“Le attività dello sportello socio-sanitario di Emergency Progetto Sassari. Le persone oltre il riconoscimento dei bisogni” Emergency è un’associazione italiana indipendente nata nel 1994 per garantire cure medico chirurgiche di elevata qualità e totalmente gratuite in quelle zone in cui, a causa di guerra e povertà, le persone, uomini, donne ma soprattutto bambini, non hanno diritto alle cure. Emergency ha iniziato a operare in Iraq, Afghanistan, e successivamente in Cambogia, Sierra Leone, Sudan, Repubblica Centro Africana, Paesi in cui godere delle cure mediche non è un diritto riconosciuto ma un lusso dal quale la maggior parte della popolazione è escluso. Nei luoghi in cui è presente, Emergency costruisce ospedali in cui, al fianco del personale internazionale (medici, infermieri, specialisti) lavorano uomini e donne del posto. Molte di queste persone sono ex pazienti dei nostri ospedali, vittime, per esempio, delle mine antiuomo. Emergency insegna loro un mestiere che gli consente di superare il loro handicap e gli permette di offrire un sostegno economico concreto alla propria famiglia. Da alcuni anni, Emergency ha rivolto lo sguardo e la propria azione verso i problemi di carattere sanitario presenti anche in Italia. Ci si è infatti resi conto che, in particolare per i migranti, esistono difficoltà nell’accesso ai servizi offerti dal Sistema Sanitario Nazionale. Il diritto alle cure è riconosciuto dall’articolo 32 della nostra Costituzione secondo il quale “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Tuttavia, questo elementare “diritto dell’individuo” viene spesso negato nella pratica: migranti, stranieri e poveri non godono di un facile accesso alle cure mediche soprattutto a causa della scarsa conoscenza dei propri diritti, delle difficoltà di comprensione della lingua e dell’incapacità di orientarsi all’interno del Sistema Sanitario Nazionale. Emergency ha deciso quindi nel 2006 di aprire un poliambulatorio a Palermo. La scelta della Sicilia come prima zona in cui operare in Italia è dovuta al fatto che è la “terra italiana” che incontrano tutte le persone che, per fuggire dalla loro terra d’origine spesso martoriata dalla guerra, arrivano sulle nostre coste Nel poliambulatorio di Palermo, la quasi totalità dei pazienti sono stranieri extracomunitari o neo-comunitari che non conoscono l’italiano e che perciò hanno difficoltà a farsi comprendere. Inoltre, spesso non conoscono i loro diritti e non sanno, per esempio, che lo Stato italiano garantisce loro il diritto alle cure mediche anche ai cosiddetti irregolari privi di un regolare Permesso di Soggiorno. Capita anche che i pazienti di Palermo non siano solo stranieri. Italiani rimasti senza lavoro a causa della crisi non riescono ad affrontare i costi sempre più alti delle visite mediche e bussano quindi alla parta del nostro poliambulatorio. Grazie al passaparola e all’ottimo lavoro che svolgono i mediatori culturali e i medici volontari le visite sono arrivate ad essere in pochi anni oltre 70.000. Vista l’importante risposta avuta dalla città di Palermo, Emergency decide nel 2010 di aprire un secondo poliambulatorio a Marghera, nella provincia di Venezia. Si è scelto il Veneto perché il nord-est del nostro Paese può essere considerato la porta di ingresso di tutto l’immigrazione proveniente dall’Europa dell’est, e poi perché si voleva mettere a disposizione il servizio di Emergency alla grande fetta di popolazione straniera che vive nell’Italia del nord e che lavora principalmente in fabbrica o nell’edilizia. Appena aperto questo secondo poliambulatorio succede però qualcosa di assolutamente inaspettato: il primo paziente di Marghera è un senzatetto italiano. Ancora più inaspettato è il fatto che nel tempo questo episodio diventa una tendenza tanto che attualmente il 20% dei pazienti sono italiani. Altro passaggio nella storia del lavoro di Emergency in Italia avviene nel 2011, anno in cui Emergency modifica e riadatta 2 pullman gran turismo facendoli diventare cliniche mobili per raggiungere le zone nelle quali i lavoratori stagionali prestano la loro attività in totale assenza di qualsiasi tipo di servizio. L’attività di questi 2 Polibus si svolge principalmente nelle campagne di Calabria, Campania, Sicilia e Puglia, ma hanno lavorato anche nelle zone in cui si manifestano drammatici fenomeni di emergenza sociale e sanitaria, come per esempio quelle recentemente colpite da terremoti, oppure le zone tristemente divenute famose per i tragici sbarchi di migranti. Nel luglio 2013 come ulteriore sviluppo del Programma Italia, la collaborazione tra Emergency e l’associazione Libera Terre porta all’apertura di un terzo poliambulatorio a Polistena, in Calabria, ospitato in uno stabile confiscato alla ‘ndrangheta. Ma tra tutti questi grandi progetti ce n’è uno più piccolo ma non per questo meno importante che ci piace raccontare in modo più particolareggiato in quanto è nato nella nostra terra. Il 18 dicembre del 2012 Emergency decide di avviare un nuovo esperimento e di aprire a Sassari uno “Sportello di orientamento socio-sanitario per migranti, stranieri e persone in stato di bisogno”. Lo sportello, ospitato nei locali messi a disposizione dalla ASL N.1, vede la presenza quotidiana di una mediatrice culturale di Emergency che coordina e supervisiona il lavoro di circa venti volontari che, a turno, si impegnano nel complesso lavoro di accompagnamento delle persone straniere in stato di bisogno che si rivolgono al servizio per problemi di natura sanitaria, sociale oppure legale. L’attività principale dello sportello è quella di orientare all’interno del Sistema Sanitario Nazionale e dei servizi sociali e socio-sanitari, cercando costantemente di promuovere l’autonomia della persona e di creare, al contempo, una rete con le altre associazioni presenti nella città di Sassari per rendere gli interventi di aiuto sempre più efficienti ed efficaci. La particolarità dello sportello di orientamento socio-sanitario di Sassari risiede nel fatto che, primo caso in Emergency, non viene offerto alcun tipo di assistenza sanitaria, ma le persone vengono accompagnate all’interno dei servizi sanitari e sociali già esistenti sconosciuti però agli occhi dei cittadini stranieri. All’inizio la nostra attività è stata soprattutto di outreach: passavamo le serate al centro storico di Sassari, dove si concentrano le comunità di migranti presenti in città, distribuendo volantini e spiegando la finalità del nostro servizio. Questo lavoro ha dato i suoi frutti. Sono nate infatti tante collaborazioni virtuose sia con gli uffici della ASL N.1 sia con le associazioni di volontariato che operano nel nostro stesso settore. Attraverso un costante lavoro di creazione di collaborazioni e sinergie, attraverso le attività dello sportello di orientamento siamo riusciti nell’intento di creare una rete di associazioni, strutture sanitarie e amministrative che prima era assente a Sassari e che ora sta dimostrando di essere un attore collettivo fondamentale per promuovere un servizio nel territorio. L’attività principale dello sportello, come già detto, è quella di orientare le persone, per la maggior parte straniere, che non sanno come accedere alle cure mediche oppure all’assistenza sociale. Molti dei nostri utenti non hanno un regolare Permesso di Soggiorno e perciò, anche se non godono di un buon stato di salute, non si recano al Pronto Soccorso per paura di essere denunciati, e la maggior parte dei nostri interventi riguarda quindi casi come questi. L’attività della mediatrice e dei volontari consiste soprattutto nella mediazione linguistica e culturale tra persone straniere e uffici, nella continua diffusione del principio, riconosciuto dalla legge italiana, secondo il quale ogni persona ha diritto alle cure sanitarie anche se è priva del permesso di soggiorno. Ci adoperiamo per far ottenere lo il codice STP (Straniero Temporaneamente Presente) o il codice ENI (Europeo Non Iscritto) che permettono di avere regolare accesso alle cure sanitarie di cui necessitano. Inoltre, gli utenti vengono aiutati a prenotare le visite tramite il Centro Unico di Prenotazione regionale e viene loro insegnata la procedura corretta per leggere un’impegnativa, accedere ad un ambulatorio e diventare così autonomi. Le proficue collaborazioni che durante questo primo anno di attività abbiamo avuto modo di instaurare con molti uffici e reparti della ASL N.1 di Sassari hanno fatto sì che spesso veniamo contattati proprio per portare un aiuto in termini di mediazione quando gli stessi operatori o i medici riconoscono di non essere in grado di accogliere e curare adeguatamente una persona straniera in difficoltà. Come è successo una mattina in cui si è presentata una volontaria della croce rossa inviata dal medico del Pronto Soccorso, perché si era recata da loro una signora nigeriana con i documenti scaduti e non sapevano come fare per prescriverle gli antibiotici. Una volontaria di Emergency ha raggiunto quindi il Pronto Soccorso e ha spiegato al medico la normativa sugli stranieri senza permesso di soggiorno, facendogli attivare il codice STP e facendogli poi notare la presenza di un errore nell’impegnativa che aveva appena scritto. Il medico ha ringraziato la volontaria per l’aiuto e la collaborazione nel risolvere un problema che loro, da soli, non erano in grado di affrontare. Le persone che si rivolgono a noi sono tante. In un anno abbiamo effettuato oltre 1200 prestazioni, ma come in tutte le esperienze umanitarie ci sono storie e persone a cui, per varie ragioni, si rimane più legati. Come, per esempio la storia di un ragazzo senegalese di 30 anni, senza permesso di soggiorno, che è arrivato da noi accompagnato dal capo della comunità senegalese di Sassari perché preoccupato per le sue condizioni di salute. Avevamo aperto lo sportello di accompagnamento socio-sanitario da poco tempo, ma nonostante l’inesperienza ci siamo resi conto che non sarebbe stato un caso semplice. Il ragazzo era infatti stato dimesso da poco dall’ospedale dove era stato ricoverato dopo un inspiegabile svenimento. Durante la degenza gli stessi medici si erano accorti di un problema importante e gli avevano prescritto varie visite. La prima volta che è venuto da noi quindi gli abbiamo spiegato come raggiungere gli ambulatori. Dopo qualche giorno il ragazzo è tornato ma noi sapevamo che quello stesso giorno aveva una visita cardiologica. Alle nostre richieste circa l’esito della visita le sue risposte erano sempre vaghe, finché non abbiamo notato che sotto la manica della giacca aveva una farfallina inserita nel braccio. Immediatamente lo abbiamo accompagnato presso la clinica e lì ci hanno detto che doveva effettuare un esame molto importante, una coronarografia. In sostanza i medici del reparto avevano spiegato al nostro utente, in italiano e in francese, che avrebbe dovuto affrontare un delicato esame medico e che sarebbe dovuto restare una notte in ospedale ma il ragazzo aveva rifiutato spiegando loro che non si sarebbe potuto assentare dal lavoro. L’esperienza della mediatrice e dei volontari dello sportello socio-sanitario di Emergency è stata in questo caso essenziale. Consapevoli del fatto che i problemi sanitari delle persone migranti non possono e non devono essere erroneamente ridotti a un banale problema di comunicazione linguistica, si è cercato di guardare al di là dei problemi comunicativi, considerando quella “estrema solitudine” che dipende dalla difficoltà che le persone immigrate incontrano quotidianamente ad ambientarsi e a capire culture e modi di vivere diversi anche per quanto riguarda la salute e, perciò, anche la malattie. La nostra esperienza ci ha portato ad intuire la presenza di situazioni di profondo imbarazzo che creano strategie (nella maggior parte dei casi inefficaci) per evitare di manifestare esplicitamente la propria situazione di marginalità sociale e culturale. Il protagonista di questa storia infatti parla solo wolof, la prima lingua in Senegal. Non capisce bene né il francese, né l’inglese, né tantomeno l’italiano. Questa sua incapacità comunicativa, insieme a quella di interpretazione delle più comuni procedure ospedaliere estranee alle pratiche del proprio Paese d’origine, lo ha portato a mentire e a dire di aver capito la procedura medica che gli veniva spiegata (questione difficile da capire nella maggior parte dei casi anche per un madrelingua italiano) al fine di cercare di liberarsi da una situazione che lo disorientava e lo rendeva ancora più estraneo e isolato in un contesto straniero. La situazione che ci siamo trovati di fronte era particolarmente difficile da gestire: da una parte avevamo la persona che non comprendeva il fatto che ci fosse una sala operatoria pronta per lui per eseguire una coronarografia, e dall’altra avevamo lo staff medico “infastidito” con lui per il disagio creato. Il ha causato quindi il rinvio ad un nuovo appuntamento Dopo circa una ventina di giorni, mentre ancora si aspettava l’appuntamento per la coronarografia, il nostro utente continuava a lamentare dolore al petto. Decidiamo così di accompagnarlo al Pronto Soccorso, preoccupandoci di portare con noi anche un suo amico che parla wolof. Dopo un attesa di 8 ore viene finalmente visitato dal cardiologo. Infine, il nostro amico senegalese viene ricoverato presso il reparto di cardiologia dell’ospedale civile. Nei mesi a seguire la mediatrice e i volontari hanno costantemente accompagnato il nostro utente alle visite di controllo e l’hanno aiutato nella richiesta del permesso di soggiorno. In questo caso specifico, fondamentali sono stati gli accompagnamenti e le mediazioni linguistiche e culturali offerte dalla mediatrice e dai volontari dello Sportello informativo di Emergency, servizi che la nostra città e il nostro Sistema Sanitario dovrebbero garantire ma che attualmente non sono in grado di offrire. Un’altra storia che ci piace raccontare è quella di una ragazza senegalese molto giovane: quando l’abbiamo conosciuta aveva 24 anni, era timida ma sempre sorridente, con una parola buona per tutti. Era la prima di cinque figli e per mantenere i suoi fratelli e le sue sorelle agli studi, decise di lasciare il suo Paese e venire in Italia. La ragazza, oltre ad essere un’attentissima sorella maggiore, era anche mamma di bambino di due anni che viveva in Senegal con i nonni paterni, di cui lei, dall’Italia, si occupava amorevolmente. La giovane è arrivata in Italia nel 2010 e si è stabilita a Bergamo dove ha lavorato come donna delle pulizie. Ma il lavoro scarseggiava e allora, alla fine del 2011 ha deciso di trasferirsi a Sassari dove sperava di trovare un’occupazione duratura. Nel gennaio 2012 le è stato offerto una lavoro come badante di una signora anziana ma si è dovuta spostare a Pattada. La vita a Pattada era come quella in tutti i paesini della Sardegna: ogni giorno era sempre uguale e la domenica, il suo giorno libero, prendeva il pullman diretto a Sassari per stare con i suoi amici. Verso novembre 2012 però la ragazza ha iniziato a stare poco bene. È stata ricoverata e ha subito un difficile intervento al cuore al quale hanno seguito varie complicazioni che l’hanno costretta a passare settimane in ospedale. A causa della lunga degenza, ma soprattutto per il grave problema cardiaco che ha avuto, le è stato caldamente consigliato il riposo assoluto e la permanenza a Sassari per effettuare tutte le visite di controllo e svolgere la riabilitazione. Per i primissimi giorni la ragazza ha vissuto a casa di un suo amico ma non era la sistemazione ideale per lei perché la casa era molto umida e lontana dall’ospedale. Ed è stato questo punto che Emergency è entrata in gioco. Il nostro sportello infatti è sempre stato in contatto con il capo della comunità senegalese di Sassari, che ci teneva aggiornati sulla situazione della giovane: durante il lungo periodo di degenza in ospedale non c’erano problemi perché era seguita dai medici e dagli infermieri, ma il problema era dove poter andare a vivere stabilmente dopo la sua dimissione. Una dottoressa che l’ha seguita durante il periodo in ospedale ha prospettato l’idea di passare la giornata prima presso una casa di accoglienza diurna, spostarsi per il pranzo alla mensa Caritas e passare poi la notte al dormitorio. Non vedendo altra soluzione per l’imminente dimissione, abbiamo accompagnato la ragazza al dormitorio ma sin da subito ci siamo resi conto che non era la sistemazione ideale. Passata la prima notte al dormitorio, la mattina seguente siamo andati a farle visita alla casa di accoglienza. L’abbiamo trovata distesa sul divano, infreddolita, accudita da una volontaria. Era palese che quella soluzione non era l’ideale: gli ambienti dove sarebbe dovuta stare erano freddi e umidi, distanti tra loro e la costringevano a camminare molto, troppo per quello aveva passato, e in più era inverno e pioveva quasi tutti i giorni. Immediatamente lo sportello si è attivato per trovare una sistemazione adeguata per la ragazza. E così, i primi di febbraio, è andata a vivere nella Casa dell’AIL in cui alloggiano i parenti dei malati leucemici ricoverati. Questa sistemazione doveva essere temporanea, un mese al massimo, ma vista la difficile storia hanno deciso di farla rimanere tutto il tempo necessario. Il tempo passava e tra noi e lei si è instaurata una bella e vera amicizia. Quando andavamo a trovarla parlavamo tanto di lei e di noi. Ci mostrava le foto della sua famiglia e sul suo viso traspariva l’orgoglio di sorella maggiore per i suoi fratelli e le sue sorelle che studiavano con profitto, ma è quando ci ha mostrato le foto di suo figlio che i suoi occhi si sono illuminati di amore, velati però di nostalgia. Non sapevamo neanche immaginare quanto potesse mancare un figlio così piccolo a sua madre. Durante i quasi due mesi che ha passato in ospedale, la ragazza si è fatta voler bene da tutti i medici e gli infermieri. Tutti conoscevano la sua storia e sapevano bene quanto le pesasse il fatto di non essere in grado di lavorare, di non poter aiutare la sua famiglia e suo figlio. E così, i reparti di cardiochirurgia e cardiologia dell’Ospedale Civile di Sassari hanno organizzato una festa per raccogliere fondi per consentire alla ragazza di tornare in Senegal a riabbracciare il figlio. La festa è stata un vero successo! Avendo perso il lavoro, lo sportello di Emergency ha aiutato la ragazza a fare tutte le pratiche per ricevere i sussidi della disoccupazione e abbiamo tenuto i contatti con il suo datore di lavoro che ci ha assicurato che l’avrebbe aspettata sino a quando si fosse ripresa del tutto. Terminata la riabilitazione la ragazza è tornata a Pattada per riprendere, seppur con cautela e attenzione, il suo lavoro di badante. Ma poco dopo la giovane si è dovuta recare a Milano per rinnovare il passaporto. Questo documento infatti può essere rinnovato solo presso il consolato del proprio Paese di origine e in questo caso, il consolato senegalese ha sede nel capoluogo lombardo. Una volta arrivata a Milano però si è presentato un altro problema: per il rinnovo serviva l’estratto di nascita che lei non aveva. Inoltre, per averlo è necessario recarsi di persona presso gli uffici di Dakar e non è ammessa la procura. Tornata a Sassari ha quindi prenotato un biglietto chiedendo un prestito ai suoi datori di lavoro. Ma la ferita che la giovane aveva sul petto, ricordo non così lontano dell’intervento subito, ha iniziato a darle problemi. Ciononostante, dopo una rapida medicazione presso l’ospedale di Sassari, ha preso il suo aereo per Dakar. Prima che la giovane partisse le sue condizioni di salute non erano molto buone. Il cuore infatti, aveva ripreso a darle problemi e si prospettava per lei la necessità di affrontare un nuovo intervento. A Dakar doveva rimanere pochi giorni, il tempo di ritirare questo documento fondamentale, riabbracciare la sua famiglia e suo figlio, e ritornare in consolato. Le cose però improvvisamente precipitano e non si hanno più sue notizie. È come sparita. Inizialmente si pensava addirittura di denunciarne la scomparsa, ma è poi arrivata una chiamata del marito che ci ha informato che la ragazza stava male: la sua situazione cardiologica si era aggravata ma in Senegal non poteva curarsi adeguatamente perché non aveva i soldi per poter essere ricoverata in ospedale. La situazione è tuttora molto critica e ancora non siamo riusciti ad entrare in contatto personalmente con la ragazza. Ci auguriamo di sentirla presto, di poterla riabbracciare e che finalmente possa stare bene. Le due storie che abbiamo raccontato fanno intuire che le giornate allo sportello sono sempre ricche di emozioni. Riuscire a dare delle risposte, fornire una semplice cartina sull’ubicazione di un ambulatorio o un ufficio, trovare delle soluzioni a cui si arriva solo investendo un po’ di tempo sembrano delle banalità, delle cose scontate ma in realtà non è così. Per noi, operatori dello sportello sono queste semplici cose danno un senso al nostro lavoro, che ci fanno sentire utili. Sentirsi dire un semplice “grazie”, anche solo per averci provato, è il più alto riconoscimento che si possa avere. Ci fa capire che anche il più piccolo aiuto che l’attività del nostro sportello di accompagnamento socio-sanitario di Sassari può dare diventa fondamentale per riuscire a cambiare le cose. Purtroppo infatti anche in realtà piccole come Sassari è necessario e fondamentale far conoscere a tutti i loro diritti. Aiutare tutte le persone, italiane e straniere, fornendo loro gli strumenti e dando loro le informazioni di cui hanno bisogno è il primo passo per consentire loro di muoversi all’interno del nostro sistema sanitario e non solo. In questo modo, attraverso la pratica dei diritti, così come Emergency fa in Italia e nel mondo, è possibile contribuire a cambiare le cose. Il rispetto dei diritti è il nostro obiettivo. La cura, il vivere bene, non devono diventare un privilegio. Sono un diritto. Di tutti.