L`organizzazione del sapere psicologico e le rappresentazioni del

GEORGES CANGUILHEM E LA PSICOLOGIA
GIOVANNI GUERRA
Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche
Università di Firenze
[pubblicato: Guerra G. (2001): “Che cos’è la psicologia?” Commento a un saggio di Georges
Canguilhem, Teorie & Modelli, VI, 3, 5- 25]
La psicologia è stata accompagnata, fin dal suo nascere in epoca moderna, da un inesauribile
dibattito intorno al suo statuto e alla sua collocazione tra le scienze. In tale dibattito, trova spazio
originale un contributo di Georges Canguilhem poco noto, a mia conoscenza, in Italia.
Georges Canguilhem, successore di Gaston Bachelard alla direzione dell’Institut d’histoire
des sciences, ben conosciuto per i suoi studi sulla storia e la filosofia della scienza, ha centrato la
sua ricerca sui problemi delle scienze biologiche e sulla medicina con particolare riguardo al tema
del normale e del patologico.
In questa produzione spicca come un qualcosa di singolare « Qu’est-ce que la
psychologie? » (d’ora in avanti QP). Presentata come conferenza al Collège philosophique il 18
dicembre 1956 poi pubblicata per la prima volta nella Revue de Métaphysique et de Morale
(numero 1 del 1958), ripresa in Cahiers pour l’Analyse (numero 2 del marzo 1966), la si trova in
« Études d’Histoire et de Philosphie des Science » (Vrin, prima edizione del 1968, quinta edizione
aumentata di un contributo sulla razionalità medica del 1983; il testo qui utilizzato è appunto
questo) 1.
Sulla psicologia Canguilhem tornerà in modo diretto solo una seconda volta nel 1980 in una
conferenza alla Sorbonne dal titolo “Le cerveau et la pensée” (ora in « Georges Canguilhem.
Philosophe, historien des sciences », Albin Michel, 1993). In questa intervento le questioni sono
quelle del senso del pensare, del rapporto cervello/pensiero, della possibilità di assimilare il
pensiero umano al funzionamento di una macchina.
Per quanto due interventi possano dare l’idea di un interesse poco più che estemporaneo, si
deve riconoscere che il modo di affrontare la psicologia si inserisce in modo estremamente coerente
nel pensiero di Canguilhem prolungandone alcune riflessioni cruciali.
Qui ci occuperemo del primo contributo che propone un’analisi della psicologia che, a mio
avviso, risulta ancor oggi profonda, preziosa e utile.
SINTESI DI « QU’EST-CE QUE LA PSYCHOLOGIE? »
La prima parte del lavoro è dedicata ad una discussione della natura della psicologia
sviluppata nel confronto con la filosofia. La ragione del confronto sta nel fatto che la domanda sul
senso e l’essenza della filosofia è costituiva della filosofia stessa, mentre la stessa domanda
sull’essenza o “più modestamente sul concetto” di psicologia mette in difficoltà lo psicologo che
allora preferisce ricorrere all’efficacia della disciplina, efficacia che peraltro è sempre discutibile.
Che l’efficacia sia discutibile non significa –precisa Canguilhem- che sia illusoria ma che è
mal fondata almeno fino a quando lo statuto della psicologia non sarà qualcosa di diverso da un
empirismo composito nel quale si mescolano una filosofia senza rigore, un’etica senza esigenze ed
una medicina senza controllo.
1
La maggior parte degli articoli pubblicati da Georges Canguilhem si trova raccolta in tre volumi: Connaissance de la
vie, 1a ed. Hachette, Paris, 1952, 2a ed. Vrin, Paris, 1965, (d’ora in avanti CV), pubblicato in Italia dal Mulino, 1976; a
questa edizione ci riferiremo, anche se la traduzione sarà nostra; Etudes d’histoire et de philosophie des sciences, Vrin,
Paris, 1a ed. 1968 (d’ora in avanti EHPS); Idéologie et rationalité dans l’histoire des sciences de la vie, Vrin, Paris,
1977 (d’ora in avanti IR). Come è consuetudine, non si cita l’articolo ma la raccolta, seguita dall’indicazione della
pagina.
1
Domandarsi cosa sia la psicologia non è dunque una domanda inutile né futile. A questo
punto, Canguilhem inserisce un passaggio fondamentale – a nostro avviso- che riportiamo in
traduzione integrale:
“Si è cercato a lungo l’unità caratteristica del concetto di una scienza nella direzione del suo
oggetto. L’oggetto detterebbe il metodo utilizzato per lo studio delle sue proprietà. Ma era, in
fondo, limitare la scienza all’investigazione di un dato, all’esplorazione di un campo. Quando è
apparso che ogni scienza si dà più o meno il suo dato e si appropria, per questa via, di ciò che si
chiama il suo campo, il concetto di una scienza ha progressivamente fatto menzione più del suo
metodo che del suo oggetto. O più esattamente, l’espressione oggetto della scienza ha ricevuto un
senso nuovo, l’oggetto della scienza non è più solamente il campo specifico dei problemi, degli
ostacoli da superare, è anche l’intenzione e la mira del soggetto della scienza, è il progetto specifico
che costituisce come tale una coscienza teorica.”(p.366).
Si può far apparire l’unità del campo di ricerca malgrado la molteplicità dei progetti
metodologici come ha fatto, per esempio, Daniel Lagache in « L’unité de la psychologie »
indicando la psicologia come teoria generale della condotta, sintesi di psicologia sperimentale,
psicologia clinica, psicoanalisi, psicologia sociale ed etnologia.
Tuttavia questa unità sembra un patto di coesistenza pacifica tra professionisti più che
rispondere ad un’essenza logica ottenuta dalla rilevazione di una costanza attraverso la varietà dei
casi. In particolare, l’accordo ricercato da Lagache tra psicologia sperimentale e psicologia clinica
si urta con la disomogeneità dovuta al fatto che la prima (compresa la psicologia animale) si
definisce per il suo metodo, la seconda (clinica, psicanalitica, sociale, etnologica) per il suo oggetto.
Ma si può parlare di una teoria generale della condotta finché non si è capito se vi è continuità o
rottura tra linguaggio umano e linguaggio animale, società umana e società animale? Comprensione
che potrebbe venire dalla scienza piuttosto che dalla filosofia, meglio ancora dal contributo di
diverse scienze, ivi compresa la psicologia. Ma proprio per questo la psicologia, per definirsi, non
può anticipare un giudizio su ciò che è chiamata a giudicare. Nel qual caso, infatti, la psicologia
farebbe sua una qualche idea di uomo. Bisogna pertanto permettere alla filosofia di domandare da
dove verrebbe quella idea e se non sia, in fondo, una qualche idea filosofica.
Si può tentare, in questo senso, la via opposta cioè cercare se non sia l’unità di un progetto a
conferire la loro eventuale unità alle differenti specie di discipline dette psicologiche. La ricerca dei
progetti, peraltro, richiede l’individuazione del senso di ciascuno non quando si è ormai perso
nell’automatismo dell’esecuzione ma quando sorge dalla situazione che lo suscita.
Si sviluppa così una storia della psicologia che si limita ai suoi orientamenti, in rapporto con
la storia della filosofia e delle scienze, con l’obiettivo di individuare il senso originario delle diverse
discipline, metodi o imprese psicologici. Canguilhem presenta tre grandi progetti, uno dei quali
articolato al suo interno in tre sottoprogetti.
I. La psicologia come scienza naturale.
Nei sistemi filosofici dell’antichità non c’è una psicologia indipendente. Gli studi sulla
psiche si trovano divisi tra metafisica, logica e fisica. Nella tradizione aristotelica, l’oggetto della
fisica è il corpo naturale e organizzato che ha la vita come potenza e pertanto la fisica tratta
dell’anima come forma del corpo vivente e non come sostanza separata dalla materia. In questo
senso, lo studio dei cinque sensi esterni e dei sensi interni (senso comune, fantasia, memoria) è
analogo allo studio della respirazione o della digestione. L’anima è una forma nella gerarchia delle
forme, anche se la sua funzione essenziale è proprio la conoscenza delle forma. La scienza
dell’anima è dunque una fisiologia nel senso etimologico del termine. È a questa concezione antica
che risalgono sia gli aspetti della moderna psicologia riconducibili alla psico- (neuro-endocrino)fisiologia sia la psicopatologia, in quanto disciplina medica, passando per Galeno, Gall e Broca.
II. La psicologia come scienza della soggettività.
Il declino della fisica aristotelica nel ‘600 fa nascere la psicologia come scienza della
soggettività. Sono i fisici meccanici del ‘600 i veri responsabili della psicologia come scienza del
soggetto pensante. La realtà del mondo, infatti, non è più confusa con il contenuto della percezione
2
e si propone proprio riducendo le illusioni dell’esperienza sensibile usuale. Si pone allora la
questione della responsabilità del soggetto dell’esperienza che non si identifica con la ragione
matematica e meccanica, unico strumento della verità e misura della realtà. Questa responsabilità è,
per i fisici, una colpa e la psicologia si costituisce dunque come discolpa dello spirito. Il progetto è
qui quello di una scienza che, di fronte alla fisica, spiega perché lo spirito, nella conoscenza, è per
natura costretto all’inganno della ragione.
II. A. La fisica del senso esterno.
La psicologia si presenta, in quanto scienza della soggettività, prima di tutto come
psicofisica per due ragioni. Prima di tutto perché non può essere meno di una fisica per essere presa
sul serio dai fisici. In secondo luogo perché deve cercare nel corpo la ragione dell’esistenza dei
residui irreali dell’esperienza umana. Siamo comunque lontani da una scienza dell’anima branca
della fisica perché la nuova fisica è calcolo e la nuova psicologia cerca di imitarla determinando le
costanze quantitative della sensazione e delle relazioni tra tali costanti. È la linea che a partire da
Descartes e Malebranche passando per von Helhmoltz giunge sino a Fechner e al tentativo di
Wundt di identificare, nelle leggi dei “fatti di coscienza”, un determinismo analitico analogo per
validità universale a quello offerto dalla meccanica.
II. B. La scienza del senso interno.
Ma la scienza della soggettività si propone e si presenta anche come scienza della coscienza di sé.
La storia di questa psicologia può essere descritta come quella dei contro-sensi di cui le Méditations
di Descartes sono state l’occasione. La coscienza dell’Ego cogito è la conoscenza diretta che
l’anima ha di sé come intelletto puro. Le Méditations sono chiamate da Descartes metafisiche in
quanto pretendono di cogliere direttamente la natura e l’essenza dell’ Io penso attraverso una
riflessione che, lungi dall’essere una confidenza personale, è un’introspezione con il rigore e
l’impersonalità delle matematiche. L’interno cartesiano non ha nulla in comune con il senso interno
aristotelico. Nella concezione aristotelica gli oggetti sono collocati interiormente, “dentro la testa” e
l’anima si può conoscere solo per la via indiretta della riflessione e del riconoscimento dei suoi
effetti. Viceversa, per Cartesio, l’anima si conosce direttamente e più facilmente di quanto conosca
il corpo. Da questa posizione derivano, nello stesso tempo, per opposizione una psicologia empirica
come storia naturale dell’Io – da Locke a Ribot, passando attraverso Condillac, gli Idéologues
francesi e gli Utilitaristi inglesi- e, sulla linea cartesiana, una psicologia razionale fondata
sull’intuizione di un Io sostanziale. Proprio contro questa posizione si leva la critica di Kant: non ci
può essere una scienza dell’io poiché è proprio l’io la condizione trascendente di ogni scienza; non
ci può nemmeno essere un’osservazione di sé perché l’atto dell’osservarsi modifica l’oggetto
dell’osservazione.
II. C. La scienza del senso intimo.
La psicologia atomistica e analitica dei sensualisti e degli Ideologi è rifiutata prima di tutti da Maine
de Biran che fonda la tecnica del giornale intimo e la scienza del senso intimo. L’io penso
cartesiano fonda il pensiero in sé; l’io voglio biraniano fonda la coscienza per sé contro l’esteriorità.
Maine de Biran giunge a due conclusioni: la prima è che la coscienza richiede il conflitto di un
potere e di una resistenza; la seconda è che l’uomo è un’organizzazione vivente servita da
un’intelligenza e non un’intelligenza servita dagli organi. Ne consegue che l’anima deve essere
incarnata, non c’è psicologia senza biologia: l’osservazione di sé non dispensa dal ricorso alla
fisiologia del movimento volontario. La questione del rapporto somato-psichico si articola con la
patologia dell’affettività e con la psicopatologia. Temi questi che risultano anche dai dibattiti che
Maine de Biran ebbe con i due Royer-Collard, il secondo dei quali- Antoine-Athanase- è, con Pinel
ed Esquirol, uno dei fondatori della scuola francese di psichiatria. La questione della psicopatologia,
già comparsa positivamente con Galeno, si ritrova qui come occasione per accennare al
rovesciamento introdotto dalla nozione di inconscio, analogo al rovesciamento da somato-psichico a
psico-somatico. Se si identifica psichismo e coscienza, l’inconscio è di ordine fisico; ma se si pensa
che una parte dello psichico possa essere inconscia, la psicologia non può ridursi a scienza della
coscienza. Lo psichico non è più solo ciò che è nascosto ma ciò che si nasconde, ciò che viene
3
nascosto, non più solo l’intimo ma l’abissale: la psicologia non è più solo la scienza dell’intimità
ma la scienza delle profondità dell’anima.
III. La psicologia come scienza delle reazioni e del comportamento.
Nel XIX secolo, a fianco delle psicologie precedentemente indicate, si costituisce anche una
biologia del comportamento umano. Tre tipi di ragioni sembrano sollecitare in questa direzione.
Ragioni scientifiche: la biologia si disegna come la scienza dei rapporti tra organismo e ambiente e
segnala la fine della convinzione di un regno umano separato dal resto dei viventi; ragioni tecniche
ed economiche: lo sviluppo dell’industria orienta l’attenzione verso il carattere industrioso
dell’uomo piuttosto che verso il pensiero speculativo; ragioni politiche: l’egualitarismo implica
l’expertise come determinazione della competenza ed eliminazione della simulazione. Rispetto alle
altre psicologie, questa si caratterizza per l’incapacità costituzionale di cogliere ed esibire con
chiarezza il suo progetto instauratore. In verità, il principio che ne permette la messa in opera deve
restare non formulato perché è il principio della definizione della natura dell’uomo stesso come
strumento, destinato ad essere messo al suo posto, al suo compito. Accettando di diventare una
scienza obiettiva delle attitudini, dell’apprendimento, delle reazioni e del comportamento, questa
psicologia e questi psicologi dimenticano di situare il loro comportamento specifico in rapporto alle
circostanze storiche e agli ambienti sociali nei quali propongono le loro tecniche. Non potendo
definire la psicologia sulla base di un’idea di uomo non si può nemmeno impedire a chicchessia di
dirsi psicologo e di chiamare psicologia ciò che fa. Ma nemmeno alcuno può impedire alla filosofia
di interrogarsi sullo statuto della psicologia che risulta mal definito sia dalla parte delle scienze sia
dalla parte delle tecniche. E su queste note Canguilhem conclude in modo caustico dicendo che il
filosofo può rivolgersi “allo psicologo sotto forma (…) di un consiglio di orientamento e dire:
quando si esce dalla Sorbona per la via Saint-Jaques, si può salire o scendere; se si sale, ci si
avvicina al Panthéon che è il Conservatorio di alcuni grandi uomini, ma se si scende, ci si dirige
sicuramente verso la Prefettura di Polizia” (p.381).
COMMENTO
Per analizzare l’articolo di Georges Canguilhem, valutarne la portata e interrogarsi sulla sua
attualità, conviene procedere utilizzando punti di vista diversi. Prima di tutto si tratta di collocare il
testo sia nel dibattito sulla psicologia dell’epoca sia nel contesto della originale ricerca
epistemologica canguilhelmiana. In secondo luogo, cercheremo di precisare la specificità della
critica di Canguilhem alla psicologia e di analizzarla a nostra volta criticamente. Infine, tenteremo
di valutare il contributo che, a distanza di tanti anni, può ancora fornire questa impostazione del
dibattito sulla psicologia.
1. COLLOCAZIONE STORICA DEL TESTO
1.1. Lagache e l’unità della psicologia
L’occasione che ha motivato QP sembra essere il testo di Daniel Lagache « L’unité de la
psychologie » pubblicato nel 1949. Che l’interlocutore sia Lagache è suggerito anche dal fatto che è
l’unico testo di psicologia citato esplicitamente in nota.
Prima di venire a questo testo, va ricordato che i rapporti tra Canguilhem e Lagache erano di
vecchia data, almeno sin dai tempi dell’École Normale che entrambi avevano frequentato nella
stessa promotion e che comprendeva, tra gli altri, Sartre, Aron, Nizan, Jankélévitch. Canguilhem
cita, in un’intervista a Bing e Braunstein (1998), la frequentazione con Lagache sia a Parigi sia a
Clermont-Ferrand come occasioni di incontro con la pratica clinica psicologica e psichiatrica. Non a
caso, dunque, Canguilhem, nella sua opera fondamentale « Essai sur quelques problèmes
concernant le normale et le pathologique », aveva citato Lagache discutendo appunto delle scienze
del normale e del patologico. A sua volta, Lagache cita Canguilhem in « L’unité de la
psychologie », ma già nel 1946 aveva dedicato una recensione allo “Essai” concludendo sulla
convergenza tra una filosofia dei valori impregnata di psicologia e una psicologia impregnata di
filosofia dei valori (Braunstein, 1999). Peraltro, questa supposta convergenza è quanto di più
4
lontano si possa pensare dalla filosofia di Canguilhem, un filosofia che aborre ogni forma di
psicologismo – come vedremo in dettaglio più avanti. E non è escluso che QP sia stata l’occasione
scelta da Canguilhem per regolare questo contenzioso.
Ne « L’unité de la psychologie » Lagache riprende la lezione con la quale, il 28 novembre
1947, aveva inaugurato il suo corso alla Sorbona nella quale era stato appena chiamato a ricoprire la
cattedra di psicologia generale. « L’unité de la psychologie » è ancora oggi edita presso le Presses
Universitaires de France ma risulta, in realtà, da un collage tra la lezione inaugurale e un secondo
articolo pubblicato nel 1966, che poi è diventato il primo capitolo del testo odierno. L’edizione del
1966 è una giustapposizione dei due contributi senza alcuna aggiunta o modificazione al testo della
lezione del 1947.
Nella lezione inaugurale, Lagache si proponeva di rispondere a Claparède che aveva posto la
domanda sull’esistenza di una o più psicologie. Lagache dapprima riconosce la presenza di due
tendenze nella psicologia: una prima che chiama “naturalista” il cui proposito è di stabilire le leggi
del comportamento umano, utilizzando metodi sperimentali e ispirandosi alle scienze della natura;
una seconda, detta “umanista”, che si ispira alle scienze umane e si propone di comprendere le
condotte individuali normali e patologiche, utilizzando metodi clinici. Tuttavia l’antinomia tra
queste due tendenze è solo apparente e va pensata piuttosto come una feconda tensione che
favorisce lo sviluppo della psicologia. L’approccio sperimentale e quello clinico sono, per Lagache,
due momenti di uno stesso percorso: la prima costituisce uno stadio finale di un lavoro scientifico;
la seconda si propone soprattutto delle funzioni di prospezione e applicazione. Per questa ragione,
sembra a Lagache che “il conflitto tra psicologia sperimentale e psicologia clinica [sia] un momento
superato della storia della psicologia” (p. 71).
Se lo spunto teorico della lezione inaugurale è fornito dalla domanda di Claparède, si
devono ricordare anche diverse circostanze concomitanti di natura istituzionale, accademica e di
politica professionale che danno un senso più esauriente al testo.
Subito dopo la guerra, infatti, i più autorevoli psicologi accademici tra cui Piéron, Guillame,
Wallon e appunto Lagache, anche se in contrasto tra loro, stavano cercando di promuovere
l’autonomia della psicologia. Fino ad allora, la psicologia veniva insegnata nelle facoltà di lettere,
sottratta al rapporto con le discipline scientifiche e mediche. Inoltre, si stavano sviluppando, al di
fuori dell’università, dei tentativi di formare degli psicologi soprattutto in qualità di selezionatori
per l’industria. Lagache si batteva per la creazione di una licence di psicologia che potesse garantire
sia l’identità della disciplina sia la sua dignità scientifica non riducibile ad un apprendimento
tecnico. La licence veniva approvata nel maggio di quello stesso 1947 che vedeva Lagache
chiamato alla Sorbona. Il progetto originario, per la verità, ne prevedeva un’applicazione solo a
Parigi mentre il decreto ne faceva una licence nazionale, ponendo una seria difficoltà in quanto non
tutte le università erano in grado di applicarla per la mancanza di insegnanti. Tuttavia, proprio in
quel momento, in Francia, nascevano contemporaneamente l’insegnamento universitario moderno
della psicologia e la professione di psicologo (Ohayon, 1999). Per queste vie, Lagache può essere
considerato come il formatore della prima generazione che si può fregiare del titolo di psicologo nel
senso odierno del termine (Carroy e Ohayon, 1999).
Notiamo come il quadro istituzionale permetta di comprendere in maniera più penetrante sia
il senso della unitarietà della psicologia invocata da Lagache sia il commento- per la verità piuttosto
acido- di Canguilhem su tale unità come “patto di coesistenza pacifica tra professionisti”. Alla luce
delle complesse manovre in cui era impegnato Lagache, il commento appare del tutto mirato,
rivolto dunque non solo al sapere psicologico ma anche alla politica di professionalizzazione della
psicologia che in quella impostazione teorica trovava la sua legittimazione.
Ricordiamo ancora che Lagache è stato il primo ad occupare la cattedra della Sorbona ad
essere contemporaneamente medico, psicologo e psicoanalista. E non si può dimenticare il versante
psicoanalitico che persegue le stesse finalità “unioniste”. Lagache era favorevole, infatti, ad un
inserimento della psicoanalisi all’università quanto meno come insegnamento pubblico (A. de
Mijolla, 1996) e si batteva a favore di un incontro –che ormai gli sembrava inevitabile- tra
5
psicoanalisi e psicologia. Tuttavia proprio lui sarà uno dei protagonisti delle due grandi scissioni del
1953 e del 1963/5 che hanno sconvolto la vita della comunità psicoanalitica francese 2.
E, a pensarci, fu un destino amaramente ironico per il campione dell’unità, della sintesi, del
confronto e della apertura teorica (Ohayon, 1999), assistere alla dissoluzione del suo progetto
scientifico e accademico con la separazione tra la psicologia generale- la cui cattedra alla Sorbona
viene occupata da Fraisse- e la psicologia clinica- il cui primo laboratorio è fondato da Juliette
Favez-Boutonier a Censier e, da un’altra parte, trovarsi protagonista di scissioni nell’ambito della
società psicoanalitica. L’impossibile unità, denunciata da Canguilhem in QP, sembrerebbe se non
dimostrata, certo almeno confermata dalle vicende storiche.
1.2. QP, i Cahiers pour l’analyse e Lacan
Un uso e un ruolo imprevisti saranno giocati da QP dopo la pubblicazione nei Cahiers pour
l’analyse del 1966. Come sottolinea la Roudinesco (1993), negli anni 60 la lotta non è più contro
l’unitarietà avanzata da Lagache ma contro lo spiritualismo e le ideologie che si pretendono
scientifiche: la psicologia rientra proprio in queste forme da combattere. Si tratta allora di creare
una triplice intesa tra linguistica saussuriana, marxismo althusseriano e freudismo lacaniano e il
testo di Canguilhem sembra inserirsi in modo quanto mai pertinente nel condurre questa battaglia
lungo il fronte della psicologia.
L’edizione nei Cahiers ebbe una tale risonanza da far dire a Engel (1996) che a causa sua, in
Francia, un’intera generazione di filosofi è stata tenuta lontana dalla psicologia e dalle sue possibili
intrusioni nella filosofia.
Nello stesso 1966, Jaques Lacan pubblica sempre nei Cahiers pour l’analyse (n.1) la lezione
d’apertura del seminario tenuto nel 1965-66 alla Ecole Normale Supérieure su “L’oggetto della
psicoanalisi”. Nella prima parte di quella lezione (ora in Ecrits, 1966) Lacan esprime, tra l’altro, il
rifiuto per il termine “scienze umane”, termine falso usato solo dalla psicologia che sopravvive a se
stessa nei servizi che rende alla tecnocrazia o, come appunto propone Canguilhem, “nella scivolata
di toboga dal Panthèon alla prefettura di polizia”.
Può essere malizioso pensare che la citazione di Canguilhem fosse dovuta proprio al fatto
che il bersaglio era Lagache, con cui Lacan aveva avuto un lungo conflitto sfociato infine nella
creazione della Ecole freudienne dopo la scissione dalla Société française de Psychanalyse. Senza
dubbio, però, un legame teorico più profondo tra la posizione di Lacan e quella di Canguilhem è
dato dalla questione del sostanzialismo del soggetto che costituisce un oggetto delle polemiche di
entrambi, anche se per ragioni diverse. Sulle ragioni di Canguilhem torneremo fra breve.
2. NOTE SULL’EPISTEMOLOGIA DI CANGUILHEM
Il pensiero di Canguilhem non solo ha formato una generazione di pensatori ma a distanza di
anni costituisce ancora una inesausta fonte di spunti di ricerca. È certamente un pensiero complesso,
di non facile accesso, pieno di densi rimandi non sempre esplicitati, che in questa sede non si può
certo pretendere di riassumere. Un pensiero, d’altra parte, molto coerente pur se attraversato da
spostamenti e torsioni anche rilevanti. In questo senso, la discussione di QP non può prescindere dal
riferimento ad alcune coordinate che ne permettano la collocazione all’interno di quel modo
particolare di fare filosofia della scienza proprio di Georges Canguilhem.
Seguiremo, dunque, un percorso parziale, funzionale alla comprensione delle ragioni che
giustificano l’analisi della psicologia che abbiamo presentato. Possiamo affrontare tre temi: il
rapporto tra scienza e filosofia, la questione della verità, il significato del termine progetto.
Conviene partire ricordando che la produzione di Canguilhem è dedicata soprattutto ad una
riflessione sulla vita, sul vivente e sulla conoscenza. L’originalità di Canguilhem consiste nel
pensare insieme vita e conoscenza, nel pensare che la conoscenza della vita muove dal vivente
stesso (Le Blanc, 1998). È un percorso dall’interno, che implica una certa ricorsività in quanto la
2
Non possiamo qui dilungarci su questo aspetto rilevante non solo per la psicoanalisi francese. Si veda, per esempio, il
numero 49/50 di Cliniques mediteranéennes, 1996, e Ohayon, 1999.
6
epistemologia della medicina e della biologia deve essere compresa come lo sforzo del vivente per
cogliere il modo in cui la conoscenza modifica il suo rapporto con la vita stessa.
In “Il vivente e il pensiero” (in CV), Canguilhem nota come la filosofia che si occupa della
conoscenza privilegi le operazioni della conoscenza rispetto al senso del conoscere. Ma
interrogandosi sui vantaggi che la conoscenza comporta per l’intelligenza, il percorso deve andare
piuttosto nella direzione di reintegrare la conoscenza nelle attività proprie del vivente. Il senso della
conoscenza sta infatti “nel suo fine che è quello di permettere all’uomo un nuovo equilibrio col
mondo, una forma e un’organizzazione nuove della sua vita” (CV, p. 34). Il senso, “dal punto di
vista biologico e psicologico, è un’attribuzione di valore in rapporto a un bisogno. E un bisogno, per
chi lo prova e lo vive, è un sistema di riferimento irriducibile e perciò assoluto” (CV, p. 217).
Come si pone la filosofia nei confronti della conoscenza e di quei modi specifici della
conoscenza che sono le scienze?
La epistemologia di Canguilhem verte soprattutto sulla storia e sulla storicità della scienza.
Ma il fare storia delle scienze implica sempre anche un’idea dello statuto e dei compiti della
filosofia. In una posizione vicina a quella di Bachelard, la storia delle scienze è pensata come una
storia normativa, cioè come un’impresa critica che propone dei giudizi di valore non tanto sui fatti
quanto sull’attività della scienza, un’attività che di per sé è già un’attribuzione di valore: la verità è
il valore della conoscenza.
Se per Bachelard l’asse della valorizzazione epistemologica era offerto dalla
matematizzazione che definisce il senso della realizzazione dell’attività razionalista delle scienze
fisiche, per Canguilhem l’asse si ritrova nel campo delle scienze della vita e della medicina laddove
le idee di norma, normalità, normalizzazione sono già presenti in quanto valori del vivente e per il
vivente. I valori istituiti dalle scienze, da tutte le scienze, sono valori vitali. Come scrive
Canguilhem (citato in Fichant, 1993, p.40), “la ragione non è tanto un potere di appercezione di
rapporti essenziali nella realtà delle cose o dello spirito quanto un potere di istituzione di rapporti
normativi nell’esperienza della vita”.
Non solo le scienze ma anche le tecniche, le arti, le mitologie, le religioni valorizzano
spontaneamente, per la loro parte, la vita. Ma la comparsa delle scienze apre qualcosa di nuovo: un
conflitto che chiama in causa la filosofia come regolatrice dei conflitti: per questa via la filosofia è
espressamente filosofia dei valori. Vediamo più da vicino questo passaggio.
Il giudizio scientifico è un giudizio di realtà che appare diverso da un giudizio di valore solo
perché si è dimenticato il carattere di scelta che sta alla base del suo sviluppo. La conoscenza
scientifica opta per un valore nella convinzione della sua sufficienza. Ne consegue una sorta di
negligenza o di disprezzo del resto. Ma è proprio l’attenzione a questo resto che caratterizza la
filosofia. Per essa è interessante tanto ciò che la scienza progetta quanto ciò che rigetta come falso.
La rivendicazione dei “diritti” del falso, rende la filosofia uno studio normativo concreto proprio in
quanto considera l’insieme delle valutazioni operate dalla scienza. La filosofia non è, dunque,
studio delle categorie costitutive della oggettività proposta dall’attività scientifica ma studio dei
valori di giudizio. In effetti la scienza -come insieme di tentativi disciplinati per avvicinare la veritàappare come un’avventura nella quale “il sistema di giudizi veri procede da un aggiustamento a
tentoni di mezzi probatori per una conclusione che si deve ottenere. Non si darà a ‘genesi’ un senso
psicologico ma piuttosto quello di un processo in relazione di ostilità con un disordine che il
giudizio scientifico si sforza di ordinare secondo le proprie vedute. La scienza è una credenza nel
valore di realizzazione di un progetto di sapere” (Canguilhem citato in Fichant, 1990, p. 44).
Qui si apre una discussione sull’idea di verità. Per Canguilhem, non c’è verità se non
scientifica. Tuttavia la verità non è un’essenza immutabile - come peraltro non lo è nemmeno la
scienza. “La storia delle scienze concerne un’attività assiologica, la ricerca della verità. È a livello
delle questioni, dei metodi, dei concetti che l’attività scientifica appare come tale” (EHPS, p. 19). In
tale ricerca “oggetto del discorso storico è la storicità del discorso scientifico (..) in quanto
effettuazione di un progetto interiormente regolato (normé), ma attraversato da accidenti, ritardato o
sviato da ostacoli, interrotto da crisi, cioè da momenti di giudizio e di verità (EHPS, p. 17). La
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scienza non è mai un fatto che potrebbe diventare a sua volta un oggetto della scienza e per la
scienza. Da qui l’attacco allo scientismo che pretende di poter rendere conto delle proprie
condizioni di intelligibilità iscrivendole nel suo stesso discorso senza riconoscere le scelte che ha
dovuto compiere tra vero e falso. Lo scientismo “trasforma in fatto ciò che è un lavoro e un insieme
regolato di operazioni che non hanno senso se non trovano qualche cosa da fare in un’esperienza
che non hanno fatto. Lo scientismo rende la scienza impossibile volendo renderla obbligatoria”
(ibidem p. 45). Il lavoro e il rischio della scienza si sostengono perché la scienza è il solo pensiero
che pensa se stesso, il solo “pensiero del pensiero”, un pensiero che, utilizzando i propri errori,
trova sempre qualcosa di nuovo da scoprire sulle condizioni della propria esistenza. Solo così, tra
l’altro, gli ostacoli interni possono diventare delle condizioni di possibilità (Balibar, 1993).
Naturalmente, in questa possibilità/necessità della scienza di pensare se stessa, si riconoscerà
il fondamento dell’interrogazione della psicologia che regge QP.
Ma, come si chiede Sertoli (1983), Canguilhem non ricade così nella concezione di una
filosofia come discorso fondante-normativo nei confronti della pratica scientifica?
Per cercare di rispondere a questa obiezione, si deve considerare un secondo punto di vista
di Canguilhem sulla verità: quello secondo il quale la verità è un valore in mezzo ad altri valori.
Se, come dice Fichant (1993), la scienza è riconosciuta come un valore tra altri valori di
uguale diritto, si deve cercare il fondamento della valutazione non nella realtà o nella oggettività
ricercata dalla scienza ma in un “sistema di possibilità”. Possibilità ha qui il senso radicale di
potere: fare essere ciò che non c’è. Scienza e arte sono dei poteri in questo senso e diventano, a loro
volta, materia di giudizio per la filosofia. Più in particolare il ruolo della filosofia risulta quello
dell’arbitraggio degli inevitabili conflitti che sorgano fra i diversi saperi che sono – lo ribadiamodelle forme di normalizzazione dell’esperienza di vita. Da questo punto di vista, dunque, la filosofia
risulta una impresa “seconda” che, sorprendentemente, non possiede di per sé il valore della verità.
La filosofia ha per valore un’idea, l’idea di un tutto in cui ciascun valore ha un suo posto
relativamente agli altri valori. Ancora, se questo è lo scopo della filosofia, se ne deve altresì
riconoscere il suo carattere permanentemente aperto cioè storico, infinito come è appunto il lavoro
della conoscenza e della ricerca della verità.
Da questo punto di vista si comprende anche il senso dell’interrogazione così insistita che
troviamo in QP che però non ha nulla di arrogante o di presuntuoso. In effetti, le domande sullo
statuto della psicologia sono poste con la “ingenuità costitutiva” (EHPS, p. 380) della filosofia.
I temi fin qui accennati ritornano anche discutendo del concetto di “progetto” che regge
l’analisi della psicologia. Per quanto il termine sia spesso usato da Canguilhem (per esempio, a
proposito di Darwin e di Claude Bernard), non c’è, a mia conoscenza, una discussione
specificamente dedicata a questo tema.
Forse una fonte è rintracciabile in Bachelard (1934): “Al di sopra del soggetto, al di là
dell’oggetto immediato, la scienza moderna si fonda sul progetto. Nel pensiero scientifico, la
meditazione dell’oggetto da parte del soggetto prende sempre la forma di progetto” (p. 15).
In ogni caso, l’uso del termine “progetto” sembra connotare il pensiero di Canguilhem in
termini che non potremmo chiamare diversamente da costruttivismo (Le Moine, 1991). In questo
senso, scrive Canguilhem: “se capita al pensiero scientifico di ricevere un dato, è solamente
riprendendolo che fa prova della sua capacità di comprenderlo. (…) il lavoro scientifico è (…)
rifiuto di ricevere dei concetti, degli oggetti designati, un linguaggio usuale, e correlativamente è
decisione di ricominciare gli inizi semantici, di riordinare l’ordine sintattico, (…) di sostituire la
coerenza ottenuta alla coerenza constatata, di produrre infine i fenomeni invece di registrali. La
scienza non è una fenomenologia, è una fenomenotecnica” (EHPS, p. 191). I fatti, insomma, non
esistono di per sé ma sono determinati dalla ricerca (IR, p. 40).
La nascita , il divenire , il progresso delle scienze devono essere compresi come una impresa
molto avventurosa della vita, soggetta per sua natura all’errore e alla rettificazione continua e
infinita. La produzione progressiva di nuove conoscenza scientifiche dipende da “una certa
anteriorità dell’avventura intellettuale sulla razionalizzazione” (IR, p. 38). Proprio in questo senso,
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discutendo della teoria e della tecnica della sperimentazione in Claude Bernard, Canguilhem ne
riprende le parole: “je me suis délivré des règles en me jetant à travers les champs”, per valorizzarle
come “la generalizzazione riflettuta dell’insegnamento estratto da un’avventura intellettuale
integralmente vissuta” (EHPS, p. 146) 3.
Certo, come sottolinea la Grene (2000), ogni avventura intellettuale è radicata nelle
circostanze date dai particolari interessi, dai concetti e dalle speranze del ricercatore e dei suoi
contemporanei, nella cultura delle istituzioni e delle nazioni. Tuttavia, va ribadito, Canguilhem è
ben lontano da qualunque forma di sociologismo o di biografismo o da qualunque indagine di tipo
psicologizzante. Il suo interesse è piuttosto rivolto al “concetto” e al lavoro che sul concetto si
svolge permettendone l’estensione, la traduzione, la trasposizione, la generalizzazione all’interno di
teorie diverse.
Come abbiamo detto l’evoluzione dei concetti scientifici è tesa alla verità ma in questa
avventura non c’è alcun termine, la scienza non ha fine, il lavoro della ricerca della verità non
sfocia mai nella determinazione di una qualche verità ultima e definitiva. E questo non solo perché
l’errore accompagna e si intreccia inevitabilmente alla verità (Foucault definisce Canguilhem il
filosofo dell’errore) e dunque il lavoro è inesauribile, ma per una ragione più profonda. Non si può
sfuggire, infatti, all’insoddisfazione: “essere soggetto di conoscenza (…) è essere insoddisfatto del
senso trovato. La soggettività è allora solamente l’insoddisfazione. Ma forse è proprio qui la vita
stessa” (EHPS, p.364). Legando vita e conoscenza, inserendo il concetto nella vita, Canguilhem
propone la conoscenza come un’attività che è inesauribile come la vita stessa.
Siamo così ritornati al punto di partenza di questa breve e incompleta presentazione del
pensiero di Canguilhem cioè al profondo legame che c’è tra la scelta del campo di indagine (le
scienze della vita e la medicina) e la filosofia.
Torniamo ancora alla ricerca filosofica di Canguilhem e al fatto che verte fondamentalmente
sulla storia e sulla storicità della scienza. Un punto chiaro è che “l’oggetto della storia della scienza
non ha niente in comune con l’oggetto della scienza” (EHPS, p. 17).
Tuttavia, come nota acutamente Grene (2000), si apre una difficoltà relativa proprio a questa
distinzione nel momento in cui le scienze di cui si discute sono le scienze biologiche (o, come nel
nostro caso, psicologiche) cioè le scienze che hanno per loro oggetto l’uomo. Infatti se gli oggetti
biologici devono essere compresi in rapporto alle norme di esistenza e di azione, il biologo non sta
già studiando delle attività assiologiche? E dunque, la storia delle scienze biologiche non coincide
con la scienza stessa?
Qui si apre forse una contraddizione nel pensiero di Canguilhem o quanto meno un punto
che richiede ulteriori approfondimenti. In parte, abbiamo cercato di giustificare questa
sovrapposizione che può apparire inquietante. Ma, in questa sede, ci basta evocare il problema
senza discuterlo ulteriormente al solo scopo di far intravedere una possibile ragione della evidente
partecipazione personale di Canguilhem nella discussione della psicologia e nella interrogazione su
quali siano i valori vitali che essa promuove.
3. QP: UN ATTACCO ALLA PSICOLOGIA?
La maggior parte dei commentatori di QP convengono sul fatto che si tratta di un violento
attacco alla psicologia. Elisabeth Roudinesco (1993), ad esempio, parla di un assassinio dalla prima
all’ultima linea, di un interrogativo che è già un sospetto di impostura, di un mettere letteralmente la
psicologia alla tortura affinché risponda alla domanda sulla sua introvabile identità, insomma di una
vera e propria carica di cavalleria.
Tuttavia mi sembra che un’analisi puntuale del testo permetta di precisare il valore di questo
attacco specificando gli oggetti della polemica che sono, a mio avviso, tre: la pretesa di creare
un’unità della psicologia che invece risulta solo fittizia; quel preciso progetto di psicologia
Potrebbe essere suggestivo un confronto tra il concetto di “progetto” di Canguilhem e il concetto di “tema” di Gerald
Holton.
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definibile come scienza delle reazioni e del comportamento; la psicologia che presuppone il
sostanzialismo dell’Io.
3.1. Critica all’unitarietà della psicologia
La critica alla pretesa di unitarietà avanzata dalla psicologia è la parte rivolta
all’inconsistenza del progetto di Lagache, ed è chiaramente espressa nella sintesi che abbiamo sopra
proposto.
Va ancora sottolineata, comunque, la novità del contributo di Canguilhem. È ben noto,
infatti, che nel dibattito psicologico si ha l’abitudine di distinguere diverse psicologie sulla base
dell’oggetto e/o del metodo. Ma Canguilhem invita ad analizzare un momento precedente: quello
della formulazione più o meno esplicita di un’intenzione che organizza le esperienze e le
osservazioni. Proprio perché è la ricerca che determina i fatti, non si può dimenticare il momento
originario da cui scaturisce la ricerca: nelle domande originarie è incluso, in un certo modo, sia il
tipo di scelte che specificano l’oggetto e il metodo sia la linea di sviluppo.
In definitiva, ogni scienza è chiamata a giustificare oggetto e metodo della ricerca che non si
presentano di per sé come autoevidenti. E tale giustificazione si ritrova, più che altrove, proprio nel
senso del progetto.
C’è ancora da notare che Lagache promuoveva indubbiamente una psicologia “umanista”.
Psicologia che, in sé, probabilmente poteva non spiacere a Canguilhem così attento ai valori vitali.
Ma il fatto di porre il behaviorismo come una tappa coerente di tale promozione, implicava una
incongruenza concettuale e comprometteva irrimediabilmente, agli occhi di Canguilhem, il progetto
di Lagache.
3.2. Critica alla psicologia delle reazioni e del comportamento
L’attacco alla psicologia delle reazioni e del comportamento si precisa nel testo in due
momenti. All’inizio del lavoro, laddove Canguilhem denuncia come insufficiente la ricerca
nell’efficacia del proprio operato quale risposta alla domanda su cosa sia lo psicologo. Il riferimento
alla psicologia delle reazioni è qui implicito, ma è sicuramente la psicologia che più di ogni altra ha
promosso la propria identità fondandola sul terreno dell’efficacia dell’intervento. Il secondo
momento si trova esplicitamente nell’analisi del progetto della psicologia dei comportamenti (§ III).
Qui, infatti, viene indicato ciò che caratterizza questo progetto « par rapport aux autres types
d’études psychologiques » (p.376) cioè la sua incapacità costituzionale di cogliere e di esibire con
chiarezza il progetto instauratore.
Proprio nell’inciso, cioè nel differenziare questo progetto dagli altri, si può individuare il
senso di una critica rivolta non genericamente a tutta la psicologia ma specificamente a quel
progetto che non è in grado costituzionalmente di interrogarsi su di sé. Nemmeno gli altri progetti di
psicologia hanno la consuetudine di interrogarsi, come dimostra appunto QP. Tuttavia – questa mi
sembra l’indicazione di Canguilhem – lo possono sempre fare, non è escluso dalle proprietà
instauratrici dei loro progetti.
In questo senso, le affermazioni di Braunstein (1999) sul behaviorismo che sarebbe per
Canguilhem quel “tentativo che sembra essere la verità di tutte le psicologie anteriori” (p.184), “la
verità della psicologia” (p.185) portano ad una contraddizione. Infatti, se il behaviorismo occupasse
per Canguilhem questa posizione metonimica nei confronti di tutta la psicologia, non si capirebbe la
acribia nel distinguere i differenti progetti: il behaviorismo rappresenterebbe la vera unità della
psicologia e dunque ci sarebbe davvero una unitarietà della psicologia. Così il tentativo di Lagache
si troverebbe paradossalmente già realizzato – anche se in modo del tutto diverso da quello pensato
dallo stesso Lagache.
Ma la critica alla psicologia delle reazioni non è solo epistemologica, è anche etica, relativa
alle conseguenze alle quali porta il progetto: ad un uomo ridotto a strumento, a mezzo, privo di
valore. E questo non poteva non sollevare l’indignazione del filosofo che aveva difeso il valore
dell’uomo non solo attraverso l’opera intellettuale ma anche nell’azione impegnandosi, durante la
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guerra, nella Resistenza francese. Il tema del valore dell’uomo ritornerà ancora come punto cruciale
nel secondo contributo sulla psicologia, laddove Canguilhem, evocando Spinoza, rivendica al
filosofo il diritto/dovere non solo della critica ma anche dell’azione.
3.3. Critica al sostanzialismo dell’Io
Un terzo bersaglio polemico compare nell’analisi del progetto di psicologia come scienza
della coscienza di sé ovvero di una psicologia razionale fondata sull’intuizione di un Io che coglie
se stesso in modo chiaro ed esauriente, fondando su questa certezza la conoscenza del mondo. Ciò
che qui ha di mira Canguilhem è una psicologia che diventerebbe “la propedeutica scientifica della
metafisica, giustificando per via sperimentale le tesi tradizionali del sostanzialismo spiritualista”
(EHPS, p. 372). È in questo progetto che trova le basi quello psicologismo che si infiltra anche in
molta filosofia, contro il quale si sono mossi, per fare qualche nome, Husserl, Frege, Wittgenstein,
la maggior parte dei filosofi analitici e naturalmente, anche se su posizioni ben diverse, lo stesso
Canguilhem (Engel, 1996).
L’anti-psicologismo attraversa costantemente l’opera canguilhelmiana: la dottrina del
soggetto che sostiene l’oggettività della scienza non può essere psicologica. La filosofia, scrive
Canguilhem in Le cervau et la pensée, deve resistere ad una psicologia che si vuole oggettiva e
collocata tra le altre scienze oggettive però con la pretesa di istruirle proprio su quelle funzioni
intellettuali che permettono loro di essere le scienze che sono.
Se l’opzione di Canguilhem è per una filosofia del sapere, della razionalità, del concetto –
come dirà Foucault- non è però una filosofia ostile alla soggettività. Come dicevamo più sopra,
l’idea di scienza è, per Canguilhem, l’idea di un’avventura intellettuale integralmente vissuta.
La soluzione proposta da Canguilhem non sarà, peraltro, di tipo trascendentale pur se, come
abbiamo visto in QP, viene accettata la critica di Kant al sostanzialismo. La soluzione per
Canguilhem si trova, ancora una volta, nelle proprietà del vivente. È il vivente in quanto tale che
prescrive il pensiero del vivente: “(…) nella conoscenza della vita c’è un centro di riferimento non
decisorio, un centro di riferimento che si potrebbe dire assoluto. Il vivente è precisamente un centro
di riferimento. Non è perché sono soggetto, nel senso trascendentale del termine, è perché sono
vivente che devo cercare nella vita il riferimento della vita” (EHPS, p. 352).
4. ATTUALITÀ DELLA CRITICA DI CANGUILHEM ALLA PSICOLOGIA
Prima di proporre l’attualità del contributo di Canguilhem, va detto qualcosa anche sulla
incompletezza di QP. Un elemento, in questo senso, è il fatto che nell’analisi non vengano quasi
mai nominate direttamente le scuole riconosciute di psicologia rende difficoltosa la collocazione di
alcune linee di ricerca rilevanti, come ad esempio quella di Piaget.
Un altro ovvio elemento di incompletezza è invece il fatto lapalissiano che manchino
riferimenti a teorie psicologiche comparse solo in seguito. Tuttavia questa inevitabile incompletezza
può essere l’occasione proprio per verificare la validità del concetto di “progetto” confrontato con
sviluppi nuovi o messo alla prova con altre categorie. Infatti si può sempre provare a rintracciare,
sulla base delle indicazioni suggerite da Canguilhem, la collocazione del loro progetto4. Si pensi, ad
esempio, al cognitivismo 5, e alla sua plausibile collocazione nella scienza del rapporto
soggetto/mondo.
Venendo ora all’attualità dell’analisi canguilhemiana, si deve riconoscere che, pur nei limiti
che abbiamo cercato di precisare, nel suo complesso QP è una decisa messa in questione
dell’identità e dunque dell’esistenza stessa della psicologia: un discorso insomma sostanzialmente
Mi permetto di cogliere qui l’occasione per dire che ho cercato di presentare la psicologia lungo la via indicata da
Canguilhem -ma con alcune differenze, nel mio Mente e scienze della vita, La Nuova Italia Scientifica, 1997.
5 Proprio su alcuni aspetti del cognitivismo si centra il secondo dei due contributi di Canguilhem (1980) specificamente
dedicati alla psicologia. Tuttavia, in quella occasione l’analisi di Canguilhem procederà da altri punti di vista senza
riprendere l’analisi dei progetti.
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“negativo”. È possibile individuarne, tuttavia, un valore positivo? Propongo tre vie in questa
direzione.
4.1. Un primo risultato dell’analisi di Canguilhem è la possibilità di una ricomposizione ordinata
del campo della psicologia, dove “ricomposizione ordinata” significa dotata di criteri di lettura
espliciti e discutibili. È noto quanto lo statuto della psicologia abbia posto e continui a porre dei
problemi classificatori. Dal Dilthey delle scienze della natura e scienze dello spirito al Windelband
delle scienze nomotetiche e delle scienze idiografiche e poi fino ai nostri giorni, il dibattito appare
inesauribile. Da questo punto di vista, l’ordine che ci propone Canguilhem presenta una rigorosità
che è peraltro facilmente accessibile: sono domande-quelle poste da QP- che provengono “dalla
parte popolare, cioè dalla parte dei non specialisti” (EHPS, p. 381).
4.2. Un secondo contributo significativo che possiamo ricavare dall’analisi di Canguilhem è il
rifiuto di epistemologie normative esterne chiamate a giudicare della legittimità della ricerca
psicologica. Certamente, Canguilhem parla da filosofo, è proprio dal vertice della filosofia, come
dicevamo, che interroga la psicologia. Tuttavia va sottolineata la differenza tra questo tipo di
interrogazione epistemologica e quelle, più abituali, che cercano di convalidare o più spesso
invalidare la psicologia sulla base di epistemologie normative tese a predicare l’esatto modo di fare
ricerca. Il rifiuto di epistemologie normative esterne, naturalmente, non equivale in alcun modo al
rifiuto delle valutazioni sulla correttezza e sulla rilevanza della ricerca psicologica. Non ci può
essere discorso scientifico senza ricorso a queste valutazioni che, se indispensabili, devono però
essere ricollocate all’interno dei differenti progetti. Non si può invocare un modo ideale di fare
ricerca psicologica, capace di per sé di discriminare i prodotti buoni da quelli cattivi. La valutazione
dipenderà prima di tutto dalla comprensione del progetto all’interno del quale si collocano le
diverse ricerche.
4.3. Proseguendo sulla linea di quanto detto, si deve riconoscere che non c’è alternativa al fatto che
ciascuno psicologo si debba confrontare con la propria pratica in termini di riflessione e di
esplicitazione. Sappiamo che non è possibile fissare un metalivello inviolato dal quale pretendere di
valutare un sapere o una pratica. Tuttavia è più che possibile fissarne uno che, per quanto
provvisorio, proprio perché esplicito permette quei confronti e quelle valutazioni di valore alle quali
invita Canguilhem. Su questa indicazione si dovrebbe fortemente insistere, pensando anche ai corsi
di laurea dai quali spesso esce uno psicologo che potrebbe definirsi eclettico o sincretico, ma che
più propriamente dovremmo definire confuso. La “ricomposizione ordinata” della psicologia, di cui
dicevamo, si presenta di per sé formativa.
Queste tre indicazioni si collocano su piani diversi ma condividono un tratto. Il cammino
dell’analisi che procede à rebours verso le domande originarie, può essere percorso anche nella
direzione dei risultati ai quali giungono i differenti progetti. La questione che si pone non riguarda
la corrispondenza tra obiettivi o scopi della ricerca e il risultato ottenuto. La domanda concerne
piuttosto il mondo che viene costruito seguendo l’uno o l’altro dei progetti di psicologia. Dove ci
porta un progetto di psicologia? quale uomo costruisce? quale mondo? quali valori promuove?
Sono domande che implicano una valutazione, proprio come richiede Canguilhem. E in
queste domande si intravede forse lo sfondo “costruttivista” che attraversa sia il testo di Georges
Canguilhem sia il commento che qui ne è stato proposto.
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RIASSUNTO
Viene presentato un testo di Georges Canguilhem “Qu’est-ce que la psychologie?” che propone una
serrata critica alla psicologia. Il testo viene collocato sia all’interno del dibattito sulla psicologia
dell’epoca sia nel contesto della originale ricerca epistemologica canguilhelmiana. Si valuta il
contributo che, a distanza di molti anni, può ancora fornire questa analisi della psicologia.
SUMMARY
“Qu’est-ce que la psychologie?”, a text from Georges Canguilhem, is a critical essay to
psychology. Considering both the debate about the psychology of his time and the Canguilhem’s
epistemological research, it is possible to establish, even if many years have passed, the value of
this work in the analysis of psychology.
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