Prof. Monti - a.s. 2015/2016 - Brevi note sulla Rivoluzione francese
La Rivoluzione francese
1. Introduzione
« Sfogliando il libro di storia, o meglio il racconto dell’infelicità dell’umanità, il
giovane incontrerà in continuazione re, grandi nobili e dappertutto gli oppressi, a
ogni pagina il popolo considerato come un branco di animali. »
Circa due secoli fa, questo è il prologo di un manuale di storia utilizzato in Francia dopo
l’introduzione del sistema scolastico statale obbligatorio. La scuola per tutti, ricchi e poveri, era una
novità alla quale ci si abituò a stento. Prima della Rivoluzione, in Francia come altrove, il
mestiere dello studente era riservato a pochi: ciò che era un privilegio (una "libertà"!) da ricchi,
ora è un diritto comune.
Questa, con cui abbiamo cominciato, è una delle opportunità che la Rivoluzione ha portato
con sé. Il brano citato, che dipinge il passato di re e nobili come un passato di ingiustizie, dà l’idea
di come vi fosse la consapevolezza di vivere qualcosa di nuovo e di opposto a ciò che viene proprio
in quegli anni chiamato “antico regime”.
La Francia divenne una repubblica nel 1792, con una costituzione che parla di libertà
individuale e uguaglianza: aspirazioni che solo in parte verranno realizzate e che, anzi, dopo il
1799 verranno ampiamente contraddette.
Quel libro di testo, già dopo pochi anni, suonava ingenuo...
2. Verso la Rivoluzione
Abbiamo visto come nell’Europa della seconda metà del ‘700, i sovrani dell'assolutismo
illuminato tentarono di eliminare i privilegi fiscali dei ceti privilegiati: nobili e alto clero. Così
accadde anche in Francia, ma senza successo.
Alla vigilia del 1789 il 2% della popolazione francese deteneva fra il 35% e il 40% delle
proprietà fondiarie (cioè i terreni agricoli), che costituivano la principale fonte di ricchezza
della nazione (la più parte della popolazione era, infatti, impegnata in attività legate
all’agricoltura).
Questo 2% della popolazione (1,5% nobili e 0,5% clero) o non pagava tasse o ne era in buona
misura esente. Il peso della fiscalità ricadeva, proprio come abbiamo visto in relazione all’impero
Asburgico, sul cosiddetto "Terzo Stato": contadini, commercianti, artigiani, capi manifatturieri,
salariati...
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I primi due Stati, come se non bastasse, spesso potevano richiedere tributi ai contadini (le
tradizionali giornate di lavoro, le corvées, o altro), occupavano le cariche dello Stato, esercitavano
le funzioni di giudici.
La situazione economica e sociale quando Luigi XVI (1754-1793, re dal 1774) cominciò a
regnare si trovava ormai a un punto di svolta. Dopo diversi decenni di prosperità nel commercio
e nell’industria, l’economia tendeva a ristagnare.
Ad essere più colpiti furono i contadini – sempre più vessati dalle tasse statali e dai contribuiti da
versare a nobili e chierici – e i lavoratori salariati urbani, ridotti alla povertà dall’aumento dei
prezzi dei beni primari.
La società era sempre più polarizzata: da un lato fame e la miseria, dall’altro lusso e sfrenatezza.
I cattivi raccolti del 1788 e 1789 porteranno all’estremo questa situazione.
Il bilancio statale era in pessime condizioni, né si poteva pensare di accrescere le entrate: chi
già pagava le tasse non poteva pagare di più! L’unica possibile soluzione, come già accaduto in
Austria, era quella di modificare la distribuzione del prelievo fiscale, estendendo la tassazione.
Diversi controllori delle finanze (l'attuale ministro dell'economia) si avvicendarono, seguendo
due strategie alternative.
-1-
La prima, di ispirazione fisiocratica, ebbe per interpreti Turgot (1775-1776) e Calonne
(in carica nel 1786) e consistette in una politica economica liberista (ricordate le teorie
dell'economista inglese Adam Smith!): eliminazione dei vincoli al commercio e nella piena
realizzazione della proprietà privata della terra, interventi che a loro avviso avrebbero
accresciuto la ricchezza del Paese e dunque la base imponibile. Vi fu anche l'imposizione di
una tassa fondiaria senza esenzioni.
-2- L’altra strategia di intervento fu quella messa a punto da Jacques Necker (1776-1781), il
quale mirò a ridurre la spesa pubblica, colpendo gli sprechi dell’apparato burocratico, dei
costi della corte, dei regali e dalle pensioni che Luigi XVI distribuiva ai suoi favoriti.
Nel 1781 Necker giunse a rendere pubblico il bilancio dello Stato (in questo modo gli
sprechi della corte vennero conosciuti da tutti e divennero oggetto di pubblica riprovazione):
questo atto, di non poco coraggio, gli costò il posto. La stessa cosa era accaduta a Turgot
prima di lui.
Facendo leva sui parlamenti (come sicuramente ricordate, i parlamenti erano in Francia tribunali
aventi il diritto di sospendere l’esecuzione dei decreti sovrani) nobili e clero erano negli anni
precedenti riusciti a bloccare tutte le riforme in materia fiscale. Notate l’ironia: i parlamenti si
presentavano come difensori del popolo contro la esosità del re, come paladini di una più giusta
distribuzione delle tasse!
Nel 1787 il Parlamento di Parigi rifiutò, per l’ennesima volta, di approvare le nuove imposte:
il re allora decise di scioglierlo, ma dal paese sorse la protesta (da parte di tutti e tre gli stati...), che
indusse il sovrano a cedere e a convocare gli Stati Generali per il maggio 1789.
Questa, per il re, era una mossa quasi disperata: pensate che l’ultima convocazione di questa
antica istituzione era avvenuta nel 1614, quasi 180 anni prima! Gli Stati Generali altro non erano
se non un’assemblea costituita da rappresentanti eletti dai tre stati. Negli intendimenti del re,
l’assemblea avrebbe dovuto prendere decisioni importanti per risolvere finalmente la questione del
risanamento pubblico.
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Clero e nobiltà, assai astutamente, continuarono a guidare la protesta, pur essendo animati
dalla recondita intenzione di non cambiare nulla. La convocazione degli Stati Generali, però,
generò grandi aspettative nella popolazione e molte voci si levarono, affidandosi ai tradizionali
elenchi delle lamentele (cahiers de doléances), documenti nei quali si dovevano indicare per
iscritto i motivi di malcontento e le proposte di soluzione.
In tutta la Francia la popolazione si mobilitò, ovunque si discusse il da farsi, poco per volta
emerse un’opinione pubblica relativa alla situazione, opinione alternativa a quella proposta dai
Parlamenti.
Si vede qui l’importanza che l’Illuminismo aveva avuto nei decenni precedenti: lo spirito di
critica ne era emerso assai acuito e andava a colpire non solo il re, ma anche i primi due stati,
detentori di privilegi che apparivano agli occhi del popolo sempre meno giustificabili!
Non da trascurare fu anche l'interesse che, soprattutto in Francia, aveva destato la Rivoluzione
americana di non molti anni prima!
Nel gennaio 1789 l’illuminista abate Emmanuel Joseph Sieyès (1748-1836) pubblicò un testo dal
titolo Che cos’è il terzo stato? nel quale attaccò nobili e clero, accusandoli di parassitismo.
Egli sostenne la necessità di leggi uguali per tutti, piena libertà di pensiero ed espressione,
sovranità al popolo, eliminazione degli stati. La monarchia, a suo avviso, si sarebbe dovuta
trasformare da istituzione esistente per “grazia divina” ad espressione di un contratto
liberamente accettato, e dunque revocabile (monarchia costituzionale).
Oltre al primo e al secondo stato, Sieyès criticò anche l’assolutismo regio: in effetti egli
indicava stati e monarchia assoluta come poli contrastanti, ma complementari: in fondo la
figura di un re legittimato dalla volontà divina non era forse la migliore delle assicurazioni
per i ceti privilegiati?
Sieyès propose tre importanti domande, le cui risposte avrebbero dovuto guidare al
cambiamento:
« Che cos’è il Terzo stato? Tutto! Che cosa è stato sinora
nell’ordinamento politico? Nulla! Che cosa chiede? Di contare
qualcosa! »
Perché il Terzo stato è "tutto"? Semplice: il Terzo stato costituisce la stragrande maggioranza
della popolazione, inoltre solo il Terzo stato è attivo, perché è l'unico a lavorare e a produrre!
Perché il Terzo stato conta "nulla"? Per capirlo basta guardare la composizione degli Stati
Generali. Si trattava di tre assemblee distinte, ciascuna con il medesimo numero di deputati: le
diverse deliberazioni venivano prima discusse e votate all’interno di ogni singola assemblea, poi, in
una seconda e decisiva votazione, ogni assemblea esprimeva un singolo voto!
Questo, in concreto, significava che il 98% della popolazione contava la metà del 2% della
popolazione!
In attesa che i lavori assembleari cominciassero, alcuni esponenti del Terzo stato chiesero due
modifiche al regolamento: un raddoppio dei loro rappresentanti (da 300 a 600) e l’istituzione di
un’ unica assemblea, all’interno della quale votare “per testa”.
Si pensava e sperava che tra i nobili – ma soprattutto fra i chierici – si manifestassero defezioni
individuali rispetto all’orientamento di massa, in modo che alcune proposte del Terzo stato
potessero ottenere l’approvazione assembleare.
Il re, su consiglio di Necker, aderì alla prima richiesta, ma non alla seconda! In questo modo, ancora
una volta, non sarebbe cambiato nulla.
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Nel frattempo la tensione salì. Esasperati dalla fame, gli abitanti di un quartiere popolare di
Parigi manifestarono nell'aprile 1789: chiesero la riduzione del prezzo del pane e
appoggiarono le rivendicazioni del Terzo stato. Sul terreno rimasero 300 vittime, colpite
dall’esercito: questo fu il primo segnale di una mobilitazione popolare di massa, che nei mesi
seguenti avrebbe scandito gli eventi, contribuendo a far sì che le ragionevoli richieste del Terzo
stato sfociassero nella rivoluzione.
3. La Rivoluzione
Gli Stati Generali erano da poco riuniti quando il Terzo stato e quei membri degli altri due Stati
che simpatizzavano con loro, decisero di costituirsi come rappresentanza unica del paese,
giurando di non sciogliersi sino all’ottenimento di una costituzione (costituzione che contemplasse
l’abolizione degli ordini e la sovranità popolare).
Il re avrebbe voluto far immediatamente chiudere tale assemblea, autodefinitasi “Assemblea
nazionale costituente”, che si riuniva in un salone detto della Pallacorda, ma venne anticipato
dall’insurrezione popolare.
Il 14 luglio 1789, il popolo parigino assaltò ed espugnò la Bastiglia, prigione simbolo del
dispotismo monarchico, arrivando addirittura a costringere il re a rendere omaggio alla coccarda
bianca, rossa e blu che i rivoltosi avevano assunto a simbolo.
Nei giorni successivi tutta la Francia si mobilitò, destituendo le autorità in carica. Nei municipi
delle città venne istituita la Guardia Nazionale (una milizia civica armata che era espressione della
popolazione e contrapposta all’esercito regio), mentre nelle campagne i contadini si ribellarono
ai signori, reclamando l’abolizione di tutte le vessazioni che subivano.
Alla fine di luglio era ormai chiaro che una doppia rivoluzione è in atto: quella dei membri
dell’Assemblea costituente (costituita dagli strati più alti del Terzo Stato: mercanti, professionisti...)
e quella popolare, spinta dalla fame e dalla miseria. Di fatto le due rivoluzioni convissero a lungo,
portando allo smantellamento delle istituzioni di antico regime e anche della monarchia: come
sappiamo, la Francia diverrà una repubblica...
In seguito alle rivolte di luglio, la Costituente in agosto proclama l’abolizione dei diritti feudali
(cioè dei diritti signorili), dei titoli nobiliari e di ogni privilegio fiscale.
Alla fine dello stesso mese, viene diffusa la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, la
quale fissava i principi di libertà di fronte alla legge degli individui e del diritto di partecipare alla
legislazione.
Questo documento pareva realizzare nei fatti le aspirazioni del Terzo Stato. La Rivoluzione
era finita?
Molti lo pensarono, ma fu ancora una volta il popolo a prendere l’iniziativa. Nell'ottobre del
1789, infatti, vi fu una marcia popolare sulla reggia di Versailles, provocata dal rincaro dei prezzi
e dal rifiuto del re di firmare le deliberazioni dell’agosto, appena ricordate. La marcia si concluse
con il trasferimento forzato della corte e del re a Parigi, sotto il controllo della Costituente e del
popolo. Da questo momento, la pressione del popolo sull’Assemblea fece sì che le sue scelte
cominciassero a divenire più radicali.
Come abbiamo già ricordato, la Rivoluzione era nata sotto la guida della porzione più ricca del
Terzo stato – e le ragioni di questa Rivoluzione sembravano, ormai, venute meno – ma a questo
punto il popolo povero chiese di più: diventare il vero depositario del potere, esercitandolo tramite
strumenti democratici.
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Ovunque sorsero una serie di club: luoghi di riunione e discussione aperti a chi era dalla parte del
nuovo ordine. Essi contribuirono ad organizzare in un vero e proprio movimento il desiderio
della popolazione di essere protagonista della politica.
Nel frattempo all’interno della Costituente, si formarono fazioni che si riferivano all’uno o
all’altro di questi club.
Il club dei Giacobini si riuniva in un collegio di frati domenicani (che erano chiamati proprio
“giacobini”): il loro orientamento era radicalmente repubblicano (volevano, cioè, il passaggio dalla
monarchia alla repubblica) malgrado la loro estrazione borghese. In seguito il termine “giacobini” si
estese e fu usato per indicare in genere tutti i “rivoluzionari radicali”.
Il club dei Cordiglieri si riuniva in un convento di francescani, chiamati appunto “cordiglieri”.
Erano, in effetti, ancora più radicali dei giacobini ed avevano una base popolare.
Vi era, poi, il club della cosiddetta “Società del 1789”, al cui interno si distingueranno, a partire dal
1791, i più moderati Foglianti che auspicavano il varo di una monarchia costituzionale.
Assemblee, dibattiti pubblici, lettura di giornali periodici, votazioni, manifestazioni… Così
era la vita dei club e ad essa prendeva parte ogni strato sociale. Molte persone cominciavano a
prendere gusto per la politica, che era vista non più come riservata solo ai tecnici e agli strati più
elevati...
La cittadinanza cercava la possibilità di partecipare alla gestione del potere pubblico da parte
di una cittadinanza non più disposta all’obbedienza passiva. Il movimento superò i confini dei
club, sfociando addirittura in riti e cerimonie di una nuova religione, il culto della dea Ragione,
che rifiutava il principio della sottomissione all’autorità predicato dalla religione cristiana
tradizionale.
Su questo sfondo magmatico, la Costituente cercò di portare avanti la sua attività legislativa,
ora facendosi influenzare dalla “piazza”, ora arginandola.
Nel 1791 venne promulgata la Costituzione. Si trattava di un testo assai moderato, che
selezionava gli elettori per censo (cioè in base alla loro ricchezza) con un sistema a doppio grado
(cioè con due votazioni), in contrasto alla logica egualitaria, ed affidava al re l’esecutivo e il diritto
di veto sui provvedimenti legislativi emanati dalla rappresentanza nazionale.
Si tennero le prime elezioni politiche, ove ben pochi votarono al secondo grado (colpa della
distinzione fra cittadini attivi e passivi: non potevano votare le donne e, in generale, gli strati più
umili della popolazione). Questa politica, pure assai "conservatrice" dello status quo, suscitò
l’ostilità di molti aristocratici, che abbandonarono la Francia.
Il clero, poi, era spaccato al suo interno e, per lo più, risultava ostile al nuovo governo. Alcune
leggi del 1790, infatti, ne avevano ridotto l’autonomia e alterate le funzioni. Prima del 1789, la
Chiesa aveva rappresentato una sorta di Stato nello Stato, con le sue immunità e ricchezze. Ora i
beni ecclesiastici vennero requisiti, statalizzati, e infine venduti a privati. Inoltre i sacerdoti
vennero trasformati in funzionari statali, tenuti a prestare giuramento alla Costituzione e alla
nazione. Molti religiosi si rifiutarono di compiere tale passo e, proprio come molti nobili,
emigrarono.
4. Il passaggio dalla monarchia alla repubblica
Abbiamo detto che parte delle persone appartenenti ai vecchi ceti privilegiati - Primo e
Secondo stato - hanno abbandonato il paese. Essi, però, sono ora pronti ad organizzare una
controrivoluzione con l’appoggio degli altri sovrani europei: di fronte al radicalizzarsi della
rivoluzione, infatti, emerge in Europa il timore che essa si possa allargare ad altri Paesi.
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Nel giugno 1791 anche Luigi XVI, con la moglie Maria Antonietta d’Asburgo, cercò la via
della fuga, probabilmente con l’intenzione di chiedere aiuto all’estero. La fuga però non fu bene
organizzata e, prima che il re con i suoi famigliari potessero oltrepassare il confine francese, venne
scoperto e ricondotto a Parigi.
La notizia della tentata fuga si diffuse molto in fretta – anche se, ufficialmente, si parlò di un
"tentato rapimento" – e il prestigio del sovrano ne soffrì enormemente. Ormai divenuto a tutti gli
effetti un ostaggio, nel settembre 1791 Luigi XVI diede il proprio consenso alla Costituzione la
quale, come sappiamo, dava all’Assemblea nazionale il potere legislativo.
Nel frattempo la crisi economica si faceva sempre più grave: i club premevano sull’Assemblea
nazionale perché emanasse provvedimenti atti a migliorare le condizioni di vita del popolo, che
continuavano a peggiorare. Si temeva, inoltre, che i Paesi che avevano accolto gli emigrati
dichiarassero guerra alla Francia.
Molti, in questa situazione di estrema difficoltà, cominciarono a dichiararsi apertamente favorevoli
alla instaurazione della Repubblica.
In effetti, nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, oltre alla libertà e
all’uguaglianza, si citava anche la fraternità.
Qual era il senso di questo termine? Se, tradizionalmente, i sudditi di un sovrano erano descritti
come figli sottoposti all'autorità paterna, autorità che derivava da Dio stesso, ora la sottolineatura
passava alla fratellanza allo scopo di sottolineare l'uguaglianza dei diritti fra tutti i cittadini, diritti
che anche il sovrano era tenuto a rispettare.
Nell’aprile del 1792, l’Assemblea legislativa dichiarò preventivamente guerra all’Austria, che
più di tutti pareva preparare l’invasione della Francia (e non a caso: sul trono austriaco sedeva un
nipote di Maria Antonietta, Francesco II). Quasi subito, a fianco dell’Austria, si schierò la Prussia.
La dichiarazione di guerra doveva essere approvata dal re e Luigi XVI, pur sapendo bene che la
Francia si trovava ad essere del tutto impreparata a un conflitto militare, approvò la scelta.
Per quale ragione? Il sovrano francese sperava in una sconfitta: il fallimento militare avrebbe
infatti segnato la sconfitta della Rivoluzione, cosa che avrebbe consentito al re di recuperare tutti i
poteri perduti.
La guerra, proprio come era nelle previsioni e desideri di Luigi XVI, prese subito una brutta piega
per la Francia: già nell’agosto del 1792 le truppe nemiche erano ormai accampate fuori Parigi.
Fu di nuovo il popolo di piazza, gli abitanti della capitale, a intervenire con forza. Una enorme
folla invase la residenza del re – a ragione sospettato di essersi accordato con i nemici –
costringendo l’Assemblea legislativa a dichiararne l’arresto e a indire nuove elezioni, questa volta a
suffragio universale maschile e non più in base al censo, come stabilito dalla Costituzione del
1791. La Convenzione nazionale espressa da queste nuove elezioni, avrebbe dovuto
trasformare la monarchia in repubblica e decidere sulla sorte del re.
Ma da chi era composto questo "popolo di piazza" a Parigi? Venivano chiamati “sanculotti”
(perché portavano pantaloni lunghi e non al ginocchio, come i ricchi) e provenivano per lo più dal
mondo dell’artigianato e del piccolo commercio: gente già abituata dal tempo delle corporazioni
alla solidarietà reciproca. Diffidavano dei ricchi e dei nobili e ambivano a limitarne il ruolo e
l’importanza. Il re era per loro solo il maggiore fra i signori.
La Convenzione nazionale fu, all’inizio, composta dal partito dei Montagnardi (più radicali,
espressione dei sanculotti parigini) e da quello dei girondini (più moderati, erano contrari
all’accentramento dei poteri a Parigi e sostenevano posizioni federaliste). I deputati non schierati da
una parte o dall'altra appartenevano invece alla cosiddetta Pianura (erano la maggioranza).
I più, comunque, accettarono l'idea che il re avesse tradito la Francia: in una cassaforte, infatti,
si trovarono delle lettere che dimostravano al di là di ogni dubbio le vere intenzioni del sovrano!
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Dopo una lunga e accesa discussione, si giunse a pronunciare un verdetto di condanna a morte. La
condanna sarà eseguita nel gennaio 1793 (con la ghigliottina, strumento da poco introdotto).
Da qualche mese la Francia, precisamente dal 21 settembre 1792, era stata dichiarata
Repubblica: l’esecuzione sancisce questa nuova situazione.
Tutto doveva essere nuovo: dopo il crollo della monarchia, la Convenzione modificò persino il
calendario! I nomi dei mesi mutano e la storia ricominciò, idealmente, da zero, con la data del 21
settembre 1792, appunto. Questo fu l’anno I della repubblica.
Ora, però, la Francia è più che mai in lotta con l’Europa intera.
Gli anni successivi: dopo le sconfitte iniziali, le sorti della guerra presero una buona piega per
l’esercito rivoluzionario, nonostante l’allargarsi della coalizione avversa. L'adozione di nuove
tecniche di battaglia (la linea orizzontale di fuoco viene sostituita con l'assalto diretto) portò buoni
frutti con numerose vittorie.
La situazione politica e sociale continuò però ad essere molto difficile: il Paese era ridotto alla
fame, anche a causa della guerra, inoltre si era diffusa la falsa convinzione che l’istituto della tasse
fosse stato cancellato.
La situazione si aggravò anche a causa dell’inflazione, dovuta all’abnorme aumento di emissione
dei cosiddetti assegnati (anche in piccolo taglio) e della loro conseguente veloce svalutazione.
L’emissione era cominciata alla fine del 1789: essi dovevano servire all’acquisto dei beni
nazionali sequestrati, in modo da sopperire al debito pubblico. Il Tesoro, però, era stato quasi
subito costretto a smettere di corrispondere i relativi interessi e anche da qui ebbe avvio la
svalutazione. I cittadini cominciarono a venir pagati dallo Stato con gli assegnati invece che in
moneta sonante, ma gli assegnati valevano sempre meno e la gente cominciò ad utilizzarli per i
normali acquisti quotidiani...
A questo punto i club premono sul governo perché intervenga in modo deciso, anche a costo di
limitare i principi libertari della rivoluzione.
Mentre il movimento dei sanculotti parigini si radicalizzava sempre più, in provincia e in
campagna cominciarono anche ad emergere, visto che le cose non andavano bene, dei
sostenitori del ritorno al passato.
Nel febbraio del 1793 il governo dichiarò la leva generale per difendere la patria: ecco che i
controrivoluzionari insorsero nella regione della Vandea (anche contro l’offesa recata alla sacra
figura del re e contro la religione di stato: le novità furono vissute da molti come un oltraggio alla
tradizione!). La repressione di questa rivolta fu assai sanguinosa e costò qualcosa come 150.000
vittime.
La mobilitazione popolare, come vediamo, si dimostrò a questo punto di segno opposto,
"reazionario". Ma qual è il confine fra rivoluzione e controrivoluzione? Che garanzie c’erano di
poter criticare il nuovo governo, senza per questo essere considerati sostenitori dell’antico regime?
Furono in molti, accusati di aver tradito la Rivoluzione, a pagare con la vita: gli ideali di
uguaglianza, libertà e fratellanza sbandierati dai rivoluzionari parevano, paradossalmente, più
lontani che mai!
5. Dal Terrore al Consolato
Nel 1793 La Convenzione cerca di venire incontro alle esigenze del popolo affamato: si stabilì
un "tetto" sia ai salari (pagati in assegnati) che ai prezzi dei beni di prima necessità: si trattò del
cosiddetto maximum.
Venne, inoltre, approvata una nuova Costituzione con un diritto elettorale assai più esteso di
quanto non avvenisse nella Costituzione del 1791. Contemporaneamente, però, si emanarono
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misure assai dure relative all’ordine pubblico, misure che portarono alla repressione di quelle
pratiche di democrazia che erano state l’anima della Rivoluzione.
La Costituzione dell’anno I, di fatto, non entrò mai in vigore. Non vi fu maggiore democrazia,
come in essa si prevedeva, ma il governo di fatto diviene una sorta di dittatura: chi era ritenuto
reo di tramare contro la patria e la Rivoluzione veniva giustiziato sommariamente.
Nella Convenzione il partito della Gironda – più moderata, ostile all’egemonia parigina rispetto alla
provincia e ostile al maximum – venne neutralizzato dal partito della Montagna: molti suoi capi
vennero ghigliottinati.
Nell’estate del ’93, a peggiorare le cose, divampò nel sud del Paese la rivolta “federalista”, che
aveva per obiettivo quello di sottrarre le province al controllo egemonico di Parigi e del suo
governo, ritenuto troppo influenzato dai sanculotti.
A questo punto, la Convenzione ordinò l’arruolamento di tutti i giovani maschi tra i 18 e i 25
anni, formando un enorme esercito di 700.000 uomini: esercito destinato a stroncare sia la rivolta
interna che la coalizione europea controrivoluzionaria. Si trattava di un esercito popolare: in parte
malvolentieri, ma in parte animati dal desiderio di difendere la patria e le conquiste della
Rivoluzione, i giovani francesi combatterono ora contro altri francesi ora contro le potenze
straniere.
Soddisfare i bisogni degli strati più umili aveva voluto dire mettere a rischio la libertà
economica (maximum) e persino la proprietà privata (uno dei punti fermi nei quali la borghesia
francese si riconosceva, identificando con essa il diritto a esercitare la politica).
Il dissenso interno, lo abbiamo visto, venne represso e la repressione giunse al culmine fra
l’inverno del ’93 e la primavera del ’94, quando alla guida del Comitato di salute pubblica
(istituito nell’aprile ’93 con lo scopo di sorvegliare l’attività dei ministri del Consiglio esecutivo)
troviamo il celebre Maximilien Robespierre (1758-1794), montagnardo assai aperto alle
rivendicazioni sociali della piazza.
Il periodo di influenza di Robespierre fu quello cosiddetto del “Terrore”: la repressione, oltre
alla Gironda, cominciò a colpire anche molti esponenti montagnardi.
Moltissime furono le esecuzioni di veri o presunti traditori della Rivoluzione: 1.400 persone in
pochi mesi!
Robespierre stesso non sopravvivrà al Terrore da lui scatenato: il 27 luglio 1794 viene arrestato
per ordine della Convenzione e giustiziato il giorno dopo, senza alcun processo.
Robespierre aveva emanato misure rigidissime per dare coesione sociale alla patria, minacciata
all’interno e all’esterno… È difficile mantenere l’equilibrio fra libertà ed eguaglianza!
Queste misure, ben presto, non vennero più ritenute utili: alla fine del giugno 1794, infatti,
l’esercito francese aveva ottenuto una grande vittoria contro l’esercito prussiano e la guerra,
dunque, volgeva al meglio. La patria non pareva più in imminente pericolo, cadeva dunque la
necessità di una politica così rigida e spietata: Robespierre, che tanto aveva fatto comodo, ora non
serviva più e divenne così un comodo “capro espiatorio”...
Abbiamo detto del Terzo Stato: esso promosse e difese la Rivoluzione, ma era tutt’altro che
omogeneo al suo interno. Sotto Robespierre avevano avuto maggior ascolto le componenti più
popolari, disposte a rinunciare alla libertà d’azione pur di ottenere giustizia sociale e fratellanza.
Cessato il pericolo, l’iniziativa poté tornare nelle mani degli strati più ricchi del Terzo Stato, i quali
non desideravano certo di assecondare i sogni di uguaglianza sociale radicale dei sanculotti e dei
montagnardi!
Caduto Robespierre, per alcuni anni il potere si trovò ad essere gestito da un Direttorio di cinque
membri nominato dalla Convenzione. La vita economica venne di nuovo liberalizzata.
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Venne inoltre revocata la Costituzione dell’anno I (cioè la costituzione del 1793) e venne emanata
una nuova Costituzione (dell’anno III - 1795): essa restrinse drasticamente il diritto elettorale, con
una soglia censitaria simile a quella della Costituzione del 1791.
Vediamo qualche dettaglio relativo alla Costituzione del ’95.
I cittadini, come già previsto nella Costituzione del ’91, erano anche qui divisi in passivi e attivi: i
primi sono definiti passivi a causa del reddito, troppo basso o addirittura nullo: costoro non
potevano votare. I cittadini attivi, invece, erano tutti coloro i quali avevano un reddito
sufficientemente elevato da poter votare.
La nuova costituzione prevedeva che tutti i cittadini attivi eleggessero 30.000 grandi elettori: tutte
persone dotate di un reddito elevato. I grandi elettori, a loro volta, dovevano eleggere il Corpo
legislativo, costituito da due assemblee: il Consiglio dei Cinquecento (500 deputati) e il Consiglio
degli Anziani (altri 250 deputati). Il Direttorio, eletto dal Corpo legislativo, doveva esercitare il
potere esecutivo.
Nei pur rigidi limiti della nuova costituzione, la Francia sperimentò per qualche tempo la
partecipazione dei cittadini all’esercizio del potere senza patire i drammi e le violenze del
precedente periodo di emergenza.
Pareva che la Rivoluzione potesse finalmente assestarsi in un assetto politico e sociale nuovo.
Le cose, però, andarono diversamente...
Fra ’94 e ’96 non mancarono infatti nuove agitazioni popolari. Nel 1796, in particolare, un
gruppo di Giacobini radicali guidati da Gracco Babeuf organizzò una cospirazione (la cosiddetta
“Congiura degli Uguali”) contro il governo. Questo tentativo di esercitare pressione popolare sul
governo, come era accaduto per altri tentativi simili, venne subito stroncato.
Sul versante opposto a quello dei Giacobini, ripresero slancio i filomonarchici, al punto tale da
riuscire vittoriosi nelle elezioni del ’97!
Il Direttorio, non potendo accettare tale risultato elettorale, lo annullò indicendo nuove elezioni
per l’anno seguente, sperando che gli elettori premiassero la loro politica moderata, ma questa volta
furono i Giacobini di “sinistra” ad avere la meglio e di nuovo le elezioni vennero annullate.
La situazione politica, come dovrebbe essere evidente, restò incerta e l’esercizio della
sovranità popolare rimase assai difficoltoso.
Sul fronte esterno, soprattutto militare, le cose parevano invece andar meglio. Gli eserciti
francesi, infatti, cominciarono ad ottenere successi anche al di fuori dai confini della Francia: i
generali, giorno dopo giorno, acquistarono così quella popolarità che i politici andavano via via
smarrendo... Fra questi generali c’è Napoleone...
Napoleone, come vedremo, compì grandi conquiste (istituendo nelle zone conquistate, come
l’Italia, repubbliche con istituzioni simili a quelle francesi) e tornò in patria dopo la spedizione
d’Egitto, nell’ottobre 1799.
Nel novembre 1799 vi fu un colpo di stato. Il Direttorio si rivelò incapace di controllare tanto la
sinistra giacobina quanto la destra filomonarchica, accadde così che il 9 novembre tre membri si
dimisero, mentre i deputati che rifiutarono di accogliere Napoleone vennero dispersi dall’esercito.
I deputati rimasti votarono la consegna del potere a tre consoli: Ducos, Sieyès e Bonaparte.
Con il Consolato, la rivoluzione intesa come partecipazione dei cittadini alla gestione dello
Stato, poteva dirsi finita.
Ebbe inizio l’età napoleonica.
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