Noriziario per PDFp65.p65 - ordine degli avvocati di cosenza

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Nr. 4 - Settembre 2009
Periodico del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza
Dir. Resp. Avv. Oreste Morcavallo
Sommario
Periodico dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza
Anno III - nr. 4 - settembre 2009
DIRETTORE RESPONSABILE
AVV. ORESTE M ORCAVALLO
COMITATO DI REDAZIONE
AVV. GIOVANNI SPATARO
AVV . CLAUDIO DE LUCA
AVV . GIANCARLO GENTILE
AVV . ROSSELLA MASI
AVV . ANGELO PUGLIESE
REDAZIONE
AVV. VINCENZO BELVEDERE
AVV. C ARMELO BOZZO
AVV. GAETANO CATERA
AVV. V ITTORIO GALLUCCI
AVV. GIUSEPPE GIUDICEANDREA
AVV. MARIO GUARNIERI
AVV. G IUSEPPE LEPERA
AVV. FRANCO VINCENZO LOCCO
AVV. FILIPPO MANCINI
Gli articoli non firmati sono del Direttore.
35 anni di attività dei T.A.R.
Convegno Nazionale a Cosenza
Avv. Oreste Morcavallo
6
Borsa di studio “William Manes”
Avv. Nicola Conforti
7
Sulla riforma
dell’ordinamento professionale
Avv. Giuseppe Magarò
8
Deontologia e procedimenti disciplinari
Avv. Ernesto d’Ippolito
9
Opportunità di assumere
incarichi professionali pleonastici
Limiti e deontologia
Avv. Spiro Nicastro
10
Istituita l’Associazione
Matrimonialisti Italiani a Cosenza
Avv. Margherita Corriere
10
Codice di deontologia
per il trattamento dei dati personali
effettuato per la difesa in giudizio:
nuovi obblighi per gli avvocati
Avv. Ivana Diquattro
11
La distrazione ex art. 93 c.p.c.
Avv. Gaetano Bruni
12
lll
Tutti gli iscritti possono collaborare con l’invio di scritti, note
a sentenza, segnalazioni, ecc.
lll
Gli scritti dovranno pervenire al Comitato di redazione a mezzo l’ e-mail: [email protected]
lll
Il Comitato di Redazione si riserva la facoltà di decidere sulla
opportunità di pubblicazione degli scritti e/o di modificarli.
lll
Tutte le collaborazioni sono gratuite.
lll
Il presente Notiziario viene diffuso gratuitamente agli iscritti
negli Albi degli Avvocati ed agli altri operatori del settore.
Ordine degli Avvocati di Cosenza
Uffici di Segreteria:
Orario: 10,30-12,30 da lunedì a venerdì
Telefono: 0984 33869 - Fax: 0984 32688
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www.ordineavvocaticosenza.it
Nr. 4 - settembre 2009
Registrazione: Tribunale di Cosenza - nr. 816 del 31-10-2007
ASEmit - Cosenza - [email protected]
Pagina 4 - Nr. 4 - Cosenza, 30 Settembre 2009
Notiziario dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza
-
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza
Biennio 2008 - 2009
PRESIDENTE
SEGRETARIO
TESORIERE
CONSIGLIERI
avv. Oreste Morcavallo
avv. Giovanni Spataro
avv. Angelo Pugliese
avv. Vincenzo Belvedere
avv. Carmelo Bozzo
avv. Gaetano Catera
avv. Claudio De Luca
avv. Vittorio Gallucci
avv. Giancarlo Gentile
avv. Giuseppe Giudiceandrea
avv. Mario Guarnieri
avv. Giuseppe Lepera
avv. Franco Vincenzo Locco
avv. Filippo Mancini
avv. Rosa Masi
RAPPRESENTANZA NEGLI ORGANISMI
DELL’AVVOCATURA
Consiglio Nazionale Forense:
avv. Antonio Baffa
O.U.A.:
avv. Eugenio Bisceglia
Unione Ordine Forensi della Calabria:
avv. Oreste Morcavallo
avv. Gaetano Catera
avv. Filippo Mancini
Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense:
avv. Mario Rosa
avv. Nicolino Zaffina
Osservatorio Giustizia Civile e Penale:
avv. Mario Guarnieri
avv. Vincenzo Belvedere
avv. Franco Vincenzo Locco
avv. Rosa Masi
avv. Angelo Pugliese
ASSOCIAZIONI FORENSI - PRESIDENTI
Camera Penale - Avv. Marcello Manna (f.f.)
A.I.G.A. - Avv. Aurelia Zicaro
Camera Civile - Avv. Giuseppe Lepera
Camera Tributaria - Avv. Rosario Fortino
Unione Giuristi Cattolici - Avv. Carmine Nicotera
Associazione Forense Brutia - Avv. Eugenio Scarpelli
Camera Minorile - Avv. Monica Allevato
Comitato Pari Opportunità - Avv. Rosa Masi
U.I.F. (Unione Italiana Forense) - Avv. Serafino G.Lio
AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e
per i Minori) - Avv. Teresa Politano - Coord. prov.
IUS NOVUM - Avv. Angelo Nicotera
U.D.A.I. (Unione degli Avvocati d’Italia - Sez. di Cosenza)
Avv. Francesco Canino
A.M.I. (Associazione Matrimonialisti Italiani) Avv. Margherita
Corriere
ISTITUITE
LE COMMISSIONI CONSILIARI
Con delibera consiliare n.6 del 13/03/2008 sono state istituite
le seguenti Commissioni consiliari con compiti di istruttoria e
di approfondimento delle varie tematiche e problematiche inerenti i vari settori del diritto, con particolare riguardo sia alle
modalità di svolgimento della attività giudiziale sia alle novità
legislative-giurisprudenziali:
COMMISSIONE PENALE
Presidente - Enzo Belvedere
Componenti - Nicola Carratelli, Francesco Chiaia, Giuseppe
Cipparrone, Giovanni Maria Cirio, Antonio Feraco, Franco Locco, Elisa
Sorrentino
COMMISSIONE GIOVANI AVVOCATI
Presidente - Carmelo Bozzo
Componenti - Massimiliano De Rose, Fabio Gardi, Fabio Scarpelli,
Fabio Vercillo, Fabiana Vigna, Aurelia Zicaro
COMMISSIONE GRATUITO PATROCINIO
Presidente - Giuseppe Giudiceandrea
Componenti - Carmelo Bozzo, Giancarlo Gentile, Giuseppe Lepera,
Filippo Mancini
COMMISSIONE FORMAZIONE
Presidente - Giuseppe Giudiceandrea
Componenti - Antonio Artusi, Vincenzo Belvedere, Tiziana Broccolo,
Giovanni Caglianone, Silvana Guglielmo, Franco Vincenzo Locco,
Nicola Piluso, Domenico Quaglio, Amalia Talarico, Massimo Urso
COMMISSIONE CIVILE
Presidente - Gaetano Catera
Componenti - Federica Conforti, Francesco Filicetti, Patrizia Roberti,
Francesca Santelli, Vittorio Vercillo, Maurizio Via
COMMISSIONE FALLIMENTARE
Presidente - Mario Guarnieri
Componente - Pietro Caracciolo, Ugo Celestino, Alfonso Cosentino,
Vincenzo Feraudo, Gianpaolo Raia, Massimo Spadafora
COMMISSIONE LAVORO
Presidente - Giuseppe Lepera
Componenti - Anania Roberta, Luciano Cuozzo, Raffaella Mazzotta,
Franca Naccarato, Gianluca Rubino, Maria Donata Tortorici, Oreste Via
COMMISSIONE PRATICANTI
Presidente - Gaspare Aiello
Componenti - Danilo Aloe, Elvira Ammirato, Vincenzo Belvedere,
Cristian Bilotta, Domenico Caputo, Ilaria De Pascale, Francesca Maria Di Matteo, Valentina Gagliardi, Simona Imbrogno, Caterina
Mazzitello, Antonella Muglia, Raimonda Paci, Pierluigi Pulice, Paola
Sia
COMMISSIONE CORTE D’APPELLO
Presidente - Eugenio Scarpelli
Componenti - Laura Carratelli, Carlo d’Ippolito, Stanislao de Santis,
Alba Bianca Mazzotta, Ornella Nucci
COMMISSIONE INFORMATICA
Presidente - Vittorio Gallucci
Componenti - Antonello Bisceglia, Fabio Cundari, Massimo De Luca
Annunziato, Ivana Diquattro, Giuseppe Farina, Flavio Greco, Rosa
Masi, Francesco Molinari, Mario Ossequio, Walter Perrotta
Notiziario dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza
Nr. 4 - Cosenza, 30 Settembre 2009 - Pagina 5
Ordine degli Avvocati di Cosenza
STATISTICHE ISCRITTI AL 6/07/2009
STATISTICHE ISCRITTI (IN FORZA)
Ordinari
CASSAZIONISTI
390
Speciali
20
AVVOCATI
1783
44
6
0
1833
TOTALE
2173
64
9
0
2246
428
432
860
PRATICANTI SEMPLICI
PRATICANTI ABILITATI
TOTALE
Stranieri
0
Totali
413
CASSAZ. E AVVOCATI
PRAT. SEMPL. E ABILITATI
TOTALE ISCRITTI
STATISTICHE ISCRITTI PER SESSO (IN FORZA)
Ordinari
Speciali
2246
860
3106
Professori
Stranieri
M - F
M - F
14 - 6
3 - 0
0 - 0
316 - 97
811 - 972
23 - 21
4 - 2
0 - 0
838 - 995
1110 - 1063
37 - 27
7 - 2
0 - 0
1154 - 1092
M - F
M - F
CASSAZIONISTI
299 - 91
AVVOCATI
TOTALE
Professori
3
M - F
M - F
PRATICANTI SEMPLICI
PRATICANTI ABILITATI
TOTALE
Totali
M - F
170 - 258
162 - 270
332 - 528
CASSAZ. E AVVOCATI
PRAT. SEMPL. E ABILITATI
TOTALE ISCRITTI
1154 - 1092
332 - 528
1486 - 1620
Attività del Consiglio
dal 6 marzo 2008 al 30 giugno 2009
Riunioni 41
Presenze dei Consiglieri alle adunanze
Iscrizione Albo Avvocati
Iscrizione Avv. Elenco Speciale
Cancellazione Avvocati
Cancellazione Praticanti
Iscrizione Registro Praticanti
Compiuta Pratica
Pareri
Gratuiti Patrocini
Esposti e Disciplinari
175
5
57
140
226
254
520
1039
74
avv. Oreste Morcavallo
avv. Giovanni Spataro
avv. Angelo Pugliese
avv. Vincenzo Belvedere
avv. Carmelo Bozzo
avv. Gaetano Catera
avv. Claudio De Luca
avv. Gallucci Vittorio
avv. Giancarlo Gentile
avv. Giuseppe Giudiceandrea
avv. Mario Guarnieri
avv. Giuseppe Lepera
avv. Franco Vincenzo Locco
avv. Filippo Mancini
avv. Rosa Masi
41
39
38
36
39
38
33
19
24
39
35
41
40
38
38
Pagina 6 - Nr. 4 - Cosenza, 30 Settembre 2009
Notiziario dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza
-
35 ANNI DI ATTIVITA’ DEI T.A.R.
Convegno Nazionale a Cosenza
Tra gli eventi “storici” del
Foro Cosentino e della città di
Cosenza, deve annoverarsi
certamente il recente Convegno di diritto amministrativo
sul tema: “35 anni di Giustizia Amministrativa: l’esperienza del TAR Calabria”.
La splendida cornice del
Palazzo del Governo e della
Sala degli Specchi è stata un
degno scenario per un Convegno di altissimo valore giuridico.
La considerazione unanime è che rare volte, a livello
nazionale, si è riusciti a riunire i vertici della Giustizia amministrativa ed i maggiori studiosi del diritto amministrativo.
Il Presidente aggiunto del Consiglio di Stato, dr. Pasquale De Lise, che tra breve sarà il Presidente del
Consiglio di Stato, il dott. Alberto De Roberto, Presidente emerito del Consiglio di Stato, il Presidente del
TAR Calabria, dr. Cesare Mastrocola, il Presidente del
TAR Sezione di Reggio Calabria, dr. Italo Vitellio, il
Consigliere di Stato della V Sez., dr. Eugenio Mele, il
Consigliere del TAR Salerno, dr. Nicola Durante, i consiglieri del TAR di Reggio Calabria, dr. Giuseppe Caruso
e dott.ssa Caterina Criscenti, il Consigliere del TAR di
Catanzaro, dr. Giovanni Iannini; e poi ancora i proff.
Scoca, Clarizia, Zanino, Satta, Sandulli.
Un incontro di grande importanza, quindi che rappresenterà, al pari dei convegni storici tenutisi nel corso degli anni, un punto di riferimento certo per tutte le
tematiche trattate, per gli orientamenti espressi, per le
soluzioni giuridiche prospettate.
Il primo immediato riscontro del successo, del Convegno è la testimonianza di tantissimi Colleghi, che, direttamente od attraverso la registrazione televisiva diffusa in quattro Regioni, hanno assistito ai lavori; ma,
ancor piu, un attestato formale di grande riconoscimento del valore e del significato del convegno, è venuto
direttamente dal Presidente del Consiglio di Stato, dr.
De Lise, che ha voluto per iscritto manifestare il suo
vivo apprezzamento per l’iniziativa di Cosenza.
Di grande rilievo, pure, l’alto patrocinio concesso
dal Presidente del Consiglio dei Ministri ed il messaggio del Presidente della Repubblica in apertura dei
lavori.
L’Ordine di Cosenza e Cosenza sono sempre piu al centro dell’attenzione nazionale, per eventi ed iniziative di
grande spessore giuridico e /o professionale.
Il ns. impegno va proprio in questa direzione, di
difendere ed arricchire il prestigio dell’Ordine e
dell’Avvocatura cosentina; di riaffermare la grande dignità del Foro, la sua tradizione, il suo ruolo; di
rinverdire l’impegno dell’Avvocatura per il progresso
della società calabrese.
L’istituzione della Fondazione Scuola Forense, la
pubblicazione della Storia dell’Avvocatura cosentina, il
Notiziario, i rapporti creati con i Magistrati, con
l’UNICAL, con gli Enti, con le Associazioni Forensi, gli
eventi formativi, i Convegni, le borse di studio, i corsi di
preparazione agli esami di abilitazione, la Convenzione
con la Banca Carime per l’anticipazione di fatture,
l’informatizzazione dell’attività giudiziale: sono questi
atti concreti dello sviluppo dell’Ordine degli Avvocati
di Cosenza, impegnato oggi e sempre a dare voce ad
una categoria professionale indispensabile, fondamentale e costituzionalmente riconosciuta per lo sviluppo
della società moderna.
Il Presidente
Avv. Oreste Morcavallo
Notiziario dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza
Nr. 4 - Cosenza, 30 Settembre 2009 - Pagina 7
Borsa di studio “William Manes”
Con una suggestiva manifestazione commemorativa svoltasi a Palazzo Falcone-Sanseverino – ad Acri
L’Ordine intitolerà a William Manes una borsa di studio per i giovani praticanti, a dieci anni dalla sua scomparsa.
A dare notizia dell’iniziativa il presidente dell’Ordine,
avv. Morcavallo, nel corso di una cerimonia con la quale è
stata ricordata la figura del compianto avv. Manes, a dieci
anni dalla sua morte .
La manifestazione ha visto la partecipazione di amici,
parenti e politici e di numerosi cittadini acresi che hanno
seguito con attenzione i diversi interventi dei relatori.
La relazione introduttiva è stata tenuta dall’avv. Nicola
Conforti il quale ha tratteggiato i ruoli svolti dall’avv. William
Manes nell’ambito delle istituzioni e della professione: da
leader indiscusso del socialismo acrese nell’arco di quarant’anni di attività politica a sindaco di Acri, presidente della
unità sanitaria locale, vice presidente della comunità montana sino all’impegno come vice presidente del comitato regionale di controllo di Cosenza, sino alla sua dipartita avvenuta nel giugno del 1998. Citando una frase di Einstein sul
senso della vita, Conforti si è detto sicuro che l’eredità politica e professionale di William Manes è stata degnamente
raccolta dal figlio dello scomparso, avv. Walter, ma, nello
stesso tempo la cittadinanza tutta ne conserverà imperituro il
ricordo, proprio in virtù dell’impegno profuso dallo scomparso in direzione della crescita civile di Acri.
Il sindaco di Acri, prof. Elio Coschignano ha definito
William Manes “uno dei giganti“ della politica acrese, inquadrando la figura dello scomparso nel contesto di un’epoca caratterizzata da scontri ideologici e politici, ma destinata a far crescere la società. Il primo cittadino di Acri
ha evidenziato che il tempo dedicato dall’avv. Manes alla
società veniva “rubato” alla famiglia .
Il presidente dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza, avv.
Oreste Morcavallo ha messo in evidenza la figura professionale di Manes, che il compianto avv. Achille Morcavallo
annoverava fra i più prestigiosi esponenti del foro della
provincia cosentina. Secondo il presidente dell’ Ordine, l’
ars horatoria di cui William Manes era dotato, lo avvicinava naturalmente alla politica spingendolo ad interpretare i
bisogni della gente, forte come egli era di una ideologia
politica impregnata dei valori della giustizia e della solidarietà . L’avv.Morcavallo ha comunicato che l’Ordine degli
Avvocati di Cosenza intitolerà a William Manes una borsa
di studio destinata ai giovani praticanti del circondario. Molto
toccante l’espressione usata dall’avv. Morcavallo per concludere il suo intervento: “William Manes rappresenta un
testimone del presente e del passato, ma soprattutto del
futuro!“.
L’onorevole Cesare Marini, dopo un riferimento alle fi-
gure che avevano preceduto la leadership di Manes, ha
sottolineato la particolare capacità di cui lo scomparso era
dotato nel riuscire a portare – nel momento in cui i socialisti si contrapponevano fra di loro per assumere decisioni
importanti – le sezioni del PSI di Acri su una unica posizione politica, nonché il ruolo fondamentale che William Manes
ebbe per la crescita del socialismo acrese.
L’ing, Pino Iacino, già sindaco di Cosenza e assessore
regionale, ha ripercorso le tappe di un’antica amicizia e di
una lunghissima stagione politica che lo legava a Manes,
partendo dal ricordo degli studi fatti al liceo “Telesio” di
Cosenza. Iacino ha rimarcato con forza l’esigenza di recuperare i “valori“ di cui William Manes era sostenitore, con
particolare riferimento ad una fase storica come quella attuale caratterizzata da una caduta netta di ideali .
Ha concluso la cerimonia commemorativa l’onorevole
Francesco Principe presidente del Consiglio Provinciale di
Cosenza, che ha posto l’accento sulla integrità morale e
sulle doti eccelse di William Manes. Davvero vibrante l’ultima espressione: “Se fosse vivo William sarebbe qui e professerebbe la propria fede al socialismo! Il socialismo può
morire come partito, non come idea! “
Avv. Nicola Conforti
Pagina 8 - Nr. 4 - Cosenza, 30 Settembre 2009
Notiziario dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza
-
Sulla riforma dell’ordinamento professionale
Dopo anni, nei quali sembrava essere in via di più
compiuta realizzazione il progetto di eguaglianza
(quantomeno formale) avuto in mente dai padri costituenti, ci si ritrova a vivere in una società sempre più
divisa, frammentata, ingiusta.
L’ Italia intera è tormentata dall’incertezza del futuro, da nuove povertà, da distanze sempre più abissali
tra più abbienti e meno abbienti.
L’Avvocatura vive dentro questa realtà sociale, ma,
in gran parte, ha cessato di essere motore di cambiamento, momento di critica propositiva, luogo privilegiato di difesa dei più deboli contro ogni prevaricazione,
per ritagliarsi - invece- un quieto ruolo di passiva spettatrice di fronte a tensioni e conflitti.
Fin da piccoli, si è stati educati al rispetto di tutta
una serie di valori, nei quali ancora taluni credono, ma
che, oggi, sembrano essere negletti e pretermessi di fronte
al nuovo/vecchio dio: il danaro.
La moneta è diventata misura di tutte le cose ed anche metodo e mezzo di discrimine feroce fra le persone.
Purtroppo, dopo aver preso visione del testo / proposta di riforma dell’ordinamento forense (approvato nella seduta del 27 febbraio 2009 del Consiglio Nazionale
Forense ), sembra che la tendenza mercantilista trovi
ormai piena cittadinanza anche nell’Avvocatura.
Perché non è pensabile altra spiegazione, quando si
legge la proposta in merito ai requisiti futuri per permanere nell’iscrizione all’albo professionale ( cfr. art. 19 ).
Si stabilisce, in pratica, che il reddito diventerà il
criterio per poter continuare a svolgere la professione
forense.
Insomma e per semplificare, soltanto chi è figlio di
famiglia molto abbiente o di avvocato ricco e famoso
potrà aspirare, in futuro, a diventare un professionista
autonomo nel campo del diritto.
Altrimenti, addio alle speranze ed agli entusiasmi.
Di fatto, non è soltanto uno sfoltire gli albi prescindendo dal merito, ma l’introduzione di un numero chiuso, abilmente mascherato, che privilegia chi è già forte
di suo, economicamente oppure per acquisita posizione
sociale/professionale/familiare.
Di fronte a ciò, non si può tacere.
Perché è ormai evidente che i vertici dell’Avvocatura
nazionale hanno intenzione di portare avanti un disegno
di conservazione della casta, usando il reddito come
criterio di discrimine.
Il problema reale sta nel fatto che le classi dirigenti
del nostro paese sono incapaci di abbandonare il criterio della cooptazione, come unico strumento di selezione, in palese contrasto con i principi della Carta costituzionale.
Così facendo, difficilmente troveranno posto
nell’avvocatura del futuro coloro che sono mossi da
sincera passione, spirito critico ed autonomia di giudizio: invece, sarà la nascita, il ceto, l’appartenenza a determinare chi potrà esercitare o meno la funzione difensiva.
La più antica professione liberale si affiderà, dunque, al parametro dell’incasso come strumento di espulsione dei soggetti più deboli oppure più autonomi rispetto alle logiche del potere, economico e/o politico.
Ed allora, si discuta pure come regolamentare l’accesso alla professione, ma non si creino ulteriori momenti di rottura nel tessuto sociale.
Infatti, adottare l’ impostazione cara ai vertici del
C.N.F. significa, nei fatti, perpetuare l’esistenza di regole feudali.
Viceversa, bisognerà accogliere con favore taluni elementi di novità, quale il recente bando INPS (per il
reclutamento di domiciliatari e sostituti) ovvero le iniziative di taluni enti locali, i quali -lentamente- incominciano ad essere più trasparenti nella assegnazione degli
incarichi.
Così come è da apprezzare la delibera (del 10 novembre 2008) con la quale il Consiglio dell’Ordine di
Cosenza esprime la non condivisione rispetto a progetti
di modifica dell’Ordinamento professionale che non tengano conto delle specificità territoriali ed economiche.
Ma, non bastano le semplici dichiarazioni di principio : si deve iniziare, dal basso e dalla periferia, una
stagione di lotta, per far comprendere al Presidente del
C. N. F. ed a quant’altri che non esiste un pensiero
unico sull’avvocato del futuro.
E ben vengano tutti i nuovi fermenti, i nuovi lieviti
che possano consentire all’Avvocatura di crescere essa
stessa e, nel contempo, far crescere la società.
Cosenza, 19 marzo 2009
Notiziario dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza
Nr. 4 - Cosenza, 30 Settembre 2009 - Pagina 9
Deontologia e procedimenti disciplinari
È sotto gli occhi di tutti degli iscritti, quanto meno
di quelli, interessati alla vita dell’Avvocatura, ai modi
di essere della sua rappresentanza e dirigenza, ma anche della città, nei suoi terminali politicamente più sensibili ed attenti) il momento positivo che l’Ordine attraversa. Iniziative, capacità di interessarvi in notevole
parte gli Avvocati, più impegnati nel quotidiano lavoro, rapporti soddisfacenti, con gli altri fori della Regione, con la Magistratura, con la rappresentanza politica
negli, degli Enti Locali, l’organizzazione di corsi, tutto
testimonia una capacità di raccordarsi con le esigenze
più moderne della professione, utilizzando ogni opportunità, anche legislativa. E’ dunque, lecito esprimere
un giudizio positivo del momento, che attraversiamo,.
Naturalmente siamo ben consapevoli che si può (e quindi si deve) sempre fare di più e meglio. Ed in questa
direzione è opportuno e utile essere di sprone, nel concetto più moderno ed arioso della “delega”, non
concepibile come mandato, conferito una volta per tutte,
ma come fervida collaborazione tra rappresentati e
rappresentanza, collaborazione quotidiana ed attiva,
fatta di proposte suggerimenti verifiche.
Dimensione non secondaria di un compiuto “Governo dell’Ordine, la “disciplina”, espressa nella indispensabile sorveglianza costante della condotta degli
iscritti, e, nei casi, certo eccezionali, ma pur sempre
possibili di omissioni e deviazioni, l’intervento disciplinare. Sia consentito ad un vecchio Avvocato di esprimere poche, sintetiche considerazioni sull’argomento.
Un buonismo paternalistico, un perdonismo cronico non ha giustificazioni e legittimità: denota scarsa
sensibilità deontologica, sciatteria gestionale, quando
non clientelismo elettoralistico deplorevole. Ma, attenzione! Se è ovvio ed evidente che una giurisprudenza
equilibrata e serena deve rivolgersi ad ogni manchevolezza ed errore, ripristinando l’ordine turbato, un Ordine che si qualifica e caratterizza per le scelte, che
opera la “scelta”, che ne caratterizza la “mira”. L’attualità politica vede accentuarsi il dibattito, in sede
penale, sulla obbligatorietà dell’azione penale prevista
dall’art. 112 della Costituzione. Pur in presenza della
perentorietà della norma costituzionale, ed in attesa di
un eventuale sua riforma, di fatto si è da più parti preso atto della impossibilità materiale che il “monopolista
dell’azione penale” (così il grande processualista
Girolamo Bellavista definiva il P.M.) dia corso, sempre, ovunque a tutti procedimenti, per i quali il suo
Ufficio ha avuto impulso. Di qui la “scelta”, a quali
procedimenti dare la precedenza, a quali fattispecie
accordare primato.Io sono del parere che, anche per i procedimenti
disciplinari professionali (per la professione forense),
tra i due filoni, tra i due indirizzi (concernenti la condotta degli Avvocati, le loro azioni e/ o omissioni), sia
qualificante che la “mira” dell’azione disciplinare sia
tesa a colpire prevalentemente e stavo per scrivere
esclusivamente) la condotta di quegli scritti, che, nei
rapporti con il Colleghi, e soprattutto con i Clienti, vengono meno alla onestà più specchiata, al rigore morale
più ineccepibile. L’Avvocato non esercita poteri, “Potere”. Anche quando l’altro termine della, nella, Amministrazione della Giustizia, l’organo d’accusa il P.M.,
non esorbita ed eccede, ha sempre la titolarità e la
difesa del principio di libertà, contro quello della autorità. Per rappresentarla nella sua pienezza, è indispensabile che non abbia scheletri nel suo armadio. Perciò, una giurisprudenza che chiarisca rapidamente e
perentoriamente che non c’è spazio per Avvocati disonesti, ma anche superficiali, pigri, disattenti, rafforza
l’avvocatura, esaltandone la funzione di tramite ideale
ineliminabile, tra chi chiede giustizia e gli organi
istituzionalmente preposti ad amministrarla.L’ ”altra”, residuale materia, quella che concerne
eventuali scontri, tra Avvocati e giudici, sovente dovuti più ad autoritarismi accentuati e residui borbonismi,
ovvero a diversa interpretazione delle norme
deontologiche delle rispettive funzioni, non attiene alla
onestà scrupolosa del patrocinatore, al suo rigore morale, alla qualità solidaristica verso il Cliente.
Desidero aggiungere che, in oltre 50 anni di esercizio professionale, numerosi iscritti mi hanno, in pendenza di procedimenti disciplinari a loro carico, onorato della loro fiducia perché li rappresentassi. Devo
confessare che, quante volte alla base dell’addebito
fosse una questione, anche se controversa, di somme
trattenute, di gestione sciatta e grigia della lite, di informazioni non fornite o tardivamente o stancamente
fornite, ho provato fastidio e mortificazione, ed ho sempre preteso che, prima della discussione finale della
vertenza, venisse eliminato il contenzioso economico.
Quando, di contro, ho difeso e rappresentato Avvocati, rei di “eccesso di fierezza”, ho avvertito l’orgoglio
della missione, la condivisione della battaglia.Avv. Ernesto d’ Ippolito
Pagina 10 - Nr. 4 - Cosenza, 30 Settembre 2009
Notiziario dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza
-
Opportunità di assumere incarichi professionali
pleonastici - Limiti e deontologia
Si discute se sia deontologicamente corretto, assumere incarico fiduciario nella consapevolezza che
l’espletamento dello stesso risulti superfluo, pleonastico,
del tutto privo di alcun effetto. Vi sono, infatti, fattispecie
concrete ove il patrocinio di più avvocati risulta essere
un esatto doppione difensivo o di assistenza in generale sempre dopo che si sia verificata la sufficiente nonché
necessaria attività difensiva o di assistenza in capo al primo patrocinante anche assumendo “sommarie informazioni” presso il potenziale cliente - (si pensi al patrocino
per il terzo trasportato). In costanza di tale surriferita
ipotesi, la costituzione in giudizio è un atto del tutto privo
di effetti sostanziali, tanto che imporrebbe l’astensione
da parte dell’avvocato investito della questione di assumere qualsivoglia tipo di incarico professionale. Esiste,
purtroppo, in natura, una categoria ontologica di colleghi la quale si costituisce in associazione (e non) anche
un attimo prima che il processo civile venga assegnato a
sentenza. Ciò si osserva soprattutto nei confronti di quella
schiera di disinvolti avvocati, i quali, dopo aver aderito
in toto alle richieste svolte ed alle conclusioni rassegnate
– per altro ipocritamente magnificate essendo passate
al vaglio della loro sovrintendenza - si riportano integralmente alle comparse conclusionali e di repliche, un istante
dopo aver depositato le loro laconiche memorie conclusive. I più corretti fanno precedere la propria strimenzita
costituzione, da una cortese telefonata finalizzata a scusarsi ed a manifestare tutto l’imbarazzo che il caso richiede; altri adducono improbabili parentele al punto di
costituirsi ob torto collo, stante la pressante minaccia di
qualche collaterale; altri ancora ignorano l’esistenza del
primo patrocinante al quale, ovviamente, vanno i demeriti
e non i meriti, nel caso di esito infausto. Ma anche i più
scaltri e preparati colleghi, ove si sia espletata la totalità
delle richieste istruttorie ammesse, laddove si sia dedotto e controdedotto tutto il controdeducibile – nel caso
summenzionato anche avvalendosi di ctp medico legale
e/o di perizia modale di parte atta ad accertare la dinamica del sinistro - quali nuovi elementi, quale contributo
così indispensabile si può produrre, stante l’impossibilità di formulare nuove richieste, di escutere altri testimoni, di controdedurre; quale utilità effettiva può discendere da un mandato inficiato di operatività sin dall’inizio?
In tale ultima ipotesi, sarebbe forse il caso di astenersi
dall’assumere incarichi del tutto inutili, privi di
qualsivoglia effetto, davvero in limine con ogni regola
non solo deontologica. Tali costituzioni, infatti, non possono che avere fini del tutto estranei rispetto alla preci-
pua assunzione che l’incarico fiduciario impone il quale
- si rammenta- è improntato a principi di fedeltà e buon
adempimento nei confronti degli assistiti, a danno dei
quali - nelle migliori delle ipotesi - si esige un doppio
onorario – per aver speso un patrocinio solo di carattere
formale del tutto ingiustificato. Altro che giuramento!!
S.Giovanni in Fiore lì 27.05.2009
Avv. Spiro Nicastro
Istituita l’Associazione
Matrimonialisti Italiani
a Cosenza
Il direttivo distrettuale dell’AMI, Associazione
Matrimonialisti Italiani, presieduta dal prof. Avv. Mario Alberto Ruffo, previa intesa con il presidente nazionale, prof.
Gian Ettore Gassani, ha conferito incarico all’Avv. Margherita Corriere, quale presidente, e all’Avv. Daniela Mascaro,
quale segretario, della istituzione della sede locale dell’associazione nella provincia di Cosenza.
L’AMI è una associazione di giuristi , finalizzata a promuovere il dibattito sulle tematiche della famiglia e della
condizione giovanile, con particolare riferimento alle esigenze di miglioramento e di riforma della legislazione familiare e minorile e quella concernente i diritti delle persone;
Mira a incoraggiare, in una prospettiva multidisciplinare,
il confronto e la collaborazione con le altre figure professionali che si occupano dell’età evolutiva, della famiglia in
generale, dell’infanzia e adolescenza, della terza età, dei
diversamente abili, della cittadinanza e dell’integrazione sociale e di tutto ciò che riguarda i diritti della persona in
quanto tale, senza eccezioni di sorta.
Favorisce, soprattutto tra le giovani generazioni di avvocati, l’acquisizione di una competenza adeguata alla complessità dei problemi della famiglia, dell’infanzia e dell’adolescenza, contribuendo di conseguenza al pieno rispetto dei
diritti di ogni persona coinvolta in un procedimento giudiziario, anche attraverso corsi di formazione ed aggiornamento, nel rispetto delle norme deontologiche forensi.
I Colleghi interessati potranno contattare la presidente
per ulteriori informazioni.
Avv. Margherita Corriere
Notiziario dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza
Nr. 4 - Cosenza, 30 Settembre 2009 - Pagina 11
Codice di deontologia per il trattamento dei dati
personali effettuato per la difesa in giudizio:
nuovi obblighi per gli avvocati
Dal 1° gennaio 2009 è il vigore il “Codice di
deontologia per il trattamento dei dati personali effettuato
per svolgere indagini difensive o per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria” - Provv. del Garante per
la Privacy n° 60 del 06/11/2008.
Esso rappresenta un vademecum diretto agli operatori
del diritto e agli investigatori privati volto a riassumere gli
obblighi a loro carico in materia di privacy.
In verità già il D. Lgs. 196/03 (Testo unico per il trattamento dei dati personali), ed ancor prima la L. 675/96,
avevano sancito obblighi precisi a carico di molteplici categorie di soggetti, titolari del trattamento, diversificati per
la natura dei dati personali trattati.
Ne è discesa la bipartizione in due macro categorie.
Da un lato quella di coloro che trattano dati sensibili
(art. 4 lett. d D. Lgs. 196/03), vale a dire dati idonei a
rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose,
filosofiche, politiche o di altro genere, l’adesione a partiti,
sindacati o determinati tipi di associazioni, i dati relativi alla
salute e alla vita sessuale e dati giudiziari (art. 4 lett. e)
afferenti alcuni provvedimenti in materia penale, sanzioni
amministrative dipendenti da reato o la qualità di indagato.
Questa categoria, ben profilata dalla legge, obbliga all’adozione di misure di sicurezza “idonee”, individuate sulla base di una precisa analisi dei rischi cui è esposto il
trattamento dei dati avuto riguardo alla sua pericolosità. Un
medico, ad esempio, tratta dati sensibili particolarmente
pericolosi per cui è prescritta, come misura di sicurezza
idonea, la crittografia dei dati trattati in forma elettronica.
Dall’altro lato si individua la categoria di coloro che trattano dati comuni, quindi residuale rispetto ai dati sensibili.
In essa rientrano, ad esempio, i dati anagrafici, le immagini
(se non riproducono informazioni di tipo sensibile), i suoni, i
dati di reddito, ecc. . Per tale tipologia di dati, trattati tradizionalmente da aziende di produzione, commercianti, distributori, artigiani, ecc., è richiesta solo l’adozione di misure
“minime”, queste ultime ulteriormente semplificate con il
provvedimento del Garante per la Privacy del 24/05/2007 e
con l’art. 29 del D. L. n° 112 del 25/06/2008.
Ovviamente gli avvocati rientrano nella prima categoria
trovandosi spesso a trattare dati sanitari, sindacali, attinenti
la vita sessuale, ecc.. Pertanto il codice deontologico appena
varato, che ben si coordina con il codice di deontologia forense,
prescrive in modo specifico e puntuale tutti gli obblighi cui
questi sono soggetti nell’esercizio dell’attività difensiva e di
investigazione.
In merito alle modalità del trattamento, è da segnalare
l’obbligo di fornire istruzioni scritte (per il trattamento dei
dati) al praticante, tirocinante o stagista, nonché ai CTP,
ai periti o altri collaboratori ausiliari; l’adozione di cautele
per prevenire l’ingiustificata raccolta , utilizzazione o conoscenza di dati nei specifici casi indicati, fra i quali lo
scambio di corrispondenza telematica, l’utilizzo e la distruzione di dati riportati su dispositivi elettronici, l’uso di
dati pubblici, la restituzione e distruzione della documentazione del fascicolo, la rinuncia e la revoca del mandato,
i rapporti con la stampa, ecc.
Restano ferme le prescrizioni generali già in vigore dal
lontano 1996 tra le quali quelle di redigere e aggiornare
annualmente il Documento Programmatico sulla Sicurezza,
fornire l’informativa agli interessati, adottare le misure di sicurezza idonee (informatiche, logistiche, procedurali), nominare e formare gli incaricati e i responsabili del trattamento.
E come ogni obbligo di legge, è prevista una sanzione in
caso di inadempimento, tanto più che il trattamento dei dati
personali è definito nel Testo Unico sopra citato “attività pericolosa” alla stregua di quella configurata nell’art. 2050
c.c., il quale, com’è noto, prevede l’inversione dell’onere
della prova.
I controlli, effettuati dalla Guardia di Finanza, affiancata da esperti nominati dal Garante per la Privacy, possono
comportare la reclusione fino a due anni e l’irrogazione di
sanzioni amministrative che potrebbero arrivare fino ad alcune centinaia di migliaia di euro.
Per non parlare del rischio di condanna al risarcimento
del danno nei confronti dell’interessato (cliente, dipendente,
ecc) leso dall’illecito trattamento dei suoi dati o della possibilità attribuitagli di presentare una segnalazione o un reclamo
al Garante per la Privacy al fine di prospettare l’esistenza di
un trattamento non conforme alle prescrizioni normative.
Pertanto, trascorsi più di dieci anni dall’emanazione
della prima legge sulla privacy, oggi il rispetto delle sue
prescrizioni, ormai estremamente articolate anche se qualche volta non ben coordinate, è da considerarsi oltre che
un obbligo anche un’opportunità. L’attuale disciplina, infatti, invita il titolare del trattamento al rispetto di alcune
regole che elevano certamente la qualità del lavoro, prevengono i rischi legati alla distruzione accidentale dei dati
personali imponendo misure di sicurezza anche di tipo
informatico, educano alla liceità dell’uso che di essi può
farsi. E il nuovo codice di deontologia supporta e completa non solo quanto già imposto genericamente dal Testo
Unico, ponendosi al rango di “norma di species”, ma intreccia egregiamente le sue maglie con le disposizioni del
codice di deontologia forense.
Avv. Ivana Diquattro
Pagina 12 - Nr. 4 - Cosenza, 30 Settembre 2009
Notiziario dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza
-
La distrazione ex art. 93 c.p.c.
L’On.le Consiglio, a mezzo del Nostro Presidente,
Avv. Morcavallo, ha ritenuto di includere, tra i componenti della Sezione Diritto Civile, anche l’Avv. Gaetano
Bruni. Di recente, nel peregrinare tra gli infiniti meandri del diritto, mi sono imbattuto in una tematica dell’apparente semplicità: (la distrazione ex art. 93 c.p.c.)
Domanda: la distrazione, nei limiti della liquidazione operata dal Magistrato, è titolo esecutivo contro il cliente?
Nei giorni scorsi ho effettuato una indagine
demoscopica tra i Colleghi del Foro. La risposta, fatta
debita eccezione, nell’immediato, è stata unanime: No!!!
Stessa impostazione concettuale nella Magistratura Giudicante. La distrazione può essere azionata solo nei confronti del soccombente.
Il provvedimento reso dal Magistrato, trova fondamento nella dichiarazione del difensore di aver anticipato le spese, senza riscuotere gli onorari.
La testuale lettura dell’art. 93 c.p.c. non preclude
l’azionabilità del credito in danno del cliente. Né limita
l’eseguibilità unicamente in danno del soccombente.
Se ciò non fosse il secondo comma dell’art. 93 c.p.c.
(il cliente, una volta corrisposto il compenso, può chiedere la “revoca” del provvedimento, nelle forme dell’art.
288 c.p.c.) non avrebbe ragion d’essere.
L’interpretazione della norma non è riferibile ad una
possibile (ubi lex non distinguit nec nos distinguere
potemus) ovvero inespressa volontà (ubi lex voluit dixit
ubi noluit non dixit) del legislatore.
Lo studio esegetico dell’Istituto, secondo dottrina e
giurisprudenza, attribuisce all’avvocato distrattario un
favor patrocinii, da cui deriva un rafforzamento del credito nei confronti dei debitori solidali.
In dottrina (C. Mandrioli, Diritto Processuale Civile,
I Torino, 2003, pag. 347. E.Redenti. M. Vellani, Lineamenti di Diritto Processuale Civile, Milano, 2005, 88
– 89) l’art. 93 configura una eccezione alla regola generale. Infatti, solitamente, il compenso al difensore è dovuto dal rappresentato salvo (se vittorioso) il diritto di
quest’ultimo al rimborso nei confronti della parte
soccombente. Le ragioni di tale eccezione si individuano nelle maggiori garanzie attribuite al difensore. Vale
a dire conseguire il compenso, direttamente, dalla parte
soccombente, eliminando così il tramite della parte vittoriosa.
Sotto questo profilo, la distrazione introduce nell’originario rapporto processuale, il difensore antistatario,
quale soggetto legittimato ad agire in danno del
soccombente (Cass. 18 ottobre 2003 n. 15639 e Cass.
8 marzo 1986 n. 1580).
La distrazione non rappresenta una cessione di credito fatta dal cliente al difensore ovvero una azione
surrogatoria, esercitata dall’avvocato in rappresentanza del cliente. La distrazione rappresenta un diritto
proprio ed autonomo del difensore (Cass. 18 ottobre 2003 n. 15639). La parte rappresenta, infatti, non
è legittimata all’impugnazione avverso il capo della
sentenza che abbia rigettato ovvero omesso di esaminare l’istanza di distrazione (Cass. 7 luglio 2000 n.
9097). Né tantomeno può censurare per cassazione il
vizio di omessa pronunzia (Cass. 19 agosto 2003 n.
12104).
Orbene se la distrazione rappresenta una deroga al
rapporto di mandato (contratto privatistico) perché l’avvocato distrattario, nell’ipotesi di graduata compensazione delle spese ovvero nell’ipotesi di insolvenza della
parte soccombente, dovrebbe “duplicare” un titolo già
esistente?
Il problema, nella quotidiana prassi dell’attività
giudiziaria, è posto in riferimento al principio generale
della soccombenza (art. 91 c.p.c). Il cliente vittorioso non
è soccombente. Ergo non è soggetto escutibile. La distrazione non può azionarsi in danno dello stesso.
Al contrario, per consolidato orientamento del Giudice di Legittimità (Cass. 26 settembre 1961 n. 2041,
con nota di G. De Stefano, Giur. IT. 1963,I, 1, 124,
ritrovata nel suo completo sviluppo, grazie alla collaborazione del prof. Mancini,insostituibile depositario
dei tesori giuridici custoditi in biblioteca), il provvedimento riguardante la distrazione delle spese, può
azionarsi anche in danno del cliente. Statuisce il Collegio: “il provvedimento di distrazione… ha per scopo di
consentire al procuratore la possibilità di ottenere il
soddisfacimento di quanto gli è dovuto dal proprio rappresentato (OMISSIS)”. In forza di tale provvedimento
il debito del soccombente si affianca, in via alternativa , a quello del cliente, e rimane integra la facoltà del
procuratore di rivolgersi a quest’ultimo se lo ritenga
più conveniente (TESTUALMENTE RIPORTATO)”.
Trattasi di un “corretto principio di diritto” richiamato, espressamente, nella motivazione di Cass. 19
ottobre 1988 n. 5678. Ripreso, incidente tantum, da
Cass. 7 luglio 2000 n. 9097, già citata.
Mi rimetto, con deferente ossequio, alle valutazioni
degli Organismi preposti laddove venisse decisa la diffusione ed il contenuto della ricerca.
Avv. Gaetano Bruni
RASSEGNA
DI DOTTRINA
E GIURISPRUDENZA
SEZIONE DI DIRITTO CIVILE
Avv. Fernando BIANCHINO
Avv.Gaetano BRUNI
Avv. Domenico CAPUTI
Avv. Rosaria CIRINO
Avv. Lucia CLAUSI
Avv. Maria Rosaria COSCHIGNANO
Avv. Carlo d’IPPOLITO
Avv. Giuseppe FARINA
Avv. Salvatore FERRANTE
Avv. Massimo FERRARO
Avv. Angelo GENTILI
Avv. Marisa GRANIERI
Avv. Maria IAQUINTA
Avv. Rosetta LAURA
Avv. Lucia LE PIANE
Avv. Franca MIGLIORESE CAPUTI
Avv. Oscar MUSACCHIO
Avv. Annunziata PAESE
Avv. Verino PRINCIPATO
Avv. Vincenzo PUGLIESE
Avv. Rosamaria ROMANO
Avv. Vittorio VERCILLO
Avv. Alessandra VILLECCO
SEZIONE DI DIRITTO DI FAMIGLIA
Avv. Maria Teresa PALMIERI
SEZIONE DIRITTO AMMINISTRATIVO
Avv. Salvatore ALFANO
Avv. Salvatore CALLEA
Avv. Giuseppe CIPPARRONE
Avv. Giuseppe LEPORACE
Avv. Francesca LO FEUDO
Avv. Alessandro MANGINI
Avv. Fiorella PERNA
Avv. Domenico PROVENZANO
SEZIONE PENALE
Avv. Cesare BADOLATO
Avv. Carmine FURLANO
Avv. Giorgia GRECO
Avv. Marlon LEPERA
Avv. Giuseppe MALVASI
Avv. Antonella MASSIMILLA
Avv. Pietro PERUGINI
SEZIONE FALLIMENTARE
Avv. Maria Maddalena GIUNCATO
Avv. Marisa LOPEZ
Avv. Margherita MADEO
Sommario
Decorrenza
del trattenimento in servizio
del Pubblico Dipendente
Avv. Marilena Ricchiuti
14
Nullità o inesistenza
della cartella di pagamento
Dott. Alfio Pisani
18
La Ficta confessio
nel rito societario
alla luce della Sentenza
Corte Costituzionale n° 340/07
Dott. Giampaolo Caruso
20
Responsabilità – amministrativa –
danno erariale
Avv. Mario Tocci
23
Pagina 14 - Nr. 4 - Cosenza, 30 Settembre 2009
Notiziario Rassegna di Dottrina e Giurisprudenza
-
Tribunale di Cosenza sez. Lav. .Ordinanza n.2168 R.G. cron. n.9253/09 emessa nella procedura ex art. 669 terdecies c.p.c.
Decorrenza del trattenimento in servizio
del Pubblico Dipendente
Il diritto potestativo riconosciuto dall’art. 16 del d.lg n. 503/92 vecchia formulazione e l’interesse
legittimo riconosciuto dalla nuova normativa di cui all’art.72 comma 7 del d.l. n. 112/2008
attengono alla permanenza in servizio del pubblico dipendente oltre il compimento dell’età
pensionabile, sicché la decorrenza del trattenimento in servizio non può che coincidere con il
giorno successivo alla data di compimento del sessantacinquesimo anno di età”
Ordinanza n.2168 R. G. 2009
T R I B UN A L E D I C O S E N Z A
Ufficio Controversie di Lavoro
Il Tribunale di Cosenza, riunito in camera di consiglio, e così composto
Dott.ssa S. F. Presidente
Dott. V. L. F. Giudice
Dott.ssa G. B. Giudice rel. est.
letti gli atti ed esaminati i documenti;
udito il giudice relatore;
a scioglimento della riserva assunta al verbale di udienza
dell’11.5.2009;
ha pronunciato la seguente
ORDIN
ANZA
ORDINANZA
Nella procedura ex art. 669 terdecies iscritta al numero 2168
R.G. 2009
TRA
S.E. rappresentato e difeso dall’avv.to R.M
RECLAMANTE E
R. C. , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’avv. to A.T.
RECLAMA
RECLAMATTA
Oggetto:trattenimento in servizio oltre il sessantacinquesimo
anno di età
Osser va e rile
rilevv a
Con ricorso depositato il 3.4.2009 S.E. proponeva reclamo avverso l’ordinanza del 20.3.2009 con la quale veniva rigettato il ricorso
ex art. 700 c.p.c. volto ad ottenere in via d’urgenza il riconoscimento
del diritto al trattenimento in servizio fino al compimento del biennio
successivo all’età pensionabile ex art. 16 comma 1 del d.lgs. n. 503/
92, previa sospensione e/o disapplicazione della Delibera della Giunta Regionale n.34 del 29.1.2009 con la quale era stato confermato il
collocamento a riposo del 5.11.2008 prot. n. 23290.
Esponeva che era dipendente della R. C. con la qualifica di Dirigente 9° livello; che in data 10.10.2008 aveva presentato a domanda di
proroga biennale (ex art. 16 comma 1 del d.lgs. n. 503/92 e succ.
mod. art. 72 comma 8 e 10 del d.l. n. 112/2008), in quanto in data
8.12.2008 avrebbe raggiunto il limite di età per il collocamento a
riposo (artt. 25 e 26 del CCNL Regioni ed enti locali Area Dirigenza)con
38 anni di servizio; che la R. C. , ignorando la domanda di trattenimento in servizio, con provvedimento del 5.11.2008 gli aveva comunicato che con decorrenza dall’1.4.2009 sarebbe stato collocato a
riposo per raggiungimento del limite di età; che aveva vanamente
richiesto spiegazioni sul suo collocamento a riposo, che aveva successivamente impugnato con lettera racc. a.r. del 18.12.2008; che
con nota n. 2.1.2009 gli era stato comunicato che la domanda di
trattenimento in servizio era in corso di istruttoria e che in attesa di
provvedimenti in merito veniva confermato il contenuto della nota del
5.11.2008; che, pertanto, aveva proposto ricorso ex art. 700 c.p.c. ,
a seguito del quale il giudice designato con provvedimento del 2.2.2009
aveva fissato la comparizione per l’udienza del 2.3.2009, mentre nel
frattempo con racc. a.r. del 7.2.2009 la R. C. aveva comunicato che con
delibera del 29.1.2009 era stata rigettata la domanda di trattenimento
in servizio con conferma del provvedimento di collocamento a riposo
del 5.11.2008; che nella delibera in questione si motivava il rigetto
della domanda, considerando che il ricorrente avrebbe dovuto essere
collocato in quiescenza con decorrenza dall’1.4.2009 – prima finestra
utile di uscita – per raggiunti limiti di età con anzianità di servizio di 38
anni e che non sussisteva un interesse pubblico diretto ed immediato al
suo trattenimento in servizio oltre il 65° anno di età, tenuto conto della
riorganizzazione strutturale del Dipartimento n. 4 “Bilancio e Patrimonio”.
A sostegno del reclamo ribadiva le argomentazioni già sostenute
nella prima fase del giudizio cautelare e in particolare deduceva che
ai sensi del comma 8 dell’art. 72 del d.l. n. 112/2008, per come
interpretato dalla circolare n. 10 del 20.10.2008 dal Ministero della
Funzione Pubblica, le domande di trattenimento in servizio presentate nel periodo antecedente all’entrata in vigore del nuovo d.l. n. 112/
2008, non ancora evase e quelle presentate entro i sei mesi successivi l’entrata in vigore del decreto stesso dovevano essere valutate a
seconda della data di decorrenza del trattenimento;che, pertanto, se
la decorrenza del trattenimento in servizio era precedente al
Notiziario Rassegna di Dottrina e Giurisprudenza
31.12.2008 (compimento del limite di età di 65 anni entro il
3.12.2008)l’istanza dell’interessato doveva essere accolta, trovando applicazione il vecchio regime previsto dall’art. 16 del d. lgs. n.
503/92, secondo cui l’amministrazione non aveva alcuna
discrezionalità nel concedere il trattenimento in servizio; che al contrario, se la decorrenza era successiva al 31.12.2008 (compimento
del limite di età di 65 anni il 31.12.2009)allora la domanda di trattenimento in servizio doveva essere valutata palla p.a. in base a quanto
previsto dall’art. 16 come modificato dal comma 7 dell’art. 72 del d.l.
n. 112/2008 e cioè tenendo conto delle proprie esigenze organizzative
e funzionali; che il reclamante aveva raggiunto il limite di età per il
collocamento a riposo in data 8.12.2008 e cioè prima del 30.12.2008,
per cui la domanda di trattenimento in servizio inoltrata il 10.10.2008
(entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del nuovo regime) non
doveva essere oggetto di alcuna valutazione discrezionale dal parte
della R. C. , la quale avrebbe dovuto solo prendere atto della domanda e disporre contestualmente il trattenimento in servizio; che, al
contrario, quest’ultima era intercorsa in un errore interpretativo delle norme che disciplinavano la fase transitoria del trattenimento in
servizio stabilite negli art.. 8,9 e 10 del d.l. n.112/2008, in quanto
aveva preso considerazione la decorrenza del
pensionamento(1.4.2009) prevista dalle c.d. “finestre di uscita di cui
alla l. n. 247/27 ovvero dei termini temporali in cui, maturati i requisiti, era consentito accedere alla pensione con conseguente applicazione della nuova normativa”.
Lamentava che il giudice di prime cure aveva condiviso la interpretazione dell’amministrazione, applicando erroneamente l’art. 72
della l. n. 133/2008 comma 8.
Chiedeva, pertanto, che fosse pronunciata la revoca dell’ordinanza reclamata e che fosse accolta la domanda cautelare volta ad
ottenere il suo mantenimento in servizio fino al compimento del
biennio successivo all’età pensionabile, rappresentando, sotto il
profilo del periculum in mora, il danno irreversibile alla professionalità, considerato che avrebbe dovuto lasciare l’incarico - in scadenza nel 2012 – di dirigente del Servizio Tributi per andare in
pensione con conseguente assegnazione dello stesso ad altro dirigente.
Costituitasi in giudizio, la R. C. , ribadiva le difese già spiegate nella
prima fase, deducendo il corretto operato dell’Amministrazione.
Eccepiva, in particolare, che la espressione trattenimento in servizio doveva coincidere con la data stabilita dalla legge per il collocamento a riposo (c.d. finestre) e non con la data del compimento
del 65° anno di età del dipendente per come sostenuto dal reclamante.
Chiedeva, dunque, il rigetto del reclamo.
All’udienza dell’ 11.5.2009 i procuratori delle parti illustravano
oralmente le ragioni poste a sostegno delle proprie richieste e il
Tribunale riservava la decisione.
****
Il reclamo è fondato.
A norma dell’art. 16 del d.lgs. n. 503/1992 è in facoltà dei dipendenti civili dello stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore dalla
Nr. 4 - Cosenza, 30 Settembre 2009 - Pagina 15
legge 23 ottobre 1992, n. 421, per un periodo massimo di un
biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi
previsti.
La S. C. ha piu volte affermato che in tema di collocamento a
riposo d’ufficio al compimento delle età massime previste dai diversi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche, l’art. 16 del d. lgs.
30 dicembre 1992, n. 503 (vecchia formulazione) prevede il diritto
potestativo del pubblico dipendente di essere trattenuto in servizio
per un biennio oltre l’età normalmente prevista per il collocamento
a riposo, che può essere esercitato dall’interessato in ogni tempo
antecedente alla risoluzione automatica del rapporto per il compimento dell’età massima di servizio, assolvendo il solo onere del
preventivo invio della comunicazione dell’opzione al datore di lavoro, che impedisce l’estinzione del rapporto (ex multis Cass. N. 1297/
2006).
L’art. 72 del d.l. n. 112/20008 conv. In l. n. 133/2008 – intitolato personale dipendente prossimo al compimento dei limiti di età
per il collocamento a riposo – ha modificato l’art. 16 del d. lgs. N.
503/92, prevedendo al contempo un regime transitorio.
In particolare il comma 7 recita: “ all’art. 16 comma 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, e successive modificazioni,
dopo il primo periodo sono aggiunti i seguenti: ” In tal caso è data
facoltà all’amministrazione, in base alle proprie esigenze
organizzative e funzionali, di accogliere la richiesta in relazione alla
particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in
determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’efficiente andamento dei servizi. La domanda di trattenimento va presentata all’amministrazione di appartenenza dai ventiquattro ai dodici mesi
precedenti il compimento del limite di età per il collocamento a riposo previsto dal proprio ordinamento.”.
Il successivo comma 8 prevede che “ sono fatti salvi i trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e quelli disposti con riferimento alle domande di trattenimento presentate nei sei mesi successivi alla data di entrata in
vigore del presente decreto”.
Infine, il comma 9 prevede che: “ le amministrazioni di cui al
comma 7 riconsiderano, con provvedimento motivato, tenuto conto
di quanto ivi previsto, i provvedimenti di trattenimento in servizio
già adottati con decorrenza dal 1° gennaio al 31 dicembre 2009”,
mentre il comma 10 dispone che “ I trattenimenti in servizio già
autorizzati con effetto a decorrere dal 1° gennaio 2010 decadono
ed i dipendenti interessati al trattenimento sono tenuti a presentare una nuova istanza nei termini di cui al comma 7”.
Nel caso di specie il reclamante, dipendente della R. C. con la
qualifica di Dirigente di 9° livello, ha iinoltrato domanda di trattenimento in servizio fino al compimento del biennio oltre il limite di
età, poiché in data 8.12.2008 (cfr data di nascita dell’8.12.1943)
avrebbe raggiunto – con 38 anni di ser vizio (circostanza
incontestata) – il limite di età per il collocamento a riposo ex art. 25
e 26 del CCNL Regioni ed Enti Locali, che prevedono al punto a), tra
le cause di cessazione automatica del rapporto di lavoro, il compimento del limite di età (o il raggiungimento dell’anzianità massima
di servizio) previsti dalle norme di legge e cioè 65 anni per gli
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uomini a decorrere dall’1.1.2002 giusta tabella A allegata al d.lgs.
n. 503/1992.
L’Amministrazione datrice di lavoro ha rigettato la domanda, sostenendo che non sussisterebbe un immediato interesse pubblico al
trattenimento in servizio, tenuto conto, del processo di riorganizzazione
strutturale del Dipartimento n. 4 Bilancio e Patrimonio.
Ha, dunque, confermato il provvedimento di collocamento a riposo con decorrenza dall’1.4.2009 (prima finestra utile) per raggiunti limiti di età, con ciò ritenendo di dovere applicare il nuovo
regime introdotto dall’art. 72 del d.l. n. 112/2008 che subordina
l’accoglimento dell’istanza del dipendente alla comparizione con
l’interesse pubblico da parte dell’Amministrazione.
La tesi della R. si fonda sulla interpretazione dell’espressione trattenimento in servizio, usata dal legislatore, nel senso che la stessa
dovrebbe coincidere necessariamente con la data di collocamento a
riposo.
In sostanza - sostiene la reclamata – prima della data di collocamento a riposo non può parlarsi di trattenimento in servizio dal
momento che il pubblico dipendente ha l’obbligo di continuare l’attività lavorativa fino alla data del collocamento a riposo previsto ed
imposto dalla l. n. 247/2007, che ha fissato le c.d. finestre di uscita
per la decorrenza del diritto alla pensione.
Pertanto, considerato che nel caso del reclamante la c.d. finestra d’uscita è quella dell’ 1.4.2009 la sua posizione rientrerebbe
nell’alveo applicativo della nuova normativa con conseguente
discrezionalità dell’Amministrazione nell’accoglimento della istanza.
La tesi sostenuta dalla reclamata e condivisa dal giudice di prime cure appare contraria alla ratio della proroga biennale, che è
quella di consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre il
compimento dell’età pensionabile e non già oltre il momento stabilito dalla legge per la decorrenza del diritto alla pensione.
Invero, le c. d. finestre d’uscita costituiscono uno scaglionamento dei pensionamenti per ragioni legate alla finanza pubblica ed
hanno incidenza sulla decorrenza del diritto alla prestazione
pensionistica, una volta raggiunti i requisiti contributivi ed anagrafici.
Viceversa il diritto potestativo riconosciuto dall’art. 16 del d.
lg. n. 503/92 vecchia formulazione e l’interesse legittimo riconosciuto dalla nuova normativa di cui all’art. 72 comma 7 del d. l. n.
112/2008 attengono alla permanenza in servizio del pubblico
dipendente oltre il compimento dell’età pensionabile, sicchè la
decorrenza del trattenimento in servizio non può che coincidere
con il giorno successivo alla data di compimento del
sessantacinquesimo anno di età.
La circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica, in realtà,
ha carattere esplicativo di un dato normativo di indubbio riferimento al compimento del limite di età.
In particolare viene chiarita la portata applicativa del comma 8
in combinato disposto con il successivo comma 9 dell’art. 72, facendo esplicito riferimento alla data di compimento del limite di età
e concludendo che , oltre ad essere fatte salve le domande presentate prima del 25.6.2008 (data di entrata in vigore del decreto) e
che non siano state ancora esaminate, rientrano nel regime transi-
torio del comma 8 dell’art. 72 e, dunque, nella vecchia normativa
anche i casi in cui la decorrenza del trattenimento è precedente al
31.12.2008, mentre rientrano nella nuova i casi in cui la decorrenza del trattenimento è successiva al 31.12.2008.
In sostanza tale data individua il giorno successivo al compimento del sessantacinquesimo anno di età avvenuto il 30.12.2008
e segna il momento ultimo per l’applicazione della vecchia disciplina, ma a condizione che la domanda di trattenimento in servizio sia
stata già acquisita dall’amministrazione ovvero inoltrata dal dipendente entro il 25.12.2008, ossia entro sei mesi successivi alla data
di entrata in vigore del decreto legge.
In tal senso si è espressa la nota informativa dell’I. , che – pur
non essendo vincolante per il Collegio giudicante – è pienamente
condivisibile, in quanto in linea con la ratio della proroga biennale.
Alla luce di quanto esposto appare sussistente in capo al reclamante il diritto potestativo al trattenimento in servizio in applicazione del vecchio regime di cui all’art. 16 del d. lgs. n. 112/2008, in
quanto egli ha raggiunto il limite di età dei 65 anni in data 8.12.2008
(cfr data di nascita del 8.12.1943) ed ha inoltrato la domanda di
trattenimento in servizio il 10.10.2008 e cioè entro i sei mesi dall’entrata in vigore della nuova normativa.
L’Amministrazione datrice di lavoro, dunque, avrebbe dovuto solo
prendere atto di tale domanda e disporre il trattenimento in servizio del reclamante, senza compiere alcuna valutazione discrezionale.
Ritiene il Tribunale che sussiste anche il periculum in mora , da
ravvisarsi nella lesione di un diritto di contenuto non patrimoniale e
pertanto non ristorabile a posteriore per l’equivalente, quale quello alla professionalità, irreversibilmente pregiudicata dalla perdita
dell’incarico di dirigente del Servizio Tributi, che verosimilmente sarà
assegnato ad altro dirigente nel tempo occorrente all’accertamento in via ordinaria della illegittimità del collocamento a riposo.
Per i motivi suesposti, in accoglimento del reclamo proposto, deve
essere sospeso in via cautelare il collocamento a riposo del reclamante con ordine alla R. C. di provvedere alla riammissione in servizio dello stesso fino al raggiungimento del biennio successivo all’età
pensionabile.
Le spese di lite, come liquidate in dispositivo, seguono la
soccombenza.
P. Q. M.
Visto l’art. 669 terdecies c.p.c. :
Accoglie il reclamo proposto da S. E. avverso l’ordinanza
del 20.3.2009 e, per l’effetto, sospende il collocamento a riposo ed
ordina alla R.C. la riammissione in servizio del reclamante fino al
raggiungimento del biennio successivo all’età pensionabile
condanna la R.C. alla rifusione, in favore del reclamante
delle spese di lite, liquidate in complessivi E 1.200.00, oltre cpa ed
iva come per legge.
Si comunichi.
Così deciso in Cosenza il 25/5/2009
Il giudice est.
Il Presidente
Dott.ssa G.B.
Dott.ssa S.F.
***
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Nell’ ordinanza in commento il Tribunale di Cosenza
è stato chiamato a decidere su un caso riguardante l’applicazione dell’art. 72 (commi da 7 a 10) della L. n.133/
2008 che, come è noto, ha innovato la disciplina contenuta nell’ art. 16 1° comma prima parte del D.lgs n.
503/92.
In particolare si è trovato a dover affrontare una delle
prime applicazione del comma 8 dell’ art. 72 della L.
n.133/2008; la norma in esame regola la fase transitoria
dall’entrata in vigore della legge.
In argomento giova evidenziare che l’art. 16 comma 1,
D.lgs n. 503/92 (come modificato prima dall’art. 1 quater,
D.lgs. N. 136/2004, nel testo integrato alla relativa legge
di conversione e poi dall’art. 33 Dl n. 223/200), in assenza di norme contrarie anche regionali, riconosceva ai dipendenti civili dello stato e degli enti pubblici non economici la facoltà di permanere in servizio per un periodo
massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo. In particolar modo la norma attribuiva un “diritto potestativo” esercitabile in ogni tempo antecedente alla
risoluzione automatica del rapporto e tale da fondare, una
volta azionato, un vero e proprio diritto alla prosecuzione
dello stesso, passibile di caducazione solo a opera di una
manifestazione di volontà uguale e contraria ( Cons. di
Stato, IV 7.12.2006 n.7210).
Con il Decreto legge n.112 del 2008, convertito con
modifiche in legge n.133 del 2008, sono state previste importanti innovazioni in materia di trattenimento in servizio
per un biennio oltre il limite di età prevista per il collocamento a riposo dei pubblici dipendenti.
In particolare, i comma da 7 a 10 dell’art. 72 della
L. n.133/2008 hanno innovato la disciplina contenuta
nell’ art. 16 1° comma prima parte del D.lgs n. 503/92.
L’art. 16, cosi come modificato, prevede: “E’ facoltà
dei dipendenti dello Stato e degli Enti pubblici non economici di permanere in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, per un
periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per collocamento a riposo per essi previsti. In tal caso è data facoltà
all’amministrazione, in base alle proprie esigenze
organizzative e funzionali, di accogliere la richiesta in relazione alla particolare esperienza acquisita dal richiedente in
determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’efficiente
andamento dei servizi. La domanda di trattenimento va presentata all’Amministrazione di competenza dai ventiquattro
ai dodici mesi precedenti il compimento del limite di età per
il collocamento a riposo previsto dal proprio ordinamento.
Pertanto, mentre secondo la disciplina previgente, in
caso di domanda, l’amministrazione non era titolare di
discrezionalità nel disporre il trattenimento, dovendolo in
ogni caso accordare, in base al nuovo regime l’istanza di
trattenimento in servizio è soggetta a valutazione discrezionale e quindi può non accordarla.
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Il nuovo regime legale ha, tuttavia, previsto con i
comma 8, 9 e 10 dell’art. 72 delle condizioni di salvaguardia per quei soggetti che hanno già in corso il trattenimento in servizio ed introdotto una fase transitoria per
coloro i quali sono prossimi al raggiungimento del limite
di età.
In particolare, il comma 9 dispone che: “le amministrazioni di cui al comma 7 riconsiderano, con provvedimento motivato, tenuto conto di quanto ivi previsto, i provvedimenti di trattenimento in servizio già adottati con decorrenza dall’ 1.01.2009 al 31 dicembre 2009.”
Il successivo comma 10 prevede invece che: “i trattenimenti in servizio già autorizzati con effetto a decorrere
dal 1° gennaio 2010 decadono ed i dipendenti interessati
al trattenimento sono tenuti a presentare una nuova istanza nei termini di cui al comma 7.”
Il comma 8 recita: “sono fatti salvi i trattenimento in servizio in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto (25.06.2008) e quelli predisposti con riferimento alle domande di trattenimento presentate nei sei mesi successivi alla data
di entrata in vigore del presente decreto),”
Con la circolare n. 10 del 20.10.2008, il Ministro
Brunetta ha dettato le disposizioni applicative dell’art 72
e, in particolare, con riferimento al comma 8 ha chiarito:
“che l’interpretazione dello stesso va compiuta tenendo conto
della complessiva disciplina e, quindi, la disposizione deve
essere considerata in relazione a quanto previsto dal precedente comma 7 e dai successivi comma 9 e 10…. e ancora:
“Le domande presentate entro la data del 27.12.2008 sono
soggette ad un regime differenziato a seconda che la decorrenza del trattenimento sia precedente o successiva al 1 gennaio 2009. Infatti, il comma 8 in esame deve essere letto in
connessione con il successivo comma 9, il quale, come visto, prescrive alle amministrazioni di riconsiderare i trattenimenti già disposti con decorrenza 1 gennaio 2009 alla
luce della nuova disciplina (di cui al comma 7). In tale
contesto, il regime applicabile alle domande di trattenimento con la medesima decorrenza deve essere analogo.
Quindi, le domande presentate nel periodo antecedente
all’entrata in vigore del decreto legge non ancora evase e
quelle presentate entro i sei mesi successivi l’entrata in vigore del decreto stesso debbono essere valutate a seconda
della data di decorrenza del trattenimento:
- se la decorrenza del trattenimento è precedente al 31.12.2008 l’istanza dell’interessato deve essere
accolta e il trattenimento deve essere disposto; in tal caso,
infatti, trova applicazione il precedente regime, di cui
all’art. 16 1° comma prima parte del D.lgs n. 503/92 prima della modifica operata con il Dl. n. 112/2008, secondo
il quale l’amministrazione non aveva discrezionalità nel
concedere il trattenimento;
- se invece la decorrenza del trattenimento è suc-
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cessiva al 31.12.2008 allora la domanda di trattenimento va valutata in base a quanto previsto dall’art. 16 1°
comma prima parte del D.lgs n. 503/92 come modificato
dal comma 7 dell’art 72 del d.l. n. 112.”
Il Collegio al fine di stabilire la disciplina applicabile
al caso sottopostogli ha dovuto stabilire esattamente quale
fosse la decorrenza del trattenimento in servizio del dipendente, ed in merito, accogliendo le ragioni del reclamante, così ha statuito: “..il diritto potestativo riconosciuto dall’art. 16 del d.lg n. 503/92 vecchia formulazione e
l’interesse legittimo riconosciuto dalla nuova normativa di
cui all’art. 7 del d.l. n. 112/2008 attengono alla permanenza in servizio del pubblico dipendente oltre il compimento dell’età pensionabile, sicché la decorrenza del trattenimento in servizio non può che coincidere con il giorno
successivo alla data di compimento del sessantacinquesimo
anno di età”
All’uopo è utile evidenziare che il G.d.L nel primo
procedimento( ex. art. 700 c.p.c.), con ordinanza n.
5087/09, aderendo alla tesi della resistente, aveva negava il diritto al dipendente ritenendo che la decorrenza
del trattenimento coincidesse esattamente con la decorrenza del pensionamento prevista dalle c.d. “ finestre
di uscita” (L.247/2007), ovvero dei termini temporali in
cui, maturati i requisiti, è consentito accedere alla pensione, all’uopo così argomenta: “Per stabilire la decorrenza del trattenimento in servizio, è dunque, sufficiente
accertare quale sia la data stabilita per il collocamento a
riposo del pubblico impiegato”. ….E’ il caso del ricorrente , per il quale infatti, è pacifico che sia proprio il 1°
aprile 2009 il giorno fissato per il proprio collocamento
a riposo. In conclusione, non può dubitarsi che al ricorrente si applichi la nuova normativa, con conseguente
potere discrezionale della P.A di accogliere o meno la
richiesta di permanenza in servizio, in base ai criteri
valutativi indicati al 7° comma dell’art. 72, l. 133/08.
Potere che la convenuta ha esercitato con la delibera di
Giunta n. 34 del 2009, con la quale rigettava la domanda di trattenimento in servizio”
Quanto affermato nell’ordinanza sopra menzionata non
trova alcun riscontro nel testo della legge e men che meno
nella circolare n. 10 del Ministro Brunetta; la corretta interpretazione della norma in esame impone di considerare la modifica anche nel suo significato nominalistico e
letterale dei termini utilizzati nel testo della legge.
A tale proposito si osserva che al Ministro Brunetta era
ben nota la L.247/07 pertanto se avesse voluto intendere
una decorrenza diversa (non coincidente con il
raggiungimento del limite di età) avrebbe utilizzato il termine “decorrenza della pensione” o, in alternativa, “decorrenza del collocamento a riposo”.
Avv. Marilena Ricchiuti
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Nullità o inesistenza
della cartella
di pagamento
Come è noto la Legge 7 Agosto n° 241 del 1990
disciplina la trasparenza dell’azione amministrativa nei
rapporti intercorrenti tra le Autorità e gli utenti.
E’ una Legge rivoluzionaria se si considera che per
la prima volta si costruisce un contraddittorio nella formazione di un atto amministrativo che può degenerare
in un contenzioso. Con la riforma di tale provvedimento ad opera della Legge n°15 del 2005 viene inserito
l’art 14 al capo 6° bis che dopo l’art 21 definisce con
l’art 21 septies 1°comma: “è nullo il provvedimento
amministrativo che manca degli elementi essenziali…”
La Legge n. 212 del 27/07/2000 meglio conosciuta come “Statuto del Contribuente”contiene invece i
principi generali dell’ordinamento tributario come peraltro affermato dalla Corte di Cassazione (sentenze n.
17576/03 e 7080/04), sia in termini di chiarezza e
trasparenza delle disposizioni tributarie sia in termini
di motivazione degli atti.
Infatti l’art 7 dispone che gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione
devono tassativamente indicare il responsabile del procedimento.
L’avverbio “tassativamente” è di per sè imperativo,
la disposizione è ordinata in modo certo e categorico,
pertanto va considerato a pena di nullità la mancanza
di uno degli elementi essenziali. La conseguenza di
tale affermazione è la nullità di tutti gli atti
consequenziali alla notifica.
Peraltro sia l’Avvocatura Generale dello Stato,che
ha precisato che l’omessa o insufficiente indicazione
del responsabile del procedimento è un dovere
sanzionabile con la declaratoria di illegittimità,sia la
stessa Corte Costituzionale con l’ordinanza 377 del 9/
11/2007 riconoscono che l’indicazione del responsabile del procedimento è requisito fondamentale della
cartella esattoriale.
Il punto di diritto sul quale si dibatte in dottrina è
se la cartella sia nulla o inesistente?
L’Agenzia delle Entrate nel costituirsi sostiene
l’annullabilità della stessa tentando così di sminuire la
valenza dello Statuto del contribuente ritenendo una
mera irregolarità formale la mancata indicazione del
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responsabile. Appare di dubbia e singolare fattura la
circolare inviata agli uffici periferici con la quale si
dispone “di osservare scrupolosamente tutte le prescrizioni dello Statuto del Contribuente, ivi compresa
quella recata dall’art 7, comma 2, della Legge n. 212/
2000, concernente l’indicazione nei propri atti del responsabile del procedimento”.
Si richiama qui di proposito la sentenza della C.T.P.
di Bari che è rivoluzionaria poiché considera nulle non
solo le cartelle sprovviste dell’individuazione del responsabile del procedimento, ma anche quelle che non
recano la sottoscrizione del funzionario responsabile
che assume la paternità del provvedimento che è stato
formato secondo legge.
La stessa C.T. ha osservato che l’art 36 comma 4
ter della Legge 31/08, con la quale viene imposto il
responsabile del procedimento a partire dal 1° giugno
2008, ha natura interpretativa e non innovativa ciò
perché il limitare la nullità delle cartelle a partire da
una certa data violerebbe i principi fondamentali sanciti dalla Carta costituzionale.
In verità la nullità può generare effetti giuridici e
come notava Ascarelli “la nullità è una sanzione dettata dalla norma in relazione ad una fattispecie che si
suppone perciò esistente”.
L’atto inesistente al contrario non produce alcun
effetto giuridico. Tale affermazione trova conforto nelle decisioni della Corte di Giustizia Europea che non
conosce situazioni intermedie tra l’inesistenza di un
atto e il suo annullamento.
Secondo la Corte il sistema di invalidità degli atti
vede configurarsi l’inesistenza in caso di vizi gravi ed
evidenti (sentenza n. 227/92). Secondo Vipiana Perpetua (pag. 472 e ss.) si deve distinguere tra inesistenza giuridica ed inesistenza materiale; la prima si risolve nella nullità, la seconda si configura come inesistenza materiale dell’atto. In conclusione, la mancanza di uno degli elementi essenziali di cui all’art. 7, l. n.
212/2000, determina l’inesistenza della cartella. Altro elemento di nullità della cartella è rappresentato
dalla relata di notifica.
Sul punto è opportuno richiamare due elementi:
A) Equitalia notificava e notifica la cartella esattoriale
con la relata di notifica “immacolata”; anche in questo
caso la cartella è da considerarsi radicalmente nulla
per mancanza di elementi essenziali.
Non vi è alcun dubbio infatti che la relata è un elemento essenziale della cartella di pagamento che ne
costituisce parte integrante come previsto con Circolare dell’Agenzia delle Entrate del 13/02/2007.
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L’art. 60 del D.P.R. n. 600/73 stabilisce: “la notifica degli avvisi e degli altri atti che per legge devono
essere notificati al contribuente è eseguita secondo le
norme del c.p.c.”
Ne deriva che le notifiche inviate al contribuente
devono essere compilate sia sull’originale sia sulla copia (Commissione Tributaria Centrale, sentenza n.
385/03); in sostanza il notificatore compilando la
relata attesta l’esatta corrispondenza tra l’originale e
la copia spedita ciò perché le risultanze di dette relazioni non possono essere interpretate o integrate successivamente (Cassazione 11315/2000).
Pertanto la notifica della cartella a mezzo posta non
si sottrae all’obbligo della compilazione della relata di
notifica, in questo caso ci troveremmo di fronte all’assoluta nullità e o inesistenza della cartella stessa (C.T.P.
Cosenza sentenza n° 262/06). La C.T.P. di Treviso,
con sentenza n. 5 del 6/02/06 chiarisce la differenza
tra la notifica a mezzo posta e la spedizione a mezzo
del servizio postale che non può qualificarsi notificazione. L’ufficio postale deve unicamente certificare la
spedizione della raccomandata e non può sostituire la
relata di notifica sull’atto che deve essere esclusivamente certificata da un pubblico ufficiale designato,
quale ufficiale giudiziario o persona equiparata.
B) Equitalia pone la relata di notifica sul frontespizio:
anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un mancato rispetto della formalità dell’atto; non offre alcuna
garanzia che la consegna dell’atto sia avvenuta nella
sua integralità e di conseguenza non comporta il prodursi di alcun effetto giuridico pertanto la stessa è nulla in quanto manca dei requisiti formali per il
raggiungimento dello scopo (Cassazione Civile, sentenza
n. 6750/07).
La normativa vigente vuole che la relata di notifica
sia apposta solo in calce alla copia dell’atto notificato e
non in qualsiasi altra sede topografica del documento.
La logica della succitata sentenza va ricercata nella
funzione garantistica della notifica, che posta in calce
deve dare la certezza dell’integrità dell’atto. Ecco perché la notifica sul frontespizio comporta la nullità della
medesima e l’inesistenza giuridica dell’atto.
L’art 60 del D.P.R 600/73 richiama infatti, esplicitamente, ai fini della notificazione le norme del c.p.c.
Dott. Alfio Pisani
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-
La ficta confessio nel rito societario alla luce
della Sentenza Corte Costituzionale n° 340/07
In tema di processo c.d. «societario», è costituzionalmente illegittimo, per eccesso di delega,
l’art. 13, comma 2, d. lgs. n. 5 del 2003, nella parte in cui stabilisce che «in questo ultimo caso
i fatti affermati dall’attore, anche quando il convenuto abbia tardivamente notificato la comparsa di costituzione, si intendono non contestati e il tribunale decide sulla domanda in base
alla concludenza di questa».
.
Al fine di verificare cosa sia mutato nel D.lgs
n° 5/03, è doveroso spendere alcune precisazioni che
facciano da linee guida lungo la lettura del - seppur
breve – lavoro 1 .
Dal 1° gennaio 2004 il rito societario è una realtà
concreta, destinata ad entrare nella vita professionale
di ogni giurista2 .
La riforma mirava (in teoria) a diminuire il carico di
lavoro dei Tribunali e di ridurre i tempi del processo,
sperimentando nuove strade; il Legislatore in questa
ottica, affidava alla classe forense un ruolo importante
ed ulteriori responsabilità 3 .
Il D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, intitolato “Definizione
dei procedimenti in materia di diritto societario e di
intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria
e creditizia” ha dato attuazione alla delega di cui all’art.
12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366, introducendo una
normativa autosufficiente e suscettibile di integrazione da
parte del codice di rito in via del tutto residuale4 .
Come spesso accade, l’iter legislativo della riforma
del processo societario è stato alquanto tormentato.
Il testo originario della proposta di legge si era posto, infatti, al centro di un acceso dibattito. Non mancavano allora (e non certamente oggi) argomenti per
dubitare sulla conformità della normativa introdotta
con il d.lgs. n.5/2003 ai principi e ai criteri direttivi
della Legge delega, risalenti ai lavori della Commissione Mirone e della Commissione Rovelli.
È il caso di considerare che l’intero corpus normativo,
del d.lgs n. 5 del 2003, è spinto da una finalità
“decodificante”. Ciò, però, aveva suscitato alcune polemiche, giacché, la legge delega non aveva immaginato l’adozione di un “minicodice” di diritto
processuale societario. E’ da osservare che, però, la
legge delega non imponeva, ma nemmeno vietava,
un’operazione normativa di tipo decodificante 5 , piuttosto essa espressamente consentiva, una scelta:
l’individuazione, da parte del legislatore delegato, di
Corte Costituzionale 13 Ottobre 2007 n 340.
un sistema normativo capace di regolare l’intero
contenzioso societario.
Quella che poi fu la scelta del Governo di allora è
ancora storia di oggi.
In circa sei anni di applicazione sul “campo” il corpus
normativo del d.lgs 5/03 ha subito (inevitabilmente)
adeguamenti in vista di una applicazione più idonea ai
principi vigenti del nostro sistema normativo
processuale [ sino alla sua recentissima abrogazione] .
.
In particolare destava perplessità come “regola
del gioco” la disposizione cui all’art. 13 comma 2 d.lgs
5/03. Veniva previsto che la non comparizione o la
non tempestiva notifica della comparsa di risposta del
convenuto acquistava, nel corso del procedimento, un
significato di ficta confessio.
La non comparizione d’entrambe le parti determinava, invece, la cancellazione della causa dal ruolo, senza
bisogno di fissare una nuova udienza, come, invece,
prevedono gli articoli 181 e 309 del codice di rito.
La presente trattazione non ha alcuna pretesa di risolvere i numerosi e complessi problemi ermeneutici
posti dalla normativa in oggetto, problemi che spetterà alla giurisprudenza di merito e di legittimità affrontare di volta in volta. Ci si limiterà, pertanto, a fornire
una sintetica panoramica sulla Pronuncia in commento che pare ( perlomeno a chi scrive) di aver intaccato
una delle peculiarità del procedimento societario, anche se non lo ha snaturato, ma che poneva vantaggi
ingiustificati, sul piano processuale, all’attore6 .
.
Risulterà cosa ovvia l’affermazione che la ricerca della verità è tendenzialmente infinita. Ciò ovviamente è un principio che non può trovare accoglimento
all’interno del processo, per evidenti conseguenze.
Quello che però deve trovare accoglimento all’interno
del sistema processuale è consentire al Giudice di individuare una verità “processuale”, che non sia
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distorsiva della legge sostanziale, prevedendo delle
forme di preclusioni7 che mettano le parti in posizione
di parità ed il Giudice stesso in condizioni di poter
individuare una verità che si ponga su fondamenti attendibili, o quanto meno che sia ricavata in maniera
accettabile per una società che voglia dirsi civile.
Appariva non conforme a quanto tutto fino ad ora
dettato ed ancora di meno conforme alla dottrina –
ben più autorevole di chi scrive - il disposto cui all’art.
13 comma 2 D.lgs 5/03.
Nel testo rubricato: “Contumacia dell’attore e del convenuto: rilevabilità dell’inammissibilità di allegazioni,
istanze istruttorie e produzioni documentali” veniva previsto (prima dell’intervento della Corte Cost. con la Sentenza in commento) che se il convenuto non si costituiva od ometteva di notificare tempestivamente la comparsa di risposta ( ex art. 4 d.lgs 5/03 ) i fatti posti
dall’attore a fondamento della sua domanda si intendevano non contestati ed il Giudice accoglieva la domanda nei limiti della sua concludenza. Ciò avveniva anche
nel caso il cui il convenuto non si fosse costituito e
dunque il procedimento proseguiva in sua contumacia.
Sicchè risulterà anche banale osservare che l’effetto
della ficta confessio era da collegare, non tanto alla
mancata contestazione dei fatti allegati dall’attore nell’atto introduttivo, ma alla sola mancata notifica della
comparsa di risposta nei termini di giorni 60 giorni, o
alla non costituzione nei termini del convenuto.
.
Uno spunto comparatistico può essere d’aiuto.
L’istituto della ficta confessio è mutuato dal sistema
processuale tedesco dove la concludenza
(gründlichkeit) delle affermazioni allegate dall’attore
assume rilevanza in tanto in quanto il convenuto svolga o meno l’attività difensiva, colà non esiste infatti
(poiché figura non contemplata) l’onere della costituzione in giudizio.
Nel processo contumaciale tedesco (dovuto alla mancanza totale di difesa si rinviene la sanzione della ficta
confessio per la mancata cooperazione nel processo) la
parte rimasta contumace può proporre opposizione contro la sentenza (versäumnisurteil) ed ottenere un pieno
riesame nel merito in primo grado della pretesa, senza
bisogno di dimostrare l’involontarietà della contumacia8 .
.
L’idea di fondo che ispirava l’ Italia (cosi come
la Germania) ad introdurre nell’ordinamento giuridico l’ istituto della ficta confessio era semplice: veniva
punito il convenuto che mostrava disinteresse nel coltivare la causa nel merito. Si presumeva, in altri termi-
Nr. 4 - Cosenza, 30 Settembre 2009 - Pagina 21
ni, fino a prova contraria (e solo in questo caso rimettendo in termini il convenuto che dimostrava
l’involontarietà e la non imputabilità della decadenza
in cui era incorso) che la parte avesse scelto di non
difendersi poiché era la stessa a poter valutare la
fondatezza della proprie ragioni. Sicchè tale disinteresse sarebbe stata la prova che il convenuto si fosse
reso reo e pertanto meritevole di condanna9 .
.
Con la pronuncia in commento la Corte Costituzionale ha recepito le indicazioni di larga parte della
dottrina10 , sconfessando tale istituto e disponendo che
“la disposizione censurata detta una regola del processo
contumaciale in contrasto con la tradizione del diritto
processuale italiano, nel quale alla mancata o tardiva
costituzione mai è stato attribuito il valore di
confessione..implicita”.
A destare maggiore perplessità ed a porre seri dubbi di
legittimità era il fatto che, mentre il convenuto contumace,
od anche ritualmente costituito, che non notificava nei
termini la comparsa di risposta veniva assoggettato alla
ficta confessio, nessuna disposizione analoga veniva invece prevista per l’attore quando lasciava spirare inutilmente il termine di giorni 10 per costituirsi o quando il convenuto proponeva domanda riconvenzionale, potendo l’attore notificare in questi casi direttamente l’istanza di fissazione udienza.11
Le conseguenze sul piano processuali pertanto erano le seguenti: il convenuto contumace o costituto ma
che non aveva tempestivamente notificato la comparsa
di risposta era soggetto alla ficta confessio (nel senso
fino ad ora ad essa attribuito di finta confessione);
l’eventuale non costituzione nei termini cui all’art. 3
D.lgs 5/03 dell’attore consentiva (consente tutt’oggi)
al convenuto di optare per la richiesta di estinzione del
processo o per la prosecuzione del processo al fine di
ottenere una pronuncia nel merito (quindi il Legislatore mancava di considerare la non curanza dell’attore
nel coltivare nel merito la causa il valore di una confessione).
E’ plateale, in questi termini, la differenza sul piano
processuale dell’attore e del convenuto, una “svista
tecnica” che ha portato inevitabilmente ad un intervento adeguatore da parte della Corte Costituzionale
sul punto.
Le conseguenze nel complesso sono state senza dubbio quello di rendere “parità di armi” alle parti e di
sottrarre all’attore del procedimento societario un vantaggio del tutto ingiustificato.
Pagina 22 - Nr. 4 - Cosenza, 30 Settembre 2009
1
Questo lavoro è stato scritto nell’autunno del 2008
quando il dibattito sul rito societario era ancora acceso.
Epifanie di modificazione della realtà giuridica impongono
tuttavia di pubblicarlo ugualmente, senza ulteriori indugi.
2
Con buona pace di chi riteneva il rito societario ridondante, si segnala che il Senato ha definitivamente approvato
il 26 maggio 2009 il Ddl 1441 bis – b- recante “Disposizioni per lo svilupo economico, la semplificazione, la competitività
nponchè il materia di processo civili” collegato a L. Finanziaria 2009 con il quale viene abrogato il D.lgs 5 del 2003.
Il Governo, inoltre, è stato delegato, con il medesimo
provvedimento legislativi, ad emanare uno o più decreti
legislativi volti a ridurre e semplificare i procedimenti civili
di cognizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione
ordinaria e che sono regolati dalla legislazione speciale.
3
Le linee generali delle nuove forme procedurali sono
prevalentemente ispirate, alle maggiori facoltà delle parti in
causa di dibattere tra loro (pre-trial), il procedimento dovrebbe procedere in modo concentrato verso la fase
probatoria e decisoria, questa concentrazione si realizza
mediante la riduzione dei tempi processuali, la semplificazione degli atti (la Relazione faceva notare un favor ,addirittura, per la standardizzazione di alcuni atti, immaginati come
veri e propri moduli) e delle notifiche, facendo decorrere i
termini riservati all’avversario, dal momento in cui effettivamente gli si comunica l’atto. A tal proposito la Relazione
osserva che ciascuna parte è capace di determinare l’accelerazione degli adempimenti rimessa all’altra parte ed i tempi
di maturazione della causa per la decisione. Relazione Governativa al Decreto Legislativo 5/2003, in Guida al Diritto,
aprile 2003, dossier mensile n. 4, pp. 109 e ss
4
I contenuti della riforma del diritto societario, corrispondono all’idea secondo cui l’economia è sostenuta non
soltanto con interventi di carattere materiale, ma anche attraverso la predisposizione di strumenti giuridici più flessibili ed agili e quindi si sono ritenuti opportuni ritocchi alle
vigenti norme di procedura civile. FERRI “Relazione all’incontro di studio del CSM”– Roma - 27-30 gennaio 2003.
Nonostante questo complesso di nuove norme, la procedura applicabile alle controversie resta affidata, per ciò che
concerne le disposizioni generali o il sistema di
impugnazione, in molta parte alle disposizioni del codice di
procedura civile.
5
Di tale opinione ARIETA DE SANTIS, “Diritto
processuale societario” Padova, 2004, pag. 2
6
La notificazione della comparsa di costituzione e risposta
tardivamente effettuata (in quanto spiegata oltre il termine stabilito ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. c, oppure, in presenza
di più convenuti, entro il termine massimo di cui all’art. 3,
comma 2, d. lgs. n. 5, cit.) infatti comportava per il convenuto,
ai sensi del combinato disposto degli art. 10, comma 2, e 13,
comma 2, d. lgs. n. 5, cit. (ove sia stata tempestivamente proposta dall’attore apposita istanza di fissazione dell’udienza), la
preclusione al valido compimento delle attività difensive contemplate dall’art. 4, comma 1, d. lgs. n. 5/03
Notiziario Rassegna di Dottrina e Giurisprudenza
7
Anche mediante un sistema di pene giudiziali a condizione che valgano tanto per il convenuto quanto per l’attore.
8
PRÜTTING, “La preparazione della trattazione orale e
le conseguenze delle deduzioni tardive nel processo civile tedesco” (trad. it. di E. MERLIN) in Rivista di diritto
processuale, 1991, pag 414 ss.
9
Ovviamente il Giudice rimaneva vincolato rispetto al
mero fatto allegato in citazione dall’attore ma non al diritto.
Per regola generale: Iura novit Curia
10
Ad evidenziare le prime inefficienza del rito societario
rispetto a quello tradizionale Cfr TRISORIO LIUZZI, Il
nuovo rito societario: il procedimento di primo grado davanti al tribunale; COSTANTINO, Il nuovo processo commerciale: la cognizione ordinaria in primo grado, in Riv. dir.
proc., 2003, 421; TARZIA, Interrogativi sul nuovo processo
societario, ivi, 642; CARRATTA, Il nuovo processo societario
a cura di CHIARLONI, Bologna 2004, sub art. 13, 370.
11
Cio veniva già rilevato in dottrina alla fine del 2003.
Cfr PROTO PISANI, Foro It , 03, V, 11; BALENA, Prime
impressioni sulla riforma dei procedimenti in materia
societaria. La fase introduttiva del processo di cognizione.
In www.judicium.it , Costantino in Riv. Dir. Proc. 03, 421.
AULETTA SASSANI, L’illegittimità costituzionale per «contrasto con la tradizione»: in materia di una (buona) «regola
del processo». MINICHIELLO La «contumacia» del convenuto e l’effetto di ficta confessio in Giur. merito, 2006, 371.
Dott. Giampaolo Caruso
Notiziario Rassegna di Dottrina e Giurisprudenza
Nr. 4 - Cosenza, 30 Settembre 2009 - Pagina 23
Responsabilità – amministrativa – danno
erariale
R E P U BB L I C A I T A L I A N A
283/2009
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CALABRIA
Composta dai seguenti magistrati:
Maria Teresa Arganelli
Presidente
Rossella Scerbo
Giudice
Domenico Guzzi
Giudice relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 283/2009
nel giudizio di responsabilità, iscritto al n. 16630 del
registro di Segreteria, nei confronti di M. R., nata a
Cosenza il 22 ottobre 1952, rappresentata e difesa nel
presente giudizio dall’avv. L. P. e domiciliata in Catanzaro,
via T. C. n. 186/3, presso lo studio dell’avv. M. T. M.
Uditi, nella pubblica udienza del 22 aprile 2009, il giudice relatore Domenico Guzzi, la dott.ssa Cristina Astraldi
de Zorzi, Procuratore regionale e l’avv. L. P..
Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa.
Ritenuto in
FATTO
Con atto di citazione depositato il 6 dicembre 2007, la
Procura regionale presso questa Sezione giurisdizionale
della Corte dei conti ha convenuto la sig.ra M. R. per
sentirla condannare al risarcimento della danno di euro
11.103,11, oltre a rivalutazione monetaria interessi legali e spese di giudizio in favore del Comune di Cosenza.
L’asserito danno trarrebbe origine da un procedimento
amministrativo avviato su istanza del dipendente comunale V. G. per il riconoscimento dell’equo indennizzo in
relazione ad alcune patologie ritenute dipendenti da causa di servizio.
Dagli atti emerge che il sig. V. ha prodotto a tal fine
domanda il 28 febbraio 2002 e sottoposto a visita
collegiale presso la Commissione Medico Ospedaliera di
Catanzaro, con verbale n. 1138 del 12 novembre 2002,
veniva riconosciuto affetto da un complesso di patologie
ascrivibili alla 5^ categoria tabella A ai fini dell’equo indennizzo.
In esito a detto accertamento medico-legale, con determinazione n. 4 del 10 gennaio 2003 la convenuta M.,
nella sua qualità di dirigente del servizio personale, dava
atto che la predetta Commissione medica aveva riconosciuto la dipendenza delle infermità riscontrate e con
successiva determinazione n. 128 del 27 maggio 2003
liquidava l’equo indennizzo nella misura di euro
11.103,11.
L’impiegato comunale veniva successivamente sottoposto a visita presso il Comitato di Verifica per le cause di
servizio, che con verbale n. 340 del 3 novembre 2004
escludeva qualsiasi dipendenza causale tra le patologie
accertate dalla C.M.O. e il servizio prestato.
Conseguentemente, con nota del 16 novembre 2004 la
M. comunicava all’interessato che a seguito di detto parere tecnico si sarebbe dovuto procedere al recupero di
quanto in precedenza liquidato.
La vertenza aveva un sbocco legale dinanzi al giudice
del lavoro presso il Tribunale di Cosenza, che con sentenza n. 1780 del 2 luglio 2007 respingeva le istanze del
V.
Veniva così adottato il provvedimento n. 1177 del 21
agosto 2007 con il quale il dirigente pro-tempore del
servizio personale del Comune di Cosenza avviava l’azione di recupero mediante trattenute mensili sullo stipendio in godimento del dipendente.
Stando così le cose, la Procura regionale ha ritenuto di
agire nei confronti della M., ritenendola responsabile di
danno erariale per avere liquidato l’equo indennizzo sulla scorta del solo verbale della CMO e senza attendere il
parere della Comitato di Verifica, mostrando così grave
ed inescusabile negligenza nell’applicazione delle norme
disciplinanti la materia del riconoscimento delle cause di
servizio nei confronti di pubblici dipendenti, norme che
appunto attribuiscono esclusivamente ai Comitati di Verifica la competenza ad accertare l’eventuale nesso di
causalità tra la patologia e il servizio.
La convenuta si è costituita con una memoria depositata
l’1 aprile 2009 dall’avv. L. P., nella quale, dopo aver
fatto presente il mero errore di interpretazione dell’art.
18 del D.P.R. n. 461/2001 in cui sarebbe incorsa con
la determina di liquidazione dell’equo indennizzo, ha pure
sostenuto l’inesistenza del requisito dell’attualità e della
esigibilità del danno erariale in quanto, a seguito del provvedimento di ripetizione disposto dal dirigente del personale, risulta da tempo in corso la trattenuta di euro
107,74 mensili sullo stipendio in godimento del V., il
che avrebbe consentito di recuperare una somma pari
ad euro 2.160,58.
Pagina 24 - Nr. 4 - Cosenza, 30 Settembre 2009
Nel corso dell’odierno dibattimento, il Pubblico Ministero ha insistito per l’integrale accoglimento della domanda, sostenendo che nel caso di specie ricorrono tutti gli
elementi fondanti l’asserita responsabilità erariale dalla
convenuta.
Di contrario avviso si è invece mostrato il difensore, il
quale, facendo riferimento alle argomentazioni svolte nella
memoria di costituzione ed insistendo sull’inesistenza del
danno erariale, ha chiesto che la propria assistita sia dichiarata esente da responsabilità amministrativa.
Dichiarato chiuso il dibattimento, il Presidente ha disposto che la causa venga trattenuta per la decisione.
Considerato in
DIRITTO
Da quanto esposto in narrativa, emerge che la causa
petendi dell’odierno giudizio attiene ad una non corretta
applicazione delle disposizioni di legge disciplinanti il procedimento per l’attribuzione ad un pubblico dipendente
del cosiddetto equo indennizzo.
Più precisamente, la vicenda attiene alla condotta della
dott.ssa R. M., che in qualità di dirigente del servizio
personale del Comune di Cosenza ha disposto la liquidazione di detto beneficio per l’importo di euro 11.103,11
in favore dell’impiegato comunale sig. V. G.
Contesta la Procura regionale che la liquidazione dell’equo indennizzo venne decisa sulla scorta del solo parere formulato dalla Commissione Medica Ospedaliera
di Catanzaro con il verbale n. 1138/02 del 12 novembre
2002, ma senza attendere che sul requisito della dipendenza tra le patologie e il servizio si esprimesse anche il
Comitato di Verifica, il cui parere, risultato di segno contrario alle istanze del dipendente, venne poi assunto nell’adunanza collegiale n. 340/2004 del 3 novembre 2004.
In relazione a tali fatti, considerato “il ruolo e la funzione rivestita” nonchè “il tenore delle determinazioni” adottate, ritiene il requirente che la M. abbia tenuto una
“condotta macroscopicamente difforme dal paradigma
normativo di riferimento”, tanto più ove si consideri che
per “motivare il proprio operato”, nei suoi provvedimenti l’interessata ha asserito “la diversa natura dei pareri
degli organi preposti nell’ambito del procedimento di riconoscimento della dipendenza delle cause di
servizio…..al fine della concessione dell’equo indennizzo, onde invertire il valore dei pareri nonché di procedere, in assenza del parere vincolante (ritenuto tale dallo
stesso dirigente) del Comitato….così eludendo i più elementari principi che presiedono al corretto esercizio dell’azione amministrativa e omettendo, tra l’altro, una volta
pervenuto il parere del Comitato, di assumere una determinazione, nell’esercizio del potere di autotutela, volta
all’annullamento della determina di liquidazione della
somma a titolo di equo indennizzo” (cfr. pag. 12 dell’atto di citazione).
Stando dunque al tenore della contestazione, più che la
colpa grave (che pure si potrebbe desumere dalle parole
che la stessa Procura usa sempre a pag. 12 della domanda, in cui ha definito la condotta della M. “connotata da
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negligenza inescusabile determinante una sequela di comportamenti illeciti comportanti un grave danno all’erario
comunale”), l’elemento soggettivo che sembra emergere
dal libello introduttivo è quello del dolo o si osservi che
per il requirente la convenuta ha agito con la intenzione
di violare le norme e con la consapevolezza degli effetti
che ne sarebbero derivati.
Orbene, alla luce delle disposizioni disciplinanti la materia del riconoscimento della dipendenza di infermità da
causa di servizio e dall’esame dei provvedimenti che la
M. ha assunto nella vicenda de qua, la domanda di parte
attrice risulta senz’altro fondata per i motivi di seguito
esposti.
Com’è noto, con il D.P.R. 20 ottobre 2001, n. 461 è
stato approvato il “Regolamento recante la semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio, per la concessione
della pensione privilegiata ordinaria e dell’equo indennizzo, nonché per il funzionamento e la composizione del
comitato per le pensioni privilegiate ordinarie”.
Tale nuova normativa, nel riordinare la materia, ha previsto che sulla riconducibilità causale delle patologie diagnosticate dalle Commissioni Mediche Ospedaliere (art.
6) al servizio prestato, sia tenuto a pronunciarsi un nuovo organismo denominato Comitato di Verifica per le
cause di servizio (art. 11) con un parere finalizzato ad
esprimere un “accertamento definitivo anche nell’ipotesi
di successiva richiesta di equo indennizzo” (art. 12).
Tale disciplina è stata palesemente ed intenzionalmente
violata dalla dott.ssa M. con una condotta senz’altro foriera
di responsabilità amministrativa.
Risulta in atti che una volta ricevuto il verbale n. 1138/
02 della C.M.O. di Catanzaro, l’interessata ha adottato
un primo provvedimento, precisamente la determinazione n. 4/2003 del 10 gennaio 2003 (cfr. fascicolo del
Tribunale di Cosenza – Sezione Lavoro nella causa n.
2114/05 decisa con la sentenza n. 1780/07), di presa
d’atto del parere medico-legale ove si afferma che la
“cardiopatia ischemica post-infartuale” di cui è risultato
affetto il V. è stata riconosciuta dipendente da causa di
servizio dalla Commissione medica ospedaliera.
Tale affermazione è del tutto falsa, in quanto, attenendosi alle disposizioni del citato regolamento, la Commissione ha formulato il prescritto giudizio diagnostico, si è
pronunciata sulla idoneità del dipendente al servizio e
sull’ascrivibilità tabellare della patologia accertata, ma
non ha certo formulato parere in ordine al requisito della
dipendenza.
Alla determinazione n. 4/2003, la M. ha poi fatto seguire il provvedimento di liquidazione dell’equo indennizzo
con la determina n. 128/2003 del 27 maggio 2003 e
anche nelle premesse di tale atto ha ribadito l’affermazione che la patologia riscontrata è stata giudicata dalla
Commissione ospedaliera “sì dipendente da causa di servizio”, ciò pur dimostrando di ben conoscere le disposizioni recate dal D.P.R. n. 461/2001, visto che nel
prosieguo della stessa determina riconosceva al Comita-
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to di Verifica il compito di accertare la “riconducibilità
ad attività lavorativa delle cause produttive di infermità o
lesioni, in relazione a fatti di servizio ed al rapporto causale tra i fatti e l’infermità o la lesione”.
Di tale parere endoprocedimentale occorre, però, osservare che al momento della determina in rassegna non
poteva esservi comunque traccia nel fascicolo amministrativo riguardante il V., in quanto la richiesta del Comune era pervenuta al Comitato solo il 24 luglio 2003
(cfr. quanto riportato nella delibera n. 340/2004 dello
stesso Comitato), ma ciononostante la M. si è determinata per la liquidazione dell’equo indennizzo con una
motivazione che, considerate le premesse, risulta del tutto priva di qualsiasi fondamento giuridico.
Sostiene, infatti, la convenuta nel provvedimento n. 128/
2003, che pur in assenza del parere spettante al Comitato di Verifica sarebbe stato comunque possibile attribuire l’equo indennizzo sulla scorta del solo verbale della
Commissione medica in quanto il Comitato avrebbe dovuto pronunciarsi entro un anno dall’entrata in vigore
del D.P.R. n. 461/2001 e quindi entro il 23 gennaio
2003.
La disposizione a cui la convenuta ha fatto riferimento
nelle motivazioni della propria determinazione e che a
suo avviso avrebbe fissato detto termine sarebbe costituita dall’art. 18 ma così non è, dato che detto termine
annuale riguarda esclusivamente le domande pendenti
al momento della sua entrata in vigore e cioè alla data
del 22 gennaio 2002, posto che la normativa in rassegna è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 5 del 7
gennaio 2002.
Conseguentemente, la domanda del sig. V. G., proposta
il 28 febbraio 2002, non poteva all’evidenza essere considerata tra quelle pendenti; semmai, trattandosi di domanda nuova, il parere avrebbe dovuto essere espresso
nel termine di sessanta giorni decorrenti dal “ricevimento degli atti” (art. 11, comma 2), che però, come già
notato, al Comitato sono pervenuti solo il 24 luglio 2003,
ben dopo l’adozione della determina di liquidazione dell’equo indennizzo.
In ogni caso resta il fatto che nelle motivazioni del suo
provvedimento la M. abbia voluto fare riferimento ad
una disposizione che non poteva all’evidenza fornirle alcuna valida ragione giuridica per superare l’assenza di
un parere tecnico necessario al perfezionamento
procedimentale dell’istanza di equo indennizzo, una disposizione, quella contenuta nell’art. 18, dall’inequivocabile tenore letterale e dalla conseguente agevole
interpretazione soprattutto per un dirigente amministrativo, ossia per un soggetto dotato di elevata qualificazione professionale.
Va pertanto disatteso l’argomento difensivo della convenuta secondo cui il tutto sarebbe da ricondurre ad un
mero errore di interpretazione dell’art. 18 (tesi sostenuta nelle già controdeduzioni all’invito a dedurre e
riproposta nell’atto di comparsa) e del termine previsto
dall’art. 11 del D.P.R. n. 461/2001 (cfr. memoria di
Nr. 4 - Cosenza, 30 Settembre 2009 - Pagina 25
costituzione in giudizio), giacchè alla luce delle notazioni sin qui fatte e della reiterata non veritiera affermazione (contenuta nelle determine n. 4/2003 e n. 128/
2003) secondo cui la Commissione medica ospedaliera
si era anche pronunciata sul punto della dipendenza, è
ragionevole affermare e ribadire che non tanto di un’erronea interpretazione si sia trattato ma piuttosto di una
ben più grave, distorta applicazione delle norme di settore, il che non può trovare altra spiegazione se non
nella volontà della M. di adottare il provvedimento di
liquidazione pur nella consapevolezza che si trattasse
di un atto contra legem.
Una volta acquisito il parere negativo del Comitato di
Verifica (deliberazione n. 340/2004 del 3 novembre
2004), la convenuta ne ha comunicato l’esito al V. con
la nota n. 6056 del 16 novembre 2004, nella quale ha
pure fatto presente che detto parere avrebbe annullato
“automaticamente il diritto alla liquidazione dell’equo
indennizzo, per cui si dovrà necessariamente procedere al
recupero della somma liquidata”, ma a tale posizione,
che a quel punto non poteva non essere assunta visto il
giudizio del Comitato, considerata la gravità della condotta che l’ha preceduta, il Collegio non ritiene di poter
attribuire la valenza di un ravvedimento operoso tale da
escludere o quantomeno limitare la responsabilità della
M..
La convenuta ha inoltre contestato l’esistenza dei requisiti di certezza, attualità ed effettività del danno in quanto, a seguito della sentenza n. 1780/07 del Tribunale di
Cosenza – Sezione Lavoro che ha visto soccombente il
Vanni nella vertenza intentata contro il Comune, l’amministrazione ha disposto la trattenuta mensile di euro
107,74 sullo stipendio in godimento dell’interessato.
La circostanza, ancorchè provata dall’attestazione del dirigente del Settore personale allegata alla memoria di
costituzione della M., dalla quale emerge che alla data
del 9 marzo 2009 è stata riscossa la somma di euro
2.160,58, non può tuttavia escludere il danno erariale.
Al riguardo è infatti agevole osservare che nei casi in cui
risulti avviata un’azione di ripetizione nelle more del giudizio contabile, o all’atto del giudizio risulta che l’iniziativa ha consentito di recuperare l’integrale credito erariale,
sì da creare le condizioni affinchè sia dichiarata l’intervenuta cessazione della materia del contendere; oppure,
quando il credito erariale non risulta integralmente soddisfatto, continuano senz’altro a sussistere i requisiti di
attualità ed effettività del danno quantomeno per la parte
non recuperata.
A tal proposito valga la considerazione che l’integrità erariale
della pubblica amministrazione, la cui tutela è rimessa all’esercizio di un’azione pubblica con i caratteri della
officiosità in quanto propria di un organo, la Procura regionale, che agisce nell’interesse della legge, rappresenta un
bene della vita che l’ordinamento costituzionale fa rientrare
nella sfera di competenza di un organo giurisdizionale proprio per conseguire quella tutela finale che l’amministrazione non potrebbe assicurare, giacchè tutti i suoi atti e quindi
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Notiziario Rassegna di Dottrina e Giurisprudenza
-
anche quelli diretti al recupero di un credito, non vantano le
connotazioni che l’ordinamento ha inteso riservare solo ai
provvedimenti giudiziali e cioè la definitività e l’ esecutività
delle decisioni assunte.
In concreto, il provvedimento amministrativo rimane nella disponibilità dell’amministrazione, la quale può sempre annullarlo d’ufficio con efficacia ex tunc per via di
una diversa valutazione attinente alla sua legittimità, ovvero revocarlo, ancorchè con efficacia ex nunc, per il sopravvenire di situazioni di fatto che inducono ad una nuova
configurazione dell’interesse pubblico originario, tanto più
quando, come nel caso di specie, la determina dirigenziale n. 1177 del 21 agosto 2007 adottata per il recupero
del credito non ha assunto le connotazioni dell’ingiunzione disciplinata dal R.D. 14 aprile 1910, n. 639, sebbene anche con riferimento a tale tipologia di provvedimento, la giurisprudenza costante afferma trattarsi di un atto
amministrativo che cumula in sé le caratteristiche del titolo esecutivo stragiudiziale e del precetto, ma è tuttavia
insuscettibile di acquisire efficacia di cosa giudicata pur
in caso di omessa opposizione nei termini (cfr. Corte Suprema di Cassazione n. 2279 del 24 febbraio 1993 e n.
12263 del 25 maggio 2007).
Né si può diversamente ritenere alla luce della sentenza
n. 1780/07 emessa dal Tribunale di Cosenza, in quanto
trattasi di un pronunciamento che, nel negare il diritto
del V. all’equo indennizzo, ha avuto un’efficacia
dichiarativa e non anche costitutiva del credito comunale
a soddisfacimento del quale l’ente ha poi adottato il provvedimento di recupero sullo stipendio dell’interessato.
Ovviamente, la contestualità tra la condanna al risarcimento erariale e l’azione amministrativa di ripetizione è
da ammettersi nella misura in cui si possa correlativamente
escludere il rischio di locupletazione a vantaggio dell’amministrazione, ma a tal proposito il sistema assicura ogni
possibile rimedio per risolvere le controversie che dovessero eventualmente insorgere, attribuendo, infatti, ad un
apposito organo giurisdizionale, il giudice dell’esecuzione, esclusiva competenza al riguardo.
In conclusione, tenendo conto di quanto recuperato alla
data del giudizio, la convenuta va riconosciuta responsabile di un danno erariale per la differenza e quindi per il
definitivo importo di euro 8.942,53 (11.103,11 –
La connotazione punitiva
della responsabilità erariale
Il contributo muove dalla tesi di recente affrontata in una sentenza di merito della Corte dei
Conti e si propone di fornire alcuni spunti di riflessione sulla qualificazione del danno punitivo
come danno erariale
Avv. Mario Tocci
La responsabilità erariale ha una connotazione punitiva.
È la singolare tesi affermata dalla sezione giurisdizionale calabrese della Corte dei Conti con la sentenza 283
dell’11 giugno 2009.
Secondo i giudici contabili di Catanzaro, in particolare, il danno erariale si verifica a cagione della mera posizione in essere di una condotta, sia pure oggettivamente, pregiudizievole per la Pubblica Amministrazione nonostante
e benché il soggetto agente abbia fattivamente iniziato ad operare onde neutralizzare la lesione.
Se ne evince, quindi, che la responsabilità erariale compendia, accanto a quella ricuperatoria, la funzione punitiva.
Ne consegue pacificamente la qualificabilità del danno erariale come danno punitivo, il cui risarcimento non
tende esclusivamente (nel caso di specie, affatto) alla reintegrazione del patrimonio leso ma mira altresì a scongiurare il ripetersi di determinati comportamenti.
Il danno erariale nella sua connotazione punitiva permetterebbe di ridurre sensibilmente i rischi di condotte non
informate ai criteri ispiratori dell’azione amministrativa pubblica di cui all’articolo 97 della Carta Costituzionale.
La vicenda da cui è scaturita la pronuncia in commento riguardava l’avvenuta emissione, da parte del pubblico
funzionario poi condannato, di un provvedimento di liquidazione di equo indennizzo sulla base delle risultanze del
verbale della commissione medica ospedaliera di prima istanza e senza attendere gli esiti, peraltro di segno contrario, del procedimento di grado successivo innanzi alla commissione di verifica, come richiesto dalla normativa di
riferimento dettata dalle disposizioni del D.P.R. 461/2001.
Innegabile la colpa grave del funzionario, la cui successiva attuazione di iniziative finalizzate al recupero forzoso
dell’esborso determinato non è stata considerata produttiva di alcun effetto.
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