Avvenire - Marsilio Editori

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12
libri
Venerdì
2 Dicembre 2016
ta per concludersi il doppio
anniversario (400 anni) dalla
morte sia di Shakespeare che di
Cervantes, i grandi inventori
(con Montaigne, se volete) della
letteratura moderna europea.
Drammaturgia, epica e saggistica da
allora in poi non furono più come
prima. Tre genii della mescolanza dei
toni e degli stili, sublime e comico,
nobiltà e umiltà: la reale cornice della
condizione umana nella quale si può
passare dalla tragedia alla commedia,
dai più alti ideali alla constatazione
della propria debolezza. Una buona
occasione, quindi, per riprendere un
S
minima
di Alfonso Berardinelli
Il Don Chisciotte di Mann:
lancia in resta
in difesa del cristianesimo
saggio piuttosto noto ma non so
quanto letto di Thomas Mann:
Traversata con Don Chisciotte, ora
riproposto dalle edizioni Medusa. Lo
scrittore tedesco, già premio Nobel da
qualche anno, nel 1934 stava
compiendo con una certa emozione la
sua prima traversata dell’Atlantico
diretto negli Stati Uniti. La sua
Germania era ormai nelle mani dei
nazisti e questo acclamato esemplare
dell’umanesimo europeo sarà
costretto, per evitare rischi anche gravi,
a trasferirsi nel 1939 in California. Il
saggio racconta i dieci giorni di
Thomas Mann in nave, fra un
vermouth, un film americano, un po’ di
musica pomeridiana, la consueta
stesura del suo diario e la lettura del
capolavoro di Cervantes, mai in
precedenza, «per uno strano caso»,
portata a termine. La «letteratura da
viaggio» non poteva fare per lui e
leggere «per ammazzare il tempo» gli
ripugnava. Ecco dunque l’autore dei
Buddenbrook e della Montagna
incantata in compagnia
dell’«ingegnoso hidalgo». Fra
un’osservazione sulla tecnica narrativa
e una sulle traduzioni, Mann giunge al
punto: don Chisciotte è «un prodotto
della cultura cristiana, della scienza
Riscoperte
MOSCA
Negli anni Venti il poeta
ebreo russo Leivick
compose in lingua yiddish
un potente dramma
che si ispira alla celebre
tradizione del fantoccio
animato ma l’arricchisce
di significati escatologici
La prima rappresentazione
del Golem di H. Leivick
al Teatro Habima nel 1925
GOLEM
Il
:
Giobbe e Messia?
la più famosa trascrizione romanzesca della vicenda, pubblicata nel 1915 da Gustav Meyrink,
è viziata da un sostanziale e ben riconoscibile
antisemitismo con venature esoteriche.
Strano destino, per un racconto il cui significato più profondo si intreccia con le attese messianiche del popolo di Israele, in una dinamica
di cui resta traccia nei testi che al Golem hanno dedicato, tra gli altri, Isaac Bashevis Singer
e Jorge Luis Borges, Elie Wiesel e Marek Halter.
Senza mai perdere i suoi connotati inquietanti, il fantoccio di fango sulla cui fonte il Maharal incide la parola emet («verità» in ebraico) è
anzitutto il difensore dei perseguitati, non un
automa soggetto ai capricci del suo creatore. In
questo senso, come ricorda Laura Quercioli
Mincer negli apparati dell’eccellente edizione
curata per Marsilio, nel Golem si manifesta un
particolare declinazione della vicenda messianica, quella del Mashiakh ben Yosef evocato dal
profeta Isaia come liberatore di Israele.
Romanzo.
E Yosl, diminutivo di Yosef in yiddish, è il nome
che nel dramma il Maharal impone al suo servitore, salvo poi restare turbato dalla sua forza
sovrumana ed esiliarlo nella già ricordata Quinta Torre. Qui cercano riparo anche due mendicanti, il Vecchio e il Giovane, a loro volta scacciati dal rabbino, che non si accorge di un dettaglio essenziale: il modo in cui Giovane scioglie e subito riavvolge, una per una, le proprie
bende è lo stesso che il Talmud attribuisce attribuisce al Messia, desideroso di non tardare
neppure un istante. Il misconosciuto Figlio di
Davide condivide con il Golem la comunione
ineffabile di una trinità della quale fa parte anche l’Uomo con la Croce, convocato da Leivick
secondo una logica del tutto analoga a quella
che si ritrova nei dipinti di Marc Chagall.
La conclusione è quella che già conosciamo. Il
Maharal si pente di aver dato vita al Golem e
cancella la prima lettera di emet, passando così da «verità» a «morto». Una sconfitta della su-
perbia umana, ma anche l’ammissione del fatto che il tempo del Messia non è ancora venuto, perché esso è oggi ed è mai, è l’intervallo insostenibile tra «un attimo prima» e «un attimo
dopo», tra anticipo fatale e irrecuperabile ritardo. È anche per questo che un grande studioso dell’ebraismo, André Neher, suggeriva di non
accontentarsi della analogie, sia pure innegabili, tra le pretese del Maharal e il desiderio di
sapere del dottor Faust. Una volta di più, occorre una trinità per comprendere il significato di un racconto altrimenti tanto oscuro. Il «terzo di noi», come scriverebbe Leivick, è Giobbe,
il sofferente. Uno che, come il poeta, a Treblinka
c’era già stato, c’era da sempre.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
H. Leivick
IL GOLEM
Marsilio. Pagine 240. Euro 17,00
Gurganus al cuore matto della provincia Usa
FULVIO PANZERI
n Italia era già stato tradotto fin dal 1991 con il suo
primo romanzo, L’ultima
vedova sudista vuota il sacco, un successo internazionale
che non è stato tale nel nostro
Paese, dove Allan Gurganus è
ancora uno scrittore poco conosciuto, nonostante ormai sia
considerato in America un classico, uno scrittore che, già allievo di John Cheever, viene posto a ragione sulla linea di William Faulkner e Alice Munro.
Da alcuni anni lo sta riproponendo l’editrice Playground
che ora manda in libreria, nell’ottima traduzione di Maria
Baiocchi e di Anna Tagliavini, il
romanzo breve L’esca, parte di
I
Racconti
Storie neogotiche
(ma qui i fantasmi
usano il computer)
he Silvio Raffo non ami
seguire mode o abitudini
consolidate è un fatto chiaro.
La sua poesia ha una
dimensione lirica di impianto
tradizionale, con versi canonici e
rime, e la sua narrativa non è un
esempio di allineamento alle
tendenze letterarie o editoriali del
momento. Conferma ne sia questo
bel libro di narrativa, che, per
cominciare, è una raccolta di
racconti e non un romanzo, e poi
appartiene a un genere solitamente
non amato nel nostro paese: il
"neogotico", come avverte il
sottotitolo. Le insidie celesti è per
questo un libro doppiamente
inattuale, che si inscrive nella grande
tradizione del racconto fantastico e
"del terrore" rifondata da Edgar
Allan Poe, al quale non a caso è
dedicato uno degli 8 racconti,
«Orphenia», quello che più da vicino
fa rivivere le sue atmosfere di
malinconica tensione e di
inquietanti presenze femminili al
limite del soprannaturale. Non sarà
un caso nemmeno che da un
precedente testo narrativo di Raffo, a
sua volta di questo genere, La voce
della pietra, una produzione
americana abbia realizzato un film
in uscita a breve, con l’attrice Emilia
Clarke protagonista alle prese con
maligne presenze che infestano
l’antica casa in cui lavora. Le
"insidie" del titolo, declinate in due
primi racconti lunghi (quasi brevi
romanzi, «I custodi di Waldemar» e
«I figli del Lothar») e poi in altri sei
racconti più brevi, sono incontri con
personaggi pericolosi, o mitici e
soprannaturali, o lente sequenze di
avvicinamento a un mistero
inquietante, in perenne attesa di
uno scioglimento che non sempre
arriverà. Incontri, personaggi e
situazioni sono sempre sostenuti da
uno stile elegante, che a volte
include a volte morbidi versi
(«Taceva la voce del mare, ridotta a
un sibilo lieve»), misurato quanto a
lessico e sintassi, sempre posato con
cura sui dettagli. Ogni particolare del
paesaggio, infatti, qui è parte di un
insieme prodigioso che si scopre per
gradi, facendo calare sempre più il
lettore in pensieri, paure e drammi
dei protagonisti, a volte tormentati
da vere e proprie ossessioni. Sia che
torni assumendo forma umana un
mito antichissimo, sia che il male
puro si incarni in persone
all’apparenza integrate nella società
contemporanea, sia che assistiamo a
una graduale quanto ineluttabile
metamorfosi, dall’umano
all’animale (serpenti, sirene, cervi),
ognuna di queste storie è
deliziosamente fuori tempo. Nel
senso che qui il tempo si nasconde, è
come sospeso: tanto che ci stupiamo
di incontrare oggetti per noi di uso
normale, come computer e schermi
al plasma. Eppure, nonostante o
malgrado la presenza costante della
tecnologia, ogni vicenda potrebbe
accadere in un passato indefinibile,
alla Poe, alla James. Il libro è
corposo, pervaso da un evidente
piacere di narrare, ma si presta
meglio di un romanzo a una lettura
lenta, consigliabile per lasciarsi
meglio afferrare dall’angoscia che
sale dalle pagine, abbandonandosi
al sottile piacere del terrore.
C
N
Padre e figlio
cardiopatici
e l’amico medico
che vuole salvarli,
sullo sfondo
di una cittadina
immaginaria
dove la solitudine
della classe media
può celare grande
fede o molti dubbi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
BIANCA GARAVELLI
ALESSANDRO ZACCURI
on era stato a Treblinka, ma i sopravvissuti allo sterminio lo consideravano uno di loro. Forse perché quell’orrore, quella desolazione il poeta Halpern (però si firmava solo H.) Leivick l’aveva già
descritta con vent’anni d’anticipo: «Mi capite? Nella Quinta Torre/ si affolleranno gli ebrei/ sbattuti fuori dalle loro case.../
Mi capite? Dalle case si può scacciare le persone,/ ma non dalle rovine./ Ecco perché nella
Quinta Torre/ non ci sarà più posto e straboccherà di ebrei...». Potrebbe essere il nome in codice di un lager e invece la Quinta Torre è il simbolico avamposto in cui si svolge la parte centrale del Golem, il dramma che Leivick compose in lingua yiddish tra il 1917 e il 1920 a New
York e che andò in scena per la prima volta a Mosca, in versione ebraica, nel 1925.
Da quella parte del mondo, in effetti, l’autore
proveniva. Nato nel 1888 in «uno dei più miserabili borghi ebraici di tutta la Bielorussia» (Igumen, l’attuale Cerven’), a 18 anni Leivick era
stato deportato in Siberia per sospette attività
antizariste. Rilasciato nel 1912, aveva fortunosamente raggiunto gli Stati Uniti al termine di
una peregrinazione durata mesi. La sua produzione poetica, già avviata all’epoca dell’arresto, era ripresa a New York, dove a dispetto
della fama crescente lo scrittore si guadagnava
da vivere come imbianchino e tappezziere.
Nel Vecchio Continente era tornato nel 1946,
per un lungo viaggio nei luoghi della Shoah promosso dal Congresso mondiale ebraico. Non
aveva mai rinunciato a scrivere in yiddish, la
lingua franca dell’ebraismo centro-orientale alla quale, anche in sede letteraria, stava ormai
subentrando il recupero dell’ebraico biblico.
Leivick morì a New York nel 1962, dopo 4 anni
trascorsi in una paralisi pressoché completa.
Un dettaglio, quest’ultimo, che lo rende ancora più simile ai personaggi del suo Golem, nel
quale diseredati e mendicanti si affollano attorno alla creatura misteriosamente chiamata
in vita dal Maharal, il più potente rabbino della Praga rinascimentale.
Quella del Golem è, in effetti, una tradizione
paradossale. Non solo perché il Maharal storico (Yehuda Löw ben Betsalel, vissuto tra 1520
e 1609) fu un intellettuale illuminato, molto distante dallo stregone descritto in tante versioni della leggenda. Il dato più sorprendente è
però un altro e riguarda la diffusione della figura
del Golem nella cultura popolare, veicolata
principalmente dal celebre film muto diretto
nel 1920 dal tedesco Paul Wegener, di cui sono
note le successive simpatie naziste. Ma anche
cristiana dell’anima, dell’umanesimo
cristiano (...) Dite quel che vi pare: il
cristianesimo resta uno dei due pilastri
su cui poggia la civiltà occidentale:
l’altro è l’antichità mediterranea (...) La
lotta al cristianesimo nella quale
Nietzsche si è consumato fu una
innaturale eccentricità che mi lascia
sempre perplesso (...) Goethe, con
maggiore equilibrio e libertà mentale,
non si è lasciato prendere dal suo
"convinto paganesimo" e ha reso al
cristianesimo i suoi omaggi più
eloquenti, considerandone tutta la sua
potenza moralizzatrice».
una trilogia pubblicata nel 2013
che può senza dubbio definirsi un piccolo capolavoro per
l’intensità della storia, per la
perfetta coesione di vicende
personali e dimensione corale,
per il senso di implacabile bellezza che creano alcuni momenti cardine della narrazione.
La storia è ambientata a Falls, la
cittadina immaginaria della
Carolina del Nord, circondata
da sterminati campi di tabacco,
che compare spesso nell’opera
di Gurganus. Lo scenario permette di rappresentare il mondo della classe media, la sua
quotidianità e gli effimeri riti,
quasi a nascondere quell’incompiutezza che caratterizza
le vite di tre uomini, legati da
un’amicizia che sembra na-
scondere altro. Ognuno, a suo
modo, sembra risolvere la propria esistenza riempiendola di
una riconoscibilità e di una sicurezza che mostra continuamente crepe e debolezze e che
troverà nel finale, a causa di un
evento naturale, un epilogo
drammatico.
Indimenticabili sono le figure
dei protagonisti: "Red" Mabry,
il padre; Bill, suo figlio; "Doc"
Roper, il medico che ha saputo
farsi benvolere da tutta la cittadina per la capacità di cura all’insegna di un’inconsueta umanità. Padre e figlio si sono legati a lui, perché la loro grave
cardiopatia ereditaria li pone a
rischio continuo della vita e
nessuna cura, se non la prevenzione, può metterli al sicu-
ro. Il dottore si ripromette di
non lasciarli soli, di vigilare sulla loro salute, quasi una sfida
con se stesso e con il destino.
Anche quando va in pensione
e sembra lasciare orfani i cittadini di Falls, dedicandosi a
un’arte bizzarra – la costruzione di esche di legno, per lo più
anatre –, continua le visite settimanali ai due pazienti.
Di intensità rara è il momento
in cui Gurganus racconta la
morte di Red, sul campo da golf,
con il medico che tenta di rianimare l’amico e sembra sconfitto rispetto alla sua promessa. Si contrappongono due figure: la forza morale del padre,
sorretta dal valore del credere
(«Mio padre, una persona pura, non offriva altro che la sua
fede») e la continua incertezza
del figlio che non sa risolvere i
suoi dubbi. Un figlio che si stupisce del coraggio paterno, così diverso da quel luogo sicuro
che è il suo silenzio e vive come
in «una ballata rock sulla vita
che continua a scorrere dentro
di me e fuori di me». Nonostante i rumori del mondo
affollato di Falls, nel libro vibra
il senso di una profonda solitudine che Gurganus non giudica, ma afferra e sottende, tra zone d’ombra e rischi della vita.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Silvio Raffo
Allan Gurganus
L’ESCA
Playground
Pagine 240. Euro 17,00
LE INSIDIE CELESTI
Otto racconti neogotici italiani
Robin. Pagine 372. Euro 22,00
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