I termini della questione

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I Termini della questione
a cura di Maurizio Cavalli
Di solito quando utilizziamo la parola “popolare” la accostiamo a diversi significati :
 famoso ( un personaggio dello spettacolo, un prodotto di marca, uno sport )
 contrapposto a elitario ( musica leggera > musica colta (es. Dodecafonica)
 un rimando a comportamenti o fenomeni culturali collegati in qualche modo a realtà
sociali “basse”: contadini , operai, disoccupati, migranti.
 antitetico a “colto”
 un riferimento a valenze legate al “passato”: abitudini, usi, metodi comunicativi popolari,
nel senso comune di “non più attuali” o passati di moda.
Queste distinzioni e sfumature si moltiplicano se le applichiamo a situazioni o luoghi che
frequentiamo:
ad es. i silos di cemento non sono popolari, il fienile lo è ; la balera è più popolare della discoteca,
un palazzo moderno è meno popolare della casa a ringhiera, ecc.
In campo musicale si applica comunemente lo stesso criterio:
una musica popolare è tale perché famosa, di successo, pensiamo ai cantanti di generi commerciali,
alle musiche da film, oppure a generi divenuti di largo consumo perché passati nei media
quotidianamente (compresa certa musica classica o operistica );
però potrebbe anche esserci un riferimento alla “musica popolare” nel senso di musica tradizionale
(o folk (1), termine oramai di uso corrente)
A chiarire queste ambiguità sulla parola ”popolare” può aiutarci la terminologia inglese dove :


popular – sta a definire tutto quanto è ampiamente diffuso o commerciale, certamente non
elitario
folk – tutto ciò che si riferisce al significato di culturalmente collegato a realtà sociali
“basse”, in opposizione a “colto” e con valenza di non attualità.
Così popular (o comunemente pop (2)) sarà ad esempio la musica rock o altro genere
musicale di largo consumo, mentre folk sarà un vecchio canto di pastori, un prodotto artigianale
tradizionale e via dicendo. La terminologia inglese fa dunque chiarezza rispetto all'ambiguità del
termine italiano perché distingue meglio gli ambiti.
Oggi l'utilizzo del termine popolare in senso di popular è supportato da numerosi strumenti di
indagine interpretativa che hanno le loro basi teoriche principalmente nella sociologia, ma come ci
si regola allorché ci si interessa del secondo ambito, della cultura popolare ?
Da quali canali riceviamo l'idea di popolare?

dai canali diretti di comunicazione tradizionale : ad es. vivere in un paesino dove ancora si
canta in gruppo o si raccontano storie e favole o permane l'usanza del canto augurale a
Natale o all'Epifania o a Maggio ; oppure se si è osservato nella piazza un cantastorie, un
burattinaio o un suonatore a ballo, tutti creatori di cultura popolare. Questo canale diretto è
sempre più debole ed evidente , tanto che bisognerà imparare ad andare a cercarlo (cosa che
in piccola parte ha fatto Tandarandan nella nostra circoscritta area geografica).

da certe forme di spettacolo o concerto collegate a sagre o manifestazioni turistiche
catalogabili come “manifestazioni folkloristiche”: bande musicali, gruppi da ballo in
costume di matrice dopolavoristica, cori, majorettes, ecc. Alcune di queste proposte si
rifanno a realtà popolari preesistenti (anche se spesso artificiosamente create) altre come le
majorettes non hanno questa pretesa. Queste iniziative aggregano forze sociali
autenticamente popolari con forti valenze aggregativo-educative (come nel caso delle bande
musicali spesso unico polo di educazione musicale nel territorio)

riproposta concertistica o spettacolare professionale (e non) da parte di gruppi del
cosiddetto “folk revival” ( es.: Nuova Compagnia di Canto Popolare oppure spettacoli
teatrali come certi di Dario Fo e i numerosissimi gruppi musicali di base presenti ormai su
tutto il territorio nazionale )

da libri, siti e incisioni musicali specializzati nella documentazione folklorica e nell'analisi
antropologica

da film e documentari (es. L'albero degli zoccoli di E.Olmi)

da musei etnografici e/o della “civiltà contadina” (nella nostra area : Civico Museo
Etnografico, La Spezia - Mostra Permanente di Cultura Materiale, Levanto - Museo
Etnografico della Colombara, Ortonovo - Museo della Tradizione Contadina di Cassego,
fraz. Scurtabò, Varese Ligure - Museo Etnografico di Villafranca Lunigiana)
Le discipline che si occupano della cultura popolare:
1. tradizioni popolari : studio delle t. p. intese come “sapienza del popolo”, la c. p. è qui
intesa come somma di repertori culturali (usi,costumi,narrativa,arte,canti,ecc.), come
genuina “anima” del popolo. Quindi il folklore come serbatoio culturale che raccoglierebbe i
rimasugli di usi, costumi e antiche abitudini. Quasi un residuo della giovinezza di un popolo,
che sopravvive specialmente in ambiente rurale, oltre le modificazioni che avvengono nei
ceti elevati o nelle città.
2. antropologia culturale : scienza che studia i comportamenti umani sociali e culturali, nata
in origine con i nomi di etnografia e etnologia nello studio dei popoli extraeuropei, è
probabilmente la più elevata delle scienze umane la sola in grado di recepire e unificare tutte
le altre scienze umane per la reale possibilità dell'antropologo di rapportarsi a tutti i sistemi
di pensiero sviluppati dalle singole collettività umane e dalle loro interrelazioni. L'a.c. ha
formulato due postulati che segnano una svolta nel pensiero occidentale: il relativismo
culturale e le attività umane come cultura nel loro complesso. Il primo sostiene che non
esistono civiltà superiori o inferiori ma soltanto civiltà differenti, ciò che ha un certo tipo di
valenza in un popolo può non averlo per un altro, con tutto il corollario di implicazioni
etiche, sociologiche, di valori nel confronto tra la cultura occidentale e le altre . Il secondo
mette in discussione il concetto di cultura soprattutto nella divisione tra ciò che E' da
ritenersi cultura (sostanzialmente quella alta, accademica) e ciò che NON può essere
considerata cultura (quella bassa, del vivere quotidiano in tutte le sue forme). L'antropologo
ritiene questa distinzione artificiosa, per lui ogni attività umana, all'interno di una società,
esprime il sistema di valori e la cultura di quella società : è cultura essa stessa. Questi
postulati operano una piccola rivoluzione del pensiero occidentale nel momento in cui dalle
culture extraeuropee passano ad essere applicate nelle società occidentali. In ogni società
avanzata e industriale esistono gruppi sociali che non partecipano o partecipano in maniera
esigua alla cultura “ufficiale” di una società. Tali gruppi rappresentano per l'antropologo
l'equivalente dei gruppi extraeuropei, la loro “alterità” anziché nella distanza geografica
/etnica è distanza sociale. Riconoscere tale specificità è contrapporsi a chi, non
riconoscendola, la giudica come “incultura” a cui si ovvia con l'acculturazione di questi
gruppi senza considerare la loro specificità. Il dibattito su questi temi è tuttora aperto.
3. storia orale : disciplina che origina dai paesi anglosassoni che sfrutta fonti “vive” anziché di
archivio o biblioteca, per ricostruire processi storici contemporanei . Lo storico lavora con il
registratore a raccogliere documentazioni o testimonianze orali, sia per supplire a carenze di
documentazione di archivio, sia per gettare nuova luce su fatti storici non chiariti nella loro
complessità. Questo approccio è stato adottato in Italia per la prima volta negli anni '60 , in
modo extra accademico, da Gianni Bosio e Roberto Leydi (documentazione sul movimento
operaio) e proseguita dall'Istituto Ernesto De Martino.
Cosa intendiamo per cultura popolare?
Parliamo di cultura popolare quando ci riferiamo a sistemi di pensiero, di comportamento, usi,
abitudini, elaborati linguistici e artistici espressi da realtà sociali rimaste in larga parte escluse dalla
partecipazione alla cultura egemone.
Va detto che nel nostro paese non esiste una cultura popolare ma possiamo parlare di tante culture
popolari collegate alle caratterizzazioni etniche delle varie realtà regionali italiane.
Inoltre:
le culture popolari non sono statiche come non lo è la cultura “ufficiale”, sono condizionate dai
mutamenti economici, sociali, politici , dal rapporto con la cultura egemone e con la cultura di
massa . Ad esempio, la specificità della cultura operaia del Nord Italia degli anni '50 si è poi
influenzata e ulteriormente trasformata di fronte all'immigrazione di operaia meridionale dei '60 ed
oggi si sta nuovamente trasformando di fronte all'arrivo di operai di altre nazioni europee ed
extraeuropee, dando vita a sempre nuove forme di cultura popolare urbana.
Fare ricerca sulla cultura popolare significa trovarla espressa in tutti quei canali tradizionali di
comunicazione della cultura popolare stessa (non ne fanno parte le manifestazioni folkloristiche o il
folk revival) comprendendo tutti i comportamenti delle culture subalterne:
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

le vecchie canzoni tradizionali ma anche la comunicazione quotidiana
i riti agricoli del rinnovamento delle stagioni ma anche le manifestazioni sindacali
la religiosità contadina intrisa di retaggi pagani e/o magici ma anche la religiosità urbana
le transumanze dei pastori ma anche i week-end degli impiegati
I tratti unificanti e principali delle culture popolari sono il localismo e l'oralità pur con tutte le
modificazione avvenute negli ultimi decenni ad opera della scolarizzazione e della rivoluzione
informatica e mediatica.
(testo rielaborato dal volume “Cultura popolare” di Bruno Pianta)
Note
(1) Il termine folklore o folclore (dal sassone folk = "popolo", e lore = "sapere"), si riferisce alla
scienza che studia le tradizioni arcaiche provenienti dal popolo, tramandate oralmente e
riguardanti usi, costumi, leggende e proverbi, musica e danza riferiti ad una determinata area
geografica o ad una determinata popolazione.
Il termine fu coniato il 22 agosto del 1846 dall'antropologo William John Thoms(18031900), che (sotto lo pseudonimo di Ambrose Merton) pubblicò un articolo sul giornale londinese
The Athenaeum per dimostrare la necessità di un vocabolo che potesse ricomprendere tutti gli studi
sulle
tradizioni
popolari
inglesi.
Il termine Folklore è stato poi accettato dalla comunità scientifica internazionale dal 1878, per
indicare quelle forme, contemporanee, di aggregazione sociale incentrate sulla rievocazione di
antiche pratiche popolari ovvero tutte quelle espressioni culturali comunemente denominate
tradizioni popolari, dai canti alle sagre alle superstizioni alla cucina .

In Italia la documentazione che più di ogni altra ha dato l'avvio allo studio delle tradizioni popolari
e dunque al folklore inteso come scienza è stata l'inchiesta napoleonica del 1809-1811, svolta nel
Regno d'Italia sui dialetti e i costumi delle popolazioni locali. L'inchiesta fu posta in essere
principalmente per individuare ed estirpare pregiudizi e superstizioni ancora esistenti nelle
campagne italiche. Gli atti dell'inchiesta e le relative illustrazioni allegate sono custoditi nel
Castello
Sforzesco
di
Milano
Durante il fascismo questo tipo di studi fu utilizzato dalla propaganda di regime inizialmente per
rafforzare il mito romantico e medioevaleggiante del Popolo legato alla propria terra e alla
tradizione, poi per creare "il popolo" a livello nazionale, cercando di unificare con l'azione
dell'istituto del dopolavoro le tradizioni locali.
Dopo la seconda guerra mondiale, grande impatto ebbe la pubblicazione delle "Note sul folklore",
contenute nei Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci. In particolare, Ernesto de Martino
condurrà le più celebri ricerche folkloriche italiane, “Morte e pianto rituale”, “Sud e magia”, “La
terra del rimorso”, scegliendo come oggetto classi sociali considerate fuori dalla storia, i contadini
del sud Italia, con il dichiarato obiettivo di utilizzare le tradizioni popolari, definite come folklore
progressivo, come elemento fondante di una futura coscienza di classe.
Questa corrente di studi rimarrà dominante in Italia fino agli anni ottanta (con Alberto Mario
Cirese, che dagli anni sessanta impose come nome per gli studi di folklore all'italiana il termine
demologia), periodo dal quale viene rimesso profondamente in discussione l'oggetto di studio,
criticando la reificazione delle tradizioni e ponendo l'accento più sui processi di costruzione sociale
e sull'uso che i soggetti fanno di esse.
(2) La musica pop (o pop music o semplicemente pop) è un genere musicale Il termine era
originariamente inteso come abbreviazione di musica popolare (popular music) e veniva usato in
senso molto ampio per riferirsi all'intero corpus della musica“leggera” occidentale, in
contrapposizione alla tradizione colta di generi come il jazz e la musica classica. Ai tempi dei
Beatles, per esempio, pop era essenzialmente sinonimo di rock'n'roll. In seguito al frammentarsi
della musica "pop" in numerosi sottogeneri, dal rock al funk all'hip hop e via dicendo, l'uso
dell'espressione musica pop in questo senso ampio è andato via via perdendosi. Oggi, l'espressione
musica pop viene quasi sistematicamente usata per indicare la musica spiccatamente
"commerciale".

Note tratte da Wickipedia
Etnomusicologia
L'etnomusicologia è una branca della musicologia e dell'antropologia che studia le tradizioni
musicali orali di tutti i popoli, quindi sia la musica popolare che colta. Viene detta anche
musicologia comparata, in quanto uno dei suoi fini è il confronto delle musiche dei popoli
extraeuropei tra loro e con quelle dei popoli occidentali, anche se tra le due esiste una sottile e
determinante differenza. Nacque verso la fine dell‟800, in Germania, col nome di musicologia
comparata ed i primi cultori di etnomusicologia furono Béla Bartok, Constantin Brailoiu, Diego
Carpitella e Alberto Favara. In Italia, le ricerche sulla musica e sul canto popolare iniziarono molto
tardi, verso il 1948, con la fondazione del centro nazionale di studi di musica popolare.
L'etnomusicologia vera e propria nacque negli Stati Uniti, in quanto diverse personalità di rilievo
per gli studi di musicologia comparata dovettero esiliare a causa dell'avvento del nazismo. Questi
studiosi, quindi, crearono uno iato rispetto alle scuole precedenti, che fu sfruttato da un gruppo di
studiosi americani per rifondare gli studi sulle musiche del mondo. Per segnalare questa novità
nell'approccio scientifico decisero di adottare il termine proposto da Jaap Kunst. L'etnomusicologia
si occupa non soltanto della musica in quanto suono, ma anche dei comportamenti necessari a
produrla. Fino al 1950 quella che fino ad allora era chiamata musicologia comparata venne detta
“etnomusicologia”, ridenominazione che corrispose all'avvento di nuovi metodi di indagine e ad un
ripensamento del ruolo assunto dal ricercatore. Fino agli anni ‟40, infatti, si dava per scontato che la
raccolta di documentazione fosse effettuata sul campo da persona diversa da quella che, in un
secondo tempo, l‟avrebbe catalogata e analizzata. La progressiva comprensione di quanto siano
significativi gli eventi concomitanti a quello musicale portò alla fusione dei due ruoli.
L‟etnomusicologo, oggi, in molti casi, sente quasi la necessità di diventare un frequentatore abituale
della cultura musicale che studia, così da interiorizzare i comportamenti e i valori, da acquisire tutto
ciò che è necessario alla sua comprensione.
Uno strumento di supporto per l‟etnomusicologia fu il fonografo meccanico (ora sostituito dal
registratore magnetico), inventato da Edison nel 1878, per mezzo del quale fu possibile
documentare più facilmente, fedelmente e sistematicamente la musica. Prima della sua invenzione
era stato possibile raccogliere e studiare soprattutto folklore poetico-narrativo.
Azione di uno studioso di etnometodologia davanti ad un prodotto etnico:
Registrazione;
 Trascrizione, con criteri fedeli;
 Analisi del contesto: è indispensabile perché la musica è funzionale alle situazioni collettive.
È un approccio antropologico, nel senso che si studia la cultura dall‟interno;
 Analisi del testo: consiste nell‟individuare le “logiche di variazione” nel testo di un canto. A
questo proposito ricordiamo l‟attività di Brailoiu, etnomusicologo e compositore romeno,
che dotò l‟etnomusicologia di una solida base metodologica, in cui i punti salienti sono il
costante riferimento alle rivelazioni fonografiche dirette e l'impiego di strumenti d‟indagine
musicali, linguistici e sociologici. Il suo metodo consisteva nel prendere la prima versione
ascoltata di un canto e nello scriverla su un rigo, mettendo, poi, sotto solo le varianti delle
nuove versioni. A trascrizione ultimata notò che esistono “logiche di variazione”. Concluse
affermando che se ci sono variazioni negli stessi punti, c‟è una libertà esecutiva
regolamentata;
Analisi melodica di un brano: consiste nello studio della melodia, delle scale e del ritmo del canto,
nonché nello studio del rapporto tra musica e testo

Etnorganologia
La Etnorganologia è una branca della etnomusicologia che si occupa di strumenti popolari musicali
o etnici. Ogni cultura della terra, di oggi o del passato, ha utilizzato oggetti in grado di produrre
suono in maniera organizzata e definita in base ai propri codici culturali musicali. Ciò implica la
contemporanea presenza di oggetti e strumenti musicali simili o identici all'interno di numerose
culture, strumenti che hanno nomi differenti (vari significanti, ma stesso significato). Per poter
catalogare e studiare più agevolmente gli strumenti musicali sono state proposte, proprio dagli
etnorganologi delle classificazioni organologiche. Ad esempio quella proposta da Curt Sachs
suddivide i produttori di suono organizzato in Aerofoni, Cordofoni, Membranofoni, Idiofoni.
Tradizione orale
Si definisce tradizione orale l'usanza, viva da tempo immemorabile, di trasmettere la cultura,
l'esperienza e le tradizioni di una società attraverso narrazioni, canti, frasi, leggende, favole, ecc.
Si tramanda di padre in figlio, di generazione in generazione, giungendo fino ai giorni nostri, e ha
come funzione principale quella di conservare le conoscenze ancestrali attraverso il tempo,
preservandole dall'oblio.
Dalle epoche remote, durante le quali l'uomo cominciò a comunicare attraverso il linguaggio,
l'oralità è stata sempre fonte di trasmissione del Sapere, essendo il mezzo di comunicazione più
diffuso, rapido e facile da usare. La tradizione orale è spesso stata fonte di grande valore per la
ricerca storica e delle tradizioni dei popoli, contro coloro che hanno definito la storiografia come
unica fonte affidabile per la conoscenza del passato.
Folk revival
Questa musica ha origine dal Folk Music Revival, un movimento di riscoperta, rivisitazione e
reviviscienza della musica delle campagne e delle minoranze etniche, fiorito negli U.S.A. verso il
1935.Ne fu pioniere lo studioso Alan Lomax, che tra i primi vide nella musica del popolo non un
reperto archeologico bensì un linguaggio vivo, anagonista della cultura dominante. Lomax scoprì il
grande cantastorie nero Leadbelly e lo portò (1939) nei club di New York, dove fece sensazione.
Leadbelly, il bianco Woody Guthrie e altri come Cisco Houston, Mike Seeger, Big Bill Bronzy,
divennero gli eroi degli intellettuali americani di sinistra e alcuni giovani di estrazione borghese,
come Peter Seeger, presero a imitarli. Il Folk Revival aveva una forte carica politica: i suoi
esponenti pubblicavano giornali, erano presenti a scioperi e raduni e il loro pubblico seguiva spesso
più le parole che la musica. In conseguenza del fenomeno politico detto maccartismo (1950),
connesso con le opinioni e l'attività del senatore Joseph R. MacCarthy che appoggiava ogni forma
di intolleranza politica e di faziosa mentalità persecutoria verso chi sostiene idee di sinistra o
semplicemente progressive, fu imposta una pesante autocensura, e l'nteresse dei musicisti folk si
spostò sulla tecnica strumentale e il modo di cantare. Tuttavia il movimento si diffuse, proponendo
il folk come un prodotto non mercificato, come la canzone industriale, tecnicamente agevole e alla
portata di tutti. Ma l'esplosione del rock and roll e il lancio industriale della musica country and
western (1955) ebbero la meglio. Il folk fu riassorbito all'interno della musica commerciale: con
Bob Dylan e Joan Baez esso diventa una sottospecie del rock, caratterizzata da un ampio uso di
strumenti non elettrici e da un carattere più narrativo e di ballata che motorio e ballabile. Come tale
fiorì in California, i suoi esponenti maggiori sono The Byrds e Crosby, Stills, Nash & Young. In
Europa il Folk Revival attecchì solo in Gran Bretagna (Peggy Seeger, Ewan McColl) e in Italia (i
gruppi Cantacronache e Nuovo Canzoniere Italiano, Sandra Mantovani, Giovanna Marini, Fausto
Amodei Gualtiero Bertelli). In Gran Bretagna l'approccio eclettico dei Beatles portò alla nascita di
un folk rock anglosassone. La presenza del filone folk nel rock ha prodotto negli anni Ottanta una
vasta riscoperta della musica tradizionale di tutto il mondo sotto una mutata etichetta: non più folk
ma musica etnica o world music
Wordl music
L'espressione world music ( per "musica del mondo") si riferisce in genere alla musica che presenta
una contaminazione fra elementi di musica pop e musica etnica. Alcuni esempi di questo genere
sono l'opera di Peter Gabriel o di Paul Simon, anche se l'opera di quest'ultimo è tesa soprattutto a
sovrapporre i due generi anziché fonderli: vedi l'album "Graceland", mentre l'opera di Peter Gabriel
tende a un perfetto e armonico incontro tra culture e tecnologie diverse: vedi l'album "Passion" che
è anche la colonna sonora del film "The Last Temptation of Jesus Christ". I progetti musicali che
attingono a tradizioni culturali diverse tendono a travalicare le classificazioni tradizionali; in questo
senso, per world music si intende anche, talvolta, l'opera di artisti che rifiutano di adottare un
qualsiasi specifico linguaggio musicale tradizionale, o addirittura, nell'accezione estrema, "tutta la
musica del mondo", intesa come un tessuto continuo di esperienze correlate e componibili, in
opposizione alla visione tradizionale della musica suddivisa in generi e tradizioni musicali
indipendenti. All'estero spiccano gruppi musicali come Enter the Haggis, gruppo proveniente dal
Canada nato nel 1966. In Italia, e prima delle produzioni di Gabriel, il primo artista a produrre un
lavoro discografico di grande levatura etnica è stato Fabrizio De André che nel 1984, insieme con il
musicista Mauro Pagani, diede alla luce l'album Creuza de ma (Mulattiera di mare), interamente in
dialetto genovese, con arrangiamenti musicali arabeggianti eseguiti con strumenti tipici
mediterranei. Etnica viene usata principalmente con intenti legati alla pura classificazione (per
esempio sugli scaffali dei negozi di dischi o delle biblioteche) o alla commercializzazione della
musica. Fra i diversi usi possibili del termine esistono sfumature di significato. La musica pop
occidentale con contaminazioni o influenze etniche, come quella di (per esempio Paul Simon
l'album Graceland del 1986) o di Peter Gabriel (almeno dal quarto album in avanti) viene spesso
definita world music, termine che nasce nel contesto del business della musica pop. Sotto la
medesima dicitura vengono classificati, in modo simmetrico, quegli artisti africani, sudamericani e
così via che sono stati "scoperti" dal "business" della musica pop e che in genere seguono un
percorso musicale inverso, partendo dalle proprie tradizioni musicali e "sposandole" a schemi adatti
a essere ben accolti dal pubblico europeo e americano (come Youssou N'Dour).
Data l'evoluzione dei sistemi di trasporto e di comunicazione anche solo rispetto all'inizio del XX
secolo, non stupisce che le tradizioni occidentali vengano in contatto con quelle di altre culture, con
reciproca influenza; in questo senso, è verosimile che il confine fra quella che viene chiamata pop
music e la musica etnica diventi via via più sfuggente. I critici di questa tendenza osservano che
essa potrebbe portare, sul lungo periodo, a una sostanziale “globalizzazione" della musica che
coinciderebbe con un depauperamento delle tradizioni musicali dei popoli. Da questa
preoccupazione nasce quindi, come contromisura, l'interesse per lo studio e la preservazione delle
tradizioni musicali dei paesi del terzo mondo.
Principali protagonisti della ricerca sulla cultura popolare in Italia nella seconda metà del „900.
Diego Carpitella Ha collaborato con il CNSMP (Centro Nazionale studi sulla Musica Popolare),
raccogliendo più di 5.000 canti popolari italiani negli anni tra il 1952 e il 1958, e con Ernesto de
Martino. In quegli stessi anni ( 1953-1954) ha collaborato con l'etnomusicologo statunitense Alan
Lomax in alcune campagne di registrazione sul campo in Italia meridionale. Ha insegnato
all'Università di Roma “La Sapienza” e all' Accademia Nazionale di Danza ed è stato tra i fondatori
dell'etnomusicologia scientifica in Italia. Ha fondato la rivista Culture musicali, e fra i suoi saggi
spiccano La musica nei rituali sardi dell'argia (1967), Musica e tradizione orale (1973). È il
fondatore degli Archivi di Etnomusicologia dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
Roberto Leydi - Iniziò la sua attività dedicandosi alla musica contemporanea e al jazz. Dalla metà
degli anni Cinquanta concentrò la sua esperienza di ricerca e studio sulla musica popolare e la storia
sociale.Nella sua carriera Leydi ha pubblicato numerosi saggi. Tra i più noti, L'altra musica, GiuntiRicordi 1991, e I canti popolari italiani, Mondadori 1973. Ha, inoltre, promosso importanti
iniziative editoriali e discografiche come ad esempio la pubblicazione della collana di dischi
Albatros ed è stato tra i fondatori dell' Istituto De Martino nonché organizzatore di eventi e
spettacoli sulla cultura popolare (vanno ricordati a questo proposito Milanin Milanon e Bella Ciao),
che sono stati di impulso - assieme all'attività del Nuovo Canzoniere Italiano - allo sviluppo del folk
revival in Italia.Dal 1973 è stato docente di etnomusicologia al DAMS di Bologna, da cui ha potuto
coordinare numerose campagne di ricerca sulle tradizioni musicali di tutte le regioni italiane
(ricerca sul campo)Qualche mese prima della sua morte ha donato l'intero archivio privato (circa 70
strumenti musicali, 6.000 dischi, 10.000 libri, 1.400 nastri magnetici) al Centro di dialettologia e di
etnografia di Bellinzona, in Svizzera.
Gianni Bosio, nato ad Acquanegra sul Chiese (Mantova) nel 1923, è stato il protagonista di un
lavoro di ricerca e di organizzazione culturale che ha posto al centro la storia del mondo popolare e
delle classi non egemoni, a partire dalle loro stesse espressioni culturali. Storico rigorosissimo fino
alla minuziosità filologica sui documenti, è stato anche fra gli anticipatori della storia orale, fra i
fondatori del movimento di ricerca e di riproposta della musica popolare, e il teorico più rigoroso
del rapporto fra ricerca e organizzazione culturale. Si definiva “organizzatore di cultura,” affermava
la necessità di creare una figura di intellettuale “rovesciato” capace non tanto di portare la cultura
alle masse, quanto di apprendere da esse e restituire questo sapere in modo da “armare la classe
della sua stessa forza”.
Dopo aver partecipato giovanissimo alla Resistenza, Bosio aveva aderito all‟ala libertaria,
luxemburghiana, del Partito Socialista. Nel 1949 fonda la rivista Movimento operaio, la prima
rivista dedicata alla storia del movimento operaio in Italia. Il fatto che consideri la storia della classe
qualcosa di autonomo rispetto alla storia delle sue istituzioni, partiti e sindacati, e dei loro gruppi
dirigenti; che attribuisce importanza decisiva alla dimensione locale e ai filoni minoritari; che
intenda fondare l‟autonomia della storia delle classi non egemoni su una rigorosa acribia filologico
– tutti questo lo fa entrare in conflitto con la storiografia ufficiale dei partiti di sinistra, finché nel
1953 viene estromesso dalla rivista. Fonda nello stesso anno le Edizioni Avanti, che pubblica saggi,
documenti, materiali teorici e testi letterari sulla storia e l‟ideologia del movimento e della classe
operaia.
A partire dal 1962, inizia la produzione di dischi di canti politici e sociali. Bosio ha già cominciato
le sue prime registrazioni di canti e racconti popolari, ad Acquanegra e nel Sud. Nascono presso le
Edizioni i Dischi del Sole, l‟etichetta discografica che fino agli anni ‟70 raccoglie praticamente tutta
la produzione significativa di canzone politica e canzone popolare in Italia, e il Nuovo Canzoniere
Italiano, un gruppo di musicisti legati a questo progetto politico-culturale.
Nel 1964 il NCI presenta al Festival dei Due Mondi a Spoleto lo spettacolo “Bella Ciao”, che viene
sospeso e incriminato per i suoi contenuti classisti e antimilitaristi. Nello stesso anno, anche a
seguito della scissione avvenuta nel partito socialista, le Edizioni Avanti diventano autonome e
prendono il nome di Edizioni del Gallo. Nel 1965, insieme con Roberto Leydi e Alberto Cirese,
Bosio fonda l‟Istituto Ernesto de Martino “per la conoscenza critica e la presenza alternativa del
mondo popolare e proletario”. L‟IedM diventa luogo di riflessione ed elaborazione culturale a cui
fanno riferimento gruppi in tutta Italia – tra cui la Lega di Cultura di Piadena e, più tardi, il Circolo
Gianni Bosio di Roma. Soprattutto, l‟Istituto intraprende la formazione di un archivio orale che è
tuttora il più importante in Italia e uno dei maggiori in Europa.
In tutta la stagione degli anni ‟60 e ‟70, il movimento i cui Bosio è il principale animatore resta
nell'ambito di una sinistra rivoluzionaria e libertaria, ma anche rigorosamente autonomo da ogni
appartenenza di partito o di gruppo. Per questo, è uno dei pochi ambienti in cui tutti i filoni della
sinistra vecchia e nuova possano convivere in tempi di settarismi e divisioni; ma per la stessa
ragione paga la sua autonomia e il suo pluralismo con l‟isolamento e la scarsità di risorse che lo
porteranno vicino all‟estinzione soprattutto negli anni ‟70. Oggi, l‟Istituto Ernesto de Martino ha
ripreso a funzionare e ha sede a Sesto Fiorentino, presso Firenze.
Gianni Bosio muore improvvisamente nel 1971. L‟anno dopo, il gruppo di ricercatori, musicisti,
attivisti romani che si veniva formando attorno all‟Istituto decide di ricordarlo prendendo il nome di
Circolo Gianni Bosio.
Ernesto de Martino. Dopo la laurea in Lettere conseguita presso l'Università di Napoli nel 1932,
con una tesi in Storia delle Religioni sui gephyrismi eleusini sotto la direzione di Adolfo Omodeo,
si interessò alle discipline etnologiche.Il suo primo libro, Naturalismo e storicismo nell'etnologia, è
un tentativo di sottoporre l' etnologia al vaglio critico della filosofia storicista di Benedetto Croce.
Secondo de Martino, infatti, solo attraverso la filosofia storicista l'etnologia avrebbe potuto
riscattarsi dal suo naturalismo (tratto che accomuna, per de Martino, tanto la scuola sociologica
francese che gli indirizzi "pseudostorici" tedeschi e viennesi). Fu lo stesso Croce a introdurre il
giovane de Martino all'editore Laterza, suggerendo la pubblicazione del libro, in cui, nonostante
qualche ingenuità, si può già scorgere in nuce l'idea del successivo lavoro sul "magismo
etnologico".Scritto negli anni della seconda guerra mondiale e pubblicato nel 1948, Il mondo
magico è il libro nel quale Ernesto de Martino elabora alcune delle idee che rimarranno centrali in
tutta la sua opera successiva. Qui de Martino costruisce la sua interpretazione del magismo come
epoca storica nella quale la labilità di una "presenza" non ancora decisa viene padroneggiata
attraverso la magia, in una dinamica di crisi e riscatto.Negli anni che seguono la guerra de Martino
comincia a interessarsi allo studio etnografico delle società contadine del sud Italia. Di questa fase,
talvolta detta "meridionalista", fanno parte le opere più note al grande pubblico: Morte e pianto
rituale, Sud e magia, La terra del rimorso.Innovativo nelle sue ricerche fu l'approccio
multidisciplinare che lo portò a costituire un'equipe. Ad esempio, La terra del rimorso è la sintesi
delle sue ricerche sul campo (il Salento) affiancato da un medico, uno psichiatra, una psicologa, uno
storico delle religioni, un'antropologa culturale, un etnomusicologo (Diego Carpitella) e, infine, un
documentarista cinematografico. Nello studio del fenomeno del tarantismo vengono utilizzati anche
filmati girati tra Copertino, Nardò e Galatina.A queste monografie segue la pubblicazione
dell'importante raccolta di saggi "Furore Simbolo Valore" (1962).La fine del mondo, pubblicato nel
1977 a cura di Clara Gallini, è il primo e più importante di una serie di inediti con la cui
pubblicazione si è tentato di aggiungere elementi al ritratto di uno dei maggiori intellettuali italiani
del XX secolo.
Cesare Bermani (1937)
Tra i fondatori dell'Istituto Ernesto de Martino (ora con sede a Sesto Fiorentino), di cui è tuttora
collaboratore, è tra i promotori della Associazione italiana di storia orale, aderente all'International
Oral History Association. È stato in passato redattore e direttore delle riviste "Il nuovo canzoniere
italiano" e "Primo Maggio", redattore de "Il de Martino", assiduo collaboratore de "I giorni cantati"
e della prima serie di "Ieri Novara oggi". È tuttora collaboratore de "l'impegno" e di
"Musica/Realtà". Autore di testi teatrali (tra cui, con Franco Coggiola, Ci ragiono e canto, che ebbe
la regia di Dario Fo, 1966), curatore di numerosi dischi di canti popolari e sociali (giacobini,
garibaldini, anarchici, socialisti, comunisti e della Resistenza) per i Dischi del Sole e dei più
importanti scritti di Gianni Bosio (uno dei maggiori storici italiani del movimento operaio), è stato
tra i primi a utilizzare criticamente le fonti orali ai fini della comprensione di passato e presente.
Relatore a convegni nazionali e internazionali, ha svolto anche intensa attività di collaborazione a
giornali e riviste della sinistra italiana ("l'Unità", "Avanti!", "il manifesto", "Liberazione",
"Rinascita", "Rivista anarchica A", "Volontà", ecc.) e di traduttore dal francese.
Edward Neill, critico musicale, nato a Firenze nel 1929 è vissuto e ha operato a Genova dove ha
svolto i propri studi sotto la guida del maestro Mario Moretti.
Lo studioso, formatosi nell‟approfondimento del teatro del tardo Ottocento mitteleuropeo, si è
dedicato a Paganini e alla cultura popolare ligure poiché da sempre è stato attratto da "ciò che si
cela nel cono d‟ombra delle ribalte ufficiali"; non è quindi a caso che nel 1959 fondò
l‟Associazione Italiana "A. Bruckner" per promuovere la conoscenza in Italia del trascurato
Bruckner e in seguito scrisse e parlò di autori defilati - o contestati - come Ilolst, Nielsen, Skrjabin,
Berwald, Elgar, Reger, Busoni, Britten, Nastassjevich, Roussel, dell‟antico operismo inglese, di
quello scandinavo, ecc.
Nel 1972 figura tra i soci fondatori dell‟Istituto di Studi Paganiniani e da altrettanto tempo si
interessa di etnomusicologia tanto che, con Diego Carpitella e Roberto Leydi, ha fondato la Società
Italiana di Etnomusicologia (1974), di cui è stato segretario per otto anni. Nel 1983, dato l‟interesse
per la cultura ligure, fonda l‟Istituto Demologico Ligure, di cui è direttore scientifico. Da tempo
Edward Neill è annoverato tra i massimi studiosi di Paganini e i sei libri da lui dedicati al genio del
violino risultano tra i più citati in questo campo.
Ha collaborato al terzo programma radiofonico della RAI con cicli di trasmissione su Britten,
Paganini, Saint-Saens, Stradella e la musica degli Stati Uniti. Sempre per la RAI (Rete 1
radiofonica e sede regionale) ha curato alcuni cicli di trasmissioni. È autore di oltre un centinaio di
saggi e articoli sulla musica inglese e scandinava del Novecento. Inoltre varie realizzazioni
discografiche e filmiche da lui firmate, riguardanti le tradizioni liguri, hanno trionfato in rassegne
specializzate.
Nonostante la notorietà raggiunta, Edward Neill è rimasto comunque molto legato a Genova, sua
città adottiva, tanto che il suo caratteristico e genovesissimo studio si trovava in via S. Luca, nel
cuore del centro storico. Proprio il suo studio è stato meta per anni di musicisti, musicologi, troupe
cinematografiche e televisive (italiani e stranieri), che volevano informarsi su aspetti appartati e
talora appartatissimi dei "casi della musica"; Neill ha sempre accolto tutti, interlocutore
cordialissimo rigoroso e sapiente, mettendo a loro disposizione, con sorridente ironia, il proprio
operoso isolamento subissato di libri, preziose partiture e registrazioni.
Il Comune di Genova gli ha attribuito il Grifo d‟Oro nell‟ottobre 2000.
Edward Neill è morto a Genova il 15 maggio 2001.
Allegato A
Premessa allo Statuto dell'Istituto Ernesto de Martino tratto dal sito dell’Istituto:www.iedm.it
L'Istituto Ernesto de Martino per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare
e proletario è stato fondato nel 1966 per iniziativa di Gianni Bosio (1923-1971).
In funzione dal primo gennaio 1966, in esso sono confluiti e confluiscono i risultati delle ricerche
sul campo di numerosi studiosi.
Archivio sonoro specializzato che ha pure raccolto materiali di ogni genere riguardanti le culture del
mondo popolare e proletario, assumendo quindi aspetto multimediale, l'Istituto è stato ed è
soprattutto un laboratorio per l'analisi del comportamento sociale passato e presente del mondo
oppresso e antagonista (modi di produzione, forme sociali derivate e dinamiche che ne scaturiscono,
processi di trasformazione e di ricomposizione della classe), per la valorizzazione delle culture orali
e in particolare per la loro utilizzazione critica negli studi storico-socio-antropologico-linguistici e
all'interno della società tutta.
La mondializzazione del sistema economico occidentale, l'integrazione politica e ideologica di
buona parte del pianeta insieme all'accrescimento della dipendenza delle aree "deboli" da quelle
"forti", la tendenza all'uniformazione dei modi di vita e delle culture indeboliscono o dissolvono le
alterità cui l'antropologia era solita rivolgere l'attenzione. Ma altre se ne ricostruiscono, spesso
altrettanto radicali, nella forma di antiche alterità che resistono contaminandosi con la modernità o
in quella della moltiplicazione dei particolarismi nel cuore stesso delle società occidentali.
Nondimeno è vero che nozioni come alterità, sguardo esterno, osservazione partecipante, mondo
popolare e proletario, classe, richiedono di essere riesaminate alla luce delle trasformazioni degli
ultimi decenni.
Quindi, i punti di partenza nel lavoro di ricerca proprio all'Istituto, non possono che essere oggi due
e strettamente legati: l'osservazione, la ricerca diffusa, l'analisi dei dati resi disponibili da una
raccolta fatta anche con margini di casualità e senso del contingente; e, come unico insieme con
questa osservazione e ricerca diffusa, una costante messa in discussione di tutte le grandi categorie
e della loro assunzione come date: solo rirapportandole tutte alla realtà si può avviare un processo di
loro verifica ed eventualmente di loro adeguamento o sostituzione. Solo così potrà forse prendere
forma un qualche nuovo paradigma teorico.
In particolare, di fronte a uno sviluppo sociale transculturale, l'Istituto si propone una critica
rigorosa di:

tutti quegli approcci che tendono a perpetuare la visione esotica degli altri, anche sotto
forma della "autenticità" nell'illusione della preservazione delle culture altre "così come
sono" o sotto forma della scoperta dell'esotico dentro la stessa metropoli;

delle categorie di osservazione "etnocentriche" e "androcentriche".
Anche categorie come "mondo popolare e proletario", "alterità" e "classe" in questo momento
debbono essere assunte provvisoriamente, in vista di una loro ridefinizione o magari di un loro
definitivo abbandono a vantaggio di altre più utili allo sviluppo della ricerca oggi.
"Mondo popolare e proletario" e "alterità" sono stati da sempre concepiti nel lavoro dell'Istituto
strettamente correlati a "classe", intesa come una formazione sociale e culturale che nasce e si
trasforma nella realtà attraverso processi che si possono studiare solo nel loro svolgersi nel tempo e
come punti d'arrivo provvisori di processi sociali prolungati. La classe va quindi sempre considerata
come il punto d'arrivo di un processo storico reale. Lo studio di questo processo, che è stato sempre
l'obbiettivo centrale dell'Istituto, in questa fase di macroscopiche trasformazioni sia del capitale sia
del lavoro salariato, è più che mai indispensabile per la ridefinizione delle categorie.
"Classe" diventa quindi anche una categoria euristica e analitica da utilizzarsi badando a condurre
non solo l'analisi sulle vecchie forme di aggregazione, ma guardando con curiosità e attenzione
soprattutto alle nuove forme di aggregazione in fieri. Sarà quindi cura dell'Istituto condurre ricerche
e analisi permanenti sulle trasformazioni interne al mondo del lavoro e alle sue forme associative,
sui fenomeni indotti dall'immigrazione, dalla sottoccupazione (lavoro temporaneo, saltuario,
flessibile) e dalla disoccupazione, non trascurando la ricerca di ogni forma di alterità, proponendosi
di fissare realtà antiche e nascenti in molti luoghi e in diverse situazioni d'Italia.
La ricerca condotta su fonti orali e fonti scritte resta nel lavoro dell'Istituto il momento di
organizzazione di una interdisciplinarietà che include e rapporta tra loro quel campo variamente e
incertamente definito come etnologia, etnografia, antropologia, folklore ecc., quell'altro non più
nettamente distinguibile dal primo che è possibile definire come "sociologia critica" e quello della
storia. La negazione delle tradizionali divisioni disciplinari tra questi campi e, all'interno della
storia, tra storia "grande" e trapassata, e "piccola" e presente, è stata e rimane una costante nel
lavoro dell'Istituto. Questa posizione è stata particolarmente feconda di risultati, dando vita alle
prime elaborazioni storiche condotte con l'uso critico di fonti orali.
Non è questo il solo terreno su cui le prospettive e le speranze poste a fondamento dell'Istituto si
sono inverate. Negli ultimi decenni le società industriali e i loro settori più avanzati sono venuti a
essere sempre più inestricabilmente inseriti in un sitema di relazioni con altri tipi di società o ciò
che ne resta, per cui diviene sempre più difficile distinguere urbano e industriale da rurale e
tradizionale. E infatti parte dell'antropologia e della sociologia lavorano oggi in direzione di una
unificazione dei loro oggetti di ricerca e per la sperimentazione di metodi complementari di lavoro,
obbiettivo che è pure di taluni etnostorici, etnomusicologi, etnopsicanalisti, etnopsichiatri, psicologi
cognitivi, linguisti ed economisti, a confermare che i processi di interpenetrazione tra discipline
diverse si sono progressivamente ampliati. Per molti studiosi l'antropologia ha smesso di essere la
scienza delle "società esotiche" per diventare riflessione critica trasversale su qualunque società. È
sempre più un'antropologia "del noi", che assume a proprio oggetto gli stessi dislivelli di cultura
della società di appartenenza, studiando l'insieme delle situazioni di alterità e diversità ovunque si
manifestino, interessandosi alla vita quotidiana, alla socialità, alla cultura e ai rapporti simbolici che
conferiscono senso alla vita dei gruppi, prendendo le distanze dalle realtà istituzionali per aprirsi a
problematiche nuove man mano che va scoprendo i principi di organizzazione della società che
studia (per esempio, una comunità rurale, un quartiere urbano, un grande complesso ospedaliero,
una fabbrica, un settore di lavoro, una prigione ecc.). E ciò fa guardando non solo a quanto è
permanenza ed equilibrio ma anche a quanto è dinamismo, rottura, strappo, opposizione.
In ambito sociologico si indagavano ormai con sempre maggior frequenza non solo le società
metropolitane, con i loro mutevoli squilibri interni, ma anche le società periferiche, adottando
l'osservazione partecipante e l'analisi qualitativa delle pratiche sociali. In particolare, talune sue
correnti si sono sempre più preoccupate di osservare e analizzare le pratiche sociali e le culture orali
sia nei microcosmi che nella società globale (sociologia delle espressioni della cultura popolare che
si sforzano di cogliere e valutare le rotture, le sovversioni e gli spostamenti compiuti da tali
espressioni in rapporto alle logiche dominanti; sociologia delle controculture; sociologia della
critica della vita quotidiana; sociologia dei riti quotidiani di interazione, ecc.).
Parte degli storici, con il loro progressivo allargamento d'orizzonte dalle realtà istituzionali alle
masse e ai fenomeni sociali, con la dilatazione del proprio operare alla "lunga durata" e il
restringimento alla "brevissima durata" ( la cosiddetta "storia immediata"), con la ormai acquisita
consapevolezza che per comprendere la società e fare buona storia occorre padroneggiare i discorsi
che vengono fatti su di essa dai gruppi dirigenti o di opposizione che ne fanno parte, andando cioè
al di là dei discorsi e delle pratiche dominanti e prendendo in esame dati "sommersi" e
apparentemente marginali, sono sempre più portati a occuparsi di argomenti che in passato erano
per lo più oggetti privilegiati di antropologia o sociologia.
In tutti questi processi di ricerca ha trovato ampia conferma la fondamentale indicazione, che è
anche nella "tradizione" dell'Istituto, relativa alla necessità dell'osservazione ravvicinata per
esplorare le soggettività attraverso il contatto diretto e la raccolta di testimonianze orali. Solo dalla
valorizzazione del contributo delle persone con cui lavoriamo nella ricerca sul campo alla
conoscenza di sé e del loro mondo e attraverso la riflessione critica sul ruolo stesso del ricercatore,
si può arrivare, nei diversi campi, a temperare la "scienza sociale dell'osservatore", ponendo in una
prospettiva storica il suo oggetto d'indagine e assumendo la distanza necessaria per una sua
valutazione comparativa e una sua apertura all'universale.
Nel complesso si può dire che le ragioni che avevano portato alla creazione dell'Istituto si sono
dimostrate fondate e quindi esso mantiene ancor oggi la fisionomia di un organismo che - come
scriveva il suo fondatore - "ricerca, raccoglie, ordina, elabora, utilizza il complesso delle
manifestazioni della cultura orale di tutto il mondo popolare e proletario.
Un taglio diverso, un rapporto diverso escluderebbe le contraddizioni che esistono nel mondo
popolare e delle classi: taglierebbe l'Istituto fuori dalle fonti, dalle matrici, dai canali conduttori che
rappresentano l'asse, forse più importante, per arricchire sul versante della spontaneità della ricerca i
materiali che l'Istituto va allineando".
Compito dell'Istituto e dei gruppi a esso collegati è anche quello di obbiettivare con la ricerca le
emersioni che provengono dal mondo popolare e dal proletariato. La ricerca non può rimanere fine
a se stessa, aggiungeva infatti Bosio, il che equivale a dire che "la conoscenza delle condizioni di
lavoro, delle forme dello sfruttamento collegata alla lotta per trasformare una condizione soggetta,
si lega dunque a un certo tipo di ricerca, di popolarizzazione e di intervento. Non vi è condizione di
lavoro e di sfruttamento che non sia legata al suo proprio intervento, un intervento che lo stesso
operaio conosce e indica. Si tratta di provocare queste situazioni e questo atteggiamento e di
renderli comuni collegandoli". In altre parole, l'Istituto deve assicurare le condizioni indispensabili
per verificare le esperienze e per metterle a frutto, continuando a proporsi come luogo ideale e
organizzativo nel quale liberamente possano convergere, confrontarsi e integrarsi i risultati e i
progetti così delle analisi conoscitive come della ricerca sul campo e più in genere della
documentazione e della loro comunicazione. Un luogo dunque di sperimentazione reale di indirizzi,
di tecniche e di metodi: non un istituto già fatto ma da farsi nella ricerca concreta. Suo compito è
inoltre, da una parte, quello di rendere più largamente note e utilizzabili quelle infrastrutture
documentarie e strumentali in grado di incrementare le ricerche cui si applicano l'Istituto e le forze
che in esso convergono e, dall'altra parte, di dare il massimo di circolazione possibile ai risultati di
conoscenza e di metodo cui i ricercatori pervengono. E di proporre alcuni indirizzi generali come
ipotesi di lavoro alla cui verifica possano collaborare i gruppi di interesse, le specifiche competenze
e i settori di indagine in cui l'Istituto intende articolarsi.
Le infrastrutture documentarie e strumentali dovranno essere costituite non soltanto dalla ordinata e
razionale conservazione e dagli inventari dei risultati delle rilevazioni sul campo e più in genere
delle ricerche passate e future dei collaboratori dell'Istituto, ma anche dall'approntamento e dalla
pubblicazione di raccolte sistematiche, di indici analitici, di repertori ragionati del materiale
documentario che gli studi italiani o stranieri sono venuti mettendo in luce in questo o quel settore
specifico e di significativo interesse.
Le ipotesi di lavoro che costituiscono l'oggetto centrale delle verifiche che l'Istituto intende
promuovere possono così enunciarsi:
1. la condizione essenziale per ogni ulteriore utilizzazione teorica e pratica del patrimonio
concettuale ed espressivo del mondo popolare e proletario è costituita da un attacco
conoscitivo metodologicamente rigoroso e finalizzato a cogliere la realtà al di là delle
mascherature ideologiche e mistificatorie e attento a non isolare arbitrariamente l'oggetto
della ricerca dal contesto storico globale in cui si inserisce;
2. la garanzia contro i rischi delle mescolanze promiscue tra ricerca conoscitiva e riproposta
ideologica non è costituita dalla astratta separazione dei due momenti, ciascuno chiuso in
una sua pretesa autonomia, ma sta invece in un rapporto dialettico che, ove se ne abbia
profonda consapevolezza, fa sì che la ricerca pura si traduca in impegno e l'impegno in
scienza;
3. l'impegno civile che ha sostanziato di sé i momenti più importanti della lunga tradizione di
ricerche sul mondo popolare e proletario si esprime, oggi, come rifiuto di accettare
passivamente le operazioni di organizzazione dei consensi che si attuano soprattutto
attraverso i grandi canali di comunicazione di massa; come contestazione attiva della pretesa
del potere e dei gruppi egemonici odierni di imporre unilateralmente i propri modelli
culturali e di sottomettere integralmente la produzione di cultura alle leggi del mercato e alla
logica del profitto; come comunicazione scientifica oppositiva di documenti diretti e di
analisi critiche che rompano l'esclusivismo culturale ufficiale; come proposta di nuovi
prodotti di cultura consapevolmente legati al recupero del fondamentale carattere oppositivo
che anima modi e forme del mondo popolare e proletario.
Infine: momento importante di una difesa della memoria del mondo popolare e proletario è
anzitutto il garantirne la perpetuazione di fronte ai tentativi di distruzione che vengono
operati da gran parte della industria culturale e delle istituzioni (per esempio, a tutt'oggi non
esiste una legge che tuteli il patrimonio orale o audiovisivo alla stregua di quello cartaceo).
à, come suo compito istituzionale, all'approntamento delle strutture organizzative,
documentari e strumentali; alla utilizzazione delle competenze specifiche che , al di fuori
dell'Istituto, appaiano necessarie per l'organico approfondimento delle ricerche; alla più
larga disponibilità possibile (ed eventualmente anche alla ricerca) dei documenti necessari ai
progetti perseguiti; alla programmazione di ricerche sistematiche da condurre in proprio o da
affidare a collaboratori qualificati, e all'appoggio a iniziative personali o di gruppo che
giudichi meritevoli; alla creazione delle condizioni e delle occasioni per il confronto, la
discussione e lo scambio delle esperienze e dei risultati di lavoro dei gruppi o dei singoli che
aderiscono all'Istituto, e per la verifica complessiva della validità o meno delle ipotesi di
lavoro e della struttura organizzativa dell'Istituto nel suo complesso; all'apprestamento dei
dischi, audiovisivi, libri, spettacoli, concerti, film, convegni, ecc., ritenuti utili per lo
sviluppo del lavoro dell'Istituto.
Allegato B
Un'intervista (del marzo 2005) tratta dal sito dell’Archivio Primo Moroni : www.inventati.org/apm
Cos'è "musiCalusca"
È un progetto aperto, che nasce da una chiacchierata con Ivan Della Mea. Nasce perché a Milano,
che è comunque stata ed è al centro di tutta una serie di eventi e patrimoni anche della musica
popolare e di protesta italiana, mancava un negozio decente dove trovare dischi, riviste e libri
dedicati a questo argomento.
Alla Calusca, la storica libreria di Primo Moroni, che è ancora una libreria militante ed è (insieme
all'Archivio Primo Moroni) parte viva del centro sociale Conchetta, l'idea è piaciuta: stabilite due
cose importanti (primo: creare uno scaffale che sia anche punto di scambio sulla musica popolare e
di protesta, cercando anche libri esauriti, materiali fuori distribuzione ecc., com'è nello spirito della
Calusca - secondo: creare piccoli eventi che a Milano rispondano al crescente interesse per il mondo
della musica popolare), abbiamo iniziato a ordinare e cercare libri, riviste, dischi.
La musica popolare non vende granché: quindi nei negozi gli scaffali sono in realtà poco seguiti,
l'assortimento è ridotto, limitato spesso alla nuove uscite, alla grande distribuzione o a quella
importante nel circuito degli indipendenti. Gli appassionati lo sanno bene, ma il pubblico medio non
se ne accorge. Gran parte dei dischi prodotti non sono nemmeno in distribuzione, o ci sono solo
virtualmente, perché spesso bisogna prenotarli e comprarli a scatola chiusa. Da noi l'intenzione è di
averne il più possibile, si potrà prenderli in mano e anche chiedere di ascoltarli.
Internet funziona benissimo, ma è uno strumento freddo, di cui molti degli interessati alla musica
popolare non si servono proprio. La comunicazione sul popolare deve essere calda, altrimenti una
larga fetta del suo pubblico non la raccoglie. Quello che conta nella musica popolare sono contatto e
contesto, che sono anche "informazione".
Ha senso oggi parlare di musica e cultura popolare?
Già: non è scomparsa, schiacciata dalla società di massa? Per cominciare musiCalusca offrirà tutto
il possibile sulla tradizione, ovvero il mondo della cultura orale, che oggi resta irrinunciabile
punto di partenza, di studio, di ricerca.
E poi non è vero che questo mondo è scomparso, almeno non del tutto: ci sono diverse forme di
sopravvivenza, si parla di "rifunzionalizzazione". A partire dalle molte piccole isole dove la
tradizione non si è interrotta - tra le montagne, ma anche in collina e diciamo un po' dappertutto,
forse anche in qualche angolo delle città - e che testimonia la sua inattesa vivacità non solo
continuando a produrre eventi, ma anche con moltissime pubblicazioni. Va anche ricordato il
fenomeno delle bande di paese, un interessante miscuglio, al Nord come al Sud... hanno la divisa e
fanno musica "classica", magari suonano in processione, ma dopo i musicisti formano gruppetti da
ballo o da osteria. Nelle aree metropolitane imperversa il "revival", in cui i giovani si accostano a
un mondo sconosciuto che li affascina, che imparano ad articolare a modo loro. O pensiamo alle
realtà del Sud, dove la tradizione significa resistere e opporsi con la propria identità, rifiutando
l'emarginazione. E poi c'è il filone della canzone politica, che da sempre congiunge il popolare
all' autorale, e ci sono le bande metropolitane, impegnate politicamente e che vediamo nelle
manifestazioni, ci sono i cantastorie, i molti giovani artisti che si mettono a fare teatro di strada...
tutta questa è roba popolare, e vorremmo trovare il modo di averla, presentarla… Anche se il
mondo popolare tradizionale sta scomparendo resta la sua eredità suonata, ballata e cantata. Per
dimostrare la sua forza basta guardare il continuo scontro-confronto con l'etnofolk più o meno
internazionale ed elettrificato, le contaminazioni jazz e rock, da alcuni visti come orribile e
pericolosa aberrazione, da altri come unica pratica indispensabile e attuale…
Perché questo discorso dovrebbe interessare al di fuori della cerchia degli iniziati
I tempi cambiano: la musica tradizionale italiana ce la invidia tutto il mondo, e noi stiamo
cominciando ora a capirlo. Grazie al lavoro della generazione dei pionieri, i ricercatori e promotori
come Leydi e Carpitella, ora sappiamo che è ricchissima e diversissima da regione a regione, e
non ha nulla da invidiare alla musica irlandese o a quella balcanica. Ma non ne siamo convinti
perché non è sostenuta dai promotori commerciali, l'abbiamo dimenticata e fingiamo di non
conoscerla per una vergogna atavica… per fortuna il sogno del progresso si è fermato. A differenza
della musica oggi dominante, che per comodità possiamo chiamare "commerciale", in grave crisi di
ispirazione e identità, la popolare funziona: se c'è l'interprete è vera, inauditamente vera, ed
emoziona sempre. Questo possono sentirlo tutti. Se c'è l'interprete e il contesto, sia per chi suona
sia per chi ascolta, sono emozioni autentiche, e questo colpisce.
Cos'ha di così particolare la musica popolare?
Il contesto è sempre lo stesso: quello dell'individuo che si confronta con radici o un'identità
sociale che è in chiaro antagonismo a un sistema in cui si fatica a riconoscersi. Ha un
significato che si compie nella ripetizione: non ha bisogno di comporre nulla di nuovo, e questo è il
senso profondo della tradizione, la sua attualità. E poi c'è il profondo e ineliminabile legame con i
momenti sociali: lavoro, festa, riti profani e sacri, corteggiamento. La musica popolare non sta
mai con il potere, se non quando diventa "folkloristica", e allora rientra nelle operazioni di
consenso o di promozione turistica, diventa un'altra cosa. Per capirlo basta parlarne con i nostri
vecchi, loro l'hanno conosciuta.
La musica popolare è "umana" nel senso che non si stacca dal corpo. Quindi è sovversiva rispetto
alla civiltà tecnotronica in cui ci troviamo: non servono apparecchiature, è acustica, basta aprire la
bocca e cantare, o battere le mani. Non a caso è terapeutica... Se suoni il tamburello sono le tue
mani che lo suonano, fino a farti male: è realtà.
Danza popolare
La musica popolare ha due forme: una vocale, dove il canto porta un messaggio, e una strumentale,
che è sempre legata al ballo. Il discorso sulle danze -riscoperta più recente e attuale, ma politica non
meno dell'altra - è molto ampio, in gran parte vale quanto si è detto sulla musica, sulle emozioni che
dà, e ci si potrebbe aggiungere tutta una serie di cose sul corpo e la socializzazione....
Allegato C
La babele della musica
di Ernesto Assante (giornalista, critico musicale)
tratto dal sito www.e-musiweb.org
Si narra che il popolo del mondo parlasse una sola lingua, quella della musica. Poi per
ambizione,per presunzione,per chissà quale assurdo motivo,il popolo del mondo iniziò a costruire la
torre di babele. Il Signore la distrusse e la musica si frantumò in mille linguaggi diversi,incapaci di
comunicare l'uno con l'altro. Qualcuno sta tentando, con le tecnologie digitali, di far tornare la
musica ad esser una.
Non più musica colta e popolare, non più spartiti e dischi, non più generi e stili, non più mille
strumenti diversi .Oggi c'è il computer e lui, da solo, è un'orchestra intera, in grado di produrre file
digitali che possono essere scambiati, modificati,trasmessi, manipolati infinite volte, creando e
ricreando musica nuova. Musica che oggi è fatta essenzialmente di bit.
Nella piccola cameretta di qualsiasi ragazzo di provincia fino a una dozzina di anni fa c'era una
chitarra, magari a basso costo e un amplificatore. Oggi,invece,c'è un pc. Niente strumenti musicali,
eppure moltissima musica. Le tecnologie digitali di produzione musicale hanno rivoluzionato in
maniera radicale il modo di scrivere,pensare,immaginare, fare musica.
Le nuove generazioni usano le fonti sonore in una maniera completamente inedita, ribaltando
completamente il modo di far musica dei loro fratelli maggiori; producono la loro musica in
maniera totalmente autonoma ,utilizzando software che li mettono in condizione di gestire il proprio
universo sonoro in perfetta solitudine; distribuiscono le loro creazioni usando canali del tutto nuovi,
decretando la morte sostanziale del cd solo vent'anni dopo il suo avvento, preferendo l'mp3 e gli
iPod, che mettono ogni singolo musicista in contatto con l'intero pianeta attraverso il web.
Nessuno può dire cosa sarà la musica domani. La cartografia odierna riesce solo a tracciare segni
sparsi ,rotte ipotetiche, percorsi avventurosi,non tutti esatti, non tutti destinati a portarci lontano.
Nomi nuovi per cose nuove. Servirebbe provare a definire il suono delle macchine odierne in
maniera più completa, diversa, spettacolare. (.....)
All'inizio del secolo XX diverse personalità del mondo musicale, quali Russolo e Varèse
prefigurarono importanti mutamenti. Il primo apparteneva al movimento avanguardistico Futurista e
raccoglieva assieme al resto del suo movimento forti stimoli da una società che stava cambiando
profondamente. Il secondo auspicava e prefigurava , da una parte nuovi strumenti, più “espressivi”,
dall'altra l'arricchimento dell'alfabeto musicale. Il rumore si stava affermando come elemento
sonoro, prima di tutto perchè la rivoluzione industriale iniziata nel secolo prima aveva riempito
l'ambiente sonoro metropolitano di un insieme caotico di suoni. La fabbrica e la metropoli, la
meccanizzazione e l'ambiente artificiale, la macchina e l'artefatto riempiono i luoghi della
modernità e i suoni che li caratterizzano acquisiscono un carattere molto “musicale” per l'uomo
moderno, che impara a sentirli come parte della propria quotidianità. Contemporaneamente la
diffusione dei mass media contribuisce alla saturazione del panorama sonoro. Prima il disco, poi la
radio e la tv, passando per il nastro magnetico, diffondono un suono che ha sempre più a che fare
con la macchina, con l'automazione e l'artificialità. La società comincia strutturarsi non più attorno
a un sistema di produzione industriale di massa, ma soprattutto attorno ad un sistema mediale di
massa. Avviene così il passaggio dal moderno al post-moderno. Nasce l'industria culturale e
l'informazione diventa prodotto di massa. Ci troviamo di fronte ad una società che ha
profondamente cambiato il modo di autorappresentarsi. Anche questo passaggio ha conseguenze
rilevanti sulla musica del nostro tempo. La musica diventa ubiqua e si relaziona con il reale
attraverso modalità nuove. Il linguaggio del reale e quello musicale interagiscono tra loro
intensamente. Da una parte si sviluppa l'industria discografica, dall'altra si creano nuovi media,
come la radio, e più tardi la televisione, che veicolano la musica all'interno dell'ambiente domestico.
Il sistema mediale stravolge pratiche sociali (di esecuzione e di ascolto) legate alla musica.
L'estetica musicale si sviluppa e si afferma un suono legato sia all'innovazione tecnologica che alle
pratiche sociali e alle mode musicali.
Negli ultimi anni è cresciuto il predominio della tecnologia digitale nella musica, sia a livello
professionale che amatoriale. Il personal computer sempre più potente, amichevole ed
economico viene dotato di periferiche e programmi specifici e diventa il nuovo“strumento
musicale” in grado di assistere il musicista nello svolgimento delle più svariate attività: dalla ricerca
astratta alla produzione commerciale.
Il termine musica elettronica che fino agli anni '70 identificava un settore della musica
contemporanea con precisi ambiti linguistici ed estetici, a partire dagli anni '80 perde
progressivamente questa identità per assumere un significato di pura connotazione tecnica, data la
diffusione del mezzo informatico in tutti i generi musicali.
Le tecnologie digitali mettono a disposizione dei compositori ,oggi, quello che fino a ieri era
possibile solo attraverso l'immaginazione, ma che non poteva essere ascoltato. Oggi posso
“pensare” un suono e tradurlo in numeri. E ascoltarlo così come l'ho immaginato. Non esistono più
limiti in questo senso. Si può andare verso l'alto, il basso, il profondo, il laterale, assumendo
contemporaneamente più identità musicali. L'avvento delle tecnologie digitali ha portato ad una
straordinaria esaltazione della logica del “ qui e ora” , si produce musica deliberatamente senza
passato, senza futuro. Il “cut and paste” è oggi una formula compositiva diffusa. Nulla a che vedere
con le tecniche compositive del passato e nessuna parentela, davvero, con i procedimenti creativi
dell'avanguardia. Uso, consumo, getto, recupero reimpasto.
Nulla si crea, nulla si distrugge. La conoscenza della tecnica strumentale è elemento, non portante.
Anzi, sono proprio i “non musicisti” a trovare nell' autoproduzione la loro completa realizzazione.
Se prima c'era il filtro delle case discografiche, delle abilità tecniche, dei produttori, delle scuole di
musica, dei concorsi e dei festival, oggi per fare un disco, un cd, produrre un brano, è alla portata di
tutti. Provate a chiedere a un deejay che mestiere fa, e vi risponderà, con orgoglio, “musicista!”, pur
non suonando altro che i piatti del proprio giradischi.
Il “bastard pop” delle ultimissime generazioni,poi, elimina addirittura la necessità di usare non solo
gli strumenti musicali, ma anche le loro simulazioni digitali. Con le nuove tecnologie si prendono
dischi altrui e si “risuonano”. Non c'è strumento non c'è spartito, c'è musica nuova con macchine
nuove, musica che non ha ancora una teoria in grado di spiegarla tutta e di analizzarne i confini,
anche perchè confini,obbiettivamente, non ce ne sono. E' una rivoluzione? Assoluta e totale, perchè
ognuno , nell'era del digitale diffuso, è artista, produttore, discografico e distributore di se stesso.
Con tutti i limiti e i pregi del caso. Non esiste altra certificazione che la propria.
In tutto questo entra, fortemente, il concetto di autoproduzione. Anche ieri ci si poteva
“autoprodurre”, quindi,in assoluto, questa è apparentemente la zona meno rivoluzionata tra quelle
che il digitale ha colpito. Oggi,però, si può fare da soli quello che prima necessitava dell'aiuto altrui.
E' la liberazione totale,definitiva,assoluta della creatività musicale. E' l'abbattimento delle categorie,
la morte dei generi, la fine dell'industria musicale così come,fino ad oggi, l'abbiamo conosciuta.
E questa autoproduzione digitale non coinvolge solo i musicisti dell'avanguardia, i fanatici
dellelettronica, i creativi delle ultime generazioni: uno dei maestri di questo nuovo modo di essere
“one man band” ad esempio è stato ed è Prince, e allo stesso modo oggi non c'è musicista, di
rock,come di pop, di rap come canzone d'autore, che non sfrutti le possibilità offerte dai nuovi
software, dai computer, dalle tastiere multifunzione, da Internet e dalle tecnologie digitali, per
realizzare la propria musica. Se fino a qualche anno fa lo studio di registrazione era diventato un
vero e proprio strumento musicale, oggi la propria camera, il proprio desktop, sono il “luogo” della
produzione musicale. C'è una progressiva riduzione delle spazio musicale che prosegue di pari
passo con la “virtualizzazione” degli strumenti. Ma mentre lo spazio fisico si annulla,lo spazio
creativo, al contrario, diventa infinito, interminabile, assolutamente privo di confini e limiti. Con il
computer e i software musicali lo spazio della musica invade lo spazio della vita, il suono esce dai
luoghi deputati della produzione entra nel quotidiano.
Nella nuova era la musica esce dai supporti predeterminati, i file prodotti nell'era della musica
digitale viaggiano attraverso Internet, i telefonini, le pda, gli iPod, i computer, sono dovunque,sono
altrove, e questo “altrove” è meravigliosamente indipendente, libero dalle major discografiche e
totalmente nelle mani dei musicisti che si autoproducono proprio per ribadire la propria
indipendenza.
Insomma: l'autoproduzione, i software,la fine del disco,l'avvento dell'mp3,la distribuzione via
Internet, il mercato globale, la comunicazione elettronica, i nuovi media, la musica. Prendete tutto
questo e mescolatelo insieme. Ne uscirà il confuso scenario di un mondo nuovo, che solo oggi
comincia a prendere forma. Altro che dodecafonia, altro che avanguardia del primo Novecento,
altro che Cage. Qualcuno, nella sua camera, nascosto e solo, sta certamente scrivendo la musica del
futuro, e ha un suono che non conosciamo ancora.
Bibliografia
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Ed.Libreria Musicale Italiana
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Balma Mauro “Nel cerchio del canto. Storia del trallalero genovese”
ed. De Ferrari & Devega ,Genova 2001
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“Bassa Val di Magra” a cura di Simonetta Maccioni e Giuseppe Marchini, Sagep 1999 Genova
“Storie e racconti di Lunigiana” a cura di Caterina Rapetti , Muzzio Editore 2003
Antonello Ricci, Roberta Tucci “La capra che suona” Squilibri, 2004
Guido Piovene “Viaggio in Italia” Tascabili Baldini e Castoldi , 2007
Discografia
Collane Albatros e Zodiaco (non più in produzione da cercare nell‟usato,mercatini,e-bay, ecc. )
Collana “I dischi del sole” vedi sito www.alabianca.it cliccare su ricerca catalogo etichetta “dischi
del sole”
NORD ITALIA
4. La Rionda “Incantatrice” Folkclub Ethnosuoni
5. La Furlancia “la Furlancia” Folkclub Ethnosuoni
6. Tandarandan “Epata” , “Adalgisiana” Folkclub Ethnosuoni
7. Tandachent “La Valle dei Saraceni” Folkclub Ethnosuoni
8. Enerbia “Così lontano l‟azzurro”
9. Tre martelli “Semper viv” antologia Felmay Records
10. I Musetta "La vulp la và 'n tla vigna",Folkclub ethnosuoni
11. Baraban “Baraban live “
12. Din Delon “La rosa e la ramella” Folkclub ethnosuoni
13. La Sedon Salvadie “Strades di cjants” Folkest Dischi
14. Lou Dalfin”le flor de lo dalfin”UPRfolkrock
15. Pivari Trio “La terra che mi porta” Folkclub ethnosuoni
16. Calicanto “25 anni di Calicanto”
CENTROSUD ITALIA
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Giovanna Marini (vedi collana Dischi del Sole per il repertorio più vecchio) ”Il fischio del
vapore”Caravan-Sony 2002
Riccardo Tesi/Banditaliana “Thapsos” ed. Il manifesto
Ambrogio Sparagna “Fermarono i cieli”
La macina “Nel tempo ed oltre cantando”
Banda Ionica “Matri mia” Felmay
Eugenio Bennato “E.B.collection”
Canzoniere Grecano Talentino “Serenata,canti di puglia”
„E Zezi “Diavule a quatto”
I Musicalia “Collectio Prima” Folkest Dischi. 2006
La Moresca “Senza cchiù terra”. Dunya Records
Nuova Compagnia di Canto popolare “Candelora” Rai trade, “Medina” CGD, “Li sarracini
adorano lu‟ sole” EMI
Sancto Ianne “Scapulà” Folkclub Ethnosuoni
ISOLE ITALIA
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Taverna Mylaensis “La chiami Sicilia/live” –Pan Records
Cordas et cannas «UR«
Enzo Favata “Atlantico” ed.Il Manifesto
Luigi Lai “Canne in armonia” Cnimusica
Elena Ledda “Sonos” ,Felmay Records,
Tenores di Bitti “Caminos de pache” Dunya Records
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