Lunedì 27 maggio - il dialetto ha notoriamente un calore espressivo che rappresenta meglio la cultura di un popolo. Alcuni dialetti per vicende storiche hanno possibilità di esprimersi anche a livello letterario e teatrale già in tempi antichi, mentre per Sanremo questo sviluppo ha un capostipite in Stefano Sghirla (Stevìn) che a metà ottocento pubblicava in poesia gli Almanacchi di Sanremo. Ma bisogna arrivare all’inizio del secolo scorso con Gin De Stefani e Vincenzo Jacono, poeti e commediografi, per avere una più consistente produzione artistica, che proseguirà fino ai contemporanei con Antonio Rubino, Dino Ardoino, Carlo Dapporto, Franco D’Imporzano, Aldo Bottini e molti altri. Gianni Modena e Anna Blangetti, notissimi mattatori della Compagnia Teatro Stabile di Sanremo, che da quasi cinquantanni calcano le scene di Sanremo e del circondario, hanno interpretato alcune poesie sanremasche facendo rivivere sentimenti antichi a cui attingere in un presente incerto. Un sentimento base che ha ispirato molte poesie è certo l’amore, quello di coppia con i suoi alti e bassi e le sue varianti, l’amore nascosto, l’amore tradito, l’amore per i genitori, l’amore per i figli, l’amore per le piante e poi quasi sempre tutto rifluisce nella nostalgia. Le interpretazioni di Modena e Blangetti hanno però voluto dimostrare che l’autenticità dei sentimenti mette a nudo dolori ma anche gioie e bontà loro la comicità rigeneratrice ha prevalso con la surreale interpretazione di Baxiricò (il basilico consolatore) ed il gran finale con U’ Ciaravuju, vivace satira bonaria di nozze un po’ anomale contratte da sposi di età molto diversa o vedovi, cui il pubblico ha partecipato rumoreggiando come da tradizione.