CROCE TESTIMONE D’AMORE E DI VITA
Santa Croce del Bleggio, 14.9.2013 mons. L. Bressan
1. La croce: Amore che chiede donazione
Pesante è questa antica croce e la abbiamo portata
quassù in alto perché sia richiamo e fonte di benedizione
per tutti. Non fu facile nemmeno per il Signore
abbracciarla e andare fino allo strazio della morte. Nel
Getsemani pregava: “Padre, se è possibile, passi da me
questo calice”. Come uomo sentiva quanto doloroso era
affrontare il tradimento, subire una condanna ingiusta
dai suoi correligionari e dai romani, essere torturato e
poi issato su quel legno, supplizio riservato ai peggiori
malfattori. Vi erano lancinanti sofferenze fisiche e
morali da affrontare, e Cristo non ha voluto essere un
cinico o un super-man, che non sentisse il ribrezzo
davanti a un tale patire.
Ma ci fa riflettere quella sua preghiera al Padre, al
quale chiede se sia possibile cambiare il disegno, pur
accettando la volontà di Dio. Sorprende il condizionale
“se è possibile”, quando affermiamo che a Dio tutto è
possibile e lo stesso Angelo Gabriele lo aveva detto a
Maria nell’Annunciazione e Gesù lo aveva dichiarato
nel suo magistero. Ma allora perché non si è evitata la
morte di Cristo? Certamente egli poteva sfuggirne se
avesse rinunciato alla sua dichiarazione di essere figlio
di Dio e di volere un mondo fraterno, ma Cristo rimase
coerente con la verità e per il bene degli altri, e già in
questo merita la nostra stima. Tuttavia, potremmo dire
che forse si potevano trovare vie diverse per mostrare
una tale fedeltà, anche perché Dio, quale ce lo
presentano i Salmi, non è un Dio crudele che vuole
sacrifici per essere placato.
E allora perché mai un tale supplizio? L’unica
risposta ci viene dall’incarnazione – ricordata nella
seconda lettura - quando il Figlio di Dio disse al Padre:
“Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo
invece mi hai preparato…. Allora ho detto: Ecco, io
vengo per fare, o Dio, la tua volontà” (Ebr 10,5.7). E
quella volontà espressione di amore per l’umanità era
appunto che Gesù assumesse tutta la vita umana, con le
fragilità dell’infanzia, la fatica del lavoro, il
disorientamento dell’esilio, gli aspetti lieti ma anche
tristi dell’esistenza, fino proprio all’estremo. Non
possiamo dire che Cristo si sia limitato ad amarci per
qualche aspetto; egli si è fatto nostro fratello fino ad
accettare non solo la morte, ma anche la tortura, la
persecuzione, l’uccisione, e perfino il senso del vuoto e
abbandono da parte di tutti e di Dio stesso.
E’ la prova suprema di amore; dobbiamo riconoscere
che Dio non ci abbia amati veramente; appunto per
questo non era possibile nemmeno a Dio Padre mutare il
percorso che lo stesso Cristo aveva accolto pur senza
distruggere la fragilità umana; Dio infatti è onnipotente
ma non può non amare e di fronte al dono non si ritira.
La croce è la prova suprema dell’affetto di Cristo per gli
uomini e di fronte ad essa si fa viva la nostra
riconoscenza, poiché quell’amore è attuale anche oggi
per ciascuno di noi. Non è un evento relegato in una
storia lontana, ma una testimonianza del rapporto di una
persona divina con noi stessi.
2. La croce fonte di vita e di speranza
Certo, se la vicenda di Cristo fosse terminata con il
Calvario, sarebbe l’esempio di un eroe, ma noi sappiamo
che è proseguita con la risurrezione. Questa non
sminuisce affatto il sacrificio e la testimonianza del
dono, ma li estende. Infatti, come Cristo che si è fatto
obbediente fino alla morte e a una morte in croce ed è
stato esaltato ed è il Signore (cfr. Fil 2, 9-11), così anche
i nostri sacrifici acquistano valore in lui. “Infatti, con
un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli
che vengono santificati” da lui, afferma la Bibbia (cfr.
Ebr 10,14). Nulla è perduto, poiché Gesù ha voluto che
avessimo una vita in pienezza, un’esistenza che portasse
frutto e un frutto che rimanga in eterno.
Quando meditiamo su questa realtà, la nostra
gratitudine cresce ancora più. La salvezza infatti non è
soltanto oltre la morte - anche se un tale verità pure è
consolante - ma la salvezza di Cristo è operante già oggi
nelle nostre esistenze concrete attraverso i sacramenti, e
soprattutto l’Eucaristia, dove insieme con il pane e il
vino vengono consacrate al Signore e da lui santificate
le nostre preghiere, le offerte, le sofferenze, le fatiche
della giornata e della settimana.
Possono essere varie le croci che abbiamo da portare:
dal dovere quotidiano a prove speciali, così come, del
resto, nella tradizione cristiana si sono espresse forme
diverse per rappresentare la croce di Cristo. Pensiamo
alla quella greca, latina, ortodosso-russa, etiope, copta;
oppure a quella patriarcale o del papa; vi sono poi croci
che secondo la figura che assumono portano nomi di
santi: quella di s. Pietro (capovolta), di s. Andrea
(incrociata), di s. Tommaso (tri-lobata), di s. Antonio
abate (thau), oppure la croce di Gerusalemme, quella di
Malta, ecc. Per quasi un millennio è prevalsa la croce
gemmata, ma in altre epoche anche quella con il Cristo
sacerdote, oppure trionfante, ma spesso sofferente fino
allo strazio, o talvolta nella più alta bellezza della figura
umana o in linee che lasciano spazio a una ricerca
ulteriore di significato. Troviamo la croce nelle nostre
case, nelle opere pubbliche, nelle chiese, sulle strade, o
con catenine al collo.
3. Croce: invito all’amore al prossimo
Ma è sempre la stessa croce di Cristo, che ci parla del
suo amore per noi, della fedeltà alla missione, della
trasformazione del dolore in mezzo di redenzione.
Sapientemente il nostro popolo cristiano ha saputo
ricorrere alla croce per invocare l’aiuto di Dio anche in
momenti di pubblica calamità, come di fronte alle guerre,
alla siccità, alle carestie; la croce è stata fonte di
speranza e di coraggio per far fronte alle sfide del tempo.
Se è chiamata “taumaturga” è perché grazie ne sono
state ottenute; ancor oggi guardando ad essa troveremo
la forza di lasciar da parte ogni conformismo decadente,
per abbracciare un pensiero propositivo sulla vita e la
società. Non abbiamo motivo di avere vergogna di un
Dio che si è fatto uomo ed è morto per noi, ma che
trionfa sulla stessa morte.
Senza alcuna superbia, ma con determinazione e
riconoscenza al Signore restiamo fedeli alla nostra
identità ed anzi la rinnoviamo, come voi fate, nobile
popolo del Bleggio. L’erezione del grande monumento,
centocinquant’anni fa, è motivo di invidia per quanto i
vostri padri sono riusciti a realizzare in un’epoca di
grandi povertà, ma è anche sprone a saper costruire il
regno di Dio oggi dentro di noi e attorno a noi,
messaggeri di solidarietà e di progresso. La spiritualità
non è tempo perso o decoro, ma sorgente di vita vera,
personale e sociale.