Giuseppe Cuscito (Trieste) L’area semantica di novus / novitas nell’epigrafia paleocristiana Prima di inoltrarsi nel tema epigrafico vero e proprio, è opportuno prendere le mosse dall’area semantica di novus / novitas nel testo biblico e nelle testimonianze patristiche, cui anche il linguaggio delle epigrafi di committenza cristiana si adegua specie, ma non solo, nella comunicazione di valori spirituali. Basta sfogliare un volume di concordanze o qualche sito internet per rendersi conto delle occorrenze di novus e delle sue applicazioni nelle fonti bibliche e specie in quella parte della Scrittura che chiamiamo Nuovo Testamento, con espressione mutuata I Cor. 11, per affermare la radicale novità del cristianesimo e la nuova alleanza (kainé diathéke) tra Dio e il suo popolo suggellata non col sangue degli animali ma col sangue di Cristo, agnello immacolato. Se passiamo a considerare il cospicuo gruppo delle iscrizioni sepolcrali di committenza cristiana, si può dire che esse si muovono nell’ambito delle funzioni e dei significati che caratterizzano l’epigrafia funeraria romana: la commemorazione del defunto, l’identificazione della sepoltura e la sua protezione dipendono da una tradizione secolare più che da un’autonoma iniziativa della nuova fede, che tuttavia, col suo richiamo escatologico, suggerisce, sia pure senza sistematicità e rigore, espressioni e segni volti a costituire uno specifico genuinamente cristiano con richiami diretti o impliciti alla sua novità. Ci troviamo insomma di fronte a una produzione in cui, per almeno due secoli (IV-V), interagiscono simultaneamente simbiosi e metabolismo, riprese e trasformazioni secondo uno dei tratti più tipici della tarda antichità. Per definire i caratteri distintivi e quindi la novità dell’epigrafia di età postcostantiniana, è necessario fare ricorso alla categoria di “mondo nuovo” già evocata come proiezione di quei fenomeni che intorno ai primi decenni del IV secolo coinvolsero ovunque la comunità dei cristiani con tracce significative anche nelle forme e nei contenuti della produzione epigrafica. Lo statuto di religio licita riconosciuto alla nuova fede e la coesistenza con una radicata tradizione pagana, le conversioni di massa, lo sviluppo del culto dei martiri e la gerarchizzazione della Chiesa istituzionale dovevano lasciar intendere ai contemporanei di essere entrati in una nuova stagione. Nelle epigrafi di committenza cristiana, sono sintomi di questo “mondo nuovo” il “rientro” dei dati retrospettivi del defunto, già esclusi dal “laconismo arcaico”, largamente attestato fra II e III secolo nei cimiteri ipogei di Roma, e la maggiore visibilità di uno “specifico cristiano”. Perciò l’epitaffio dei cristiani ritorna ai modelli della prassi funeraria romana con la memoria della vita terrena, con la costante menzione della depositio, che fissa la cadenza delle ricorrenze anniversarie, e con segni evocativi del credo religioso dei committenti. Direi che l’esemplificazione più eloquente di un linguaggio calibrato fra tradizione e innovazione ci viene dall’epitaffio concordiese di [M]arsilla, in distici elegiaci che si segnalano per la forte sintesi di valori umani e di ricordi classici, di cultura antica e di novità cristiana: si tratta di una bambina di due anni e venti giorni, quam nova lux animae servat et alma fides (“salvata dalla nuova luce dell’anima e dall’alma fede”). Se poi passiamo alle manifestazioni di evergetismo largamente praticato nell’antichità soprattutto dal ceto sociale di alto potenziale economico, è facile osservare non solo la novità nella composizione dei testi e nei valori di riferimento, ma anche la frequente occorrenza degli stessi termini di novus e novitas in relazione ai nuovi impianti di culto per la sinassi liturgica.