10 Dicembre 2015
25aRASSEGNA
Cineforum 2015-2016
anche per un attimo dei suoi cospicui 135 minuti. C’è troppo da emozionarsi per potersi annoiare. Il regista (sceneggiatore con Ippolita di
Majo) e il suo interprete hanno creato un Leopardi di loro invenzione
pur poggiando tutto il lavoro sulle
basi fornite non tanto dalle notizie
biografiche, quanto dalla sterminata miniera dell’opera del poeta nato
a Recanati nel 1798 e morto a Napoli nel 1837: non ancora quarantenne e reso decrepito dagli innumerevoli malanni, e tuttavia animato
da un fuoco passionale e da una sete
di vita eccezionali. Ciò che troviamo nei suoi scritti e che continua a
turbare ed esaltare chi avvicina la
sua opera. É li che il film pesca, nei
territori dell’anima così a fondo e
così lucidamente indagati due secoli
fa da quell’uomo debole e isolato al
quale si devono le basi della nostra
modernità.
(Paolo D’Agostini, La Repubblica)
Elegante, lento, temerario dramma
biografico di Mario Martone, che
fra dialoghi colti, costumi d’epoca,
musiche invadenti e brevi squarci
paesaggistici, racconta la triste odissea leopardiana.[...]
parlato come di un ritratto di Leopardi, diviso in tre ideali movimenti
che avvitano il filo biografico al filo
dell’opera, come aveva fatto il poeta
stesso in quello sterminato diario
che è lo Zibaldone: un condensato di
stati d’animo, appunti, rif lessioni,
intuizioni filosofiche, che costituiscono una sorta di bozza dei suoi
sublimi capolavori. Il film parte
dall’adolescenza nell’odiato borgo
natio di Recanati, tutta tedio e malinconia; le debilitanti ore di studi
nella biblioteca paterna e il balsamo
dell’amicizia epistolare con Pietro
Giordani, il letterato che subito ne
colse la genialità. [...]
(Alessandra Levantesi, La Stampa)
[...] Martone dà il meglio del suo cinema materico e onirico, fion al magnifico finale della Ginestra, in cui
mondo fisico e mondo interiore si
sommano e si confondono, un po’
come le immagini del regista e i versi di leopardi. Mentre Germano tocca il culmine di un’interpretazione
sofferta e straniata cui il film deve
molta della sua forza.
(Fabio Ferzetti, Il Messaggero)
(Massimo Bertarelli Il Giornale)
Di Il giovane favoloso di Mario Martone - per no i il Leone d’oro della scorsa Mostra di Venezia - avevamo
per info 02.66502494
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facebook.com/CircoloCineBresso
BRESSO
Il giovane
favoloso
Regia: Mario Martone
Sceneggiatura: Mario Martone, Ippolita Di Majo
Fotografia: Renato Berta
Montaggio: Jacopo Quadri
Musica: Sascha Ring, Gioacchino Rossini
Interpreti: Elio Germano, Isabella Ragonese, Michele
Riondino, Massimo Popolizio, Edoardo Natoli, Anna
Mouglalis, Valerio Binasco, Paolo Graziosi
Origine: Italia (2014)
Il regista: Mario Martone
Nato nel 1959 a Napoli, a vent’anni
fonda la compagnia teatrale “Falso
Movimento” con la quale mette in
scena numerose pièce di repertorio
sia classico che contemporaneo. Nel
1992 dirige il suo primo lungometraggio cinematografico Morte di un
matematico napoletano sul matematico
Renato Caccioppoli, nipote di Bakunin, con il quale ottiene il Premio
speciale della giuria alla Mostra del
cinema di Venezia. Nel 1995 per
L’amore molesto tratto dal romanzo
omonimo di Elena Ferrante riceve
il Davide di Donatello per la regia
mentre Anna Bonaiuto e Angela
Luce lo ricevono rispettivamente
come migliore attrice protagonista
e non protagonista. Continua ad
alternare l’impegno teatrale con
quello cinematografico e nel 1998
porta sullo schermo Teatri di guerra,
una sua opera già rodata in palcoscenico. Dirige anche vari cortometraggi artistici in betacam, Lucio
Amelio (1993) sulla collezione del
noto gallerista, Una disperata vitalità
(1999) in cui Laura Betti recita in
teatro liriche di Pasolini, Nella Napoli di Luca Giordano (2001) sulla omonima mostra organizzata a Napoli.
Per il triennio 1999-2001 viene nominato direttore artistico del Teatro Argentina di Roma. Nel 2004
presenta la sua rilettura dell’ “Edipo a Colono” al Teatro India, da lui
fondato nel 1999 durante la sua direzione dello Stabile capitolino.
Sposta la sua attenzione, da Napoli
a Roma e gira L’odore del sangue
(2004), con Michele Placido e Fanny Ardant. Dopo un altro breve documentario dedicato alla pittura,
Caravaggio. L’ultimo tempo (2005), lavora ad uno dei progetti più imponenti della sua carriera, Noi credevamo (2010), storia di tre ragazzi meridionali coinvolti nella Giovine Italia contro i Borboni.
La critica:
Come un raggio di sole in un pomeriggio uggioso: Il giovane favoloso di
Mario Martone illumina il panorama cinematografico nazionale. L’Italia (ri)alza la testa e si confronta,
con un respiro intimista e universale al tempo stesso, con la figura tor-
mentata di un artista troppo spesso
inquadrato secondo un modello
strettamente scolastico che approfondisce solo gli aspetti più tradizionali. Il Giacomo Leopardi messo in
scena da Martone è il protagonista
di un ritratto impressionista in cui
le singole scene scorrono l’una
nell’altra, senza l’ossessiva preoccupazione di intraprendere un percorso in cui gli eventi narrati debbano
obbedire ad una rigida consequenzialità.
Il f lusso di emozioni si concentra
sulla giovinezza del poeta a Recanati, segnata dalla ingombrante
presenza di un padre legato a rigide
convenzioni religiose e morali, sul
forte rapporto con lo scrittore Pietro Giordani, sui viaggi a Firenze e
a Napoli, quando ormai le precarie
condizioni di salute condizionavano sempre più la vita del grande
artista. Lontano dai canoni precostituiti del biopic agiografico, Il giovane favoloso affascina, coinvolge ed
emoziona soprattutto quando si
concentra sull’insofferenza di un
protagonista costantemente imbrigliato in una realtà che amplifica le
sue fragilità.
Salute precaria causata da immobilità, disturbi mentali e una rara forma di tubercolosi ossea segnarono
profondamente l’esistenza di Leopardi ma, come suggerisce Martone, non gli impedirono di manifestare un appassionato desiderio di
comporre poesia, di esprimere una
forma d’arte che andasse al di là dei
pregiudizi, delle menomazioni, delle imposizioni familiari.
Elio Germano è straordinario nel
restituire un frammento significativo del percorso esistenziale di un
uomo segnato da un pessimismo
che lascia spazio ad amore, entusiasmo, fuoco, vita, alla ricerca di una
realizzazione di se stessi. In un’atmosfera onirica e avvolgente, le sequenze di alto livello non mancano.
E il finale, in cui scorrono i versi
della lirica “La ginestra”, non si dimentica.
(Davide Dubinelli, i-filmsonline.com)
Personaggio complesso, difficile,
scomodo: da sempre Giacomo Leopardi è accompagnato da una tipologia caratteriale che mette paura.
Col passare dei decenni e con lo
standardizzarsi della sua immagine
nei libri scolastici (giovane cagionevole di salute, timido, colto oltre
ogni limite), la sua figura ha assunto
tratti iconici, stereotipati, quasi banali: fino a diventare una sorta di
‘secchione’ con poca voglia di divertirsi. L’operazione di Martone è
dunque coraggiosa e spregiudicata.
“La sceneggiatura -dice l’autoreattinge agli scritti di Leopardi e
all’insieme del suo epistolario, lo
scrigno attraverso cui è possibile
seguire la sua breve vita dalla Recanati della biblioteca paterna fino
alla Napoli del colera e del Vesuvio”. La Recanati dell’inizio è davvero un ‘natio borgo selvaggio’, La
prima ora di racconto trasmette
con forza di verità l’idea di un luogo
tanto calmo quanto asfittico nella
sensazione della impossibilità di un
cambiamento. Crea le premessa per
quella che non è una fuga ma una
necessità, il bisogno di respirare
aria nuova, di sentire stimoli diversi
sulla pelle. Da Firenze a Napoli (il
breve periodo romano è trascurato)
si aggravano le condizioni di salute,
si rafforza il pessimismo e insieme
l’ostinata convinzione che la seconda situazione non nasce dalla prima. L’impossibilità di parlare, di
scrivere, di avere una realtà umana
e civile foriera di fecondi sviluppi è
nella natura delle cose. Forse la parte conclusiva sconta qualche lunghezza di troppo, tuttavia Martone
mantiene una compattezza espressiva e una solidità visionaria, unica
via per restituire ai giorni nostri
una biografia tanto rapida quanto
intensa. Elio Germano si cala in
Leopardi con grande maestria, catturandone la follia e la grandezza.
Anche quando legge alcune liriche
certamente famose, ma oggi forse
meno note di qualche generazione
addietro. Il compito insomma è
svolto egregiamente: ripartire magari da zero e ricollocare Leopardi
tra le grandi menti che hanno scavalcato ogni tempo e ogni moda.
Uomo di oggi e di domani, capace
di scrivere “il naufragar m’è dolce
in questo mare” e quindi di aprirsi
all’infinito, al mistero della vita.
(ACEC)
Ed ecco finalmente il Giacomo Leopardi di Mario Martone e di Elio
Germano: Il giovane favoloso, secondo
la definizione di Anna Maria Ortese. Non è una passeggiata, è un film
che impegna. Ma non annoia, ne-