Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA DIPARTIMENTO DI FISICA E ASTRONOMIA Corso di laurea magistrale in Fisica Leonard Giuseppe Re CARATTERIZZAZIONE DEL TRACCIATORE GEM PER LO SPETTROMETRO SBS DI JLAB E ALGORITMI EVOLUTIVI DI PRETRACCIAMENTO elaborato finale Relatore: Chiar.mo Prof. V. Bellini Correlatori: Dott. E. Cisbani Prof. M. Russo anno accademico 2014/2015 Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 Indice Introduzione 3 1 La fisica dei fattori di forma al JLab 9 1.1 La struttura elettromagnetica del nucleone . . . . . . . . . . . . . . 9 1.2 Esperimenti sulla struttura del nucleone con tracciatori GEM . . . . 16 2 Interazione radiazione-materia 2.1 Interazione con la materia . . . . 2.2 Interazione delle particelle cariche 2.3 Interazione con elettroni . . . . . 2.4 Interazione con i raggi gamma . . 2.5 Camera a ionizzazione . . . . . . 2.6 Contatori proporzionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 20 20 23 24 26 28 3 Tecnologia GEM 3.1 Scelta della tecnologia GEM . . . . . . . . . . . . 3.2 La camera GEM . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3 Il foglio GEM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4 Single GEM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.1 Efficienza di raccolta . . . . . . . . . . . . 3.4.2 Coefficiente di estrazione . . . . . . . . . . 3.5 Operatività in campo magnetico . . . . . . . . . . 3.6 Tripla GEM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7 La scarica elettrica . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.8 Il piano di read-out . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.9 Configurazione GEM per SBS . . . . . . . . . . . 3.9.1 Geometria GEM . . . . . . . . . . . . . . 3.9.2 L’elettronica di front-end . . . . . . . . . . 3.9.3 L’elettronica . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.10 Il segnale APV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.10.1 Ampiezza e sviluppo temporale del segnale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 32 33 34 37 40 40 41 41 44 47 49 49 51 52 54 54 1 . . . . . pesanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 2 INDICE 3.10.2 Il rumore associato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 4 Realizzazione del modulo GEM 4.1 Il tendigem . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2 Sistema di controllo . . . . . . . . . . . . . 4.2.1 Architettura generale del sistema di 4.2.2 ACQ-Box . . . . . . . . . . . . . . 4.3 Calibrazione celle di carico . . . . . . . . . 4.4 Il controllo di qualità . . . . . . . . . . . . 4.4.1 Test elettrico dei fogli GEM . . . . 4.5 Realizzazione del rivelatore GEM per JLab . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . controllo del TendiGEM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Test sulle GEM 5.1 Set-up sperimentale . . . . . . . 5.2 Caratterizzazione del tracciatore 5.2.1 Run di piedistallo . . . . 5.2.2 Guadagno relativo . . . 5.2.3 Visualizzazione degli hit 5.2.4 Confronto dei run . . . . 5.2.5 Efficienza dei moduli . . 5.3 Conclusioni sul test di Jülich . . . . . . . . . . . . . . GEM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 . 113 . 115 . 120 . 122 . 125 7 Analisi del segnale APV 7.1 Problematica del segnale e scelta del metedo . . . . . . . . . . . . 7.2 Simulazione della funzione BP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.3 Conclusioni sulla simulazione BP . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128 . 128 . 130 . 134 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 76 80 80 83 85 86 109 111 . . . . . . . . 6 Apprendimento Automatico 6.1 Machine learning . . . . . . . . . . . . 6.1.1 Problema della regressione . . . 6.2 Algoritmi Evolutivi (EA) . . . . . . . . 6.2.1 Programmazione Genetica (GP) 6.2.2 Brain Project (BP) . . . . . . . . . . . . . . . 57 57 60 60 62 63 64 64 69 . . . . . Conclusioni 135 Bibliografia 138 Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 Introduzione La fisica moderna, per investigare e possibilmente comprendere le leggi della natura, richiede dispositivi sempre più complessi. Ma il conseguimento di queste indagini può avere un significativo impatto sociale, ovvero il numero di persone coinvolte nei progetti e il budget necessario per realizzarli è spesso ingente e tende ad aumentare. Questo impone, prima della costruzione di un nuovo sistema di rivelazione, una dettagliata indagine preliminare, al fine di minimizzare i rischi e i costi. Lo scopo di questo lavoro di tesi consiste in studi volti alla caratterizzazione di un rivelatore a tecnologia GEM attraverso test sotto fascio di protoni svolti presso Jülich (Germania) e all’introduzione di Algoritmi Evolutivi per l’analisi temporale dei segnali (pretracciamento), sfruttando la Programmazione Genetica. Tale rivelatore, una volta caratterizzato in tutte le sue parti, sarà utilizzato come dispositivo di tracciamento di particelle cariche presso le sale sperimentali servite dal CEBAF (Continuous Electron Beam Accelerator Facility). Quest’ultimo è un acceleratore di elettroni installato presso il Thomas Jefferson National Accelerator Facility (Jefferson Lab o JLab), centro ricerche di fisica nucleare che si trova a Newport News, in Virginia (USA), costruito a circa 8 metri sotto la superficie terrestre [1]. La sua particolarità è la capacità di generare un flusso pressoché continuo di elettroni (una corrente che può arrivare fino a 100 µA) con un’energia massima recentemente portata a 12 GeV [3]. Il CEBAF è caratterizzato da una coppia di acceleratori lineari superconduttori a radio frequenza, collegati tra loro da due sezioni ad arco che contengono magneti di deflessione [2][4]. La superconduttività è ottenuta raffreddando con elio liquido la cavità in niobio a circa 4 K, eliminando la resistenza elettrica e consentendo un trasferimento più efficiente di energia agli elettroni del fascio. Il fascio di elettroni viene diretto su tre sale esperimenti, Hall A, B e C, mentre una quarta sala, Hall D, è stata recentemente realizzata a seguito del raddoppiamento dell’energia del fascio [4]. Gli elettroni del fascio vengono fatti urtare contro i nuclei dei bersagli situati nelle sale sperimentali; l’interazione tra elettrone del fascio e nucleo bersaglio provoca generalmente la diffusione dell’elettrone stesso e di particelle secondarie. Ogni sala contiene un certo numero di rivelatori di particelle, a seconda del tipo di esperimento, preposte 3 Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 4 INTRODUZIONE Figura 1: Vista aerea del Jefferson Laboratory alla rivelazione delle particelle diffuse e alla caratterizzazione del fascio. Il fascio può essere polarizzato longitudinalmente, con un grado di polarizzazione medio migliore dell’85%, ciò vuol dire avere la possibilità di ottenere circa l’85% degli elettroni con spin allineati con la direzione del moto [5]. IL JLab ha come missione primaria la ricerca sulla fisica fondamentale, ovvero sui nuclei atomici a livello di nucleoni e quark e sull’interazione forte agente tra gli adroni [6]. In questa direzione, anche grazie all’aumento dell’energia, all’ottima polarizzazione e all’elevata luminosità raggiungibile, il programma sperimentale del JLab si sta focalizzando su almeno 3 aree principali [6]: • i mesoni esotici ibridi saranno oggetto di ricerca per l’esperimento GlueX in Hall D, con l’obiettivo di comprendere al meglio il confinamento dei quarks; • diversi esperimenti saranno dedicati allo studio della struttura fondamentale dei protoni e neutroni, come i fattori di forma e le funzioni di distribuzione partoniche; • fisica oltre il modello standard. Questo programma include un’alta precisione sullo studio della violazione della parità, test sulla simmetria chirale e sulla anomalia chirale. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 5 INTRODUZIONE Figura 2: Configurazione del CEBAF In Hall A è in corso lo sviluppo di un nuovo spettrometro chiamato Super Bigbite Spectrometer (SBS) che verrà utilizzato soprattutto per la misura dei fattori di forma dei nucleoni ad alto momento trasferito [7]. Il Super Bigbite è costituito da un magnete dipolare, una serie di tracciatori GEM (Gas Electron Multiplier) di larga area suddivisi in front tracker e due back tracker, alternati da 2 analizzatori di polarizzazione e infine un calorimetro adronico [7]. Gli analizzatori di polarizzazione possono essere rimpiazzati da un rivelatore RICH a seconda delle necessità sperimentali. La Figura 3 mostra una rappresentazione 3D dello spettrometro SBS. Il gruppo JLab12 dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) della Sezione di Catania, in collaborazione con altri gruppi INFN, ha preso in carico la costruzione del front tracker del SBS. Il progetto utilizzerà come tracciatori di particelle cariche dei rivelatori a tecnologia GEM che, come si vedrà in seguito, utilizza essenzialmente lo stesso principio fisico di una camera a ionizzazione. Lo sviluppo e il set-up del Super Bigbite Spectrometer è realizzato da una collaborazione che coinvolge sette università degli USA, l’Università di Glasgow e il gruppo Italiano INFN di varie sezioni, tra i quali Catania, Genova, Bari e Roma con l’Istituto Superiore di Sanità. Questo lavoro di tesi tratterà: • il funzionamento della tecnologia GEM per moduli a singolo foglio e a triplo foglio; Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 INTRODUZIONE 6 Figura 3: Immagine 3D del Super Bigbite Spectrometer [8] • l’utilizzo e l’efficienza del dispositivo meccanico denominato tendiGEM ; • la procedura e i risultati del test elettrico sui fogli GEM, per verificarne la qualità; • l’assemblaggio del rivelatore GEM; • la caratterizzazione del tracciatore attraverso un test svolto a Jülich (Germania) utilizzando il fascio di protoni del COoler SYnchroton (COSY); • lo studio preliminare dell’analisi temporale dei segnali attraverso l’innovativa tecnica della Programmazione Genetica (GP). Il primo capitolo tratterà una parte della fisica svolta a JLab, dunque si introdurrà la fisica sui fattori di forma elettromagnetici dei nucleoni e i metodi utilizzati per la loro determinazione, ovvero il metodo della Separazione di Rosenbluth e il più recente metodo del Trasferimento di polarizzazione. Come si vedrà, le misure effettuate sui fattori di forma dei nucleoni, ad alto impulso trasferito e con quest’ultima tecnica, hanno messo in evidenza una dipendenza da Q2 non compatibile con le misure realizzate con il metodo di Rosenbluth. Quindi l’attuale stato degli studi sulla struttura dei nucleoni esige di affinare la nostra conoscenza ad alti valori di Q2 (oltre i 10 GeV 2 ), ovvero in una regione non ancora esplorata. Il capitolo si chiuderà con una panoramica sugli esperimenti, già approvati dal JLab Program Advisory Committe, che useranno il sistema di tracciamento a tecnologia GEM sviluppato e realizzato dalla collaborazione INFN. Il secondo capitolo tratterà, in linea generale, i processi di interazione della radiazione con la materia. In particolare l’interazione delle particelle cariche pesanti Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 INTRODUZIONE 7 (tipo le particelle alfa) e delle particelle cariche leggere (tipo gli elettroni), e le tre fondamentali interazioni dei gamma con la materia, ovvero l’effetto fotoelettrico, l’effetto Compton e la produzione di coppia. Il capitolo si chiuderà con l’introduzione dei sistemi di rivelazione a gas, come la camera a ionizzazione, e le regioni di operabilità di tali sistemi. Nel terzo capitolo si introdurrà la tecnologia GEM, illustrandone caratteristiche e peculiarità, giustificandone la scelta di adottarle per i tracciatori di SBS. Si tratteranno, approfonditamente, i costituenti di una camera GEM, ovvero dei fogli, composti da rame e kapton, con una fitta griglia di fori di dimensioni tipiche delle decine di micrometri. Si introdurranno le possibili configurazioni per la realizzazione di un modulo GEM ; quella composta da un unico foglio (singola GEM) e quella a più fogli (doppia o tripla GEM) immersi, in entrambi i casi, in una miscela di gas e attraversati da una differenza di potenziale, in modo tale da creare un intenso campo elettrico all’interno dei fori. In quest’ottica, il foro sarà la regione di moltiplicazione per gli elettroni liberati dalla radiazione ionizzante nel gas. Infine si confronterà la camera a singolo foglio con una a triplo foglio, e osservare i vantaggi dell’una rispetto all’altra. Il capitolo si chiuderà con la configurazione del tracciatore GEM per il progetto SBS, trattando la geometria prescelta e l’implementazione elettronica di front-end dei moduli. Nel quarto capitolo verranno illustrati componenti e metodologie per l’assemblaggio dei moduli GEM: dagli strumenti meccanici, quali il tendiGEM, alle procedure di controllo di qualità dei fogli GEM, per verificare la tenuta elettrica (test resistivo/elettrico). Si riporteranno caratteristiche specifiche dell’attività sui test resistivi ed alcuni risultati di questi ultimi sui fogli GEM. Infine si procederà alla descrizione delle procedure per la realizzazione di una camera GEM, nello specifico un tripla, con una dettagliata descrizione sulle procedure da effettuare in camera bianca e sui materiali da utilizzare. Nel capitolo cinque verrà illustato il test sui moduli realizzati eseguito presso il Jülich Research Centre in Germania, attraverso il COoler SYnchroton (COSY). Un fascio di protoni da 2.8 GeV è stato fatto incidere sul tracciatore per accettarne la stabilità globale del sistema e poterne studiare la risposta. Sono stati eseguiti diversi run al variare della tensione applicata ai moduli (4000 V, 4050 V, 4100 V, 4150 V e 4200 V), al variare del flusso di gas erogato (1 Volume /h, 2 Volume /h, 3 Volume /h e 4 Volume /h 1 ) e al variare dell’intensità del fascio (1.4 · 109 , 8 · 109 e 1.6 · 1010 protons/bunch). In particolare si sono confrontate le caratteristiche di clustering di: 1 Il ricambio di un gas viene normalmente definito da un tasso di ricambio che è il rapporto tra il volume di gas flussato all’ora, in unità di volume di un modulo GEM. L’unità di misura è quindi Volume /h, spesso abbreviato in V/h. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 INTRODUZIONE 8 • run aventi lo stesso flusso di gas (3 V/h) e intensità di fascio (1.4 · 109 protons/bunch) ma diversa tensione applicata (4100 V vs 4200 V); • run aventi lo stesso flusso di gas (2 V/h) e tensione (4100 V) ma diversa intensità di fascio ((1.4 · 109 vs 1.6 · 1010 protons/bunch); • run aventi la stessa tensione (4100 V) e intensità di fascio (1.4 · 109 protons/bunch) ma differente flusso di gas (2 V/h vs 3 V/h). Infine si sono stimate le efficienze, dei singoli moduli GEM, al variare delle tensioni applicate avendo fissato il flusso di gas erogato. Tali stime si sono effettuate per i 4 valori adoperati di gas flussato. Nel capitolo sei si introdurranno, in maniera generica, alcuni concetti base sull’apprendimento automatico, branca dell’Intelligenza Artificiale, per realizzare algoritmi, basati su osservazioni di dati, capaci di emulare ragionamenti tipici dell’essere umano. Pertanto si illustreranno le problematiche di apprendimento e di pattern recognition relativo alla classificazione dei dati. Si introdurranno le nozioni di learning set e testing set e le tecniche di apprendimento supervisionato applicato al problema della regressione. A tal proposito si illustrerà un semplice esmpio di regressione. Infine, si farà una generale introduzione agli Algoritmi Evolutivi (EA) e alla Programmazione Genetica (GP), in particolar modo ad un GP tool utilizzato per l’analisi temporale dei segnali del rivelatore GEM. Questo GP tool prende il nome di Brain Project (BP). Infine, nel settimo capitolo, si tratterà la problematica relativa all’analisi temporale dei segnali estratti dalle strip del tracciatore, precisamente la determinazione del tempo di partenza dei segnali (t0 ). Quindi, si illustrerà la tecnica attualmente impiegata per tale studio, ovvero l’utilizzo di una funzione di fit a doppio esponenziale multiparametrica e i relativi problemi riscontrati nell’individuare il t0 in presenza di segnali rumorosi. Inoltre, si discuterà, anche, il problema dell’implementazione di tale funzione in hardware, dovuto alla sua complessità di forma. Il capitolo si chiuderà illustrando una possibile soluzione delle problematiche citate, attraverso l’utilizzo di un Genetic Programming Tool, chiamato Brain Project, e mostrando i risultati preliminari di tale tecnica innovativa. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 Capitolo 1 La fisica dei fattori di forma al JLab 1.1 La struttura elettromagnetica del nucleone Negli ultimi cinquant’anni sono stati compiuti notevoli progressi nell’identificazione dei costituenti fondamentali della materia e delle forze fondamentali attraverso le quali questi costituenti interagiscono. Secondo quello che è oggi chiamato modello standard dei processi elementari, tutta la materia è costituita da quark e da leptoni, le cui reciproche interazioni sono mediate dallo scambio delle cosiddette particelle di Gauge. Per esempio, l’elettrone è classificato come leptone e le sue interazioni elettromagnetiche con il protone sono mediate da una particella di gauge chiamata fotone. Il protone, il neutrone sono classificati come adroni e sono formati da tre quark con carica frazionaria. I quark sono tenuti assieme da un’interazione forte, mediata dallo scambio di altri otto tipi di particelle di gauge, i gluoni. Una terza interazione è quella debole che può avvenire tra leptoni e quark, tra soli leptoni o tra soli quark, grazie allo scambio di bosoni vettori massivi, detti W ± e Z 0 . Per analogia con queste tre interazioni si ipotizza che un’altra particella di gauge, il gravitone, medi l’interazione gravitazionale, ma essa non è ancora stata rivelata. Si ritiene oggi che vi siano complessivamente sei quark con i corrispondenti antiquark ciascuno in tre varietà di colore, sei leptoni e le loro sei corrispondenti antiparticelle, un fotone, tre bosoni vettori deboli, otto gluoni e forse un gravitone [9]. Dagli esperimenti pioneristici di Hofstader, negli anni ’50, le misure dei fattori di forma elettromagnetico dei nucleoni sono state una preziosa fonte di informazione per la comprensione della struttura interna del nucleone. Negli ultimi 15 anni, gli esperimenti sul trasferimento di polarizzazione nei laboratori del Jefferson Lab hanno minato diverse certezze sui meccanismi di diffusione elastica 9 Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 10 CAPITOLO 1. LA FISICA DEI FATTORI DI FORMA AL JLAB elettrone-protone e rinnovato un grosso interesse sui fattori di forma. L’aggiornamento dell’acceleratore del JLab (CEBAF), insieme ai recenti sviluppi tecnologici, offrirà una grande opportunità di estendere l’indagine sui fattori di forma ad alti Q2 trasferiti, in modo tale da poter avere una più approfondita conoscenza dei nucleoni. Le misure ad alto impulso trasferito forniranno nuovi approfondimenti sui quark e sulla distribuzione partonica all’interno dei nucleoni. Tali distribuzioni descriveranno in maniera più consistente la struttura nucleonica e, in generale, verificheranno la validità di diversi modelli teorici in una regione di frontiera tra il regime perturbativo e quello non perturbativo [10]. Fino ad ora sono stati approvati dal JLab Program Advisory Committe (PAC) cinque proposte di sperimentazione che coinvolgono l’utilizzo del rivelatore GEM [11] [12] [13]. La Tabella 1.1 fornisce una sintesi di questi esperimenti e tutti esplorano aspetti relativi alla struttura fondamentale del protone e neutrone. Tabella 1.1: Esperimenti approvati per il CEBAF dopo l’aggiornamento a 12 GeV, che useranno il sistema di tracciamento a tecnologia GEM sviluppato e realizzato dalla collaborazione INFN [11] [12] [13]. Il simbolo (*) indica su quale spettrometro le GEM verranno montate. Si ricorda che SBS (Super Bigbite Spectrometer), BB (BigBite) e HRS (High Resolution Spectrometer). Reference Label E12-07-109 GEp5 E09-016 GEn2 E09-019 GMN E12-06-122 A1n E12-09-018 SIDIS Full Title Large acceptance proton form factor ratio measurements at 13 and 15 (GeV /c)2 using recoil polarization method Measurement of the neutron electromagnetic form factor ratio at high Q2 Precision measurement of the neutron magnetic form factor up to Q2 = 18.0 (GeV /c)2 by the ratio method Measurement of neutron spin asymmetry An1 in the valence quark region using 8.8 GeV and 6.6 GeV beam energies and Bigbite Spectrometer in Hall A Measurement of the semi-inclusive pion and kaon electroproduction in DIS regime from transversaly polarized 3 H target using the Super Bigbite and BigBite spectrometer in Hall A Apparatus SBS(*) and BB SBS and BB(*) SBS and BB(*) HRS and BB(*) SBS and BB(*) Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 11 CAPITOLO 1. LA FISICA DEI FATTORI DI FORMA AL JLAB La struttura elettromagnetica di un nucleone, nel processo di diffusione elastica con l’elettrone può essere descritta da 2 funzioni denominate Fattori di Forma di Sachs (FF) e definite come segue [10] GE Q 2 GM Q 2 = Z ρE (~r) ei~q·~r/~ d3~r (1.1) = Z ρM (~r) ei~q·~r/~ d3~r (1.2) dove ρE (~r) e ρM (~r) sono rispettivamente le distribuzioni di carica spaziale e di densità magnetica. In un sistema non relativistico, GE (Q2 ) può essere interpretato come la trasformata di Fourier in tre dimensioni della distribuzione di carica del nucleone e GM (Q2 ) come la trasformata di Fourier in tre dimensioni della sua densità magnetica. I fattori di forma contengono, quindi, tutte le informazioni riguardanti la distribuzione spaziale di carica e densità magnetica dell’oggetto in esame [14]. Quindi, in linea di principio, dai fattori di forma di Sachs dei nucleoni si possono ottenere le distribuzioni radiali di carica dei nucleoni e il momento magnetico, facendo la trasformata inversa di Fourier del fattore di forma [10] [14]. In questo contesto, la corrente elettromagnetica del nucleone è descritta, in approssimazione di un fotone scambiato, da due fattori di forma scalari, F1 e F2 , rispettivamente chiamati FF di Dirac e di Pauli. I precedenti fattori di forma di Sachs risultano essere una combinazione dei fattori di forma di Dirac e Pauli: q2 p,n 2 2 kF2p,n (q 2 ) Gp,n = F (q ) − q 1 E 4M 2 2 = F1p,n (q 2 ) + kF2p,n (q 2 ) Gp,n M q (1.3) (1.4) con k magnetone di Bohr ed M massa del nucleone. Tradizionalmente, i fattori di forma dei nucleoni sono stati sperimentalmente determinati attraverso la sezione d’urto differenziale di scattering elastico di elettroni su nucleoni, utilizzando il cosı̀ detto Rosenbluth separation method [15]. In approssimazione di Born, l’interazione elettromagnetica fra l’elettrone diffuso elasticamente ed il nucleone bersaglio avviene attraverso lo scambio di un singolo fotone virtuale, come rappresentato in Figura 1.1 e la dipendenza di GE (Q2 ) e GM (Q2 ) è data dalla formula di Rosenbluth: dσ dΩ = dσ dΩ θ G2E (Q2 ) + τ G2M (Q2 ) · + 2τ G2M Q2 tan2 1+τ 2 M ott (1.5) Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 1. LA FISICA DEI FATTORI DI FORMA AL JLAB 12 Figura 1.1: Singolo fotone virtuale scambiato in un processo di scattering elastico di un elettrone su nucleone, in accordo con l’approssimazione di Born dove τ= Q2 4M 2 c2 (1.6) dove Q2 è l’opposto del quadri-impulso al quadrato del fotone virtuale scambiato, ovvero Q2 = −q 2 , M è la massa del nucleone bersaglio, θe è l’angolo di scattering dell’elettrone e la sezione d’urto differenziale di Mott è data da: dσ dΩ 2 M ott Z 2 ( e )2 cos2 θ2e = 2 4 θ4π 0 sin2 4p0 sin 2e (1 + 2p M θe ) 2 (1.7) dove p0 è l’impulso dell’elettrone incidente ed e è la carica dell’elettrone. Si noti che i valori limite dei fattori di forma dei nucleoni a Q2 = 0 sono GpE Q2 = 0 = 1 GpM Q2 = 0 = 2.79 GnE Q2 = 0 = 0 GnM Q2 = 0 = −1.91 (1.8) (1.9) Per poter determinare indipendentemente GE (Q2 ) e GM (Q2 ) le sezioni d’urto devono essere misurate a valori di Q2 prefissati, ma variando l’angolo di diffusione θe e, quindi, variando l’energia del fascio E. Le sezioni d’urto sperimentali devono essere divise per le corrispondenti sezioni d’urto di Mott. Se si rappresentano i risultati in funzione di tan2 (θe /2), si trova che i punti sperimentali giacciono su una retta (Figura 1.2), in accordo con la formula di Rosenbluth [16]. La determinazione della pendenza di questa retta fornisce quindi il valore GM (Q2 ), mentre la sua intercetta a θ=0 è data da (G2E + τ G2M )/(1 + τ ), e da qui si può estrarre GE (Q2 ) [16]. Ripetendo la misura a diversi valori di Q2 è possibile Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 1. LA FISICA DEI FATTORI DI FORMA AL JLAB 13 Figura 1.2: Rapporto fra la sezione d’urto misurata e la sezione d’urto di Mott in funzione del quadrato della tangente di θ/2 [16] determinare l’andamento dei fattori di forma in funzione del quadri-impulso trasferito. Risulta che il fattore di forma elettrico del protone e quelli magnetici tanto del neutrone quanto del protone, hanno una dipendenza da Q2 alquanto simile. Essi possono essere descritti abbastanza accuratamente dal cosiddetto andamento di dipolo [17]: Gp (Q2 ) Gn (Q2 ) = M = Gdipolo Q2 GpE Q2 = M 2.79 −1.91 dove G dipolo Q 2 = Q2 1+ 0.71 (GeV /c2 ) −2 (1.10) (1.11) Con il metodo basato sulla separazione di Rosenbluth, si sono ottenuti risultati che per anni hanno mostrato che i rapporti GpE (Q2 )/GpM (Q2 ) e GpE (Q2 )/GnM (Q2 ) sono praticamente costanti, il primo pari a 1/2,79 e il secondo a 1/(-1.91) [18]. Inoltre, il rapporto µp GpE /GpM ∼ 1, con µ momento magnetico anomalo = 2.79, sembra essere abbastanza costante al variare di Q2 , nonostante le grandi fluttuazioni al crescere di Q2 . Tuttavia, nel 1968, è stato dimostrato da Akhiezer e Rekalo [15] e successivamente discusso più dettagliatamente da Arnold, Carlson e Gross [18], che il recoil polarization method era una tecnica più raffinata per la determinazione del rapporto GpE /GpM ≡ Rp (Q2 ). Il metodo recoil polarization si basa sulla misura della polarizzazione dei nucleoni di rinculo, elasticamente diffusi da elettroni polarizzati longitudinalmente. Il metodo consiste nel misurare le due componenti non nulle della polarizzazione del nucleone di rinculo, ovvero, la polarizzazione trasversa Pt Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 1. LA FISICA DEI FATTORI DI FORMA AL JLAB 14 e la polarizzazione longitudinale Pl . In approssimazione di Born, il rapporto tra il fattore di forma elettrico e magnetico è ottenuto da: GE (Q2 ) Pt Ebeam + Ee θe =− tan 2 GM (Q ) Pl 2M 2 (1.12) dove Ebeam ed Ee sono rispettivamente l’energia dell’elettrone incidente e dell’elettrone diffuso, M è la massa del nucleone bersaglio e θe l’angolo di diffusione dell’elettrone [15]. Quando questo metodo è stato utilizzato al Jefferson Lab, il rapporto Rp (Q2 ) non trovava più lo stesso riscontro della separazione di Rosenbluth. Infatti, è stato trovato che il rapporto studiato diminuiva linearmente con Q2 , da 1 (GeV /c)2 a 8,5 (GeV /c)2 (Figura 1.3)[15] [18]. Figura 1.3: Rapporto µp GpE /GpM in funzione di Q2 , al variare del metodo utilizzato. I risultati ottenuti con l’approccio di Rosenbluth sono rappresentati dai simboli vuoti, che grossomodo fluttuano intorno al valore 1, mentre i risultati ottenuti col metodo del trasferimento di polarizzazione sono rappresentati dai simboli pieni che decrescono al crescere del quadri-impulso trasferito [10]. In altre parole, la situazione, apparentemente consolidata con il metodo di Rosenbluth, è stata messa in dubbio da una nuova classe di misure effettuate con il trasferimento di polarizzazione. Le misure fatte con questa nuova tecnica hanno evidenziato una dipendenza del rapporto da Q2 , come mostrato in Figura 1.3 non compatibile con le misure che usano la tecnica di separazione di Rosenbluth. In termini di FF di Pauli e Dirac, la pQCD (perturbative Quantum CromoDynamic) Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 1. LA FISICA DEI FATTORI DI FORMA AL JLAB 15 Figura 1.4: Misure del FF elettrico (a sinistra) e magnetico (a destra) del protone, attraverso il metodo della separazione di Rosenbluth [18] predice un valore asintotico di F2 /F1 ∼ 1/Q2 mentre le nuove misure sembrano indicare la presenza di una funzione logaritmica di Q2 , la quale modifica i modelli della pQCD associati al momento angolare orbitale del quark, non noto al momento ed investigato in profondità, e agli effetti di polarizzazione dei gluoni [10]. La discrepanza tra il metodo di separazione di Rosenbluth e il trasferimento di polarizzazione è attualmente spiegata (almeno la teoria più accreditata) dal fatto che l’approccio di Rosenbluth non tiene conto dell’effetto di 2 fotoni scambiati in un processo di scattering elettrone-protone. Gli esperimenti per dimostrare ciò sono attualmente in corso [10]. Tutti i più importanti approcci teorici (Costituent Quark Model relativistico, QCD su reticolo, modello di Dyson-Schwinger, pQCD, ...) che coinvolgono la QCD e la struttura degli adroni fanno predizioni sui FF. Inoltre, recentemente, sono stati stimati i contributi dei diversi sapori di quark ai fattori di forma di neutrone e protone, come per esempio una presunta correlazione up-up o down-down durante l’interazione del fotone con il nucleone, oppure che il contributo del quark down per il fattore di forma F1 a Q2 =3,4 GeV 2 è tre volte più piccolo del contributo del quark up [17]. Quindi, l’attuale stato degli studi sperimentali e teorici sui FF (in generale sulla struttura del nucleone) esige di affinare la nostra comprensione a maggiore Q2 (dove fondamentali modelli differiscono in modo significativo) cosı̀ come a piccoli Q2 (importanza degli effetti della nube pionica). In entrambe queste direzioni, il JLab, ha svolto e sta per svolgere un ruolo di primo piano grazie all’aggiornamento dell’acceleratore di elettroni polarizzati Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 1. LA FISICA DEI FATTORI DI FORMA AL JLAB 16 combinato con un alta intensità di fascio e le nuove attrezzature sperimentali in grado di operare ad alto rate, data la bassa sezione d’urto dei processi indagati. Il programma più esteso sarà effettuato in Hall A, la più grande delle sale del Jlab, che può contenere diversi apparati sperimentali. Di tutti questi esperimenti, la misura del rapporto del FF del protone ad alto Q2 (GEp5 o E12-07-109) è probabilmente il più complesso [10]. GEp3 è stato l’ultimo di una serie di esperimenti di successo a Jlab che hanno misurato, per la prima volta, il decremento del rapporto FF del protone al variare di Q2 . GEp5, estenderà le precedenti misure ad alti Q2 , dove ci si aspetta una possibile deviazione dalla linearità [10]. Quindi, alla luce di tutto ciò, i nuovi esperimenti al JLab forniranno molte risposte a un gran numero di domande di fondamentale importanza per la comprensione delle proprietà del protone e la natura della QCD in regime di confinamento. 1.2 Esperimenti sulla struttura del nucleone con tracciatori GEM Come già detto all’inizio del paragrafo precedente, sono stati approvati 5 esperimenti (vedi Tabella 1.1), che utilizzeranno tracciatori GEM, tra cui quelli realizzati dalla collaborazione INFN. L’esperimento GEp5 applicherà il metodo del recoil polarization per misurare il rapporto del fattore di forma del protone in una diffusione elastica inclusiva di elettroni polarizzati longitudinalmente su un target di idrogeno liquido non polarizzato, per valori di Q2 fino a 15 GeV 2 [19]. Il set-up sperimentale previsto è schematizzato nella Figura 1.5. Gli elettroni diffusi saranno rivelati attraverso un tracciatore unidimensionale di fibre scintillanti e in un calorimetro elettromagnetico a vetro al piombo (BigCal), mentre la polarizzazione dei protoni di rinculo saranno analizzati in coincidenza per mezzo del futuro Super Bigbite Spectrometer. L’SBS sarà utilizzato in diverse configurazioni in base al tipo di esperimento che si dovrà realizzare. Gli esperimenti GEn2 e GMn saranno entrambi realizzati per indagare i fattori di forma del neutrone, per valori di Q2 rispettivamente fino a 10 GeV 2 e 18 GeV 2 . Entrambi gli esperimenti avranno sostanzialmente la stessa configurazione, mostrata in Figura 1.6, tranne per la differenza principale riguardante i bersagli: un gas di 3 H polarizzato per l’esperimento GEn2 [20] e un bersaglio di deuterio liquido non polarizzato per l’esperimento GMn [21]. Gli elettroni diffusi saranno rivelati per mezzo di una versione modificata del BigBite spectrometer. Nella parte di rivelazione degli elettroni, il primo tracciatore GEM, subito dopo il magnete BigBite, sarà composto da tre camere GEM del front tracker del GEp5 proton arm, mentre due camere GEM del GEp5 second tracker constituiranno il second Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 17 CAPITOLO 1. LA FISICA DEI FATTORI DI FORMA AL JLAB Tabella 1.2: Parametri relativi ai 4 sistemi di rivelazione dell’esperimento GEp5. Nello specifico sono i tre tracciatori denominati Front tracker GEM, Second tracker GEM, Third tracker GEM appartenenti al Super Bigbite Spectrometer e il calorimetro elettromagnetico BigCal appartenente al ramo elettronico [8]. Tracker Front First Back Second Back BigCal Area of interest for tracking, [cm2 ] Rate, [kHz/cm2 ] Strip pitch, [mm] Strip occupancy, [%] Number of tracks per event Number of strip planes 0.20 x 18 400 0.4 13.5 1.65 x 10−2 12 2 130 1.6 7.4 8.7 x 10−6 8 3.6 5.2 x 10 −4 8 2.8 x 10 −2 2 2π 0.35 π 4.8 2 π 1.2 2 64 173 1.6 1 2.4 Figura 1.5: Rappresentazione schematica del setup che sarà utilizzato per l’esperimento GEp5. La parte adronica è composta da una serie di tracciatori GEM e un calorimetro adronico ad alta segmentazione posto alla fine dello spettrometro. La parte elettronica utilizza un calorimetro elettromagnetico, BigCal, basato su vetro al piombo [8]. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 1. LA FISICA DEI FATTORI DI FORMA AL JLAB 18 tracker GEM [6]. Per quanto riguarda la parte adronica, sarà utilizzato il calorimetro adronico del GEp5, dal momento che può anche funzionare come un efficiente rivelatore di neutroni con ottima risoluzione di posizione [6]. L’esperimento GEn2, misurerà double-spin asymmetry in una collisione quasi-elastica di elettroni polarizzati con un target di 3 H polarizzato usando la reazione 3 H(e, e′ n)pp. Il magnete sarà posizionato tra il bersaglio e il calorimetro adronico, cosı̀ da poter distinguere eventi caratterizzati da particelle neutre da quelle cariche [8]. L’esperimento GMn misurerà il fattore di forma magnetico del neutrone attraverso la comparazione della sezione d’urto elastica non polarizzata dei due processi d(e, e′ p)n e d(e, e′ n)p. Infine, si prenda atto che le misure di GMn su GnM combinate con le misure di GpM , realizzate in Hall A (non facente parte del progetto Super Bigbite), consentirebbero la ricostruzione della distribuzione dei quark up e down, con una risoluzione spaziale di 0.05 f m [8]. Figura 1.6: Rappresentazione schematica del setup che sarà utilizzato per gli esperimenti GEn2 e GMn [8]. Per quanto riguarda l’esperimento A1n si faranno misure sull’asimmetria di spin del neutrone, An1 , per valori della variabile di scala di Bjorken1 maggiori di 0.6, le quali non sono mai state realizzate fino ad ora. Infatti, il processo da realizzare sarà uno scattering profondamente anelastico inclusivo di elettroni polarizzati su neutroni di un bersaglio di 3 He polarizzato, usando un’energia di fascio tra i 6.6 GeV e gli 8.8 GeV. In questo modo saranno controllate le previsioni dei vari modelli teorici, comprese quelle della pQCD per il quale si sono riscontrati alcuni disaccordi sulle misure precedententemente realizzate a x=0.6 della variabile 1 Gli esperimenti sulla diffusione profondamente inelastica sono descritti attraverso l’uso di Q2 Q2 una variabile definita come x ≡ 2P q = 2M ν indicata come variabile di scala di Bjorken. Questa quantità è una misura dell’anelasticità del processo. Nel caso elastico si ha che 2M ν − Q2 = 0 ⇒ x=1. Viceversa, nel caso anelastico si ha che 2M ν − Q2 > 0 ⇒ 0 < x < 1 [16] Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 1. LA FISICA DEI FATTORI DI FORMA AL JLAB 19 di scala. Per una panoramica completa delle finalità e specifiche dell’esperimento si rimanda al riferimento [22]. Infine, l’esperimento SIDIS studierà un processo di scattering profondamente anelastico semi inclusivo di elettroni polarizzati su neutroni di un bersaglio di 3 He, per il quale si avranno, oltre all’elettrone diffuso, pioni e kaoni nello stato finale. Anche in questo caso si rimanda per le specifiche dell’esperimento alla referenza [23]. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 Capitolo 2 Interazione radiazione-materia 2.1 Interazione con la materia Il funzionamento di ogni sistema di rivelazione dipende dal modo in cui la radiazione interagisce con il materiale del rivelatore stesso. Possiamo distinguere due diverse tipologie di radiazioni incidenti: radiazioni di particelle cariche (quali elettroni, protoni e particelle alfa) e radiazioni non cariche (ad esempio neutroni e raggi x o gamma). La prima rappresenta la radiazione che, a causa della carica elettrica trasportata, interagisce continuamente tramite prevalentemente la forza coulombiana con gli elettroni del mezzo che attraversa. La seconda rappresenta la radiazione di particelle non cariche, pertanto non soggette direttamente alla forza coulombiana, quindi la radiazione è sottoposta ad un’interazione che coinvolge prevalentemente gli elettroni atomici della materia, che alterano radicalmente le proprietà cinetiche delle particelle incidenti in una singola collisione [24]. 2.2 Interazione delle particelle cariche pesanti Natura dell’interazione. Le particelle cariche pesanti, come protoni e alfa, interagiscono con la materia principalmente tramite le forze colombiane tra le cariche degli elettroni orbitali degli atomi che assorbono. Le interazioni delle particelle cariche con i nuclei, con la possibilità di modificare il nucleo bersaglio o di portare il nucleo in uno stato eccitato, sono possibili, ma molto rare, e sopratutto non sono significative per i rivelatori di radiazioni. La particella carica interagisce con uno o più elettroni e a seconda della prossimità dell’interazione trasferisce una certa energia che può essere sufficiente per eccitare l’elettrone ad una shell superiore (eccitazione), o rimuovere completamente 20 Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 2. INTERAZIONE RADIAZIONE-MATERIA 21 l’elettrone dall’atomo (ionizzazione). L’energia trasferita all’elettrone fa si che la particella diminuisca la sua velocità come risultato della collisione. Poiché ogni particella interagisce con più elettroni di atomi diversi, la sua velocità viene continuamente diminuita e quindi viene fermata. Le particelle cariche sono quindi caratterizzate da un definito percorso (range) in un dato materiale assorbente. Il range rappresenta, quindi, la distanza entro la quale la particella statisticamente si ferma. I prodotti dei processi che avvengono nel materiale sono atomi eccitati o/e coppie di ioni. Ogni coppia di ioni è composta da un elettrone libero e il corrispondente ione positivo (atomo dell’assorbente a cui è stato tolto un elettrone). Queste coppie di ioni hanno una naturale tendenza a ricombinarsi per formare atomi neutri, ma in determinati rilevatori tale ricombinazione è soppressa in modo tale da poterle raccogliere ed ottenere informazioni utili sul processo di ionizzazione. In urti particolarmente ravvicinati, un elettrone può essere sottoposto ad un impulso cosı̀ grande che, dopo aver lasciato il suo atomo, esso viene ad avere una energia cinetica sufficiente a creare ulteriori ioni. Questi elettroni energetici sono spesso chiamati raggi delta e rappresentano un mezzo indiretto attraverso il quale l’energia della particella carica è trasferita al mezzo assorbente. Sotto tipiche condizioni la maggior parte della perdita di energia della particella carica avviene tramite i raggi delta. Potere d’arresto (Stopping Power). Il potere d’arresto lineare S in un dato assorbitore è definita come la perdita di energia differenziale per quella particella nel materiale diviso la corrispondente lunghezza differenziale: S=− dE dx (2.1) Per particelle con un definito stato di carica, S aumenta quando diminuisce la velocità della particella. L’espressione classica che descrive la perdita di energia specifica è nota come la formula di Bethe-Bloch: − dove 4πe4 z 2 dE NB = dx m0 v 2 v2 2m0 v 2 v2 B = Z ln − ln 1 − 2 − 2 I c c (2.2) (2.3) In queste espressioni,v e z sono la velocità e la carica della particella primaria, N e Z la densità numerica e il numero atomico degli atomi assorbenti, m0 è la massa a riposo dell’elettrone ed e è la carica dell’elettrone. Il parametro I rappresenta il potenziale di ionizzazione dell’assorbitore ed è trattato come un parametro Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 2. INTERAZIONE RADIAZIONE-MATERIA 22 determinato sperimentalmente per ogni elemento. Per particelle cariche non relativistiche (v), solo il primo termine in B è importante. L’equazione precedente è generalmente valida per differenti tipi di particelle cariche purchè la loro velocità resti grande se comparata alle velocità orbitali degli elettroni dell’atomo assorbente. L’espressione di B varia lentamente con l’energia della particella, a causa della presenza del logaritmo. Per una particella non relativistica il dE/dx sarà proporzionale a z 2 della particella e inversamente proporzionale all’energia. Questo comportamento può essere ben interpretato notando che, poiché la particella carica impiega più tempo nelle vicinanze di un dato elettrone dove la sua velocità è bassa, l’impulso avvertito dall’elettrone, e perciò l’energia trasferita, è maggiore. A parità di velocità, particelle con carica maggiore avranno una maggiore perdita di energia. La Figura 2.1 mostra che il valore di dE/dx per tipi diversi di particelle cariche si avvicina a un valore minimo quasi costante oltre energie di molte centinaia di MeV, dove la loro velocità approssima quella della luce. Questa perdita di energia specifica corrisponde a 2 MeV per cm2 /g in materiali leggeri. A causa del loro comportamento similare nella perdita di energia, tali particelle relativistiche sono dette âminimum ionizing particlesâ (espressa in M eV cm2 /g). La formula di Bethe-Bloch comincia a fallire per particelle a bassa energia dove Figura 2.1: Minimum ionizing particles lo scambio di carica tra particella e assorbitore diviene importante. Le particelle cariche positivamente tendono a strappare via elettroni dall’assorbitore, alla fine del tragitto la particella ha accumulato z elettroni e diventa un atomo neutro. Caratteristiche della perdita di energia. Un grafico della perdita specifica di energia lungo il tragitto della particella carica come quello mostrato nella figura seguente è conosciuto come curva di Bragg. Come si evince dalla Figura 2.2, la maggior parte dell’energia viene depositata alla fine del percorso (picco di Bragg), fornendo una grandissima base per delle applicazioni mediche di fondamentale Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 2. INTERAZIONE RADIAZIONE-MATERIA 23 importanza, ovvero il deposito di energia âmiratoâ ad una certa profondità nelle cure dei tumori con radiazioni [23]. Figura 2.2: Picco di Bragg a differenti energie della particella incidente 2.3 Interazione con elettroni Natura dell’interazione. Quando comparati a particelle cariche pesanti, gli elettroni veloci perdono la loro energia ad un rate più basso e seguono un percorso più tortuoso attraverso il materiale assorbente. Le grandi deviazioni nel percorso di un elettrone sono possibili perchè la sua massa è uguale a quella degli elettroni orbitali con i quali interagiscono, e una frazione più grande della sua energia può essere persa in un singolo incontro. Inoltre possono a volte avvenire anche le interazioni elettrone-nucleo che modificano drasticamente la direzione dell’elettrone. Perdita specifica di energia. Un’espressione simile alla formula di Bethe-Bloch è stata derivata da Bethe per descrivere la perdita specifica di energia dovuta a ionizzazione ed eccitazione per elettroni veloci − dE dx 2πe4 N Z = m0 v 2 p m0 v 2 E 2 2 ln 2 − (ln2) 2 1 − β − 1 + β + 2I (1 − β 2 ) 2 p 1 + 1 − β2 + 1 − 1 − β2 8 (2.4) La perdita di energia degli elettroni all’interno di un mezzo è data dal contributo di due interazioni differenti; le collisioni inelastiche con gli elettroni orbitanti e le interazioni con i nuclei atomici. Quindi, nella prima si osserva una perdita di energia per collisione, mentre nella seconda si ha una perdita di energia di tipo radiativa, ovvero una perdita per bremstrahlung. Quest’ultimo processo, puramente Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 2. INTERAZIONE RADIAZIONE-MATERIA 24 elettromagnetico, avviene poiché il percorso degli elettroni viene continuamente deflesso a causa della presenza del campo elettrico creato dai protoni degli atomi del mezzo, quindi gli elettroni decelerano e, pertanto, perdono energia sotto forma di fotoni. Il potere d’arresto per gli elettroni, quindi, è la somma delle perdite collisionali e radiative, ovvero dE dE dE = + (2.5) dx tot dx col dx rad Per energie inferiori a 1 MeV le perdite radiative sono una piccola frazione dell’energia totale persa e diventano significative solo in materiali assorbenti ad alto numero atomico. Pertanto, ad energie inferiori ad 1 MeV prevale la ionizzazione diretta, mentre oltre 1 MeV di energia inizia ad essere preponderante la radiazione di bremstrahlung [24]. 2.4 Interazione con i raggi gamma Nonostante vi siano molte possibili interazioni fra raggi gamma e materia, solo tre di questi giocano un ruolo importante nelle misure di radiazione ed tutti comportano il trasferimento parziale o completo della energia del fotone gamma all’elettrone. Assorbimento Fotoelettrico. In tale fenomeno un fotone è sottoposto all’interazione con l’atomo assorbente nel quale tale fotone scompare completamente. Al suo posto, un fotoelettrone energetico è espulso dall’atomo da una delle shell chiuse. Esso avviene solo con l’atomo come intero e non con elettroni liberi. Il fotoelettrone che appare avrà un’energia: Ee = hν − Eb (2.6) Dove Eb rappresenta l’energia di legame del fotoelettrone alla sua shell originaria. L’effetto fotoelettrico è il modo predominante di interazione per i raggi gamma di relativamente basse energie e per assorbitori con grande numero atomico Z. Scattering Compton. Tale fenomeno si verifica tra il fotone gamma incidente e l’elettrone nel materiale assorbente. Nello scattering Compton, il fotone gamma incidente è deflesso di un angolo θ rispetto alla direzione iniziale. Il fotone trasferisce una parte della sua energia all’elettrone (supposto fermo), che viene poi detto elettrone di rinculo. Poichè tutti gli angoli di scattering sono possibili, l’energia trasferita all’elettrone può variare da zero ad una grande porzione dell’energia del Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 2. INTERAZIONE RADIAZIONE-MATERIA 25 gamma. L’espressione che lega l’energia trasferita all’angolo di scattering può essere derivata utilizzando le leggi di conservazione di energia e impulso e si avrà che: ′ hν = 1+ hν m 0 c2 hν (1 − cosθ) (2.7) dove m0 è la massa a riposo dell’elettrone (0,511 MeV). Per piccoli angoli di scattering è trasferita poca energia. La probabilità per atomo di scattering Compton dipende dal numero di elettroni disponibili come bersaglio e perciò aumenta linearmente con Z. Produzione di coppie. Se l’energia del gamma incidente supera il doppio della massa a riposo dell’elettrone (1.02 MeV), il processo di produzione di coppie è energeticamente possibile. In verità tale probabilità rimane bassa fino a che l’energia dei gamma raggiunge parecchi MeV. Nell’interazione (che avviene nel campo coulombiano del nucleo) il fotone gamma sparisce ed è rimpiazzato da una coppia elettrone-positrone. Tutta l’energia in più trasportata dal fotone va nell’energia cinetica di e+ ed e− . Poichè e+ si annichila subito dopo aver rallentato nel mezzo assorbente, due fotoni di annichilazioni sono normalmente prodotti come risultato dell’interazione [24]. La probabilità di osservare una produzione di coppia varia approssimativamente con Z 2 del materiale assorbente. La relativa importanza dei tre processi appena illustrati è descritta dalla Figura 2.3. La curva a sinistra rappresenta l’energia in cui l’assorbimento fotoelettrico Figura 2.3: Probabilità di accadimento dei tre processi [15] e lo scattering Compton hanno la stessa probabilità di avvenire, mentre quella di destra rappresenta l’energia in cui scattering Compton e produzione di coppia hanno la stessa probabilità di avvenire. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 2. INTERAZIONE RADIAZIONE-MATERIA 2.5 26 Camera a ionizzazione Un buon numero di rilevatori attualmente utilizzati, sono basati sugli effetti prodotti quando una particella carica passa attraverso un gas. I modi primari di interazione coinvolgono l’eccitazione e la ionizzazione di molecole di gas lungo il tragitto della particella. Camere a ionizzazione, contatori proporzionali e contatori Geiger producono, anche se in modi differenti, un segnale d’uscita elettronico che ha origine con la formazione delle coppie di ioni nel gas che riempiono il rivelatore. Le camere a ionizzazione sono i rilevatori più semplici. Il loro modo di operare è basato sulla raccolta di tutta la carica creata dalla diretta ionizzazione all’interno del gas attraverso l’applicazione di un campo elettrico. Processo di ionizzazione nei gas. Quando una particella carica passa attraverso un gas, i tipi di interazioni descritti precedentemente, creano sia molecole eccitate che ionizzate lungo il suo percorso. Dopo che una molecola neutra è ionizzata, il corrispondente ione positivo e l’elettrone libero sono detti coppia di ioni, e servono come costituenti base del segnale elettrico sviluppato dalla camera a ionizzazione. Gli ioni possono essere formati da una diretta interazione con la particella incidente, o tramite un processo secondario in cui parte dell’energia della particella è trasferita prima ad un elettrone energetico (raggio δ). La quantità che ci interessa è il numero totale di coppie di ioni creati lungo il tragitto della radiazione. Numero di coppie formate. Come minimo, la particella deve trasferire una quantità di energia uguale alla energia di ionizzazione della molecola del gas per permettere che avvenga il processo di ionizzazione. In molti gas l’energia di ionizzazione per l’elettrone meno legato è di circa 15-25 eV. Comunque, ci sono dei meccanismi per cui la particella incidente può perdere energia all’interno del gas e non creare ioni. Un esempio è il processo di eccitazione in cui un elettrone passa ad uno stato eccitato nella molecola senza essere rimosso. Perciò, l’energia media persa W dalla particella incidente per ione formato è sostanzialmente più grande dell’energia di ionizzazione. Assumendo che W sia costante per un dato tipo di radiazione, l’energia depositata sarà proporzionale al numero di coppie di ioni formate e può essere determinata se viene effettuata una misura del numero di coppie di ioni. Diffusione, trasferimento di carica e ricombinazione. Gli atomi o le molecole neutre del gas sono in costante movimento termico, caratterizzato da un libero cammino medio tipico per i gas sotto condizioni standard. Gli ioni positivi e gli elettroni liberi creati all’interno del gas prendono parte al movimento termico casuale, tendendo ad una diffusione da regioni a più alta densità verso regioni a più bassa densità. Il processo diffusivo è molto più pronunciato per elettroni liberi che per gli ioni perchè la loro velocità termica media è molto più grande. Una volta creata la coppia ione-elettrone, all’interno della camera si va incontro Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 2. INTERAZIONE RADIAZIONE-MATERIA 27 a diversi processi di collisione tra elettroni liberi, ioni e molecole neutre. Tali processi sono molto importanti ai fini di ottenere un segnale in uscita che mantenga l’informazione della ionizzazione primaria creata dalla particella da rivelare. Tra questi processi, riconosciamo le collisioni con trasferimento di carica e la ricombinazione. Le prime possono avvenire quando uno ione positivo incontra una molecola neutra di gas. In tale collisione, un elettrone è trasferito dalla molecola neutra allo ione, invertendo cosı̀ i ruoli. Le collisioni tra ioni positivi ed elettroni liberi conduce alla ricombinazione, nella quale l’elettrone è catturato dallo ione positivo e ritorna in una stato di neutralità. Alternativamente, lo ione positivo può andare incontro a collisioni con uno ione negativo in cui l’elettrone extra viene trasferito allo ione positivo portando entrambi in uno stato neutro. In ognuno dei casi, la carica rappresentata dalla coppia originale è persa e non puÃ2 piùcontribuirealsegnalenelrilevatorecheèbasatosullaraccoltadellacaricadiionizzazione. Mobilità della carica: Quando nella regione del gas in cui diffondono ioni ed elettroni viene applicato un campo elettrico esterno, le forze elettrostatiche tenderanno a fare migrare le cariche lontano dal punto di origine. Il moto netto consiste in una sovrapposizione di velocità termiche casuali insieme con una velocità di migrazione netta in una data direzione. La velocità di deriva1 per ioni positivi è nella direzione convenzionale del campo elettrico, mentre per gli elettroni nella direzione opposta. Per gli ioni in un gas, la velocità di spostamento può essere predetta dalla relazione: v= µǫ p (2.8) dove ǫ corrisponde al modulo del campo elettrico e p alla pressione del gas. La mobilità µ tende a rimanere costante su grandi intervalli di campo elettrico e pressione del gas e non differisce molto per ioni positivi e negativi dello stesso gas. Gli elettroni si comportano in modo abbastanza differente. La loro massa molto piccola permette una velocità superiore rispetto ad una molecola neutra, e il valore della mobilità è 1000 volte più grande di quello degli ioni. Quando gli elettroni migrano nel gas sotto l’influenza del campo elettrico, essi seguono, in prima approssimazione, le linee del campo elettrico che passa attraverso il loro punto di origine, ma in direzione opposta al vettore campo elettrico. Corrente di ionizzazione: In presenza di un campo elettrico, lo spostamento delle cariche positive e negative è rappresentato dagli ioni ed elettroni che costituiscono una corrente elettrica. Se un dato volume di gas subisce una irradiazione costante, la velocità di formazione di coppie di ioni è costante. Per ogni piccolo volume di gas, questo tasso di formazione sarà bilanciato da quella in cui le coppie di ioni sono perse dal volume, sia per ricombinazione, per diffusione o migrazione. 1 Velocità media assunta da una particella a causa di un campo di forze Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 2. INTERAZIONE RADIAZIONE-MATERIA 28 Sotto le condizioni che la ricombinazione sia irrilevante e le cariche efficientemente raccolte, la corrente prodotta è una misura della frequenza a cui le coppie di ioni sono prodotte all’interno del volume. Le misure di questa corrente di ionizzazione sono il principio base delle camere a ionizzazione. La Figura 2.4 mostra gli elementi base di una rudimentale camera a ionizzazione. Un volume di gas è racchiuso all’interno di una regione in cui può essere creato un campo elettrico dall’applicazione di un voltaggio esterno. All’equilibrio, la corrente nel circuito esterno sarà uguale alla corrente di ionizzazione raccolta agli elettrodi. Trascurando alcuni piccoli effetti legati alle differenza nelle caratte- Figura 2.4: Schema generale di una camera a ionizzazione [15] ristiche tra ioni ed elettroni, nessuna corrente netta dovrebbe fluire in assenza di tensione applicata perchè non esiste alcun campo elettrico all’interno del gas. Gli ioni e gli elettroni che sono stati creati spariscono per ricombinazione o diffusione dal volume attivo. Quando la tensione è incrementata, il campo elettrico risultante inizia a separare le coppie di ioni più rapidamente verso i rispettivi elettrodi e la ricombinazione diminuisce. Le cariche positive e negative sono indirizzate verso i rispettivi elettrodi con una crescente velocità di deriva, riducendo la concentrazione di equilibrio degli ioni e perciò sopprimendo la ricombinazione di volume. Ad una sufficientemente alta tensione, il campo elettrico è grande abbastanza da sopprimere la ricombinazione ad un livello trascurabile, e tutta la carica originariamente creata tramite ionizzazione contribuisce alla corrente di ionizzazione. Incrementando ancora la tensione, la corrente non incrementerà più, poiché tutte le cariche sono state raccolte. Questa è la regione di saturazione in cui di solito operano le camere a ionizzazione. Sotto queste condizioni, la corrente misurata nel circuito esterno è una vera indicazione della frequenza di formazione di tutte le cariche dovute a ionizzazione [24]. 2.6 Contatori proporzionali I rivelatori a gas in regime proporzionali si basano sul fenomeno della moltiplicazione dei gas per amplificare la carica rappresentata dalla coppia di ioni originaria Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 2. INTERAZIONE RADIAZIONE-MATERIA 29 Figura 2.5: Corrente di ionizzazione in funzione della tensione, al variare del rate di radiazione φ creata all’interno del gas. I segnali, dovuti alla raccolta delle cariche, sono cosı̀ molto più intensi di quelli delle camere a ionizzazione usate nelle stesse condizioni, e i contatori proporzionali, pertanto, possono essere applicati nelle situazioni in cui il numero di coppie generate è troppo piccolo per permettere una raccolta di carica soddisfacente per la sensibilità della camera. Creazione di valanghe: La moltiplicazione del gas è conseguenza di un incremento del campo elettrico all’interno del gas ad un valore sufficientemente alto. A bassi valori di campo, gli elettroni e gli ioni creati dalla radiazione incidente si spostano semplicemente verso il loro rispettivo elettrodo. Durante la migrazione di queste cariche, avvengono molte collisioni con le molecole di gas neutro. A causa della loro bassa mobilità, gli ioni positivi o negativi raggiungono una energia media molto piccolo tra le collisioni. Gli elettroni liberi, invece, sono facilmente accelerati dal campo applicato e possono avere una importante energia cinetica quando subiscono collisioni. Se questa energia è maggiore dell’energia di ionizzazione della molecola di gas neutro, è possibile creare una nuova coppia nella collisione. Poiché l’energia media degli elettroni tra le collisioni incrementa all’aumentare del campo elettrico, vi è una soglia di campo sopra la quale avviene la seconda ionizzazione (in gas tipici, a pressione atmosferica, è di oltre 106 V /m). L’elettrone liberato dal processo di ionizzazione secondaria sarà anch’esso accelerato dal campo elettrico. Durante il suo spostamento, esso subisce collisioni con altre molecole neutre e quindi crea altre ionizzazioni. Il processo di moltiplicazione del gas prende la forma di una cascata, nota come valanga Towsend, in cui ogni elettrone libero creato in ogni collisione può potenzialmente creare altri elettroni liberi con lo stesso processo. L’incremento frazionario nel numero di elettroni per unità di percorso Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 2. INTERAZIONE RADIAZIONE-MATERIA 30 è governato dalla equazione di Towsend: dn = αdx n (2.9) dove α è detto il primo coefficiente di Towsend per i gas. Il suo valore è zero per valori di campo elettrico sotto la soglia. Per la geometria cilindrica utilizzata nella maggior parte dei contatori proporzionali, il campo elettrico aumenta nella direzione in cui la valanga progredisce. Nei contatori proporzionali, la valanga termina quando tutti gli elettroni liberi sono raccolti dall’anodo, quindi il numero delle ionizzazioni secondarie può essere mantenuto proporzionale al numero di coppie di ioni primarie, ma il numero totale di ioni puÃ2 esseremoltiplicatodiunf attoredimoltemigliaia. Figura 2.6: Regioni di operabilitá dei rivelatori [15] Regioni di operabilità dei rivelatori a gas: A valori molto bassi di tensione il campo è insufficiente per impedire la ricombinazione e la carica raccolta è minore di quella rappresentata dalla coppia originaria. Quando la tensione cresce, la ricombinazione è soppressa e si raggiunge la regione di saturazione. Questa è la regione delle camere a ionizzazione. Quando la tensione aumenta ancora, viene raggiunto il valore di soglia del campo in cui avviene la moltiplicazione del gas. In alcune regioni del campo elettrico, la moltiplicazione del gas diventa lineare, e la carica raccolta sarà proporzionale alle coppie di ioni creati dalla radiazione incidente ed è questa la regione di operabilità dei contatori proporzionali. Incrementando la tensione si introducono effetti non lineari. Il più importante tra questi è legato agli ioni positivi, che sono creati nel processo di ionizzazione secondaria. Nonostante gli elettroni liberi siano raccolti rapidamente, gli ioni positivi si muovono molto più Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 2. INTERAZIONE RADIAZIONE-MATERIA 31 lentamente. Perciò, all’interno del contatore si provoca una nube di ioni positivi che, se la concentrazione è abbastanza alta, rappresentano una carica spaziale che può alterare la forma del campo elettrico nel rilevatore. Questi effetti marcano l’inizio della regione di limitata proporzionalità nella quale aumenta il numero di coppie di ioni iniziali, ma non in modo lineare. Se la tensione applicata diventa abbastanza alta, la carica spaziale, può diventare dominante. Sotto queste condizioni la valanga procede fino a che un sufficiente numero di ioni positivi sono stati creati per ridurre il campo elettrico sotto la soglia minima per la moltiplicazione. Il processo termina quando lo stesso numero di ioni positivi è stato formato senza tener conto del numero iniziale di ioni creati dalla radiazione incidente. Ogni segnale di uscita dal rilevatore a questo punto ha la stessa ampiezza e non riflette più le proprietà della radiazione incidente (zona del Geiger Muller ) [24]. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 Capitolo 3 Tecnologia GEM 3.1 Scelta della tecnologia GEM Tra le tante caratteristiche richieste per il sistema di tracciatori dell’SBS, le più importanti sono la risoluzione spaziale e il flusso di particelle supportato. Per soddisfare le richieste degli esperimenti (risoluzione in momento e in angolo), la risoluzione spaziale desiderata deve essere minore di 100 µm per singolo hit. Tale richiesta può essere soddisfatta da rivelatori a silicio, camera a deriva e MPGD (Micro Pattern Gaseous Detector). Le camere a deriva, però, non riescono a sostenere il flusso di particelle atteso, di diverse centinaia di kHz/cm2 e, in genere, sono anche molto sensibili ai campi magnetici rispetto ad altre tecnologie di rivelazione [6]. Figura 3.1: Confronto tra un MWPC (Multi-Wire Proportional Chamber) e una GEM per quanto riguarda il rate supportato e il guadagno. Come si evince, la GEM riesce a mantenere costante e pari a 1 il guadagno anche ad alto rate dove un MWPC inizia a decrescere [25] Un discorso abbastanza analogo vale per i rivelatori a silicio. Tecnicamente i 32 Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 33 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM rivelatori a silicio sono attualmente i migliori sul mercato, ma hanno degli svantaggi sia nelle dimensioni massime di un singolo elemento (dell’ordine di 10 x 10 cm2 per piastrella, abbastanza limitate) che nei costi [26]. Infatti, l’SBS avrà dei Silicon Strip Plane in prossimità del bersaglio al fine di supportare i tracciatori oltre il dipolo nell’abbattere l’alto fondo di particelle, ma non saranno utilizzati per il tracciamento poiché l’area di tracking è abbastanza estesa e l’utilizzo dei silici vuol dire un costo di costruzione molto esoso. Vicevera, una camera GEM può essere realizzata a larga area, come ad esempio un prototipo creato al CERN di circa 2000 cm2 , a costi ragionevolmente contenuti [27]. Un’altra differenza fondamentale è la resistenza alle radiazioni incidenti, infatti un rivelatore GEM è molto robusto su questo punto di vista, mentre un rivelatore a silicio è notevolmente soggetto a danneggiamento se posto in un intenso campo di radiazioni [28]. Quindi, la scelta più indicata, sia per costi che per qualità, è proprio la tecnologia a Micro Pattern Gaseous Detector e in particolare GEM, che rientra in pieno all’interno dei parametri richiesti per ottimizzare gli esperimenti al JLab. Nella Tabella 3.1 è possibile confrontare in maniera quantitativa le caratteristiche dei vari rivelatori sopracitati ed avere un quadro generale. Tabella 3.1: Comparazione tra Silicon microstrip, Triple-GEM, MicroMeGas, Drift chamber e MWPC, per quanto concerne gli ordini di grandezze delle principali caratteristiche dei tracciatori [15]. Detector Silicon microstrip Maximum gain Maximum hit rate, [MHz/cm2 ] Spatial resolution, [µm] Time resolution, [ns] RMS / limited by the electronics ∼ 1 − 10 <5 Triple-GEM ∼105 ∼ 100 ∼ 40 − 50 ∼ 10 MicroMeGas ∼105 ∼ 100 ∼ 40 − 50 ∼5 MSGC ∼104 ∼ 10 ∼ 40 − 50 ∼ 10 Drift chamber ∼103 ∼1 ∼ 50 − 150 ∼5 MWPC ∼103 ∼1 ∼ 200 ∼ 10 3.2 La camera GEM La tecnologia GEM è stata introdotta da Fabio Sauli, nel 1997 al CERN [29], come un amplificatore di elettroni nei rivelatori a gas, pertanto sfrutta lo stesso principio fisico della camera a ionizzazione descritta precedentemente. Rispetto ad altri rivelatori, nelle camere GEM la conversione, la moltiplicazione e le regioni di induzione di segnale sono fisicamente distinte, il che fornisce una maggiore flessibilità nella geometria di lettura. Inoltre, la possibilità di dividere la moltiplicazione degli elettroni in più passaggi, permette di ridurre drasticamente i problemi di scarica elettrica e i processi di invecchiamento [30]. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 34 Una camera GEM consiste in un rivelatore con all’interno uno o più fogli GEM immersi in una miscela di gas. Ciascun foglio è costituito da un reticolo regolare di fori tipicamente da 70 micron in cui è presente un intenso campo elettrostatico. Gli elettroni di ionizzazione, prodotti dalla particella che attraversa la camera, vengono convogliati verso i fori da un opportuno campo elettrostatico presente tra i fogli; nei fori, gli elettroni vengono accelerati dal forte campo elettrostatico raggiungendo sufficiente energia per ionizzare il gas presente. I nuovi elettroni di ionizzazione a loro volta subiscono la stessa accelerazione e producono in definitiva una valanga di moltiplicazione, che tipicamente raggiunge un guadagno di 20 (1 elettrone entra nel foro e ne escono 20). Possono essere utilizzati vari gas per riempire un rivelatore GEM. La scelta dipende dalle esigenze specifiche, per esempio un guadagno elevato, l’elevata stabilità o una tensione di basso rendimento. In linea di principio possono essere utilizzati tutti i gas atti alla moltiplicazione a valanga, ma normalmente vengono preferiti i gas nobili. La ragione di questa scelta sta nel fatto che nei gas nobili le valanghe si verificano a valori di campo inferiori rispetto ad altri gas molecolari, oltre ad avere un’alta ionizzazione specifica. Ciò significa che una particella ionizzante creerà una elevata quantità di coppie ione-elettrone quando passerà attraverso il gas. La ionizzazione specifica aumenta con il numero atomico dell’elemento. Questo rende l’argon uno dei gas preferiti di riempimento per un rivelatore GEM [30]. Il numero atomico dello xeno e del krypton sono ancora superiori all’argon, ma questi due gas sono troppo costosi. Insieme ai gas nobili, ha una grande importanza il quencher, che tende ad assorbire i fotoni x prodotti nella ionizzazione: quando si verifica una valanga si ottengono atomi di gas ionizzati ed eccitati e questi ultimi quando tornano al loro stato fondamentale emettono un fotone. Questo fotone potrebbe innescare nuove valanghe e creare nuovi scie di plasma, causando delle scariche. Il quencher evita questo fenomeno, assorbendo i fotoni emessi. I quenchers sono gas poliatomici in grado di assorbire molta energia e trasformarla in energia, non radiativa, di rotazione e vibrazione delle molecole. Esempi di ottimi inibitori utilizzati sono il metano, l’etano e l’isobutene. Sfortunatamente questi gas organici causano depositi di polimeri sugli elettrodi potendo anche causare scariche. Per questo motivo viene utilizzato come inibitore l’anidride carbonica. Una tipica miscela di argon e biossido di carbonio, utilizzato in un rivelatore GEM, ha un rapporto di 70/30 [30]. 3.3 Il foglio GEM Tipicamente un foglio GEM è composto da due sottili film di rame separati da un isolante dielettrico in Kapton. Lo spessore del rame varia dal 5-15 micron, mentre Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 35 l’isolante è di 50 micron. Il foro nel Kapton ha un diametro esterno di 70 micron. In un rivelatore GEM il foro funge da canale di moltiplicazione per gli elettroni liberati dalla radiazione ionizzante nella miscela di gas. Applicando una differenza di potenziale adatta (300-500 V) tra le due parti in metallo, un determinato campo elettrico viene generato all’interno dei fori. È in questa regione che gli elettroni acquistano energia sufficiente per sviluppare una valanga che porta ad un guadagno, che, con un singolo foglio GEM, può essere dell’ordine di qualche centinaio. Naturalmente la geometria GEM, le dimensioni del foro e la distanza tra i fori sono un compromesso tra l’esigenza di costruzione e il buon funzionamento del rivelatore [30] [31]. Figura 3.2: Distenze tra i fori GEM e conformazione biconica del singolo foro, con relative distanze interne [31] Figura 3.3: Geometria dei fori di un foglio GEM visti al microscopio elettronico [31] I diametri D (esterno) e d (interno) del foro biconico sono rispettivamente 70 e 50 µm; la distanza P tra i fori è 140 µm, lo spessore della lamina è 50 µm. Al fine di ottenere un guadagno più elevato, la densità delle linee di campo all’interno del canale di amplificazione, deve essere aumentato incrementando la differenza di potenziale tra gli elettrodi o riducendo il diametro del foro. Si può notare in Figura 3.4 la correlazione tra il guadagno e il diametro del foro, misurata a parità di condizioni (stessa miscela di gas e campo elettrico). Un effetto di Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 36 Figura 3.4: Guadagno di una GEM in funzione del diametro del foro [30] saturazione nel guadagno si osserva per diametri al di sotto di circa 70 µm. Ciò è dovuto alle perdite crescenti di elettroni nella valanga (a causa della diffusione) verso l’elettrodo inferiore [31]. L’effetto di saturazione ha il risvolto positivo di ridurre sostanzialmente la dipendenza del guadagno dalla precisione nel processo di produzione dei fogli GEM [30] [31]. Figura 3.5: Campo elettrico in un foro GEM [31] Gli elettroni e gli ioni della valanga che si raccolgono e accumulano sulla superficie del Kapton (pile-up), producono un’alterazione del campo elettrico all’interno dei fori. La migliore geometria del foro, che minimizza questo effetto, è quella biconica, come è mostrato in Figura 3.2. Una volta esposte le principali caratteristiche di un foglio GEM, è possibile iniziare ad illustrare il funzionamento e la struttura di una camera GEM a singolo foglio, per arrivare alla descrizione di una tripla GEM e i suoi vantaggi. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 3.4 37 Single GEM Il più semplice rivelatore a gas basato sulla tecnologia GEM è il rivelatore di singleGEM, dove un foglio GEM è inserito tra due elettrodi piatti e paralleli. L’elettrodo superiore svolge il ruolo di catodo mentre quello inferiore di anodo. La sezione trasversale di un rivelatore a singolo foglio GEM è mostrato in Figura 3.6. Figura 3.6: Configurazione di una single GEM [31] Il campo di deriva, Ed , è generato tra il lato superiore del foglio GEM e il catodo, mentre il campo di induzione, EI , tra il lato inferiore del foglio e l’anodo composto da strip o pad connesse all’elettronica di acquisizione. Gli elettroni di ionizzazione, prodotti nell’intercapedine derivanti dalla particella carica che attraversa il rivelatore, seguendo le linee di drift, ovvero un campo di deriva che raccoglie gli elettroni primari, si muovono verso i fori delle GEM, dove vengono moltiplicati. La maggior parte degli elettroni moltiplicati vengono trasferiti nella regione di induzione, dando luogo a un segnale di corrente indotto sull’anodo. La struttura del piano di read-out può essere facilmente adattata alle esigenze sperimentali, utilizzando ad esempio strip di forme arbitrarie collegate all’elettronica di front-end. Dal momento che il read-out è tenuto a potenziale zero, viene raggiunta una notevole semplificazione dell’elettronica di front-end. Il segnale indotto è dovuto al moto degli elettroni nella regione di induzione. Il compito del campo di induzione è quello di estrarre gli elettroni moltiplicati dai fori GEM e di trasferirli verso l’anodo. A bassi valori del campo di induzione, tutti gli elettroni secondari, estratti dai fori GEM, sono praticamente raccolti sulla parte inferiore delle GEM e il segnale indotto va riducendosi [31]. Invece, aumentando il campo di induzione, gli elettroni secondari cominciano ad essere raccolti sull’elettrodo del readout, aumentando il segnale in uscita. Col campo di induzione molto alto, EI superiore a 8 kV /cm, si possono verificare Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 38 Figura 3.7: Linee di campo elettrico nelle vicinanze di un foro GEM [15] Figura 3.8: Rappresentazione di una valanga elettronica in un modulo a singola GEM [25] Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 39 delle scariche sull’anodo a causa dell’alto campo elettrico in prossimità dei bordi dell’elettrodo del read-out. Figura 3.9: A sinistra: rappresentazione di una valanga elettronica dovuta ad un ragionevole campo elettrico applicato sia all’ingresso che all’uscita dei fori. A destra: rappresentazione di un campo di trasferimento eccessivamente alto, alterando o addirittura sopprimendo nella sua totalità il segnale in uscita [25] Studi sull’efficienza di raccolta hanno confermato alcuni concetti importanti. In prima approssimazione è possibile affermare che l’efficienza di trasferimento decresce per alti valori del campo di deriva, a causa della defocalizzazione delle linee di campo fuori dai fori. Mentre l’efficienza di estrazione decresce per bassi valori del campo di trasferimento a causa della peggiore capacità di estrazione degli elettroni dal lato inferiore della GEM. Tutto ciò è rappresentato nella Figura 3.9. Infatti, la configurazione ottimale è quella di lavorare con bassi campi elettrici nella zona di deriva e alti campi all’uscita della GEM [25]. Indipendentemente dal gas usato, un valore del campo di induzione di circa 5 kV /cm è un compromesso ragionevole e permette di raccogliere una grande frazione (50%) della carica sul PCB (Printed Circuit Board). Il guadagno intrinseco Gint di un foglio è direttamente proporzionale al voltaggio applicato alle GEM (VGEM ). Questa differenza di potenziale applicata tra le due parti metalliche del foglio, crea un alto campo elettrico all’interno dei fori e Gint ∝ eαVGEM dove α è il primo coefficiente di Townsend lungo il percorso degli elettroni attraverso il foro. Generalmente, il guadagno intrinseco di un rivelatore di single-GEM è dell’ordine di 5000 ma può diminuire fino a 103 per cause dispersive. Di conseguenza, il guadagno effettivo risultante è più piccolo di quello intrinseco. Per un rivelatore GEM possiamo definire due fondamentali quantità, quali [30]: • Efficienza di raccolta (ǫcoll ) • Coefficiente di estrazione (f extr ) Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 3.4.1 40 Efficienza di raccolta L’efficienza di raccolta è dato dal rapporto tra il numero di elettroni entranti nei canali di moltiplicazione e il numero di elettroni primari generati prima del foglio GEM. Entrambi dipendono dal campo di deriva e dal campo elettrico all’interno del foro. Alcune simulazioni mostrano che qualche percentuale di elettroni primari possono disperdersi in due modi: nel primo caso gli elettroni si raccolgono sull’elettrodo superiore del foglio GEM (effetto defocusing) o hanno colpito la superficie del Kapton all’interno del foro prima di iniziare la moltiplicazione. Questo effetto potrebbe essere ridotto, diminuendo il campo di deriva o aumentando il campo elettrico all’interno del foro. Si ricorda, inoltre, che in caso di miscele di gas elettronegativi, possono verificarsi perdite aggiuntive prima della moltiplicazione, per gli effetti di ricombinazione. Infatti in presenza di tali inquinanti, principalmente acqua o ossigeno, si può verificare un fenomeno di cattura elettronica. Per evitare questa ricombinazione vengono utilizzati gas nobili, poiché il loro guscio esterno è completo, rendendoli inoperosi nella cattura di elettroni extra [30]. 3.4.2 Coefficiente di estrazione La frazione di estrazione, rappresenta il rapporto tra il numero di elettroni estratti dai fori e trasferiti al successivo foglio e il numero di elettroni che si moltiplicano dentro i canali di amplificazione. Come l’efficienza di raccolta, il f extr dipende dal campo elettrico all’interno del foro e dal campo di induzione oltre il foglio GEM. Anche in questo caso, studi di simulazione, mostrano che circa il 3% degli elettroni di moltiplicazione sono intrappolati nella superficie dei fori, dovuto alla diffusione, e circa il 10% sono ioni catturati nelle vicinanze delle uscite dei fori. Gli elettroni rimanenti di moltiplicazione, sono raccolti presso l’elettrodo inferiore del foglio o sono trasferiti alla regione di induzione. Come illustrato nella sezione precedente, il campo di induzione è fissato intorno a 5 kV /cm per assicurare un buon funzionamento del rivelatore. In questo caso, una frazione di circa il 50% degli elettroni di moltiplicazione sono persi sull’elettrodo inferiore del foglio e l’altro 50% si dirige verso l’elettrodo di lettura. Si ottiene una frazione di estrazione totale di circa il 35%. Dai due fattori, f extr e ǫcoll si introduce il concetto di guadagno effettivo, Gef f , correlato con il guadagno intrinseco di un foglio GEM, attraverso la seguente relazione: Gef f = Gintr · ǫcoll · f extr = Gintr · T (3.1) dove abbiamo definito la trasparenza degli elettroni T del rivelatore single-GEM come il prodotto di ǫcoll · f extr . Il massimo guadagno efficacie raggiungibile con un Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 41 rivelatore di single-GEM è dell’ordine di 103 . Un guadagno superiore, fino a 104 , 105 , può essere raggiunto da quella che viene definita tripla-GEM, assemblando più di un foglio GEM a distanza ravvicinata [30]. 3.5 Operatività in campo magnetico Fino ad ora si è sempre descritto tale tecnologia in assenza di campi magnetici, allora, per completezza di argomentazione, si accenna l’operatività di un modulo GEM immerso in un campo magnetico. L’inconveniente di tale operatività sta nel fatto che le linee di campo saranno soggette a distorsioni di diversa entità in funzione dell’intensità del campo. Un campo molto intenso crea una tale distorsione delle linee di campo da far decrescere l’efficienza di trasferimento tale da far perdere gran parte del segnale in uscita. Comunque, con una opportuna scelta dei campi elettrici è ancora possibile ottenere una buona efficienza di trasferimento. Quindi, le linee di campo non subiranno una grande distorsione [25], come è possibile osservare nella Figura 3.10. Figura 3.10: A sinistra: rappresentazione delle linee di campo in assenza di campo magnetico. Al centro: rappresentazione delle linee di campo in presenza di un campo magnetico perpendicolare alla direzione di deriva. A destra: linee di campo, dovute a campi elettrici più intensi, in presenza di un campo magnetico perpendicolare alla direzione di deriva. Come si evince dalle figure, a campi elettrici più intensi, le linee di campo elettrico subiscono meno distorsioni, aumentando l’efficienza di trasferimento e quindi il numero di elettroni sul readout [25] 3.6 Tripla GEM Un rivelatore a tripla-GEM è costituito da tre fogli GEM accatastati e inseriti tra due elettrodi, un catodo e un anodo. L’uso di tre fogli GEM permette di raggiungere un più alto guadagno, senza richiedere una troppo alta tensione applicata ad ogni foglio GEM. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 42 Figura 3.11: Struttura di un rivelatore a tripla GEM [31] Le differenze di potenziale applicate tra le varie pellicole GEM sono denominate tot VGEM 0 , VGEM 1 , VGEM 2 , e la loro somma VGEM . La descrizione della camera singleGEM, discussa nella sezione precedente, permette di comprendere il funzionamento di un rivelatore a tripla-GEM. Lo spazio tra il catodo e il primo foglio GEM agisce come regione di deriva. Lo spazio tra l’ultimo foglio e l’anodo è la regione di induzione, dove, dopo la moltiplicazione, in questo caso a causa dei tre fogli GEM, la carica induce il segnale sull’anodo di read-out. Per quanto riguarda gli spazi tra i fogli consecutivi, questi vengono chiamati regioni di trasferimento. Agiscono come regione di induzione, se si riferiscono alla GEM sovrastante, mentre come regione di drift, se si riferiscono alla GEM inferiore. Lo scopo del campo di trasferimento è di trasportare gli elettroni secondari prodotti nei fori da un foglio superiore a quello successivo. Questo implica che il valore del campo di trasferimento deve essere scelto al fine di massimizzare simultaneamente la frazione di estrazione da una GEM superiore e l’efficienza di raccolta della GEM inferiore. La Figura 3.12 rappresenta la corrente indotta sul readout in funzione del campo di trasferimento per una miscela di gas Ar/CO2 (80/20), per un dato valore dei campi di drift e di induzione (ED = 2kV /cm; EI = 5kV /cm). Si vede che per valori bassi del campo di trasferimento (ET < 3kV /cm), il flusso di elettroni è caratterizzato da una frazione di bassa estrazione. In realtà, gli elettroni creati vengono estratti dai fori superiori ma sono principalmente raccolti sull’elettrodo inferiore di quel foglio stesso di trasferimento (vedasi geometria del campo in Figura 3.7). D’altra parte, un alto campo di Trasferimento (ET > 4kV /cm ) implica un’efficienza di raccolta povera a causa di un elevato effetto defocusing, ovvero gli elettroni di moltiplicazione, provenienti dalla Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 43 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM Figura 3.12: Corrente indotta in funzione del campo di trasferimento [30] GEM precedente, sono principalmente raccolti sull’elettrodo superiore della GEM successiva. Per un rivelatore a tripla-GEM, il guadagno effettivo è dato dal prodotto del guadagno intrinseco con la trasparenza elettronica totale Q (Ttot ), dove quest’ultima è data come il prodotto della trasparenza di ogni foglio ( k Tk ), mentre la prima tot è una funzione esponenziale del VGEM . Quindi il guadagno effettivo (Gef f )del rivelatore è definito come segue Gef f = Gintr Ttot = Y ehαik ·VGEM k · Tk = ehαi tot tot ·VGEM k=0,2 · Y extr ǫcoll k fk (3.2) k=0,2 dove hαi è la media del primo coefficiente di Townsend, ǫcoll e fkextr sono l’efficienza k esimo di raccolta e la frazione di estrazione del k foglio GEM. Poichè il guadagno effettivo dipende dalla tensione applicata ai tre fogli, è conveniente aumentare la tensione applicata sul primo foglio GEM riducendo quello applicato sul terzo foglio. In questo caso, la carica che raggiunge il terzo strato è maggiore, ma l’effetto di diffusione permette alla nube elettronica di essere ripartita su un numero maggiore di fori, riducendo la probabilità di scarica. Diversi studi permettono di scegliere la configurazione GEM che riduce al minimo la probabilità di scarica, ovvero una configurazione del tipo VGEM 0 ≫ VGEM 1 ≥ VGEM 2 (3.3) Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 3.7 44 La scarica elettrica Un difetto nel foglio GEM, come i fori non geometricamente regolari, gli spigoli ma anche micro particelle (polveri) all’interno dei fori, possono dare origine ad una scarica elettrica. Quest’ultima sarà visibile come una scintilla sul foglio. Si potrebbe anche ottenere una scarica quando le condizioni di lavoro sono buone, ovvero con un foglio in ottime condizioni e un buon flusso di gas; in queste condizioni una scarica può originarsi quando le valanghe create all’interno dei fori GEM, raggiungono il limite di Raether [30]. Figura 3.13: Principale formazione di una valanga elettronica, con gli elettroni più veloci in testa e una coda protonica più lenta Precisamente, si ha di solito che, durante la formazione della valanga, il guadagno è minore di 106 , ma se il numero di coppie di ioni aumenta ulteriormente, per esempio a causa dell’aumento della tensione esterna applicata agli elettrodi, che accelera ulteriormente le cariche, il campo elettrico è perturbato da quello che si forma internamente per effetto della presenza delle stesse cariche create in grandissima quantità (ossia della presenza della cosiddetta âcarica spazialeâ) nel gas. A quel punto, quando le coppie create raggiungono un valore critico vicino al limite di Raether (dell’ordine di 108 coppie di ioni), si forma una concentrazione tale di cariche sotto forma di valanghe meno contenute, dette scie (streamer ). Queste valanghe secondarie vengono attirate verso quella primaria a causa della coda formata da ioni positivi, iniziando a formare lo streamer [9]. Nello sviluppo della valanga hanno un ruolo fondamentale i fotoni che vengono prodotti durante i fenomeni di eccitazione (per collisione) degli atomi o molecole. I fotoni emessi con una certa energia riescono a ionizzare gli atomi degli elettrodi e quando questo avviene sul catodo, gli elettroni espulsi formeranno valanghe secondarie, che sono attratte verso la coda positiva dello streamer [9]. In questo modo lo streamer si avvicina al catodo fino a toccarlo. Non appena la testa dello streamer tocca l’anodo, si formerà una striscia di plasma tra il catodo e l’anodo, innescando a quel punto una scarica, visibile come una scintilla [31]. Dunque, la tensione applicata alle GEM gioca un ruolo fondamentale Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 45 Figura 3.14: Rappresentazione di uno streamer [31] per la formazione delle valanghe, ovvero del guadagno, e per la formazione delle scariche sui fogli. Nel grafico che segue (Figura 3.15) sono riportati i guadagni di 3 configurazioni di GEM al variare della tensione applicata ai due lati del foglio GEM. Dal grafico si nota che il guadagno effettivo di una tripla GEM, rispetto ad Figura 3.15: Guadagno in funzione della tensione in singola, doppia e tripla GEM [25] una doppia, è molto più alto a parità di tensione elettrica applicata. Si parla di un guadagno di circa 105 rispetto a un 103 della doppia, con una tensione di circa 400 V. Per quanto concerne la singola GEM, è necessario applicare una tensione molto elevata per ottenere un guadagno di 103 , aumentando significativamente la probabilità di scarica, come mostrato in Figura 3.16 . Dunque, il guadagno, per una generica camera GEM, aumenta al crescere della tensione elettrica applicata, tenendo conto che un eccessivo voltaggio porta ad una scarica. La Figura 3.17 infatti combina i dati della Figura 3.15 e della Figura 3.16 e mostra la probabilità di scarica in funzione del guadagno effettivo per le tre tipologie di camera GEM. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 46 Figura 3.16: Probabilità di scarica mediante esposizione a particelle alfa in funzione della tensione applicata a ciascuna GEM [25] L’utilizzo del rivelatore multi-GEM permette di aumentare di gran lunga il guadagno mantenendo le tensioni applicate ai singoli fogli a valori sufficientemente bassi da ridurre la probabilità di scarica. Naturalmente con l’aumentare del numero di fogli GEM aumenta la complessità del rivelatore (e il costo). Figura 3.17: Probabilità di scarica mediante esposizione a particelle alfa in funzione del guadagno per singola, doppia e tripla GEM [25] Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 3.8 47 Il piano di read-out Il tipico piano di read-out è formato da un foglio di Kapton ramato da un lato, con un disegno che può essere a pad (Figura 3.18) o a strip (o più strati di strip interposte ad un determinato angolo). Nello specifico, il read-out a più strati (layers) si può trovare in 2 configurazioni diverse: la prima a doppie strip poste a 90◦ e la seconda a doppie strip a 45◦ . La prima configurazione è quella utilizzata per le GEM di questa tesi (quindi le GEM per JLab). Infatti, il read-out è formato da strip di rame spesse 0.5 µm disposte in maniera reticolare a 90◦ l’una con l’altra e sono state realizzate (causa campo elettrostatico) in modo tale da poter raccogliere una uguale distribuzione di carica per le due coordinate x e y. In entrambi i layers, le strip hanno un’estensione di 400 µm (Figura 3.19 a sinistra), poiché non deve essere più larga della sezione trasversale della nuvola elettronica incidente sulle strip, che corrisponde a circa 500 µm [15]. Mentre la seconda configurazione utilizza un sistema di coordinate nelle direzioni U/V, ovvero le strip sono disposte nelle direzioni di 45◦ /−45◦ rispetto ad un ipotetico asse x se si immagina un read-out suddiviso in 4 quadranti da un comune sistema di riferimento x/y centrato nell’origine [25]. Figura 3.18: Read-out a pad esagonali interconnesse lungo tre le direzioni U,V e W [25]. Il vantaggio di utilizzare un sistema in coordinate U/V è quello di poter distinguere e ricostruire 2 eventi simultanei con una buona risoluzione spaziale. Di contro, però, l’estrazione del segnale, ovvero le connessioni delle strip all’elettronica, la differenza di lunghezza delle strip centrali rispetto a quelle vicino gli angoli del read-out (strip più corte) e, in generale, la realizzazione del piano di un sistema di coordinate U/V è molto più complessa rispetto a quella X/Y. Dato che, secondo le attuali simulazioni Monte Carlo, utilizzare le camere con le coordinate U/V al Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 48 posto delle X/Y non migliora in modo significativo la qualità del tracciamento, allora, è stato deciso di utilizzare un read-out nelle coordinate X/Y. Figura 3.19: A sinistra: geometria delle strip del piano di readout nelle coordinate X/Y. A destra: rappresentazione di un foglio GEM sovrapposto al piano di readout [15] Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 3.9 3.9.1 49 Configurazione GEM per SBS Geometria GEM Sei identiche camere GEM saranno montate consecutivamente con un’area attiva di 40 x 150 cm2 per formare il front tracker dell’SBS (Figura 3.20). Ogni camera è composta da tre moduli a tripla GEM, disposti in maniera adiacente. Per ogni modulo, l’elettronica di front-end è allocata su quattro backplane attorno al foglio stesso. Uno dei quattro è posizionato a 90◦ rispetto alla camera e tra due moduli vicini, come mostrato in Figura 3.21. Per tenere insieme i tre moduli GEM con tutta l’elettronica associata è stato creato un supporto ad hoc in fibra di carbonio [8] [32]. Figura 3.20: Geometria del front tracker GEM chamber. Da sinistra a destra: un singolo modulo GEM 40 x 50 cm2 , un frame di supporto per tre moduli GEM consecutivi (40 x 150 cm2 ), un piano di readout (Read Out Board) con strip nelle direzioni U/V e un piano di readout (Read Out Board) con strip nelle direzioni X/Y [15] Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 50 Figura 3.21: Rappresentazione 3D delle posizioni dei backplane (in verde) in una camera assemblata. Si notano, nella zona centrale, i 2 backplane posti a 90◦ tra le GEM adiacenti [32] Figura 3.22: Moduli a tripla GEM all’interno di un supporto in alluminio in fase di assemblaggio per realizzare un prototipo del front tracker per SBS. Si notano i backplane montati ai 4 lati del modulo in primo piano. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 51 Figura 3.23: Prototipo di un tracciatore per SBS composto da tre moduli a tripla GEM montata su un supporto in alluminio, con area attiva di 40 x 150 cm2 ed elettronica di front-end allocata sui backplane attorno ai moduli. 3.9.2 L’elettronica di front-end Le carte di front-end utilizzate sono 18 per modulo e sono distribuite lungo i quattro lati del frame. I connettori, con 77 pin, saranno saldati sulle carte di front-end, ognuno dei quali è connesso a 128 canali del read-out, attraverso un Flexible Printed Circuit (FPC) che sarà piegato di 90◦ sul lato del frame adiacente al modulo GEM seguente [32]. Ogni carta di front-end (FEC) contiene un chip APV25 (Analogue Pipeline Voltage), sviluppato da Imperial College London per i rivelatori a silicio di CMS ed esperimenti a LHCb. Questo chip APV25 è un pipeline ASIC (Application Specific Integral Circuit) analogico con un output seriale. Esso è stato progettato per tollerare alte quantità di radiazioni incidenti (almeno 10 Mrad), infatti testato sotto la radiazione di una sorgente di 137 Cs ha mostrato una degradazione minima. La dose assorbita in questo test è stata pari a 0.36 Mrad, corrispondente approssimativamente a 4.5 anni di esperimenti a JLab [32] [33]. L’APV25 ha 128 canali, ognuno contenente un preamplificatore e uno shaper con un tempo di picco di 50 ns, seguito da 192 celle di memoria analogica in cui viene memorizzata la carica processata dal chip ad una frequenza fino a 40 MHz. Un sample pertanto corrisponde alla carica raccolta sulle strip del read-out durante un periodo di campionamento di 25 ns o 75 ns. In pratica, un modulo MPD (Multi-Purpose Digitizer) gestisce fino a 16 carte di front-end, per un totale di 2048 canali. Pertanto, è prevista l’acquisizione di 3 o 6 sample consecutivi, in Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 52 modo tale da poter acquisire l’evoluzione temporale del segnale in esame. Il tempo tra l’evento e l’arrivo del trigger alla carta di front-end viene chiamato latency, che viene utilizzato per definire quanto tempo il chip deve tornare indietro nella sua memoria per andare a trovare il segnale corrispondente all’evento [15] [32]. Figura 3.24: Una carta di front-end con il suo chip APV25 [32] 3.9.3 L’elettronica La catena elettronica di read-out di un modulo GEM consiste in: • 18 carte di front-end, allocate in 4 backplanes poste ai lati del frame di un modulo; • 4 backplane per ogni modulo che rappresentano una parte di elettronica essenzialmente passiva, di collegamento e per la distribuzione dell’alimentazione delle carte e allo stesso tempo agiscono da supporto meccanico per le schede di front-end; • 2 moduli Multi-Purpose Digitizer (MPD), ognuno dei quali raccoglie gli output analogici delle carte allocate su 2 backplane (precisamente 5 e 4 carte) attraverso dei cavi HDMI. Ogni modulo MPD contiene una Altera ARRIA GX FPGA (Field Programmable Gate Array), ovvero un circuito integrato le cui funzionalità sono programmabili via software e consentono l’implementazione di funzioni logiche con una certa complessità. Questi moduli generano anche un segnale digitale che verrà utilizzato per l’acquisizione dei dati su computer. La catena elettronica di read-out è schematizzata in Figura 3.25 per un singolo front-end card [32] [33]. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 53 Figura 3.25: Schema della catena elettronica di readout [15] Figura 3.26: Modulo Multi-Purpose Digitizer utilizzato per il sistema di acquisizione dati dei tracciatori GEM [33] Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 54 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM Figura 3.27: Primo piano delle 5 schede di front-end montate su un lato del modulo GEM connesse al read-out attraverso i Flexible Printed Circuit. 3.10 Il segnale APV 3.10.1 Ampiezza e sviluppo temporale del segnale Come detto nel paragrafo precedente, l’evoluzione temporale di un generico segnale processato dal chip viene acquisita attraverso 3 o 6 sample temporalmente separati da 25 ns o 75 ns. Nel nostro caso si è utilizzato un processo di memorizzazione a 6 sample in un periodo di campionamento totale di 125 ns. Un tipico segnale APV, in presenza di poco di rumore, è mostrato in Figura 7.1, dove sono riportati i 6 sample campionati ogni 25 ns: in ascissa sono riportati i tempi (ns) e in ordinata i valori di carica raccolta dal singolo canale (strip) in unità ADC1 ) Per ogni singolo evento, è possibile studiare l’evoluzione temporale del segnale associato. Attualmente, questa viene studiata attraverso l’utilizzo di una funzione di fit che bene approssima un tipico segnale APV. La funzione adoperata per il fit è un doppio esponenziale multi-parametrico, dove i parametri dipendono proprio dalle caratteristiche dei sample in esame. La funzione è la seguente [32] A(1 − e − (t−t0 ) τ1 )e − (t−t0 ) τ2 (3.4) dove t0 è il tempo di inizio del segnale, τ1 e τ2 rappresentano il tempo di salita 1 Anolog to Digital Converter ADC GEM pulse 1 1000 800 600 400 200 0 0 20 40 60 80 100 120 time [ns] Figura 3.28: Esempio di un segnale APV di un modulo GEM 40x50 cm2 generato da protoni da 2.8 GeV. Si può notare la distribuzione temporale di carica di un hit campionato ogni 25 ns, ciascino punto rappresenta un sample di campionamento di carica, espressa in unità di ADC. e di discesa del segnale e A è l’ampiezza [32]. Questo metodo di studio fondato sul fit può essere considerato attendibile e abbastanza affidabile nei risultati, quando il segnale in esame è preso in condizioni ottimali, cioè quando il segnale studiato è affetto da poco rumore, in modo tale che i punti giacciono quasi sul fit, come mostrato nella Figura 3.29. Tale metodo inizia, però, a fallire quando i segnali uscenti dalle strip sono affetti da rumore non trascurabile, e quindi, in tali condizioni, la funzione di fit non approssima più i punti in maniera attendibile, alterando i valori dei parametri da esaminare. Nei capitoli 6 e 7 si riprenderà più approfonditamente questa problematica, introducendo un metodo del tutto nuovo per l’analisi temporale dei segnali, cioè un’analisi temporale, del tutto preliminare, realizzata attraverso la Programmazione Genetica (GP). GEM pulse good ADC Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 55 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 1000 800 600 400 200 0 0 20 40 60 80 100 120 tempo Figura 3.29: Esempio di un segnale poco rumoroso fittato con la funzione doppio esponenziale multi-parametrica. 3.10.2 Il rumore associato Il rumore associato al segnale di ciascun canale viene stimato attraverso l’RMS (Root Mean Square) del piedistallo (rumore in assenza di segnale). Valori tipici di RMS, per le schede di front-end in un recente test (Jülich 2014) con fascio di protoni da 2.8 GeV, sono mostrati in Figura 3.30. ADC RMS of Pedestal vs ft.ach (run 359) 100 80 60 40 20 0 2000 4000 6000 8000 10000 12000 14000 16000 18000 20000 22000 channel card (x/y) RMS hrms count Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 56 CAPITOLO 3. TECNOLOGIA GEM 10 Entries Mean RMS 3 20480 22.82 8.759 102 10 1 20 40 60 80 100 120 140 160 180 ADC Figura 3.30: Piedistallo delle carte di front-end del run 359, nei test eseguiti con fascio di protoni da 2.8 GeV (Jülich 2014). Nel plot in alto è raffigurato la carica in ADC associata ad ogni carta in assenza di eventi. Ogni colonna rappresenta il numero di carte analizzate e precisamente due colonne adiacenti sono composte da 4 e 5 carte. Quindi, una coppia di 2 colonne adiacenti rappresentano le carte di un modulo GEM. Pertanto 16 colonne plottate per un totale di 4 moduli GEM. Il plot in basso rappresenta la distribuzione della carica in unità ADC, con un valor medio di circa 22 unità ADC. Considerando che una singola unità ADC corrisponde a circa 100 elettroni [32], si intuisce facilmente quanto rumore possono trasportare i segnali, anche in assenza di eventi sperimentali. Tale rumore è il risultato di diverse cause agenti sul sistema di acquisizione, a partire dalle singole strip delle camere che possono agire come antenne di pick-up di rumore elettromagnetico, il rumore intrinseco dell’elettronica, le distorsioni introdotte dai lunghi cavi che trasportano il segnale e le differenti condizioni ambientali [32]. Quindi, alla luce di ciò, lo studio dei segnali sarà accompagnato, in alcuni casi, da una determinata incertezza dipendente proprio dalla rumorosità presente durante la raccolta della carica. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 Capitolo 4 Realizzazione del modulo GEM 4.1 Il tendigem Il singolo modulo GEM, come già scritto precedentemente, è costituito dall’impilaggio (sandwich) di 3 fogli generalmente separati da 2 mm di gas. Questa distanza deve essere mantenuta entro qualche percento al fine di mantenere i campi elettrostatici sufficientemente uniformi e costanti nel tempo, evitando che si creino regioni più suscettibili ad una scarica, ovvero disuniformità spaziali del segnale raccolto e naturalmente impedire che i fogli possano venire a contatto creando un cortocircuito. Pertanto, per adempiere a tali richieste, si è reso necessario realizzare un dispositivo meccanico (tendiGEM ) per tendere al meglio i fogli GEM. Il tendiGEM è basato su sensori di forza, ovvero celle di carico, adoperate per impostare la corretta trazione sui diversi lati del foglio. Il tendiGEM è formato da una piastra in alluminio di grandezza 60x60 cm2 (piastrone) sopra la quale è collocata, leggermente decentrata, una seconda piastra, anch’essa in alluminio di grandezza 40x50 cm2 . Il piastrone viene rivestito da una sottile pellicola in Mylar e serve da supporto a tutto il sistema meccanico, mentre la piastra fa da base al foglio GEM per una maggiore assistenza alla trazione. La piastra è circondata da 14 morsetti (clips) sui quattro lati e 7 celle di carico, su due lati. Le clips, sono distribuite 3 per ogni lato corto della piastra e 4 per ogni lato lungo, invece i sensori sono ripartiti 3 in un solo lato corto e 4 in un solo lato lungo. L’immagine seguente, Figura 4.1, rappresenta la struttura meccanica del tendiGEM [31]. I componenti a forma di S, sono le celle di carico. Il foglio GEM è fermato nel tendiGEM utilizzando le clips. Le 14 clips, contrassegnate da numeri, sono tutte agganciate al foglio, e la metà di esse sono anche congiunte alle celle di carico. L’inserimento del foglio GEM tra le morse delle clip è una procedura delicata, 57 Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 4. REALIZZAZIONE DEL MODULO GEM 58 Figura 4.1: Struttura meccanica del tendiGEM all’interno della camera pulita dell’INFN della Sezione di Catania. Si notano le 7 celle di carico, 4 a sinistra e 3 sulla destra, ognuna provvista di una vite micrometrica regolatore di trazione in ottone Figura 4.2: A sinistra: morsetto aperto prima dell’inserimento del foglio GEM. A destra: morsetto chiuso con foglio GEM inserito [31] Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 4. REALIZZAZIONE DEL MODULO GEM 59 poiché bisogna maneggiare con molta cura il foglio onde evitare possibili pieghe o increspature. Una volta finito l’inserimento, si procede alla tensione meccanica del foglio. Per adempiere questo lavoro bisogna iniziare a tirare una coppia di morsetti per volta (di solito opposti) in modo tale da stirare il foglio nel modo più regolare possibile. Per una corretta trazione, si sono eseguite diverse prove affinché si giungesse ad una buona sequenza tra i morsetti fissi nel tendiGEM e quelli connessi ai sensori. Questa procedura è tenuta sotto controllo attraverso un software, chiamato JBOX, associato alle 7 celle di carico installate sul tendiGEM. Il JBOX visualizza la trazione applicata ad ogni cella di carico in modo tale da poter regolare e distribuire opportunamente i carichi sul foglio e apportare, in caso di necessità e in tempo reale, le giuste modifiche ove necessario. La Figura 4.3 mostra uno screenshot del software utilizzato durante il suo funzionamento. Quando un foglio è giunto al livello di trazione prefissato (circa 6 Kg per cella), Figura 4.3: Visualizzazione del software di controllo dei carichi applicati alle varie celle del tendiGEM, durante la fase di trazione del foglio. Come è possibile notare, i carichi applicati si aggirano intorno ai 6 Kg per cella. si passa alla fase successiva del lavoro, ovvero l’incollaggio della griglia di separazione (frame) con il foglio. Per questa procedura il tendiGEM gioca un ruolo fondamentale, poiché si sfrutta la piastra in alluminio, che fa da supporto, e la tensione meccanica del foglio GEM appena ottenuta. Dunque, questo sistema meccanico costituisce l’elemento base per la costruzione di una camera GEM. Le Figura 4.4 mostra l’applicazione del frame di separazione e il foglio GEM, estratto dal tendiGEM, già tirato e bloccato dai frame di supporto [31]. Il frame, dopo aver applicato, lungo il suo bordo, della colla adatta per il tipo di incollaggio, viene adagiato sul foglio. Per tale operazione è richiesta un’alta precisione, poiché un errato posizionamento potrebbe non far coincidere tutte le varie guide esistenti tra il frame, il foglio e la piastra. Pertanto vengono utilizzate le spine guida e dei blocchetti metallici per evitare movimenti indesiderati del frame. Passate le 24 ore necessarie affinché il collante si indurisca, il duo foglio- Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 4. REALIZZAZIONE DEL MODULO GEM 60 Figura 4.4: A sinistra: Applicazione della griglia di separazione sul foglio GEM, mentre quest’ultimo è riposto all’interno del TendiGEM. A destra: Foglio GEM già trazionato ed incollato al frame di supporto. frame può essere incollato alla parte di camera già assemblata (si parte dal piano di honeycomb e il foglio di readout). Indurito il collante si può rimuovere l’intero assemblato sganciando dalle prese delle clip il foglio GEM, prelevato, sempre con molta cautela, e riposto all’interno di una teca in plexiglass, rimanendo in attesa della costruzione dei pezzi successivi [31]. 4.2 4.2.1 Sistema di controllo Architettura generale del sistema di controllo del TendiGEM L’obiettivo di un sistema di controllo è quello di creare una corretta tensione meccanica su un foglio, prima di essere accoppiato con un frame di separazione. Nel tendiGEM è richiesta una certa precisione dei valori di uscita, per questo viene utilizzato un sistema closed loop1 , basato su determinati sensori di forza [31]. Il sistema di controllo utilizzato nel tensionatore è rappresentato dallo schema a blocchi riportato nella Figura 4.5 Si può notare che si tratta effettivamente di un sistema di controllo elettronico closed loop. Il controllo basato su sensori, utilizza delle celle di carico che misurano la tensione meccanica in un punto e lo confrontano con il livello di stretch desiderato. Quando la vite viene messa in movimento, la trazione del GEM-foil 1 In un sistema a catena chiusa, l’output dell’apparato da controllare viene continuamente valutato in modo da modificare opportunamente l’ingresso del sistema stesso, se l’output non è quello desiderato. Tali sistemi vengono utilizzati quando è richiesta una grande precisione dei valori in uscita. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 4. REALIZZAZIONE DEL MODULO GEM 61 Figura 4.5: Sistema closed loop del TendiGEM [31] cambierà, di conseguenza il sensore sarà anch’esso soggetto ad un’altra misura di stretch e invierà il corrispondente segnale ad un determinato dispositivo di acquisizione (ACQuisition box ). Quest’ultimo tramuta i valori, inviati dalle celle, in un segnale elettrico e li trasferisce al computer. Il JBOX mostrerà il carico corrente applicato ad ogni singola cella, mettendo in mostra quanto i valori visualizzati siano più o meno vicini a quelli desiderati. Cosı̀ facendo, ruotando la vite nella giusta direzione, è possibile ottenere il valore cercato [31]. Nella Figura 4.6 è raffigurato uno schema semplificato del set-up del sistema di controllo del tendiGEM. Come si può ben notare, i principali componenti di tale sistema sono il tendi- Figura 4.6: Set-up del sistema di controllo GEM, le celle di carico e l’ACQ box. Quindi, data la grande importanza di questi componenti, si riporta di seguito le caratteristiche fondamentali di ogni singolo costituente, in modo tale da poter acquisire una maggiore consapevolezza sul funzionamento del suddetto sistema di controllo. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 4. REALIZZAZIONE DEL MODULO GEM 4.2.2 62 ACQ-Box Il box di acquisizione interfaccia le varie celle di carico con un software sul computer. Un cavo schermato, che riesce a trasferire con buona accuratezza la corrente prelevata da una cella, viene utilizzato per connettere il sensore al box. Il Box ACQ presenta otto connettori, dove ogni connettore viene utilizzato per collegare una singola cella di carico. Poichè il tendiGEM utilizza solamente sette sensori per la trazione di un foglio, un ingresso del box è lasciato libero e quindi messo a disposizione [31]. All’interno dell’ACQ-Box, vi è la presenza di due I-box 2000, ovvero schede di acquisizione dati, in particolare ogni scheda è dotata di 4 canali di conversione analogico-digitale e porte di comunicazione seriali. Viene misurata la differenza di potenziale nelle celle di carico e questi dati verranno trasferiti tramite una porta COM al computer per essere visualizzati tramite il programma JBOX. Quest’ultimo mostra la tensione meccanica attuale sulle celle di carico, permettendo un’eventuale correzione in tempo reale dello stretch. Ma prima di adoperare questo programma come sistema di controllo, il JBOX può essere utilizzato per visualizzare la tensione meccanica su una singola cella e la rispettiva risposta sul computer, ovvero essere utilizzato per calibrare la cella di carico. Figura 4.7: Schema e visione interno del Box ACQ [31] La calibrazione è l’operazione in cui uno strumento di misura viene regolato in modo da migliorarne l’accuratezza. L’operazione richiede il confronto con delle misure di riferimento prodotte utilizzando uno strumento campione. Per visualizzare una corretta tensione, bisogna eseguire alcuni passaggi fondamentali [31]: • impostare quanti canali sono collegati con le celle di carico (tra 2 e 8); • calibrare la cella di carico. Il valore di tensione è impostato sullo 0 quando non c’è nessun peso di riferimento. L’altro punto è una certa tensione per un Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 4. REALIZZAZIONE DEL MODULO GEM 63 certo peso di riferimento. Ulteriori informazioni sulla calibrazione si trovano in seguito; • la trazione può essere mostrata in kg o V; viene visualizzato anche il peso totale dei diversi canali e quante cifre decimali vogliamo osservare. Tutte modificabili tramite il pannello delle impostazioni. 4.3 Calibrazione celle di carico Per utilizzare le celle di carico è di fondamentale importanza la loro calibrazione. Ogni sensore risponderà con una resistenza meccanica diversa per ogni determinata forza applicata. Per questo motivo è necessario capire il comportamento di questa opposizione alla deformazione, in base all’aumento o alla diminuzione della forza o tensione. La Figura 4.8 mostra il rapporto tra la tensione e il peso per una cella di carico. La calibrazione nel punto di origine (0,0), il primo punto (rosso), rappresenta il valore in assenza di tensione applicata sulla cella di carico. Il secondo punto (verde) mostra il valore della tensione quando vi è un carico di riferimento applicato al sensore, nel nostro caso da 20 kg. Questo punto verde e l’inclinazione della relativa retta rappresentano il comportamento lineare della cella. Il peso di riferimento è scelto da 20 kg perchè i risultati siano più accurati, ciò si ha quando la differenza tra i 2 carichi di riferimento è sufficientemente grande. La retta che passa per i due suddetti punti rappresenta la curva di riferimento, grazie alla quale è possibile individuare la tensione applicata al foglio quando un certo peso deforma la cella di carico. Questa procedura funziona anche con due soli punti poiché le celle hanno un comportamento estremamente lineare. La tensione è collegata alla massa grazie Figura 4.8: Comportamento lineare tensione-massa [31] alla formula F = ma. La forza sulla cella di carico (tensione) è data dalla massa del carico di riferimento e dalla forza di gravità. Il sistema utilizzato per la calibrazione Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 4. REALIZZAZIONE DEL MODULO GEM 64 dei sensori di forza è quello illustrato in Figura 4.9 a sinistra. La cella di carico è fissata al tavolo e tramite un cavo di nylon viene agganciato un peso di riferimento. Sul carico di riferimento agirà la forza peso che stimolerà il sensore. Questa forza Figura 4.9: A sinistra: schema di calibrazione cella. A destra: isteresi elastica dovuta alla deformazione residua sulla cella di carico una volta calibrata [31] sarà la tensione che agirà sulla cella di carico. Al fine di creare la retta di riferimento massa/tensione, è necessario conoscere quale massa di riferimento si traduce in una ben determinata tensione. Pertanto, viene registrato prima di tutto il punto zero. In assenza di carico di riferimento agganciato, la tensione è impostata sullo 0. Quando un carico di riferimento da 20 kg è appeso al cavo di nylon, il valore di tensione registrato dal software viene definito come carico massimo. Poichè la retta di riferimento è lineare, i due punti cosı̀ determinati sono sufficienti per creare il grafico massa/tensione cercato. Cosı̀ facendo, la cella di carico è calibrata. Si ripete la stessa procedura per tutte le altre celle, tenendo presente che dopo ogni taratura bisogna far passare qualche minuto prima di iniziare una nuova calibrazione, per eliminare problemi di isteresi elastica ovvero deformazione residua Figura 4.9 a destra. 4.4 4.4.1 Il controllo di qualità Test elettrico dei fogli GEM Prima che un foglio GEM venga inserito in un rivelatore, ne viene verificata la qualità con procedure di âquality check â che cercano di evidenziare le possibili anomalie dello stesso, sia elettriche che di fabbricazione. Per il controllo di qualità adottato, un foglio GEM deve essere collocato all’interno di una teca in plexiglass, Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 4. REALIZZAZIONE DEL MODULO GEM 65 in cui viene flussato azoto, al fine di ridurre il livello di umidità e fornire un ambiente stabile e riproducibile. Lo scopo del test di qualità, è di verificare la dispersione di corrente attraverso lo strato di Kapton, quando una tensione, fino a circa due volte la tensione di lavoro (∼ 550 V), viene applicata sui due strati di rame per un tempo sufficientemente lungo da stabilizzare il campo elettrostatico intorno e all’interno del foglio GEM. Un comportamento anomalo durante il test può indicare la presenza di certi difetti del foglio; a questo proposito il test gioca un ruolo fondamentale nel controllo della qualità. Queste anomalie possono essere causate da microparticelle che rimangono bloccate nei fori GEM e influenzano il comportamento del foglio. A volte questo comportamento inconsueto può essere risolto flussando azoto sul foglio per qualche minuto, ripulendo i fori dalle impurità. Se questo non ha l’effetto desiderato, il foglio viene ispezionato visivamente con un microscopio per osservare eventuali difetti di fabbricazione. Se viene riscontrato un difetto di fabbrica il problema diventa serio, poiché non è semplice il recupero della porzione danneggiata, con il rischio di dover isolare il settore, se circoscritto in un piccolo spazio, o nella peggiore delle ipotesi sostituire il foglio GEM per intero. Se l’ispezione visiva restituisce esiti positivi, allora il foglio è pronto per essere ritestato elettricamente. L’area attiva del foglio è suddivisa in 20 settori, 2 file da 10 settori. La prova può essere eseguita settore per settore o sulla GEM per intero. In quest’ultimo caso, se i resistori di protezione non sono ancora stati saldati, è possibile collegare tutti i 20 settori insieme usando lungo ciascun bordo 10 connessioni. Nel nostro caso, il test elettrico è stato eseguito settore per settore. La connessione elettrica sulle GEM viene assicurata mediante delle punte montate su bacchette di PVC, bloccati su supporti di bachelite che assicurano la distribuzione dei pesi in modo uniforme. I test, effettuati all’interno della camera pulita dell’INFN della Sezione di Catania, dei fogli GEM sono stati eseguiti utilizzando un’alimentatore CAEN N1471, che applica la tensione richiesta ai fogli e un elettrometro Keithley 6517B che ne misura la corrente di dispersione, il tutto ulteriormente controllato e registrato in remoto da un software in LabVIEW, per eventuali analisi offline, come mostrato in Figura 4.10. Il dispositivo CAEN è in grado di generare una tensione fino a 5500 V e le correnti misurate dal Keitley possono andare da 10−18 A fino a 20 mA. La tensione viene portata repentinamente fino ad un valore di 550 V (ramp-up 1-500 V/s) e si controlla la corrente di dispersione. Se il settore risponde positivamente allo stress elettrico, non si dovrebbe registrare alcuna corrente rilevante, ma qualcosa dell’ordine di 10−9 A, ovvero la corrente visualizzata dovrebbe stabilizzarsi sotto 1 nA. Tale tensione viene mantenuta costante per 5 minuti, al fine di verificare la stabilità del foglio ed, eventualmente, eliminare impurità aderenti al foglio, che Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 4. REALIZZAZIONE DEL MODULO GEM 66 Figura 4.10: A sinistra: Postazione per il controllo elettrico dei fogli GEM, dove si nota la teca con all’interno il foglio da testare, l’alimentatore CAEN e sopra di esso il Keitheley. La lettura dei valori misurati della tensione e della corrente è possibile farla direttamente dallo strumento in questione. Il tutto viene contemporaneamente registrato tramite software in remoto. A destra: Box riempito con azoto e foglio GEM inserito pronto per il test elettrico possono essere bruciati dalla tensione ed evacuati dal flusso di gas (âcuraâ del foglio). Trascorsi i 5 min, la tensione viene abbassata fino a 450 V e mantenuta costante per altri 5 min. La corrente registrata non dovrebbe cambiare rispetto a quella registrata precedentemente, ovvero rimanere sotto 1 nA. Se durante il test la corrente di dispersione dovesse aumentare constantemente, si rischia di andare incontro a condizioni di scarica elettrica e danneggiamento, anche irreversibile, del foglio GEM. In questi casi il software è predisposto ad una operazione di sicurezza che interrompe istantaneamente la tensione erogata, staccando tutti i dispositivi elettronici, in modo tale da salvaguardare il foglio. Quindi, se non si riscontrono problematiche di scarica elettrica durante tutta la procedura, il test può essere considerato superato pienamente, viceversa bisogna tentare un recupero del settore mal funzionante o, nei casi peggiori, isolare il settore. Una delle cause di eccessiva dispersione di corrente potrebbe essere un problema causato da difetti di fabbricazione. Nelle aspettative, in definitiva, la corrente deve rimanere pressochè costante attorno a ± 0,5 nA. A titolo di esempio, si riportano i risultati di un test elettrico sui 20 settori di un foglio GEM, e precisamente in Figura 4.11 e in Figura 4.13 vi sono rappresentate le dispersioni di corrente nel tempo, rispettivamente per primi 10 settori e i secondi 10 settori. Mentre in Figura 4.12 e in Figura 4.14 vi sono raffigurate le distribuzioni delle correnti di dispersioni, sempre riferite allo stesso foglio, rispettivamente per i primi 10 settori e i secondi 10 settori. Dai risultati mostrati nei grafici, data la poca dispersione di corrente registrata o comunque nei limiti tollerati, è possibile affermare che il foglio testato ha superato il controllo di qualità. Attualmente si sono esaminati 38 fogli GEM (equivalente a 760 settori) con tale metodo e la qualità dei fogli è risultata essere 6 Quality Check, Sector 4 8 Current [nA] Current [nA] 6 Quality Check, Sector 3 8 6 Quality Check, Sector 5 8 Current [nA] Quality Check, Sector 2 8 Current [nA] 6 8 6 4 4 4 4 4 2 2 2 2 2 0 0 0 0 0 -2 -2 -2 -2 -2 -4 -4 -4 -4 -4 -6 -6 -6 -6 100 200 300 400 500 -8 0 600 700 Tempo [s] 100 Quality Check, Sector 6 200 300 400 500 -8 0 600 700 Tempo [s] 100 Quality Check, Sector 7 6 300 400 500 -6 -8 0 600 700 Tempo [s] 100 Quality Check, Sector 8 8 Current [nA] Current [nA] 8 200 6 200 300 400 500 -8 0 600 700 Tempo [s] 6 6 4 4 2 2 2 2 2 0 0 0 0 0 -2 -2 -2 -2 -2 -4 -4 -4 -4 -4 -6 -6 -6 -6 300 400 500 -8 0 600 700 Tempo [s] 100 200 300 400 500 -8 0 600 700 Tempo [s] 100 200 300 400 500 500 600 700 Tempo [s] -6 -8 0 600 700 Tempo [s] 400 6 4 200 300 8 4 100 200 Quality Check, Sector 10 8 4 -8 0 100 Quality Check, Sector 9 8 Current [nA] -8 0 Current [nA] Current [nA] Quality Check, Sector 1 Current [nA] Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 67 CAPITOLO 4. REALIZZAZIONE DEL MODULO GEM 100 200 300 400 500 -8 0 600 700 Tempo [s] 100 200 300 400 500 600 700 Tempo [s] Figura 4.11: Risultati del test elettrico di un foglio GEM eseguito nella camera pulita dell’INFN Sezione di Catania. I grafici riportano l’andamento della corrente di dispersione (nA) in funzione del tempo (s), per i primi 10 settori dei 20 totali. Solamente il settore 5 mostra una dispersione di corrente maggiore di quella prevista, mentre tutti gli altri rientrano più o meno nel range stabilito dal protocollo. Non appena si porta a zero la tensione, si verifica una variazione negativa della corrente che si ripristina intorno allo zero in un tempo di circa dieci secondi. Current distribution, Sector 1 Current distribution, Sector 2 Current distribution, Sector 3 hc1 200 Entries 180 RMS Current distribution, Sector 4 hc2 665 Mean 0.03135 240 Entries 220 0.83 RMS Current distribution, Sector 5 hc3 665 Mean -0.01752 Entries 250 hc4 665 Mean 0.04152 0.7297 RMS Entries 250 hc5 665 Mean 0.07535 0.6693 RMS 0.7704 Entries 200 665 Mean 0.01838 RMS 180 1.087 200 160 180 140 200 200 150 150 100 100 50 50 160 140 160 120 140 100 120 120 100 100 80 80 80 60 60 60 40 40 20 40 20 20 0 0 -6 -4 -2 0 2 4 6 Current [nA] 0 -6 Current distribution, Sector 6 -4 -2 0 2 4 6 Current [nA] Current distribution, Sector 7 200 -4 -2 0 2 4 6 Current [nA] 0.1153 RMS 0.8012 Entries 200 -4 -2 0 2 4 6 Current [nA] 0.117 RMS 0.8957 220 Entries 200 -2 0 2 hc9 665 Mean 0.1271 RMS 0.795 180 -4 Entries 220 200 4 6 Current [nA] Current distribution, Sector 10 hc8 665 Mean -6 Current distribution, Sector 9 hc7 665 Mean 0 -6 Current distribution, Sector 8 hc6 Entries 220 0 -6 hc10 665 Mean 0.1433 RMS 0.8073 Entries 250 665 Mean 0.1081 RMS 0.727 180 180 180 160 200 160 160 160 140 140 140 120 140 150 120 120 100 120 100 100 80 100 80 80 60 60 60 40 40 40 40 20 20 20 20 0 0 0 0 80 60 -6 -4 -2 0 2 4 6 Current [nA] -6 -4 -2 0 2 4 6 Current [nA] -6 -4 -2 0 2 4 6 Current [nA] 100 50 0 -6 -4 -2 0 2 4 6 Current [nA] -6 -4 -2 0 2 4 6 Current [nA] Figura 4.12: Distribuzione delle correnti di dispersione (nA) per i primi 10 settori. Si può notare come sono mediamente centrate sullo zero, con un RMS di circa 0.6 nA. Solamente il settore 5 mostra un RMS di circa 1 nA. 6 Quality Check, Sector 14 8 Current [nA] Current [nA] 6 Quality Check, Sector 13 8 6 Quality Check, Sector 15 8 Current [nA] Quality Check, Sector 12 8 Current [nA] 6 8 6 4 4 4 4 4 2 2 2 2 2 0 0 0 0 0 -2 -2 -2 -2 -2 -4 -4 -4 -4 -4 -6 -6 -6 -6 100 200 300 400 500 -8 0 600 700 Tempo [s] 100 Quality Check, Sector 16 200 300 400 500 -8 0 600 700 Tempo [s] 100 Quality Check, Sector 17 6 300 400 500 -6 -8 0 600 700 Tempo [s] 100 Quality Check, Sector 18 8 Current [nA] Current [nA] 8 200 6 200 300 400 500 -8 0 600 700 Tempo [s] 6 6 4 4 2 2 2 2 2 0 0 0 0 0 -2 -2 -2 -2 -2 -4 -4 -4 -4 -4 -6 -6 -6 -6 300 400 500 -8 0 600 700 Tempo [s] 100 200 300 400 500 -8 0 600 700 Tempo [s] 100 200 300 400 500 500 600 700 Tempo [s] -6 -8 0 600 700 Tempo [s] 400 6 4 200 300 8 4 100 200 Quality Check, Sector 20 8 4 -8 0 100 Quality Check, Sector 19 8 Current [nA] -8 0 Current [nA] Current [nA] Quality Check, Sector 11 Current [nA] Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 68 CAPITOLO 4. REALIZZAZIONE DEL MODULO GEM 100 200 300 400 500 -8 0 600 700 Tempo [s] 100 200 300 400 500 600 700 Tempo [s] Figura 4.13: Risultati del test elettrico di un foglio GEM eseguito nella camera pulita dell’INFN Sezione di Catania. I grafici riportano l’andamento della corrente di dispersione (nA) in funzione del tempo (s), per i secondi 10 settori dei 20 totali. Solamente il settore 15 mostra una dispersione di corrente più accentuata, mentre tutti gli altri rientrano più o meno nella norma. Non appena si porta a zero la tensione, si verifica una variazione negativa della corrente che si ripristina intorno allo zero in un tempo di circa dieci secondi Current distribution, Sector 11 Current distribution, Sector 12 Current distribution, Sector 13 hc1 Entries 250 Mean RMS Current distribution, Sector 14 hc2 665 0.1321 240 Entries Mean 220 0.6988 RMS Current distribution, Sector 15 hc3 665 Entries 220 0.1622 0.7016 Mean RMS 200 hc4 665 Entries 220 0.1641 0.6509 200 hc5 665 Mean 0.1791 RMS 0.7475 Entries 200 180 665 Mean 0.2007 RMS 0.8541 200 200 180 180 160 160 140 140 120 120 100 100 80 80 80 60 60 60 40 40 40 20 20 20 160 180 140 160 140 150 120 120 100 100 100 80 50 0 0 -6 -4 -2 0 2 4 6 Current [nA] 0 -6 Current distribution, Sector 16 -4 -2 0 2 4 6 Current [nA] Mean RMS 0.1668 -2 0 2 4 6 Current [nA] 200 20 0 -6 Current distribution, Sector 18 Entries Mean 0.7888 180 -4 RMS -2 0 2 4 6 Current [nA] 0.2054 240 Entries Mean 220 0.8169 -6 0.1815 RMS -2 0 2 hc9 665 200 -4 240 Entries Mean 220 0.738 4 6 Current [nA] Current distribution, Sector 20 hc8 665 180 -4 Current distribution, Sector 19 hc7 665 40 0 -6 Current distribution, Sector 17 hc6 Entries 200 60 RMS hc10 665 Entries 220 0.1978 0.6972 200 665 Mean 0.1708 RMS 0.7119 200 180 160 160 180 180 140 140 160 160 120 120 140 140 120 100 120 100 100 100 80 80 80 80 60 60 60 60 40 40 20 20 160 140 40 40 20 20 0 120 100 0 -6 -4 -2 0 2 4 6 Current [nA] 0 -6 -4 -2 0 2 4 6 Current [nA] 80 60 40 20 0 -6 -4 -2 0 2 4 6 Current [nA] 0 -6 -4 -2 0 2 4 6 Current [nA] -6 -4 -2 0 2 4 6 Current [nA] Figura 4.14: Distribuzione delle correnti di dispersione (nA) per i secondi 10 settori. Si può notare come sono mediamente centrate sullo zero, con un RMS di circa 0.7 nA. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 4. REALIZZAZIONE DEL MODULO GEM 69 alta. In verità, 4 di questi sono stati trovati con 1 o 2 settori in corto o con una dispersione di corrente fuori dai limiti consentiti. Pertanto sono stati rimandati alla casa produttrice per una nuova ispezione ed un eventuale ripristino di tali settori. Comunque si parla di circa 5 settori malfunzionanti su un totale di 760, ovvero di una percentuale estremamente bassa di settori da recuperare. Infatti, apparte qualche piccola dispersione di corrente, nei limiti del consentito (avvenuta probabilmente per qualche granello di polvere bruciato all’interno dei fori), non si sono riscontrati ulteriori problemi sui fogli. Pertanto i test sono stati eseguiti regolarmente, con dispersioni registrate al di sotto di 1 nA come richiesto dal test. 4.5 Realizzazione del rivelatore GEM per JLab Una volta illustrato il processo fisico, il tendiGEM e il controllo di qualità dei fogli, si riportano brevemente i passi fondamentali per la realizzazione di un rivelatore GEM, all’interno della camera pulita di Catania. 1. Lavoro in camera pulita La camera bianca è un ambiente la cui caratteristica principale è la purezza dell’atmosfera, cioè a bassissimo contenuto di microparticelle di polvere in sospensione. La camera utilizzata è di classe 100 (per l’assemblaggio di una GEM generalmente è sufficiente una classe 1000), pertanto il numero massimo di particelle (> 0, 5µm) al metro cubo non supera i 100. Dunque è di fondamentale importanza l’abbigliamento da indossare e i materiali da utilizzare, poiché un elevato numero di microparticelle potrebbero danneggiare i fogli del rivelatore. L’abbigliamento da lavoro in camera bianca è costituito da: • cappellino protettivo per evitare inquinamento da capelli, forfora, ecc; • mascherina per eliminare eventuali particelle di saliva che essendo conduttive, potrebbero danneggiare i piani delle GEM; • camice per bloccare particelle del nostro abbigliamento; • sovrascarpe; • guanti privi di polveri; All’ingresso della camera pulita è posto un tappetino semiadesivo per pulire ulteriormente le sovrascarpe prima di entrare. Prima di iniziare qualsiasi operazione bisogna assicurarsi che all’interno della camera pulita ci siano le attrezzature indispensabili per il lavoro. Quelle specifiche per il rivelatore: Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 4. REALIZZAZIONE DEL MODULO GEM 70 • contenitore in plexiglas per test HV dei piani GEM; • contenitore in plexiglas per alloggiare i fogli GEM incollati sulla cornice; • contenitore finale da usare al di fuori della camera pulita; • attrezzatura per controllare la misura della resistività dei fogli GEM e delle cornici di incollaggio (computer, modulo HV, oscilloscopio,ecc.); • attrezzi per l’incollaggio GEM-frame (colla epox, rullini distributori, lamette, ecc.); • piano luminoso da usare per ispezione visiva di fogli GEM potenzialmente danneggiati ed eventuale preliminare pulizia; • saldatore da usare per le resistenze di protezione da saldare sui fogli GEM. 2. L’immissione in camera pulita del tensionatore GEM Il tendiGEM, utilizzato per l’incollaggio, richiede una pulizia preliminare molto accurata, trattandosi di un oggetto realizzato in un’officina meccanica, generalmente senza precauzioni particolari per la pulizia. Venendo a contatto con i fogli GEM, è richiesto il massimo della pulizia. Perciò si dovrà smontare l’apparecchiatura e pulirla minuziosamente in ogni sua parte: • separare tutti i componenti del tensionatore (celle di carico, manopole, rondelle, viti, ecc.); • mettere a bagno con acqua demineralizzata in una vasca a ultrasuoni per circa 20 min; • pulire le celle di carico, piastra e piastrone con etanolo; • asciugare tutti i componenti e introdurli in camera pulita. Pulito e rimontato, il âtenditoreâ verrà testato con un foglio di scarto all’interno della camera pulita (Figura 4.15), introducendo il necessario per leggere le celle di carico. 3. Procedura dei test sulla resistività dei fogli GEM I fogli GEM dovranno essere testati sulla tenuta elettrica, prima di essere utilizzati per la costruzione del rivelatore. Questo test misura la resistività del foglio e permette di evidenziare eventuali difetti che tendono a ridurre tale resistività, compromettendone il necessario isolamento per supportare l’alta tensione elettrica desiderata. La procedura è la seguente: • introdurre un singolo foglio in un box di plexiglas; • una volta chiuso ermeticamente il box, si flusserà con azoto per garantire un ambiente secco e controllato (riproducibile); Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 4. REALIZZAZIONE DEL MODULO GEM 71 Figura 4.15: Test sulla risposta del TendiGEM, una volta rimontato all’interno della camera pulita, attraverso la trazione di un foglio di mylar, utilizzato come prova. La risposta è risultata eccellente con una trazione uniforme in tutti i suoi lati, testimoniata dall’effetto specchio riscontrato. • si applicherà su ogni singolo settore del foglio, per diversi minuti e per mezzo di un alimentatore CAEN, una tensione circa doppia rispetto a quella di lavoro (550 V). Se non avverranno scariche e la corrente misurata è inferiore a circa 1 nA (R > 120 GΩ), il foglio supera il test, altrimenti si proverà a recuperarlo. 4. Procedura di incollaggio Una volta testate le tenute elettriche dei fogli e il tendiGEM pronto per essere adoperato, è possibile iniziare l’assemblaggio vero e proprio del rivelatore, che essenzialmente consiste nel tendere adeguatamente il foglio GEM e incollare su di esso la cornice meccanica. Pertanto l’incollaggio del foglio con la cornice è un passo fondamentale e molto delicato. Le procedure da ottemperare e i materiali da utilizzare saranno: • inserire le spine di riscontro negli appositi alloggi siti sul foglio e sulla cornice, onde evitare movimenti reciproci. Le spine dovranno essere del tipo acciaio rivestite in teflon. L’abbinamento è definito dal fatto che l’acciaio ha la necessaria rigidità ed evita la rottura quando le spine vengono sfilate, dopo l’incollaggio. Il teflon, materiale antiaderente, evita l’adesione della colla (resina) epossidica; • dopo aver tensionato la GEM, si prepara la cornice, anch’essa scrupolosamente pulita, che dovrà essere incollata al foglio. La dosatura della resina, per una maggior precisione, sarà eseguita con una spatolina. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 4. REALIZZAZIONE DEL MODULO GEM 72 Ciò che dovrà essere evitato in questa fase è l’eccesso di colla, pertanto è importante aumentarne gradatamente lo spessore. Ad operazione ultimata si stenderà con l’ausilio di un rullino in Teflon; • dopo aver accoppiato la GEM con la cornice, il tutto verrà pressato attraverso un sacco da vuoto, che verrà applicato direttamente sopra il tendiGEM stesso (Figura 4.16 a destra); la presa del collante richiede almeno 12 ore di riposo a temperatura ambiente; • una volta rimosso dal tendiGEM, si provvede a rifilare il foglio dall’eccesso di kapton lasciando soltanto le piste che porteranno l’alta tensione ai piani; • su i fogli GEM dovranno essere saldate le resistenze di protezione. Questa operazione, può causare il rilascio di piccole particelle di stagno, perciò si dovranno usare protezioni fra la zona di saldatura e il piano GEM; • i singoli piani incollati dovranno essere stoccati in apposite teche di plexiglass all’interno della camera pulita; Un incollaggio eseguito in modo âsempliceâ è quello del foglio di readout sul piano di honeycomb. In questo caso non si dovrà usare la macchina tendiGEM. Le fasi previste per incollare il foglio di readout sono le seguenti: • porre sul piano di granito un foglio di Mylar per evitare che una eventuale fuoriuscita di resina epox possa incollare il foglio di Kapton sul piano; • porre il foglio del readout con il lato lettura in basso a contatto del Mylar; • spalmare la colla sulla cornice da incollare alla quale è stato stondato il ciglio su cui verrà piegato il circuito. Il Mylar ed il Kapton vengono fermati da pochi pezzi di scotch. Il pannello a nido d’ape già con la colla spalmata per mezzo di un piccolo rullo, verrà guidato dai riferimenti dei 4 fori del foglio di Kapton. Per evitare che durante le fasi dell’incollaggio si possano muovere gli elementi interessati, si incollano 6 battute con blocchetti metallici rettificati. • l’ultima operazione è quella di riportare il readout all’interno del tendiGEM (usato solo come supporto, quindi nessuna trazione applicata) e utilizzare nuovamente il sacco da vuoto per garantire un incollaggio âpianoâ ed uniforme. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 4. REALIZZAZIONE DEL MODULO GEM 73 Una volta rimosso il sacco da vuoto, il read-out verrà depositato all’interno di una teca di plexiglass, in attesa dei passi successivi dell’assemblaggio, ovvero l’incollaggio del duo foglio-cornice. La cornice del piano di drift avrà i due lati incollati rispettivamente con un foglio di kapton ed un foglio di mylar per la chiusura finale. La parte fra i due piani verrà messa in comunicazione con il flussaggio del gas di modo che il piano di drift non verrà mai sottoposto a differenze di pressione tra i due lati, che potrebbero provocare rigonfiamenti, modificando la distanza drift-GEM e quindi il campo elettrostatico tra essi Figura 4.16: A sinistra: Sistema TendiGEM vuoto. A destra: Applicazione del sacco da vuoto sul TendiGEM per ottenere una pressione di 1 atm, affinché si possa raggiungere un incollaggio piano ed uniforme. 5. Assemblaggio Una volta incollato il readout con l’honeycomb e i vari fogli GEM con i frame, tutte le parti sono pronte per l’incollaggio definitivo. Quest’ultimo verrà effettuato con la seguente procedura: • si inizia l’incollaggio appoggiando il piano di mylar su uno di granito. Si distribuisce la resina sul lato dove è il piano di drift e si appoggia, dal lato GEM, la seconda cornice. Si pressa opportunamente inserendo anche le spine teflonate; • per il secondo incollaggio si toglieranno le spine teflonate e si ripeterà la procedura precedentemente descritta; • una volta incollati i telai con i fogli, la successiva operazione sarà quella dell’incollaggio finale della struttura GEM e drift sul piano di readout; • l’ultima operazione sarà quella di inserire i tubi per il passaggio del gas all’interno di tutta la camera GEM. Questi tubi verranno montati e incollati sui 2 lati più corti dell’honeycomb, dove vi sono gli appositi fori. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 4. REALIZZAZIONE DEL MODULO GEM 75 Figura 4.18: A sinistra: Configurazione classica dei tubi, inseriti in serie. A destra: Nuova configurazione dei tubi, inseriti in parallelo. Figura 4.19: Differenza di pressione al variare del gas flussato, per tubi da 4 mm e 6 mm di diametro inseriti in serie e in parallelo [34]. Figura 4.20: Modulo GEM assemblato ed installato in un supporto in alluminio per i test Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 Capitolo 5 Test sulle GEM 5.1 Set-up sperimentale Nel Dicembre 2014, sono stati testati 4 moduli, di larga area, a tripla GEM presso il Jülich Research Centre (Germania), attraverso un fascio di protoni da 2.8 GeV, utilizzando il COoler SYnchrotron (COSY )1 . L’obiettivo è stato quello di studiare la risposta dei rivelatori in condizioni di alta intensità di fascio ricevuta (confrontabile con quella di JLab anche se in una regione ristretta) al variare delle condizioni sperimentali, cioè al variare della tensione applicata, del flusso di gas, dell’intensità dei protoni e della posizione del tracciatore. Grazie a ciò, è stato anche possibile analizzare la risposta dei singoli moduli per quanto concerne lo strip clustering 2 e le efficienze, nonchè la stabilità globale del sistema. Il set-up sperimentale realizzato è stato il seguente: • 4 moduli GEM di larga area (40x50 cm2 ); • 1 modulo GEM di riferimento di piccola area (10x10 cm2 ); • 2 pad di scintillatori utilizzati come trigger; Il modulo GEM di piccola area è stato utilizzato come modulo di riferimento, visto che è stato già testato in passato e quindi si è sicuri della sua risposta sotto condizioni sperimentali. Per quanto concerne le variabili sperimentali adottate, queste sono: • tensione applicata ai moduli: 4000 V, 4050 V, 4100 V, 4150 V e 4200 V; 1 COSY è un acceleratore di particelle utilizzato per la ricerca fondamentale nel campo degli adroni, particelle e fisica nucleare. Esso è un anello di accumulazione, con circonferenza pari a 184 metri, per accelerare protoni in un range di impulso tra i 600 e 3700 MeV/c, corrispondenti ad una energia di fascio tra i 175 e i 2880 MeV [35]. 2 Raggruppamento di due o più strip colpite, nelle coordinate x e y, per ogni evento. 76 Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 77 • miscela di gas: Ar/CO2 (70/30); • flusso nominale di gas all’interno dei moduli: 1 V/h, 2 V/h, 3 V/h e 4 V/h; • intensità del fascio: 1.4 · 109 , 8.0 · 109 e 1.6 · 1010 protons/bunch; • lunghezza del bunch: circa 122 secondi; • profilo del fascio: circa 10 cm2 ; • variazione della posizione del tracciatore; In realtà, i valori del gas flussato sono molto più alti rispetto a quelli nominali sopramenzionati, a causa di un errore di configurazione del software impostato su flussaggio in serie dei 4 moduli, anzichè in parallelo come nella configurazione reale. Ciò vuol dire che ad 1 V/h nominale, ogni camera, in pratica, ricambiava il volume di gas ogni 15 min, per cui in un ora ogni modulo ricambiava 4 Volumi di gas. Pertanto, il valore nominale deve essere moltiplicato per 4, per ottenere l’effettivo valore di gas flussato per modulo. Quindi, i vari rivelatori hanno lavorato, realmente, sotto pressioni di gas molto elevate, fino a toccare i 16 V/h (circa 4 volte superiore alle condizioni del JLab), riscontrando una buona stabilità del sistema e nessuno effetto significativo sul gas. Comunque, tutti i risultati saranno riportati secondo i valori nominali di gas flussato e, quindi, per ottenere il valore effettivo bisogna tener conto di un fattore moltiplicativo pari a 4. Ogni modulo è dotato di un partitore (divider HV ) di tensione, provvisto di resistori come quello mostrato in Figura 5.1, in modo tale da poter scegliere quanta tensione portare ad ogni singolo foglio GEM. Nella Tabella 5.1 sono riportati i valori nominali dei resistori dei partitori utilizzati nei 4 moduli, più quello di riferimento. Lo schema elettrico sul posizionamento delle resistenze è il seguente: le resistenze R3, R5 ed R7 danno la tensione ai capi dei fogli GEM, rispettivamente al primo, al secondo e al terzo foglio (in ordine dal drift all’honeycomb). Mentre le le resistenze R2, R4, R6 ed R8 sono quelle tra i fogli GEM, ovvero R2 tra il foglio di drift e la prima GEM, R4 tra la prima GEM e la seconda GEM, R6 tra la seconda GEM e la terza GEM ed infine R8 tra la terza GEM e il read-out. Invece R1 è una resistenza di protezione sita tra il generatore e il foglio di drift. Come si può notare dalla Tabella 5.1, il modulo 0 e il modulo 3 hanno lo stesso valore di resistenze montate, mentre il modulo 1 e il modulo 2 hanno alcuni resistori con valore nominale diverso. Nel partitore del modulo 2 sono presenti alcuni resistori con valori più alti rispetto a tutti gli altri partitori, pertanto tale modulo ha operato ad una tensione più alta degli altri. Anche il modulo 1 ha lavorato ad una tensione più alta dei moduli 0 e 3, ma comunque inferiore a quella del modulo Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 78 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM Tabella 5.1: valori nominali dei resistori montati nei partitori di tensione. Il modulo 0 e il modulo 3 hanno gli stessi resistori, mentre il modulo 2 e il modulo 1 hanno alcuni resistori con valori differenti. R1 [Ω] R2[Ω] R3 [Ω] R4 [Ω] R5 [Ω] R6 [Ω] R7 [Ω] R8 [Ω] Module 0 441 K 7.2 M 3.76 M 7.2 M 3.63 M 7.2 M 2.98 M 7.2 M Module 1 441 K 7.2 M 3.92 M 7.2 M 3.57 M 7.2 M 3.57 M 7.2 M Module 2 441 K 7.2 M 3.92 M 7.2 M 3.92 M 7.2 M 3.92 M 7.2 M Module 3 441 K 7.2 M 3.76 M 7.2 M 3.63 M 7.2 M 2.98 M 7.2 M Module Ref 441 K 4.8 M 2.66 M 4.8 M 2.66 M 4.8 M 2.27 M 4.8 M 2. Cosı̀ facendo, questa distribuzione di tensione ha fatto si che il modulo 2 e il modulo 1 ricevessero una tensione più alta rispetto al modulo 0 e al modulo 3. Questa differente tensione operante nei tracciatori la si noterà nell’efficienza e nel guadagno relativo dei singoli moduli, come si vedrà successivamnete. Figura 5.1: Partitore utilizzato durante i test di Jülich. Il programma eseguito per i test è stato quello di effettuare diversi run (da 50000 eventi) al variare della tensione applicata ai moduli e del gas flussato, mantenendo costante l’intensità del fascio incidente. Questa procedura la si è ripetuta anche per le altre 2 intensità di fascio. Lo spostamento del tracciatore è stato effettuato solo con l’intensità di 1.6 · 1010 protons/bunch. I 4 moduli da testare sono stati inseriti all’interno di un supporto in alluminio e disposti l’uno davanti all’altro, con la base di honeycomb rivolta verso il fascio in uscita dal condotto. Davanti a tutto il sistema assemblato, in direzione opposta all’uscita del fascio, si è installato rispettivamente lo scintillatore plastico e la GEM di riferimento, mentre il secondo scintillatore, da accoppiare a quello precedente, è stato installato dietro il blocco con i 4 moduli all’interno, proprio davanti l’uscita Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 79 dei protoni dal condotto. Il tutto è stato riposto sopra un piano di lavoro ad una altezza di circa 150 cm da terra. Tutto il sistema ultimato è mostrato in Figura 5.2 e in Figura 5.3. È possibile utilizzare la Figura 5.2 per identificare i moduli GEM Figura 5.2: Set up sperimentale dei 4 moduli GEM montati all’interno di un supporto in alluminio. Da sinistra a destra sono installati rispettivamente: lo scintillatore di piccola area (pad in nero), una GEM di riferimento di piccola area (riquadro con cornice gialla), i 4 moduli GEM di larga area, nel preciso ordine di modulo 0, modulo 1, modulo 2 e modulo 3. Alle spalle dell’ultimo modulo (non visibile dalla foto) vi è una seconda pad di scintillazione. Figura 5.3: Visione laterale del sistema sperimentale, dove si possono notare i 4 moduli GEM più quella di piccola area, le pad scintillanti (pad nere a sinistra e a destra) e anche il condotto di uscita dei protoni (bordo destro della foto). utilizzati. Da sinistra verso destra si ha rispettivamente, oltre allo scintillatore Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 80 e alla GEM di riferimento, il modulo 0, il modulo 1, il modulo 2 e il modulo 3. Quindi, considerando che il fascio arriva alle spalle del sistema, il modulo 3 è il primo modulo a intercettare i protoni del fascio. 5.2 Caratterizzazione del tracciatore GEM La caratterizzazione di un modulo GEM è stata eseguita attraveso l’analisi di diversi aspetti, quali: • Run di piedistallo. • Guadagno relativo. • Visualizzazione degli hit. • Confronto tra run, al variare delle condizioni sperimentali. • Efficienza dei moduli. 5.2.1 Run di piedistallo Come già scritto pocanzi, sono stati realizzati diversi run al variare delle condizioni sperimentali. Tra questi run, sono stati anche effettuati quelli di piedistallo, in modo tale da verificare quanto rumore trasportano le schede di front-end, in assenza di eventi fisici, cosı̀ da sottrarlo durante il processamento dei dati da analizzare. I run di piedistallo sono stati 12 e realizzati uno ogni 5 ore circa per osservare eventuali variazioni nel tempo di carica registrata. A titolo di esempio si riportano solamente quelli che sono stati utilizzati per questo lavoro di tesi, ovvero i run 237, 359, 394 e 416, confrontabili rispettivamente nelle seguenti figure: Figura 5.4, Figura 5.5, Figura 5.6 e Figura 5.7. Come si nota, ogni run di piedistallo effettuato registra mediamente una carica di circa 23 unità ADC (sarebbe auspicabile scendere sotto il valore 20). Questo significa che non vi è stata nessuna variazione nel funzionamento delle schede e nelle condizioni di lavoro durante tutto il periodo di test. Pertanto la quantità di carica trasportata dalle carte di front-end, in assenza di eventi sperimentali, è rimasta uniforme nel tempo, come ci si aspettava. L’altro aspetto da marcare è la quantità di rumore registrata. Si sono notate alcune carte abbastanza rumorose, ma queste potrebbero essere dovute alle loro connessioni elettroniche, ovvero ai cavi HDMI da 6 metri. Tuttosommato, il valore medio di 23 ADC, se confrontato con l’ampiezza media di un segnale tipico, circa 800/1000 ADC (Figura 3.29), si intuisce che potrebbe essere considerato un valore accettabile, ma sicuramente migliorabile in futuro. ADC RMS of Pedestal vs ft.ach (run 237) 100 80 60 40 20 0 0 2000 4000 6000 8000 10000 12000 14000 16000 18000 20000 22000 channel card (x/y) RMS count hrms 10 Entries Mean RMS 3 20480 23.64 9.735 102 10 1 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 ADC Figura 5.4: Run di piedistallo #237. Nella figura in alto vi è rappresentata la quantità di carica trasportata (in unità di ADC) dalle carte di front-end. Nell’immagine in basso vi è la distribuzione della carica registrata, mediamente 23 ADC. ADC RMS of Pedestal vs ft.ach (run 359) 100 80 60 40 20 0 2000 4000 6000 8000 10000 12000 14000 16000 18000 20000 22000 channel card (x/y) RMS hrms count Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 81 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 10 Entries Mean RMS 3 20480 22.82 8.759 102 10 1 20 40 60 80 100 120 140 160 180 ADC Figura 5.5: Run di piedistallo #359. Nella figura in alto vi è rappresentata la quantità di carica trasportata (in unità di ADC) dalle carte di front-end. Nell’immagine in basso vi è la distribuzione della carica registrata, mediamente 22 ADC. ADC RMS of Pedestal vs ft.ach (run 394) 100 80 60 40 20 0 2000 4000 6000 8000 10000 12000 14000 16000 18000 20000 22000 channel card (x/y) RMS count hrms Entries Mean RMS 10 20480 24.1 12.23 3 102 10 1 50 100 150 200 250 300 350 400 ADC Figura 5.6: Run di piedistallo #394. Nella figura in alto vi è rappresentata la quantità di carica trasportata (in unità di ADC) dalle carte di front-end. Nell’immagine in basso vi è la distribuzione della carica registrata, mediamente 24 ADC. ADC RMS of Pedestal vs ft.ach (run 416) 100 80 60 40 20 0 2000 4000 6000 8000 10000 12000 14000 16000 18000 20000 22000 channel card (x/y) RMS hrms count Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 82 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM Entries Mean RMS 10 20480 22.71 10.65 3 102 10 1 50 100 150 200 250 300 350 ADC Figura 5.7: Run di piedistallo #416. Nella figura in alto vi è rappresentata la quantità di carica trasportata (in unità di ADC) dalle carte di front-end. Nell’immagone in basso vi è la distribuzione della carica registrata, mediamente 22 ADC. 5.2.2 Guadagno relativo In questa sezione si stimano i guadagni relativi dei singoli moduli rispetto alla tensione applicata e al gas flussato nel sistema. Si intende per guadagno relativo il numero di elettroni prodotti per singolo bunch di un evento rispetto al numero di elettroni prodotti, sempre per singolo bunch, della GEM di riferimento, tenuta ad una tensione costante di 4200 V per tutta la durata del test. Nella Figura 5.8 è mostrato l’andamento del guadagno relativo dei singoli moduli al variare della tensione erogata, e precisamente per 4000 V, 4100 V e 4200 V. Relative Gain vs HV Relative gain Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 83 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 5 Modulo 0 Modulo 1 4.5 Modulo 2 Modulo 3 4 3.5 3 2.5 2 1.5 1 0.5 0 4000 4050 4100 4150 4200 [V] Figura 5.8: Andamento del guadagno relativo dei singoli moduli GEM al variare della tensione applicata, ad un valore nominale di gas flussato di 1 Volume/h. Come si può notare, il guadagno relativo del modulo 2 risulta essere il più alto rispetto ai rimanenti moduli. Questo è un risultato preventivabile data la diversa tensione ripartita nei 4 moduli, come già accennato nel paragrafo precedente. Infatti, come già descritto nel capitolo 3, all’aumentare della tensione applicata aumenta l’intensità del campo elettrico all’interno dei fori dei fogli GEM, con il conseguente risultato di una maggiore ionizzazione del gas e, quindi, di un maggior numero di elettroni prodotti nel rivelatore. Quindi, in definitiva, i moduli 0 e 3 hanno un basso guadagno, molto simili tra loro, mentre il modulo 1 è leggermente più alto dei precedenti e, infine, il modulo 2 è decisamente il più alto dei 4. Globalmente non si apprezza un grande guadagno a 4000 V, mentre si iniziano ad avere dei guadagni importanti a 4100 V e 4200 V, rispettivamente di circa 6 · 103 e 1.4 · 104 . È possibile osservare anche le variazioni del guadagno relativo in funzione dei volumi di gas erogato, mantenendo costante la tensione applicata ai moduli. Questa tipologia di analisi è stata eseguita ad un valore di tensione di 4100 V e 4150 V, come è possibile osservare nella Figura 5.9 e nella Figura 5.8. Relative gain Relative gain vs Gas flow at 4100 Volt Modulo 0 4 Modulo 1 Modulo 2 3.5 Modulo 3 3 2.5 2 1.5 1 0.5 0 1 2 3 4 Gas flow [V/h] Figura 5.9: Andamento del guadagno relativo dei singoli moduli GEM al variare del gas flussato, ad un volore di tensione di 4100 V. Il V/h è in valore nominale, percui è riferito all’intero sistema dei 4 moduli messo in serie, quindi il V/h cambiato sul singolo modulo è 4 volte più grande. Relative gain vs Gas flow at 4150 Volt Relative gain Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 84 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 5 Modulo 0 4.5 Modulo 1 Modulo 2 Modulo 3 4 3.5 3 2.5 2 1.5 1 0.5 0 1 1.5 2 2.5 3 Gas flow [V/h] Figura 5.10: Andamento del guadagno relativo dei singoli moduli GEM al variare del gas flussato, ad un volore di tensione di 4150 V. Il V/h è in valore nominale, percui è riferito all’intero sistema dei 4 moduli messo in serie, quindi il V/h cambiato sul singolo modulo è 4 volte più grande. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 85 I grafici mostrano che il guadagno relativo subisce una variazione minima all’aumentare del flusso di gas, tanto da poterlo considerare un andamento costante, sia a 4100 V che a 4150 V. Pertanto è possibile affermare entro la sensibilità della strumentazione, che il guadagno non ha nessuna dipendenza dalla quantità di gas flussato all’interno dei moduli GEM, ma dipende solamente dalla tensione applicata ai singoli tracciatori. 5.2.3 Visualizzazione degli hit I segnali uscenti dalle strip dei tracciatori vengono visualizzati attraverso software e analizzati successivamente offline. Come già accennato nel capitolo 3, i segnali sono campionati in 6 sample ogni 25 ns, come mostrato in Figura 5.11 a titolo di esempio. Figura 5.11: Tipico segnale APV, dove sono ben visibili i 6 sample di campionamento per le strip in x (la prima riga) e lungo le strip in y (seconda riga). La settima colonna rappresenta una combinazione dei primi tre sample per mettere in risalto l’hit del segnale. L’ultima colonna rappresenta il fit sui punti dei sample. Sull’asse x vi è il tempo di campionamento, ovvero ogni 25 ns, mentre sull’asse delle y vi è la quantità di carica registrata in unità di ADC. In verde, chiaramente, il fit che meglio approssima il segnale. La funzione di fit utilizzata è una funzione a doppio esponenziale [32]. La visualizzazione dei sample può essere considerata come una analisi preliminare dei segnali APV, cosı̀ da intuire, in prima approssimazione, la presenza e la quantità di rumore trasportato, in poche parole si osserva la qualità. Questa visualizzazione viene eseguita, in particolar modo, durante l’analisi temporale dei segnali, in modo tale da poter selezionare quelli dove poter estrapolare informazioni utili e attendibili. Per questa tipologia di analisi si rimanda al capitolo 7. Infine, è importante notare l’ampiezza dei singoli sample, ovvero la carica massima Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 86 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM individuata per singolo campionamento, poiché sarà utile per la comprensione di un confronto eseguito nel paragrafo successivo. 5.2.4 Confronto dei run Per poter ottenere una caratterizzazione completa dell’apparato si è scelto di confrontare diversi run al variare delle condizioni sperimentali, come detto all’inizio del capitolo, per verificarne le differenze e le eventuali dipendenze. Si è voluto confrontare la risposta di clustering dei vari moduli e si è scelto di analizzare i seguenti run: 252, 265, 268 e 456. Per ogni confronto si riportano, a titolo di esempio, rispettivamente i grafici relativi ai moduli 0, 1 e 3. Le caratteristiche di questi run sono riportate in Tabella 5.2. Tabella 5.2: Caratteristiche dei run scelti per la caratterizzazione dei moduli GEM. Run Gas Flow [V/h] Beam Intensity [protons/bunch] HV 252 2 1.4 · 109 4100 265 3 1.4 · 109 4100 268 3 1.4 · 109 4200 2 10 4100 456 1.6 · 10 Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 87 Run 252 vs Run 265 Si è confrontato il run 252 con il run 265. • Stessa tensione applicata: 4100 V. • Stessa intensità di fascio: 1.4 · 109 protons/bunch. • Diverso gas flow: (252) 2 V/h vs (265) 3 V/h. Di seguito si riportano diversi plot sulle proprietà di clustering dei vari moduli, per i 2 run in questione, dove si possono notare analogie e differenze dei risultati ottenuti, in entrambe le coordinate, cosı̀ come per tutti i successivi confronti. In questo confronto si cercano eventuali dipendenze dei risultati al variare della quantità di gas flussato. Il primo confronto riguarda le strip coinvolte all’interno di un cluster, per entrambe le coordinate (Figura 5.12 e Figura 5.13). Considerando che la nuvola elettronica raccolta dalle strip ha mediamente un diametro di circa 500 µm e le strip hanno una larghezza di 400 µm, si deduce che, in media, un cluster sia formato da 1 o 2 strip. Quello che si evince dai grafici è proprio questo risultato atteso, ovvero che un cluster, mediamente, è formato da 1.3 e 1.4 strip, rispettivamente in x e y. In questo caso non si apprezzano notevoli differenze tra i due run in questione. Il secondo confronto riguarda il sample che registra la carica massima, in x e in y (Figura 5.14 e Figura 5.15). Come già accennato precedentemente, un segnale APV è composto da 6 sample che registrano la carica in un arco temporale prestabilito. Per come è formato il segnale, ci si aspetta un picco di carica registrata intorno al secondo o terzo sample, vedasi Figura 5.11. Anche in questo caso, i risultati confermano le attese, ovvero che i massimi di carica si ottengono tra il secondo e il terzo sample, in entrambe le coordinate e in entrambi i run. Quindi, come per il precedente confronto, non si osservano grosse differenze tra i run in questione. Il terzo confronto concerne il numero di cluster per singolo evento, sempre nelle coordinate x e y (Figura 5.16 e Figura 5.17). Anche in questo caso non si apprezzano significative differenze tra i due run. Il quarto ed ultimo confronto concerne la quantità di carica registrata per ogni cluster, in x e in y (Figura 5.18 e Figura 5.19). Come accennato nel capitolo 3, le strip del read-out sono costruite in modo tale da poter leggere una uguale quantità di carica in entrambe le coordinate. Come si evince dai risultati, tale distribuzione di carica sugli assi è molto simile tra loro, tanto che il plot della correlazione è piccato sullo zero. Quindi, il confronto tra i due run conferma questa previsione e anche l’indice di correlazione tra x e y risulta in linea con l’attesa. Anche in questo ultimo confronto, non si notano molte Strips in cluster - x axis, run 252, module 0 104 Strips in cluster - y axis, run 252, module 0 htemp htemp Entries 37242 Entries 37242 Mean 1.543 Mean 1.394 RMS 0.5591 RMS 0.594 104 Strips in cluster x vs y, run 252, module 0 3 Strips in cluster-y axis 10 3 10 102 5 4.5 12000 4 10000 3.5 3 102 8000 2.5 6000 2 1.5 10 4000 1 2000 10 0 0.5 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 Strips in cluster-x axis 0 1 2 3 4 5 6 Strips in cluster-y axis 0 0 1 2 3 4 5 6 Strips in cluster-x axis 0 Figura 5.12: Grafico rappresentante il numero di strip coinvolte in un cluster nel modulo 0 del run 252, nelle coordinate x (a sinistra) e nelle coordinate y (al centro). A destra è rappresentato, invece, uno scatter plot delle strip contenute in un cluster nelle coordinate x e y. Strips in cluster - x axis, run 265, module 0 Strips in cluster - y axis, run 265, module 0 htemp htemp Entries 36357 Entries 36357 Mean 1.422 Mean 1.291 RMS 0.5735 RMS 0.5438 104 104 Strips in cluster x vs y, run 265, module 0 Strips in cluster-y axis Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 88 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 3 10 3 10 102 9 8 16000 7 14000 6 12000 5 10000 4 8000 3 6000 2 4000 102 10 0 2000 1 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Strips in cluster-x axis 0 1 2 3 4 5 6 Strips in cluster-y axis 0 0 1 2 3 4 5 6 Strips in cluster-x axis 0 Figura 5.13: Grafico rappresentante il numero di strip coinvolte in un cluster nel modulo 0 del run 265, nelle coordinate x (a sinistra) e nelle coordinate y (al centro). A destra è rappresentato uno scatter plot delle strip contenute in un cluster nelle coordinate x e y. differenze tra i due run in esame. Per una maggiore comprensione del confronto tra i run 252 e 265, si sono inseriti i risultati all’interno della Tabella 5.3. I grafici in 5.20 e 5.21 mostrano le differenze relative tra i due run confrontati. Sample with max charge on x axis, run 252, module 0 Sample with max charge on y axis, run 252, module 0 htemp htemp Entries 37242 Entries 37242 Mean 2.597 Mean 2.614 RMS 0.5015 RMS 0.4962 104 104 Sample with max charge x vs y, run 252, module 0 3 3 Sample max charge on y axis 10 102 10 4 14000 3.5 12000 3 10000 2.5 8000 2 6000 1.5 10 4000 1 2000 0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 Sample max charge on x axis 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 Sample max charge on y axis 0 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 Sample max charge on x axis 0 Figura 5.14: Plot sul sample con la carica massima registrata, nel modulo 0 del run 252. A sinistra: Rappresentazione del sample che ha registrato la massima carica, nella coordinata x. Al centro: Rappresentazione del sample che ha registrato la carica massima, nella coordinata y. A destra: Scatter plot, in x e y, dei sample con carica massima registrata. Sample with max charge on x axis, run 265, module 0 Sample with max charge on y axis, run 265, module 0 htemp htemp Entries 36357 Entries 36357 Mean 2.772 Mean 2.733 RMS 0.4394 RMS 0.4648 4 10 104 Sample with max charge x vs y, run 265, module 0 Sample max charge on y axis Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 89 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 3 10 3 10 102 5 20000 4.5 18000 4 16000 3.5 14000 3 12000 2.5 10000 2 8000 1.5 102 6000 1 10 4000 0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 Sample max charge on x axis 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 Sample max charge on y axis 0 0 2000 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 Sample max charge on x axis 0 Figura 5.15: Plot sul sample con la carica massima registrata, nel modulo 0 del run 265. A sinistra: Rappresentazione del sample che ha registrato la massima carica, nella coordinata x. Al centro: Rappresentazione del sample che ha registrato la carica massima, nella coordinata y. A destra: Scatter plot, in x e y, dei sample con carica massima registrata. #Cluster/Event - y, run 252, module 0 #Cluster/Event - x, run 252, module 0 104 htemp htemp Entries 37242 Entries 37242 Mean 2.45 Mean 2.043 RMS 1.693 RMS 1.288 104 3 10 3 10 #Cluster/Event-y axis #Cluster/Event x vs y 102 102 25 5000 20 4000 15 10 3000 10 1 0 5 10 15 1 0 20 25 #Cluster/Event-x axis 2 4 6 8 10 12 14 16 #Cluster/Event-y axis 10 2000 5 1000 0 0 2 4 6 8 10 12 14 16 #Cluster/Event-x axis 0 Figura 5.16: Grafico rappresentante il numero di cluster formatosi in un evento, nel modulo 0 del run 252. A sinistra: Numero di cluster per singolo evento, nella coordinata x. Al centro: Numero di cluster per singolo evento, nella coordinata y. A destra: Scatter plot dei cluster formatosi durante un evento, in x e y. #Cluster/Event - y, run 265, module 0 #Cluster/Event - x, run 265, module 0 htemp htemp Entries 36357 104 Mean 2.471 RMS 1.705 Entries 36357 4 10 Mean 2.054 RMS 1.309 3 10 3 10 102 #Cluster/Event x vs y #Cluster/Event-y axis Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 90 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 102 5000 30 25 4000 20 10 3000 10 15 2000 10 1 0 1 5 10 15 20 25 30 #Cluster/Event-x axis 0 1000 5 5 10 15 20 25 #Cluster/Event-y axis 0 0 5 10 15 20 25 #Cluster/Event-x axis 0 Figura 5.17: Grafico rappresentante il numero di cluster formatosi in un evento, nel modulo 0 del run 265. A sinistra: Numero di cluster per singolo evento, nella coordinata x. Al centro: Numero di cluster per singolo evento, nella coordinata y. A destra: Scatter plot dei cluster formatosi durante un evento, in x e y. x Charge on cluster y Charge on cluster htemp Entries 31750 Mean 191.3 RMS 92.3 2200 2000 htemp Entries 31750 Mean 174.3 RMS 83.01 2500 1800 2000 1600 1400 1500 1200 1000 1000 800 600 500 400 200 0 0 100 200 300 400 500 600 700 0 800 x Charge (A.U.) 0 100 200 300 Charge _y (A.U.) 400 500 600 700 800 900 y Charge (A.U.) 2.*(Cx-Cy)/(Cx+Cy) Maximum Charge on single strip 1400 900 800 htemp Entries 31750 Mean 0.08043 RMS 0.4051 3000 1200 2500 700 1000 2000 600 800 500 1500 400 600 300 1000 400 200 200 100 0 0 100 200 300 400 500 600 700 800 Charge _x (A.U.) 0 500 0 -1.5 -1 -0.5 0 0.5 1 1.5 x-y Charge Asymmetry Figura 5.18: Grafico rappresentante la carica registrata per ogni cluster, in x e in y, nel modulo 0 del run 252. In alto a sinistra: Carica registrata su ogni cluster, nella coordinata x. In alto a destra: Carica registrata su ogni cluster, nella coordinata y. In basso a sinistra: Scatter plot della carica registrata sul cluster, in x e y. In basso a destra: Correlazione di carica o asimmetria di carica, per le coordinate x e y. x Charge on cluster y Charge on cluster htemp Entries 31877 Mean 163.1 RMS 74.46 2200 2000 htemp Entries 31877 Mean 154.7 RMS 74.64 3000 2500 1800 1600 2000 1400 1200 1500 1000 800 1000 600 400 500 200 0 0 100 200 300 400 500 0 600 x Charge (A.U.) 0 100 200 300 400 500 600 700 800 y Charge (A.U.) 2.*(Cx-Cy)/(Cx+Cy) Maximum Charge on single strip Charge _y (A.U.) Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 91 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 800 htemp Entries 31877 Mean 0.04519 RMS 0.3899 1800 700 1600 600 1400 3000 2500 1200 500 2000 1000 400 800 1500 300 600 200 0 1000 400 100 200 0 100 200 300 400 500 600 Charge _x (A.U.) 0 500 0 -1.5 -1 -0.5 0 0.5 1 1.5 x-y Charge Asymmetry Figura 5.19: Grafico rappresentante la carica registrata per ogni cluster, in x e in y, nel modulo 0 del run 265. In alto a sinistra: Carica registrata su ogni cluster, nella coordinata x. In alto a destra: Carica registrata su ogni cluster, nella coordinata y. In basso a sinistra: Scatter plot della carica registrata sul cluster, in x e y. In basso a destra: Correlazione di carica o asimmetria di carica, per le coordinate x e y. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 92 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM Tabella 5.3: Risultati del confronto tra il run 252 e il run 265 Strips in cluster x/y mean Sample with max charge x/y mean Cluster/Event x/y mean Charge on cluster x/y mean ADC Correlation mean 0 1.54/1.39 2.59/2.61 2.45/2.04 191.3/174.3 0.08 265 0 1.42/1.29 2.77/2.73 2.47/2.05 163.1/154.7 0.04 252 1 1.50/1.58 2.08/2.03 2.57/2.42 250.3/245.7 0.04 265 1 1.47/1.62 2.15/2.20 2.61/2.48 234.8/239.2 -0.007 252 2 1.50/2.10 1.96/1.92 2.06/2.85 346.3/314.7 0.07 265 2 1.53/2.11 1.99/2 2.03/2.85 367.9/318.4 0.08 252 3 1.52/1.54 2.11/2.18 2.10/2.19 238.6/212.9 0.1 265 3 1.53/1.52 2.14/2.24 2.11/2.24 245.3/208.9 0.14 Run Module 252 Come si può notare dai grafici in 5.20 e 5.21, le differenze tra le proprietà di clustering dei run 252 e 256 sono prossime allo zero, quindi non vi è nessuna dipendenza apprezzabile dei risultati dalla quantità di gas flussato all’interno dei moduli GEM. I risultati attesi, argomentati per ogni grafico inserito, valgono per tutti gli altri confronti eseguiti successivamente, pertanto, da qui in avanti, si inseriscono solamente i plot e si riportano i valori finali all’interno di una tabella riassuntiva, in modo tale da non essere ripetitivi. Realtive Difference of Sample with Max Charge x (RDSMCx), run (252-265)*2/(252+265) 1 RDSMCX RDSCx Relative Difference of Strips in Cluster x (RDSCx), run (252-265)*2/(252+265) 0.8 1 0.8 0.6 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 0 0 -0.2 -0.2 -0.4 -0.4 -0.6 -0.6 -0.8 -10 -0.8 1 2 -10 3 MODULE 0.8 2 3 MODULE 1 0.8 0.6 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 0 0 -0.2 -0.2 -0.4 -0.4 -0.6 -0.6 -0.8 -10 1 Relative Difference of Charge on Cluster x (RDCCx), run (252-265)*2/(252+265) 1 RDCCx RDCEx Realtive Difference of Cluster/Event x (RDCEx), run (252-265)*2/(252+265) -0.8 1 2 3 MODULE -10 1 2 3 MODULE Difference of ADC Correlation (DADCC), run (252-265) DADCC Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 93 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 5 4 3 2 1 0 -1 -2 -3 -4 -5 0 1 2 3 MODULE Figura 5.20: Grafici riassuntivi che mostrano le differenze relative dei 4 confronti effettuati, nella coordinata x, dei run 252 e 265. In aggiunta vi è anche il grafico che mostra solo la differenza di correlazione di carica tra i 2 run in esame, questo perchè la differenza relativa di valori prossimi allo zero potrebbe alterare il reale andamento delle differenze. Come si può notare, tutte le diffrenze sono entro circa il 10%. 1 Realtive Difference of Sample with Max Charge y (RDSMCy), run (252-265)*2/(252+265) RDSMCX RDSCx Relative Difference of Strips in Cluster y (RDSCy), run (252-265)*2/(252+265) 0.8 1 0.8 0.6 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 0 0 -0.2 -0.2 -0.4 -0.4 -0.6 -0.6 -0.8 -1 0 -0.8 1 2 -1 0 3 MODULE Realtive Difference of Cluster/Event y (RDCEy), run (252-265)*2/(252+265) 1 0.8 3 MODULE 0.8 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 0 0 -0.2 -0.2 -0.4 -0.4 -0.6 -0.6 -1 0 2 1 0.6 -0.8 1 Relative Difference of Charge on Cluster y (RDCCy), run (252-265)*2/(252+265) RDCCx RDCEx Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 94 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM -0.8 1 2 3 MODULE -1 0 1 2 3 MODULE Figura 5.21: Grafici riassuntivi che mostrano le differenze dei 4 confronti effettuati, nella coordinata y, dei run 252 e 265. Come si può notare, le diffrenze sono prossime allo zero. Run 265 vs Run 268 Si è confrontato il run 265 con il run 268. • Stesso gas flow: 3 V/h. • Stessa intensità di fascio: 1.4 · 109 protons/bunch. • Diversa tensione applicata: (265) 4100 V vs (268) 4200 V. In questo confronto si valutano le prestazioni al variare dell’alta tensione per i differenti moduli. Di seguito si riportano i 4 confronti sul clustering dei run in questione. Tali confronti sono analoghi a quelli precedenti e pertanto si riportano solo i grafici. Pertanto si osserverà: Strip in cluster (Figura 5.22 e Figura 5.23); sample with max charge (Figura 5.24 e Figura 5.25); cluster/event (Figura 5.26 e Figura 5.27); charge on cluster (Figura 5.28 e Figura 5.29). Strips in cluster - x axis, run 265, module 1 104 Strips in cluster - y axis, run 265, module 1 htemp htemp Entries 43226 Entries 43226 Mean 1.476 Mean 1.652 RMS 0.5616 RMS 0.6448 104 3 Strips in cluster x vs y, run 265, module 1 Strips in cluster-y axis 10 3 10 102 10 6 12000 5 10000 4 8000 3 2 10 6000 2 1 0 4000 1 1 2 3 4 5 6 Strips in cluster-x axis 0 1 2 3 4 5 6 Strips in cluster-y axis 0 0 2000 1 2 3 4 5 6 Strips in cluster-x axis 0 Figura 5.22: Grafico rappresentante il numero di strip coinvolte in un cluster nel modulo 1 del run 265, nelle coordinate x (a sinistra) e nelle coordinate y (al centro). A destra è rappresentato, invece, uno scatter plot delle strip contenute in un cluster nelle coordinate x e y. Strips in cluster - x axis, run 268, module 1 104 Strips in cluster - y axis, run 268, module 1 htemp htemp Entries 46478 Entries 46478 Mean 1.501 Mean 1.666 RMS 0.5899 RMS 0.6944 104 Strips in cluster x vs y, run 268, module 1 3 3 10 10 Strips in cluster-y axis Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 95 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 2 2 10 10 6 14000 5 12000 4 10000 8000 3 10 10 6000 2 4000 1 1 0 1 2 3 4 5 6 Strips in cluster-x axis 1 0 1 2 3 4 5 6 Strips in cluster-y axis 0 0 2000 1 2 3 4 5 6 Strips in cluster-x axis 0 Figura 5.23: Grafico rappresentante il numero di strip coinvolte in un cluster nel modulo 1 del run 268, nelle coordinate x (a sinistra) e nelle coordinate y (al centro). A destra è rappresentato, invece, uno scatter plot delle strip contenute in un cluster nelle coordinate x e y. Sample with max charge on x axis, run 265, module 1 Sample with max charge on y axis, run 265, module 1 htemp htemp Entries 43226 Entries 43226 Mean 2.15 Mean 2.119 RMS 0.4056 RMS 0.4373 Sample with max charge x vs y, run 265, module 1 Sample max charge on y axis 104 104 4 3.5 25000 3 20000 2.5 15000 2 1.5 3 10 10000 1 5000 0.5 3 10 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 Sample max charge on x axis 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 Sample max charge on y axis 0 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 Sample max charge on x axis 0 Figura 5.24: Plot sul sample con la carica massima registrata, nel modulo 1 del run 256. A sinistra: Rappresentazione del sample che ha registrato la massima carica, nella coordinata x. Al centro: Rappresentazione del sample che ha registrato la carica massima, nella coordinata y. A destra: Scatter plot, in x e y, dei sample con carica massima registrata. Sample with max charge on x axis, run 268, module 1 Sample with max charge on y axis, run 268, module 1 htemp htemp Entries 46478 Entries 46478 Mean 2.123 Mean 2.1 RMS 0.3813 RMS 0.4639 4 104 3 10 10 Sample with max charge x vs y, run 268, module 1 3 10 Sample max charge on y axis Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 96 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 102 102 10 10 4 30000 3.5 25000 3 2.5 20000 2 15000 1.5 10000 1 5000 0.5 1 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 Sample max charge on x axis 1 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 Sample max charge on y axis 0 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 Sample max charge on x axis 0 Figura 5.25: Plot sul sample con la carica massima registrata, nel modulo 1 del run 268. A sinistra: Rappresentazione del sample che ha registrato la massima carica, nella coordinata x. Al centro: Rappresentazione del sample che ha registrato la carica massima, nella coordinata y. A destra: Scatter plot, in x e y, dei sample con carica massima registrata. #Cluster/Event - y, run 265, module 1 #Cluster/Event - x, run 265, module 1 htemp htemp Entries 43226 4 10 Mean 2.613 RMS 1.701 Entries 43226 4 10 Mean 2.489 RMS 1.501 3 3 10 10 #Cluster/Event-y axis #Cluster/Event x vs y 102 102 4000 30 3500 25 3000 20 2500 10 10 2000 15 1500 10 1000 1 1 0 5 10 15 20 25 30 #Cluster/Event-x axis 0 5 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 #Cluster/Event-y axis 500 0 0 5 10 15 20 25 #Cluster/Event-x axis 0 Figura 5.26: Grafico rappresentante il numero di cluster formatosi in un evento, nel modulo 1 del run 265. A sinistra: Numero di cluster per singolo evento, nella coordinata x. Al centro: Numero di cluster per singolo evento, nella coordinata y. A destra: Scatter plot dei cluster formatosi durante un evento, in x e y. #Cluster/Event - y, run 268, module 1 #Cluster/Event - x, run 268, module 1 htemp htemp Entries 46478 4 10 Mean 2.977 RMS 1.924 Entries 46478 104 Mean 2.916 RMS 1.708 3 3 10 10 #Cluster/Event x vs y #Cluster/Event-y axis Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 97 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 102 102 10 10 4000 35 3500 30 3000 25 2500 20 2000 15 1500 10 1000 5 500 1 1 0 40 5 10 15 20 25 30 35 #Cluster/Event-x axis 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 #Cluster/Event-y axis 0 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 #Cluster/Event-x axis 0 Figura 5.27: Grafico rappresentante il numero di cluster formatosi in un evento, nel modulo 1 del run 268. A sinistra: Numero di cluster per singolo evento, nella coordinata x. Al centro: Numero di cluster per singolo evento, nella coordinata y. A destra: Scatter plot dei cluster formatosi durante un evento, in x e y. y Charge on cluster x Charge on cluster htemp Entries 36496 Mean 234.8 RMS 113.8 4500 4000 3500 htemp Entries 36496 Mean 239.2 RMS 117.4 2500 2000 3000 1500 2500 2000 1000 1500 1000 500 500 0 0 200 400 600 800 1000 1200 0 1400 1600 x Charge (A.U.) 0 200 400 Maximum Charge on single strip 600 800 1000 1200 y Charge (A.U.) 2.*(Cx-Cy)/(Cx+Cy) Charge _y (A.U.) htemp 2500 1200 Entries Mean RMS 3500 36496 -0.007631 0.3621 3000 1000 2000 2500 800 1500 2000 600 1500 1000 400 1000 500 200 0 500 0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 Charge _x (A.U.) 0 0 -1.5 -1 -0.5 0 0.5 1 1.5 x-y Charge Asymmetry Figura 5.28: Grafico rappresentante la carica registrata per ogni cluster, in x e in y, nel modulo 1 del run 265. In alto a sinistra: Carica registrata su ogni cluster, nella coordinata x. In alto a destra: Carica registrata su ogni cluster, nella coordinata y. In basso a sinistra: Scatter plot della carica registrata sul cluster, in x e y. In basso a destra: Correlazione di carica o asimmetria di carica, per le coordinate x e y. x Charge on cluster y Charge on cluster htemp Entries 36578 Mean 244.9 RMS 142.5 6000 5000 htemp Entries 36578 Mean 256 RMS 151.7 4000 3500 3000 2500 4000 2000 3000 1500 2000 1000 1000 0 500 0 500 1000 1500 2000 2500 0 3000 3500 x Charge (A.U.) 0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1800 2000 2200 y Charge (A.U.) 2.*(Cx-Cy)/(Cx+Cy) Maximum Charge on single strip Charge _y (A.U.) Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 98 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM htemp Entries 36578 Mean -0.0245 RMS 0.2911 5000 2200 5000 2000 4000 1800 4000 1600 1400 3000 3000 1200 1000 2000 800 2000 600 1000 400 1000 200 0 0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 Charge _x (A.U.) 0 0 -2 -1.5 -1 -0.5 0 0.5 1 1.5 x-y Charge Asymmetry Figura 5.29: Grafico rappresentante la carica registrata per ogni cluster, in x e in y, nel modulo 1 del run 268. In alto a sinistra: Carica registrata su ogni cluster, nella coordinata x. In alto a destra: Carica registrata su ogni cluster, nella coordinata y. In basso a sinistra: Scatter plot della carica registrata sul cluster, in x e y. In basso a destra: Correlazione di carica o asimmetria di carica, per le coordinate x e y. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 99 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM La Tabella 5.4 mostra un quadro generale dei risultati ottenuti dal confronto dei run 265 e 268. Tabella 5.4: Risultati del confronto tra il run 265 e il run 268 Strips in cluster x/y mean Sample with max charge x/y mean Cluster/Event x/y mean Charge on cluster x/y mean ADC Correlation mean 0 1.42/1.29 2.77/2.73 2.47/2.05 163.1/154.7 0.04 268 0 1.52/1.30 2.72/2.81 2.52/2.17 184/164.1 0.07 265 1 1.47/1.62 2.15/2.20 2.61/2.48 234.8/239.2 -0.007 268 1 1.50/1.66 2.12/2.10 2.97/2.91 244.9/256 -0.02 265 2 1.53/2.11 1.99/2 2.03/2.85 367.9/318.4 0.08 268 2 1.62/2.20 1.97/2.01 2.07/2.84 406.6/353.2 0.10 265 3 1.53/1.52 2.14/2.24 2.11/2.24 245.3/208.9 0.14 268 3 1.61/1.55 2.05/2.19 2.15/2.27 277.3/235 0.14 Run Module 265 I grafici in Figura 5.30 e Figura 5.31 mostrano, anche in questa sezione, le differenze relative più la semplice differenza di correlazione di carica tra i due run confrontati. Come si può notare, le differenze tra le proprietà di clustering dei run 265 e 268 sono prossime allo zero, per quanto riguarda l’individuazione delle strip e dei sample, mentre mostra alcune differenze nella carica rilevata nei cluster e nella formazione dei cluster per singolo evento. Queste variazioni (circa il 10 %) sono dovute al fatto che il run 268 lavorava ad una tensione superiore rispetto al 265, pertanto, come già detto nel pragrafo del guadagno relativo, all’aumentare della tensione applicata aumenta il numero di elettroni prodotti, di conseguenza la carica individuata. Quindi il risultato ottenuto da questo confronto è proprio quello atteso. Realtive Difference of Sample with Max Charge x (RDSMCx), run (265-268)*2/(265+268) 1 RDSMCX RDSCx Relative Difference of Strips in Cluster x (RDSCx), run (265-268)*2/(265+268) 0.8 1 0.8 0.6 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 0 0 -0.2 -0.2 -0.4 -0.4 -0.6 -0.6 -0.8 -10 -0.8 1 2 -10 3 MODULE 0.8 2 3 MODULE 1 0.8 0.6 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 0 0 -0.2 -0.2 -0.4 -0.4 -0.6 -0.6 -0.8 -10 1 Relative Difference of Charge on Cluster x (RDCCx), run (265-268)*2/(265+268) 1 RDCCx RDCEx Realtive Difference of Cluster/Event x (RDCEx), run (265-268)*2/(265+268) -0.8 1 2 3 MODULE -10 1 2 3 MODULE Difference of ADC Correlation (DADCC), run (265-268) DADCC Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 100 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 5 4 3 2 1 0 -1 -2 -3 -4 -5 0 1 2 3 MODULE Figura 5.30: Grafici riassuntivi che mostrano le differenze dei 4 confronti effettuati, nella coordinata x, più la differenza della correlazione di carrica, dei run 265 e 268. Come si può notare, le differenze sono prossime allo zero, tranne il charge on cluster, dove il run 268 mostra circa 10% in più di carica individuata. 1 Realtive Difference of Sample with Max Charge y (RDSMCy), run (265-268)*2/(265+268) RDSMCX RDSCx Relative Difference of Strips in Cluster y (RDSCy), run (265-268)*2/(265+268) 0.8 1 0.8 0.6 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 0 0 -0.2 -0.2 -0.4 -0.4 -0.6 -0.6 -0.8 -1 0 -0.8 1 2 -1 0 3 MODULE Realtive Difference of Cluster/Event y (RDCEy), run (265-268)*2/(265+268) 1 0.8 3 MODULE 0.8 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 0 0 -0.2 -0.2 -0.4 -0.4 -0.6 -0.6 -1 0 2 1 0.6 -0.8 1 Relative Difference of Charge on Cluster y (RDCCy), run (265-268)*2/(265+268) RDCCx RDCEx Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 101 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM -0.8 1 2 3 MODULE -1 0 1 2 3 MODULE Figura 5.31: Grafici riassuntivi che mostrano le differenze dei 5 confronti effettuati, nella coordinata y, dei run 265 e 268. Come si può notare, le diffrenze sono prossime allo zero, tranne per il modulo 1 del Cluster/Event e il charge on cluster, dove il run 268 mostra una maggiore carica individuata, circa il 10% in più. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 102 Run 252 vs Run 456 Si è confrontato il run 252 con il run 456. • Stessa tensione applicata: 4100 V. • Stesso gas flow: 2 V/h . • Diversa intensità di fascio: (252) 1.4 · 109 vs (456) 1.6 · 1010 protons/bunch. • Diverso profilo del fascio: più largo per il run 456. In questo confronto si cercano eventuali dipendenze dei risulatati al variare dell’intensità di fascio. Anche in questo confronto si osserverà: strip in cluster (Figura 5.32 e Figura 5.33); sample with max charge (Figura 5.34 e Figura 5.35); cluster/event (Figura 5.36 e Figura 5.37); charge on cluster (Figura 5.38 e Figura 5.39). In Tabella 5.5 vi sono rappresentati i risultati dei confronti realizzati per i run 252 e 456. Come si può notare dalla Figura 5.40 e dalla Figura 5.41, tutti i plot, a parte il grafico del sample con la carica massima, mostrano molte differenze percentuali tra i 2 run in esame. Tali discrepanze variano da un 10% delle strip nei cluster fino ad un 60% di cluster individuati in un evento, tutte a vantaggio del run 456. Questo fa intuire una certa correlazione tra l’intensità del fascio e la carica prodotta nei moduli GEM. All’aumentare dell’intensità vi è una maggiore quantità di ionizzazione globale del gas, portando ad una maggiore produzione di elettroni e quindi di carica registrata. In aggiunta, il run 456 aveva un profilo di fascio più allargato rispetto al run 252, pertanto le strip colpite risultano essere leggermente di più, quindi il numero di strip in un cluster aumenta e di conseguenza anche il numero dei cluster per evento. Infine, si nota una certa preponderanza di cariche nelle strip y, sempre del run 456 rispetto al 252. Questo è sempre dovuto alla maggiore ionizzazione globale del gas; infatti, la grande quantità di eletroni prodotti tende non solo a depositarsi nelle parti metalliche delle strip, ma anche su quelle isolanti, dove potrebbero rimanere bloccati e constituire una nuvola elettronica che deforma il campo elettrostatico principale (tra l’ultima GEM e il read-out). Tale deformazione tenderebbe a rendere un layer meno efficiente dell’altro. Strips in cluster - x axis, run 252, module 3 104 Strips in cluster - y axis, run 252, module 3 htemp htemp Entries 33499 Entries 33499 Mean 1.52 Mean 1.546 RMS 0.6089 RMS 0.6446 104 Strips in cluster x vs y, run 252, module 3 3 3 10 102 Strips in cluster-y axis 10 102 6 10000 5 8000 4 6000 3 0 2 4000 1 2000 10 10 1 2 3 4 5 6 Strips in cluster-x axis 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 Strips in cluster-y axis 0 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 Strips in cluster-x axis 0 Figura 5.32: Grafico rappresentante il numero di strip coinvolte in un cluster nel modulo 3 del run 252, nelle coordinate x (a sinistra) e nelle coordinate y (al centro). A destra è rappresentato, invece, uno scatter plot delle strip contenute in un cluster nelle coordinate x e y. Strips in cluster - x axis, run 456, module 3 Strips in cluster - y axis, run 456, module 3 htemp htemp Entries 21995 104 Mean 1.665 RMS 0.6328 3 10 Entries 21995 104 Mean 1.954 RMS 0.6702 3 10 Strips in cluster x vs y, run 456, module 3 102 Strips in cluster-y axis Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 103 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 102 6 7000 5 6000 4 5000 4000 10 10 3 3000 2 2000 1 0 1 1 2 3 4 5 6 Strips in cluster-x axis 0 1 1 2 3 4 5 6 Strips in cluster-y axis 0 0 1000 1 2 3 4 5 6 Strips in cluster-x axis 0 Figura 5.33: Grafico rappresentante il numero di strip coinvolte in un cluster nel modulo 3 del run 456, nelle coordinate x (a sinistra) e nelle coordinate y (al centro). A destra è rappresentato, invece, uno scatter plot delle strip contenute in un cluster nelle coordinate x e y. Sample with max charge on x axis, run 252, module 3 Sample with max charge on y axis, run 252, module 3 htemp htemp Entries 33499 Entries 33499 Mean 2.144 Mean 2.181 RMS 0.3943 RMS 0.4533 104 104 Sample with max charge x vs y, run 252, module 3 Sample max charge on y axis 3 3 10 10 102 102 4 20000 3.5 18000 3 16000 14000 2.5 12000 2 10000 1.5 10 10 8000 6000 1 4000 0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 Sample max charge on x axis 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 Sample max charge on y axis 0 0 2000 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 Sample max charge on x axis 0 Figura 5.34: Plot sul sample con la carica massima registrata, nel modulo 3 del run 252. A sinistra: Rappresentazione del sample che ha registrato la massima carica, nella coordinata x. Al centro: Rappresentazione del sample che ha registrato la carica massima, nella coordinata y. A destra: Scatter plot, in x e y, dei sample con carica massima registrata. Sample with max charge on x axis, run 456, module 3 104 Sample with max charge on y axis, run 456, module 3 htemp htemp Entries 21995 Entries 21995 Mean 2.095 Mean 2.116 RMS 0.3189 RMS 0.3371 3 104 3 10 10 Sample with max charge x vs y, run 456, module 3 Sample max charge on y axis Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 104 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 102 102 10 10 5 16000 4.5 4 14000 3.5 12000 3 10000 2.5 8000 2 6000 1.5 4000 1 1 1 2000 0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 Sample max charge on x axis 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 Sample max charge on y axis 0 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 Sample max charge on x axis 0 Figura 5.35: Plot sul sample con la carica massima registrata, nel modulo 3 del run 456. A sinistra: Rappresentazione del sample che ha registrato la massima carica, nella coordinata x. Al centro: Rappresentazione del sample che ha registrato la carica massima, nella coordinata y. A destra: Scatter plot, in x e y, dei sample con carica massima registrata. #Cluster/Event - y, run 252, module 3 #Cluster/Event - x, run 252, module 3 htemp htemp Entries 33499 4 10 Mean 2.101 RMS 1.529 Entries 33499 4 10 Mean 2.199 RMS 1.603 3 3 10 10 #Cluster/Event-y axis #Cluster/Event x vs y 102 102 10 10 40 6000 35 30 5000 25 4000 20 3000 15 2000 10 1 1 1000 5 0 5 10 15 20 25 30 35 #Cluster/Event-x axis 0 5 10 15 20 25 30 35 #Cluster/Event-y axis 0 0 5 10 15 20 25 30 35 #Cluster/Event-x axis 0 Figura 5.36: Grafico rappresentante il numero di cluster formatosi in un evento, nel modulo 3 del run 252. A sinistra: Numero di cluster per singolo evento, nella coordinata x. Al centro: Numero di cluster per singolo evento, nella coordinata y. A destra: Scatter plot dei cluster formatosi durante un evento, in x e y. #Cluster/Event - y, run 456, module 3 #Cluster/Event - x, run 456, module 3 4 10 htemp htemp Entries 21432 Entries 21432 Mean 3.309 Mean 3.778 RMS 3.885 RMS 3.223 3 10 3 10 #Cluster/Event x vs y #Cluster/Event-y axis Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 105 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 2 10 102 2400 60 2200 2000 50 1800 1600 40 1400 10 10 1200 30 1000 800 20 600 1 1 400 10 200 0 10 20 30 40 50 60 #Cluster/Event-x axis 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 #Cluster/Event-y axis 0 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 #Cluster/Event-x axis 0 Figura 5.37: Grafico rappresentante il numero di cluster formatosi in un evento, nel modulo 3 del run 456. A sinistra: Numero di cluster per singolo evento, nella coordinata x. Al centro: Numero di cluster per singolo evento, nella coordinata y. A destra: Scatter plot dei cluster formatosi durante un evento, in x e y. x Charge on cluster y Charge on cluster htemp Entries 29059 Mean 238.6 RMS 113.2 1400 htemp Entries 29059 Mean 212.9 RMS 103.2 2200 2000 1200 1800 1600 1000 1400 800 1200 1000 600 800 400 600 400 200 200 0 0 100 200 300 400 500 600 700 0 800 x Charge (A.U.) 0 100 200 Charge _y (A.U.) 300 400 500 600 700 y Charge (A.U.) 2.*(Cx-Cy)/(Cx+Cy) Maximum Charge on single strip 700 600 htemp Entries 29059 Mean 0.1066 RMS 0.4349 1800 1600 600 500 1400 500 400 400 1200 1000 300 300 200 200 800 600 400 100 100 0 200 0 100 200 300 400 500 600 700 800 Charge _x (A.U.) 0 0 -1.5 -1 -0.5 0 0.5 1 1.5 2 x-y Charge Asymmetry Figura 5.38: Grafico rappresentante la carica registrata per ogni cluster, in x e in y, nel modulo 3 del run 252. In alto a sinistra: Carica registrata su ogni clustero, nella coordinata x. In alto a destra: Carica registrata su ogni cluster, nella coordinata y. In basso a sinistra: Scatter plot della carica registrata sul cluster, in x e y. In basso a destra: Correlazione di carica o asimmetria di carica, per le coordinate x e y. x Charge on cluster y Charge on cluster htemp Entries 16879 Mean 310.4 RMS 158.2 1800 1600 htemp Entries 16879 Mean 289.4 RMS 139.1 1400 1200 1400 1000 1200 1000 800 800 600 600 400 400 200 200 0 0 500 1000 1500 2000 0 2500 x Charge (A.U.) 0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 y Charge (A.U.) 2.*(Cx-Cy)/(Cx+Cy) Maximum Charge on single strip Charge _y (A.U.) Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 106 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM htemp Entries 16879 Mean 0.05924 RMS 0.3221 1800 1600 1600 1400 2500 1400 1200 1200 1000 2000 1000 1500 800 800 600 600 400 400 1000 500 200 0 200 0 500 1000 1500 2000 2500 Charge _x (A.U.) 0 0 -1.5 -1 -0.5 0 0.5 1 1.5 x-y Charge Asymmetry Figura 5.39: Grafico rappresentante la carica registrata per ogni cluster, in x e in y, nel modulo 3 del run 456. In alto a sinistra: Carica registrata su ogni clustero, nella coordinata x. In alto a destra: Carica registrata su ogni cluster, nella coordinata y. In basso a sinistra: Scatter plot della carica registrata sul cluster, in x e y. In basso a destra: Correlazione di carica o asimmetria di carica, per le coordinate x e y Tabella 5.5: Risultati del confronto tra il run 252 e il run 456. I dati relativi al modulo 2 del run 456, purtroppo non sono stati rilevati a causa di un problema elettrico nel sistema, pertanto il modulo è stato disattivato. Strips in cluster x/y mean Sample with max charge x/y mean Cluster/Event x/y mean Charge on cluster x/y mean ADC Correlation mean 0 1.54/1.39 2.59/2.61 2.45/2.04 191.3/174.3 0.08 456 0 1.72/1.73 2.48/2.60 3.10/3.97 179/173.9 0.003 252 1 1.50/1.58 2.08/2.03 2.57/2.42 250.3/245.7 0.04 456 1 1.77/1.81 2.06/2.11 3.52/4.52 258.2/258 0.009 252 2 1.50/2.10 1.96/1.92 2.06/2.85 346.3/314.7 0.07 456 2 - - - - - 252 3 1.52/1.54 2.11/2.18 2.10/2.19 238.6/212.9 0.1 456 3 1.66/1.95 2.09/2.11 3.30/3.77 310.4/290 0.05 Run Module 252 Realtive Difference of Sample with Max Charge x (RDSMCx), run (252-456)*2/(252+456) 1 RDSMCX RDSCx Relative Difference of Strips in Cluster x (RDSCx), run (252-456)*2/(252+456) 0.8 1 0.8 0.6 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 0 0 -0.2 -0.2 -0.4 -0.4 -0.6 -0.6 -0.8 -10 -0.8 1 2 -10 3 MODULE 0.8 2 3 MODULE 1 0.8 0.6 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 0 0 -0.2 -0.2 -0.4 -0.4 -0.6 -0.6 -0.8 -10 1 Relative Difference of Charge on Cluster x (RDCCx), run (252-456)*2/(252+456) 1 RDCCx RDCEx Realtive Difference of Cluster/Event x (RDCEx), run (252-456)*2/(252+456) -0.8 1 2 3 MODULE -10 1 2 3 MODULE Difference of ADC Correlation (DADCC), run (252-456) DADCC Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 107 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 5 4 3 2 1 0 -1 -2 -3 -4 -5 0 1 2 3 MODULE Figura 5.40: Grafici riassuntivi che mostrano le differenze dei 4 confronti effettuati, nella coordinata x, più la differenza di correlazione di carica, dei run 252 e 456. Come si può notare, le diffrenze sono prossime allo zero solamente per il sample con la carica massima e la correlazione di carica, mentre si notano alcune variazioni per quanto concerne lo Strips in Cluster, il Cluster/Event e il Charge on Cluster. In particolar modo le discrepanze sono più accentuate nel modulo 3 (in media oltre il 20% di differenza). 1 Realtive Difference of Sample with Max Charge y (RDSMCy), run (252-456)*2/(252+456) RDSMCX RDSCx Relative Difference of Strips in Cluster y (RDSCy), run (252-456)*2/(252+456) 0.8 1 0.8 0.6 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 0 0 -0.2 -0.2 -0.4 -0.4 -0.6 -0.6 -0.8 -1 0 -0.8 1 2 -1 0 3 MODULE Realtive Difference of Cluster/Event y (RDCEy), run (252-456)*2/(252+456) 1 0.8 3 MODULE 0.8 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 0 0 -0.2 -0.2 -0.4 -0.4 -0.6 -0.6 -1 0 2 1 0.6 -0.8 1 Relative Difference of Charge on Cluster y (RDCCy), run (252-456)*2/(252+456) RDCCx RDCEx Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 108 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM -0.8 1 2 3 MODULE -1 0 1 2 3 MODULE Figura 5.41: Grafici riassuntivi che mostrano le differenze dei 4 confronti effettuati, nella coordinata y, dei run 252 e 456. Come si può notare, le diffrenze sono prossime allo zero solamente per il sample con la carica massima registrata, mentre per i restanti grafici sono presenti marcate differenze. Il run 456 presenta circa il 20% di strip in più in un singolo cluster, circa il 60% in più di cluster in un singolo evento e circa il 30% di carica in pi‘ nel modulo 3. 5.2.5 Efficienza dei moduli In questa sezione si osserveranno le efficienze dei vari moduli al variare delle condizioni sperientali, e precisamente si analizzeranno: • Efficienza al variare della tensione, a 1 V/h nominale di gas flussato e ad una intensità di 1.4 · 109 protons/bunch. • Efficienza al variare della tensione, a 2 V/h nominale di gas flussato e ad una intensità di 1.4 · 109 protons/bunch. • Efficienza al variare della tensione, a 3 V/h nominale di gas flussato e ad una intensità di 1.4 · 109 protons/bunch. • Efficienza al variare della tensione, a 4 V/h nominale di gas flussato e ad una intensità di 1.4 · 109 protons/bunch. 9 9 Module 0 Module 1 1.2 Module 2 Module 3 Efficiency, 2 Volume/h, 1.4*10 proton/bunch Efficiency Efficiency, 1 Volume/h, 1.4*10 proton/bunch Efficiency Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 109 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM Module 0 Module 3 1 1 0.8 0.8 0.6 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 0 4000 4050 4100 4150 4200 HV [V] Module 1 Module 2 1.2 0 4050 4100 4150 HV [V] Figura 5.42: Efficienza dei 4 moduli al variare della tensione per determinati valori nominali di gas flussato e intensità di fascio. Dai grafici osservati in Figura 5.42, è possibile notare come le efficienze tendono leggermente a salire all’aumentare della tensione applicata, indipendentemente dalla quantità di gas flussato. Come ci si aspettava, il modulo 2 è il più efficiente dei 4, data la diversa partizione di tensione applicata, a seguire il modulo 1, anch’esso con partizione differente, e infine il modulo 0 e il modulo 3. Il modulo 0 e 3 hanno una uguale partizione di tensione applicata, quindi ci si aspettava una efficienza molto simile. Al contrario il modulo 3 risulta meno efficiente; le cause possono essere ricondotte a differenze di assemblaggio e al fatto che il modulo 3, primo a ricevere il flusso di gas, è stato sottoposto al maggior stress di pressione del gas. Dai grafici visualizzati in Figura 5.43, si nota, almeno per quello a 3 V/h, un andamento simile a quelli in Figura 5.42, ovvero che l’efficienza tende a crescere 9 9 Efficiency, 3 Volume/h, 1.4*10 proton/bunch Module 0 Module 1 Module 2 1.2 Module 3 Efficiency Efficiency, 4 Volume/h, 1.4*10 proton/bunch Efficiency Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 110 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM Module 0 Module 3 1 1 0.8 0.8 0.6 0.6 0.4 0.4 0.2 0.2 0 4099.96 4100 4100.04 HV [V] Module 1 Module 2 1.2 0 4000 4050 4100 4150 4200 HV [V] Figura 5.43: Efficienza dei 4 moduli al variare della tensione per determinati valori di gas flussato e intensità di fascio. all’aumentare della tensione. Anche in questo caso non si apprezza nessuna dipendenza dal gas flussato. Per quanto riguarda, invece, l’efficienza a 4 V/h non è stato possibile effettuare un andamento in funzione della tensione poiché si stava operando a flussi di gas molto elevati, con il rischio di danneggiare i moduli GEM. Quindi si sono effettuati solamente pochi run ad una tensione di 4100 V. Come ultima analisi sull’efficienza di rivelazione, si è pensato di visualizzare anche il profilo del fascio nei singoli moduli. Oltre alla posizione originaria (circa (266;250)), il blocco dei 4 moduli è stato spostato per osservare la risposta del sistema in altre zone di area attiva del tracciatore. In aggiunta, il profilo del fascio è stato pure allargato. Si ricorda che il diametro della sezione del fascio è circa 3.6 cm. Nella Figura 5.44 sono riportati i diversi profili del fascio al variare dei moduli. Il grafico Hit Charge rappresenta la carica in un preciso punto dell’area attiva (40x50 cm2 ), dove si individua facilmente, per tutti i moduli, il profilo e la posizione originaria del fascio e altre 4 posizioni del fascio allargato. Nel modulo 2 si riscontra solamente la posizione iniziale del fascio, poiché tale modulo era stato già rimosso prima dello spostamento del tracciatore. Il grafico Charge Asymmetry, invece, individua sempre la posizione del fascio ma in termini di correlazione di carica tra le strip delle due coordinate, ovvero tanta carica in x quanta in y. Il valore atteso è sicuramente lo zero, ma per motivi di visualizzazione grafica è stato riportato tutto a +1, pertanto il colore atteso è proprio il verde. Hit Charge, module 1 2.5 450 1400 4500 375 3500 350 1.5 1000 250 200 600 0 50 0 400 0 0 50 100 150 200 250 300 350 500 50 133.33 266.67 [mm] [mm] 400 0 0 0 50 100 150 200 250 300 350 400 [mm] Charge Asymmetry + 1, module 3 Hit Charge, module 3 500 450 0 [mm] Charge Asymmetry + 1, module 2 Hit Charge, module 2 2500 100 1 -0.5 0 0 400 [mm] 3000 1000 -0.5 [mm] 500 150 500 [mm] 266.67 200 1500 125 200 133.33 2000 0.5 400 100 0 0 250 0.5 150 125 1.5 300 2500 250 1 2 350 3000 300 800 250 2.5 400 2 1200 500 450 4000 400 375 Charge Asymmetry + 1, module 1 500 [mm] 500 [mm] Charge Asymmetry + 1, module 0 500 [mm] [mm] Hit Charge, module 0 [mm] Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 111 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 5000 2.5 400 500 2.5 450 400 2 375 375 4000 350 2000 1.5 300 2 350 1.5 300 3000 250 1500 250 1 250 250 200 1000 1 200 2000 0.5 150 0.5 150 125 125 0 100 1000 500 50 100 0 50 -0.5 -0.5 0 0 133.33 266.67 400 [mm] 0 0 0 50 100 150 200 250 300 350 400 0 0 133.33 266.67 [mm] 0 400 [mm] 0 0 50 100 150 200 250 300 350 400 [mm] Figura 5.44: Profilo del fascio visualizzato attraverso lo scatter plot per i 4 moduli GEM. Hit Charge rappresenta la carica rilevata in un determinato punto del tracciatore. Il modulo 2, a differenza degli altri 3, ha acquisito solo in una prima fase del test, ovvero prima dello spostamento del tracciaotre. Charge Asymmetry+1 rappresenta la correlazione tra la carica registrata dalle strip in x e quella in y. Per motivi di visualizzazione è stato riportato tutto a +1. 5.3 Conclusioni sul test di Jülich Ricapitolando, il principale obiettivo del test eseguito a Jülich è stato quello di analizzare la risposta dei tracciatori in condizioni di alta intensità di fascio al variare della tensione applicata ai moduli, del flusso di gas erogato e dell’intensità di protoni incidenti e verificare eventuali dipendenze. Il sistema è stato sottoposto a pressioni molto elevate di gas flussato fino ad arrivare a 4 V/h nominali, corrispondenti a 16 V/h effettivi per singolo modulo (molto più alto di quello risacontrabile a JLab). Nonostante le alte pressioni ricevute, il risulatato è stato quello di una buona stabilità globale dell’apparato (a parte una piccola deformazione meccanica del primo modulo che riceveva il gas, soprattutto ad alti flussi) e nessuno effetto rilevante sul gas. È stato verificato che il guadagno relativo dei singoli moduli è sostanzialmente indipendente dal volume di gas flussato. Viceversa, il guadagno ha una forte dipendenza dalla tensione applicata ai moduli, come aspettato. Infatti, si passa da un guadagno di 6 · 103 per una tensione di 4100 V ad un guadagno di 1.4 · 104 per una tensione di 4200 V. Per quanto riguarda l’analisi del clustering, si sono ottenuti risultati interessanti. Dai confronti realizzati è emerso che non si ottengono effetti significativi al variare del flusso di gas erogato, ma le uniche differenze si ottengono all’aumentare della tensione applicata e dell’intensità di fascio; in particolar modo si riscontra Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 5. TEST SULLE GEM 112 una maggiore quantità di carica presente all’interno dei singoli cluster e del numero di cluster per singolo evento. Questo è dovuto al fatto che all’aumentare della tensione vi è un maggiore processo di ionizzazione all’interno dei moduli, e quindi un maggior quantitativo di elettroni che giungono sulle strip del read-out. Pertanto, gli effetti più significativi si ottengono al variare della tensione e dell’intensità, ma non al variare del gas, almeno entro i limiti attesi durante l’operatività delle GEM. In ultima analisi, si sono analizzate le efficienze dei singoli moduli, al variare della tensione applicata e del gas flussato. Come ci si aspettava, il modulo 2 e il modulo 1 hanno evidenziato una più alta efficienza rispetto ai moduli 0 e 3. Questo è dovuto al fatto che i moduli 2 e 1, ricevendo una partizione diversa, hanno lavorato ad una tensione superiore rispetto ai moduli 0 e 3. Dai risultati ottenuti, si evince che, anche in questo caso, l’efficienze migliorano all’aumentare delle tensioni e non dipendono in modo significativo dal quantitativo di gas erogato. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 Capitolo 6 Apprendimento Automatico L’apprendimento automatico è una branca dell’Intelligenza Artificiale (AI) che si occupa di realizzare dispositivi artificiali, capaci di emulare le modalità di ragionamento che sono tipiche dell’uomo. Per fare ciò, tali dispositivi devono essere in grado di apprendere, ovvero estrarre una conoscenza generale, attraverso forme di ragionamento induttivo su un determinato problema, esaminando vari tipi di esempi ad esso correlati. Infatti, dato un insieme di esempi, il modulo di apprendimento induce un modello generale capace di descrivere gli esempi visti. L’obiettivo di questo capitolo è proprio quello di introdurre e descrivere, in modo informale, alcuni dei più importanti concetti sul problema dell’apprendimento automatico e illustrarli utilizzando semplici esempi. Inoltre verranno introdotti, in maniera generica, gli algoritmi evolutivi ed in particolar modo la programmazione genetica, poiché quest’ultima è stata utilizzata per risolvere una problematica software del tracciatore GEM. 6.1 Machine learning L’apprendimento automatico (machine learning) si occupa della realizzazione di sistemi e algoritmi, basati su osservazioni di dati per la sintesi di nuove conoscenze. Il processo di apprendimento può avvenire attreverso l’osservazione di caratteristiche di interesse, provenienti da esempi o strutture dati, allo scopo di analizzarle e valutare l’esistenza di relazioni tra le variabili osservate, ovvero identificarne una regolarità al fine di tentare di prendere decisioni come, ad esempio, la classificazione dei dati in diverse categorie (pattern recognition). In poche parole, ad esempio, il problema di decidere se uno sciame è adronico o elettromagnetico, o se una particella è un protone o un neutrone, è un problema di pattern recognition. 113 Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 6. APPRENDIMENTO AUTOMATICO 114 Prendendo in considerazione l’ultimo dualismo citato, quindi, l’obiettivo è creare un algoritmo che prenda un vettore x come dati di input, rappresentativo di una particella, e che restituisca un output identificativo della particella stessa. Fare una tale classificazione non è cosı̀ banale come può sembrare. Potrebbe essere affrontata utilizzando regole euristiche per distinguere le particelle, per esempio, in base alla loro dimensione, ma in pratica un approccio del genere potrebbe generare una proliferazione di regole e di eccezioni, che quasi sempre porterebbe a scarsi risultati. Per ottenere risultati migliori è possibile adottare un approccio di apprendimento automatico, in cui un grande set di N particelle (x1 , ..., xN ), chiamato learning set, viene usato per regolare i parametri di un modello che si può adattare a tale problema [36]. Pertanto, la scelta del modello non è altro che una scelta della struttura logica e della base matematica delle regole di classificazione [37]. Le categorie delle particelle nel learning set sono note a priori. Si può esprimere la categoria di una particella usando un vettore target t, che rappresenta l’identità della particella corrispondente. Si noti che vi è un target t per ciascuna particella x. Il risultato dell’esecuzione di un algoritmo di apprendimento automatico può essere espresso come una funzione y(x), che assume una nuova particella x come input e che genera come output un vettore y, codificato come vettore target. La forma precisa della funzione y(x) viene determinata durante la fase di apprendimento (learning phase), sulla base dei dati di learning. Una volta che il modello è allenato, può quindi essere in grado di determinare l’identità di nuove particelle, che comprendono un nuovo insieme di dati, chiamato testing set. La capacità di classificare correttamente nuovi esempi, che differiscono da quelli utilizzati per l’apprendimento, è nota come generalizzazione. Nelle applicazioni pratiche, la varietà dei vettori di input potrebbe essere tale che i dati di allenamento comprenderebbero solo una frazione di tutti i possibili vettori d’ingresso e quindi la generalizzazione è un obiettivo centrale del pattern recognition [36]. Spesso, utilizzare gli input nella forma in cui vengono dati è un procedimento che non sempre dà grandi risultati. Dunque si è costretti a trasformarli in una nuova rappresentazione, in modo tale che la classificazione avvenga con più facilità. Il procedimento di modifica della rappresentazione dei dati in input è detto preprocessing; con il postprocessing l’output è ottenuto nella forma desiderata. Un esempio di preprocessing lo si trova in alcuni casi, quando conviene, paradossalmente, eliminare alcune variabili di input per avere dei risultati migliori. Questo può essere spiegato pensando che, se si ha un numero maggiore di variabili, si ha certamente una maggiore precisione, ma l’elaborazione di ogni dato richiede un tempo maggiore rispetto al caso in cui il numero di variabili è minore. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 6. APPRENDIMENTO AUTOMATICO 115 Talvolta aggiungere dati, che sono fortemente correlati con quelli già in possesso, dà una bassa quantità di informazioni addizionali. Questo tipo di processo, in cui viene preso in considerazione solo un sottoinsieme dei dati a disposizione, è detto estrazione delle features (caratteristiche). La riduzione delle dimensioni dell’input porta anche ad una perdita di informazione. Infatti, lo scopo delle tecniche di riduzione della dimensione degli input è di assicurare la permanenza della massima informazione rilevante possibile [38]. Applicazioni in cui i dati di learning comprendono esempi di vettori in ingresso insieme ai loro corrispondenti vettori target sono noti come problemi di apprendimento supervisionato [36]. L’apprendimento supervisionato (noto anche come apprendimento con insegnante) è una tecnica di apprendimento automatico, che mira a istruire un sistema informatico in modo da consentirgli di risolvere dei compiti in automatico. Infatti, data una serie di esempi (learning set), dove ogni singolo esempio è caratterizzato da un vettore di features (x) ed un output (y), le tecniche supervisionate si occupano di costruire un modello capace di approssimare l’output y = y(x). Il modello appreso durante una fase di addestramento è un’approssimazione della funzione non nota y(x) (funzione target), che si vuole conoscere [40]. Casi, come nell’esempio del riconoscimento delle particelle, in cui l’obiettivo è quello di assegnare a ciascun vettore di input un numero finito di categorie discrete (valori qualitativi [39]), sono chiamati problemi di classificazione. Se, invece, l’output desiderato è costituito da una o più variabili continue (valori quantitativi [39]), ci troviamo di fronte ad un caso di regressione. In altri problemi di pattern recognition, i dati di addestramento consistono in un insieme di vettori x di input, senza avere alcun corrispondente valore di target. In questo caso si parla di apprendimento non supervisionato (o senza insegnante). L’obiettivo, in un tale apprendimento, potrebbe essere quello di trovare strutture nascoste in strutture dati non preclassificate, da cui non è possibile valutare una eventuale soluzione, ovvero classificare e organizzare dati di input sulla base di caratteristiche comuni, per cercare di effettuare ragionamenti e previsioni sugli input successivi (clustering). 6.1.1 Problema della regressione In questo paragrafo verrà utilizzato un semplice problema di regressione, per motivare una serie di concetti chiave. Si supponga di osservare un set di variabili reali x come dati di input e si voglia utilizzare questa osservazione per prevedere il valore di una variabile target di tipo reale t. A tale scopo, è utile considerare un esempio pratico, utilizzando dei dati generati in maniera analitica. In questo modo, si è a conoscenza dell’esatto processo che li ha creati, cosı̀ da poter fare un confronto con Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 6. APPRENDIMENTO AUTOMATICO 116 un qualsiasi modello allenato. I dati, per questa tipologia di esempio, sono stati generati dalla funzione sin(2πx) e sono stati leggermente alterati dall’aggiunta di un certo rumore casuale [36]. Ora si supponga di considerare un learning set composto da N osservazioni della variabile x, scritta come X ≡ (x1 , ..., xN ), insieme con le corrispondenti osservazioni dei valori di t, denotato da t ≡ (t1 , ..., tN ). La Figura 6.1 mostra un grafico di un learning set comprendente N = 10 punti. L’insieme dei dati di input è stato generato scegliendo dei valori di xn , per n = 1, ..., N , distanziati uniformemente nell’intervallo [0, 1], e il set dei dati del target t è stato ottenuto calcolando prima i corrispondenti valori della funzione sin(2πx) e poi aggiungendo un piccolo livello di rumore casuale con una distribuzione di tipo gaussiana (σ = 0.05) per ciascun punto, in modo tale da ottenere il corrispondente valore di tn . Generando i dati in questo modo, si sta prendendo in considerazione una proprietà di molti set di dati reali, vale a dire che essi possiedono una determinata regolarità che si vuole imparare, e allo stesso tempo che le singole osservazioni sono disturbate da un livello di rumore casuale [36]. Figura 6.1: Plot di un learning set di 10 punti. I cerchi blu costituiscono le osservazioni di input nella variabile x con il corrispettivo target nella variabile t. La curva verde rappresenta la funzione sin(2πx) usata per generare i dati. L’obiettivo è predire il valore di t per nuovi valori di x, senza conoscere la curva verde [36]. Quindi, l’obiettivo è quello di sfruttare questo set di learning al fine di fare previsioni sul valore della variabile target t̂ per qualche nuovo valore x̂ di input [36]. Ciò comporta, implicitamente, cercare di trovare la funzione sin(2πx). Su come generalizzare, partendo da un set finito di dati, è un problema abbastanza difficile. Inoltre, i dati osservati sono affetti da rumore, quindi per un dato valore di x̂ vi è un’incertezza cosı̀ come per il corrispettivo valore t̂. Si procederà piuttosto informalmente e si prenderà in considerazione un semplice approccio basato Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 117 CAPITOLO 6. APPRENDIMENTO AUTOMATICO sulla curva di fit. In particolare, si possono fittare i dati utilizzando una funzione polinomiale della forma 2 y(x, w) = w0 + w1 x + w2 x + ... + wM x M = M X w j xj (6.1) j=0 dove M è l’ordine del polinomio. I coefficienti polinomiali w0 , ..., wM sono indicati dal vettore w (pesi ). Si noti che, anche se la funzione polinomiale y(x, w) è una funzione non lineare di x, essa è comunque una funzione lineare dei coefficienti w [36]. I valori dei coefficienti saranno determinati fittando la polinomiale, utilizzando i dati di learning. Questo può essere fatto minimizzando una funzione errore, che misura la differenza tra la funzione y(x, w), per ogni valore di w, e il set dei dati di learning. Un tipo di funzione errore, ampiamente utilizzata, è dato dalla somma dei quadrati degli errori tra le y(xn , w) previste, per ciascuno dei punti xn , e il corrispondente valore del target tn , in modo che sia possibile minimizzare [36] n 1X {y(xq , w) − tq }2 E(w) = 2 q=1 (6.2) È semplice notare che questa è una quantità non negativa che sarebbe zero se, e solo se, la funzione y(x, w) dovesse passare esattamente attraverso ciascun punto di learning. L’interpretazione geometrica della funzione errore è illustrata in Figura 6.2 [36]. Figura 6.2: Rappresentazione della funzione errore che corrisponde alla somma dei quadrati dei residui (barre verdi) di ogni punto dalla funzione y(x, w) [36]. È possibile risolvere il problema della curva di fit, scegliendo il valore di w per cui E(w) è il più piccolo possibile [36]. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 6. APPRENDIMENTO AUTOMATICO 118 Poichè la funzione errore è una funzione quadratica nei coefficienti w, la sua derivata rispetto ai coefficienti sarà lineare negli elementi di w e quindi la minimizzazione della funzione errore ha una soluzione unica, indicata con w∗ . La polinomiale risultante è data da una funzione y(x, w∗ ) [36]. Rimane il problema della scelta dell’ordine M del polinomio. Nella Figura 6.3 sono mostrati 4 esempi di fit polinomiale aventi ordini M = 0, 1, 3 e 9 per il set di dati mostrati in Figura 6.1. Figura 6.3: Grafico raffigurante i polinomi (curva rossa) aventi differenti ordini M [36]. Si nota che per M = 0 e per M = 1, ovvero all’ordine 0 e all’ordine 1, le funzioni danno un fit piuttosto povero e di conseguenza una rappresentazione scarsa della funzione sin(2πx). Al terzo ordine (M = 3), invece, il polinomio sembra dare un fit molto buono e quindi rappresentare bene la funzione sin(2πx), come si evince dalla Figura 6.3. Quando, invece, si va verso un ordine più alto (M = 9), si ottiene un ottimo fit per i dati di learning, nel senso che il polinomio passa esattamente attraverso ciascun punto e, pertanto, la funzione errore E(w) è uguale a 0. Tuttavia, la curva oscilla pesantemente e restituisce una scarsa rappresentazione della funzione in questione. Quest’ultimo andamento è noto come overfitting problem [36]. Come si è accennato pocanzi, l’obiettivo è quello di ottenere una buona generalizzazione, facendo previsioni accurate per i nuovi dati. Si è in grado di ottenere Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 6. APPRENDIMENTO AUTOMATICO 119 una certa valutazione quantitativa del grado di generalizzazione considerando un separato testing set di dati, composto, per esempio, da 100 punti, generati con la stessa procedura utilizzata per ottenere i dati di learning ma con nuovi valori di rumorosità anche per i rispettivi valori di target. La migliore generalizzazione si ottiene quando si riesce ad arrivare ad una soluzione che tenga conto dell’andamento generale dei dati, piuttosto che catturare il dettaglio specifico (ad esempio un contributo di rumore) di un set di learning. Di conseguenza, è preferibile tollerare qualche incertezza sul learning set, se questo porta ad una migliore generalizzazione [42]. Per ogni scelta di M è possibile, quindi, valutare il valore residuo di E(w) per i dati di learning ed è possibile valutare E(w∗ ) per i dati di testing. A volte è più conveniente usare lo scarto quadratico medio (RMS) definito come ERM S = p 2E(w∗ )/N (6.3) Tale espressione assicura che ERM S sia misurato con le stesse unità di misura della variabile target t. Il grafico del RMS sul learning set e sul testing set è mostrato, al variare di M , in Figura 6.4. L’errore sul testing è una misura di quanto bene stia predicendo i valori di t per nuove osservazioni di dati. Figura 6.4: Grafico del RMS valutato sul learning set e sul testing set al variare di M [36]. Dalla Figura 6.4 si nota che piccoli valori di M danno relativamente grandi valori di errore sul testing; questo può essere attribuito al fatto che i polinomi corrispondenti sono poco flessibili e sono incapaci di riprodurre il corretto andamento della funzione sin(2πx). Per M nel range 3 < M < 8 si hanno piccoli valori di errore sul testing. Per M = 3, si ha una rappresentazione ragionevole della funzione generatrice, come si evince dalla Figura 6.3. Per M = 9 l’errore di learning va Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 6. APPRENDIMENTO AUTOMATICO 120 a zero, come ci si potrebbe aspettare, poiché questo polinomio contiene 10 gradi di libertà corrispondenti ai 10 coefficienti w0 , ..., w9 e quindi passa esattamente per i 10 punti del learning set. Tuttavia, l’errore sul testing è diventato molto grande e, come si è visto nella Figura 6.3, la corrispondente funzione y(x, w) presenta oscillazioni marcate. Pertanto, si potrebbe supporre che la miglior funzione, che approssimi i nuovi dati, potrebbe essere proprio sin(2πx), ovvero la funzione generatrice dei dati di input [36]. Quindi l’obiettivo è quello di trovare il numero ottimo di gradi di libertà in modo tale da avere le performance migliori con i dati di testing [41]. Infine, è anche interessante osservare il comportamento di un dato modello al variare delle dimensioni del set di dati, come mostrato in Figura 6.5. Si vede che il problema di overfitting diventa meno grave non appena le dimensioni del set di dati aumenta. In altre parole, maggiore è il set di dati a disposizione, migliore sarà l’apprendimento. Figura 6.5: Grafici raffiguranti le soluzioni ottenute minimizzando la funzione errore usando M = 9 per N = 15 punti (sinistra) e N = 100 punti (destra). All’aumentare dei punti si riduce l’overfitting [36]. 6.2 Algoritmi Evolutivi (EA) Gli algoritmi evolutivi sono una famiglia di tecniche stocastiche per la risoluzione di problemi, che fanno parte della più ampia categoria dei “modelli a metafora naturale”. Essi trovano la loro ispirazione in biologia e, in particolare, si basano sull’imitazione dei meccanismi della cosiddetta “evoluzione naturale” [43]. Sono dunque delle tecniche informatiche euristiche ispirate dalla biologia, in particolar modo dalla teoria evoluzionistica di Darwin, che si basano su una metafora di base, illustrata schematicamente nella Tabella 6.1. Come un individuo di una popolazione di organismi si deve adattare all’ambiente che lo circonda per Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 6. APPRENDIMENTO AUTOMATICO 121 sopravvivere e riprodursi, cosı̀ una possibile soluzione deve essere adatta a risolvere un determinato problema. Tabella 6.1: Illustrazione schematica della metafora su cui si basano gli algoritmi evolutivi Evoluzione Problem Solving Ambiente Problema da risolvere Individuo Possibile soluzione Adattamento Qualità della soluzione Il problema è l’ambiente in cui una soluzione vive, all’interno di una popolazione di altre possibili soluzioni. Le soluzioni differiscono tra loro per qualità, cioè per costo o merito, che si riflettono nella valutazione della funzione obiettivo, cosı̀ come gli individui di una popolazione di organismi differiscono tra di loro per grado di adattamento all’ambiente, chiamato fitness [43]. Se la selezione naturale permette a una popolazione di organismi di adattarsi all’ambiente che la circonda, sarà anche in grado, applicata a una popolazione di soluzioni di un problema, di far evolvere soluzioni sempre migliori ed eventualmente, con il tempo, ottimali. In base a questa metafora, il modello computazionale prende in prestito dalla biologia alcuni concetti e i relativi termini: ogni soluzione è codificata in uno o più cromosomi; i geni sono i pezzi della codifica responsabili di uno o più tratti di una soluzione; gli alleli sono le possibili configurazioni che un gene può assumere; lo scambio di materiale genetico tra due cromosomi si chiama crossover, mentre ci si riferisce alla perturbazione della codifica di una soluzione con il termine mutazione [43]. Sebbene il modello computazionale introduca delle semplificazioni drastiche rispetto al mondo naturale, gli algoritmi evolutivi si sono rivelati capaci di far emergere strutture sorprendentemente complesse e interessanti. Ogni individuo può essere la rappresentazione, secondo un’opportuna codifica, di una particolare soluzione di un problema, per esempio di un’immagine o addirittura di un semplice programma per calcolatore [43]. Fatta questa premessa di tipo concettuale, è possibile illustrare, brevemente, in che cosa consiste un algoritmo evolutivo. Esso è un sistema stocastico di ottimizzazione che procede in modo iterativo, mantenendo una popolazione (che in questo contesto significa un multiinsieme di elementi non necessariamente tutti distinti tra loro) di individui, che rappresentano possibili soluzioni per il problema che deve essere risolto (il problema oggetto) e Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 6. APPRENDIMENTO AUTOMATICO 122 facendola evolvere mediante l’applicazione di un certo numero, di solito abbastanza ridotto, di operatori stocastici: mutazione, ricombinazione e selezione [43]. La mutazione può essere costituita da un qualsiasi operatore, che perturbi casualmente una soluzione; gli operatori di ricombinazione decompongono due o più individui distinti e quindi mescolano le loro parti costitutive, per formare un certo numero di nuovi individui; la selezione crea delle repliche degli individui che rappresentano le soluzioni migliori all’interno della popolazione ad un tasso proporzionale alla loro fitness [43]. La popolazione iniziale può provenire da un campionamento casuale dello spazio delle soluzioni per il problema considerato. Gli operatori stocastici, applicati e composti secondo le regole che definiscono il particolare algoritmo evolutivo, determinano un operatore di trasformazione di popolazioni. In pratica, si ha una popolazione di individui, che evolvono di generazione in generazione attraverso meccanismi simili alla riproduzione sessuale e alla mutazione dei geni. 6.2.1 Programmazione Genetica (GP) La programmazione genetica è una branca degli algoritmi evolutivi, che si pone come obiettivo la programmazione automatica. In un problema di programmazione, una soluzione è rappresentata da un programma (o da un’espressione matematica) in un dato linguaggio di programmazione. Nella GP, quindi, gli individui rappresentano programmi che si evolvono combinandosi, riproducendosi o mutando per dar luogo ad altri programmi, che meglio si adattano a risolvere un determinato problema. I programmi utilizzati possono, dunque, variare dinamicamente la loro struttura e vengono rappresentati tramite alberi di derivazione, come mostrato in Figura 6.6. Figura 6.6: Rappresentazione di un albero di derivazione [43]. In pratica, per ogni problema di programmazione che si voglia risolvere, si stabilisce un insieme di variabili, costanti e funzioni adatto a risolverlo, limitando Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 6. APPRENDIMENTO AUTOMATICO 123 cosı̀ lo spazio di ricerca che, altrimenti, sarebbe molto vasto. Le funzioni scelte saranno quelle che, a priori, si riterranno utili ai bisogni; inoltre, di solito, si cerca di fare in modo che ciascuna funzione accetti come argomenti i risultati prodotti da ognuna delle altre, cosı̀ come ogni variabile e ogni costante predefinita. Di conseguenza, lo spazio dei possibili programmi, all’interno del quale si cerca quello che risolve il problema, sarà costituito da tutte le possibili composizioni di funzioni, che possono essere formate ricorsivamente a partire dall’insieme delle funzioni, delle variabili e delle costanti predefinite. La popolazione dei programmi evolve utilizzando una funzione di fitness, che definisce la bontà di un programma, e gli operatori genetici di crossover e mutazione adattati alla rappresentazione ad albero. Il calcolo della fitness di un individuo procede in un modo non troppo dissimile dal testing visto precedentemente. Quindi deve essere dato, come parte integrante della descrizione del problema da risolvere, un insieme di casi di testing, cioè di coppie (input e output corrispondente) che verranno usate per testare i programmi generati dall’algoritmo. Per ciascun caso, il programma viene eseguito sui dati di ingresso; il risultato ottenuto viene confrontato con quello corretto e misurato l’errore; infine, la fitness è ottenuta in funzione dell’errore totale accumulato. Le principali scelte che devono essere valutate sono: • la generazione della popolazione iniziale; • l’insieme di funzioni e terminali di base; • il tipo di selezione; • la dimensione della popolazione e il numero massimo di generazioni; • il criterio di terminazione. Nella programmazione genetica, la fase iniziale prevede la definizione dell’insieme di base di funzioni e terminali, da cui creare la popolazione iniziale. La scelta di questi insiemi dipende fortemente dal dominio particolare del problema, per esempio se si vuole ricercare un’espressione matematica intera, i simboli di funzione potrebbero essere +, *, - , / e i terminali 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9. Le funzioni scelte devono soddisfare la proprietà di chiusura, cioè devono poter accettare come parametri qualsiasi valore restituito dall’insieme definito delle funzioni e qualsiasi valore che assumono i terminali, altrimenti si potrebbero generare programmi non corretti. Inoltre, devono avere la proprietà di sufficienza, cioè è necessario che le funzioni, unite ai simboli terminali, siano in grado di generare una soluzione del problema [44]. Perciò, la scelta di un insieme di funzioni e terminali, appropriata ad un particolare dominio, risulta essere un punto critico nella riuscita di un algoritmo di Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 6. APPRENDIMENTO AUTOMATICO 124 programmazione genetica. Infatti, non sempre si conosce 1’insieme di funzioni sufficienti alla risoluzione di un problema e, del resto, sceglierne un insieme ridondante può degradare in maniera significativa le prestazioni del sistema [44]. La selezione degli elementi, su cui applicare gli operatori, influenza la convergenza dell’algoritmo. Infatti, una maggiore pressione selettiva comporta una più veloce convergenza dell’algoritmo, però può portare ad una perdita della diversità della popolazione. In tal caso la soluzione ottimale potrebbe non essere mai raggiunta. La dimensione della popolazione è un altro dei parametri che influenzano la convergenza dell’algoritmo, insieme al numero massimo di generazioni. Infatti, un sottodimensionamento potrebbe portare al non raggiungimento dell’ottimo cercato e del resto, al suo aumentare, 1’algoritmo diventa computazionalmente troppo espansivo [44]. Il passaggio da una generazione all’altra avviene attraverso l’applicazione di definiti operatori ad elementi della popolazione selezionati con i metodi descritti precedentemente. I suddetti operatori sono applicati in modo esclusivo con una certa probabilità, ovviamente la somma delle probabilità sarà uguale ad uno. L’operazione genetica di crossover (Figura 6.7) consiste nello scambio incrociato di interi sottoalberi appartenenti a due programmi: selezionati i genitori, su entrambi si sceglie un nodo con procedura casuale, quindi i relativi sottoalberi vengono scambiati tra loro ottenendo due nuovi individui. Figura 6.7: Rappresentazione di crossover in GP [44]. L’operatore genetico di mutazione (Figura 6.8) consiste nell’inserire o modificare “leggermente il codice nel programma. Selezionato il genitore, si sceglie, in modo completamente casuale, un suo nodo, quindi il relativo sottoalbero viene sostituito da un altro generato sempre con procedura casuale [44]. La decimazione seleziona una certa percentuale della popolazione in una determinata generazione, in base ai valori della fitness, senza permettere duplicati. Il Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 6. APPRENDIMENTO AUTOMATICO 125 Figura 6.8: Rappresentazione di mutazione [44]. resto della popolazione è cancellato. Questo risulta utile per mantenere la diversità in quei casi dove pochi elementi hanno una fitness molto più elevata degli altri: questi avrebbero il sopravvento in poche generazioni [44]. Infine, il miglior individuo trovato è designato ad essere il risultato del problema. La complessità di un programma generato, se non si adottano strategie per limitarla, cresce con il passare delle generazioni, producendo effetti negativi, in quanto il programma risulta di difficile interpretazione e non generalizza bene. Tutto ciò è in accordo col principio del rasoio di Occam, che sostiene che le soluzioni più semplici sono da preferire in quanto evitano 1’aggiunta del superfluo e, quindi, sono applicabili ad una casistica più generale [45]. 6.2.2 Brain Project (BP) In quest’ultima sezione si affronterà, in maniera informativa, la struttura di un GP tool applicata al problema della regressione simbolica. Questo tool prende il nome di Brain Project. Il Brain Project è un software tool per creare modelli, per sistemi MIMO (MultiInput-Multi-Output), utilizzando la tecnica della programmazione neuro-genetica ibrida applicata al problema della regressione simbolica, ovvero della determinazione di una funzione che meglio approssima una serie di dati sperimentali. Come spesso accade nelle tecniche evolutive, che presentano una fase di learning, anche il BP necessita di una fase di apprendimento dove il set di dati è presentato con l’obiettivo di identificare i parametri per il modello finale. Detto ciò, il BP può essere definito come un GP tool ibrido [46]. Una delle caratteristiche salienti del BP è la sua estrema adattabilità in ambiente informatico, in particolare la sua implementazione distribuita; infatti, l’unica Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 6. APPRENDIMENTO AUTOMATICO 126 richiesta per l’utilizzo è, semplicemente, un computer con sistema Linux a 64-bit connesso a internet [47]. Dato che il BP è un GP tool, esso fonda le sue radici nella classica teoria di programmazione genetica, con tutte le sue particolarità e peculiarità; le implementazioni del Project, pertanto, sono tipiche della GP e si possono riportare, sinteticamente, di seguito: Implementazione di alberi GP : il tool organizza la sua struttura dati, rappresentando espressioni formali, in alberi di derivazione, dove i nodi sono suddivisi per numero di argomenti: • nessun argomento: variabili o costanti; • un argomento: abs, arccos, arcsin, tan, cos, cosh, div, erf, exp, Ω, ln, minus, sin, sinh; • due o più argomenti: div, pow, prod, sub, sum. dove Ω è uguale a exp(−x2 ). Viene data la complessità di una espressione matematica semplicemente contando il numero di nodi [47]. Componente neurale: la parte neurale di questo tool è riferita all’ottimizzazione degli alberi. Quando un nuovo individuo (o nuovo albero) nella sua evoluzione sembra essere promettente, viene chiamata in causa la parte neurale del BP. L’albero viene analizzato e, successivamente, viene calcolata la derivata per ciscuno dei suoi coefficienti, considerati variabili. In altre parole, viene calcolata l’espressione matematica del gradiente discendente dell’errore nello spazio dei pesi e viene utilizzata per aggiornare i pesi durante la fase di apprendimento, quindi ottimizza anche le costanti [46]. Per un maggiore approfondimento si rimanda alla referenza [41]. Calcolo dell’errore: l’errore viene calcolato secondo la seguente formula: v u Np uX (Pp − Fp )2 (6.4) e = 100t 2 N σ p P p=1 dove Pp è l’output calcolato, FP è l’output desiderato, Np è il numero di learning pattern e σP è la deviazione standard [47]. Tale errore viene espresso come la percentuale di errore del modello rispetto alla deviazione standard dell’output. Ad esempio, un errore del 30 % significa che, in media, l’errore sul modello trovato è 0,3 volte la deviazione standard dell’uscita. Viene utilizzata questa metodologia di calcolo perchè correla proporzionalmente l’errore sull’apprendimento con la vera variabilità del output. Questo indice, cosı̀ come altri simili, è ampiamente utilizzato in letteratura del neural e/o genetic pattern recognition. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 6. APPRENDIMENTO AUTOMATICO 127 Infine, la fitness ottimizza contemporaneamente l’errore e il numero di nodi [47]. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 Capitolo 7 Analisi del segnale APV 7.1 Problematica del segnale e scelta del metedo Come già accennato nel paragrafo 3.10.1, l’analisi temporale dei segnali è attualmente realizzata attraverso lo studio di una funzione di fit multi-parametrica, passante per i 6 punti rappresentanti i sample. La funzione la si ripropone nuovamente per comodità: A(1 − e − (t−t0 ) τ1 )e − (t−t0 ) τ2 (7.1) dove t0 è il tempo di inizio del segnale, τ1 e τ2 rappresentano i tempi caratteristici di salita e discesa del segnale e A è l’ampiezza. La posizione temporale dei 6 sample di un segnale (particella in coincidenza con il trigger), rispetto al tempo zero di trigger, è pressochè fissa, a meno delle incertezze dovute al jitter del trigger e delle differenze nei tempi di transito e raccolta della valanga di elettroni nella GEM; in altre parole la funzione 7.1 è campionata grossomodo sempre per gli stessi valori di carica [48]. In linea di massima, il primo sample occupa l’inizio della funzione, il secondo o il terzo rapprensentano il massimo, mentre i rimanenti sample occupano la parte discendente della funzione. Al contrario per una particella di background (non correlata con il trigger) i sample di carica sono distribuiti temporalmente in modo casuale. Pertanto, in caso di particella di segnale, la distribuzione del t0 è piccata e correlata allo zero del trigger, mentre, nel caso di segnale di background, il t0 è distribuito in maniera randomica [48]. In definitiva, dal valore di t0 , imponendo un intervallo di correlazione con il trigger, è possibile distinguere, in gran parte, se quanto misurato è prodotto da particelle di segnale o di background. Naturalmente, se tutto rientra nell’intervallo di selezione, incluso il background distribuito uniformemente in tale intervallo, allora tutto verrà considerato segnale. Pertanto è auspicabile avere il 128 Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 7. ANALISI DEL SEGNALE APV 129 più stretto intervallo di correlazione, ovvero minimo jitter e la migliore risoluzione temporale in t0 possibile. Inoltre, la funzione doppio esponenziale non è di facile implementazione in hardware, data la sua complessità. L’implementazione della funzione è molto utile poiché si potrebbe stimare direttamente in hardware il tempo di start dei segnali e quindi rigettare buona parte di background in tempo reale, in modo tale da trasferire solo i segnali d’interesse. Quindi, un analisi real time fatta in hardware permette di ridurre la quantità di dati da trasferire al secondo. D’altra parte la risoluzione temporale nella stima di t0 , dipende, oltre da aspetti intrinseci alla GEM, anche dall’eventuale rumore trasportato dal segnale. Detto ciò, fino a quando i valori di carica delle strip processati dall’elettronica sono affetti da poco rumore, la funzione a doppio esponenziale ci permette di individuare un t0 del segnale abbastanza attendibile, ma se si è in presenza di segnali rumorosi, la funzione non riesce a restituire un valore di partenza propriamente affidabile, condizionando anche tutti gli altri parametri di fit. Questo problema non permette di discriminare in maniera coerente la bontà del segnale estratto dalle strip, alterando la ricostruzione degli hit in un processo di tracciamento. Pertanto, l’analisi temporale dei segnali può essere considerata un’analisi di pretracciamento. Quindi, conoscere nella maniera più accurata possibile il t0 , ci permette di condurre uno studio decisamente più preciso sulla completa caratterizzazione del rivelatore GEM per SBS. In definitiva il problema può porsi nel seguente modo: dati una serie di valori, trovare quell’espressione matematica che meglio rappresenti l’andamento dei dati, ovvero trovare un algoritmo robusto che ricostruisca il t0 , con ragionevole precisione e quanto meno possibile influenzato dal rumore sui dati stessi. Viste le difficoltà riscontrate con le metodologie matematiche comuni, si è pensato di intraprendere una strada del tutto nuova per l’analisi dei segnali APV, ovvero l’uso di metodologie innovative basate su metodi di Intelligenza Artificiale (AI). L’utilizzo di metodologie AI consente di affrontare problemi non facilmente risolvibili con le tecniche tradizionali, pertanto, in questa nuova ottica, il problema diventa: individuare con tecniche di apprendimento automatico (machine learning) una funzione matematica il più possibile semplice, per l’implementazione in hardware, in grado di riprodurre l’andamento di un insieme di dati numerici. A tal scopo, come si è visto nel capitolo precedente, gli algoritmi evolutivi (branca della AI) possono rappresentare una buona soluzione per il problema riscontrato, in particolar modo l’utilizzo di tool con tecniche di programmazione genetica (GP) applicato al problema della regressione simbolica (apprendimento per esempi). Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 7. ANALISI DEL SEGNALE APV 7.2 130 Simulazione della funzione BP Nello specifico, per analizzare temporalmente i segnali APV (analisi di pretracciamento), si è adottato il tool denominato “Brain Project (BP). Più precisamente con tale utilizzo si è tentato di ottenere una funzione semplice, in alternativa al doppio esponenziale, che potesse fare un fit non lineare che approssimi l’andamento dei dati (punti presenti nei sample) in modo tale da ottenere informazioni sul t0 , anche in presenza di rumore. La procedura utilizzata per questa tipologia di analisi la si riporta di seguito con tutte le fasi realizzate. Il primo passo eseguito è stato la fase di apprendimento del BP tool. Il tipo di apprendimento utilizzato è stato quello supervisionato, ovvero, come già accennato in precedenza, quando si dispone di un insieme di dati comprendente esempi tipici d’ingresso con le relative uscite loro corrispondenti: in tal modo il tool può imparare ad inferire la relazione che li lega. Pertanto, l’obiettivo è stato quello di creare un file di learning in maniera accurato ma non in maniera assoluta onde evitare problematiche di apprendimento mnemonico dell’algoritmo che potrebbe causare errori sul testing molto alti. Quindi, si è creato un file di input che dava un’informazione corretta sull’andamento dei dati ma che non doveva cogliere il massimo del particolare, in modo tale da poter generalizzare al meglio. Il file di learning e di testing sono stati creati nel seguente modo: • Sono stati visualizzati ed esaminati più di 5000 segnali; • I segnali sono stati selezionati e separati in 3 categorie: segnali buoni, medi e rumorosi (Figura 7.1); • si sono presi in considerazione, per questa simulazione, solo segnali buoni e medi (per i segnali rumorosi non si conosce bene l’output); • in maniera visiva e del tutto soggettiva si è fatto un fit sui punti dei 6 sample, trovando il t0 con una certa incertezza ∆t (∆tbuoni < ∆tmedi ); • si è creato un file, di circa 200 segnali, con le sole coordinate y dei singoli sample, sia buoni che medi, e il t0 associato ad ogni segnale; • infine, 100 segnali sono stati adoperati come file di learning, mentre i restanti 100 sono stati utilizzati come file di testing; I segnali utilizzati per creare il file di learning sono segnali reali uscenti dalle strip del rivelatore e non segnali simulati. I file creati in questo modo hanno, quindi, sette valori di input per ogni segnale selezionato, precisamente sei sono i valori della carica registrata per ogni sample (le coordinate yi con i=0;5) e uno è il t0 GEM pulse mid ADC GEM pulse good ADC 1000 160 140 800 120 100 600 80 400 60 40 200 20 0 0 20 40 60 80 100 0 0 120 20 40 60 80 100 120 tempo tempo GEM pulse noise ADC Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 131 CAPITOLO 7. ANALISI DEL SEGNALE APV 1200 1000 800 600 400 200 0 0 20 40 60 80 100 120 tempo Figura 7.1: Rappresentazione delle tre tipologie di segnali selezionati: buoni (in alto a sinistra), medi (in alto a destra) e rumorosi (in basso) corrispondente al singolo segnale in esame. A questo punto i file sono pronti per essere elaborati dal Brain Project. Si ricorda che l’obiettivo principale è l’affidabilità dei risultati e la semplicità delle funzioni ottenute per una maggiore facilità di implementazione in hardware, quindi in FPGA. Sono state effettuate 2 simulazioni con gli stessi file di learning e di testing, ma ′ con configurazioni diverse tra loro. Infatti la prima simulazione, chiamata t0 , ha lavorato cercando un compromesso tra l’errore di apprendimento e il numero di ′′ nodi. Mentre, la seconda simulazione, chiamata t0 , ha lavorato cercando un numero minore di nodi, rispetto a quelli trovati dalla prima simulazione, per ottenere una funzione ancora più ridotta. La prima simulazione ha restituito una funzione abbastanza semplice nella sua forma ed è la seguente: ′ t0 = y4 + 0.211911 · y3 + [−9.23244 + cos(1956.47 · y3 )]y0 y1 (7.2) Come si può notare, tale funzione dipende esclusivamente da 4 sole variabili su 6 Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 CAPITOLO 7. ANALISI DEL SEGNALE APV 132 a disposizione, e precisamente y0 , y1 , y3 e y4 . Questo è un risultato molto interessante, se confermato, poiché ci permette di campionare non più a 6 sample ma, addirittura, a 4 sample, ridimensionando drasticamente i dati salvati in memoria e la complessità di impletazione sul FPGA. La seconda simulazione, invece, ha estratto una funzione ancora più semplice della prima, come ci si aspettava vista la configurazione adottata. La funzione è la seguente: ′′ t0 = y5 + y4 + (−9.1515 · y0 ) y1 (7.3) ′′ La funziona t0 dipende sempre da 4 variabili, questa volta sono y0 , y1 , y4 e y5 , ′ ma è senza dubbio molto più ridotta della t0 , ridimensionando ancora di più la complessità di implementazione in hardware. Questo sicuramente è un primo passo importante effettuato, ma non basta aver individuato una nuova funzione capace di trovare la nostra incognita, ma bisogna sopratutto verificare la validità di questa relazione. Tale verifica è stata eseguita nel seguente modo: • si è preso un segnale ideale, come in Figura 7.1 in alto a sinistra, e fittato con la funzione a doppio esponenziale ottenendo un tempo di inizio segnale molto attendibile, chiamato tRef (tRef =-0,22 ns) poiché sarà lo start time di riferimento; • il segnale utilizzato lo si è riprodotto un centinaio di volte; • ogni copia la si è sporcata con un rumore gaussiano via via sempre più grande, e precisamente con sigma pari a 50, 100 e 150; ′ ′′ • si è calcolato sia il t0 che il t0 e il t0 dei segnali rumorosi, identificati come tnoise ; • infine, si sono confrontati i tempi, calcolati con le 3 funzioni, con quello iniziale di riferimento tRef , ovvero (tRef − tnoise ); Il rumore riscontrato per i segnali uscenti dalle strip, in base ai piedistalli calcolati precedentemente, è stimato, mediamente, intorno a 23 ADC, quindi, come si è potuto notare dalla procedura realizzata, si è lavorato, appositamente, con una sovrastima del sigma gaussiano per testare la solidità delle funzioni trovate anche in condizioni estreme. I risultati sono riportati in Figura 7.2. Come si evince dal grafico, la differenza del tempo di start del doppio esponenziale con quello di riferimento, a sigma 0, è chiaramente migliore rispetto alle Estimate Start Time vs Noise tRef - tnoise [ns] Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 133 CAPITOLO 7. ANALISI DEL SEGNALE APV -(t-t ) -(t-t ) 2 0 0 τ1 A(1-e )e τ2 y +c1y [c2+cos(c3y )]y 4 3 3 0 y 1.5 1 y +y +c4y 5 4 0 y 1 1 0.5 0 -0.5 0 20 40 60 80 100 120 140 160 σ [ADC] Figura 7.2: Grafico raffigurante l’andamento della differenza del tempo di start calcolato con le 3 funzioni conosciute, rispettivamente la funzione a doppio esponenziale (pallino verde), la funzione ′′ ′ t0 (triangolo nero) e la funzione t0 (triangolo rosso) al variare del rumore gaussiano inserito nel ′ segnale utilizzato come riferimento. Nella funzione t0 le costanti valgono: c1 = 0.211911, c2 = ′′ -9.23244, e c3 = 1956.47, mentre nella funzione t0 la costante vale: c4 = -9.1515. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 134 CAPITOLO 7. ANALISI DEL SEGNALE APV differenze calcolate con le nuove funzioni, come giusto che sia; mentre, gli scarti delle nuove funzioni rientrano all’interno di un intervallo di circa 0.3 ns, decisamente un valore accettabile. Questo è un risultato molto importante, poiché ci dimostra che le funzioni estratte col Brain Project restituiscono uno scarto molto piccolo rispetto al risultato atteso. La situazione migliora all’aumentare del rumore aggiunto; infatti a più alti valori di sigma le differenze dei tempi di inizio segnale, per le 3 funzioni analizzate, sono minime tra loro, ma gli errori associati si differenziano di gran lunga. Infatti, già a partire da 50 sigma, l’errore sul doppio esponenziale è superiore agli errori delle nuove funzioni e peggiora continuamente fino a sigma 150. Da notare come le differenze ottenute con le nuove funzioni non variano di molto all’aumentare del sigma inserito nei segnali, quindi tale risultato dimostra la loro bassa sensibilità al rumore gaussiano trasportato. 7.3 Conclusioni sulla simulazione BP ′ ′′ In conclusione, si è provato, attraverso questi risultati, che le funzioni t0 e t0 hanno una robustezza al rumore decisamente superiore al doppio esponenziale, una buona risposta sul tempo di inizio segnale e sopratutto hanno una spiccata semplicità di forma, in particolar modo la seconda, requisito fondamentale per l’implementazione in hardware. I due obiettivi prefissati all’inizio della simulazione sono stati centrati con buon successo. Ciò fa ben sperare per quanto riguarda i passi successivi dell’analisi dei segnali e tutte le prospettive future legate a essa. Infatti, a breve, si passerà ad un livello superiore di analisi, ovvero lo step sarà quello di estendere lo studio ai segnali reali molto rumorosi, con ampiezze e forme molto diverse tra loro, e fuori range temporale, che per queste simulazioni non sono stati presi in considerazione all’interno dei file di learning e testing. In definitiva, questo studio preliminare ha mostrato come la Programmazione Genetica, e in particolar modo il Brain Project, è riuscita, per questa tipologia di segnali adoperati, a risolvere una grossa problematica di analisi dati fino ad ora irrisolta. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 Conclusioni In conclusione, in questo lavoro di tesi, si è discusso della realizzazione e caratterizzazione di un rivelatore a tecnologia GEM che sarà utilizzato come dispositivo di tracciamento di particelle cariche presso la Hall A del Jefferson Lab. Pertanto, si è introdotta la tecnologia GEM con tutte le sue peculiarità, giustificandone la scelta per la quale questi rivelatori saranno utilizzati come tracciatori per lo spettrometro SBS. Si sono illustrate le procedure di assemblaggio del rivelatore a tripla GEM, intoducendo le componenti meccaniche utilizzate e le modalità con cui si sono effettuati i controlli di qualità dei fogli GEM in camera pulita. Per quest’ultima procedura è stato anche introdotto, a titolo di esempio, il risultato di un tipico test resistivo dei settori di un singolo foglio. Una prima parte centrale di questo lavoro ha riguardato l’analisi di una porzione di dati acquisiti durante dei test di caratterizzazione presso il fascio di protoni di COSY a Jülich. L’obiettivo dell’analisi ha riguardato la risposta dei tracciatori in condizioni di alta intensità di fascio (protoni da 2.8 GeV), al variare della tensione ripartita ai rivelatori (da 4000 V a 4200 V), del flusso nominale di gas (1, 2, 3, 4 V/h) e dell’intensità dei protoni (1.4 · 109 , 8 · 109 e 1.6 · 1010 protons/bunch). Inoltre, si sono analizzate le proprietà di clustering dei singoli moduli. Durante il test, i 4 moduli GEM sono stati soggetti a pressioni di gas piuttosto elevate (con flusso di gas effettivo fino a 16 V/h per modulo), riscontrando una buona stabilità globale del sistema, senza osservare apprezzabili effetti sul gas. È stato analizzato il guadagno relativo dei vari moduli, sempre al variare delle condizioni sperimentali, osservando che esso è sostanzialmente indipendente dal gas flussato ma fortemente dipendente, come aspettato, dall’alta tensione applicata ai moduli, ovvero è aumentato all’aumentare della tensione applicata. Infatti, i guadagni relativi sono stati intorno a 6 · 103 ad una tensione di 4100 V e di 1.4 · 104 per una tensione di 4200 V. Per l’analisi del clustering, sono stati effettuati confronti tra diversi run aventi condizioni sperimentali differenti. I risulatati hanno mostrato che non si osservano effetti significativi al variare del flusso di gas erogato ai moduli, mentre all’aumentare della tensione applicata e/o dell’intensità del fascio, la quantità di carica 135 Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 raccolta dalle strip aumenta come ci si aspetta qualitativamente, confermando in qualche modo le buone performance dei moduli. L’ultima analisi effettuata, per quanto riguarda il clustering, è stata valutare l’efficienza dei singoli moduli al variare della tensione e del gas flussato. Le efficienze misurate hanno rispecchiato i diversi partitori di tensione utilizzati nei diversi moduli. D’altra parte, le misure di efficienza non hanno permesso di apprezzare eventuali effetti legati al flusso di gas, anche in questo caso in accordo con le previsioni. I risultati confortanti, anche se non definitivi, permettono di affermare che non si sono osservati particolari effetti oltre a quelli largamente attesi. Una parte dei dati acquisiti debbono ancora essere analizzati, mentre quelli già analizzati richiedono comunque qualche approfondimento nella direzione di stimare la sensibilità delle misure e quindi il limite inferiore per possibili effetti, non evidenziati in questa prima analisi. La metodologia di analisi si è rivelata ragionevolmente efficace, mostrando anche potenziali direzioni di miglioramento. Nella seconda parte dell’attività originale di questa tesi si è affrontata la problematica relativa all’analisi temporale del segnale APV (segnale rappresentato da 6 punti corrispondenti alla carica campionata ogni 25 ns, nei 6 sample). Tale analisi, specificatamente dedicata all’estrazione del tempo di inizio (start) del segnale, è importante per poter discriminare, e quindi rimuovere, una frazione significativa di segnali non correlati col trigger e quindi riconducibili a particelle di fondo che attraversano la camera GEM. Ad oggi, l’estrazione del tempo di start del segnale è stato stimato attraverso una funzione di fit a doppio esponenziale con 4 parametri. Questo da un lato non ha permesso di ottenere una risoluzione temporale ottimale dai 6 sample disponibili (il fit è debolmente vincolato) e dall’altra una funzione a doppio esponenziale richiede considerevoli risorse hardware per una potenziale implementazione nel firmware dell’elettonica di acquisizione, per una discriminazione real-time segnale/rumore. Ciò implica una mancanza discriminatoria tra segnali d’interesse e segnali di background, poiché non si riesce a stabilire, con relativa certezza, se il segnale parte all’interno di una finestra temporale, correlata al trigger, per poter stabilire se il segnale è buono oppure no. Pertanto, si è realizzato uno studio preliminare sui segnali APV utilizzando un tool (Brain Project) con tecniche di programmazione genetica (introdotta in maniera generica nel capitolo 6) applicata al problema della regressione simbolica (produzione di una funzione che si adatti ad un insieme di punti). L’obiettivo è stato quello di individuare, con tecniche di apprendimento automatico, una funzione matematica il più semplice possibile che colga l’andamento Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 di un insieme di dati numerici. Una volta illustrata la procedura realizzata del metodo di apprendimento (supervisionato con segnali a poca e media rumorosità), data la natura del Brain Project, si sono effettuate 2 simulazioni con configurazioni leggermente differenti e si sono trovate due funzioni pressochè adatte alla risoluzione del problema del tempo di start del segnale APV. Entrambe sono risultate decisamente robuste al rumore, quindi una buona affidabilità sul t0 , e sopratutto una elevata semplicità di forma, requisito fondamentale per l’implementare in elettronica. Verificati i buoni risultati ottenuti con tecniche di programmazione genetica, si è pensato di proseguire, anche in futuro, l’indagine temporale sui segnali APV. Infatti, il prossimo obiettivo sarà quello di allargare lo studio anche a segnali molto rumorosi, con ampiezze e forme differenti tra di loro, in modo tale da ricoprire la più vasta gamma di tipologie di segnali estratti dalle strip del tracciatore. Copia di documento informatico archiviato presso l'Università degli Studi di Catania (ex art. 23-bis D.Lgs 82/2005) - Prot. 2015-UNCTCLE-0143708 del 16/11/2015 Bibliografia [1] Accelerator Science. Website of http://www.jlab.org/accelerator-science. the Jefferson Lab, [2] 12 GeV Upgrade Technical Scope. Website of the Jefferson Lab, http://www.jlab.org/12GeV/. [3] 12 GeV Update. Website of http://www.jlab.org/12GeV/update.html. the Jefferson Lab, [4] SRF Institute. 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