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Logica predicativa
Un’introduzione su sulle parole
Osserviamo il seguente semplice ragionamento (R1):
1) Tutti gli uomini sono mortali.
2) Socrate è un uomo_____________
3) Socrate è mortale
Si vede subito che è un ragionamento che funziona: la frase “3” segue ogni volta che le frasi “1” e “2” sono
vere. La frase “3” è dunque la conclusione di un ragionamento che ha “1” e “2” come premesse.
Formalizziamolo con le tecniche apprese con la logica proposizionale, per poter dimostrare la conclusione
con le regole che abbiamo studiato.
“1” ha un solo predicato, quindi è una formula atomica e deve essere rappresentata da una lettera sola:
poniamo m.
Anche “2” ha un solo predicato, quindi anch’essa è atomica e anch’essa sarà rappresentata da una sola
lettera: poniamo u. Simili considerazioni si faranno per “3”: la rappresentiamo con s.
Il risultato è il seguente (R1’):
1) m
2) u___
3) s
Risulta evidente che s non potrà mai essere derivato dalle premesse m ed u. Ciò per due ragioni: la prima
è che non abbiamo regole di inferenza che portino da “1” e “2” a “3”; la seconda è che la “3” così
formalizzata non ripropone nessuno degli elementi delle premesse (non contiene nessuna delle lettere
delle premesse). Questa riproposizione è invece necessaria (ma non sufficiente) – tolto il caso in cui le
premesse siano contraddittorie.
A dispetto di queste difficoltà, resta però il fatto che R1 ci continua a sembrare valido. Da che cosa
dipende questa differenza?
Dobbiamo perciò cercare di capire da che cosa dipende la validità di R1.
1) Tutti gli uomini sono mortali.
2) Socrate è un uomo_____________
3) Socrate è mortale
La conclusione in realtà ripropone elementi delle premesse, ma questi elementi non sono a loro volta
frasi (“proposizioni”), sono parole: è dalle parole che dipende la validità di R1. La formalizzazione
proposizionale, trattando l’intera frase come un pacchetto chiuso, ossia rappresentando l’intera frase
con una lettera, non era in grado di “vedere” che la frase è composta da più parti. Se perciò le parti di
frasi diverse erano in relazione tra loro da consentire la costruzione di un ragionamento valido, la logica
proposizionale, che non vede l’intero ma non la parte, non è in grado di rappresentare questo tipo di
ragionamento. E questo è quello che accade con R1’.
Il limite della logica proposizionale è dato dal suo linguaggio: non ho modo, connettivi e lettere
proposizionali di entrare nei dettagli della frase. È necessario dunque pensare ad un linguaggio più ricco
che sia in grado di rappresentare in modo formale questi dettagli per costruire una logica più estesa del
ragionamento deduttivo. Chi ha un minimo di nozione di grammatica, vede bene anche solo da R1 che i
predicati giocano un ruolo decisivo: si parla perciò di logica predicativa.
Il linguaggio della logica predicativa
Connettivi
Visto che la logica predicativa è un’estensione di quella proposizionale, nel linguaggio della logica
predicativa dovrò poter dire cose che già dicevo nella logica proposizionale. Ad esempio frasi come : “Il
lupo è un animale selvatico e il cane domestico”, oppure “Vado al mare o non sto bene”, oppure ancora
“Se il cellulare suona, non rispondo”.
Avrò quindi ancora i connettivi: , , , 
Nomi propri: le costanti individuali
Osservando R1, e riprendendo alcune nozioni basilari di grammatica, ci accorgiamo che Socrate è un
nome proprio. Nel linguaggio della logica predicativa i nomi propri sono fondamentali e vengono chiamati
costanti individuali. Un nome proprio ha la funzione di indicare, un dato contesto, un certo oggetto.
Solitamente, per un dato contesto, ad ogni nome proprio corrisponde un solo oggetto: è un nome
proprio. Per lo meno questa è una caratteristica alquanto desiderabile. Quando in una classe ci sono due
Filippo, l’insegnante è costretto ad aggiungere una qualche nota specifica per indicare a quale dei Filippo
si rivolge: o un gesto, o una marca del tipo “lì in fondo”, oppure, più appropriatamente il cognome,
“Rossini” o “Verdi”. Anche le città, ad esempio, hanno nomi propri che le designano come uniche. Se ci
troviamo di fronte ad una Milano che non sia quella più nota, rimaniamo un po’ straniti (prima di tutto),
e in ogni caso, sul piano ufficiale, viene aggiunta una marca aggiuntiva che distingua questa Milano, ad
esempio “Marittima”, dall’altra. Un complesso stratagemma per distinguere gli omonimi esatti
all’interno di una nazione, ad esempio due “Mario Rossi”, è il codice fiscale: il codice fiscale è perciò un
nome proprio artificiale. Simili considerazioni si possono fare per le targhe delle automobili. I nomi propri
sono dunque individuali. È inoltre chiaro che la stessa auto manterrà lo stesso nome per tutta la sua
esistenza, così la stessa persona lo stesso nome-cognome o codice fiscale, etc: il nome proprio è dunque
costante. In logica la costante individuale è espressa con singole lettere minuscole dell’alfabeto, di solito
le prime: a, b, c, d…. Se è utile si possono usare anche altre lettere, ma di solito NON x, y, w, z, v ed u
(salvo espresso avviso).
Proprietà, predicati, nomi comuni
Sempre guardando R1, scorgiamo facilmente che le frasi sono composte di predicati. Ad esempio, in “2”
si asserisce di Socrate che “è un uomo”, in “1” si asserisce degli uomini che “sono mortali”. L’atto del
predicare consiste nel dire qualcosa di qualcos’altro (in grammatica quest’ultimo è considerato soggetto).
Tramite il predicato esprimiamo una proprietà di un oggetto. Rappresentiamo in logica questa parte del
discorso con una lettera maiuscola: ad esempio “è un uomo” con “U” e “sono mortali” con “M”, dette
lettere predicative da sole. Non ha numero singolare o plurale, perciò, se in una frase troviamo “sono
uomini” o “è mortale”, utilizzeremo sempre “U” ed “M”. Occorre però considerare che non troveremo
mai queste lettere da sole, proprio perché per loro tramite dobbiamo dire qualcosa di qualcos’altro.
Dobbiamo immaginarci che aprano, per dir così, un campo di cui si occupano: dire “è un uomo” o “è
mortale” significano sempre che qualcosa è un uomo o è mortale. Quindi dovrò trovare il modo di
rappresentare il soggetto del predicato: la logica lo rappresenta tra parentesi subito dopo la lettera
predicativa, ad esempio “Socrate è un uomo” può essere reso con “U(s)”. In logica i nomi comuni, in
quanto proprietà, vengono equiparati ai predicati: se voglio dire “Gli uomini sono mortali”, dovrò
parafrasarlo in “Le cose che sono uomini sono mortali”.
Argomento e variabili individuali
C’è un aspetto però più interessante, nelle considerazioni che precedono. Sta nel fatto che nel solo dire
“è un uomo” apro uno spazio che è campo di riferimento del predicato. Questo spazio è chiamato, sia in
logica che in grammatica, argomento. Tipicamente In grammatica questo spazio è occupato da pronomi
personali: “è un uomo” significa “lui/lei1 è un uomo”2, “è mortale” significa “lui/lei è mortale”, ec. In
logica il ruolo dei pronomi personali è grossomodo ricoperto dalle variabili individuali: esse sono
tipicamente indicate con le ultime lettere dell’alfabeto scritte in corsivo minuscolo: x, y, w, z, u, v. Diremo
“x è un uomo”, “y è mortale”, ecc., da cui “U(x)”, “M(y)”, ec. La variabile è individuale, cioè prende il
posto di un singolo oggetto indeterminato: è un pronome singolare. Ciò significa che può essere sostituita
da una variabile individuale: da “U(x)” posso ricavare “U(s)”. Quindi, se voglio dire “Socrate e Platone
sono uomini” (4), NON POTRÒ MAI scrivere “U(s,p)”. Un predicato che abbia un argomento solo (una
sola posizione aperta) non può mai diventare di due. In effetti, l’argomento e la variabile ad esso
associata sono una sorta di segna posto, che mi dice che in quella posizione nella frase può stare un solo
(nome proprio di un) individuo. Quindi cadiamo nel caso inverosimile di non poter dire la stessa cosa di
due o più individui? No: la frase 4 viene semplicemente parafrasata, tramite l’uso del connettivo “e” con
“Socrate è un uomo e Platone è un uomo”, cioè “U(s)  U(p)”.
Saturazione, valori di verità, enunciati
Una frase del tipo “U(x)” è una frase con una variabile libera: qualsiasi costante individuale può prendere
il posto della variabile. “Lui/lei è un uomo” può diventare “Socrate è un uomo” (“U(s)”), “Platone è un
uomo” (“U(p)”), “Godzilla è un uomo” (“U(g)”), “Milano è un uomo” (“U(m)”). La variabile è libera di
variare su qualsiasi individuo dell’universo del discorso di cui ci occupiamo. L’operazione di sostituzione
di una variabile libera con una costante individuale è detta saturazione ed una formula la cui variabile
libera sia stata sostituita da una costante individuale è detta formula satura. Tra una formula con
variabile libera ed una formula satura c’è una grande differenza: nell’universo del discorso consueto
“U(s)” (“Socrate è un uomo”) è vera, “U(p)” (“Platone è un uomo”) è vera, “U(g)” (“Godzilla è un uomo”)
è falsa, “U(m)” (“Milano è un uomo”) è falsa. Invece “U(x)” (“Lui/lei è un uomo”) non è né vera né falsa:
dipende da chi sia x, e perciò da quale nome di individuo prenda il posto della variabile. Quindi alle
formule sature è possibile attribuire un valore di verità (vero o falso), mentre alle formule con variabile
libera è impossibile dare un valore di verità. Solo le frasi a cui è possibile attribuire un valore di verità
sono dette enunciati. Quindi “Milano è un uomo” è un enunciato (falso), “Alessandro Manzoni era uno
scrittore” è un enunciato” (vero), “U(s)” è un enunciato (vero nel nostro caso), mentre le frasi “Lui corre”,
“P(x)”, “G(y)”, “L(w)  R(z)” non lo sono, qualunque cosa significhino le lettere predicative usate.
Quantificatori
Le formule sature sono gli unici enunciati possibili? Se guardiamo ancora una volta R1, vediamo che non
è così. La premessa “1” infatti, “Tutti gli uomini sono mortali” ha un valore di verità (è vera), ma non
contiene costanti individuali. Questo risultato, quello di formare enunciati, si ottiene in Italiano tramite
l’utilizzo di articoli (determinativi ed indeterminativi) o di aggettivi e pronomi indefiniti. Vedremo nelle
prossime lezioni perché. Per ora ci accontentiamo di dire come si ottenga invece lo stesso risultato in
logica, cioè di dire quali “parole” simulino in logica il ruolo di articoli, aggettivi e pronomi indefiniti: sono
i quantificatori. Questi indicano quanta parte di oggetti di un certo tipo sono coinvolti nella formula.
Sebbene siano possibili quantificatori di molti tipi, in logica classica se ne usano tipicamente due: il
quantificatore universale, “tutti” (o “ogni”, o “qualsiasi”, ecc.) e il quantificatore esistenziale, “alcuni” (o
“qualche”, sempre da leggere come “c’è/esiste almeno un elemento tale che…”. Il primo ha simbolo “”
(una “A” rovesciata, dall’inglese “all”) e il secondo “” (una “E” rovesciata, dall’inglese “exists”). La
sintassi con cui si usano questi simboli è la seguente:
Se voglio dire “Tutti sono essere umani”(o “Ogni cosa è un essere umano”), allora esprimerò così:
1
2
In logica non c’è distinzione tra pronomi maschili e femminili.
“Egli è un uomo” per i più ossequiosi alla tradizione
“x(U(x))”
, che letteralmente significa, “Per qualsiasi x, x è un essere umano”.
Se invece voglio dire “Alcuni sono esseri umani”, esprimerò così:
“x(U(x))”
, che letteralmente significa “Esiste almeno un x, tale che x è un uomo”.
Dobbiamo fare due osservazioni: prima di tutto il quantificatore viene anteposto all’intera formula con
variabile libera. Esso apre un “campo” che investe, per dir così tutta la formula. Quindi, se “Q” è un
quantificatore, la formula quantificata avrà forma del tipo “Qx(……………)”.
In secondo luogo, esso lavora direttamente sulla variabile del predicato vincolandola ad un contesto. Se
uno dice “U(x)” non si capisce esattamente di cosa stia parlando, nemmeno se conosciamo il contesto.
Ma se dice “x(U(x))”, oppure “x(U(x))”, dato un contesto, possiamo capire come il predicato si lega a
quel contesto: possiamo dire se, in quel contesto, tutti sono essere umani, e, allo stesso modo possiamo
dire se alcuni sono essere umani. La variabile “raggiunta” da un predicato, pertanto, non è più libera,
e si dice “variabile vincolata”.
Con questo abbiamo passato in rassegna tutti i tipi possibili di enunciati nella logica predicativa. Gli
enunciati sono dunque di due tipi: le formule sature e quelli a variabile vincolata.
Riepilogando, i simboli della logica predicativa fino ad ora trattati sono i seguenti (anticipo anche due
simboli non ancora trattati, che tratteremo in seguito):
Tipo di simbolo
Connettivo
Costante individuale
Variabile individuale
Predicato
Relazione
Simbolo logico
, , , , 
a, b, c, …s,t
x, y, z, w, v, u
P, Q, R…..
P, Q, R,…..
Quantificatore
Funzione
, 
f,g…
Funzione
Nega una frase o ne collega due o più
Dà il nome ad un individuo determinato
In un predicato, indica un individuo indeterminato
Denota una proprietà di uno o più oggetti
Relazione: non l’abbiamo ancora vista. Simile al predicato, ma
concerne due o più oggetti. Invece di avere un argomento, ne
ha due o più.
Vincolano la variabile libera ad un contesto.
Non l’abbiamo ancora vista. Ha un compito complesso, non
so se riusciremo a vederlo in questo laboratorio.
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