Lezione 4 - Dipartimento di Fisica e Astronomia

La nascita della Meccanica quantistica.
Dalla vecchia teoria dei quanti alla fisica delle particelle
Giulio Peruzzi
Dipartimento di Fisica e Astronomia
Università di Padova
Master Comunicazione delle Scienze
G. Peruzzi (Dip. di Fisica e Astronomia)
La nascita della Meccanica Quantistica
Padova, 15 febbraio 2013
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Indice degli argomenti
1
Nuove scoperte “rivoluzionarie”
2
Cronologia
3
La vecchia teoria dei quanti
L’atomo di Bohr
4
La meccanica quantistica
“Anomalie” e “paradossi”
Il dibattito Einstein-Bohr (1927-1935)
5
Forze e particelle
Che cos’è una particella
Vedere il visibile e l’invisibile
6
Dall’ultra piccolo all’ultra grande
7
Conclusioni: anche su ciò di cui non si è parlato
G. Peruzzi (Dip. di Fisica e Astronomia)
La nascita della Meccanica Quantistica
Nuove scoperte “rivoluzionarie”
Grandi sviluppi del XIX secolo
La rinascita dell’atomismo nell’Ottocento: la chimica e la teoria
cinetica dei gas
Pneumatica, elettricità, magnetismo e luce incrociano sempre più
frequentemente le loro strade (sul versante sia scientifico sia
tecnologico): denominatore comune è l’interesse per i cosiddetti
bagliori nel vuoto.
Lo studio sistematico dei “bagliori nel vuoto” è all’origine delle tre
fondamentali scoperte - i raggi X, la radioattività e l’elettrone dalle quali partono le rivoluzioni della fisica del XX secolo: la
teoria della relatività di Einstein e la meccanica quantistica.
In particolare la scoperta dell’elettrone è il primo passo verso
l’indagine della costituzione atomica (e subatomica) della materia.
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Nuove scoperte “rivoluzionarie”
Nuove scoperte “rivoluzionarie”
Spettroscopia (Gustav
Robert Kirchhoff e Robert
Wilhelm Bunsen, 1859)
Funzione universale per la
radiazione di corpo nero
(Gustav Robert Kirchhoff,
1860)
Raggi X (Wilhelm Conrad
Röntgen, 1895)
Radioattività (Antoine
Henri Becquerel, 1896)
Elettrone (Joseph John
Thomson, 1897)
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Cronologia
1900-1925 - Vecchia teoria dei quanti (corpo nero, effetto
fotoelettrico, modelli atomici, calori specifici).
1925-1926 - la meccanica quantistica: la teoria che unifica i vari
modelli fenomenologici introdotti nel periodo della vecchia teoria
dei quanti.
1933-1934 - Prima teoria delle interazioni deboli (Enrico Fermi).
1947-1949 - L’elettrodinamica quantistica: armonizza la teoria
della relatività ristretta con la meccanica quantistica, un modello
per le successive teorie che trattano delle particelle elementari.
1964-1979 - La nascita del Modello Standard delle particelle.
Parallelamente a questi sviluppi teorici, si dispiegano sviluppi
tecnologici di grande portata. In particolare quelli che sotto il nome di
“elettronica” segnano la nostra epoca.
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La vecchia teoria dei quanti
Il corpo nero
Il 14 dicembre del 1900 Max
Planck esponeva ai membri della Società di Fisica Tedesca le
assunzioni teoriche alla base
della legge di radiazione di corpo nero, quella da lui presentata nella stessa sede due mesi
prima.
In questa comunicazione compariva per la prima volta la costante h in connessione con
il postulato di quantizzazione
dell’energia: E = hν.
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La vecchia teoria dei quanti
Utilizzando un procedimento di calcolo già introdotto da Boltzmann nel
1877, Planck ipotizzava che, mentre l’energia della radiazione
elettromagnetica nel vuoto si distribuiva con continuità ed era regolata
dalle equazioni classiche di Maxwell, la materia fosse costituita da
minuscoli oscillatori elettrici che assorbivano e emettevano energia
radiante E solo per quanti discreti: E = hν (dove ν è la frequenza
dell’oscillatore materiale).
È quindi da qui che prende l’avvio la teoria dei quanti?
Sì e no. Planck era un fisico classico. L’accettazione di una
ineliminabile discretizzazione dell’energia e in generale delle
grandezze fisiche su scala atomica richiese vari anni. Furono prima di
tutto Einstein e Eherenfest, tra il 1905 e il 1906, a giustificare
pienamente la soluzione di Planck. Si imponeva la necessità della
quantizzazione dell’energia non solo per gli oscillatori materiali ma
anche per la radiazione elettromagnetica. La discretizzazione delle
grandezze fisiche non trovava spiegazione nella fisica classica.
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La vecchia teoria dei quanti
I maggiori risultati della vecchia teoria dei quanti
La spiegazione dell’effetto fotoelettrico (Einstein, nel 1905, premio
Nobel nel 1922).
Le prime teorie quantistiche dei calori specifici [Einstein, nel 1907,
Peter Debye, nel 1912, Max Born e Theodor von Kárman, nel
1912].
L’ atomo di Niels Bohr (nel 1913) con i suoi successivi affinamenti
introdotti, tra il 1915 e il 1916, da Bohr e da Arnold Sommerfeld,
che culminano nella prima spiegazione della tavola periodica degli
elementi (Bohr, 1918-22).
Questi fondamentali risultati stimolarono un crescente lavoro di ricerca
teorica e sperimentale che sarebbe confluito, tra il 1925 e il 1926, in
quella che è oggi nota come meccanica quantistica, i cui nomi di
riferimento sono Werner Heisenberg e Erwin Schrödinger.
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La vecchia teoria dei quanti
L’atomo di Bohr
Proposte di modelli atomici
Jean Perrin (1870-1942) introduce l’atomo planetario nel 1901.
Hantaro Nagaoka (1865-1950) introduce nel 1903 il modello
saturniano: nucleo centrale di carica positiva intorno al quale gli
elettroni ruotano formando anelli analoghi a quelli prodotti dai
detriti orbitanti intorno a Saturno.
Kelvin-Thomson: “modello a panettone” (1902-1903).
Rutherford: prova sperimentale dell’atomo nucleato (1911).
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L’atomo di Bohr
Vedere il visibile e l’invisibile
Uno strumento di uso diffuso: l’occhio.
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La vecchia teoria dei quanti
L’atomo di Bohr
L’esperimento di Rutherford (1911) prototipo delle attuali tecniche di
indagine attraverso l’analisi degli urti tra particelle e della loro
diffusione (tecniche di scattering).
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La vecchia teoria dei quanti
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L’atomo di Bohr
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La vecchia teoria dei quanti
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L’atomo di Bohr
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L’atomo di Bohr
Problemi generali dei modelli atomici (1897-1933)
Qual è la natura della carica positiva necessaria a rendere neutro
l’atomo e trattenere gli elettroni? (il protone viene scoperto nel
1919)
Qual è il numero degli elettroni che costituiscono i diversi atomi?
Come ricavare le dimensioni atomiche?
Come spiegare l’assenza del collasso per emissione di radiazione
da cariche accelerate?
Come spiegare la forma delle serie spettrali?
Quali sono i meccanismi che portano alla radiazione spettrale e
alla radioattività, e quali parti dell’atomo vi sono implicate?
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La vecchia teoria dei quanti
L’atomo di Bohr
Solo nei primi mesi del 1913, lasciati gli impegni accademici e ritiratosi
in campagna con la moglie, Bohr compie la svolta decisiva nelle sue
ricerche.
Fino a quel momento si è occupato solo di questioni legate agli atomi
in stati non eccitati, ma nel febbraio del 1913, conversando
casualmente con un suo collega assistente nel laboratorio di fisica del
Lœreanstalt, Bohr viene a conoscenza di alcuni risultati delle ricerche
spettroscopiche, in particolare dell’esistenza della formula di Johann
Jacob Balmer.
1
1
ν=R
−
con n = 1, 2, 3 e m > n e intero.
n2 m2
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L’atomo di Bohr
... nessuno penserebbe di poter gettare le basi della biologia partendo
dai colori dell’ala di una farfalla...
“Si pensava - ricorda Bohr in un’intervista del 1962 - che gli spettri
fossero meravigliosi, ma che non fosse possibile fare molti progressi in
quel campo. Era come osservare l’ala di una farfalla, con la regolarità
del disegno e i suoi bei colori: nessuno penserebbe di poter gettare le
basi della biologia partendo dalla colorazione dell’ala di una farfalla.”
“Si andava diffondendo, in relazione ad argomenti del genere
[riguardanti l’atomo e l’interpretazione delle serie spettrali], l’abitudine
di far ricorso alle idee di Planck.”
Lo stadio avanzato raggiunto dalle ricerche di Bohr sull’atomo, gli
permette subito di cogliere la particolare importanza della formula di
Balmer. “Appena vidi la formula di Balmer tutto mi sembrò
immediatamente chiaro”.
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La vecchia teoria dei quanti
L’atomo di Bohr
On the Constitution of Atoms and
Molecules, la “grande trilogia” del
1913, si basa su due assunti:
(1) Che l’equilibrio dinamico dei
sistemi negli stati stazionari può
essere discusso con l’aiuto della
usuale meccanica, mentre il passaggio dei sistemi tra due diversi stati stazionari non può essere
trattato su questa base.
(2) Che quest’ultimo processo
è seguito dall’emissione (o dall’assorbimento) di una radiazione
omogenea, la cui frequenza è legata all’energia emessa (o assorbita) secondo la teoria di Planck
[ν = E/h].
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L’atomo di Bohr
Tra il 1914 e i primi anni ’20, la teoria di Bohr riceve una serie di
sorprendenti verifiche sperimentali e viene ulteriormente sviluppata a
opera, prima di tutto dello stesso Bohr e di Sommerfeld.
L’interpretazione della tavola periodica degli elementi, ottenuta da Bohr
tra il 1920 e il 1922 (Hafniae, nome latino di Copenhagen), insieme a
quella della struttura fine degli spettri degli atomi idrogenoidi, segna il
punto più alto della cosiddetta “vecchia teoria dei quanti”.
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La meccanica quantistica
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La meccanica quantistica
La meccanica quantistica
1925-26. La meccanica
quantistica: per oggetti
molto piccoli (dimensioni
atomiche o sub-satomiche)
non valgono più la
meccanica classica e
l’elettromagnetismo
classico.
1925 - Prima formulazione
(meccanica delle matrici):
Heisenberg, Born e Jordan,
e indipendentemente Dirac.
1926 - Seconda
formulazione (teoria
ondulatoria): Schrödinger.
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La meccanica quantistica
“Anomalie” e “paradossi”
Onda-corpuscolo
La meccanica quantistica ci insegna che l’alternativa classica,
onda
o particella,
non è ben posta: una particella
può comportarsi come un’onda
o come una particella a seconda del tipo di dispositivo sperimentale che viene utilizzato.
Il “fenomeno” è un complesso
di cui fa parte il sistema fisico
da osservare e lo strumento di
misura.
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“Anomalie” e “paradossi”
Tra il 1926 e il 1927 molti degli artefici della meccanica quantistica
passano dall’Istituto di Copenhagen. Così Bohr ha occasione di
discutere, a più riprese, dei problemi della interpretazione della
meccanica quantistica con Dirac, Heisenberg, Schrödinger, Pauli e
molti altri.
Frutto di quelle discussioni sarà la scoperta delle relazioni di
indeterminazione da parte di Heisenberg (1927),
∆p∆q ≥ h ∆E∆t ≥ h ,
e l’introduzione del principio di complementarità, proposto da Bohr per
la prima volta al Congresso per il centenario della morte di Volta
(Como, settembre del 1927).
Il principio di complementarità di Bohr si configura, in un certo senso,
come un’interpretazione filosofica delle relazioni di indeterminazione,
ma in realtà è qualcosa di più: è il tentativo di spiegare l’evidenza
macroscopica di descrizioni mutuamente esclusive dei fenomeni.
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La meccanica quantistica
“Anomalie” e “paradossi”
La nostra interpretazione dei dati sperimentali - scrive Bohr - si basa
essenzialmente sui concetti classici, ed è per questo che ci poniamo il
problema se un elettrone sia un’onda o un corpuscolo.
Nel caso classico, però, la relazione tra oggetto osservato e strumento
di misura può essere, almeno in linea di principio, controllata
perfettamente, e quindi, se l’elettrone è un corpuscolo non può essere
un’onda, o viceversa: in altre parole il fisico classico è in grado di
dedurre dal risultato della misura che una delle due descrizioni è
errata.
Nel caso quantistico invece, dato che una realtà indipendente nel
senso fisico usuale [classico] del termine non può essere attribuita né
al fenomeno né agli strumenti di misura, il fisico deduce che l’elettrone
è un’onda o un corpuscolo a seconda dello strumento di misura che
utilizza. Per ottenere una generalizzazione naturale del modo classico
di descrivere le cose, conclude Bohr, è necessario considerare
l’insieme delle rappresentazioni mutuamente esclusive dei fenomeni.
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“Anomalie” e “paradossi”
Il problema della causalità
Una volta introdotto il momento del fotone (quindi anche la sua
direzionalità) Einstein si domanda: come fa il fotone a sapere in quale
direzione muoversi?. Il fatto di affidare al caso l’istante e la direzione
dei processi elementari è un punto debole della teoria: Che cosa
determina l’istante in cui il fotone viene emesso spontaneamente?
Che cosa decide in quale direzione andrà?.
Il carattere casuale degli eventi spontanei continua a tormentare
Einstein. Lettera a Besso del 1917: Sento che finora il vero indovinello
di cui l’eterno inventore di enigmi ci ha fatto dono non è stato affatto
compreso. E a Born nel 1920: La faccenda della causalità tormenta
molto anche me. L’assorbimento e l’emissione di quanti di luce
possono essere intesi nel senso richiesto da una causalità assoluta, o
esiste uno scarto statistico? Devo confessare che mi manca il
coraggio di una convinzione; tuttavia mi dispiacerebbe moltissimo
dover rinunciare alla causalità assoluta.
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La meccanica quantistica
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Il dibattito Einstein-Bohr (1927-1935)
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La meccanica quantistica
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Il dibattito Einstein-Bohr (1927-1935)
Fasi salienti del dibattito tra Einstein e Bohr
1. Il V Congresso Solvay (24-29 ottobre 1927, su “elettroni e fotoni”,
presenti tra gli altri Planck, Einstein, Bohr, Heisenberg, Schrödinger,
Dirac, de Broglie, Kramers, Pauli, Eherenfest).
2. Il VI Congresso Solvay (20-25 ottobre 1930, sul magnetismo).
3. Pubblicazione dell’articolo di Einstein, Podolsky e Rosen, “Can
Quantum-Mechanical Description of Physical Reality Be Considered
Complete”, Phys. Rev. 47 (1935), pp. 777-780, la risposta di Bohr in
un articolo con lo stesso titolo che compare sul Phys. Rev. 48 (1935),
pp. 696-702.
[cf. P. Schilpp, Albert Einstein: philosopher scientist, 1949, tr. it.
Boringhieri 1958 e ancora nel 1979 con il titolo “Autobiografia
Scientifica”]
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La meccanica quantistica
Il dibattito Einstein-Bohr (1927-1935)
Le questioni dibattute possono essere inquadrate nei tre seguenti temi:
(I) Demarcazione tra classico e quantistico. Esiste, nel sistema fisico
complessivo costituito dal
Ssistema fisico + Aapparato di misura ,
una linea di demarcazione (difficilmente definibile in via di
principio, ma identificabile di volta in volta a seconda del sistema
complessivo preso in esame) tra parti classiche e parti
quantistiche (cioè sostanzialmente che obbediscono alle relazioni
di indeterminazione).
(II) Consistenza della teoria. Einstein tenta di ideare esperimenti
ideali che evidenzino una inconsistenza (contraddittorietà) della
teoria.
(III) Completezza della teoria. Ammessa la consistenza, la teoria offre
davvero una descrizione completa dei sistemi fisici?
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La meccanica quantistica
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Il dibattito Einstein-Bohr (1927-1935)
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La meccanica quantistica
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Il dibattito Einstein-Bohr (1927-1935)
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La meccanica quantistica
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Il dibattito Einstein-Bohr (1927-1935)
Il problema della misurazione in meccanica quantistica
Sia S un sistema fisico e A uno strumento di misura. Lo stato di S sia
descritto da c1 ψ1 + c2 ψ2 e quello di A (inizialmente) da αi , ... Allora
l’evoluzione del sistema complessivo S + A è esprimibile come segue:
ΨiS+A = (c1 ψ1 + c2 ψ2 ) αi → ΨfS+A = c1 ψ1 α1f + c2 ψ2 α2f
ma ΨfS+A è uno stato puro diverso da una miscela statistica che
vorrebbe ψ1 α1f con probabilità |c1 |2 e ψ2 α2f con probabilità |c2 |2 per le
diverse letture su A. Cioè:
|c1 ψ1 α1f + c2 ψ2 α2f |2 6= |c1 ψ1 α1f |2 + |c2 ψ2 α2f |2
In ΨfS+A ‘coesistono’ tutti gli stati che pure sono macroscopicamente
distinti (stato inconcepibile). Bisogna ammettere il postulato di
proiezione.
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La meccanica quantistica
Il dibattito Einstein-Bohr (1927-1935)
Il gatto di Schrödinger (“Die
gegenwärtige Situation in der
Quantenmechanik”[L’attuale situazione nella M.Q.], Die Naturwissenschaften 23 (1935), 823828, 844-849) [ristampato in
Wheeler e Zurek (eds.), Quantum Theory of Measurement,
Princeton 1983]:
(c1 ψ1 + c2 ψ2 ) (GAT T O)i →
c1 ψ1 (GAT T O)vivo +c2 ψ2 (GAT T O)morto
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Forze e particelle
Forze e particelle
1921 - James Chadwick ed Étienne Bieler: prima evidenza delle
interazioni nucleari (interazioni forti), quelle che tengono insieme
neutroni e protoni nel nucleo atomico. La teoria arriverà solo negli
anni ’70 (cromodinamica quantistica).
1933 - Enrico Fermi: interazioni nucleari (interazioni deboli).
Prima teoria del decadimento β (un neutrone decade in un
protone + elettrone + neutrino): n → p + e− + ν
1949 - Sin-Itiro Tomonaga, Julian Schwinger, Richard P. Feynman:
elettrodinamica quantistica, la prima teoria di campo quantistica
prodromo agli sviluppi del Modello Standard delle particelle.
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Forze e particelle
Che cos’è una particella
Che cos’è una particella?
Dal punto di vista sperimentale una particella è un pacchetto
rivelabile di energia e impulso. Questo vale sia per le particelle sia
per le quasi-particelle (fononi, plasmoni, ecc.)
La teoria attuale della materia e dei campi prende il nome di
Modello Standard delle particelle
mec. quantistica + rel. ristretta = teoria quantistica dei campi.
Costituenti della materia: leptoni e quarks. Proprietà di invarianza
(simmetrie locali) specificano la natura e la struttura delle
interazioni (elettrodeboli e forti).
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Forze e particelle
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Che cos’è una particella
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Forze e particelle
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Forze e particelle
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Che cos’è una particella
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Che cos’è una particella
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Forze e particelle
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Forze e particelle
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Che cos’è una particella
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Che cos’è una particella
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Forze e particelle
Vedere il visibile e l’invisibile
Aumentando l’energia aumenta la risoluzione. Le particelle
possono comportarsi come onde la cui lunghezza d’onda va come
l’inverso dell’energia: più piccola è la lunghezza d’onda (più alta è
l’energia) maggiore è la risoluzione.
E = hν e ν =
hc
c
→λ=
λ
E
E = mc 2 . Una particella di massa m può essere ‘creata’ solo se
si dispone di abbastanza energia.
Gli acceleratori si basano su questi due fondamentali caratteri
(quantistico e relativistico) degli ‘oggetti’ microfisici e, allo stesso
tempo, permettono una loro verifica.
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Forze e particelle
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Vedere il visibile e l’invisibile
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Forze e particelle
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Vedere il visibile e l’invisibile
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Vedere il visibile e l’invisibile
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Forze e particelle
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Vedere il visibile e l’invisibile
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Dall’ultra piccolo all’ultra grande
Dall’ultra piccolo all’ultra grande
Ancora Einstein: 1917 - “Considerazioni cosmologiche nella teoria
della relatività generale” da cui prende le mosse la teoria del Big
Bang.
Il Modello standard delle particelle incontra il Modello standard
dell’Universo (la teoria del Big Bang).
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Dall’ultra piccolo all’ultra grande
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Conclusioni: anche su ciò di cui non si è parlato
Conclusioni: anche su ciò di cui non si è parlato
Sul versante filosofico: distinzioni obsolete?
Teoria/esperimento
Osservabile/inosservabile
Induttivo/deduttivo
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Conclusioni: anche su ciò di cui non si è parlato
Infine sarà bene riflettere ulteriormente sulla percezione immediata dei
micro-oggetti e sulla ostensione, mediante la quale possiamo indicarli
a un interlocutore.
È frequente in una riunione di fisici vedere uno di essi che, indicando
una zona di un fotogramma o di una diapositiva, dice: “Questo è un
elettrone, questo è un protone”, e così via.
Che cosa indica costui? Indica la traccia di granuli di argento anneriti
(o di goccioline di nebbia o di bollicine) causata dalla particella che è
passata di lì. È chiaramente il caso del leone di Herschel. Ma si badi
bene che qui la teoria è indispensabile. Non è vero che qualcuno
abbia mai veduto la vera e propria particella e che, resosi conto con
quell’osservazione che la particella genera quella traccia, abbia poi
concluso che tutte le volte che c’è quella traccia c’è quella particella.
Ma diciamo di più.
G. Peruzzi (Dip. di Fisica e Astronomia)
La nascita della Meccanica Quantistica
Padova, 15 febbraio 2013
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Conclusioni: anche su ciò di cui non si è parlato
Alcune particelle non hanno carica elettrica (sono neutre) e non
lasciano traccia alcuna. Eppure il fisico le vede lo stesso! Per esempio
punta una zona del fotogramma e dice: “Questa è una particella
lambda”.
Come può farlo? In realtà lui e i suoi colleghi sanno - in base alla
teoria che condividono - che due eventi separati sul fotogramma
devono essere connessi dalla traiettoria rettilinea ed invisibile di quella
particella neutra che ha trasmesso l’azione. Ma, intendiamoci bene,
nessuno di quei fisici fa ogni volta il ragionamento che gli permette di
risalire dalla traccia alla particella. Chi è esperto del mestiere
semplicemente vede un elettrone, un protone, una lambda, ecc. Oggi,
partendo da certi effetti, sui quali non vogliamo dilungarci, si giunge
perfino a vedere i quarks, che pure non possono esistere al di fuori dei
sistemi di cui fanno parte.
G. Toraldo di Francia, Le cose e i loro nomi, Laterza, Bari 1986, pp. 128-29.
G. Peruzzi (Dip. di Fisica e Astronomia)
La nascita della Meccanica Quantistica
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Conclusioni: anche su ciò di cui non si è parlato
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