Il filosofo cinese Chuang-Tzu, vissuto tra il IV e il III

Il filosofo cinese Chuang-Tzu, vissuto tra il IV e il III secolo A.C. (secondo i commentatori più
accreditati egli è conosciuto con il nome di Zhuang-zi) usa per esporre i suoi concetti spesso degli
aneddoti, storie minute di vita quotidiana. Nota è, ad esempio, quella che lo mostra passeggiare con
un amico lungo la riva del fiume e, vedendo dei pesci saltare nella corrente, affermare che ciò è
quanto piace far loro. Alla facile e scontata contestazione dell’altro come non sia dato sapere cosa
possa o meno essere di gradimento ai pesci, egli rileva con sottile ironia e incalzante procedere che,
nell’enunciato stesso del non sapere vi sia implicito il riconoscere l’altrui sapere (da non confondersi
con il ‘sapere di non sapere’ di Socrate che è contraddizione in sè e arrogante pretesa plebea). Se,
infatti, io so che tu non sai, so altresì che tu hai in te formulato un presunto sapere …
Il limitato dell’esistenza, l’illimitato della conoscenza. La conseguenza è il relativo delle cose e, per
usare un termine caro al pensiero occidentale, la sospensione del giudizio nell’impossibilità di dare
valore universale, ergere ad asse ogni forma di principio (ed, anche qui, lo scetticismo dei filosofi
greci e Chuang-Tzu, si badi bene, non vanno equiparati). Due cortigiane, Mao Qiang e Li Ji, unanime
è l’espressione nei riguardi della loro bellezza. Eppure, avverte il filosofo, se le vedessero i pesci,
costoro lesti cercherebbero rifugio nella profondità delle acque e volerebbero lontano gli uccelli e i
cervi si ritrarrebbero nei boschi. Quattro sono le specie quattro discordanti i giudizi. (A differenza
del nostro versante riflettente non c’è tentativo alcuno di fuga davanti alla tigre, solo il tentativo di
trasformarla in cavalcatura o, meglio, afferrare un ciuffo di fragole selvatiche, gustarne
l’incomparabile sapore, mentre due tigri sono in attesa del prossimo pasto e due topi rodono la liana
ove s’è appesi in cerca vana di salvezza. Questo non è dato pensarlo, angoscia e terrore o, al
contrario, eroismo e sacrificio sono il rapporto che abbiamo con l’accadere, con lo scontro immane
tre noi e il mondo delle cose. Dominare o essere dominati, illusori padroni o insofferenti schiavi).
Ancora più noto è il sogno di Chuang-Tzu. Egli racconta come, una notte, Zhuang-zi sognasse
d’essere simile a farfalla leggera e spensierata. Al risveglio, incerto e confuso, si chiese se egli fosse
Zhuang-zi che aveva poco prima sognato d’essere una farfalla o, viceversa, era la farfalla che stava
sognando d’essere Zhuang-zi. Tra l’apparente vaghezza del sogno e l’apparente concretezza della
realtà una sottile linea di confine, basta un nulla, per confondere se stessi al di qua o andare oltre.
Appunto entrambi gli stadi soggiacciono alla apparenza. (E, qui, ‘le fragili ombre di sogno’ o la
tragedia di Calderon de la Barca sembrano riportarci alla possibilità di una unità d’intenti. Noi
siamo, però, nel pensiero e nell’azione manichei, pretendiamo cioè collicarci su terreno solido o
recidere il mondo in due e a colpi di spada. Insomma temiamo l’inquietudine del dubbio e fortemente
l’irrompere del Kaos. ‘L’ordine insegue il disordine’ ammonivano i greci alla ricerca di un appiglio,
pur se un inganno, di fronte allo svelamento del senso tragico dell’esistenza. Nietzsche solo, o fra i
pochi, si oppose e fu punito con la follia).
Sto cercando fra gli scaffali il libro di Chuang-Tzu, edito da Adelphi nel 1992, in mezzo alle opere del
mio amico Mishima Yukio e del premio Nobel Yasunari Kawabata, saggi e studi sul Giappone e la
Cina, i Samurai e i Kamikaze. Non lo trovo (non riprenderò il tema del rincoglionimento senile). Al
contrario trovo Il meglio di Ray Bradbury (1965-1970), lo scrittore di fantascienza noto per il
romanzo Fahrenheit 451. E’ stato edito dalla Longanesi, anno 1971, vi trovo il visto del carcere, un
‘Ciao! Mamma’. E mi torna a mente un racconto dello scrittore, chissà in quale delle sue numerose
raccolte, non ne ricordo il titolo, ma ho impressa la trama o, grosso modo, il suo essenziale.
Mi si chiederà, forse, cosa mi fa accostare la filosofia cinese con la letteratura ‘minore’ come veniva
definita quella di fantascienza o il romanzo poliziesco. A parte che non riconosco la legittimità nel
suo aprioristico distinguo tra un più e un meno (che libertario sarei? E, soprattutto, imporrei dei
parametri di ‘assoluto’ che poco si adeguano al mio nichilismo…). Inoltre, tanto per rispondere, io
scrivo e, scrivendo, porto la mente là dove le circostanze le suggestioni la memoria il cuore
s’impongono, forma estrema e prioritaria d’ingordigia culturale. E, poi, abbiate la pazienza che si
necessita in ogni avventura, sia che appartenga allo Spirito sia che lo sia del corpo, armatevi di ali
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robuste e volate, volate in alto tanto le mie, le vostre ali non sono fatte di cera ma di parole (inutili)
simili a piume come foglie d’autunno… ahahah…
Siamo alla vigilia delle elezioni presidenziali USA, in un anno d’imprecisato futuro. Si contendono la
carica due candidati, come da tradizione: uno, il favorito, espressione dei buoni sentimenti
dell’americano medio, tutto democrazia diritti libertà pollo e patatine e capitale; l’altro, torvo e
bieco, con slogan feroci razzisti totalitari (lo stereotipo del nazista con il dente canino avvelenato).
Costui minaccia il modello di vita di cui gli Usa sono detentori, ma poco o nulla può egli contare di
successo. Il protagonista, appunto il ‘buon americano’, si è prenotato per un viaggio nel passato, in
quell’età della preistoria quando sulla terra non vi era ancora la presenza della specie umana. E
‘parte’ a ritroso, giunge con la comitiva d’altri gitanti, segue un sentiero che gli viene rigorosamente
indicato, mentre intorno a lui dinosauri e molteplici forme di vita si muovono. Il caso vuole – o il
destino – che metta il piede in fallo e, inavvertitamente, schiacci una farfalla – o un altro insetto.
Poco danno, si autoassolve. Tornano indietro, si ritrova nel presente, ed ecco che qualcosa lo turba
lo sconcerta gli stringe la gola e lo stomaco. Il candidato ‘cattivo’ ha vinto e una cappa di terrore,
con i suoi simboli di morte, s’è addensata sugli Stati Uniti e la sua gente.
Dal passato remoto una mutazione, minima e involontaria, ha trasformato il corso degli eventi, ha
prodotto altro nel presente. Una catena ove il principio di causa, persa la dimensione di razionalità,
diviene preda del caso (o di un destino e nel quale sono i conseguenti fenomeni messi in atto ad
imporre una propria logicità ferrea e incontrovertibile pur affondando nell’ oscuro e
nell’imponderabile). Insomma l’irrazionale domina la razionalità, ne è il padre disconosciuto. In un
universo senza l’ausilio consolatorio di un Dio o del Motore Immobile o del Numero Uno o di
quant’altro, religione e filosofia hanno tentato di riempire il consunto e ormai svuotato simulacro. E’
questa, insorge la domanda, la teoria del Chaos di cui sanno discettare i fisici? (Dovrò farmi rendere
edotto da Sergio che, entusiasta dei suoi studi e del possibile incontro, scalpita nel confrontarsi sul
tema con il suo ex professore di filosofia – e, magari, mettere a nudo la mia, lo confesso, assoluta
ignoranza). E’ come il battito delle ali della farfalla che in progressione, in altra parte del pianeta,
scatena uno tsunami…
C’è, dunque, una ‘terra di nessuno’ là dove l’irrazionale genera il razionale, dove coabitano e non si
danno battaglia? (Il filosofo Immanuel Kant, considerando l’uomo simile ad un ramo storto che,
nonostante ogni sforzo, non è dato compiutamente rendere diritto, collocava in prospettiva – come
all’orizzonte appaiono, ad esempio, i binari della ferrovia – il principio di necessità delle leggi della
natura con quello della libertà della legge morale… I neo-kantiani ne fecero auspicio e certezza nella
loro opposizione al nazismo, inteso come momento d’arresto contro natura nella sua essenza, di
questo ottimistico percorso… Rimane, però, la domanda – e non mi pare da poco – che l’orizzonte è
una linea immaginaria. Siamo nel regno, questo sì di estrema inquietudine ed esiti barbarici,
dell’utopia? In nome della libertà dei diritti necessari della pretesa felicità si appresta un universo
concentrazionario, pur se sovente edulcorato dal consumismo).
Sono ben consapevole che il sogno di Zhuang-zi l’insetto di Bradbury il battito d’ali delle farfalla non
sono altro che miserrime briciole di fronte ad una domanda planetaria che impone una risposta
universale. Dai greci ci giunge il mito del Chaos, nella sua primigenia e indistinta essenza, capace di
generare, ad esempio, il Fato, oscuro e vincolante nei suoi intenti, fino a che, con Gea (la Terra
Madre) e Urano (il Cielo) e il titano Cronos (il Tempo) le forme passano da indistinte a finalità
comprensibili. Ancora una volta emerge come in principio il disordine antecedesse, ma è sufficiente
pensare darsi ad un sistema ordinato perché le armonie celesti e le leggi della scienza naturale siano
l’espressione del nuovo regno più duraturo stabile felice? Sotto il cratere del vulcano ribolle la lava e
l’incandescente suo magma riposa vigile e mai domo… E, poi, chi può affermare come, fra il
disordine e l’ordine, quest’ultimo vada privilegiato, pur se garantisce coordinate e regole appaganti
il torpore della mente e la quiete del cuore? Noi, che crediamo alle forze in campo eterne e in
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conflitto (non chi ha ragione si assicura la palma della vittoria), ci schieriamo dalla parte
dell’irrisolto confine tra la farfalla e il filosofo cinese, dell’insetto che, nella sua insignificanza,
cambia le regole e muta il loro segno e vorremmo essere battito d’ali… soprattutto tendiamo a
preservare in noi una buona dose di Kaos per assistere, ogni notte, alla danza delle stelle oltre il
confine della nostra finestra.
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