Segalini nel numero scorso di VeneziaMusica e dintorni. Ora il direttore artistico della Fenice ci spiega più nel dettaglio i seri problemi cui si trova di fronte chi come lui è chiamato a operare delle scelte nella programmazione. La situazione generale di tutti i teatri lirici italiani è drammatica. Porsi continuamente il problema del far tornare i conti crea uno squilibrio alla direzione artistica: siamo frenati nella nostra creatività. E credo che molti non se ne rendano conto. L’Italia ha il dovere di mantenere alto il suo lato creativo. Non voglio dire con questo che dovremmo fare solo nuove produzioni per tutta la stagione, ma semplicemente che dovremmo avere un margine di libertà maggiore. Come si fa ad andare avanti se il nostro Paese, che è per definizione la patria del melodramma, non crea più? Come facciamo a richiamare qui americani, inglesi, francesi, giapponesi, insomma tutti gli stranieri – e ce ne sono tanti – che ogni anno accorrono a comprare i biglietti della Fenice se non proponiamo loro degli spettacoli specificamente italiani? Di fronte alla necessità di creare un solo nuovo allestimento ogni anno, giunta come un monito da Roma, abbiamo scelto Il crociato in Egitto di Giacomo Meyerbeer con la regia e le scene di Pier Luigi Pizzi. Ma il problema è che l’Italia non può proporre prodotti che vengono dalla Germania, dalla Francia, dalla Svizzera, dall’Austria… Per esempio aveva- nce again the theatre programme of the Fenice is intense and varied, including not only its opening opera, La Juive by Fromental Halévy, but also many other important titles, such as the Magic Flute and Lucio Silla by Mozart, then Wagner’s Die Walküre and Verdi’s Luisa Miller. However, the financial straits of musical Foundations have frequently forced the artistic directors to resort to co-productions and collaboration with twin institutions, some foreign. Sergio Segalini touched this subject in the last number of VeneziaMusica e dintorni. Now the artistic director of the Fenice will go into the series of problems facing those who, like himself, are responsible for deciding what is to be part of the programme. The general situation shared by all Italian opera houses is dramatic. Always being forced to face the problem of making the figures balance creates an imbalance for the artistic management: our creativity is restricted. And I believe that this is something many people do not even realise. Italy has a duty to maintain its creative quality. With this I am not trying to say we should only offer new productions for the whole season, but that we should simply have a greater margin of freedom. How can we go forward if our country, which is by definition the very homeland of melodrama, can no longer create? How can we attract the Americans, English, French, Japanese – all foreigners – and there are a great many – who rush to buy tickets for the Fenice if we don’t offer them specifically Italian performances? Faced with the necessity to create just one new production each year – a warning from Rome – we chose The Crusade in Egypt by Giacomo Meyerbeer, with the set and production by Pier Luigi Pizzi. However, the problem is that Italy cannot offer products that come from Germany, from France, Switzerland or Austria… 15 Focus On mo pensato a una nuova scenografia per L’ebrea, ma abbiamo dovuto rinunciarci e affittare l’allestimento della Staatsoper di Vienna, che è bellissimo, per carità, ma non è uno spettacolo nostro. Così perdiamo il nostro primato, la nostra identità di grandi creatori d’opera. Per quattro secoli, dal Seicento a oggi, noi italiani abbiamo lavorato nel mondo della musica, e siamo sempre stati i primi. Adesso rischiamo di diventare gli ultimi, abbiamo una potenzialità creativa nettamente inferiore, per fare degli esempi, a quella dei francesi o degli spagnoli, che sono in pieno progresso, oltre che dei tedeschi con Berlino, Monaco di Baviera, Colonia, Stoccarda, Francoforte… Ed è l’immagine del nostro paese che se ne va. Perché l’Italia non è solo Leonardo, Caravaggio, il Bernini e il Borromini: è anche e soprattutto musica. In fin dei conti i grandi quadri italiani si possono ammirare anche alla National di Londra o al Metropolitan di New York, oppure al Louvre. Al limite quel tipo d’arte italiana si può visitare e godere da moltissime altre parti. Ma la produzione operistica, che è sempre stata uno dei nostri fiori all’occhiello, se si continua così presto verrà meno. Ed è proprio un gran peccato. Oltre a tutto questa perdita non riguarda soltanto il mondo del teatro e della cultura. Colpisce da vicino anche la gente. Se n’è già accorta ad esempio l’Arena di Verona, che con i suoi ventimila posti faceva sempre il tutto esaurito, e adesso non più. E non si parla di una realtà marginale, la qualità dell’Arena è molto alta, ma anche lì si cominciano a pagare delle scelte di strategia culturale poco lungimiranti. Se infatti La Fenice si riempie è soprattutto grazie agli stranieri, perché il pubblico veneziano è scarso e in continua restrizione, perché prevalentemente composto da persone anziane e da cittadini che spesso se ne vanno da Venezia per i noti problemi. Ad un certo punto, andando avanti di questo passo, ci ritroveremo anche senza gli introiti dei biglietti, perché come ho già detto il pubblico rischia di non venire più qui, e di scegliere altre mete. E oltre alle casse del teatro, a risentirne ovviamente saranno i ristoranti, gli alberghi, i negozi, e in definitiva la città intera. Bisognerebbe riflettere anche su questo. (l.m.) 16 For example, we considered creating new scenography for The Jewess, but we had to do without and hire the one from the Vienna Staatsoper, which is beautiful, of course, but it is not our own. Thus, we lose our primacy, our identity as the great creators of opera. For four centuries, from the seventeenth century to today, we Italians have worked in the music world and we have always been the leaders. Now we risk becoming the last, we have a creative potential that is clearly inferior, compared for example, to the French or Spanish, countries making the utmost progress, or compared to the Germans with Berlin, Munich Bavaria, Cologne, Stuttgart, or Frankfurt … It is the image of our country that is disappearing. Italy is not just Leonardo, Caravaggio, Bernini and Borromini - it is also and especially its music. When it comes down to it, the great Italian paintings can also be admired in the London National Gallery or at the New York Metropolitan or at the Louvre. That sort of Italian art can also be seen and enjoyed in countless other places. But if things continue in this manner, opera production, which has always been one of our flagships, will soon falter. And it really is a great shame. Furthermore, this loss does not just concern the world of theatre and culture. It also has an immediate effect on the people. For example, the Verona Arena with its twenty thousand seats has already been affected – it used to be permanently sold out – now that isn’t so. And it isn’t a case of a marginal situation – the quality of the Arena is extremely high, but even there they are beginning to pay the price of shortsighted cultural strategies. The fact that La Fenice is full is mainly thanks to the foreigners, because the Venetian audience is scarce and constantly dropping since the majority are elderly people and inhabitants who often leave the city because of the commonly known problems. If things continue at this rate, at a certain point we will find ourselves without the ticket takings because, as I said before, the audience will no longer come here, but will choose other places instead. And apart from the theatre ticket office, it is clear that the restaurants, hotels, shops and therefore the entire city are affected. This needs to be reflected on, too. (l.m.) La Valchiria di Richard Wagner, a gennaio alla Fenice. Die Walküre by Richard Wagner, at La Fenice in January. In alto/top: Die Walküre, Adolph Mahnke, Königsberg 1942. In basso/bottom: Lilli and Marie Lehmann, Bayreuth 1876. p. 15 a sinistra/on the left: Die Walküre, Leo Pasetti, Munich 1921. p. 15 a destra/on the right: Die Walküre, Karl Emil Doepler, Bayreuth 1876. Focus On «I tagli faranno sparire metà stagione» Il Sovrintendente Vianello sulle ripercussioni della Finanziaria «The cuts will mean half the season disappears» Superintendent Vianello talks about the Financial bill L a situazione non fiorente prospettata dal direttore musicale della Fenice sembra rischiare di aggravarsi ulteriormente in seguito ad alcune ancora non definitive decisioni politiche. Nel momento in cui chiude questo numero di VeneziaMusica e dintorni infatti non è ancora stata approvata la manovra Finanziaria per l’anno 2006, nel cui progetto il Fondo Unico per lo Spettacolo verrebbe sensibilmente decurtato. In cifre nette, dai 464 milioni di euro stanziati negli ultimi due anni (dopo un precedente taglio del 9% rispetto al 2003) si passerebbe ai 300 previsti per il 2006, con una riduzione di 164 milioni. Al Fus attingono, in percentuali diverse, tutte le attività che si riferiscono al mondo dello spettacolo: cinema, teatro (di prosa), danza e musica. Una dichiarazione allarmata e telegrafica del Sovrintendente Giampaolo Vianello chiarisce quali sarebbero le immediate ripercussioni di questa riduzione dei fondi. «Se il taglio sarà delle dimensioni prospettate ogni Fondazione dovrà fare il calcolo di cosa può fare e di cosa non può fare. Decidere cioè che tagli apportare, perché i soldi non li fabbrica nessuno, e il pubblico contribuisce al massimo per il dieci per cento. In un bilancio come quello della Fenice, che è di 32 milioni di euro, ne verrebbero a mancare 8. Se si calcola che i costi fissi del personale ammontano a 19 milioni, il problema come è intuitivo parte dagli stipendi e finisce alle produzioni. Credo che tutti siamo amministratori della propria famiglia. Se si toglie il 25 % del contributo a istituzioni che a fatica vanno in pareggio, queste fatalmente finiscono per chiudere. C’è chi sarà costretto a farlo prima, chi dopo, ma tutto si concretizzerà nell’arco di un anno. Se il taglio verrà confermato bisognerà eliminare dal cartellone il 50 % della stagione, perché i soldi mancheranno dal primo gennaio, non dalla stagione futura, ma da quella del 2006, che è già stata organizzata.» T he deteriorating situation outlined by the musical director of the Fenice risks getting even worse following certain political decisions, which are not yet final. While this number of VeneziaMusica e dintorni is being published, the Financial package for the year 2006 has not yet been approved; in it, there would be considerable cut backs for the project for the Unique Fund for Performing Arts. In numbers, the 464 million euro granted over the last two years (after a previous cut of 9% compared to 2003), would be reduced to the 300 foreseen for 2006, 164 million less. In different percentages, all the following activities are part of the world of performing arts and draw from the UFP: cinema, theatre (prose), dance and music. An alarmed and telegraphic declaration from the Superintendent Giampaolo Vianello explains what the immediate repercussions of these cuts in funding would be. «If these cuts actually go through, each Foundation will have to calculate what they can or can’t do. That means deciding what cuts have to be made, because nobody manufactures money, and the contribution from the audience is ten per cent at the most. A budget such as that of the Fenice, which is 32 million euro, would be reduced by 8. If one calculates that the fixed costs for staff come to 19 million, the problem starts with the salaries and ends with the productions. I think we are all acting as administrators of our own family. If you take away 25% of the contribution given to institutions that already have difficulties cutting even, they obviously have to close. Some will be forced to do it sooner than others but all in all it will take a year. If these cuts are approved, 50% of the season has to be eliminated from the theatre programme, because as early as January first on, there won’t be enough money, not for the next season, but for the one that has already been organised for 2005-2006.» Il Teatro La Fenice. 17 Focus On Il generoso gesto di Kitajenko Il maestro ha rinunciato al cachet per protesta contro i tagli The generous gesture by Kitajenko The maestro foregoes his fee in protest against the cuts L a stagione sinfonica della Fenice è stata inaugurata il 13 ottobre dal maestro Dimitrij Kitajenko, che ha diretto l’Orchestra del risorto Teatro nella Settima Sinfonia Leningrado di Šostakovič in occasione del primo centenario della nascita del compositore. Evento oltremodo d’eccezione, vista la mirabile decisione del maestro Kitajenko: preso atto della difficile situazione economica in cui versano le Fondazioni Liriche italiane a causa dei tagli ai finanziamenti pubblici, in segno di protesta e solidarietà al mondo musicale ha deciso di rinunciare integralmente al proprio cachet. Facendosi portavoce di tutti i colleghi, il maestro ha dichiarato che «anche gli artisti non si devono limitare a denunciare la gravità della situazione, ma contribuire alla soluzione del problema». I tagli ai finanziamenti, come lo stesso sovrintendente della Fenice Giampoalo Vianello ha spiegato, se confermati andranno a minacciare metà delle programmazioni in cartellone. Arrivato in Italia, il maestro è venuto a conoscenza delle enormi difficoltà che incontra la vita musicale e l’arte in questo momento. «Non riesco a capire come un Governo possa decidere di non voler dare i soldi necessari alla divulgazione della cultura in un Paese come l’Italia, che ne Dimitrij Kitajenko rappresenta il centro europeo», ha detto sgomento Kitajenko. «La musica è il cuore, l’anima, la salute di una nazione. Molto facile distruggere una struttura così fragile come la cultura, e molto difficile ricostruirla. Tutti possono ricordare quanto fu terribile il rogo della Fenice, e tutti possono anche ricordare quanto tempo ci volle per restituirla al fulgore. L’Italia è un simbolo in tutto il mondo ed è veramente difficile accettare il fatto di non poter più far musica come invece si dovrebbe». È stato lo stesso Kitajenko a propendere per l’esecuzione della Settima Sinfonia, scritta a Leningrado e sua città natale. La composizione apre descrivendo la vita normale, tranquilla e serena della gente; dopo, poco a poco, cominciano a sentirsi le voci delle forze distruttive, delle forze nere che inesorabili stanno arrivando a portare il loro scompiglio. All’inizio sembra quasi un’orchestrina di giocattoli, che poi cresce ad assumere dimensioni catastrofiche. «Questa forza barbara vuole distruggere tutto il mondo e tutte le cose positive, tutto ciò che è stato costruito dalla civiltà. Questo primo tempo, molto lungo, finisce 18 T he symphonic season of the Fenice was opened on October 13 by maestro Dimitrij Kitajenko, who conducted the orchestra of the newly arisen Theatre with the Seventh Symphony Leningrad by Shostakovich on the occasion of the first centenary of the composer’s birth. An exceptional event following the admirable decision of maestro Kitajenko: in view of the financial straits of the Italian Opera Foundations resulting from cuts to public subsidies, he forfeited the entire sum of his own performance fee completely as a sign of protest and solidarity with the Italian music world. Acting as spokesman for all his colleagues, the maestro declared «artists must not limit themselves to denouncing the gravity of the situation either, but must contribute to finding a solution to the problem». As the superintendent of the Fenice, Giampaolo Vianello himself explained, if the cuts to financing are confirmed, half the theatre programme is at risk. When he arrived in Italy, the maestro immediately became aware of the great difficulties facing the world of music and culture in this period. «It is inconceivable how a Government can decide not to give the money needed for the divulgation of culture in a country such as Italy, the centre of European Focus On con voci di trombe e percussioni a significare: “uomini, state attenti, perché tutto potrebbe tornare”. La seconda parte è un intermezzo umoristico e scherzoso, il terzo movimento propone un affresco della città di Leningrado, mentre il quarto passa dalla tragedia alla forza della vittoria epica». Šostakovič scrisse questa sinfonia nel settembre del 1941, quando Leningrado era sotto assedio e venne eseguita già nell’anno successivo in città, anche se mancava gran parte degli orchestrali già morti. L’esito fu trionfale. «Quando la dirigo», ha spiegato il maestro, che con Šostakovič ha avuto l’onore di lavorare, «sento di nuovo la sua voce e spero che per l’Orchestra, per il Teatro, per il pubblico e per me stesso, questa apertura della stagione sarà ricordata anche in futuro». (i.p.) Dimitrij Šostakovič culture», Kitajenko said in alarm. «Music is the heart, the soul, the good health of a nation. It is easy to destroy a structure that is as fragile as culture, and it is extremely difficult to rebuild. Everybody remembers how terrible the fire of the Fenice was, and everybody remembers how long it took to rebuild. Italy is the symbol for culture throughout the world and it is extremely difficult to accept the fact that one is unable to make music as one should». It was Kitajenko himself who proposed the performance of the Seventh Symphony, written in Leningrad, his city of birth. The composition begins with a description of the normal, tranquil and serene life of the people; the voices of destructive forces gradually make themselves heard, the black force that implacably arrives and causes widespread confusion. At first it almost seems to be a small toy orchestra that gradually grows until it takes on catastrophic dimensions. «This barbaric force wants to destroy the entire world and anything that is positive, anything that was constructed by civilisation. The first tempo, extremely long, ends with the voices of trombones and percussion meaning: “men, be careful because everything could come back”. The second part is a humorous and playful intermezzo, the third movement offers a fresco of the city of Leningrad while the fourth moves from tragedy to the force of epic victory». Šostakovič wrote this symphony in September 1941 when Leningrad was under siege; it was performed in the city the following year, even though many of the musicians were already dead. The result was triumphant. «When I conduct it», explained the maestro, who had the honour of working together with Shostakovich, «I can hear his voice again and I hope that for the Orchestra, the Theatre, the audience and for myself, that this will be an opening to a season to be remembered in the future, too». (i.p.) 19 Focus On Teatro: sempre più impresa e meno cultura Dalla riduzione del Fus all’assenza di mecenatismo Theatre more as a business and with less culture From the reduction of contributions to the lack of patrons D i fronte alla distruttiva riduzione del Fus (Fondo Unico dello Spettacolo) si ripropone il problema della sopravvivenza degli enti lirici. C’è chi sostiene che la trasformazione dei nostri teatri in Fondazioni sia stata positiva ai fini di una maggior funzionalità organizzativa e di un sostegno economico. In realtà, ad uno sguardo retrospettivo, in un decennio le Fondazioni non hanno favorito agli enti lirici, anche perché in Italia, a differenza di quanto avviene negli Stati Uniti, non esiste una cultura del mecenatismo, né la defiscalizzazione, sempre richiesta, ma mai attuata (di fatto i maggiori contributi «esterni» provengono dalle Fondazioni Cassa di Risparmio, mascherate da apporti privatistici). La nuova legislazione voluta dall’allora Presidente del Consiglio, Lamberto Dini, su suggerimento di Carlo Fontana, sovrintendente della Scala (e successivamente avallata dal Ministro alla cultura Walter Veltroni), ha contribuito da un lato alla decapitazione della figura del direttore artistico, ridotto al rango di un mero segretario artistico (il sovrintendente lo nomina e può sostituirlo in qualsiasi momento al di là persino degli impegni contrattuali), e dall’altro all’eccessivo potere, spesso molto superiore all’apporto finanziario, conferito ai rappresentanti privati nel Consiglio di amministrazione: basti pensare ai rovinosi interventi alla Scala dei consiglieri legati alle grandi imprese milanesi. In definitiva sarà bene guardare non tanto agli Stati Uniti, ma ai paesi europei più avanzati come la Germania, ove i teatri sono sostenuti esclusivamente da finanziamenti pubblici; essi svolgono una significativa funzione sociale anche per la politica dei prezzi contenuti che consentono alle nuove generazioni e alle classi meno abbienti di frequentare gli spettacoli. In Italia ormai prevale 20 I di / by Mario Messinis n view of the destructive reduction of the Fus (Unique fund for the performing arts), once again opera is faced with the problem of survival. Some believe that the transformation of our theatres into Foundations was positive since it allowed greater organisational functionality and financial support. In reality, looking back, in a decade the Foundations have not been of benefit to opera, also due to the fact that in Italy, unlike in the United States, there is neither a culture of patrons nor tax exemption, which is always requested but never implemented. In fact the greatest «external» contributions come from the Foundations of the Cassa di Risparmio, disguised as private contributions. The new legislation proposed by the former President of the Council, Lamberto Dini, following the suggestion of Carlo Fontana, superintendent of La Scala (and later backed by the Minister of Culture, Walter Veltroni), contributed on the one hand to the diminution of the figure of the artistic director whose role was reduced to a mere artistic secretary (the superintendent can nominate and replace him at any given moment, regardless of contract commitments), and on the other, to excessive power, which was often much greater than the financial support given to the private representatives of the board of directors - it suffices to remember the ruinous interventions at La Scala by the councillors who were linked to big Milanese businesses. All in all, rather than the United States, it would be better to look towards the more advanced European countries such as Germany, where the theatres have the exclusive support of public financing; they have an important social function, also as regards their policy of reasonable prices which allow the new generations and lesser well off classes to go to performances. Focus On l’idea del teatro come impresa, in un’ottica commerciale e di consumo che ne compromette il peso culturale. Forse, dopo l’insuccesso delle Fondazioni liriche, si dovrebbe proporre una nuova legge che garantisca un adeguato finanziamento pubblico, riducendo però nel contempo il peso di un sindacalismo selvaggio e onnipotente con l’eliminazione dei contratti integrativi, che assecondano le velleità delle corporazioni. Sarà possibile rinnovare gli enti lirici con modalità presenti nei paesi europei di più forte tradizione musicale? La questione è aperta e di difficile soluzione: gli enti lirici sono costosissimi e necessiterebbero di un impegno adeguato da parte dello Stato. In Italy the idea of theatre as a business has now become prevalent – a commercial and consumerist point of view that compromises its cultural importance. Perhaps, in view of the failure of opera Foundations, a new law should be proposed guaranteeing adequate public financing, while reducing the weight of uncontrolled and omnipotent trade unionism with the elimination of integrative contracts that favour the velleity of the corporations. Will it be possible to renew opera following the models that can be seen in European countries with a stronger musical tradition? The question is open and difficult to answer – Opera is extremely expensive and requires adequate commitment from the State. 21