Intro
Redazione
Matteo Casari
Daniele Guasco
Simone Madrau
Matteo Marsano
Giulio Olivieri
Cesare Pezzoni
Anna Positano
Collaboratori
El Pelandro
Marco Giorcelli
Davide
Carlotta Queirazza
Grafica e Impaginazione
Matteo Casari
Contatti
http://compost.disorderdrama.org
[email protected]
Compost
c/o Matteo Casari
C.P.1009
16121
Genova
Pubblicazione NON periodica, amatoriale,
destinata alla distribuzione gratuita, fotocopiata in proprio e senza alcuna pretesa di completezza.
Questa pubblicazione è una produzione Disorder Drama.
Un sincero ringraziamento al collettivo del
Laboratorio Sociale Occupato Autogestito
Buridda, senza cui non saremmo riusciti ad arrivare qui.
Se interessati a collaborare, con parole o disegni, scrivete a [email protected]
Il prossimo numero lo troverete in giro a metà
Dicembre 2007
Arrivederci a CMPST #6 - [12.2007]
2 CMPST #5[11.2007]
Is This Genova? Viviamo in una città che
è cambiata molto. Viviamo in una città che
è cambiata molto, poco. Non “moltopoco”
ma “molto-virgola-poco”. Viviamo in una
città che è cambiata molto (quantitativo),
poco (qualitativo). Il problema principale è
che noi siamo sempre gli stessi. Nel senso di
uguali a noi stessi. Anzi a ben vedere il problema principale è che i Genovesi sono sempre
gli stessi: da diverse generazioni. Non c’è stato molto ricambio. È risaputo che siamo una
delle città più vecchie in uno degli stati più
vecchi del mondo. E cosa se ne può fare del
rock’n roll con tutta la sua urgenza primordiale e adolescenziale, una città del genere?
Inoltre i giovani sporcano e puzzano, ma chi
ce lo fa fare? Prendi il più bel locale di Genova, caccia i giovani, mettici un’enorme
specchiera e fai del liscio, cazzo, fai del lisco.
Sicuramente una volta Genova era diversa. La storia ha memoria e si ricorda di una
Genova che senza imbarazzo avremmo
potuto definire dinamica. Ho avuto paura
a scriverlo ma l’ho scritto: dinamica. Senz’altro dinamica era la sua economia, varco
del motore di sviluppo di un’Italia allora al
centro del mondo occidentale per l’esplosione che l’aveva investita: il Grande Boom.
Poi è arrivata la stagnazione, con il suo
tepore conservativo, che ha fatto fuori metà della classe dirigente e intimorito
l’altra metà che si è così arroccata sulla sua economia senza più coraggio.
Poi Genova però si è fatta bella e qualcosa
di buono ha combinato, ma resta quest’aria
pesante a togliere fiato a chi ha entusiasmi.
Per parlare di Genova, Compost non ha
potuto escludere quelli che da qui sono
andati via, né quelli che da fuori sono arrivati, per caso o forse perché hanno intuito
le potenzialità di una città che del pionierismo ha fatto una bandiera che poi ha
messo in bacheca. Appesa in salotto forse, tanto per mostrare la sua esistenza in un
passato di cui siamo figli un po’ illegittimi.
Tutte queste persone, e chi scrive e chi
legge, sono Genova nel senso più autentico. Chi è andato altrove per cercare quel dinamismo che ci raccontano i
libri di storia, chi è arrivato per riscoprirlo in
questo contesto così diverso, chi resta perché non si rassegna, chi sgomita ancora.
Compost, penso, nasce anche dalla voglia
rabbiosa di una certa comunità culturale
“militante” che senza timore vi dice: “porca
puttana, non lo vedi che sono una risorsa?”
Genova vista da qui non potrà mai essere
rose e fiori, ma non tanto come tributo allo
sport cittadino – il mugugno, quanto per il
nostro modo di considerare la nostra città
come una materia prima, da manipolare,
maneggiare, ritoccare, migliorare. Del mugugno ci portiamo dietro l’incapacità un po’
nevrotica di essere appagati dalla contemplazione dell’immagine edulcorata e di facciata che la nostra città propone di se stessa.
La cosa che più mi piace di Genova sono
i suoi cantieri. Averla vista cambiare tanto e
sperare che non si fermi mai. Compost è uno
dei suoi cantieri, ai miei occhi di innamorato le sue interviste sono dialoghi platonici sul
mondo che verrà. Quando rinsavisco le sue
interviste restano uno stimolo a darsi da fare.
Diamoci da fare.
Cesare Pezzoni
Le foto di copertina di questo numero sono di Alessandro Falcone - Zena011
http://flickr.com/photos/zena011/
METRODORA BOX CRITICAL WINE 07
Questo numero è stato reso possibile dalle
offerte raccolte dalle seguenti realtà:
Metrodora mette in vetrina la musica genovese.
La scena musicale indipendente genovese
è da tempo attiva e produttiva. Siti web e riviste
di settore parlano in modo entusiasta dei dischi
prodotti in città. E’ con l’obiettivo di valorizzare
questa scena che l’associazione culturale Metrodora, in collaborazione con il Milk Club, ha
ideato una bacheca interamente dedicata ai
cd prodotti dalle band genovesi. Sarà ubicata
all’interno del Milk, il rock club più alternativo
della città e darà la possibilità a tutti gli appassionati di musica di scoprire ed acquistare
gli album prodotti sotto la Lanterna. Nuove
produzioni ma anche dischi meno recenti e
vere rarità. Alcuni nomi: Meganoidi, Vanessa
Van Basten, Bobby Soul, Blown Paper Bags, The
Banshee, Lo-Fi Sucks, Raza de Odio, Ila, Marco
Fuori, Marti, Enroco, Cut Of Mica e molti altri.
La bacheca verrà inaugurata sabato 10 Novembre alle ore 23:00 al Milk Club.
DISORDERDRAMA
Le date del mese
Mi rendo conto possa sembrare inutile e
stupido per Disorderd Drama supportare una
propria produzione con uno spazio pubblicitario. Ma trovo anche poco oculato pensare
che tutti abbiano capito che tutti i Giovedì
combiniamo sempre qualcosa al Laboratorio
Sociale Buridda. Dalle 2130 avrete la possibilità
di vedere:
15/11 Haram (USA) + Violent Breakfast (ITA) +
June Miller (ITA)
22/11 Crevecoeur (FRA) + Dresda (ITA) + Still
Leven (ITA)
29/11 Speedy Peones (ITA) + Rocktone Rebel
(ITA) + Motorcycle Irene (ITA)
6/12 Amy Denio (USA) + Fuzz Orchestra (ITA) +
Calomito (ITA) + Varusclis (ITA)
Comunicazioni ed eventi
Evento/ Invito al consumo critico e consapevole.
Sabato 10 e domenica 11 novembre 2007 gli
spazi e le aule del Laboratorio sociale Buridda
(ex facoltà di Economia e commercio) di Via
Bertani 1 (Genova) diventeranno per due giorni un grande cortile coperto dove poter incontrare e conoscere i “Particolari”, così definiti da
Luigi Veronelli, e assaggiare i loro prodotti unici.
Saranno 60 i piccoli (grandi!) produttori di vino &
gli agricoltori rispettosi della t/Terra presenti per
due giorni in città. Un’occasione unica per facilitare un rapporto diretto di fiducia, conoscenza
e trasparenza dei prezzi tra il piccolo produttore
e il cittadino-consumatore frastornato e a volte
ingannato dalla pubblicità commerciale.
Sabato 10 dalle 2130
Aparecidos (Genova - Buenos Aires) myspace.com/
aparecidos
Barrique (Alessandria) myspace.com/barrique
Cinnamomo (Genova) myspace.com/cinnamomo
Domenica 11 dalle 1730
Davide Arneodo, Marta Mattalia (Cuneo) myspace.
com/davidearneodo
Marcella Garuzzo (Genova) myspace.com/marcellagaruzzo
CROSSOVER
07
Mostra d’arte contemporanea
Si svolgerà presso la Palazzina Santa Maria,
in Via Del Porto Antico, dietro il Millo dove si è
già tenuta la parte indoor a cura di Eves di Art
Street Art, una mostra d’arte contemporanea
dal 1 al 23 Dicembre, ingresso gratuito tutti i
giorni dalle 1600 alle 1900.
Una decina di artisti di nazionalità varia (tra
cui Daniele De Battè, già ospite di Compost)
esporranno le proprie opere e lo spazio sarà
utilizzato anche per sonorizzazioni e eventi live
di musica elettronica.
News
Apriamo un nuovo spazio con le news e le uscite di questo periodo.
Alla Sala Sivori, fino al 18 Novembre c’è la mostra Percorsi Magici, una collettiva dove troverete anche foto della nostra Anna Positano.
Sala Sivori – Salita Santa Caterina 12r – Genova
www.percorsimagici.net
[email protected]
È uscito il ventiduesimo disco per Marsiglia Records, i genovesi St.Ride pubblicano in Creative
Commons la loro nuova fatica, disponibile in
CDR ai concerti dDRAMA e scaricabile gratuitamente dal sito!
°M°022 St.Ride - Se Sto Qui Nevica
http://www.marsigliarecords.it
Rocktone Rebel goes to NYC.
Amedeo sbarca in America e suona nella
tana newyorchese della scena a 8bit locale.
Complimenti!
È uscita anche la compilation dei Remix dei Dirty Actions, trovate tutte le info sul loro myspace.
23 interpreti per 21 nuove versioni dei classici
del gruppo. Tra i genovesi, Blown Paper Bags,
Eat The Rabbit, Rocktone Rebel, Astronaughty,
Esmen, Tarick1, Mazzola, Atelier Noveau, Bobby
Soul e Pivio.
Posters Parade
Scade il 31 Dicembre il concorso organizzato
da In Your Eyes Ezine per disegnatori di poster
musicali
scrivete a [email protected] per maggiori
info.
Il progetto Genovatune è stato premiato in
occasione del premio biennale per il miglior
contenuto in formato digitale denominato
eContent Award Italy 2007, curato ed organizzato dalla Fondazione Politecnico di Milano e
Medici Framework, nel quadro del World Summit Award.
3 CMPST #5[11.2007]
Smesciarsi
“Per fortuna ci sono le eccezioni,
che mi consentono di pensare “non
sto facendo questo per niente”.“
voLùmia / VOLUMIcriminali
Intervista con Renato Campanini e Luciano Zambito
di Matteo Marsano
PAMELA ANDERSON VIENE
AI NOSTRI CONCERTI
voLùmia è un Arci che conta un centinaio di iscritti, ma che vede nelle persone di Renato Campanini e
Luciano Zambito, chitarra e batteria dei VOLUMIcriminali, il proprio cardine. voLùmia è anche una sala
prove a pochi tornanti dalla stazione di Genova Principe, luogo in cui il sottoscritto ha lasciato un bel malloppo di ricordi adolescenziali, quando ancora non si chiamava in questo modo e neppure assomigliava
troppo allo spazio curato ed accogliente che è oggi. voLùmia è infine un associazione riconosciuta senza
fini di lucro, che organizza eventi e promuove musica a Genova dal 2005. La parola a Luciano e Renato
allora, per questa lunga chiacchierata-sfogo domenicale (o contro-sfogo, se è vero che a Genova si
mugugna troppo) che tocca alcuni dei temi più controversi e discussi, sui forum telematici come nella
vita di tutti i giorni: l’atteggiamento del pubblico genovese, il rapporto musica-istituzioni, i locali, i gestori. E che rende conto delle difficoltà e delle contraddizioni incontrate da chi, come i ragazzi di voLùmia,
la musica cittadina vorrebbe curarla e sostenerla. Ma anche delle loro piccole e grandi soddisfazioni.
Allora, ammetto di essere un “neofita”
di voLùmia. La vostra è una sala prove, ma
anche un associazione culturale che organizza eventi live. Quali sono i requisiti sulla
base dei quali scegliete i gruppi? Avete dei
generi di riferimento? (azzardo, sulla base
del sound dei Volumi: alternative, crossover, musica “pesa” in generale?) Parlatemi
un po’ degli eventi passati e di quelli in programma, riuscite a mantenere una cadenza regolare?
Renato: voLùmia all’inizio è nata come
4 CMPST #5[11.2007]
associazione musicale legalmente riconosciuta per regolarizzare la sala prove che
avevamo preso in gestione. La sala è nata
con l’idea di offrire ad un territorio difficile
(il Lagaccio), e soprattutto ai ragazzi che
vi abitano, un servizio alternativo che fosse
culturalmente più produttivo del bar sotto
casa, e a dei prezzi molto più accessibili
delle sale prove che si possono trovare in
giro. Dopo sette anni di gestione non posso dire di aver salvato nessuno dalla strada,
né tantomeno di aver in qualche modo
migliorato questo quartiere. Il fatto stesso
di aver rischiato seriamente, e di rischiare
tuttora il linciaggio ogni volta che vengo
qua da la misura di quanto la popolazione
sia mediamente ottusa; per fortuna ci sono
le eccezioni, che mi consentono di pensare “non sto facendo questo per niente”.
Attualmente la sala offre spazio a diverse
band, e molte altre ne hanno usufruito in
passato, nell’iter naturale di un gruppo che
passa dalla sala in affitto ad una propria.Col
tempo le cose si sono evolute. Non so dire
Smesciarsi
eventi live: col Terra Di Nessuno, col Buridda,
con la Sinistra Giovanile alla Festa dell’Unità, con la Madeleine (pace all’anima sua).
Devo fare il mio ringraziamento più sincero
a Luciano della ZetaTi che ci ha sempre aiutato in queste circostanze, nonché a Jonny
Noiser, ma per altri motivi. Per ora la nostra
idea è quella di offrire una data voLùmia in
giro per Genova una volta al mese, sia dal
vivo che come dj-set: il 2 novembre siamo
al Brixton di Alassio a mettere la musica, il 16
la metteremo al Little Italy e il 15 dicembre
abbiamo in calendario una data con Gandhi’s Gunn e Viola Riot al Buridda.
VOLUMIcriminali Live
neanche quando, perché, o se mai avessimo pianificato di organizzare eventi live. Un
dato di fatto è che ci proviamo, e ci riusciamo sempre più spesso. Non abbiamo criteri esclusivi per far suonare le band, chiaro
che esistendo già una rete di relazioni (VOLUMIcriminali, 2 novembre) è più facile per
noi far suonare generi più “pesi”, ma non
mancano altri gruppi decisamente più soft
(Valentina Amandolese, Marcofuori, Palconudo, ecc.) tantomeno abbiamo preferenze verso gruppi cover o originali. E’ chiaro
che all’esterno voLùmia possa sembrare
“metallùmia” ma non è così. In passato abbiamo collaborato con enti e istituzioni per
Si può forse dire che voLùmia sia un’associazione che segue gli artisti in tutte le fasi
del percorso: la sala prove, la registrazione
e il concerto. Parlando di quest’ultimo momento, cosa mi potete dire della situazione
locali a Genova? La questione e annosa e
spinosa, anche pensando agli ultimi sviluppi, quali le scene viste di recente al New
Ghost…
R: Non è che seguiamo tutti i nostri gruppi
in tutte queste fasi, semplicemente offriamo le nostre capacità maturate sul campo,
per poter venire incontro ad altri musicisti
conoscendo già le loro esigenze. Per quanto poi riguarda il problema dei locali, secondo me si può ridurre semplicemente a
chi li gestisce: ci sono locali che funzionano
da dio sotto questo punto di vista come il
Checkmate, altri che hanno deluso pesantemente le aspettative come il Ghost, ed
altri dai quali non ci si aspetta più niente
come il Bulldog. Dobbiamo superare i lutti
del Fitzcarraldo e della Madeleine, passando dalla fase del mugugno a quella del
mettersi a “fare”. I centri sociali accolgono
chiunque abbia idee in tal senso, ma questo non può succedere solo lì. Quel ch’è
invece successo al New Ghost è molto semplice: il padrone, programmando un dj-set
house dopo il concerto organizzato da 2nd
Skin ha voluto fare due serate in una. Chi se
l’è preso in quel posto sono stati gli Stalker
ed il pubblico (oltre alla povera Claudia).
C’è anche da dire che esiste una certa forma di discriminazione tra la musica suonata
e quella da discoteca. Posso farti l’esempio
concreto di quello che succedeva di solito
alla Festa dell’Unità…
Luciano: Noi facevamo i concerti e a
mezzanotte e zerouno c’era la security che
ti diceva: “Dovete smettere” e ti toglieva la
corrente. Poi perché esco all’una e mezza e
vedo che c’è la gente che balla? Perché, a
livello culturale, quel tipo di attività e di musica ha un riconoscimento ufficiale e degli
spazi che rendono, questo modo di vivere
la vita non ce l’ha, e personalmente non
capisco proprio come mai. Io mi sparavo
dei fine settimana da giovedì a domenica
a Milano, e proprio “non riuscivi ad andare
a dormire”: beccavi un concerto gratis là,
qualcos’altro da un’altra parte, ti spostavi
ecc.
Sarà banale, ma probabilmente in questo
scenario pesa anche il fatto che Genova è
una delle città più vecchie d’Europa, e i pochi giovani preferisco aggregarsi a quel tipo
di intrattenimento più massivo e di fondo più
stupido offerto dalle discoteche e simili…
L: Sì certo; e questo non lo diciamo noi
per lamentarci, ma è un dato statisticamente comprovato.
R: Però è anche vero che esiste uno “zoccolo duro” di, chiamala, subcultura (che
secondo me è cultura nel vero senso della
parola: “sub” semmai perché viene spesso e volentieri schiacciata da quel tipo di
intrattenimento di cui parlavamo prima) a
Genova, città che ha un livello di “fermento
culturale” incredibile: pensa solo all’Illegal
Arts che fanno al Buridda, alla quantità immensa di gruppi che esistono…
A proposito, qualcuno mi diceva che, ol5 CMPST #5[11.2007]
Smesciarsi
“Abbiamo messo la musica che si
sente al Milk e niente. Imbullonati.
Così abbiamo iniziato a mettere
la roba che piace a noi e amen.“
tre al primato di “città più vecchia d’Italia”,
Genova deterrebbe quello di essere una
delle città italiane con più gruppi musicali.
Suona piuttosto assurdo, a fronte delle mille
difficoltà che, come tanti altri, avete detto
di aver incontrato per farli suonare, quei
gruppi…
R: C’è da dire che noi conosciamo e frequentiamo soprattutto gente che suona,
perciò è facile, facendo una statistica mentale, concludere che la stragrande maggioranza dei “giovani” suona. Però, anche
in senso assoluto, cercando di estendere
la cosa alla totalità della popolazione giovanile genovese, il risultato non cambia di
molto: di persone che suonano ce ne sono
veramente tante. Mi sono reso conto che,
rispetto anche ad altre realtà – ti parlo dell’hinterland milanese, o alla provincia di
qualche altra città italiana- a Genova c’è,
percentualmente, molta più gente che suona, che fa cultura, ma che rimane purtroppo schiacciata da quei meccanismi di cui
parlavamo poco fa.
Manca sicuramente qualsiasi riconoscimento istituzionale, questo è chiaro…
R: Forse la presa per il culo più geniale da
parte delle istituzioni ce l’abbiamo al porto antico: il Comune ha raccolto con dei
mega-sondaggi l’esigenza dei giovani di
avere più spazi per la musica, e che cosa
ha fatto? Delle sale prove. Come se non ce
ne fossero di sfitte. C’è un problema di linguaggio… Noi abbiamo organizzato alcune date qui, per la manifestazione “Oregina
e Lagaccio in Festa”, in collaborazione con
la Circoscrizione (Centro-Est, che ora per la
cronaca è quella di Aldo Siri – vedremo il
prossima anno come gira) e il Comune di
6 CMPST #5[11.2007]
Genova. A parte il fatto che il bando dello
scorso anno aveva l’aspetto di un concorso d’appalto – era lo stesso tipo di bando
di concorso, quindi ti lascio immaginare
le menate burocratiche – per la data che
abbiamo invece organizzato due anni fa ai
Giardini Malinverni, all’aperto, con Zero Reset, Charlie 5 e VOLUMIcriminali avevamo
un permesso, firmato dal vigile, fino a mezzanotte e mezza. Bene: quel concerto è stato interrotta a mezzanotte in punto, quando
sul palco erano appena saliti i Charlie 5, da
un vigile che sventolava lo stesso permesso
– il protocollo era identico – ma con l’orario cambiato. Come se questa pantomima
non bastasse, è iniziata a scendere gente
dalle case vicine: gente sclerata che urlava
di smettere. E tutto questo con un gruppo
come i Charlie 5 che a mio avviso non fa
“stra”-metal.
Ma a questo punto probabilmente basta
una chitarra acustica ed un cajon per suscitare le ire popolari. Pensate al concerto
ai Trogoli nella notte delle Tall Ship Nights,
interrotto in malo modo da un residente che
aveva addirittura detto di preferire gli spacciatori a Marcella Garuzzo, perché più silenziosi…
L: Sì, e se pensi che a quel concerto dovevano suonare anche i Palconudo (altro
gruppo in cui suona Luciano, N.d.A.), sarebbe bastato un colpo di rullante durante
il soundcheck per farci bandire per sempre
dalla provincia di Genova…(risate)
Anche qui mi sento di sottolineare il problema demografico: con così tanti anziani
basta davvero poco perché qualcuno di
questi si senta in diritto di rompere le uova
nel paniere.
L: Sono d’accordo, ma ti faccio una controdomanda: se fossimo stati 100, 150 persone, chi avrebbe avuto ragione alla fine
dei conti? Perché suoniamo in tanti, siamo
tutti bravi musicisti, ma quanti vanno a sentire gli altri che suonano? Se lì ci fossero stati
tutti quelli che si lamentano che a Genova
non c’è un cazzo da fare, che i locali chiudono presto, che non puoi fare le cover dei
Depeche Mode perché non ci sono spazi,
se insomma tutti avessero dimostrato l’esistenza di quella realtà con la loro presenza,
sono convinto che per quanti vecchi potranno mai scendere, per quanti sbirri potranno incazzarsi, quel concerto sarebbe
giunto a normale conclusione. Se al contrario “devo” andare tutta la sera a bere in
giro, e non me ne frega nulla di ascoltare gli
altri gruppi perché “non sto suonando io” ,
è chiaro che viene meno quel rapporto di
sostegno fra i gruppi che è giusto e necessario. “Casino” per “casino”, chi è andato
a dire di abbassare i volumi a Max Pezzali
o a Tiziano Ferro durante la Notte Bianca
(risate)? Credo nessuno. Perché era pieno
di gente. E non credo proprio che il live di
Marcella fosse privo di regolare permesso
(ovviamente ne era provvisto, ed è stato interrotto con una mezzora buona d’anticipo,
N.d.A.).
R: Senza contare che, volendo essere legalisti a tutti i costi, se qualcuno si prendesse la briga di misurare i decibel, non solo un
concerto acustico, ma anche (esagerando) questa semplice conversazione risulterebbe al di sopra della norma consentita.
Basta davvero un colpo di rullante per superare i 100 db.
L: …come del resto succederebbe nella
totalità dei bar e dei locali.
Sempre parlando di date, a settembre
avete organizzato alcuni concerti alla Festa
dell’Unità. Volete parlarci di quest’esperienza? Impressioni, consigli, eventuali mugugni…?
L: La Festa dell’Unità è stata tragica,
un’esperienza che ha messo a dura prova il
nostro credito nei cellulari oltre che sistema
Smesciarsi
nervoso (risate). Perché quando qualcuno
ti chiede: prenditi queste 5 date, riempile
con due gruppi, non vogliamo musica rock
ma principalmente jazz, fusion ecc., e tu ti
attivi per dare un risultato; e una sera vai là
e scopri che ti hanno messo il gruppo metal
nella tua serata, e un’altra volta ti dicono:
lascia stare che stasera facciamo suonare i
nostri gruppi che suonano punk-hardcore o
viking metal (risate); e poi ancora ti dicono:
abbiamo coperto il palco come ci avete
chiesto, quasi come non andasse da sé visto che la pioggia di settembre non è una
realtà sconosciuta ai più, e non ha senso
esporre la gente al rischio di prendersi la 2
e 20... noi VOLUMIcriminali non siamo riusciti
a suonare per 2 anni di seguito perché pioveva a dirotto. Garantiscono la presenza
della strumentazione e poi arrivi lì e scopri
che non c’è nulla. Ma la cosa che mi ha
fatto più incazzare è stato il fatto che per
ottenere una sbarra alzata per scaricare e
caricare gli strumenti con la macchina ci
abbiamo messo più tempo che a montare
la batteria. Detto questo, è stata comunque un’esperienza che ci ha dato delle
soddisfazioni.
R: E’ già un paio d’anni che collaboriamo
con la Festa dell’Unità. Quando ti interfacci
con persone che non hanno la più pallida
idea di cosa vuol dire suonare, sia la Festa
dell’Unità, sia il New Ghost, ti trovi nella situazione paradossale di avere un “capo”
che in quel momento ti sta dando lavoro
ma che in realtà non sa un cazzo di queste
cose.
Ok, abbiamo parlato di scena, dei doveri
di pubblico, musicisti, gestori e… vigili. Molta della scena finisce e prolifera su Internet.
Come vi rapportate con questo mezzo?
“Ti trovi nella situazione paradossale
di avere un “capo” che in quel momento ti sta dando lavoro ma che in
realtà non sa un cazzo di queste cose“
Quanto lo considerate utile per rafforzare
una scena fatta di persone e non di profili
MySpace (vi ricordo che la guerra al Web
2.0 è ormai uno dei classici di CMPST, almeno quanto “Guarda che la Valle ha un
negozio” per voLùmia, se non ho capito
male)? Che reazioni avete di fronte a quello
spam che ha lo scopo molto poco nascosto
far figurare ogni evento come imperdibile
ed ultimativo?
R: Internet in effetti è un po’ una “pialla”:
ci può essere il concerto “della madonnna” non segnalato sulla rete, così come il
concerto un po’ insignificante propinato a
suon di spam dal gruppetto che si fa pure
incensare dall’amico sul proprio Myspace.
C’è però da dire che il Web 2.0 – che rimane
una cosa integrativa, non potendo assolutamente sostituire le dinamiche della vita
reale – da un certo punto di vista aiuta: se
esistono già delle relazioni, magari non così
approfondite, fra i diversi gruppi e le diverse
realtà, attraverso questo sistema è possibile
conoscersi un po’ di più e ottenere contatti
più facilmente. Ovvio che poi non ci si può
basare solo su quello, né tantomeno sul numero di amicizie virtuali che magari quel
gruppetto è passato mesi a richiedere.
L: …Pamela Anderson viene ai nostri concerti! (risate)
Sì: di certo questo tipo di networking è
tanto più utile quanto riesce poi a concretizzarsi in incontri vis a vis, e a non limitarsi
ad uno scambio reciproco di complimenti
telematici. Incontri come quello al quale ha
partecipato voLùmia insieme ad altre realtà che supportano la musica nel capoluogo
e non, quali Genovatune, Disorderdrama,
Metrodora e Onde Sonore qualche mese
fa. L’idea sembrava quella di riunire sotto un
unico ombrellone associativo tutte queste
sigle, di unire gli sforzi a fronte di finalità ed
obiettivi comuni. Cosa potete dirci di quest’incontro?
L: L’idea era quella di vederci a cadenza
fissa, settimanalmente. Siamo al secondo
incontro, e in una fase propositiva, di analisi
dei problemi. Del tipo: noi abbiamo sempre questi o quei problemi durante i live,
chi di voi non c’è l’ha? Bene: se l’intoppo
è l’impianto mi prestate l’impianto, se noi
riusciamo a pagare le locandine la metà
di quello che le pagate voi vi diamo una
mano, ecc.
R: Stiamo cercando per adesso di concretizzare i punti comuni. Finora la cosa è
molto programmatica. Ci vorrà sicuramente del tempo.
L: Tornando ad Internet, devo ammettere
che ci sta sicuramente aiutando in questa
fase progettuale. Pensa al numero di sms
da inviare ogni volta che si organizza una
data: quei 5e di ricarica ti devono andare
giù (risate). E poi ha permesso di incontrarsi
a gente che organizza ad Arenzano, gente
che organizza a Principe, Sestri… aiuta ma
in un certo senso distrae: certi scambi che,
se fatti una stanza avrebbero la durata di
5 minuti, con la differita dell’email possono andare avanti anche per due giorni – a
volte anche per questioni ininfluenti come il
“nome” del progetto. E che invece in quel
contesto sembrano vitali.
R: Sì, il web produce anche questo tipo
di distorsioni.
Che mi dite invece dei VOLUMIcriminali? State producendo, siete in procinto di
registrare? Demo, promo o altro che bolle
in pentola?
R: Stiamo registrano in maniera casalinga
i pezzi che probabilmente hai sentito su Myspace. Il risultato non ci dispiace, la qualità
è decente, apprezzabile. Ovviamente non
da Nadir Studio, ma il rapporto qualitàprezzo è tutto dalla nostra parte. Tutto molto casalingo, come si diceva, con il portatile. Tre brani fino ad ora, stiamo lavorando
ad un quarto. Impariamo facendo. Mi sono
7 CMPST #5[11.2007]
Smesciarsi
ritrovato a rimixare i pezzi già registrati dopo
aver finito l’ultimo pezzo, grazie alle competenze acquisite nel mentre.
Ok, direi che è tutto. Se voi ragazzi volete
aggiungere qualcosa…
L: Beh, l’ultima “scimmia” sulla quale siamo impegnati è appunto quella di spingere
tanto la musica che si produce a Genova,
attraverso dei dj-set rock che diano al possibilità alla gente di andare nel locale sapendo che non sarà costretta a ballare YMCA o
la sigla di Lupin. Vorremmo veramente che
la gente potesse, com’è già successo con
nostra grande meraviglia ed orgoglio, ballare sopra il pezzo dei 2 Novembre o scuotere la testa con il pezzo dei Vanessa Van
Basten. Proporre a persone a digiuno delle
realtà nostrane questa musica potrebbe
essere un modo per avvicinarle, incuriosirle,
fino a fare in modo che ti chiedano il nome
del gruppo, il disco e quant’altro…
R: Guarda, era quello che avremmo sperato anche noi, ma abbiamo riscontrato
una certa rigidità mentale nel pubblico, del
tipo: se non conosco l’artista non ci posso sballare. Sembra che questo dipenda
strettamente dal tasso alcolico nel sangue
(risate). La gente arrivava e voleva sentire
Anastacia. Abbiamo messo la musica che
si sente al Milk e niente. Imbullonati. Così
abbiamo iniziato a mettere la roba che piace a noi e amen.
L: Il problema è che quella gente arriva
nei locali per le 11. La gente che invece godeva con il rock nostrano ti arriva all’una e
mezza. Il problema è che non ho il cliente
giusto. Non riesco ad andare a prendere il
metallaro a casa. Ecco, io non capisco perché “più tardi esco, più figo sono”. Se vuoi
fare tardi ok, ma poi non puoi lamentarti
che non c’è niente da fare a Genova perché la tua digestione ti impedisce di uscire
ad un ora decente (risate). Noi dalle 10 a
mezzanotte mettiamo dischi per noi stessi.
8 CMPST #5[11.2007]
Luciano - Foto di Alessandro Falcone
R: …Poi dall’una e mezza bisogna versare
il sangue. Ed è la stessa cosa che succede
per certi versi ai live.
L: Spesso i gruppi non vogliono suonare
per primi ai concerti perché sanno che a
quell’ora non c’è nessuno. Come dire: non
mangia nessuno perché nessuno ha ancora apparecchiato. E cazzo, apparecchia!
Intanto mangiamo due grissini, no? (risate).
E se poi il problema è che dopo mezzanotte non puoi fare casino… mi sembra chiaro
che in fondo è tutto ricorsivo. La soluzione
del problema la individui molto facilmente:
fai delle serate che iniziano alle 9, la gente
di abitua ad uscire a quell’ora, alle 10 inizia
il concerto e a mezzanotte tutti a casa, ma
se il concerto inizia alle 11 e mezza, capisci
bene che è il classico gatto che si morde
la coda. Però vediamo anche che una comunicazione con l’orario preciso riesce a
sortire il suo effetto.
R: La dimostrazione di questo è stata ieri
sera, al concerto in Buridda. Abbiamo detto: ragazzi, suoniamo per primi perché abbiamo dei problemi col lavoro, venite prima
sennò ci vedete smontare. C’era gente dalle 9 e mezza/10, ed era pieno.
Più
info
sulle
attività dei VOLUMIcriminali
su
http://www.volumicriminali.net
http://www.myspace.com/volumi
Produzioni
“Per a s s urdo il fa t to di es sere
cos ì chiu s i dona alla scena
un’originalità unica al mondo. “
Varusclis / Taxi-Driver
Intervista con Massimo Perasso / Maso
di Cesare Pezzoni
GENOVA CHE LAVORA
Si può rischiare di essere superficiali se si tenta di inserire le variegate
attività di Maso, tutte in un’intervista relativamente breve: Come riuscire a parlare (a) di un’etichetta, (b) di un paio di gruppi, (c) di un
magazine seguito anche (soprattutto?) da fuori città, (d) di una serie di concerti organizzati (e) in un posto nuovo, in poche righe cercando di dare alla conversazione una parvenza di senso compiuto?
Senza contare che visto che non siamo soliti fare interviste promozionali, il fine della nostra chiacchierata è sostanzialmente un confronto sulla realtà genovese e su come questa è collegata o scollegata alla realtà nazionale o - perché no? - a quella internazionale.
A questo va poi aggiunto che un passaggio sulla questione Mike Watt From
Pedro è d’obbligo (“intervista pure
Maso, così spingi ancora la cosa di Mike
Watt” …mi sfottono in redazione). L’impresa può sembrare ardita se si punta a
fare tutto senza rassegnarsi alla banalità.In alcuni casi però, nei rari casi in cui
le persone finiscono per mettere gran
parte di se stessi in tutto quello che fanno, riuscire in interviste di questo tipo è
piuttosto automatico. Questi sono i casi
in cui una personalità di fondo si declina
in quattro, cinque o anche venti o trenta modi: cambia il contesto cambiano i
modi di operare, cambiano gli strumenti, ma c’è una radice visibile e riconoscibile in ognuna di queste operazioni.
Una di queste persone è senz’altro
Maso, fulgido esempio di come la de-
dizione alla causa comune non sia in
contrapposizione con l’esigenza individuale, come persone o come gruppi o come organizzazioni. Al contrario quella stessa urgenza che spinge
un ragazzo a suonare “rock” (so che
è una parola poco di moda ma resta
l’archetipo di tutto quello che siamo, o
almeno che sono io), spinge le persone come Maso a intraprendere percorsi
diversi, seguendo l’istinto che suggerisce di combinare qualcosa, darsi da
fare, magari anche lasciare il segno.
La cosa che emerge dall’intervista che
state per leggere e su cui vorrei che
concentrasse la vostra attenzione è proprio questa. La sottile distanza, che resta tuttavia umanamente impercorribile, che c’è tra una forma di volontariato
“pro bono”, mossa da altruismo e bene-
volenza, e una partecipazione diversa,
dettata dalla voglia di mettere noi stessi
nelle cose che ci circondano essenzialmente perché è innanzitutto una nostra
esigenza.
Taxi Driver, Varusclis, Schism, ZenArcade, le serate al nuovo Checkmate. Certe mie ex mi hanno mollato per
molto meno: Ci stai un attimo fermo?
Perché dovrei? Si dice sempre che
trovare un lavoro al giorno d’oggi sia impossibile, io ho risolto inventandomene
cinque o sei! Il problema è che mi sono
auto assunto come tirocinante e soldi
non ne vedo!
Ok, la prima domanda era giusto per
rompere il ghiaccio, però è tutto vero:
oltre all’attività musicale, all’informazione “di settore” e alla nuova realtà di
concerti al Checkmate, hai già fermato una pagina di myspace per entrare
nel fantastico mondo della produzione
musicale. In tutto quello cha abbiamo
da dirci, inizierei con questo. Parlaci di
ZenArcade: idee, progetti, immediati
scenari futuri…
L’idea di aprire un’etichetta mi è venuta pensando che nessuno avrebbe
mai pubblicato i dischi dei Varusclis,
ma allo stesso tempo sapendo che in
città (come avviene in ogni parte del
9 CMPST #5[11.2007]
Produzioni
gli ascoltatori.
Varusclis \ Maso - foto di Anna Positano
mondo) ci sono realtà a cui basterebbe un minimo di visibilità per far parlare
di sé. Mi sono chiesto: ma perché non
pompare per bene Vanessa VanBasten, Christopher Walken, 2Novembre,
Demetra Sine Die, Ricochet, Gandhi’s
Gunn, Unsolved Problems Of Noise,
Stalker o perché non far notare ad un
certo tipo di pubblico che i Meganoidi
sono cambiati o perché non ristampare
tutto il catalogo dei Cardosanto? Sono
cresciuto con etichette come Dischord,
SST, SubPop, K, Kill Rock Stars, Man’s
Ruin e tutt’oggi seguo ogni uscita Relapse, Neurot, Hydrahead con curiosità.
Spesso mi affeziono più ad una label
che ad una band: un gruppo al massimo confeziona due capolavori, un’etichetta può arrivare anche a cento!
Sono però consapevole che i dischi
ora non li compri più nessuno per tanti,
troppi motivi.. Il formato mp3 è orribile
e dovrebbe rimanere gratis. La mia utopia sarebbe far uscire vinili con dentro
il CD masterizzato. Solo che certe cose
è dura farle capire alla SIAE e io vorrei
rimanerne alla larga. Per cui la prima
uscita sarà una compilation distribuita
con licenza Creative Commons: fatene
quello che volete ma ascoltate queste
band! In sintesi non vogliamo arricchire
noi, nè le band ma solo le orecchie de10 CMPST #5[11.2007]
In tutti i tuoi gruppi e in tutte le cose
che combini emerge un taglio musicale abbastanza preciso. O meglio, non si
tratta di una specifica nicchia ma una
precisa area sì. Quali sono i confini di
quest’area e quanto è vasta nel contesto della scena genovese?
I miei confini si chiamano Melvins e
sono in realtà piuttosto vasti. Questa
band mi ha insegnato quanto può essere seria la musica pur mantenendo
un profilo grottesco e di grossolana ricerca, e dopo vent’anni di musica continuano a sorprendermi ad ogni nuova
uscita.. Adoro tutto ciò che può essere
ricondotto a questa filosofia: musica
non scontata e sorprendente. A Genova poche band suonano come qualcun’altra di famosa: nessuno cerca il ritornello facile e il paragone immediato,
probabilmente verrebbe sbeffeggiato
e perderebbe credibilità. Per assurdo il
fatto di essere così chiusi dona alla scena un’originalità unica al mondo.
Accanto a realtà connotate territorialmente ma trasversali di genere come
Metrodora o Genovatune, spuntano
ora nuove realtà come la tua o 2nd Skin
che vanno ad affiancare la ormai storica Disorderdrama nella rappresentazione di un’area musicale, un preciso punto di vista, quasi un genere. Il punto di
vista tra le due cose è necessariamente
un po’ diverso: in un caso c’è una volontà di rappresentazione globale, nell’altro lo sviluppo di una Scena in senso più
ortodosso, con scambi relativi anche
alla fattispecie del contenuto musicale
e non solo a una “social catena”. Quali
sono i motivi di una scelta piuttosto che
dell’altra? Hai mai avuto la tentazione di
accedere a un pubblico “generalista” ?
Ogni tanto mi pongo la domanda.
La risposta è immediata: per ottenere
un pubblico generalista dovrei mettere meno me stesso in quello che faccio
e perderebbe tutto il senso, ma ancora di più il divertimento. Genovatune è
generalista per necessità mentre ogni
mia “attività” viene da una mia precisa necessità espressiva, non da un progetto studiato a tavolino. Certamente
c’è il sogno che emerga una scena e
un’interesse verso sonorità vicine ai miei
gusti. In fondo concerti stoner, grunge,
alternative o postcore da quanto tempo non se ne vedono a Genova? Anzi,
si sono mai visti? Eppure grazie alle serate che organizzo al Checkmate, o a
SecondSkin o DisorderDrama si riesce
finalmente a vedere nella nostra città
qualcosa di non stereotipato pur dovendosi confrontare costantemente contro
la carenza di spazi, l’ignoranza delle istituzioni e l’incompetenza dei media.
In tutto questo si dice spesso che a
Genova il pubblico è poi relativamente esiguo a causa del classico deficit
demografico ormai decennale, e forse
anche per l’incapacità dell’Università
di attirare studenti da fuori città. Come
evitare il rischio di litigarsi le briciole?
La sovrapposizione è accaduta di
recente quando al Checkmate hanno suonato gli El Thule e al New Ghost
i Vanessa Van Basten. Per entrambi
la serata a livello di pubblico è stato un successo e mi metto dalla parte
di chi si sarà trovato indeciso su dove
andare. Quanto l’abbiamo sognato?
Purtroppo è vero che ai concerti si vedono sempre gli stessi visi e mi preoccupa la mancanza di un cambio generazionale, ma forse è ancora presto. Ma
è un problema che non mi pongo: in
Italia si organizzano concerti in luoghi
Produzioni
ignoti come Cervia, Mezzago, Biella;
se proponi un buon concerto la gente
verrà. Per ora nessuno può permettersi
di portare a Genova nomi ”grandi” così
come manca il locale che stia a metà
tra il Checkmate e il LogoLoco. Mancano i posti più che il pubblico…o semplicemente il pubblico va costruito, coccolato ed educato. Sarebbe bello che
Genova entrasse nella geografia dei
luoghi dove vedere la musica piuttosto
che elemosinare il dayoff e puntare alla
solita gente. Portare pubblico da Milano, Torino o anche semplicemente dal
basso Piemonte non dovrebbe essere
fantascienza ma come noi giriamo l’Italia per concerti penso che possa farlo
anche chi vive fuori dalla Liguria.
Parliamo del Checkmate: Come sono
andate le prime serate? Quali sono i
problemi e quali le idee per il futuro?
Il Checkmate ha avuto un impatto
devastante sulle nostre vite. Nel giro di
un mese il locale è diventato un riferimento cittadino, ed è come vivere in
un sogno. La risposta ai concerti è stata
ottima, sia da parte del pubblico che
delle band che si sono esibite. I problemi sono i soliti di ogni locale che fa musica: budget ristretti, scontri col vicinato
di età media piuttosto alta, difficoltà a
pubblicizzare degnamente le serate arrivando. Riguardo al rapporto con il vicinato speriamo di non finire come tanti
spazi in cui si proponevano concerti, le
cui vicende sono note a tutti. E’ geniale
come un locale come il Liquid disturbi
il sonno di molti da anni ma se fai musica dal vivo riescono a trovare subito il
modo per farti chiudere! I progetti per il
futuro sono tanti: dall’istituire uno spazio
per il jazz, all’organizzazione di spettacoli di cabaret e teatro. Per quanto mi
riguarda far suonare band da ogni par-
te del mondo e creare una credibilità in
cui, anche se nessuno la band che suona, verrà comunque a vederla.
Il locale è una realtà “storica” per la
zona Foce-Tommaseo, ma largamente
fuori dai giri tradizionali dei Genovesi,
anche per la sua lontananza al Centro
Storico, cuore della famigerata quanto
stereotipa “movida” genovese. Come
mai questa scelta? Pensate che presenti
qualche vantaggio o qualche convenienza?
Fuori dal Centro Storico costa decisamente meno!! Tutto qui. E comunque
non sono del tutto convinto che un locale di musica live in centro possa funzionare. Basta guardare nelle altre città:
i concerti sono tutti in periferia; quante
volte ci siamo persi per andare a vedere
i concerti a Torino?
Prossimi appuntamenti?
Nel mese di Novembre faremo suonare I/O, i riformati Pitch più un po’ di band
genovesi. Ma il calendario è in via di definizione costante. Vi consiglio di tenere
d’occhio il myspace del locale (www.
myspace.com/checkmateclub)
Taxi Driver per me è rimasto per diverso tempo una specie di oggetto misterioso: dall’esterno mi è difficile capire
quanto sia radicata in città, quali persone raggiunga. Quali sono le idee con
cui siete partiti e quali le vie di sviluppo
di questo magazine?
Taxi Driver nasce 7 anni fa dalla mia
esigenza di scrivere di musica. Mi è servito per fare pratica sognando di scrivere in testate musicali come Rumore,
Blow Up, Il Mucchio. Poi è pian pianino
cresciuto ed è diventato esso stesso un
magazine credibile e seguito quotidianamente da migliaia di persone. Le vie
di sviluppo sono costanti, così come è
costante lo sviluppo del web. Pur mantenendo un approccio grafico piuttosto
grezzo e fuori moda il portale ha al suo
interno alcune caratteristiche al passo
con i tempi, aggiornamenti quotidiani
e un forum popolato da gente sparsa
per l’Italia. Taxi Driver con Genova ha
un rapporto strano. Diciamo che molti
lo conoscono e lo rispettano ma spesso
non è associato alla mia persona, allo
stesso modo non ha nessun segno di genovesità al suo interno. E’ ZenArcade il
mio tributo a Genova, non Taxi Driver…
Come diavolo vi è venuta in mente l’idea dei Calendari? Quanto ci hai
messo a convincere Shizu (batterista
dei Varusclis in cui Maso suona, NdR)?
Funzionano?
Il calendario è nato per gioco. Con
Shizu scherzavo sempre che doveva
fare la modella finchè non ho deciso
che se ci credevo così tanto dovevo farle io la proposta di diventare la ragazza immagine del sito. Mi piace questa
cosa delle diverse anime: Shizu suona la
batteria in un gruppo super alternativo,
fa i calendari come le veline, ha scritto
una tesi sui Dredg e ha ovviamente una
vita piuttosto normale… Non ci ho messo tanto a convincerla: come tutte le
ragazze ha una buona componente vanitosa, ma ne è valsa la pena visto che
il calendario è diventato in poco tempo
un piccolo oggetto di culto.
Indirettamente siamo arrivati al duo
di cui fai parte, i Varusclis. Atipici per
diversi motivi: una ragazza carina alla
batteria che picchia come un fabbro,
un bassista con un grosso amplificatore,
tanta matematica e niente più. Il concerto a cui ho assistito io (al Buridda),
mi era sembrato riuscito e prometten11 CMPST #5[11.2007]
Produzioni
te, e aveva colpito più di una persona.
Che ne sarà dei Varusclis? Solo un side
project?
I Varusclis sono il mio gruppo e lo saranno sempre. L’unica band in cui sono
libero di esprimermi come credo, senza
dover spiegare dove voglio arrivare e
il perché. In una band normale il ruolo
del bassista è diverso, ma soprattutto
devi rapportarti con personalità “melodiche” come voce e chitarra. Nei Varusclis convivono i tempi dispari come l’
ignoranza. L’ispirazione viene da band
come Zu, Cardosanto, Stinking Lizaveta,
Om, oltre ovviamente ai Melvins. Che
rabbia sapere che attualmente hanno
in formazione un’altra band basso e
batteria: i Big Business. Il futuro è a tinte fosche: Shizu si è trasferita in Friuli e
provare è sempre più difficile. Ma il 6 Dicembre suoneremo al Buridda con Fuzz
Orchestra mentre per Aprile, se tutto va
bene, suoneremo con gli Stinking Lizaveta al Checkmate. In progetto ci sono
comunque registrazioni e tour, come
una band normale. Se non riusciremo a
fare un disco è praticamente certo un
7” su ZenArcade Records.
Come bassista militi anche negli Schism, devoti a un suono granitico e articolato, in odore di Tool. Siete un gruppo
pubblicato e attivo da diverso tempo.
Prospettive?
Purtroppo le prospettive sono poche.
La band si è sciolta da un paio di mesi
per divergenze personali. Era un bel
progetto e ci siamo tolti le nostre soddisfazioni, ma ormai abbiamo tutti voltato pagina. Tramite gli Schism ho capito come si deve lavorare in una band,
ponendosi obiettivi costanti e lavorando al meglio senza trascurare nessuna
componente. Dalla strumentazione al
modo di proporsi dal vivo e con le eti12 CMPST #5[11.2007]
chette, passando per la continua ricerca sonora. Abbiamo un disco registrato
in modo professionale da Frank Andiver
e un contratto con Rising Works ma resta ancora da vedere se la pubblicazione postuma possa avere un senso. In
ogni caso l’esperienza è servita a tutti
per crescere e capire certi meccanismi
discografici.
I Varusclis e i Cartavetro (il mio gruppo, NdR) condividono il grande onore di
essere stati pubblicati nella trasmissione di Mike Watt, attuale bassista degli
Stooges e fondatore degli indimenticati Minutemen. In verità tra di noi siamo
piuttosto diversi…Papà Mike è un pazzo
o abbiamo davvero qualcosa in comune? Quando mi è successo di essere
pubblicato mi sono interrogato spesso
su quali erano i motivi del suo interessamento, anche per una responsabilità
che in qualche modo mi sono sentito
addosso. Te lo sei chiesto anche tu? Che
risposta ti sei dato?
Mi piace pensare che i Varusclis abbiano qualche punto in comune con i
Minutemen, in realtà quando Mike mi
ha scritto “I will play some of your music
on my next watt from pedro show” ho
perso conoscenza e ancora oggi non
mi capacito di come uno dei miei eroi
musicali si sia entusiasmato della mia
musica… guardando le cose realisticamente penso che se Mike Watt ha passato due band genovesi vuol dire che
siamo noi a sottovalutarci terribilmente..
e vabbè, si, lui è pazzo: ha suonato pure
in un disco di Kelly Clarkson!
Il prossimo tour europeo di Mr. Watt,
passerà dal Checkmate?
Il mio sogno è un concerto dei Dos
(il progetto a due bassi condiviso con
la sua ex moglie ed ex Black Flag Kira
Roessler) con spalla Cartavetro e Varusclis. E il Checkmate potrebbe essere il
posto giusto! (Da oggi è anche il mio
sogno…fighissimi i Dos ! NdR)
Noi Genovesi dell’ambiente sappiamo che Genova ha una certa immagine
esterna e una serie di problemi meno
visibili interni. Quali sono i veri pregi e
quali i veri difetti di questo ambiente
musicale?
Genova desta curiosità dall’esterno.
Come noi non riusciamo ad uscirne molti non riescono ad entrarci, pur volendo.
E’ un territorio ostile ma affascinante.
Fermenti musicali ci sono sempre stati
e lo dico conoscendo bene il resto dell’Italia: in generale qua si ascolta musica assai migliore tra le band esordienti.
Manca chi ha il coraggio di investire, di
spendere soldi per registrare un album
come dio comanda e girare l’Italia a
promuoverlo. Lo stanno facendo i Vanessa Van Basten, speriamo che servano d’esempio. Ma se persino le band
non hanno coraggio ad investire su loro
stesse come può farlo qualcun’altro?
Tre cose da fare per migliorale la situazione musicale a Genova:
Aprire una radio e dividerci la programmazione fra tutte le varie realtà,
anche le più strane. Credere in quello
che si fa mantenendo umiltà e curiosità. Registrare decentemente un disco
e suonare ovunque conoscendo realtà, scambiando pareri e contatti. Ma la
Produzioni
possono che servire per migliorare la situazione e sapendo che dietro a queste
realtà ci sono ragazzi e non speculatori
sono ottimista sul miglioramento costante delle proposte.
Varusclis / Shizu - foto di Anna Positano
cosa più difficile è educare i giovani facendogli capire cosa succede nel resto
del mondo e di conseguenza attuarlo e
migliorarlo.
Nell’associazionismo (formale e informale) musicale genovese finiscono per
crearsi sovrapposizioni, come è normale che sia: i Vanessa Van Basten finiscono per essere in serate di 2nd Skin
come di Disorderdrama e Metrodora,
gli stessi Varusclis e Schism sono apparsi in serate diverse. Questo porta a
pensare non a tante nicchie ma a una
serie di aree dai confini sfumati inseriti
in un continuum dove non ci sono molti
ostacoli a dividere le persone. Ciononostante spesso sembra difficile che le
diverse realtà comunichino tra di loro. E’
davvero così? Se sì, come evitarlo?
Personalmente comunico molto bene
con tutte le realtà e sarebbe stupido il
contrario. Vanessa Van Basten e Varusclis sono nomi che difficilmente possono essere catalogati, mentre i Blown Paper Bags o Rocktone Rebel difficilmente li
vedrei in una serata 2nd Skin così come i
Nerve ad una serata DisorderDrama. Ma
l’importante è che tutti lavorino bene
con serietà senza farsi menate su cosa
suona chi. Competizione e dialogo non
Questa è una realtà che finisce per
premiare le realtà di confine che riescono a raccogliere pubblico da diverse
parti: questa situazione poco fluida non
finirà per disincentivare le scelte radicali in fatto di suoni fin dai primi passi
nella scena?
Non credo. Gli Ur esisterebbero comunque, piuttosto la girerei al contrario: speriamo che premiare le realtà di
confine faccia sparire cover band, rock
blues da balera e pop rock alla Ligabue.
In che misura la disorganizzazione o
organizzazione di una scena musicale
può influire sul cammino di un gruppo in
termini non solo di successo, ma anche
di qualità oggettiva, secondo te?
Una scena musicale crea curiosità e
credibilità. 2Novembre, Gandhi’s Gunn,
Temple Of Deimos e Christopher Walken
sono nomi che messi assieme danno
l’idea di una scena. Organizziamo un
bel festival stoner e invitiamo giornalisti
da ogni parte del mondo, ovviamente
non prima che questi ragazzi abbiano
fatto un disco, un EP o un 7”: a quel punto si parlerà di scena stoner genovese
come una nuova “wave” imperdibile.
Ma non è necessaria una scena per
uscire dalla città. Gli Ex-Otago, i Vanessa Van Basten, o i Meganoidi o il nostro
tentativo con gli Schism hanno dimostrato che l’unico modo è non trascurare nessun dettaglio del proprio progetto.
Ciò non vuol dire vendersi ma proporsi
con credibilità. Spesso parlo con band
che vogliono suonare fuori Genova con
all’attivo un demo registrato in presa diretta, o che non sanno a chi far ascoltare la propria musica e non ha senso.
Deve cambiare la mentalità da saletta:
ok divertirsi ma un minimo di intelligenza
nel muoversi ci vuole.
Da sempre, ma soprattutto ultimamente, si sente parlare di “indie” come
di uno stile musicale preciso più che di
un approccio trasversale ai generi. In
questo senso, legato al contenuto, tu sei
in larga misura fuori da questo settore.
D’altra parte non c’è dubbio che la tua
sia una realtà indipendente e militante.
Questa confusione tra etica ed estetica,
non finisce in qualche misura per rendere difficile il dialogo? Come definisci la
tua posizione?
Mi sono sempre sentito “indie” anche
se oggi il termine vuol dire frangia, maglia a righe, tastierini e vocine stonate.
Indie per me vuol dire Fugazi, Minutemen, Black Flag: ovvero una filosofia di
vita che ti permette di non accettare
compromessi, di portare avanti la tua
idea anche se tutti remano contro, non
farsi influenzare da mode e delusioni,
di mantenere la musica in primo piano.
Esistono musicisti “indie” in ogni genere.
Indie è un modo di essere non una catalogazione musicale.
Ultima domanda: non sarebbe bello
avere del tempo libero?
Certo. Potrei aprire il mio negozio
di dischi, stampare magliette, fare il
dj radiofonico e ascoltare ancora più
musica!
http://www.taxi-driver.it
http://www.myspace.com/varusclis
http://www.zenarcade.it
13 CMPST #5[11.2007]
Export
“Già sentivo che sarebbe valsa
la pena fare cappuccini pur di
poter essere libero di dedicarmi
alla nostra musica, e così ho fatto.“
Brutopop/Assalti Frontali/Mikoto
Intervista con Fabio Chinca / Glasnost
di Matteo Casari
TIRAMOLLA COL DO-RAG
Cercando di entrare sulla palla di quello che succede in città
nel periodo di uscita del numero di CMPST, iniziamo con due interviste dedicate a due eventi in arrivo in questo autunno 2007.
Il primo di Dicembre al Terra di Nessuno si fermerà la carovana hip-hop del Pass The Mic, tra i protagonisti gli Assalti Frontali, con la presenza genuinamente genovese di Glasnost.
Un po’ di storia, che, qui a Compost, siamo
ancora senza i box laterali biografici. Nome,
età, professione, origini... Genovese? Di
dove? Da quanto sei andato via? Romano?
Che fai lì? Torni spesso?
Mi chiamo Fabio Chinca aka Glasnost.
Sono nato a Genova nel 1965, il 4 di giugno.Sono cresciuto a Genova dalle parti di
piazza Sturla per poi trasferirmi a Bogliasco
che avevo 6 anni. Ho studiato al liceo artistico Nicolò Barabino, poi grafica a milano
e nell’ottantasette mi sono trasferito a Roma
dove ho studiato cinema d’animazione al
centro sperimentale di cinematografia. Se ti
è capitato di volare Alitalia e hai fatto caso
alle animazioni che spiegano ai passeggeri
come salvarsi in caso di cazzi amari, sono in
parte opera mia, tanto per farti capire quali
sbocchi fantastici offrisse il mercato ai giovani animatori. Lavoro a cottimo, zero contratti, un mazzo tanto per due lire puzzolenti...
14 CMPST #5[11.2007]
Quando mi sono trovato seduto ad un tavolo luminoso ad animare Tiramolla ho capito
che era tempo di scappare. Ho incontrato
quelli che sarebbero poi diventati i Brutopop
dopo un mese che mi ero trasferito nella capitale, quindi, all’epoca della fuga dai cartoni, già sentivo che sarebbe valsa la pena
fare cappuccini pur di poter essere libero di
dedicarmi alla nostra musica, e così ho fatto.
Poi per qualche anno ho lavorato nel più bel
negozio di dischi di roma che si chiamava
Disfunzioni Musicali, che ora sembra essere
fallito. Oggi mi barcameno tra musica, grafica e lavoro nelle scuole elementari in qualità
di operatore interculturale. Torno a Genova
quando posso il che vuol dire 2 o 3 volte all’
anno ed ogni volta mi sembra di amarla un
pò di più.
I segnali di una pura genovesità traspaiono
spesso dalle tue cose. Ogni volta che suoni a
Genova con gli Assalti Frontali non manchi
mai di sottolineare il tuo giocare in casa.
Vero. Non so che mi piglia è più forte di me.
L’ ultima volta, poi, abbiamo suonato sotto la
lanterna, non so se mi spiego.
Com’è nato il passaggio sul palco da
“backing band” (tra virgolette e con tutto il
rispetto) a crew di Militant-A? Tu e Paul G ora
siete perfettamente integrati nel live con i vostri interventi e i vostri spazi.
Si è trattato di un passaggio naturale.
come saprai Brutopop ha collaborato con
Militant-a sin dai tempi dell’Onda Rossa Posse. Il nostro rapporto avanza a cicli, quindi,
non si può mai dire, magari tra qualche tempo potremmo ritrovarci a suonare ancora
insieme. Comunque, dopo il tour di HSL abbiamo sentito l’ esigenza di prendere direzioni distinte, anche perchè per i bruti il ruolo
di backing band risulta un pò angusto alla
lunga. Forse il disco Conflitto ed il relativo tour
hanno rappresentato la migliore sintesi delle
nostre sensibilità che sono diverse. A volte la
diversità rappresenta una ricchezza a volte
un limite. Pol ed io, abbiamo scelto di mantenere un ruolo attivo su entrambi i fronti e
siamo felici così.
Nella biografia di Assalti Frontali si dice di
una “predisposizione a mutare restando interni alle lotte che si sono succedute in Italia
e nel mondo è stato il motore che ha permesso di trovare sempre forza e ispirazione in tutti
questi anni”. Girando spesso per spazi liberati, come ti sembra il polso del movimento
in Italia?
Mmmh... Questa è una domanda che
richiederebbe una risposta complessa e
circostanziata. Sono sicuro che Militant-a
saprebbe trovare parole molto più pregnanti delle mie a riguardo. Si può lottare contro
qualcosa o qualcuno e si può lottare per
qualcosa o a fianco di qualcuno. Si può affogare nel Mar dei Sargassi dell’ antagonismo.
Ho visto spesso confondere i propri obbiettivi
con la propria identità. Il mito della lotta, il
culto dei morti, a volte generano mostri. Direi, comunque, che in tutti questi anni i pregi
e i difetti dell’ area antagonista sono rimasti
gli stessi. Ho in mente le moltissime facce e le
relative storie di persone veramente genero-
se, ma anche gli scazzi endemici da cui mi
sento immancabilmente lontano come da
quello tra sciiti e sunniti. Il polso batte tachicardico, dal mio punto di vista, ma batte ancora e non è poco.
Sarete il primo di Dicembre al CSOA Terra
di Nessuno con Inoki, per il progetto Pass
The Mic. Come sta andando? Avete avuto
grandissima visibilità anche su media particolarmente emersi, vedi XL di Repubblica.
Qual’è lo stato dell’hip-hop italiano? Solo
business e mercato o c’è ancora spazio per
l’impegno?
Lo spazio c’è se ti sbatti per prendertelo,
e non è un caso che tutti gli mcees coinvolti nel progetto siano a loro modo dei veterani. Sono cose che si costruiscono con il
tempo ed ognuno trova la sua direzione il
proprio balance tra business e impegno, tra
forma e contenuto. Pass the mic si è dimostrata un’idea felice. Per una volta è bello
ritrovarsi a condividere qualcosa con gente
che diversamente non avresti modo di conoscere. Per noi che il mic ce lo passiamo,
per Esa, Inoki, Colle Der Fomento, Gruff, per
il BG’s Team, 3menti 3mende, Vocalamity,
Truce Klan, Jimmy, Rancore e per tutti gli altri che hanno partecipato è un modo per
confrontarsi, cercando di andare oltre gli
stereotipi tipo “tua mamma me lo succhia”,
naturalmente. Per chi è venuto ad ascoltare
un modo per ampliare i propri orizzonti.Forse
i rappers hanno un problema in più rispetto
a chi fa musica senza preoccuparsi di essere parte di una scena particolare, mi capita
di vedere pivelli ostentare brillocchi (falsi) e
completini fubu (spesso tarocchi) tradendo
un’ ossessione emulativa troppo buffa. In
fondo anche il punk outfit viveva degli stessi
stilemi, solo che all’epoca la gara era a chi
Export
“Il problema dei rappers è che se
non sfondano, se non giocano
in serie A, non riescono a sfoggiare abbastanza completini.“
marcava più scabeccio, mentre per i b-boy$
la storia è esattamente opposta. In entrambi
i casi è una lotta persa in partenza. I migliori artisti capiscono presto come vestirsi per i
cazzi loro. Il problema dei rappers è che se
non sfondano, se non giocano in serie A, non
riescono a sfoggiare abbastanza completini. Guarda Mondo Marcio, hai idea di quanti
do-rag tiene in guardaroba? Io schiumo di
invidia a pensarci.
Prima di questi rimescolamenti in chiave
hip-hop, i Brutopop sono stati una delle migliori band italiane degli ultimi vent’anni, senza dubbio. Dalla connessione Roma-Washington, con le date in compagnia dei Fugazi e
la produzione di Don Zientara, arrivando alle
ultime esibizioni, in set di live bastard-pop di
qualità. Cosa è successo? Che fine hanno
fatto gli altri? Sentiremo ancora qualcosa
targato con quel monicker?
Grazie! Sono vent’anni che suoniamo assieme e ancora ci divertiamo. Abbiamo un
monte di roba registrata che aspetta di vedere la luce. Vogliamo assolutamente uscire
con un disco e vedrai che ce la facciamo. Al
momento stiamo lavorando alla colonna sonora per “Fine Pena Mai“ un lungometraggio
la cui gestazione sembra volgere al termine.
Tra l’altro la colonna sonora conterrà una
traccia dei Port-Royal che tu conosci bene
credo. È tratto dall’autobiografia di Antonio
Perrone, un malandrino salentino che ha
finito per affiliarsi alla Sacra Corona Unita e
conseguentemente a marcire in carcere in
regime di 41 bis. I protagonisti sono Claudio
15 CMPST #5[11.2007]
Export
“A metà degli anni ottanta Genova mi sembrava una ghost
town, la rinascita del centro storico sarebbe arrivata molto dopo“
Santamaria e Valentina Cervi. La regia è di
Davide Barletti e Lorenzo Conte dei Fluid Video Crew. Abbiamo già lavorato insieme al
loro film precedente che si intitola “Italian
Sud Est“ in cui parte dello score era opera
nostra.
Oltre ad una splendida cover di Bobo
Merenda, la mia canzone preferita di Enzo
Jannacci, elogio della pace e attacco alla
guerra con l’inconfondibile stile naive del
milanesaccio, in Bienvenidos c’è anche
una versione tutta vostra di Baciccin, pezzo
tradizionale genovese. Come vi è venuto in
mente?
Ma tu sei un esperto allora! L’idea di coverizzare Baciccin è stata mia, mi piaceva il
testo più che altro. L’alcolismo è un problema che ha toccato la mia famiglia in modo
doloroso e cantare questa canzone mi aiutava ad affrontare la situazione. La versione
che è finita sul disco l’ho cantata mentre suonavo la batteria registrando in presa diretta.
Una pazzia. Mio padre, che pure suonava la
batteria nell’Orchestrina Dixieland di Capobianco a Genova, era un fan di Jannacci e
il 7” con Bobo Merenda era gettonatissimo
a casa nostra. Anche per me è un pezzo
fantastico, una sintesi di surrealismo e satira
strepitosa.
Genova da fuori. Che effetto fa? Dalla città
in sè ai progetti che vi si muovono. Qualcosa esce o rimane tutto a nostro uso e consumo?
Più passa il tempo più Genova mi sembra
meravigliosa, ma, forse, invecchiando si ten16 CMPST #5[11.2007]
de ad avere una visione più olografica delle
cose. Quando decisi di andare a cercare
altrove la mia strada gli amici mi misero in
guardia. - Non è il posto dove ti trovi che fa la
differenza, sei tu che devi costruirti le opportunità da solo.- In parte avevano ragione, in
parte no. A metà degli anni ottanta Genova
mi sembrava una ghost town, la rinascita del
centro storico sarebbe arrivata molto dopo,
mi ricordo gli U-boat tra le band dell’ epoca
e poco altro. Le prime video installazioni. Una
mostra di ologrammi e poco altro. Prima di
partire per altri lidi io e il mio compare Alberto Valgimigli giravamo cortometraggi di
animazione in Super8, andavamo a suonare nelle salette a ore di Piazza Delle Erbe, mi
sembra, e sentivamo Zappa, Captain Beefheart, Tom Tom Club, un sacco di jazz, mi
ricordo un concerto all’Acquasola, (ma potrei sbagliare) con Globe Unity Orchestra ed
Elvin Jones in quintetto, Miles Davis ai Parchi
di Nervi... Oggi mi sembra che le cose siano
un pò cambiate. Genova sembra meno provinciale vista da qui, anche se devo confessare di non sapere granchè di quello che si
muove nel sottobosco contemporaneo, anzi
mi dai qualche dritta? Comunque se lo spessore delle band genovesi è quello di Blown
Paper Bags siamo a cavallo. Mi piace la vostra roba.
Grazie, ma torniamo alle tue connessioni
con Genova. Cos’è Mikoto? Sigla trovata su
Myspace, seguita fino al tuo, trovato connessioni con Grrrzetic e, infine, vista distribuita
da Books In The Casba, la nuova piccola e
coraggiosa libreria di Via Prè, di cui ha curato anche l’immagine sulle magliette. Troppe
coincidenze o c’è qualche filo che corre tra
Roma e Genova?
Mikòto è lo sbarco di due alieni sul pianeta
fashion. Hal & Glasnost in missione suicida. é
Glasnost - Play 07 - foto di Anna Positano
la naturale prosecuzione di un rapporto di
due grandi amici che una volta erano compagni di banco e ora vivono in città diverse:
stiamo arrivando come l’ultimo maratoneta
in gara... Produce tshirt e accessori vari, ma
presto potrebbe produrre anche musica od
altro. Con Grrrzetic stiamo preparando un
libro in cui ai disegni di Hal Valgimigli io associo dei testi, un pò come il signor Bonaventura. Alcune delle nostre produzioni si trovano
a Genova o in Piazza della Vittoria al Box 86
o a Books in the Casba in via pre 137 r.
Immancabile la domanda sul qui e ora e
sui progetti futuri.
Nel prossimo futuro cercherò di gestire la
mia pagina su myspace, che per il momento
è vuota. Prova a vedere la mia pagina www.
myspace.com/glazman ma tra un pò di tempo per ora c’è solo un video... Ho una figlia
di nove mesi che spinge parecchio e poco
tempo da dedicare a qualsiasi altra cosa.
Più info sulle attività di Glasnost
http://www.assalti-frontali.com/
http://www.myspace.com/glazman
http://www.myspace.com/mikotoland
Sul Palco
“I nostri spettacoli hanno un linguaggio
veramente
universale: aperto ad ogni lettura“
Pippo Del Bono Torna a Genova
Intervista con Simone Goggiano
di Marco Giorcelli
QUESTO BUIO FEROCE
Tra gli appuntamenti più importanti di questa stagione teatrale genovese, è doveroso ricordare, ancora una volta, l’appuntamento con la compagnia del noto attore, drammaturgo e regista savonese.
Pippo Delbono, significativamente, rappresenta uno tra i maggiori (e tra i pochi) esponenti del nuovo teatro italiano. Avrei potuto aggiungere giovane, ma ci si sarebbe addentrati in un ginepraio praticamente inestricabile e che probabilmente affronteremo un’altra volta. Ancora controverso e tutt’altro che commerciale Questo Buio Feroce debutterà al Teatro della Corte il prossimo 8 novembre (in
replica fino all’11). Anche stavolta non si tratterà di un vero e proprio copione, ma piuttosto di uno spettacolo di atmosfere, suoni e soluzioni visive, comunque dichiaratamente ispirato all’autobiografia di Harold Broadkey, lo scrittore americano scomparso di Aids nel 1996. Abbiamo fatto due chiacchiere con
Simone Goggiano, uno tra i punti fermi della compagnia Delbono da oltre dieci anni a questa parte.
Come e quando hai iniziato a collaborare
con Pippo Delbono?
Ho iniziato nel 1995 facendo un seminario di
teatro con Pippo e Pepe a Loano dove avevano aperto una scuola che ora non esiste
più. Poi ho chiesto di seguire la creazione di
uno spettacolo della compagnia: Barboni e
da allora lavoro in tutte le nuove produzioni.
Come definiresti, o meglio descriveresti, il
suo teatro a persone che non conoscono ancora il suo lavoro?
Non è facile descrivere il lavoro e quando
mi chiedono di farlo dico che ci sono testi
poetici, danze, molti cambi di costume, una
bellissima colonna sonora, ma tutto questo è
piuttosto limitativo, allora invito le persone a
vedere lo spettacolo, così si potranno tranquillamente fare un’idea personale.
Certamente si può dire che si tratti di un
teatro internazionale, nel senso che insieme a
Raffaello Sanzio, Piccolo Teatro, Motus, Teatro
Clandestino ed Emma Dante rappresenti uno
dei pochissimi esponenti del teatro italiano all’estero. Tu che lo segui ormai da diversi anni
come ti sembra siano accolti e soprattutto decodificati i vostri spettacoli fuori dall’Italia?
All’estero gli spettacoli sono accolti benissimo, molto calorosamente. Naturalmente ci
sono reazioni diverse, a seconda del paese
in cui recitiamo. I nostri spettacoli hanno un
linguaggio veramente universale: aperto ad
ogni lettura, i testi sono facilmente traducibili
in ogni lingua e sono recitati nella lingua del
paese che ci ospita. I nostri lavori sono molto
17 CMPST #5[11.2007]
Sul Palco
“Gli spettacoli vegono creati attraverso un lavoro di improvvisazione dove ognuno è libero di proporre quello che vuole“
pittorici e musicali, le parole hanno un ritmo
come nelle canzoni e tutto questo toglie agli
spettacoli ogni impronta di tipo psicologico
e concettuale. In questo modo il pubblico è
come se partecipasse ad un concerto, così
vengono coinvolti tutti i sensi e non solo l’intelletto come spesso avviene in teatro.
Una delle sue peculiarità è quella di scritturare talvolta attori non professionisti oppure
con problemi di varia natura, come Bobò che
ha passato cinquant’anni in un manicomio.
Come riesce a far uscire intenzioni e personaggi lavorando con persone non avvezze o
non preparate al palcoscenico?
Non vorrei essere polemico, ma questa domanda è impostata male. Ti spiego perchè:
è sbagliato dire “talvolta scrittura”perchè
nessun componente della compagnia è mai
stato scritturato nè attraverso provini nè per un
idea geniale del regista. Si deve parlare di incontri avvenuti durante un complesso percorso di vita e di ricerca teatrale del regista stesso. Bobò lo abbiamo incontrato durante un
seminario per attori nel manicomio di Aversa.
Bobò seguiva timidamente il lavoro: Pippo un
giorno lo coinvolse e lo vide danzare in perfetta armonia con la musica e se ne innamorò
perchè vide in Bobò tutti i principi teatrali del
lavoro dell’attore che per anni Pippo aveva
studiato insieme a Pepe Robledo prima in Danimarca con l’Odin Theatret di Eugenio Barba
e poi in Germania con Pina Bausch. Bobò è
un vero attore e danzatore come ne esistono
nella tradizione del teatro orientale. La stessa
Pina Bausch ha visto Bobò negli spettacoli e se
ne è innamorata per le sue straordinarie qualità attoriali. Le stesse qualità appartegono a
Nelson: un barbone che abbiamo conosciuto
18 CMPST #5[11.2007]
in un teatro di Napoli e che è stato invitato a
patecipare ad un seminario. Lì abbiamo scoperto che aveva una voce e una presenza
scenica degna delle migliori rock star. Poi c’è
Gianluca il ragazzino down: la sua lucidità in
scena è esemplare e ha una perfetta coscienza del corpo, dei tempi e degli spazi. E poi possiede una trasparenza disarmante e questa
è una caratteristica indispensabile e rarissima
per gli attori. Come vedi queste persone sono
perfettamente a loro agio in teatro: il palco è
il loro elemento naturale; Bobò lavora anche
al fianco di Umberto Orsini. Siamo noi, gli attori
più normali che dobbiamo lavorare duro per
essere all’altezza di Bobò, Nelson e Gianluca.
Qual è il lavoro registico di Pippo con l’attore? Utilizza un linguaggio specifico, a seconda
di chi si trova di fronte, o ha affinato un particolare esperanto teatrale comprensibile ai suoi
collaboratori?
Gli spettacoli vegono creati attraverso un
lavoro di improvvisazione dove ognuno è
libero di proporre quello che vuole: testi, musiche, costumi, danze, elementi scenografici.
Il regista, senza dire una parola, osserva, annota tutto sul suo quaderno e non dà mai un
giudizio nè un’indicazione, dà solo dei temi
d’improvvisazione. Poi in una seconda fase,
inizia il montaggio dello spettacolo, dove il regista mette insieme alcuni materiali proposti e
gli attori devono essere aperti e disponibili a
qualsiasi cambiamento: un pò come nel cinema, quando si tagliano e si montano le scene
riprese.
Sul nuovo spettacolo che porterete a Genova, Questo Buio Feroce, cosa puoi anticiparci?
Non posso dire molto, anzi niente. Dovrei
descriverlo dall’inzio alla fine, ma sarebbe stupido e quindi non resta che venirlo a vedere.
Talvolta, viste dall’interno, determinate
compagnie teatrali, come anche certe band
foto di Agence Enguerand Bernand
musicali, hanno l’aspetto in tutto e per tutto, di
una famiglia dove si condividono gioie, dolori,
passioni e quotidianità. Anche la compagnia
di Pippo Delbono, credi, possa rientrare in
questa casistica?
Il concetto di famiglia è un pò limitativo e
bigotto. Siamo una compagnia di attori che
lavorano insieme da più di dieci anni, perciò
condividiamo esperienze molto forti, legate
alle lunghe turnè in giro per il mondo come
per esempio quella della palestina dove siamo stati ricevuti da Arafat in persona. Si tratta
indubbiamente di un’esperienza molto forte e
unica, ma ognuno di noi conserva in sè la pro-
Sul Palco
pria personale e intima percezione .
Un attore, dopo un’esperienza lavorativa
di questo tipo, pensi sia pronto ad affrontare
qualsiasi altra compagnia teatrale, tradizionale e non?
Il nostro metodo di lavoro è molto scientifico e ha delle origini che possono partire dalla
ricerca teatrale di Grotowsky il cui punto fondamentale è l’autonomia dell’attore che è in
grado di avere gli strumenti per lavorare ovunque. Poi si dovrebbe vedere se uno ha voglia
di lavorare anche in altre compagnie. Io ad
esempio no.
Cosa ne pensi del panorama teatrale italiano e soprattutto delle produzioni dei teatri
stabili, per molti versi distanti dal vostro tipo di
proposta?
Penso che sia assolutamente naturale e
sano che altre esperienze siano distanti dalla nostra: non è interessante avere dei cloni.
Ogni gruppo teatrale ha la sua poetica, il proprio stile, il giudizio è nelle mani del pubblico
e per questo mi piacciono i festival dove puoi
confrontarti con molte compagnie .
Tu non credi che i progetti che portate in giro,
possano essere molte volte interpretati come
semplici provocazioni o esercitazioni pseudointellettuali difficilmente comprensibili?
Credo proprio di no e ti parlo per eperienza diretta. Abbiamo recitato in tutte le situazioni possibili, dai centri sociali, nelle piccole
piazze del sud d’Italia fino ai grandi teatri su
Le Champ Elysee a Parigi e abbiamo visto
che i nostri spettacoli si prestano a vari livelli
di lettura: da quelli più intellettuali tipo i critici
francesi a quelli più popolari come le amiche
di mia mamma che non sono mai andate a
teatro. Con i nostri spettacoli non imponiamo
nessun messaggio forzato: quando iniziamo
“Il
te
teatro
essere
deve
assolutamenper
tutti
quanti.“
una creazione non passiamo un solo minuto a
pensare a quale concetto intelettuale vogliamo tramettere.
Cosa ti ha regalato l’esperienza con Pippo
Delbono a livello professionale e umano?
Mi sta regalando moltissimo. L’esperienza è
più viva che mai ed in costante divenire. Sto
lavorando con persone geniali come Bobò,
ho visto tantissimi paesi del mondo come
Brasile, Giappone e quasi tutte le capitali europee e poi c’è un’ amicizia profonda che mi
lega a tutti i componenti della compagnia.
Professionalmente il metodo di lavoro che ho
appreso e che sto ancora studiando per me e
bellissimo perchè rende il lavoro dell’attore un
vero mestiere artistico artigianale e non lascia
spazio a nessun falso trip psicologico.
Se io decidessi di andare a vedere il Giulio
Cesare della Raffaello Sanzio sarebbe meglio,
come minimo, che prima mi leggessi il testo,
per non incappare in uno spettacolo ostico
nelle interpretazioni, ma soprattutto nella forma stilistica. In cosa si deve preparare il pubblico di prima di un vostro show?
Non so, forse il pubblico dovrebbe semplicemente sedersi sulla poltrona e lasciarsi accompagnare in un viaggio che dura un’ora
e mezza, come quando ci si addormenta, le
nostre difese si abbassano ed iniziamo a sognare. Alla fine, quando ci si risveglia, forse
qualcosa in noi è cambiato, forse abbiamo
paura o siamo più felici, chi lo sa, ci penserà
l’ intelletto, dopo, fuori dal teatro, a cercare di
razionalizzare l’esperienza vissuta.
Il teatro deve essere per i giovani?
Il teatro deve assolutamente essere per tutti
quanti. Non ce ne frega un cazzo dell’età che
è una delle cose più relative della vita. Forse
il teatro non dovrebbe fare diventare vecchi,
ma soprattutto rivitalizzare e ringiovanire ogni
persona.
foto di Agence Enguerand Bernand
Un ringraziamento particolare a Simone
Goggiano ed Andrea Ferraris per la disponibilità e la cortesia.
Più
i n fo
sulla
co m p a gnia di Pippo Del Bono su
ht t p ://w w w. p i p p o d e l b o n o.i t
19 CMPST #5[11.2007]
Cronache Vere
“ Vo l e n t e o n o l e n t e l a m i a
età anagrafica mi costringe
ad avere anche un pa s s a to
e q u i n d i d e l l e e s p e r i e n z e .“
Senpai / Blue Ice
Intervista con Paolo Sala
di Simone Madrau
MOOD:”FIDUCIOSO”
Vent’anni di musica a Genova: un decennio diviso in più progetti e un
altro a capo dei Senpai. Ce ne sarebbe abbastanza per farsi sommergere di nomi, aneddoti e ricordi. Invece Paolo Sala sembra più concentrato su questioni umane, e anche quando rievoca il suo passato in città a venire fuori è sempre il contrasto tra la sua evidente maturità e un
lato più sensibile ed entusiasta. Questo non è certamente il bullo della
5°B che ti ruba la merendina davanti a scuola: è invece uno che sulla
propria ragione sociale ironizza molto. E se oggi scruta le cose dai margini della scena, è nel cuore di quest’ultima che ambisce a rientrare.
Prima ancora di parlare dei Senpai, partirei da Paolo Sala. Prima di quel 2000 avevi già avuto le tue brave esperienze come
musicista a Genova. Correggimi se sbaglio:
sempre insieme a tuo fratello Renzo. Quale
è stato il vostro approccio alla scena genovese di allora? In quali gruppi avete militato? Cosa ti piace ricordare di allora? Cosa
rimpiangi?
In effetti è così. Volente o nolente la mia età
anagrafica mi costringe ad avere anche un
passato e quindi delle esperienze. Fisserei per
comodità la data del mio esordio nella scena
musicale al 1988, poiché le esperienze precedenti possono essere classificate come confuse velleità liceali. Il mio primo gruppo si chiamava Blue Ice e ha cominciato a suonare in giro
proprio in quell’anno. Sì, Renzo era al mio fian20 CMPST #5[11.2007]
co, e suonava la tastiera. I Blue Ice sono durati
fino al 1995 e costituiscono, da un certo punto
di vista, il gruppo che ho considerato più ‘mio’
(Senpai esclusi). Con lo scioglimento dei Blue
Ice è venuto meno anche il sodalizio con mio
fratello: infatti per gli anni successivi fino al 2000
ce ne siamo andati ognuno per la sua strada.
Nel frattempo sono stato batterista degli Age
fino al 1997. Suonare con gli Age è stata sicuramente l’esperienza più divertente. Infine ci sono
state una breve collaborazione (sempre alla
batteria) con i Lo-Fi Sucks! e (al basso) con i Lula
di Amerigo Verardi, e arriviamo al 1998. Il mio
approccio alla scena genovese di allora? Be’...
ho sempre avuto un approccio piuttosto timido, ho sempre aspettato che fossero gli altri a
cercarmi. Uno dei miei peggiori difetti. La cosa
che mi piace di più ricordare di quegli anni era
la quantità di tempo che potevo dedicare solo
ed esclusivamente alla musica.
Venendo a Senpai: se a un ascolto superficiale la vostra proposta sa di indie-pop
nel senso più genuino del termine, dopo
un po’ il suffisso ‘indie’ viene meno. Dicendo questo non mi riferisco solo al fatto che,
una volta che avete trovato una melodia
che funziona, la portiate fino in fondo. Mi
pare piuttosto che tutto il suono d’insieme
insegua un respiro più ampio rispetto alla
media, secondo un approccio vecchio stile
anche per tanti vostri più affermati colleghi
con latitudine da Glasgow in su. Certo: tra
i vostri ascolti ci sono cose più moderne
di quanto possa sembrare, quindi non so
se questa mia percezione di Senpai vada
bene per voi. Confermamelo tu. Egoisticamente parlando però mi piace pensarvi
così, come uno di quei gruppi che meglio
di altri sanno metterti in discussione: ti autodichiari affamato di ‘nuovo a tutti i costi’ e
poi arrivano due fans di Robyn Hitchcock a
rimetterti in pace con la melodia. E ti ritrovi
a pensare che forse stai raccontando balle
a tutti, a te stesso per primo.
Be’, vedi, bisogna vedere in che modo vo-
Cronache Vere
gliamo intendere questi termini: ‘pop’ è un
termine che abbraccia un’infinità di cose, ma
che io amo usare proprio perché onnicomprensivo: ‘indie’ sta per indipendente, e anche
questo mi sta benissimo. Fare musica è per me
un attività artigianale, e se è artigianale, allora
non è industriale. E se non è industriale significa che è un’attività indipendente. Questo per
quanto riguarda le definizioni in senso etimologico. Se invece vogliamo parlare di qualcosa
che va a definire in modo più specifico un genere musicale.. Bè, questo mi mette più in difficoltà perché, sai, tutto sommato il mio modo
di fare musica trascende il mio controllo. Tutto
quello che faccio lo faccio seguendo il mio
istinto, la mia intuizione, il mio ingegno (ammesso che abbia anche solo una di queste cose).
Comunque, se quello che mi hai detto significa che i Senpai possono riconciliare l’ascoltatore anche esigente con il piacere di ascoltare
‘easy listening’ senza sentirsi in colpa.. Bè, è il
miglior complimento che potessi farmi.
Prego, è del tutto sentito. Tra l’altro le caratteristiche di cui sopra vi rendono anche
più facilmente esportabili rispetto ad altri
casi in città non meno bravi ma dal profilo
più ‘out’. Eppure si dice che tu sia una specie di autarchico, dedito a fare musica solo
per te stesso e i tuoi amici. C’è un fondo di
verità in questo o sono le solite leggende
metropolitane? E nel primo caso, davvero
non c’è un briciolo di ambizione dietro il
progetto Senpai? Qual è la tua filosofia in
merito?
Già prima ti parlavo del mio approccio timido. Ho sempre avuto difficoltà a ‘buttarmi
dentro le cose’. Mi ritengo una persona che sa
essere socievole ma che, alla radice, è fondamentalmente introversa. Sono un pessimo ma-
nager di me stesso: una volta, ai tempi dei Blue
Ice, sono stato contattato da un gestore di un
locale che aveva sentito il mio demo e voleva
farmi suonare. Ebbene, mi sono lasciato scappare la frase: ‘Sai, noi non è che abbiamo tutto
questo seguito! Non portiamo molta gente’.
Se al tempo fosse esistito Homer Simpson avrei
dovuto concludere con un: ‘D’OH!’. La verità è
che faccio fatica a stare con i piedi per terra,
ho un brutto rapporto con i meccanismi del
mondo reale. Questo mi ha impedito quando
avevo vent’anni di ‘sbattermi come un dannato’ per ottenere qualcosa di più. Adesso che
ne ho 38 paradossalmente è più facile vivere la
musica come ‘un sogno ad occhi aperti’. Non
avendo più ambizioni ho trovato la dimensione
giusta per fare esattamente quello che voglio.
Musica per il mio piacere e per quello di chi
vuole stare a sentirmi. Questo non toglie che
i piccoli riconoscimenti mi gratifichino molto.
Quindi quando arrivano sono i benvenuti.
’Senpai’ è un termine nipponico che significa: ‘compagno più grande a scuola
o in ambito lavorativo’. Come molte altre
persone, l’ho imparato dai manga. Sei un
lettore di fumetti giapponesi anche tu o la
scelta di questa ragione sociale deriva da
qualcos’altro, magari da qualche aneddoto particolare? Perché proprio questa parola?
Con i manga e gli anime giapponesi ho molto a che fare per via del mio lavoro, per cui alla
fine ho finito con l’appassionarmi. Comunque
‘Senpai’ era una canzone che avevo scritto mi
pare nel 1995, e che parlava di un amore liceale tra una ragazza di 15 anni e il suo ‘senpai’ di
17: era una canzone molto ‘shojo manga’. E’
stato Andreone, Tarick1, a suggerirmi di usare
quel titolo per dare il nome alla band. Allora
mi sono inventato la storia che mi consideravo
‘senpai’ di tutti i miei amici musicisti, perché
suonavo da più tempo, ma era una palla inventata per eccesso di narcisismo.
Parliamo di dischi. ‘Well’ arriva nel 2001,
dopo solo un anno dalla nascita del progetto. Doveroso chiederti della vostra esperienza in merito, anche considerando l’apprezzamento generale che ancora oggi
riscuote il nome Loretta Records. Come
siete entrati nell’etichetta e quali dinamiche e rapporti intercorrevano tra voi e gli
altri nomi ‘classici’ del loro catalogo? Bene
o male si trattava di un’unica cricca, considerando tuo fratello nei Salinas e tu negli
Paolo - foto di Anna Positano
21 CMPST #5[11.2007]
Cronache Vere
Age.
Uhmmm.. Vediamo se mi ricordo. Il nome
‘Loretta Records’ veniva da Smou, il quale aveva accettato di ‘regalarlo’ alla allora nascente
etichetta gestita da Gianluca Morando dei Salinas con altre persone. In effetti sia Renzo che
io eravamo soci. Ma la cosa è naufragata quasi subito per le solite ragioni per cui naufragano i progetti di tal fatta. Comunque le poche
uscite Loretta sono state molto azzeccate sul
piano meramente artistico, in particolar modo
la compilation che vantava perfino un brano
dei Calexico.
Di disco in disco. 2004, ‘The Lost And
Forgotten Album’. Loretta is no more e voi
imboccate la strada del cd-r autoprodotto,
ad oggi il primo di due. Problemi a trovare
un’altra etichetta o scelta voluta? A dispetto
del titolo ne esce un disco a tratti più ‘sunshine’ del precedente, almeno per i miei
gusti. Voi eravate ugualmente solari in quel
periodo?
Scelta voluta? No. Pigrizia, innanzi tutto, e
poi mancanza di tempo: entrambe spacciate
per scelta voluta. Cercare un’altra etichetta significava fare tutte quelle cose che non sono
capace di fare. Ci abbiamo messo un secolo
a fare quel disco, ed è proprio per questo che
l’abbiamo intitolato ‘Lost And Forgotten’. Inizialmente per la copertina avevamo pensato
a una nostra foto truccati da novantenni decrepiti, con le barbe bianche, il bastone ecc.
Quindi per me è difficile individuare un ‘mood’
dominante nel disco. E’ passato attraverso
troppe fasi. Anzi, se ti devo dire la verità, a parte
un paio di episodi, io lo collego a un umore abbastanza cupo. ‘The Eternal Twilight’, ‘Concrete’ ‘Far As A Star’.. Se dovessi scegliere un colore
per questo album sceglierei il blu.
22 CMPST #5[11.2007]
Dal secondo al terzo disco passano altri
due anni, e siamo quasi al presente. 2006,
‘The Sun And The Sea Made You Blonder’.
Anche qui il pretesto per la domanda nasce
dal titolo del disco: dicono che a Genova
non sia mai cambiato niente, il che forse
è vero in termini di attenzioni dall’alto. Ma
all’interno della cosiddetta ‘scena’ di cose
ne sono successe eccome. Se tu dovessi
scegliere un mood su MySpace solamente
guardando allo stato di cose nella vostra
città, quale sceglieresti in questo preciso
istante? E’ una domanda che al quinto numero di Compost è ormai più che banale
ma voglio comunque rivolgertela perchè ti
vedo un po’ ‘isolato’ rispetto al contesto di
gruppi e ‘realtà’ [come direbbe qualcuno]
che operano a Genova in questo momento.
Difficile. Difficilissimo. Io amo la mia città,
però è vero che la realtà che ci circonda è desolante: i locali che chiudono, la scarsa attitudine delle persone ad andare ai concerti.. Gli
stimoli sono davvero pochi. E tuttavia non me
la sento di mettere una ‘faccina’ triste sul mio
MySpace: non ora che abbiamo trovato due
abili strumentisti che suonano con noi, non ora
che stiamo costruendo il progetto live e che
abbiamo comunque dei piccoli riscontri positivi. Chiamami ingenuo ma a me basta che
qualcuno mi scriva su MySpace ‘Mi piace la
vostra musica, vorrei sentirvi dal vivo. Quando
suonate?’ e già mi mette di buon umore per
tutta la giornata. Per cui, tornando alla domanda, diciamo ‘fiducioso’.
Raccontami un po’ di questo progetto
live. Effettivamente io seguo davvero Genova solo da quest’anno ma, a parte il set
con Benvegnù lo scorso luglio al Banano,
non mi è capitato di leggere annunci circa
vostre date negli ultimi mesi. Sono stato disattento io o implementare questi due nuovi
strumentisti gioca una parte in questo apparente non-apparire?
Come sempre la colpa è del tempo che
fugge. Siamo tutti pieni di impegni: il nostro approccio hobbistico ci fa fare in un anno quello
che gli altri fanno in due mesi. Sembra l’altro ieri
che abbiamo iniziato a provare. Sembra ieri
che ho sparso la voce che ‘finalmente siamo
pronti’. Tutto ha tempi immensamente dilatati.
Il set con Benvegnù originariamente avremmo
dovuto farlo con la band al completo. Poi per
una serie di sfortunati disguidi abbiamo rimandato, e sono salito sul palco da solo. Comunque ora ci siamo. Lo ripeto da una vita... ma ci
siamo. A breve una data al Milk, poi parteciperemo a Inferno. Spero tanto che una volta ‘preso il giro’ si inneschi un circolo virtuoso in questo
senso.
Ultima domanda: prima parlavamo di
pop, di melodie, e di canzoni. Secondo te
qual è una canzone pop uscita dal 2000
ad oggi che il mondo ricorderà come un
‘classico’? Visti i precedenti con Attilio
dei Port-Royal questa volta metto le mani
avanti e dico: vietato rispondere ‘Umbrella’
di Rihanna!
Mah.. Difficile.. Quanto tempo ho?
Ti dirò, per me questa può anche andare
bene come risposta.
Guarda, mi viene in mente ‘Matinée’ dei
Franz Ferdinand ma ho l’impressione di dimenticarmi di qualcosa di molto più, come dire..
pregnante.
Più
info
Senpai
su
http://www.myspace.com/senpaiband
Cronache Vere
“Hanno chiuso tutto. Quel poco
che c’è lo stanno togliendo tutto.“
di Giulio Olivieri
UNA CITTÀ PER SOGNARE?
Rileggendo “L’Officina dei Sogni – Arte e Vita Nell’Underground” di
Massimo Caccialanza, Massimiliano Di Massa e Maria Teresa Torti
Tanto per gradire, beccatevi ste due citazioni:
A me spaventa una cosa, devo dire la verità:
hai notato che ultimamente stanno chiudendo
quasi tutti i locali? Io sono convinto di un fatto: stiamo vivendo un momento politico di grande instabilità. La prima cosa che cercano di fare è quindi
di bloccare i nuclei, i punti dove si discute, si parla,
si anima, si comunica. E questi luoghi non sono
certo le discoteche perché nelle discoteche non
discute nessuno, non sono le birrerie ma sono appunto i localacci dove si suona, dove magari si fa
casino [...]Hanno chiuso tutto. Quel poco che c’è
lo stanno togliendo tutto. (Nolider – pg.185/186)
Bisognerebbe cercare di coinvolgere la periferia. Per esempio, i locali sono quasi tutti in centro.
La musica va intesa come fenoimeno sociale e
politico per risolvere anche tutta una serie di problemi di socialità. Il Ponente viene sempre trascurato. Dove si nota il maggiore stato di degrado e
trascuratezza, dove l’unica alternativa possibile è
la discoteca, perlomeno da questo punto di vista, bisognerebbe costruire un’alternativa. (Simon
Dietzche – pg.192)
Sembrano scritte ieri pomeriggio-a parte quel
certo tono “politico” che fa ancora taaanto anni
‘80- e invece è roba di più di dieci anni fa, del 1994,
per l’esattezza (ma in realtà son state raccolte in
un periodo che va dal 1991 all’estate del 1993).
Sembra passata un era geologica, almeno per
quanto riguarda la città. Il centro storico è stato investito dalla movida, che via via lo ha cambiato,
locali e situazioni sono nate e morte, e altre si sono
evolute, sono cambiati sindaci e giunte comunali, ci sono stati grandi rivoluzioni architettoniche
e un G8, occupazioni storiche e altre saltuarie, si
stan riprendendo a far figli e l’età media è salita
sempre di più. Insomma, qualcosa è cambiato
e addirittura qualcosa è cambiato in meglio. E allora perchè due frasette apparentemente banali
dell’inizio del decennio scorso ci lasciano questa
sensazione di deja vù? Ma, soprattutto, da dove
caspita saltano fuori? Allora, nel 1994 Costa & Nolan (casa editrice col pallino di avere in catalogo
numerosi saggi sui giovani, la musica e le sottoculture, e con una collana -”I Turbamenti dell’Arte”, in
cui questo libro appare- diretta da quel Germano
Celant che è stato per diversi anni uno dei riferimenti principali dell’arte e della cultura cittadina)
manda in stampa un agile libretto, sviluppo di
una ricerca promossa dalla Provincia di Genova
chiamata “Giovani, Comunicazione e Creatività”, una di quelle cose dannatamente anni ‘80
(again, ma sapete bene che non si esce vivi dagli
anni ‘80, soprattutto allora che erano appena finiti), quando sembrava che il “disagio giovanile”
fosse un ottimo argomento di studi, cosa peraltro
vera. Il libro in questione, “L’Officina dei Sogni”, si fa
notare in tutta Italia come uno dei migliori saggi in
assoluto sull’argomento, grazie ad una osservazio-
ne dell’universo “underground” (termine dai tanti
risvolti, qui usato nella suia accezione più ampia
possibile) dal di dentro assai partecipata e all’intuizione brillante di lasciar parlare soprattutto i diretti
interessati, cioè i giovani. Che magari ogni tanto
la sparano grossa (è l’età...capiamoli...), ma che
in linea di massima sbalordisco ancora adesso,
perché buttano sul tavolo questioni e argomenti
che qui e ora pesano ancora parecchio. Ma vediamo di riscostruire ad uso e consumi di quelli nati
negli ‘80 (o nei ‘90) cosa caspita accadeva allora.
In generale si era appena passati indenni dopo “il
grande freddo” degli anni ‘80 (mica vero, in realtà: ci furono grandi evoluzioni culturali, solo che
avvennero “sottoterra” e non vennero rilevate dai
“potenti” radar dei grandi media: “Un Weelkend
Postmoderno” di Pier Vittorio Tondelli ne è ancor
oggi la prova) e si stava vivendo un momento di
grandi cambiamenti politici (tangentopoli vi dice
nulla?) e, soprattutto nel nestro caso, culturali: registi legati alle culture di sinistra come Salvatores
e Moretti portavano folle al cinema pur parlando
una lingua diversa da quella del cosiddetto gusto
popolare (il primo arriverà addirittura all’Oscar); in
letteratura esplode il fenomeno cyberpunk (che
sarà pompato fino a rimanere praticamente
svuotato di significato) grazie anche a una esaustiva antologia della Shake, casa editrice legata
al CSOA Cox.18 di Milano,che si farà notare anche
per il fondamentale “T.A.Z.” di Hakim Bey, e tra gli
scaffali riemergono vecchi beat come Burroughs
e si riscopre il situazionismo; si comincia a parlare
di “club culture” anche da queste parti (per prima
23 CMPST #5[11.2007]
Cronache Vere
proprio Maria Teresa Torti) e le discoteche -alcune, ovviamente non tutte- cominciano ad esser
viste come qualcosa di più di semplici momenti di
divertimento; “Nevermind” rimanda in classifica il
rock e fa scoprire a parecchi che esiste un mondo fatto di etichette indipendenti, mentre in Italia
lo shock dell’arrivo delle prime posse da Bologna
e da Roma contagia l’intera scena musicale e
trova una vetrina compiacente nei programmi
comici di Raitre, come Tunnel e Avanzi. Ok, non
pretendo che questi luoghi comuni siano una fotografia dei primi anni ‘90 (mi perdoni chi quegli
anni come me li ha vissuti: son proprio luoghi comuni, che l’idea era di rendere il panorama, non
di scrivere un saggio, che peraltro sarebbe stato
una riscrittura dello stesso “Le Officine Dei Sogni”,
e per chi volesse approfondire provi con “Marginali” di Carlo Branzaglia, su Castelvecchi, buona
mappa delle culture sotterranee fino ai primi anni
del decennio in corso), ma questi sono alcuni dei
“rumori di fondo” che permeavano le culture
sotterranee (ottimamente raccontate in tempo
reale sia da “la Talpa”, inserto settimanale de Il
Manifesto, che parecchio spazio diede non solo
a queste realtà ma anche ai dubbi -non c’è bisogno di dirlo: soprattutto politici- che suscitavano,
sia da “Rumore”, che nei primi anni era parecchio
aperto alle contaminazioni tra musica e realtà underground) ivi compresa la realtà genovese, che
a sua volta stava vivendo grandi cambiamenti. Il
giro storico dei locali dell’epoca era più o meno
collassato (strano a dirsi, in più di 250 pagine manca la voce dello Psycho, che all’epoca era stato
il locale “rock” per eccellenza, ma che era finito, tramutato in un cinema porno che poi quasi
dieci anni dopo divenne il cinema City) e pure
le occupazioni non stavan bene dopo il crollo
dell’Officina di Via Madre di Dio (presente quella
chiesa che fa da ultimo limitare -andando verso
il mare-ai “giardini di plastica”? Ecco, quella era
l’Officina) e in attesa dell’arrivo del primo storico
Zapata. Il Centro Storico -pur essendo oggi come
allora il centro stesso della vita culturale- era ben
lontano da esser oggetto di movide, zone intere
erano centri di ritrovo per tossici, per un breve pe24 CMPST #5[11.2007]
riodo aveva lampeggiato la stella di Sampiardarena (la stagione d’oro del Coccodrillo e del Sgt.
Pepper, la cui eredità è rimasta nella programmazione dell’ex cinama porno ABC, come BoaGoa
prima e come Logo Loco poi) e per un pò quella
di Nervi (ricordate l’Agua? E il Senor Do Bonfim?),
mentre in centro si notavano le esperienze incredibili del Giustiniani e delle Cappe Rosse e i primi
storici “giovedì cinquesacchi” del Nessundorma.
L’Area Expò poi era all’epoca fondamentalmente una scatola vuota, malvisto da chi aveva lottato contro le speculazioni delle Colombiadi, e
fondamentalmente triste e perdipiù chiuso da
una cancellata la notte... Beh, l’ho fatta breve, e
ci sarebbe parecchio, anzi tantissimo da dire. Qui
però se volete saperne di più è inutile che proviate
con Google o frughiate Wikipedia, l’unica strada
possibile è quella di uscir di casa e andare a cercare chi quella stagione l’ha vissuta, e magari tra
vecchie locandine, demo su cassetta (il vero media dell’epoca: economico, universale, portatile
- ah, il walkmen... - e riutilizzabile fino a completa
distruzione... e poi c’era quel piacere fisico, grazie
a quelle custodie pimpate all’inverosimile, che un
filetto mp3 non saprà mai ridare), fanzine fotocopiate e ovviamente ricordi e aneddoti a non finire
finirete per farvi una parziale idea di com’era.
Questa situazione si sarebbe poi rivelata di transizione -di li a poco sarebbe uscito il giro Fottitopo
da una parte e le esperienze brevi ma esaltante
del teatro Albatros di Rivarolo e del Palace di
Quinto, solo per restare all’ambito delle serate musicali- ed è interessante vedere come l’incertezza
del momento faccia emergere timori ma mai rassegnazione. Insomma, c’era molta voglia di fare,
e il libro fotografa ambiti diversi tra loro come la
musica (che ha inevitabilmente la parte maggiore del libro), il teatro (che peraltro avrebbe figliato
una scena comica - quella ruotante ai Cavalli
Marci - che avrebbe fatto scalpore... Fermo restando che il personaggio più eclettico ed interessante di quel gruppo, Andrea Ceccon, era già
un protagonista vivace della scena genovese,
tanto che nel libro appare più volte grazie al progetto Voci Atroci), la danza, le fanzine, il fumetto e
il cinema (più come rassegne cinematografiche
che non come filmakers, comunque esistenti)
che - più o meno per i fatti propri - cercano di mettere in moto degli eventi, di “svegliare” una città
che sembava sul punto di addormentarsi... (Attenzione, notare come manchi all’appello la letteratura: strano, in anni in cui stavano emergendo
vari cantori di gioventù più o meno cannibali, e a
pensarci bene -se si escludono certi riferimenti
della Campo, comunque sempre marginali e
mai parte integrante della storia, come invece la
Bologna di Brizzi o la Torino di Culicchia - Genova
non ha mai fatto da sfondo a uno di quei libri che
nel bene o nel male hanno rinfrescato le classifiche di vendita...a questo punto si può tranquillamente dichiarare il romanzo giovanile genovese
non è mai realmente nato, perso forse tra i cassetti di qualche aspiranti scrittore). Certo, a leggere i
nomi citati nell’elenco che chiude il libro verrebbe
da dire che è tutta roba vecchia, vero? E poi ben
pochi dei gruppi citati - per restare alla musica sono arrivati a vedere il nuovo decennio. Guardiamoci intorno, se oggi qualcuno avesse voglia
di produrre un update del libro in questione avrebbe tonnellate di materiale nuovo a sua disposizione, tra gruppi emergenti, etichette discografiche
(le grandi assenti della scena musicale di quegli
anni), locali ormai affermati, siti internet che documentano giorno dopo giorno gli sviluppi della
scena cittadina, un considerevle numero di situazioni occupate, una vita teatrale più vispa e una
cinematografica che ha posto la città come scenografia perfetta per molti registi nazionali e non
mentre si sviluppa un piccolo ma sempre più importante festival cinematografico. Per non parlar
poi dell’arte, che è uscita dal ghetto invandendo
i muri della città, grazie all’operato di un manipolo
di autori di street art capace di essere originali in
un ambito sempre più inflazionato, di un museo,
quello di Villa Croce, fonte continua di stimoli culturali sempre nuovi. Tutto molto bello, tutto incredibilmente VIVO, tra le poche cose definibili tali
adesso in questa città. Tutto materiale che ai tempi di quel libro non era immaginabile, e che tirerebbe fuori una mappa urbana spettacolare.
Cronache Vere
Eppure sarebbe inutile.
Si, assolutamente inutile. Perché il dannatissimo pregio di quell’opera è stato di porre delle
domande. Tante domande, che a sentirle vien
voglia di dire: “Ancora? Ma non ne avevamo già
parlato?” Eppure se ce le stiamo ancora ponendo un motivo ci sarà, e forse quello vero è che a distanza di tanti anni non abbiamo ancora trovato
delle risposte. Guardate solo le due citazioni che
ho trascritto all’inizio e ditemi quante volte avete
sentito quei discorsi, quante volte vi siete voi stessi
domandati quelle cose, e provate a scommettere su quante volte ancore ve lo chiederete. Eggià,
perché comunque i locali dei vicoli - e non solo,
vedi il Lab. Buridda - continuano a vivere sotto la
spada di Damocle di una gestione schizofrenica
della circoscrizione, che cerca di bruciare il terreno
intorno alle zone dello spaccio aumentando il flusso di persone nelle stesse, ma che al tempo stesso
esige silenzio e tranquillità assoluta. Una schizofrenia che viene vissuta malissimo da chi prova, magari con sforzi economici non indifferenti, a rilanciare il suo angolo di città, oltre che da chi cerca
uno spazio in cui esprimersi e, ovviamente, da chi
cerca un posto dove andare, dove poter comunicare, incontrare altre persone, passare una serata. Così come al tempo stesso la questione delle
periferie è via via scomparsa dall’agenda politica
cittadina (i più grandicelli ricorderanno che ai bei
tempi andati il P.C.I. aveva nel suo programma
locale l’idea di “città policentrica”, proprio nel tentativo di rendere meno dipendente dal Centro
Storico la città...forse non ci credevano nemmeno loro, ma almeno ne parlavano, ed è sempre
meglio del deserto di adesso; e poi dicono che
uno si butta nell’antipolitica...) e salvo oasi di intelligenza -il bel lavoro del teatro Cargo di Voltri, le
iniziative dell’associazione Metrodora a Sestri Ponente, qualche cosa estemporanea come i Goa
Boa a Campi e poco altro- la situazione è sempre
quella di un’area di serie b, non a caso ben poco
considerata ogni qual volta la città decide di far
sfoggio di se stessa (si veda la Notte Bianca, ad
esempio). Ormai li sembra prospettarsi un futuro
stile midwest americano, con il centro commer-
ciale come unico punto di ritrovo, fatto di vasche
sempre uguale difronte a vetrine sempre uguali, e
mal che vada si va a vedere un blockbaster americano (o nazionale, tanto la qualità non cambia)
e prendiamo il popcorn maxi, che lo dividiamo
in quattro. Bello, vero? Eppure è così, e visto che
il mercato ha trovato una soluzione, la politica -o
quel che ne resta- ha pensato bene di tirare i remi
in barca, fregandosene di finanziare alternative
culturali valide, e limitandosi ad applaudire gli
sforzi economici e organizzativi di volontari più o
meno organizzati. Tutto qui? No, affatto.
A Genova c’è un clima favorevole a una produzione diffusa. Il problema è il carattere poco
socializzante dei genovesi, la tendenza a costituire
nuclei a sé stanti che non trovano legami con altri
nuclei.[...] È una città che vive un grosso fermento.
Però questo fermento è il mio, il tuo, quello dell’altro
e tutto rischia di finire lì (Circolo Arte e Musica, pg.
97)
Ditemi cos’è cambiato? Più o meno nulla: se
chi più direttamente si occupa di organizzare situazioni sa quanto sia utile confrontarsi con gli altri
(fosse solo per scoprire eventuali tecniche per svicolare dai tanti problemi burocratici e/o economici), per tutti gli altri è spesso un menefreghismo
diffuso verso quello che esce fuori dalla propria
(micro)scena, fosse anche la propria sala prove,
col risultato che “si vedono sempre le solite facce”
(se avessi un euro per ogni volta che - in situazioni
sempre diverse! - ho sentito sta frase...), e che magari si finiscono per creare ridicole rivalità basate
sul nulla, e che spesso proprio a nulla portano...
Pure queste ultime saltano fuori, verso la fine del
libro, a dimostrare come in questa città tutto sembra seguire dei binari immobili, sempre gli stessi.
E quindi? A questo punto tu lettore ti starai ponendo suppongo almeno due domande:
–
Val la pena di recuperare questo libro?
–
E perché dovrei leggere qualcosa che
parla di una scena culturale che non ho vissuto
ma che ha gli stessi problemi di quella che vivo
io senza darmi uno straccio di soluzione? Beh,
qualcuno disse che la storia è destinata a ripetersi due volte, la prima in tragedia, la seconda
Foto di Uliano Lucas
in farsa, ma qui siamo arrivati alla quarta o quinta
replica,come manco nei cinema di terza visione
di lontanissima memoria, ormai a forza di ripetersi
la farsa ha cominciato a sembrare a sua volta tragedia, e quindi sarebbe tosto l’ora di sospendere
le proiezioni e di iniziare a lavorare a un film diverso.
E magari ripassare la trama di quello precedente
potrebbe venire utile, tanto per trovare dei punti
di partenza quanto per evitare di commettere
gli stessi errori di allora. E la soluzione...sempre che
esista una soluzione vera e propria: forse la vera
soluzione è continuare a cercarne una nuova
sempre diversa ogni giorno, invece di aspettarne
una definitiva che cada dall’alto...forse la vera soluzione è MUOVERSI senza preoccuparsi di quella
che accadrà o non accadrà.
“L’officina dei Sogni” è pubblicato da Costa & Nolan.
Copie disponibili anche alla
Libreria Buridda.
25 CMPST #5[11.2007]
Fanzine
“L’erotismo è un temo sempre trattato da uomini nel
fumetto, mi interessava vedere come
l’avrebbe affrontato una donna.”
Grrrzetic
Intervista con Silvana Ghersetti
di Daniele Guasco
GRRRAPHIC GALLERY
Da un anno a questa parte ha base a Genova una nuova fucina
artistica, la casa editrice Grrrzetic, la quale affidata alle premurose cure di Silvana propone una interessante e curiosa serie di libri
a fumetti capaci però di uscire dagli schemi dando spazio quindi ad alcune personalità artistiche tanto varie quanto particolari.
La scrivania incute quasi timore abbandonata com’è nell’ampio spazio in pieno centro
storico genovese che ospita la base in costruzione della Grrrzetic, l’atmosfera va quasi
in conflitto con la vitalità con cui questa nuova casa editrice s’è affacciata sul mercato.
Partirei a parlare proprio della Grrrzetic,
come è nata questa casa editrice e come
pian piano si sta evolvendo? Del resto siamo
già alla quinta uscita.
L’idea nasce da quello che mi sarebbe
sempre piaciuto fare, cioè libri, dopo una
piccola autoanalisi ho capito però che negli ultimi anni avevo letto più fumetti che
narrativa e quindi ho deciso di lavorare con
immagini parlate, poi diciamo che la strada
si è evoluta da sé
Da un inizio in cui non avevo idee chiarissime, né sapevo dove andare a recuperare
talenti, che era quello che mi interessava,
26 CMPST #5[11.2007]
ho provato a contattare le scuole di fumetto, ho iniziato con la scuola di Firenze che mi
ha fatto fare un vero e proprio casting, ho
passato lì un intero pomeriggio in cui mi han
fatto vedere le opere degli allievi. Poi ho capito che forse quello che mi interessava fare
però era trovare degli artisti già abituati ad
altre superfici che possono essere digitali,
così come l’animazione o pittori, ad esempio
il libro che sta per uscire (“Deep sleep”) è di
Massimo Caccia che normalmente dipinge
solo su tavole 50x50 coloratissime, quindi una
cosa molto lontana da quello che ha fatto
sul suo libro; mi piace quindi andare a individuare questi artisti e vederli sperimentare un
linguaggio differente. In effetti le opere per
ora pubblicate, a parte “Strrrppit” che raccogliendo strisce è una cosa canonica, sono
una visione particolare del fumetto, una rielaborazione di quello che è il fumetto classi-
co, infatti il pubblico maggiormente legato
al classico probabilmente mi odia.
Quindi possiamo dire che l’evoluzione che
va seguendo la Grrrzetic va a ricercare nuove forme di fumetto?
Si, è proprio quello che mi piacerebbe
fare. In realtà io ho progettato tre collane.
Una è appunto giovani e meno giovani che
abbiano sperimentato con le immagini ma
che non l’hanno mai fatto su carta; poi una
collana per le donne di cui per ora è uscito
solo il volume “Le mille e una notte”.
Mentre parliamo sfoglio i libri Grrrzetic e
colpisce subito come l’erotismo de “Le mille
e una notte” sceneggiato da Lo Duca e disegnato da Laura sia fortissimo, caratterizzato da una sensualità esplicita ed elegante.
Un’opera molto anomala per le chine di una
donna, particolare e potente.
Ti fermo subito per parlare proprio di questa collana al femminile, mi sembra che inizi
da premesse molto forti.
Mi interessa proprio questo sguardo femminile ma non rosa confetto, un po’ alla
Marjane Satrapi (l’autrice iraniana del ben
Fanzine
noto “Persepolis” nda), uno sguardo forte, duro, disincantato. L’erotismo è un temo
sempre trattato da uomini nel fumetto, mi
interessava vedere come l’avrebbe affrontato una donna. Laura è spagnola e io questo
fumetto l’ho tradotto, non è una cosa fatta
esclusivamente per me, ho anche fatto fare
apposta un font per questo fumetto da Francesca Biasetton.
Non solo mancano fumetti erotici disegnati da donne, ma difficilmente direi che si trovano, anche tra quelli più famosi, fumetti di
questo tipo dotati di buone sceneggiature.
Si, infatti questo è sceneggiato dal compianto Lo Duca, scomparso nel 2004, tra i
fondatori dei “Cahiers de cinéma” e grande
erotologo.
Passiamo al lavoro che ha inaugurato le
uscite della Grrrzetic, “No clown” di Dario Arcidiacono, come è nata questa prima uscita?
Come prima uscita è nata quasi per caso,
perché io ho conosciuto Dario e lui aveva
già fatto le tavole di questo, chiamiamolo fumetto, e le aveva fatte stampare piccoline,
come un breviario, in 50 copie, per allegarle
in una eventuale mostra, era rilegato in tela
senza immagini in copertina, tutto verde con
la scritta“No clown” dorata impressa sopra,
io l’ho visto e gli ho proposto di farne un libro
convenzionale, a lui è piaciuta l’idea. Poi in
realtà nella collana maschile, quella generale, ci sono due fili, uno rosso che verte sulla
critica sociale e uno nero più di natura surreale di cui fa parte “Kolosimov” di Saul Sa-
“Infatti
il
pubblico
maggiormente
legato
al
classico probabilmente mi odia.“
guatti.
Arcidiacono è noto anche per la sua street
art. Come vedi questo fenomeno che ormai
si può quasi dire che sia di moda?
Oltre alla mostra milanese lui aveva fatto
anche una bellissima mostra qua a Villa Croce con il gruppo di artisti di cui faceva parte e c’era un suo Padre Pio sotto teca fatto
come un distributore di finte reliquie vestito
da clown.
Vedo molto bene questo fenomeno, penso che molti siano veri artisti e che così abbiano modo di esibirsi per chiunque e anche
gratis. Sono stata da poco a Marsiglia è ho
scoperto una cosa meravigliosa: in Francia
i taggeur sono molto più in auge e meno disturbati, siccome il fenomeno è molto diffuso
allora molti privati, commercianti, pagano i
taggeurs per fare disegni sulle saracinesche,
per dire anche la banca ha chiamato degli artisti per fare questo, così non si corre il
rischio di trovarsi scritte indesiderate magari
pure brutte e si ha invece una bella opera, e
pagano anche bene.
“Kolosimov” basta sfogliarlo per venire rapiti dalle immagini nevrotiche e ipnotiche di
Saul Saguatti, un lavoro strano e avvolgente,
curioso nel suo immediato effetto che porta
il lettore a osservare qualcosa di alieno ma
noto allo stesso tempo.
“Kolosimov” ha infatti un carattere più criptico, un fumetto molto particolare.
Io dico sempre che Saul è un teorizzatore
nato, nel senso che se gli dai una frase lui te
ne fa subito una teoria, quindi questo fumetto è perfetto per lui. Diciamo che il progetto
iniziale riguardava una storia delle religioni
tra il serio e il faceto, aveva già individuato al-
Le Mille E Una Notte
cuni grossi filoni da testi antichi, ha poi deciso
però di cambiare titolo e oggetto. Abbiamo
presentato “Kolosimov” a Bologna insieme
ad un attore ferrarese, Leo Mantovani che è
un pazzo scatenato e quindi è stata una cosa
molto divertente. È andata molto bene.
Scorrendo le pagine del grossissimo “Strrrippit” vengo invece colto dalla classica nostalgia dell’appena liceale che disegnava
ovunque il papero Palmiro di Sauro Ciantini
e che si sbellicava con le strisce del maestro
27 CMPST #5[11.2007]
Fanzine
“La distribuzione italiana è una cosa
penosa, monopolizzata da pochi
che lavorano male chiedendo tantissimi soldi costringendo così gli editori a gonfiare i prezzi di copertina,“
zen protagonista di “Nirvana” di Roberto Totaro. Un volumone questo molto diverso dalle
altre uscite Grrrzetic, ma capace di portarmi
su terreni che ho conosciuto fin troppo bene.
Passiamo a “Strrripit”, una operazione antologica. Come nasce questo libro?
In realtà “Strrrippit” si discosta abbastanza
dagli altri libri, e infatti è un fuoricollana, un
esperimento. Io ho conosciuto inizialmente
uno di questi autori che mi ha proposto la
sua striscia, io gli dissi che non era ciò che
pubblicavo e che mi interessava fare. Parlando però seppi che avevano già formato un
gruppo che si chiama lastriscia.net su rete,
dove erano riuniti alcuni dei talenti più giovani, emergenti, della comic strip italiana, da
questa cosa è nata l’idea di fare un antologico. Poi non ho preso tutti quelli de lastriscia e
ne ho aggiunti altri ed è nato questo libro di
quasi un chilo.
Lo trovo molto bello anche graficamente,
le grafiche di tutti i tuoi volumi sono però molto curate.
Normalmente le grafiche le curano dei ragazzi di Firenze che facevano un po’ di anni
fa una fanzine che si chiamava “Amarcord”
sul cinema di serie z, era fatta molto bene, coloratissima, super pop. Loro sono dei ragazzi
sardi, miei amici, e hanno aperto uno studio
di grafica ormai 7 anni fa e ho pensato subito
di lavorare con loro. “Strrrippit” ha invece una
storia diversa anche in questo caso, infatti il
28 CMPST #5[11.2007]
primo autore che poi sarebbe Gabriele Montingelli, quello che ha fatto Ludwig, ha curato la grafica della raccolta. Quindi “Strrrippit”
ha una vita sua, totalmente fuori serie.
Prima parlavamo delle serie in cui si suddivide la tua proposta editoriale, ma ne abbiamo nominate solo due, come si compone
la terza?
La terza collana non l’ho ancora avviata
ma riguarderà grandi autori dimenticati, nel
senso che mi piacerebbe fare delle ristampe
di autori non più pubblicati in Italia da diciamo da oltre venti se non trent’anni. Solo forse
punto troppo in alto. Mi piacerebbe ripubblicare ad esempio Buzzati.
Infatti un limite del fumetto italiano, parlando in via generale, evidenziato anche da alcuni autori è la mancanza, rispetto all’estero,
di antologici o comunque di cosa del passato che vengano riproposte in maniera continua alle nuove generazioni. Basta pensare a
come viene riproposta facilmente l’opera di
Will Eisner mentre un’opera come il texone di
Magnus è ben difficile da reperire per i canali
tradizionali.
Questa è proprio la mia idea iniziale, il poter ritrovare alcune opere che io stessa ho
apprezzato. Secondo me manca questa
possibilità forse anche perché manca un po’
l’interesse, basta vedere questa moda, questo fenomeno delle graphic novel.
Esattamente, si sta andando anche a perdere la qualità secondo me con questo accanimento editoriale verso la graphic novel,
tanto che spuntano anche nomi quasi temibili da un punto di vista artistico.
Secondo me si sta iniziando a esagerare,
va bene la storia quotidiana, va bene l’underground, ma si sta degenerando verso il
nulla, verso storie personali ma povere. A me
è capitato di comprare libri, spendere magari anche una bella cifra, per poi trovarmi
una storia letta in mezz’ora ma che non ti lascia nulla. Non ricordo che casa editrice ma
so che qualcuno sta iniziando a stampare
cose antologiche in bianco e nero.
Un po’ sulla scia magari degli “Essential”
della Marvel, volumi da centinaia di pagine
stampati come un elenco telefonico con le
vecchie storie della casa delle idee.
Si esattamente.
Questo fenomeno delle Graphic novel secondo me sta facendo anche perdere un po’
molto del fumetto italiano classico, quello seriale, basta guardare le liste dei recenti premi
fumettistici. Cosa ne pensi?
Io in realtà ho rinunciato alla serie da subito, primo di tutto perché sono da solo ed una
cosa molto impegnativa e quindi avrebbe
richiesto maggiori risorse, poi per un problema distributivo. La distribuzione italiana è una
cosa penosa, monopolizzata da pochi che
lavorano male chiedendo tantissimi soldi costringendo così gli editori a gonfiare i prezzi di
copertina, inoltre la distribuzione delle serie
è riservata alle edicole, monopolizzate a loro
volta dalle solite case editrici. La graphic no-
Fanzine
“Mi sembra una escalation positiva,
pian piano la gente inizia a conoscere la mia iniziativa sempre di più.“
vel ha riportato un po’ il fumetto a quello che
era prima degli anni novanta, che furono la
morte dei sensi per il fumetto in Italia, non uscì
praticamente nulla di qualità. Diciamo che
case editrici come Coconino o Black Velvet hanno dato la possibilità anche a gente
come me di entrare sul mercato.
Viene dato risalto anche a una proposta
difficile come quella della Becco giallo, specializzata in fumetti che ripercorrono momenti di cronaca e politica, per fare un esempio
di effetto positivo.
Loro ad esempio danno la possibilità anche a nuove generazioni di conoscere la storia senza leggersi tomi di 600 pagine, e poi
i loro autori secondo me sono molto bravi.
Probabilmente non avrebbero avuto questo
risalto se i loro libri fossero usciti cinque anni
fa.
Però abbiamo anche fenomeni negativi,
come una diffusione eccessivamente numerosa e magari anche la pubblicazione di
opere imperfette quando non proprio scadenti.
Bisognerebbe un po’ virare, prendere un
genere editoriale fruttifero e interessante e
riportarlo verso la qualità come punto centrale.
Trovo anomalo anche l’atteggiamento dei
media verso il fumetto. Viene dato risalto solo
in diversi casi e a poche cose...
Il fumetto è soprattuto arte, non è sempre
universalmente accettata questa cosa, in al-
cuni casi sembra dia fastidio mentre in altri fa
semplicemente comodo. L’atteggiamento
comune è quello. È ben consolidata ormai
anche la critica fumettistica in rete, sai alla
fine il più grosso critico è il lettore, si crea una
specie di simbiosi. Ci sono portali fatti molto
bene e ben seguiti, questo non può che essere positivo, avere più opinioni, anche per
scegliere cosa leggere.
Ormai sono diversi anni che si parla del
fumetto italiano come di un settore in crisi.
Secondo te esiste effettivamente questo problema?
In Italia si parla sempre un po’ della crisi di
tutto, dal caro pane alla crisi del fumetto, e
questa è diventata alla fine negli anni il nostro alibi, io non credo che il fumetto italiano sia in crisi, la gente continua a leggerlo,
a comprarlo, a disegnarlo e a pubblicarlo,
grazie a dio.
Passiamo a Genova, te sei stata molto tempo lontana dalla città, e il tuo ritorno coincide
con la nascita della Grrrzetic. Come ha influenzato Genova il tuo progetto?
Ho vissuto dieci anni a Firenze, non ero a
New York ma comunque sentivo un po’ di
nostalgia. Innanzitutto Genova mi permette di avere un tetto garantito, una situazione tranquilla per muovermi e dare anima e
corpo al mio progetto senza pormi difficoltà
per mangiare. Genova è la città che mi piace avere come base, non avrei aperto una
libreria perché questo mi avrebbe legato
troppo al territorio, così invece ho la possibilità di muovermi in tutta Italia. Genova influenza anche le mie scelte artistiche come il mio
essere.
Silvana al lavoro
Sono totalmente ignorante dell’attuale panorama fumettistico genovese, esiste? Com’è?
Uno dei prossimi libri sarà di un autore genovese che avete ospitato anche voi su Compost nel primo numero, Cristiano Baricelli. Sarà
un Atlante di Medicina Immaginaria con testi di Paolo Tedeschi, un bravissimo pittore di
Piacenza che però è anche un superdotato
della scrittura. Sta venendo una cosa molto
bella. Genova è molto collegata col fumetto
storicamente, una grande reputazione. Oggi
le cose sembrano più tristi più che altro per la
carenza di spazi legati al fumetto, una mancanza di interesse. Io ho preso come ufficio
questo spazio per avere anche la possibilità
di farci in futuro delle mostre, esposizioni sia
degli autori che han pubblicato con me che
di esterni comunque legati a questa forma
29 CMPST #5[11.2007]
Fanzine
artistica. Ora devo scoprire se posso anche
usarlo come un vero e proprio negozio. Io
vado spesso a Bologna che per il fumetto è
invece fucina di cose nuove, ci sono molte
realtà che li sono famosissime ma che difficilmente escono, vai a chiedere a Milano e
non sanno nemmeno chi siano.
alla notte bianca a Parigi ed è muto, come
“Deep sleep” di Caccia. Si chiama “Mater”
ed è una storia sulla maternità ma anche
sul travaglio, parla di una donna relegata in
una stanza e la narrazione si costruisce pian
piano nelle immagini. C’è carenza invece di
artiste donne, signore fatevi avanti!
Quali vorresti che fossero invece le possibili
colonne sonore ai tuoi fumetti?
Di sicuro delle atmosfere cupe ma allo stesso tempo dolci, il primo nome che mi viene in
mente sono sicuramente i Sigur ros.
Volevo chiederti come sono stati accolti
questi primi volumi.
Mi sembra una escalation positiva, pian
piano la gente inizia a conoscere la mia
iniziativa sempre di più. La fiera di Lucca ormai prossima sarà il momento di bilancio
più grande perché la casa editrice compie
esattamente un anno di vita. Io sono partita
con “No clown”, andando a ritirare le copie
la sera prima per riuscire a fare l’anno scorso
almeno gli ultimi due giorni di fiera, li ho preso
i contatti con le distribuzioni. Ho ancora paura, sia ben chiaro.
Invece della musica a Genova cosa ne
pensi?
C’è sempre stato un gran fermento, ma si
va a creare anche qua per la musica per
come la conosco un effetto bolla per cui le
cose tendono a uscire poco dai confini cittadini, oppure si creano effetti opposti come
nel caso dei Port-royal, noti in tutta Europa
ma forse troppo poco celebrati qui. Le realtà
però ci sono, continuano a esserci e sono anche valide. Conosco poco i meccanismi.
Torniamo alla Grrrzetic, mi hai già detto di
Baricelli, quali saranno gli altri prossimi passi
della casa editrice?
Ho già in mente un’altra cosa di un artista milanese che si chiama Akab che vorrei
far uscire come una serie, sono 120 pagine
a colori e penso le divideremo, si chiama
“Redux” e sono tante storie quindi probabilmente uscirà in diversi volumi. Poi ho un
lavoro di un artista piemontese che però è
genovese d’adozione che è Paolo Bonfiglio
normalmente dedito a quadri e animazione,
infatti la cosa che farà con me inizialmente
era un film che è stato oltretutto proiettato
30 CMPST #5[11.2007]
Ha creato anche quindi una buona curiosità negli appassionati la tua casa editrice?
Il fatto è che secondo me non abbiamo
tantissime case editrici in Italia particolarmente nel genere, siamo una quarantina, e
rispetto alla narrativa direi che c’è spazio per
tutti. Raccogliere la curiosità degli appassionati con una proposta coraggiosa era uno
degli obiettivi che sicuramente mi ponevo
iniziando, è difficile collaborare, e non posso
prescindere da alcuni aspetti di gusto che
per ora non ho modo di condividere con altri. Faccio tutto da sola e per adesso penso
sia il modo migliore di farlo.
Per finire, quale pensi sia, se c’è, un metodo per avvicinare ancora più gente a un progetto così particolare, lontano dal fumetto da
Le Mille E Una Notte
edicola?
Magari ci fosse la ricetta per far uscire la
torta bella gonfia... L’idea di una galleria più
particolare potrebbe portare a uno spazio
aggregativo diverso, che per ora non esiste
in città, se riuscirò a farlo potrebbe aiutare.
Più
info
sulle
pubblicazioni
di
Grrrzetic
su
http://www.myspace.com/grrrzetic
Columns
Indie Maphia For Dummies
di Daniele Guasco
Per determinate cose sono sempre stato previdente, peccato che siano normalmente delle
immani cazzate. Mi spiego, sono uno di quelli
che oggi, a inizio novembre mentre scrive queste righe, sta già pensando da un po’ alle varie
incombenze natalizie, senza contare il fatidico
dubbio moderno “dove diavolo lo passo capodanno?”, crucci da non dormirci la notte. Proprio
seguendo questa abitudine qualche giorno fa
ho provato a cimentarmi con una possibile lista
dei migliori dischi del 2007, ho scorso un po’ di cd,
di robe scritte e ascoltate, e la conclusione è una:
ne sono usciti tanti di bei dischi quest’anno, anzi, è
stata una delle migliori annate successive al giro
di millennio, ma quanti di questi sono effettivamente degni di essere considerati “pietre miliari
della MIA musica”? Ben pochi. A essere sincero
mi azzarderei a contarne massimo tre (ma proprio andandoci positivamente), tre grandi dischi
certo, gli unici tra tanti altri ottimi album usciti negli
ultimi dieci mesi che potrei appunto collocare
ipoteticamente in questa categoria, non è neanche un problema dire quali: Vic Chesnutt sicuramente, l’ultimo splendido Ronin che da gennaio
entra nello stereo con una buona frequenza e
sempre con grande piacere, e la scommessa
The Heliocentrics. Tutti gli altri? Bellissimi cd certo,
ma specchio di una proposta sempre più satura,
particolarmente in ambito indie dove bastano
un pc, un masterizzatore, una stampante e qualche buona idea per produrre materiale, una
situazione con tantissimi lati positivi, certa ottima
musica probabilmente non si ascolterebbe altrimenti, ma che va anche a portare l’ascoltatore
non casuale verso un’overdose di proposte. Tutto
questo senza considerare ovviamente la rete con
i suoi ascolti “usa e getta” e gli hard-disk sempre
pieni di musica direi quasi ornamentale, mp3 con
cui cucirsi addosso un cappotto che non tiene
caldo. In conclusione il punto a cui voglio arrivare
è uno: non è necessario che ogni anno ci siano
dieci, venti, quaranta dischi fondamentali, ne ba-
sta uno, tre sono già un eccesso; l’importante è
che la musica torni ad essere realmente ascoltata e vissuta, non solo posseduta.
Nothing To Shout About
di Matteo Marsano
I Radiohead non fanno neanche a tempo a
pubblicare il loro ultimo “In Rainbows” (scaricabile ad ‘offerta libera’ dalla rete, per i pochi che
lo non sapessero, e direttamente dal gruppo
che per ora ha deciso di bypassare ogni sistema ‘tradizionale’ di pubblicazione e distribuzione via label) e già c’è qualcuno che preconizza la morte del compact disc in un futuro più o
meno prossimo. Se a questo aggiungiamo che
a leggere alcune testate musicali italiane, o
magari fanzine travestite da riviste, per i più maligni tra di voi (e dire che, se non si fosse notato,
qui a CMPST le fanzines piacciono molto) Thom
Yorke e soci sarebbero “il gruppo più importante del mondo”, la cosa sembra assumere i toni
un po’ isterici della profezia auto-avverante, tra
balletti di riverenze e fantasie di salvataggio:
salvataggio del rock, come al solito, da chi o
cosa possiamo solo immaginarlo. E così, mentre qualcuno si lancia in nebulosissime elegie a
dimostrazione della frase di cui sopra, magari
ricordando al lettore di avere alcuni romanzi
all’attivo e di “essere uno scrittore”, (casomai
non si fosse capito, vista l’abissale pesantezza
dello stile, la pedanteria terminologica e il periodare da saga vichinga…!), qualcun’altro
trae da tutto questo la semplice lezione di cui
si diceva prima: il supporto ottico è destinato
a morire. A breve. Non vorrei a questo punto
entrare nel merito del perché o del percome
ciò sia destinato ad avvenire o meno, pur
propendendo nettamente per la seconda
ipotesi se di futuro prossimo si tratta (già l’avvento di aggeggi come iPod e lettori digitali,
strettamente connessi alla fruizione di musica
in formato mp3, aveva sortito effetti di ‘profetizzazione’ sugli utenti; e non a caso il termine è
da gergo informatico). Mi piacerebbe invece
spendere due parole sul perché ascoltare musica attraverso un oggetto fisico e ‘reale’ come
un LP o un Compact Disc sia a tutti gli effetti un
esperienza diversa dal farlo con l’ausilio dell’emmepitrè. Brevemente, e a costo di suonare
altrettanto pretenzioso: è il contesto, il rapporto
che si intrattiene con l’oggetto-musica a fare
la differenza. Sedersi sul divano per apprezzare
con calma un album, godersi l’artwork e avere la possibilità di odorare la carta su cui sono
stampati i testi presuppone un rapporto intimo,
dialettico e quasi paritario con le persone che
vi stanno dietro, i cui sforzi e dedizione sono qui
rappresentati in maniera tangibile. C’è una
certa sacralità in questo. Al contrario dell’ascolto ‘da computer’, che oltre a mancare di qualsiasi aspetto feticistico soggiace alla logica
consumistica, dispersiva e onnivora della rete,
con un enorme quantità di informazioni più o
meno irrilevanti sempre a portata di mano. E’
un contesto che stimola un tipo di ascolto diverso, non distante da quello stile “soundtrack
of your life” rappresentato dall’(ab)uso dei lettori digitali, suo naturale epilogo: più egocentrico, effimero e centrato sul ‘consumatore’ (che
‘sente’, ma non sempre ‘ascolta’) piuttosto che
sul rapporto intercorrente tra album ed ascoltatore. “When I listen to a record/ I stare at the cover” cantava Smog: noi speriamo che si possa
fare altrettanto anche in futuro
This Ain’t No BBQ
di Anna Positano
Ho uno strano rapporto con l’arredo urbano. A partire dalle pensiline degli autobus. A Genova negli ultimi anni sono state
cambiate, e ora risultano estremamente
pretenziose. La gente non ha nemmeno
più la necessità di portare la propria sedia
da casa (grazie Mazzola) in attesa dell’autobus, perché la Cemusa (l’azienda produttrice) ha provveduto a integrare i sedili nella pensilina stessa. Grazie Cemusa!
Però io da qualche anno non mi siedo più.
31 CMPST #5[11.2007]
Columns
Infatti una volta, andando a prendere la
focaccia sul furgone coi Redworm’s Farm,
dopo il concerto, vidi una scena, ehm, curiosa. Non sono un’educanda, e nemmeno particolarmente impressionabile, però
vedere una fellatio firmata Cemusa mi ha
fatto un po’ schifo, ma anche ridere. Soprattutto vedendo vecchie e bambini seduti lì il giorno seguente. Più o meno per lo
stesso motivo penso che limiterò la mia frequentazione dei dehor dei bar, soprattutto quello sotto casa mia; circa un mese fa,
tornando a casa per mezzanotte, vedo un
tipo accomodato sul gradino del dehor, e
altre due gambe a fianco alle sue; niente
testa. Penso: non ho bevuto! Guardo meglio: Ah, sta raccogliendo qualcosa che le
è caduto! Ah, ehm, no... Meno male che
aveva i capelli lunghi, va’. Comunque è
molto interessante vedere come la gente adatti gli arredi urbani alle proprie esigenze. Mi rendo conto che forse non era
un aneddoto adatto alla rubrica... Chissà,
magari è la volta che non mangiate salsiccia. Comunque, se qualcuno ha fame
ecco qua: è una ricetta da eseguire per
tante persone (almeno 4), altrimenti, oltre
a sbattervi in modo folle e con apprezzamento ridotto, vi mangiate questi cosi per
una settimana. E alla fine stanca, ve lo assicuro. Per 4 persone, dunque, procuratevi:
per la pasta
250 g di farina (integrale è meglio)
4 cucchiai di olio
acqua q.b.
sale
per il ripieno
1/4 di cavolo
un po’ di cavolfiore
2 carote
1 patata gialla grossa
1 cipolla
1 porro (non strettamente necessario,
ma ci sta!)
aglio olio sale
32 CMPST #5[11.2007]
Per prima cosa impastate la farina con
gli altri ingredienti, in modo da ottenere un
composto morbido ma non appiccicoso;
metterlo in frigo per mezz’ora. Intanto lavate bene le verdure, e fatele in pezzetti
piccoli, in particolare il cavolo va fatto a
striscioline sottili, avendo cura di tenerle separate (hanno differenti tempi di cottura).
Mettete l’olio in una padella e fate soffriggere l’aglio, poi buttatevi dentro per prima
la patata e un po’ di sale. Girate spesso
altrimenti si attacca! Sempre a fiamma
viva, dopo qualche minuto aggiungete le
carote, il cavolfiore e la cipolla, regolando
di sale. Rimuovete l’aglio, se non vi piace
cotto (a me fa veramente schifo!). Continuate a mescolare e aggiungete un po’
d’acqua se serve. A cottura quasi ultimata, aggiungete il cavolo e il porro tagliati
molto sottili, avendo cura di aggiustare
di sale. Coprite abbassando un poco la
fiamma, e assaggiate. Togliete dal fuoco
quando il ripieno è cotto. Accendete il forno a circa 200°, e nel frattempo stendete
la pasta con un mattarello (molto sottile!)
su carta da forno. Tagliate la pasta a quadati di circa 10 cm di lato e “impacchettate” il ripieno, cercando di non rompere
tutto. Infornate e appena pensate siano
cotti, state pur certi che non lo saranno;
questo perché la verdura è umida e dentro la pasta sarà cruda. Quindi consiglio
fortemente di prenderne uno, tagliarne
un pezzo e assaggiarlo, dopo averlo fatto
raffreddare un pochino. Rimettete l’avanzo in forno con gli altri fagottini, in modo
da poterne valutare l’effettiva cottura successivamente. Mi rendo conto che è una
rottura di palle questa ricetta, da fare solo
se ne vale la pena. Gli ospiti che avevo a
cena la settimana scorsa erano circa 25,
e, visto lo sbattimento e il fatto che molti
di loro potevano essere restii alla verdura,
li ho obbligati ad assaggiarli senza dir loro
che cosa ci fosse dentro. Ha funzionato.
An inconvenient truth
ovvero anche COMPOST dà il suo contributo per rallentare il cambiamento
climatico
di Carlotta Queirazza
Ripassino
Se qualcuno di voi è già un affezionados dell’ecoangolo di compost si ricorderà che nello
scorso numero si parlava del principio delle tre R
nella gestione dei rifiuti, ovvero R-idurre la quantità di rifiuti prodotti, R-iutilizzare le cose prima di
gettarle, R-iciclare tutto il riciclabile. Bene. Sono
appena rientrata in casa dopo una piccola discussione con il fruttivendolo che voleva a tutti i
costi darmi un sacchetto di plastica per un po’
d’uva e due pere che stavano comodamente
nella borsa che mi porto dietro ogni giorno. Ho
cercato di fargli capire che conveniva anche
a lui, un sacchetto risparmiato per il prossimo
cliente.. niente, considerava il mio gesto quasi
offensivo, come se mi stesse offrendo un caffè
e io rifiutassi sostenendo che il caffè di casa mia
è molto meglio. Quindi, anche se qualcuno di
mia conoscenza mi accuserebbe di essere
pedante, insisterei sul primo principio, quello di
ridurre, alla fonte, la quantità di rifiuti prodotti, in
particolare quando si va a fare la spesa. Infatti,
al di là del sacchetto di plastica, ci sono una
serie di altri accorgimenti che aiutano ad evitare di tornare a casa e rendersi conto che circa un terzo di quello che abbiamo trasportato
fino qui è diventato subito rifiuto. Ad esempio,
se siamo al supermercato, è possibile scegliere di comprare frutta e verdura a peso invece
delle confezioni già pronte, in questo modo si
evitano i vassoietti di polistirolo coperti da plastica trasparente, ecc. Poi conviene acquistare
frutta e verdura locale e di stagione.. qui un tasto dolente.. e se non so le stagioni della frutta
e della verdura? In questo caso si può chiedere al verduraio o semplicemente guardare
il prezzo, di solito quello che costa meno è di
stagione (oppure andate al sito www.lifegate.
it/alimentazione sulla colonna di sinistra si trova
Columns
il link ‘meglio di stagione’). Oggi, sempre dallo
stesso verduraio di cui sopra, ho trovato i kiwi
della Nuova Zelanda.. diamine, i kiwi crescono
anche nel giardino dei miei genitori a Genova
Sturla.. comunque, anche affettati e formaggi si possono acquistare al banco, così si evita
l’imballo sottovuoto e si può scegliere la quantità desiderata, l’inconveniente può essere che
bisogna interagire con l’inserviente. Poi il latte.
Quale contenitore conviene? Ebbene, dipende da quello che riuscite a farne dopo. La bottiglia di vetro è chiaramente il meglio, a volte
diventa un vuoto a rendere oppure si può riciclare praticamente in tutte le città. Poi la bottiglia di plastica, anche lei può diventare un vuoto a rendere oppure può essere riciclata. Infine
il contenitore di cartone spesso. Questo cartone è definito poliaccoppiato perché costituito
da più materiali: in prevalenza cartoncino, rivestito da sottilissimi film in polietilene e alluminio.
Anche se spesso si legge che è riciclabile, non
ho ancora capito dove e come lo facciano..
lo selezionano dall’indifferenziato e portano
ad uno speciale impianto? Mah, nel dubbio,
lo eviterei. Ecco, da qui si potrebbe iniziare a
parlare dell’analisi del ciclo di vita.. oppure,
già che è iniziato il freddo, sul riscaldamento, o
sull’acqua.. come si fa? Toccherà aspettare il
prossimo numero.
Non Sono Un Poeta
di El Pelandro
Parliamo di Lavoro:
nonostante la mia capa sia una merda,
è veramente una merda.
A Steady Diet Of Mat
di Matteo Casari
Che poi finisce che te lo chiedi. Ma chi cavolo ce lo fa fare? Un bel mugugno d’altri tempi
nel flow del sottoscritto, che parte a testa bassa
e uno sfogo se lo concede anche lui. E invece
no. Che tanto poi chi me lo fa fare? Cosa ci
potrei guadagnare da cotal imbarbarimento?
Niente. Per cui la dieta di oggi è a base di una
buona novella. Però valla a trovare. E anche interessante per giunta. Beh, tolti i riassunti di do’s
e dont’s per entrare e rimanere nella cerchia
degli unti da disorder drama, tolte le storie vere
di miracoli di sopravvissuti, tolte le macumbe
andate a buon fine rimangono solo quelle
buone notizie di una volta. Quelle inaspettate
richieste mattutine che, con un secondo fine
per niente scontato di venire a suonare da noi,
ti risvegliano dal torpore con un mix di caffeina,
suoni piacevoli, e quel tanto di insperata originalità. Sono anni che dalla Francia, finalmente,
arrivano anche da noi un po’ di band di carattere, fresche e assolutamente accomunate
da un vicino sentire. Non vi dirò chi ma vi lascio
solo con la certezza che, con la qualità, si può
ancora convincere le persone ad ascoltarvi.
Ingrandimenti
di Marco Giorcelli
Ci sono alcuni posti molto affascinanti. Sto
parlando di luoghi intesi come spazi, ma obbiettivamente, non potrei nemmeno definirli
tali. E’ un po’ come quando giochi con la rotella del mouse e ingrandisci un jpg fino a sgranarlo completamente: non diventa più niente di
riconoscibile, o meglio, si trasforma in un’astrazione dal senso variabile. A seconda di chi lo
guarda. La sopraelevata di Genova, se uno
guida, inevitabilmente non permette attenzioni paesaggistiche di questo tipo, al contrario,
da un terrazzo, è ipnotico osservare il flusso dei
mezzi ci sfrecciano sopra. Ma non è di questo
che voglio parlare, anche perché abitandoci
di fronte, sarei in eccesso di imprecazioni rispetto ai complimenti. In ogni caso, attraversandola da ponente a levante è possibile osservare
un particolare curioso proprio sull’ultimissimo
palazzo che si incontra sulla sinistra. E’ un’abitazione isolata dalle altre, con alle spalle la fine
del muraglione e che si appoggia schiettamente sulla carreggiata che dalla Foce porta
a Sampierdarena. Abitare di fronte alla soprae-
levata, in quanto ad inquinamento acustico, è
un’esperienza difficilmente riducibile a parole
e, in questo caso, parzialmente off topic. La
cosa curiosa invece è l’ultima finestra in basso a destra che è esattamente all’altezza del
traffico. Nonostante questo, i condomini hanno concepito un bizzarro abuso edilizio. Hanno
trasformato la finestra in un terrazzo. Lo so, detto
così suona come la versione post-atomica del
Cielo in una stanza. Eppure è così. Hanno preso
tre grate di metallo, le hanno sbracciate in fuori
facendole appoggiare direttamente sul guard
rail e ci hanno messo sotto una base. Il tutto
decorato da piante e fiorellini. Un poggiolino
spartano, ma funzionale.
I Pere Ubu, ne sono certo, ne avrebbero fatto
la copertina di un album.
Valide Allternative al Bricolage Culturale DIYC 2.0
risponde il Dott. Cesare Pezzoni
Caro Dott. Cesare Cartavetro, leggo dal
primissimo numero voi ma per il resto sono
pigro e quindi leggo pochissimo. Ho sentito
però parlare di un libro famoso di un tizio
di Wired, il titolo è “La Coda Lunga”, so che
parla di nuove tecnologie con un occhio di
riguardo per la musica, me ne fa una sintesi?
Ora io vorrei che i meno pigri di voi non leggessero questa domanda e anzi andassero
in libreria a comprare “la Coda Lunga” che è
un libro scorrevole e interessante, pur con i suoi
limiti. Se proprio siete di coccio sappiate che
la conoscenza è salvifica, chi non conosce è
e sarà sempre in balìa di chi conosce. Tuttavia
farò una sintesi strampalata ad uso rockettaronato-stanco. In pratica il libro dice che nel web
c’è spazio per tutti, che gli archivi sono infiniti e
che il mercato di nicchia nel suo complesso è
più grosso del mercato mainstream. Se hai presente come è fatta una parabola saprai che
pur avvicinandosi sempre di più agli assi la curva
non li tocca mai. Internet ha accentuato questo
33 CMPST #5[11.2007]
Columns
fatto e quindi si è scoperto che se il cliente è libero di scegliere quello che vuole disponendo
di un catalogo infinito, quelli che faranno scelte “elitarie” nel loro complesso saranno più di
quelli che ascolteranno Justin Timberlake. Una
figata quindi? Boh, in parte sì. Non per gli artisti
però: se è vero che sommati assieme gli artisti di
nicchia vendono più di Britney è vero pure che
presi singolarmente vendono pochino. In pratica è una buona notizia solo per le etichette che
possono assicurarsi un grande numero di artisti a
un costo irrisorio e che nel cumulare contratti incasseranno un sacco di quattrini. Poveri siamo e
poveri restiamo. Non è la coda lunga a salvarci,
se lo avevate sperato. Il mercato dilettantistico
diventa così il primo mercato mondiale, a costi
infinitamente più bassi. Se vogliamo trarne una
conclusione ottimistica possiamo al limite affermare che essendoci maggiore circolazione di
audience lungo tutto la curva a vantaggio dei
generi di nicchia, è più facile emergere nel proprio contesto di quanto fosse qualche tempo
fa. Tradurre questa popolarità in denaro rimane
un’impresa, comunque. Ma non voglio scoraggiarvi, la situazione è meglio di prima. Adesso
abbiamo bisogno di meno mediatori per arrivare allo stesso grado di visibilità. Quello che 15
anni fa era impensabile senza un’etichetta alle
spalle ora è possibile anche senza, nonostante
l’evidenza mostri come avere un’etichetta alle
spalle in qualche misura sia ancora fonte di vantaggio competitivo. Inoltre c’è un altro aspetto,
forse collegato in maniera un po’ più blanda ma
non meno significativo: lo spalmarsi dei consumi
più equamente lungo tutto l’asse della domanda a dispetto della storica concentrazione 8020 (ossia il 20% dei prodotti copre l’80% del mercato), fa sì che alcune micro-realtà integrate tra
di loro rappresentino un mercato interessante.
In altre parole è più giustificato oggi rispetto a
ieri credere che “fare scena” possa fare la differenza. Muovendosi coralmente in un mercato
un gruppo di gruppi ha più possibilità di essere
ascoltato di quanta non ne avesse ieri. E questa è una buona notizia. In altre parole la lezio34 CMPST #5[11.2007]
ne che prenderei dal libro non è: c’è più trippa
per tutti…questo è falso. La lezione è piuttosto:
piccoli mercati integrati tra di loro sono in grado
oggi come non mai di attirare un certo numero
di ascoltatori, di cui una grande parte casuale.
Che proporsi a blocchi di gruppi potesse essere
un vantaggio lo si sapeva, ma oggi diventa un
vantaggio non solo per la solidarietà interna ma
anche per la visibilità esterna. Però state attenti
che “la scena” non ama mai chi della scena si
approfitta.
Screamazenica
di Simone Madrau
[Anche Screamazenica è iscritta alla mailing
list dello Sceriffo Lobo. E tu che aspetti, amico
lettore?]
Questo mese su Screamazenica è di scena la sacra triade cui tutti noi giuriamo eterna
fedeltà: sesso, droga & rock’n’roll. Da leggersi
con le cornina rivolte al cielo e la chioma che
va su e giù.
SESSO
Dopo Mangoni sul MySpace di Ceanne,
ecco a voi due nuove lezioni di galateo impartite da altrettanti maestri. Prendete nota, indiemaschietti from Zena.
[Almeno nel primo caso ‘sesso’ è un termine
forte. Eccessivo, direi. E me ne scuso. Si tratta
in verità di un attestato di stima fondamentalmente disinteressato.
Peròperò.
Lo scorso marzo, dopo il concerto al Mù-Mù,
sul MySpace degli Hermitage compare il seguente messaggio vergato da un altro partecipante alla serata.]
’Nota di merito per il bassista bionico e la graziosissima sullo sgabello, cui volentieri si perdona la parsimonia nei sorrisi’. [Alessandro Raina]
[Il primo numero di Compost sarebbe uscito
solo due mesi dopo quindi la citazione non vide
la luce su Screamazenica. Avrei potuto tacerne
eternamente. Ora però il suddetto gossip torna
ad essere di scottante attualità.]
Abbracci e un saluto particolare alla ragazza al violino che è sublime. [Alessandro Raina
ancora sul MySpace degli Hermitage, 11 ottobre 2007. Diamine! Parsimoniosa Paola, se vuoi
replicare Screamazenica è a tua disposizione.]
’Come stai, Lisa… come stai…’ [L’inossidabile
Bob Quadrelli, non pago di una serata a tu per
tu con Lisa Papineau, improvvisa una featuring
al microfono con la stessa durante la sua performance al Buridda.]
DROGA
’I Verve dicevano che le droghe non funzionano. Bè, non sono molto d’accordo.’ [Grausamer Eisenberg aka Cruel Iron Mountains lancia
la sua ‘Where You’ve Been’ su MySpace.]
’Per pochi secondi siamo stati su RaiDue,
naturalmente appesi nella casa dei cattivi. In
questo caso spacciatori. Il buon vecchio Alfredo dovrà rivedere la sua celebre massima.’ [Il
sottoscritto in una mail girata alla redazione di
Compost. Ebbene sì: durante ‘Il Capitano 2’,
fiztion poliziesca della Rai ambientata a Genova, il logo di questa fanzine ha fatto capolino a
sorpresa su un manifesto appeso in una casa
dei vicoli non meglio identificata. Il proprietario
della casa e/o il responsabile dell’idea sono
pregati di farsi vivi. Non sono cose che ci cambiano la vita ma la curiosità di capire come ci
siamo finiti è forte.]
ROCK’N’ROLL
’Dai che questa volta non te la spacco la
videocamera.’ [Nel pregare il sottoscritto e gli
altri presenti di avvicinarsi al suo palco, il buon
Amedeo accompagnato dai suoi Eat The
Rabbit rievoca i fasti dell’ultima Rocktone-performance al Rural Indie Camp.]
’Ti nomino vice-Intortetor’. [In un buio angolo
del Buridda il nostro Giulio, prossimo al trasferimento a Milano, proclama in gran segreto [ma
nemmeno tanto] il suo indegno successore.
Indegno anche perché, essendo il suo background sulla scena genovese assai misero, rifiuterà l’onorevole carica. Capito di chi parlo,
no?]
[thanks to: Daniele Guasco]
Arte
Nuvola Ravera
Nasce a Genova il 3 Febbraio 1984 , dove
attualmente vive e frequenta l’Accademia Ligustica di Belle Arti.
Passata un‘infanzia fatta di viaggio e di
cambiamenti particolari orienta le sue inclinazioni espressive in svariati sensi ricreando un
po’ questa variabilità che l’ha accompagnata
fin da piccola, passando in maniera altalenante da collaborazioni con musicisti tramite
realizzazione di artwork, reportage fotografici,
pubblicazioni su webzine e cartacei vari, per
poi avvicinarsi ad uno sviluppo di ricerca personale di indagine astratta del sé, del corpo
e dell’esterno, con diversi supporti quali quello
fotografico, pittorico, grafico e a volte performativo.
Coinvolge volentieri nei suoi progetti conosciuti e sconosciuti creando una forte dimensione sociale e di scambio per arrivare ad un
atto creativo multilaterale.
http://www.flickr.com/photos/cloudwithoutclouds/
http://www.myspace.com/verycloud
35 CMPST #5[11.2007]