Passaggio a Oriente Senza dover scomodare per forza Malebranche, Montaigne o Pascal, cui per altro ricorre Alain - uno dei maggiori filosofi dell’arte francesi, e non solo, del Novecento, ingiustamente trascurato - è sufficiente aprire il suo Système del Beaux-Arts, edito nel 1920, per accertarsi che il primo capitolo di quel suo trattato è saggiamente dedicato alla ‘Folle du Logis’, ‘la matta di casa’, di cui qui, nella mostra “Passaggio a Oriente”, aperta dal 6 settembre al 12 ottobre presso “Arte per Voi” in piazza Conte Rosso n. 3, ad Avigliana, si trovano ben nove autorevoli testimonianze, per di più, tutte convergenti attorno ad uno stesso tema. La ‘matta di casa’, secondo la colorita espressione francese, non è altro che la fantasia, l’immaginazione, che si trova in tutti noi e che per alcuni, (forse) più fortunati, sa trasformarsi in immaginazione creatrice e, per questo, presiede all’invenzione artistica; “qui noi fabbrichiamo la cosa immaginata; fabbricata, la cosa per questo stesso è reale, e percepita da non dubitarne .. la fantasia ha bisogno di oggetti. E le arti compaiono ormai come rimedi alla fantasticheria, sempre triste ed errabonda .. E soprattutto accade che i gesti disegnino una forma davanti agli occhi; la matita errante, nel fermare quei gesti, darà alla fantasticheria come un passato, una storia. Si scopre che, meglio del discorso, il disegno e infine la scrittura porteranno i nostri sogni” (Alain). Ecco, più o meno e un po’ alla spiccia, come prende forma concreta il sogno dell’oriente nelle fantasie amorose di Silvana Alasia, nelle proiezioni – chissà quanto autoidentificative di Nadia Brunori, nel fervore plastico di Enrica Campi, o nelle onde cromatiche che scaturiscono dalle memorie dei suoi soggiorni giapponesi nelle matrici xilografiche o mokuhanga di Mara Cozzolino, intenta a rendere omaggio al grandissimo Hokusai. I trapassi onirici, di tavola in tavola, nelle ceramiche raku di Giuliana Cusino – ancora una volta con un puntuale omaggio ad una tecnica che viene dal lontano oriente – danno, come dice Alain, “alla fantasticheria come un passato, una storia” e “il disegno [ovvero la sua traduzione in opera plastica] e infine la scrittura porteranno i nostri sogni”, conferendo alle opere una dimensione narrativa pura, perché affonda in remoti stati spazio-temporali dell’essere. Claudia Esposito, invece, indaga nel teatro Nō, fatto di una scena disadorna, contrapposta alla stilizzazione dei movimenti degli attori, all’estrema ricchezza dei costumi e all’impiego delle maschere (omote: Omote Ko-jo, il vecchio, Omote Shikami, la violenza, Omote Hannya, il talismano protettivo contro gli spiriti maligni), che hanno più valenze e per lo più mostrano differenti espressioni e sentimenti e, potendo incarnare entità superiori, hanno funzioni di mediatrici tra il tempo mitico e quello storico. La pazientissima e geniale arte dell’Origami, evocata da Sonia Girotto, affiancata ad abilissime realizzazioni ceramiche, che comprendono l’occorrente per la cerimonia del the, così come le composizioni di piatti giapponesi tra sushi e dolci raffinati, opera di Lilia Rinetti, sembrano riportarci, ma solo per un istante e senza volerne tradire la loro indubitabile origine nel pensiero visivo estremo-orientale, a certe ricerche artistiche occidentali del XX secolo, tra orientalismi, astrattismo optical e iperrealismo. Conclude la rassegna la giocosa e teatralissima invenzione Sherazade, opera di Massimo Voghera, a vivaci colori su semirefrattario bianco, e veramente all’insegna della ‘Folle du Logis’: “qui noi fabbrichiamo la cosa immaginata; fabbricata, la cosa per questo stesso è reale, e percepita da non dubitarne .. la fantasia ha bisogno di oggetti. E le arti compaiono ormai come rimedi alla fantasticheria, sempre triste ed errabonda …” (Alain). Paolo Nesta