Il travagliato rapporto tra leveraged buy out e interessi passivi

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Il travagliato rapporto tra leveraged buy out e interessi passivi
il fisco, 27 / 2014, p. 2646
Il travagliato rapporto tra leveraged buy out e interessi passivi
Gian Marco Committeri
Riferimenti
Decreto Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 600 Art. 37-bis
ABSTRACT - Anche ammettendo che gli interessi passivi siano soggetti al sindacato di inerenza non si
dovrebbe poter giungere a contestarne la deducibilità nelle operazioni di LBO poiché si tratta di oneri
connessi all’acquisizione di una partecipazione e, quindi, all’esercizio, diretto o indiretto, di un’impresa. E’
auspicabile una revisione dell’approccio complessivo da parte della Agenzia delle Entrate per garantire un
minimo di certezza agli operatori e non discriminare operazioni che non solo non sono elusive ma
possono contribuire a rafforzare il nostro sistema industriale.
1. Premessa
Il leveraged buy out (LBO) è una operazione societaria straordinaria caratterizzata dall’uso della leva
finanziaria e finalizzata all’acquisto di una partecipazione nella società “bersaglio” o target. L’operazione
può essere posta in essere da diverse tipologie di soggetti in veste di acquirenti: dai fondi di private
equity alle holding finanziarie fino alle società operative. Ciò che varia, solitamente, è la finalità
strategica dell’investimento: massimizzazione del valore della target finalizzato alla successiva rivendita,
in un arco temporale di breve-medio termine, per i fondi di private equity; diversificazione degli assets
gestiti per le holding finanziarie ovvero crescita dimensionale del business e sfruttamento di sinergie per
le società operative, in entrambi i casi in un’ottica di medio-lungo termine.
Da tempo questa operazione è oggetto di particolare attenzione da parte dell’Amministrazione finanziaria
che cerca di contestare la deducibilità degli interessi passivi (e, più in generale, degli oneri finanziari) alla
stessa, inevitabilmente, correlati. Si riscontra a volte una sorta di preclusione concettuale nei confronti
degli acquisti perfezionati con la tecnica del LBO, come se si trattasse di una operazione da contrastare
ad ogni costo senza soffermarsi a comprendere fino in fondo la sua essenza e la sua complessa struttura.
Non di rado, infatti, vengono ripresi a tassazione, non soltanto gli interessi connessi all’acquisition
financing (ossia le somme che contribuiscono, insieme all’equity dell’acquirente, a formare la provvista
per il pagamento del prezzo di acquisto della partecipazione), ma anche quelli correlati a linee di
finanziamento che si pongono quale obiettivo soltanto quello di rifinanziare l’indebitamento preesistente
oppure di fornire le risorse necessarie per lo sviluppo del business della target.
Una cosa va detta preliminarmente: le operazioni di LBO in linea di principio non hanno quale scopo
principale quello di dedurre gli interessi passivi bensì quello di ridurre l’investimento di capitale proprio
privilegiando il ricorso al capitale di credito per beneficiare, al ricorrere di determinate condizioni, degli
effetti conseguenti sul rendimento del capitale investito. La deducibilità fiscale degli interessi, quindi, è
un mezzo per l’efficientamento e non il fine perseguito. Ed ancora: non si tratta, in molti casi, solo
di ridurre la quota di equity investito, ma di rendere addirittura realizzabile l’operazione di acquisizione
che non sarebbe diversamente perfezionabile.
In questa sede si vogliono offrire alcuni spunti di riflessione in relazione a specifiche tematiche operative
per cercare di contribuire alla individuazione di una soluzione perché su una cosa non è lecito
dubitare: l’incertezza è di ostacolo ad una sana dinamica degli investimenti da parte degli operatori,
soprattutto stranieri. E questo non contribuisce di certo all’assestamento ed alla crescita del sistema
industriale italiano caratterizzato, notoriamente, da imprese di dimensioni medio piccole che possono,
anche per questo, risultare appetibili proprio per operazioni di LBO vista la successiva possibilità di
sviluppo e crescita. Non sfugge come tali operazioni, se condotte con approcci spregiudicati, possano
avere effetti negativi sulle imprese oggetto di acquisizione, ma questo non può certo rappresentare, di
per sé, un valido motivo per contrastare, attraverso gli accertamenti fiscali, l’operatività di uno
strumento che può, invece, rappresentare un valido volano per lo sviluppo dimensionale delle imprese e
quindi della nostra economia [2].
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2. La difficile contestazione basata sull’inerenza
Nelle verifiche fiscali che esaminano le operazioni di LBO vengono mossi, solitamente, uno o più dei
seguenti rilievi: (i) generico difetto di inerenza degli oneri finanziari in capo al soggetto che li sostiene
(società veicolo - c.d. BidCo - ovvero società target post fusione con BidCo), (ii) l’elusività dell’operazione
ricorrendo alla teoria dell’abuso del diritto [3] ovvero (iii) la presunta violazione delle regole in materia di
transfer price, ovviamente quando l’operazione è posta in essere da un soggetto non residente
attraverso un veicolo nazionale (cui si contesta la mancata indicazione di proventi da addebitare alla casa
madre straniera e corrispondenti agli oneri finanziari che sarebbero stati sostenuti in nome proprio ma
per conto del soggetto non residente) [4].
Il tema dell’inerenza oggettiva degli interessi passivi non sembra poter supportare validamente le
pretese erariali.
Infatti, anche ammesso e affatto concesso che tale componente negativa di reddito sia soggetta al
sindacato di inerenza [5], la natura stessa dell’operazione di LBO (se correttamente compresa) non
dovrebbe lasciare alcuno spazio per poter asserire che gli oneri non siano inerenti all’attività d’impresa.
E’ evidente, infatti, come un’operazione di leveraged buy out - essendo finalizzata all’acquisto di una
partecipazione e, quindi, al possesso ed alla gestione (diretta o indiretta) di un’azienda - sia anche
certamente inerente all’attività d’impresa [6]. Conseguentemente, non appare possibile negare l’inerenza
degli oneri finanziari connessi all’attività svolta dal veicolo che ha perfezionato l’acquisizione, a nulla
rilevando l’eventuale successiva fusione del veicolo stesso con la società target acquisita [7].
Nessuna differenza può sussistere, almeno allo stato attuale della normativa, tra l’acquisto a debito di un
capannone industriale o di una partecipazione. Né a diversa soluzione può giungersi sol perché la
rivendita del capannone genererà proventi integralmente imponibili mentre la successiva alienazione
della partecipazione potrebbe dare origine a proventi sostanzialmente esenti [8].
Anziché contestare l’assenza di inerenza degli interessi passivi, via alquanto stretta perché per produrre
un risultato concreto non solo è necessario che si giunga a ritenere ammissibile il sindacato di inerenza
per tali componenti negativi di reddito ma anche che tale inerenza sia disconosciuta per operazioni che
portano, già nel nome, il ricorso alla leva finanziaria, l’Agenzia sembra privilegiare la teoria dell’elusione
e dell’abuso del diritto.
3. I fondi di private equity e gli investitori stranieri
In questo contesto l’attenzione dell’Amministrazione finanziaria è rivolta soprattutto alle operazioni di
LBO poste in essere da fondi di private equity o da investitori stranieri. La spiegazione è agevole: si
tratta di soggetti che per loro natura non avrebbero potuto dedurre, in Italia, gli oneri finanziari connessi
all’operazione. Ecco quindi che l’interesse dei verificatori non è più tanto quello di contrastare tout court
l’operazione [9] bensì quello di contestare che gli oneri finanziari rimangano nel bilancio (e quindi nella
dichiarazione fiscale) della società italiana (che sia il veicolo utilizzato per l’acquisizione ovvero la target
post fusione in questa sede poco importa) [10].
Negli accertamenti, in applicazione della norma antielusiva generale contenuta nell’art. 37-bis del D.P.R.
n. 600/1973, si asserisce che l’operazione di LBO (o MLBO) avrebbe avuto come finalità quella di
spostare gli oneri del trasferimento della partecipazione in capo al soggetto acquisito (quasi
sempre la società oggetto di verifica) al fine di evitare che gli stessi incidessero in capo al soggetto
beneficiario dell’acquisizione (e quindi il fondo di investimento o l’investitore non residente),
determinando una contrazione del reddito della società target in aggiramento dell’art. 72 del Tuir
[11].
In sostanza, al fine di evitare la deduzione degli oneri da parte della società italiana, si prova a sostenere
che gli stessi sono riferibili al (ed avrebbero quindi dovuto restare a carico del) soggetto che ha
strutturato l’operazione e non al veicolo italiano utilizzato per la sua esecuzione.
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Si tratta di rilievo elevato, come detto, quando l’acquirente è un soggetto non residente oppure un fondo
di private equity giacché solo in questi casi la “traslazione” degli oneri finanziari si traduce in un
vantaggio netto per l’Erario che riferisce tali componenti negativi a soggetti che, per motivi diversi, non li
possono dedurre. Già questa considerazione sembra evidenziare la fragilità dell’impostazione in termini
di diritto.
Non si vede per quale motivo a soggetti non residenti ovvero a fondi di private equity residenti non
debba essere consentito di strutturare le operazioni di acquisizione attraverso veicoli societari residenti
che, fino a prova contraria, dovrebbero essere soggetti al medesimo trattamento fiscale a prescindere
dalla natura e nazionalità dei soci.
Né si ritiene di poter accettare quale motivazione quella secondo cui in questo modo questi soggetti
riescono a dedurre gli oneri finanziari sopportati. Oneri che, si badi, sarebbero pacificamente dedotti se a
porre in essere l’operazione fossero imprenditori residenti.
Ma se si vuole estremizzare il ragionamento e se lo spirito che sottende questi rilievi è semplicemente
quello di cercare di spostare gli oneri in capo a chi viene considerato il dominus dell’operazione e non
può dedurli (quanto meno in Italia) si apre un altro spiraglio per i verificatori: anche gli imprenditori
italiani che operano con società residenti e vogliono perfezionare una acquisizione “a leva” lo fanno
solitamente con veicoli societari e non a titolo personale (anche) per ottimizzare la gestione fiscale e,
quindi, finanziaria del business. Spesso si tratta di società holding o veicoli utilizzati per l’occasione, ma
nessun dubbio può esserci su chi sia il dominus dell’operazione, ossia l’imprenditore residente.
Allora non si vede perché non contestare anche un’operazione attraverso cui una persona fisica residente
pone in essere un’acquisizione attraverso un veicolo societario dotandolo del capitale necessario ed
acquisendo a debito la parte rimanente. Si potrebbe in tal caso asserire che la società è utilizzata dalla
persona fisica per dedurre gli interessi che diversamente non sarebbero stati deducibili?
E’ ovviamente una estremizzazione e la risposta non dovrebbe essere dubbia, ma allora c’è da chiedersi
che differenza ci sia tra questa fattispecie e quella sovente contestata a fondi di private equity o agli
investitori non residenti nelle operazioni di LBO. Senza tener conto, peraltro, che almeno per i fondi di
private equity l’assunzione del debito attraverso un veicolo non solo può rispondere ad esigenze
regolamentari del fondo stesso, ma è coerente con la finalità di segregare ciascun investimento
realizzato che vede spesso coinvolti soggetti diversi e diversi finanziatori.
4. Gli interessi passivi non connessi al finanziamento dell’acquisizione
Altro aspetto operativo che merita di essere approfondito è quello connesso alla erogazione, da parte dei
finanziatori, di somme a diverso titolo nell’ambito delle complesse operazioni di LBO. Non tutti i
finanziamenti, tuttavia, sono destinati al pagamento del prezzo di acquisto della partecipazione. Questa
precisazione si rende necessaria giacché, purtroppo, si assiste spesso all’emanazione di accertamenti in
cui vengono ripresi a tassazione non soltanto gli interessi riferibili al finanziamento contratto
dall’acquirente per procedere all’acquisto della partecipazione ma tutti gli interessi passivi comunque
riferibili alle linee di finanziamento erogate in occasione dell’operazione.
Ciò comporta risultati evidentemente inaccettabili. Vengono contestati, ad esempio, interessi su
finanziamenti che altro non fanno che rifinanziare il debito esistente [12] oppure finanziamenti che
vanno ad integrare linee di credito necessarie per gli investimenti o per la gestione ordinaria del
business.
Se appare difficile supportare validamente le contestazioni relative al finanziamento di genuine
operazioni di LBO (o MLBO) per la parte effettivamente relativa al pagamento del prezzo di acquisto della
partecipazione, è invece impossibile che trovino accoglimento pretese che tendono a contestare la
deducibilità di interessi relativi ad altre forme di finanziamento che nulla hanno a che vedere con il
pagamento di quel prezzo.
Come si possono contestare gli interessi su finanziamenti che sostituiscono linee di credito già esistenti
solo perché erogati nell’ambito di operazioni di LBO? Veramente questa operazione è in grado addirittura
di trasformare interessi deducibili in oneri indeducibili? Non appare possibile; la risposta va cercata
piuttosto nel disfavore che connota queste operazioni in uno, a volte, con la non adeguata ed
approfondita analisi delle singole fattispecie. L’operare congiunto di questi due fattori può comportare
effetti devastanti, come l’emanazione di accertamenti che, sebbene destinati a naufragare nella fase
contenziosa, possono, comunque, mettere in difficoltà il contribuente [13].
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Almeno su questo punto è auspicabile che l’Agenzia delle Entrate possa tirare le fila delle attività di
accertamento a livello locale e fornire indicazioni nell’unico senso che appare possibile, ossia
l’impossibilità di contestare la deducibilità degli interessi riferibili a linee di credito che sostituiscono un
debito esistente (come tale, quindi, certamente genuino e non “abusivo”) o che finanziano, in qualsiasi
modo, le attività della società target e non sono quindi utilizzate per il pagamento del prezzo di acquisto
della partecipazione.
5. Conclusioni
Ciò che appare chiaro al termine di queste brevi riflessioni è che la deduzione di oneri finanziari da parte
di soggetti che tipicamente realizzano utili (ossia le società target) così da ridurre, e magari azzerare, il
relativo imponibile fiscale, viene vista con disvalore perché ragionevolmente avrà come contropartita,
peraltro differita nel tempo, la tassazione di una plusvalenza che potrà fruire del regime di participation
exemption se non addirittura sfuggire a tassazione in Italia [14]. Ma questo è, allo stato, il sistema di
norme vigente e se non sono ritenute adeguate non resta che procedere ad una loro modifica potendosi
contrastare in via interpretativa e con le attività di accertamento soltanto gli abusi e le elusioni non
anche le operazioni caratterizzate da evidenti (e valide) ragioni economiche e poste in essere tra parti
terze ed a condizioni di mercato.
Non sfugge a chi scrive la possibilità che vengano poste in essere operazioni spregiudicate, magari aventi
addirittura carattere depredatorio della società target, tali cioè da non poter garantire un effettivo e
razionale sviluppo del business e creazione di valore ma, allo stesso modo, non deve sfuggire al Fisco
che la stragrande maggioranza delle operazioni di LBO presenta connotati di genuinità e coerenza che
dovrebbe agevolmente preservarle dalle contestazioni che invece si riscontrano nella pratica.
Non vi è chi non veda la profonda differenza tra un’operazione posta in essere tra soggetti terzi,
finanziata da banche non riferibili ad alcuna delle controparti ed eseguite a prezzi di mercato rispetto
ad una operazione realizzata infragruppo e finanziata da soggetto, magari non residente, anch’esso
appartenente al gruppo.
Non può dirsi che la seconda sia certamente elusiva, ma potrà senz’altro rendersi opportuna una verifica
ulteriore circa l’eventuale sussistenza di valide ragioni economiche (ad esempio qualora la
ristrutturazione del gruppo sia profonda e l’operazione ne sia parte integrante e coerente ed il
finanziamento infragruppo sia concesso a condizioni migliori rispetto a quelle reperibili sul mercato)
mentre nella prima ipotesi dovrebbe concludersi, agevolmente, per l’assoluta genuinità dell’operazione e
conseguente deducibilità degli oneri finanziari, ovviamente nei limiti previsti dalla normativa vigente.
E’ necessario distinguere, quindi, tra operazioni certamente genuine e meritevoli di non subire
penalizzazioni ed operazioni in relazione alle quali può aver senso, nell’ottica del Fisco, approfondire
l’analisi e valutare se sussistano i requisiti per muovere contestazioni in grado di essere adeguatamente
supportate.
Solo fornendo indicazioni chiare agli operatori circa i requisiti sintomatici di genuinità dell’operazione il
cui rispetto rende l’applicazione della norma fiscale, di per sé chiara, scevra da contestazioni si può
ristabilire un clima di fiducia che certamente farebbe comodo a tutti gli operatori e potrebbe stimolare il
mercato dei capitali e gli investimenti in Italia.
Note:
[1]
Per una disamina completa dell’argomento si rinvia al documento Il leveraged buy out tra valide
ragioni economiche, abuso del diritto e fobie antielusive, predisposto a cura della Commissione II.DD.
Operazioni Straordinarie dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Roma, in “Le
Guide il fisco”, giugno, 2014.
[2]
E’ evidente, infatti, come l’approccio degli investitori finanziari (quali ad esempio i fondi di private
equity) è certamente guidato dalla volontà di creare valore e, pertanto, non può che essere coerente con
la finalità di rendere più efficienti le imprese o consentirne una crescita altrimenti non sempre facilmente
attuabile.
[3]
Sulla nozione di abuso del diritto con riferimento alle operazioni di LBO si rinvia agli approfondimenti
contenuti nel documento richiamato alla nota 1 ed alla dottrina ivi citata.
[4]
Per una disamina delle contestazioni e relative considerazioni critiche si veda anche L. Rossi-M.
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Ampolilla, Gli illegittimi accertamenti del fisco italiano, in “Boll. Trib.” n. 1/2013, pag. 18 e, da ultimo, T.
Gasparri, Interessi passivi e leveraged buy out, in “il fisco” n. 23/2014, pag. 2233.
[5]
Sul punto si rinvia a L. Rossi-M. Ampolilla, op. cit., e, per una disamina sulla pronuncia della
Cassazione n. 24930 del 2011 che ha sancito la necessità di un rapporto di funzionalità degli interessi
passivi alla produzione del redito d’impresa, a G. Ferranti, Inversione di rotta della Cassazione sulla
inerenza degli interessi passivi, in “Corr. Trib.” n. 3/2012, pag. 157.
[6]
Come è stato efficacemente rilevato, infatti, se “l’attività dedotta nell’oggetto sociale della società
veicolo è la stessa attività che costituisce l’oggetto sociale della società target, da esercitarsi
direttamente o indirettamente, mediante società controllate, l’accensione di un debito per procurare i
mezzi finanziari necessari all’acquisizione del controllo della seconda si configura quale atto strumentale
alla realizzazione del programma imprenditoriale della prima”, G. Zizzo, Inerenza degli interessi passivi e
MLBO in “Rassegna Tributaria” n. 3/2014, pag. 622.
[7]
La fusione tra il veicolo e la società target, oltre a rispondere ad esigenze di razionalizzazione della
struttura, viene incontro alle richieste delle banche finanziatrici che vogliono avvicinare i flussi di cassa
necessari al rimborso del debito (e quindi i cash flow della società target) al debito stesso (contratto dal
veicolo). Si tratta di operazione che viene concordata in sede di strutturazione dell’intera operazione e
risulta elemento spesso decisivo per la concessione del credito; già solo per queste pacifiche ragioni ne
dovrebbe conseguire che l’operazione è sorretta da valide ragioni economiche.
[8]
Non c’è bisogno di ricordare che il regime di participation exemption riservato alle partecipazioni è
regime “normale” e coerente con il nuovo assetto sistematico pensato per il reddito d’impresa. Pertanto,
se si volesse condizionare la fruizione del regime al rispetto di ulteriori parametri, magari nel caso in cui
l’acquisto della partecipazione sia stato perfezionato con ricorso all’indebitamento, si dovrebbe
intervenire sull’art. 87 del Tuir.
[9]
Anche tenuto conto che dal 1° gennaio 2004 le operazioni di LBO (o, meglio, di merger leveraged buy
out) hanno trovato definito riconoscimento nell’ordinamento giuridico per effetto dell’introduzione
dell’art. 2501-bis del codice civile.
[10]
E’ frequente che l’operazione di LBO termini con la fusione della società target con la NewCo
utilizzata per procedere all’acquisto così che il debito contratto per l’acquisizione viene traslato (cd. push
down) sulla target. Si parla in questi casi di Merger leveraged buy out (MLBO).
[11]
La norma aggirata quindi sarebbe addirittura l’art. 72 del Tuir che stabilisce il presupposto stesso
dell’imposta ed ai sensi della quale: “presupposto dell’imposta sul reddito delle società è il possesso di
redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie indicate nell’art. 6”.
[12]
Il rifinanziamento del debito esistente, peraltro, avviene quasi sempre su apposita richiesta delle
banche finanziatrici che preferiscono gestire l’intera posizione debitoria della società target.
[13]
E’ di tutta evidenza la problematicità che si pone nella gestione di accertamenti che - ancorché
redatti senza valide basi giuridiche - impongono alle società o ai gruppi di intraprendere azioni per
evitare effetti pregiudizievoli e che, magari, possono addirittura optare per la definizione stragiudiziale
della controversia pur avendo valide ragioni per supportare la difesa ma volendo evitare l’alea tipica di
qualunque procedimento giudiziale (ovvero le problematiche connesse con il rilascio di garanzie in sede
di cessione della partecipazione prima che il contenzioso sia stato definito).
[14]
La considerazione appare tanto più comprensibile, nell’ottica del Fisco, se si considera che in alcuni
casi potrebbe non risultare agevole l’individuazione del beneficiario effettivo delle operazioni.
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