"Per una nuova Euridice: cinquant'anni di Nuova Consonanza" Cinquant’anni non sono pochi per un’associazione musicale; soprattutto in un paese come il nostro, popolato da una miriade di iniziative culturali di breve respiro e spesso destinate a fiorire e svanire subito dopo, con una rapidità a dir poco sorprendente. In questo contesto, la longevità di Nuova Consonanza può essere interpretata come il segno più evidente di una volontà di esistere (e di resistere) che merita di essere valutata con attenzione e rispetto; non solo per tracciare un bilancio della sua attività passata, ma anche per interrogarsi sulle sue prospettive future. Come ogni impresa di lungo corso, anche Nuova Consonanza ha attraversato negli anni diverse fasi di maggiore o minor fulgore. Rispetto ad altre associazioni musicali, ha sempre avuto un carattere fortemente “corporativo”: fondata da un gruppo di compositori all’inizio degli anni Sessanta, è ancor oggi formata in prevalenza da compositori accomunati dall’esigenza di impegnarsi in prima linea nella promozione della musica contemporanea. Di per sé, questa vocazione corporativa non rappresenta necessariamente un limite: chi altri, meglio dei compositori, potrebbe adoperarsi per la salvaguardia e lo sviluppo di un patrimonio culturale che li vede coinvolti in prima persona? Per molti autori, la possibilità di dedicare tempo ed energie alle attività organizzative di Nuova Consonanza è spesso diventata anche un modo per esercitare una vera e propria “militanza attiva” nel campo delle politiche culturali. Un’azione animata non solo dal desiderio di creare le condizioni ottimali per svolgere la propria attività artistica, ma anche dall’ambizione di poter incidere sulle sorti del tessuto culturale del nostro paese. Non sempre, tuttavia, questa legittima ambizione è stata sostenuta da una chiara volontà politica di avviare una più ampia riflessione sullo statuto di identità della musica contemporanea, sulla sua vocazione culturale e sul suo ruolo sociale. In linea generale, la musica contemporanea si qualifica come un genere musicale di ricerca, caratterizzato da una forte attitudine alla sperimentazione. Questa definizione tuttavia non basta, di per sé, a qualificare l’esistenza di un vero e proprio “genere” poiché la 1 musica, giova ricordarlo, è sempre e innanzitutto un fatto sociale. Ciò che concorre alla definizione di un genere non è solo un insieme di tratti linguistici – che consentono tutt’al più di qualificare uno stile – quanto piuttosto l’esistenza di un insieme di norme, atteggiamenti e valori condivisi da una comunità di persone che, nell’atto stesso di ascoltare quella musica, si identificano con il suo patrimonio di significati e contribuiscono a qualificarlo come un universo musicale reale e possibile. D’altra parte, una musica totalmente svincolata dall’orizzonte di attese di una comunità (sia pur piccola) di ascoltatori non ha mai avuto, né potrà mai avere, un’autentica ragion d’essere. Anche perché un pezzo di musica non è un oggetto, ma un evento che si concretizza solo nell’atto della sua performance: e cioè solo nel momento in cui viene interpretato, eseguito, ascoltato, commentato o rivisitato nell’immaginario di tutte le persone che partecipano, a vario titolo, all’esperienza musicale. Questo non significa negare ai compositori la possibilità di esplorare nuovi universi sonori, ma semplicemente accettare l’idea che la libertà individuale non si esaurisce nell’esercizio del libero arbitrio o nel perseguimento dei propri bisogni interiori. La libertà è anche e soprattutto una forma di responsabilità sociale che ogni artista dovrebbe considerare un’esigenza irrinunciabile, piuttosto che una forma di limitazione. Nel celebrare i cinquant’anni di attività di Nuova Consonanza non si può fare a meno di riconoscere che la ricchezza della sua programmazione concertistica non ha sempre goduto di un ampio riscontro in termini di partecipazione di pubblico. La questione è annosa, ma proprio per questo non appare più rinviabile; soprattutto, non può più essere affrontata in termini semplicistici, come se si trattasse di un problema legato solo ed esclusivamente alla scelta di determinati stili e linguaggi compositivi. Spesso la musica contemporanea che Nuova Consonanza propone nei suoi concerti non risulta più “ostica” o complessa di tante altre musiche legate a generi diversi, che tuttavia possono beneficiare di un pubblico magari ristretto, ma comunque fedele e appassionato. In altri termini, la possibilità di attivare un rapporto costruttivo di scambio, condivisione e partecipazione con una comunità di ascoltatori non è un 2 problema legato solo alla dimensione acustica (e cioè alla scelta di particolari forme, tecniche e linguaggi musicali), ma anche una questione che chiama in causa, prepotentemente, una complessa dialettica di identità personali, culturali e sociali. In una società pluralistica, complessa e multietnica come la nostra, dove la rete ci mette ogni giorno a disposizione una biblioteca pressoché sterminata di possibili offerte musicali, l’atto di ascoltare musica diventa una scelta deliberata e consapevole che è strettamente legata alle nostre personali scelte di vita. Che ci piaccia o meno, noi siamo anche la musica che ascoltiamo: nel momento in cui scegliamo di ascoltare un certo tipo di musica, infatti, veniamo a condividere in modo più o meno consapevole anche il suo universo di significati e di valori. Valori che vanno ben al di là della sfera sonora perché investono modelli di pensiero, comportamenti, etica sociale, spiritualità, concezione politica e visioni del mondo. Riconoscere l’importanza di tutti questi aspetti non significa cedere alle lusinghe dell’easy-listening, o perdere quella tensione sperimentale che ha sempre rappresentato il tratto distintivo della programmazione di Nuova Consonanza. Significa, semplicemente, coltivare quella vocazione alla partecipazione, alla condivisione e alla socialità che dovrebbe rappresentare un elemento irrinunciabile di ogni esperienza artistica. D’altra parte, il nome dell’associazione si presta benissimo ad essere declinato anche in questa prospettiva. Nell’intenzione dei fondatori la scelta di questo nome, ripreso dalla prefazione alla partitura dell’opera Euridice scritta da Jacopo Peri nel 1600, rappresentava un esplicito riferimento a una delle avventure più entusiasmanti e pionieristiche della nostra tradizione musicale. La “nuova consonanza” vagheggiata da Peri avrebbe infatti propiziato la nascita del teatro musicale, l’affermazione della monodia accompagnata e la nascita dell’armonia moderna; ma anche l’apertura dei primi teatri pubblici, la moltiplicazione dei luoghi di produzione culturale, una diffusione più capillare e democratica della musica e la creazione di nuove comunità di ascoltatori. Forse anche oggi un’associazione come Nuova Consonanza può coltivare l’ambizione di promuovere iniziative musicali capaci di incidere 3 profondamente sulla realtà che ci circonda. A patto di interpretare la novità della consonanza non solo come un dato puramente tecnico-linguistico, ma anche come una nuova, consonantica empatia in grado di coinvolgere una comunità di ascoltatori in un’avventura che sappia davvero interagire con i bisogni, le speranze e la sete di idealità e utopie del nostro tempo. Susanna Pasticci 4