N°13 – 1 Luglio - Pro Civitate Christiana

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ANNO
periodico quindicinale
Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post.
dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
art. 1, comma 2, DCB Perugia
Rocca
1 luglio 2006
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e 2,00
sommario
Rivista
della
Pro Civitate Christiana
Assisi
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Balcani: Effetto domino
Rapporto Istat: Le tante Italie Società: Cipputi si espande
Teologia: Il pluralismo convergente
NUMERO
13
Referendum costituzionale: Perché no
Rivivere dopo il lutto Privacy: I rischi della Banca genetica
Papa Ratzinger: I silenzi di Dio, i silenzi dell’uomo
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etica pubblica
e libertà di coscienza
TAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE – 06081 ASSISI – ITALIE
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ISSN 0391 – 108X
13/06/2006, 12.13
Ci scrivono i lettori
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Anna Portoghese
Primi Piani Attualità
Valentina Balit
Notizie dalla scienza
47
Vignette
Il meglio della quindicina
48
Raniero La Valle
Resistenza e pace
L’ipotesi peggiore
52
Maurizio Salvi
Balcani
Effetto domino
54
Romolo Menighetti
Oltre la cronaca
Quali tasche
56
Filippo Gentiloni
Referendum costituzionale
Perché no
57
Fiorella Farinelli
Rapporti Censis e Demos-Coop
Cipputi si espande
Romolo Menighetti
Parole chiave
Privacy
58
58
Pietro Greco
Privacy
Rischi della Banca genetica
59
Carlo Timio
Unesco
Libertà di comunicazione
59
Aldo Eduardo Carra
Rapporto Istat
Le tante Italie
60
Giannino Piana
Questioni eticamente sensibili
Politica, libertà di coscienza, etica pubblica
60
Sabrina Magnani
Esperienze
Rivivere dopo il lutto
Rosella De Leonibus
Cose da grandi
Voglie sconfinate
Vincenzo Andraous
Sbarre e dintorni
Grazia in offerta speciale
Marco Gallizioli
Culture e religioni raccontate
Nel folto del bosco
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62
63
Giuseppe Moscati
Maestri del nostro tempo
Sofia Vanni Rovighi
Dalla contemplazione teologica all’azione etica
Stefano Cazzato
Lezione spezzata
Forza Lecce
Giancarlo Zizola
Papa Ratzinger dopo Auschwitz
I silenzi di Dio, i silenzi dell’uomo
Carlo Molari
Teologia
Il pluralismo convergente
Rosanna Virgili
La voce del dissenso
L’uva acerba della giustizia
Adriana Zarri
Controcorrente
Pentecoste
Giacomo Gambetti
Cimena
Artusi dixit
Il Codice da Vinci
Roberto Carusi
Teatro
La nevrosi quotidiana
Renzo Salvi
RF&TV
Wrestling
Mariano Apa
Arte
Trento
Giuliano Della Pergola
Mostre
Stefano Levi Della Torre
Alberto Pellegrino
Musica
Canzone d’autore e poesia
Giovanni Ruggeri
Siti Internet
Digital generation
Libri
Carlo Timio
Rocca schede
Paesi in primo piano
Kazakistan
Nello Giostra
Fraternità
➨
l’articolo
RAPPORTI CENSIS E DEMOS-COOP
Cipputi
si espande
ben il 40% degli italiani
si percepisce come appartenente
al ceto
popolare/classe operaia
C
po trapela in tante manifestazioni del vivere
individuale e sociale del nostro paese parlasse un’altra lingua, e che fosse necessario
ascoltarla. O era solo tetraggine, malinconia, pervicace sordità? Non sembra.
un balzo all’indietro
Dai due rapporti sulla popolazione italiana pubblicati in questi giorni – uno sulla
percezione delle appartenenze sociali, curato dalla Demos-Coop; l’altro sulla mobilità sociale, condotto dal Censis – scappa
fuori un’Italia stagnante, depressa, pessimista. Non è solo per la malignità del ceto
politico che, da un’elezione all’altra, si vedono più o meno le stesse facce. Non c’è
ricambio, o è in quantità omeopatiche,
anche nelle imprese e nel mondo dell’economia; anche nelle università e nel mondo scientifico; anche nelle amministrazioni e nei grandi servizi. I giovani restano
fuori, le donne sgomitano ma stentano,
sembra dominare l’immobilità. E se qual-
cosa si muove, è un movimento che va sopratutto verso il basso.
Lo studio del Censis che analizza i percorsi dei figli rispetto ai padri fotografa un
paese in cui le dinamiche di mobilità sociale, così diffuse e frequenti negli anni sessanta-settanta del secolo scorso, sono diventate rarissime. Negli ultimi anni più del
40% degli occupati non ha migliorato la
sua condizione lavorativa e sociale rispetto a quella dei padri.
Una stasi che non riguarda solo i figli dei
ceti operai, in cui solo l’8% approda a titoli di studio alti e da quelli al mondo delle
professioni.
Anche nei ceti medio-alti composti da liberi professionisti, dirigenti, piccoli imprenditori non c’è da stare allegri: solo il
40% dei figli ha mantenuto le posizioni
della famiglia di origine, gli altri sono scivolati in basso, la maggior parte di poco,
ma quasi il 10% ha fatto un vero e proprio
balzo all’indietro, finendo tra i ranghi dei
ceti popolari/operai.
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Ancora peggio è andata per i figli di quelli
che una volta si chiamavano piccolo-borghesi, commercianti, tecnici, operai specializzati, lavoratori in proprio. Nonostante negli ultimi venti anni si sia sostanzialmente generalizzato l’investimento delle
famiglie nell’istruzione secondaria superiore (oggi si iscrive agli istituti superiori il
98% dei licenziati della scuola media), lo
sforzo non ha avuto risultati brillanti: nel
63% dei casi non c’è stato un neppur piccolo miglioramento, una parte ha peggiorato la propria condizione rispetto ai padri, solo il 13% ha fatto dei passi in avanti.
Spiega Luciano Gallino, su Repubblica,
che è proprio a questo tipo di fenomeni
che si deve «la stagnazione delle idee, delle forme di pensiero, nella maggior parte
dei campi della nostra cultura, perché le
idee circolano e si innovano quando una
quota elevata di persone circola sulla scala sociale, molti scendendo ma molti anche salendo dal basso ad occupare posizioni ben superiori a quelle di partenze». Sen-
ROCCA 1 LUGLIO 2006
ROCCA 1 LUGLIO 2006
Fiorella
Farinelli
ipputi sembrava scomparso per
sempre, travolto dalle magnifiche
sorti e progressive della società
postmoderna e postfordista. E
con lui le vecchie amate/odiate
classi sociali, quelle che davano
identità collettive, quelle che producevano
culture e – parola ormai vietata – ideologie.
Tutto era destinato a rimescolarsi, e profondamente, in un mondo globalizzato, pervaso da tecnologie, innovazioni, meticciati,
prossimità capaci di rompere ogni confine,
di aprire ciò che era chiuso, di spazzare via
antichi modi di essere e di pensare. La società aperta, finalmente. Le nuove opportunità. La libertà di andare, cambiare posto,
crescere, contro il destino dell’immobilità e
delle appartenenze. Il merito contro i vincoli dell’origine sociale, l’inventività contro la
ripetitività, il nuovo – immancabilmente vincente – contro la conservazione.
C’era chi sospettava, in verità, che non fosse
proprio così e che quel sentimento di negatività, di insoddisfazione, di crisi che da tem-
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perché la stasi?
Ma che cosa, in Italia, produce questa tendenza alla stasi, questa difficoltà a introdurre meccanismi che producano mobilità? Ci
sono indubbie responsabilità del sistema
educativo – la scuola e l’università – che
troppo spesso riproducono le differenze
sociali e culturali originarie, senza promuovere e coltivare né il merito individuale né
l’eccellenza delle strutture. Ci sono ritardi
enormi nella formazione continua e permanente degli adulti, cui accedono prevalentemente le persone che hanno già livelli
medio-alti di istruzione e che sono collocate in postazioni professionali medio-alte e
che, in genere, privilegia l’aggiornamento
addestrativo invece che lo sviluppo culturale e professionale.
Ma c’è anche il peso, mai adeguatamente
contrastato né da destra né da sinistra perché ne deriverebbero perdite di consensi,
delle corporazioni che temono la concorrenza dei nuovi ingressi e che la contrastano in ogni modo: nelle imprese, nelle professioni, nella vita amministrativa.
italiano = operaio?
ROCCA 1 LUGLIO 2006
C’è del resto il segno di antichi conservatorismi, ma anche di nuove chiusure e paure,
nello stesso modo di percepire la propria
appartenenza sociale da parte degli italiani. Cipputi sarà anche dimagrito, in termini di addetti all’industria manifatturiera, ma
è un fatto che dall’indagine di Demos-Coop
viene fuori che ben il 40% degli intervistati
si definisce appartenente alla «classe popolare-operaia». Mentre è il 50% che si definisce «ceto medio», e neppure il 10% si considera dirigente o borghese. In questo gran
corpo del 40% non ci sono solo operai e disoccupati, ma anche casalinghe, una parte
importante dei pensionati e degli impiegati, un terzo dei funzionari, il 25% degli imprenditori: tutta gente accomunata dalla
percezione di stare nel gradino più basso
della scala sociale, ma forse sopratutto dall’idea che è impossibile migliorare, e da
esperienze non gratificanti nel lavoro e probabilmente anche nell’istruzione.
È curioso, comunque, che anche tra commercianti, liberi professionisti, artigiani,
insegnanti, quote non marginali si percepiscano come appartenenti al ceto popolareoperaio, mentre nel ceto medio convivono
posizioni economiche e sociali diversissi-
me. Ma è di nuovo la mobilità sociale che
definisce le linee di separazione: se nella
classe che si definisce borghese-dirigente è
una quota importante, pari al 39%, quella
che ritiene di avere migliorato la sua posizione rispetto a 5 anni fa, nell’area dei ceti
medi la percentuale scende al 28% e in quella popolare-operaia al 13,7%.
privacy
PAROLE CHIAVE
paura del futuro
In questo ultimo comparto sociale, del resto, se il 42% si sente stabile, il 44% si sente
in declino. Non sono dunque molti, nella popolazione italiana, quelli che ritengono di
essere forti, e in possibile ascesa; la maggioranza, appartenente al ceto sociale più modesto ma anche al ceto medio, è contrassegnata piuttosto da sentimenti negativi o preoccupati, teme di non riuscire ad andare
avanti e perfino di andare indietro, ha paura
per i propri figli, risparmia o investe nell’acquisto di immobili per tutelarsi da possibili
future difficoltà, guarda con la massima inquietudine alle difficoltà di inserimento professionale stabile dei giovani, pensa che il
sistema pensionistico e quello sanitario non
li tutelino abbastanza, è ossessionata dalle
tasse e dalla possibilità che un loro ulteriore
incremento destabilizzi e peggiori le posizioni attuali. Il 51,8% dei ceti medi, per esempio, pensa che i giovani avranno una condizione inferiore rispetto a quella dei genitori;
e il 26,1% che tra cinque anni la situazione
economica personale sarà peggiore.
una società chiusa
Sarà anche – come sottolineano alcuni commentatori – l’effetto di una tradizionale sindrome di vittimismo e di pessimismo. Ma è
indubbio che la grande diffusione di sentimenti così negativi scoraggia l’imprenditorialità, l’innovazione, il rischio, che hanno
bisogno di fiducia nel futuro, di sguardi
«lunghi» e di strategie individuali o collettive di ampio respiro. E favorisce invece –
come sottolinea Ilvo Diamanti – la costruzione di cerchie corporative, di lobbies, di
autotutele. È in questo quadro che la famiglia, la rendita, l’eredità – e non l’intelligenza, il merito, l’innovazione – vengono individuati come i principali meccanismi di
promozione sociale ed economica. Una situazione difficile, in cui la percezione dell’instabilità individuale si impasta di conservatorismi e di rigidità sociali. Una società vischiosa e ripiegata su di sé, lontana
mille miglia dai miti della società aperta.
Romolo
Menighetti
a privacy delimita la sfera privata
della vita di ogni individuo. Essa
dà luogo al diritto, da parte di individui e gruppi, di autodeterminare in che misura l’informazione
su se stessi sia comunicabili ad altri. La privacy normalmente riguarda i dati
cosiddetti sensibili, cioè quelli che possono rivelare l’origine razziale ed etnica, le
convinzioni religiose, le opinioni politiche,
l’adesione a partiti, sindacati e associazioni, nonché i dati personali in grado di rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.
Essendo però la vita dell’uomo caratterizzata da un sempre maggiore numero di
scambi, necessariamente alcune informazioni devono uscire dalla sfera della riservatezza. Tale sfera non può perciò essere
né fissa né immutabile.
La privacy non è un diritto di recente acquisizione. Già nella Costituzione italiana,
all’articolo 13, è compreso anche il diritto
alla riservatezza. Vi si legge, infatti, che «la
libertà personale è inviolabile», e che «è
punita ogni violenza fisica e morale».
Se di privacy si parla oggi con maggiore
frequenza è perché la diffusione di sempre più tecnologicamente sofisticati strumenti di controllo, offre la possibilità di
violarla più che in passato.
Anche il notevole aumento dello scambio
di informazioni attraverso l’intermediazione tecnologica (telefono, carte di credito,
card al consumo, Internet, posta elettronica) rende più vulnerabile la privacy.
L’utente, infatti, per accedere a questi servizi, deve acconsentire che una parte delle
informazioni su di sé siano schedate e poste in banche dati.
Da qualche tempo poi ha preso corpo una
sempre più determinata volontà di interferenza da parte del potere politico, giudiziario ed economico nell’ambito privato degli
individui. I primi due poteri con il pretesto
della lotta al terrorismo si autolegittimano
circa l’uso, spesso illegale, di strumenti
come le intercettazioni telefoniche e su Internet. Il terzo per esercitare intrusive pressioni per orientare bisogni e consumi.
Già si può parlare di una «società della sorveglianza», entro la quale la vita non è più
L
Fiorella Farinelli
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l’ambito della multiforme libertà, ma semplice entità da tenere continuamente sotto
controllo per ricondurla entro binari decisi
dai potenti. Perciò si estendono le forme di
controllo sociale, non solo per la lotta al
terrorismo, ma anche per ragioni di efficienza economica. Inquietante, ad esempio, è
la decisione, presa nel dicembre 2005 dal
Parlamento europeo, di riconoscere agli
Stati il diritto di raccogliere e conservare i
dati riguardanti tutte le comunicazioni elettroniche: telefonate, e-mail, accessi ad Internet. Ciò significa che al di sopra degli europei si consoliderà una gigantesca bancadati con migliaia di miliardi di informazioni e collegamenti, che permetterà di ricostruire l’intera rete delle relazioni personali, sociali, economiche, nonché gli spostamenti
di ogni persona. Comunità di persone libere saranno così trasformate in nazioni di
sospetti e di consumatori teleguidabili.
E il futuro ci riserva intrusioni ancora più
profonde. Si stanno, infatti, sviluppando, tra
le altre, ricerche sulle impronte cerebrali,
per mettere a nudo la memoria individuale
onde individuare tracce che rivelino il ricordo di episodi passati, da assumersi come
prova di partecipazione a certi fatti. E poi
si prospettano chip elettronici sotto la pelle, etichette intelligenti, braccialetti elettronici per un controllo permanente.
Questa grande trasformazione tecnologica muta profondamente il quadro dei diritti civili e politici, conferisce oscuri poteri alle istituzioni, modifica i rapporti
personali e sociali, e incide sull’antropologia stessa delle persone.
In Italia la tutela della privacy è prevista
con la legge del 3 giugno 2003, che raggruppa il cammino legislativo effettuato in
materia a partire dalla legge 675/1996. Però
tale tutela non può limitarsi ad impedire
la circolazione di qualche informazione
personale. La tutela dei dati individuali è
ormai questione di libertà e di democrazia. Va perciò affrontata non solo in chiave di chiusura nel privato, ma avendo come
obiettivo il miglior positivo sviluppo delle
nuove tecnologie, a vantaggio sia dei rapporti interpersonali, che del rapporto dei
cittadini con la sfera pubblica.
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RAPPORTI
CENSIS
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DEMOSCOOP
za movimento non c’è vita, insomma, e tanto meno innovazione, che ha sempre bisogno del ricambio, sociale e generazionale.