dott.sa Anna Brambilla
Formazione e progetti di migrazione.
Una osservazione in corsi di alfabetizzazione per donne immigrate.
ABASTRACT:
La tesi di laurea è costruita su un argomento che negli ultimi anni richiede un’attenzione
sempre maggiore da parte delle politiche sociali: quello della migrazione in Italia di donne
provenienti dai paesi extraeuropei che si trovano a dover affrontare nel nostro Paese situazioni
familiari alla vita femminile come il parto e la cura dei figli, la preoccupazione per il futuro in
un contesto che appare loro estremamente differente, a volte ostile.
Il mio interesse all’interno di questa vasta tematica è stato infatti destato dall’osservazione dei
molteplici volti del disorientamento causato nella donna dall’ingresso in un paese straniero, dal
problema della non conoscenza della lingua italiana che si pone alla base di un’ulteriore
aggravamento del disagio, dal valore del racconto di sé nella faticosa ricostruzione della
propria esistenza e dall’incontro scontro all’interno del panorama culturale tra diverse
immagini del femminile.
In un primo momento infatti, era mia intenzione occuparmi della riflessione teorica sulla
tematica della convivenza e del possibile dialogo all’interno della cultura occidentale tra due
modelli di concezione dell’essere donna: il primo, sviluppatosi in Italia negli ultimi decenni
grazie a spunti provenienti dal modus viventi nord-europeo e nordamericano, fortemente fiero
del cammino verso l’indipendenza e l’emancipazione della donne, il secondo arrivato dai paesi
del Sud del mondo con le prime immigrazioni femminili negli anni Ottanta più orientato verso
un atteggiamento androcentrico che sembra per alcuni aspetti ricalcare la situazione presente
nell’Italia precedente gli anni Sessanta.
Tale riflessione si è però subito rivelata come troppo generale e troppo complessa per poter
essere trattata in sede di tesi di laurea: occorreva un contesto, individuato nei corsi di
alfabetizzazione riservati a donne immigrate, che permettesse di vagliare con attenzione
interrogativi più mirati da approfondire e di dare a questi una risposta il più possibile precisa e
frutto di un accurato lavoro di osservazione partecipante.
I quesiti alla base del lavoro di ricerca sono molteplici: un contesto di formazione e
alfabetizzazione per adulti può diventare per le donne immigrate una risorsa per riflettere sulla
propria vicenda migratoria e promuovere un’integrazione che vinca il forte senso di disagio
che l’abbandonare necessariamente comporta? Il ritrovarsi in gruppo per uno scopo che non è
esplicitamente terapeutico può sollecitare un proficuo raccontarsi e l’individuazione di un filo
conduttore tra i meandri di una vicenda apparentemente spezzata tra un prima ed un dopo?
Quale ruolo riveste in questo frangente l’apprendimento della lingua italiana, o addirittura
l’apprendimento dei rudimenti della lettura e della scrittura? Come si colloca l’esperienza
all’interno di un preciso contesto sociale, culturale e famigliare dal quale provengono e al
quale, in quanto immigrate di prima generazione rimangono profondamente legate?
Ho compiuto un’osservazione durante il periodo Febbraio-Giugno 2004 all’interno di tre corsi
di alfabetizzazione eterogenei per ubicazione, durata e tipologia delle corsiste, il cui aspetto
comune fosse però l’essere immaginati esclusivamente per donne: il corso di Treviglio,
organizzato dal Centro EDA, il corso di Ciserano, organizzato dall’Associazione Donna di
Zingonia, il corso di Caravaggio organizzato dal Centro Multiculturale.
I quattro capitoli contenuti all’interno della tesi sono il tentativo di individuare un filo
conduttore che colleghi l’approdo in Italia della donna immigrata con il conseguente bagaglio
di disagio e disorientamento, la scoperta delle iniziative di alfabetizzazione e i possibili effetti
sulla rilettura della propria esperienza migratoria.
Il primo capitolo vuole offrire una panoramica generale della situazione relativa al flusso
migratorio che interessa il nostro Paese: si tratta di una ricognizione di tipo quantitativo che,
procedendo a lente di ingrandimento si sposta dall’intera Italia fino alla Provincia di Bergamo,
con una particolare attenzione alla migrazione femminile.
Il secondo capitolo, entrando nel vivo della trattazione, presuppone l’adesione all’ipotesi di
una profonda differenza di genere nel vivere l’esperienza della migrazione. Non soltanto gli
aspetti immediatamente percepibili sarebbero divergenti, ma anche quelli sedimentati ad un
livello interiore più profondo. Tale concetto passa attraverso la considerazione di modelli di
vari autori tra i quali quello di Cecilia Edelstein, che in seguito ad un attento monitoraggio su
gruppi di uomini e donne migranti mette in luce le discrepanze con le quali i due generi
percepiscono il distacco dal proprio paese d’origine.
Viene proposta inoltre una disamina di momenti come il parto, la malattia o la recisione dei
legami con le amicizie femminili che nel paese d’accoglienza vengono vissuti come
particolarmente drammatici e diventano il simbolo della solitudine della donna immigrata.
Il terzo capitolo riguarda la presentazione dettagliata dei tre corsi di alfabetizzazione oggetto di
riflessione e si sofferma ad indagare la divulgazione dell’iniziativa, la didattica, la tipologia
delle corsiste e la percezione che dell’utilità del corso e dei suoi risvolti all’interno del vissuto
quotidiano costruiscono le donne migranti. Include inoltre una breve riflessione sui compiti
che, in seguito alla complessificazione della situazione demografica italiana, è necessario che
svolgano i Centri Territoriali Permanenti nell’ottica di un’educazione degli adulti mirata ad
eterogenei bisogni di alfabetizzazione. Si riflette inoltre sulla risonanza che, nell’esistenza
della singola donna immigrata, derivano dalla conquista della conoscenza della lingua nel
paese ospite (che significa anche immersione in un mondo diverso, se è vero che ogni lingua
costruisce un mondo) e dell’esercizio della lettura e della scrittura per coloro che non hanno
mai frequentato la scuola.
Ogni punti della riflessione è corredato da stralci di interviste raccolte presso i laboratori
osservati durante il periodo della mia osservazione e partecipazione ai corsi.
Il quarto capitolo è un’indagine su quanto il ritrovarsi in un piccolo gruppo di donne con uno
scopo come l’alfabetizzazione sia in grado non soltanto di favorire la socializzazione, ma
prima di questa la rilettura della propria identità culturale e personale in un’esperienza che
permetta di dire “Io”, parola che spesso, anche nel corso delle interviste, è come se venisse
dimenticata dalle donne straniere, oppure viene anteposta a parole ben più frequenti come “la
mia famiglia”, “mio marito”, “è bene”, “è male”… La riscoperta dell’Io non deve essere
tuttavia quella di un io narcisistico e individualistico, ma la scoperta della possibilità di
integrare dentro se stesse elementi che, sebbene apparentemente poco conciliabili (i propri
desideri, le proprie paure giustapposte a quelle dei propri cari), diventino la promessa per la
costruzione di una personalità individuale più completa e, di riflesso, di una società più ricca.
Si accenna di nuovo, a questo proposito a Cecilia Edelstein in riferimento all’iniziativa della
conduzione di piccoli gruppi di donne immigrate finalizzati alla rilettura più serena della
propria esperienza migratoria attraverso l’utilizzo dell’approccio autobiografico.
L’istituzione di gruppi di alfabetizzazione è un primo passo che permette di rispondere,
seppure in maniera ancora parziale, alle richieste non sempre rese esplicite dalle donne
straniere che sono domande di stabilità, di confronto e di visibilità.
L’esigenza di stabilità viene come conseguenza di un periodo di disorientamento più o meno
lungo a livello fisico, psichico ed emotivo, per cui il corso diventa un appuntamento fisso del
quale, anche se si è impossibilitate a partecipare, si sa che c’è. Diventa importante per le donne
immigrate in un primo momento sentirsi accolte, desiderate, cercate nel contesto della nuova
iniziativa…si tratta di un modo per far capire che la loro presenza non è passata inosservata, le
loro richieste silenziose non è stata ignorata…
Una seconda fase è quella del confronto: dopo un momento di iniziale adattamento (quasi un
rilassamento, anche fisico, dimostrato dalle posture meno contratte, dai veli che si abbassano
lasciando scoperti i capelli, dalle risate che scorrono libere e più frequenti), si manifesta il
desiderio di intel-legere e di condividere qualcosa della cultura delle altre…il corso di
alfabetizzazione può rappresentare una preziosa opportunità per la costruzione di quello sfondo
fatto di amicizie, di chiacchiere, di scambio di informazioni e favori immerso nel quale molte
donne hanno lasciato l’anima, il cuore e la curiosità.
Non è tanto l’ “imparare per”, l’aspetto funzionale, a legittimare l’importanza del corso agli
occhi delle donne che lo frequentano, quanto il fatto che esso costituisca un’occasione. Viene
vissuto dalle donne come importante per quello che offre nel presente, semplicemente perché
offre la possibilità di uscire dalla routine famigliare che una volta consolidata rischia di
diventare claustrofobia.
A questo è però necessario accostare il terzo aspetto, consistente nel desiderio di acquistare
visibilità. Proiettato questa volta non tanto all’interno del corso, quanto piuttosto nella vita di
tutti i giorni. Diventa in un certo senso un cammino personale che si trasforma nel
raggiungimento di tanti piccoli traguardi, di tanti spazi di autonomia: per qualcuna può essere
il raggiungimento del diploma di scuola media, che apre la possibilità di riprendere la
professione interrotta nel paese d’origine (va anche detto che questo nella maggior parte di casi
rimane un sogno), per altre la capacità di compilare da sole i documenti senza dover ricorrere
all’aiuto di un coniuge, per altre ancora semplicemente la possibilità di uscire di casa senza
una ragione che non sia legata alla famiglia o allo svolgimento delle incombenze domestiche.
In realtà la visibilità, che viene identificata da parte delle donne nella possibilità di percepirsi
come totalmente integrate anche nelle relazioni con le donne italiane, rimane nella maggior
parte di casi un obiettivo non raggiunto. Come è emerso dalla mia partecipazione ai corsi, i
tentativi di coinvolgimento e collaborazione tra donne straniere e donne italiane sono infatti
limitati a casi sporadici e illuminati.
Si disegna quindi un interrogativo proiettato verso il futuro, che è anche un invito ad agire:
quale prospettiva per la costruzione di gruppi che favoriscano lo scambio culturale non
soltanto inerente all’alfabetizzazione e non soltanto tra donne straniere, ma coinvolgenti anche
donne italiane?