Chi scrive Sono Marco Rossi-Doria. Ho a lungo fatto l’insegnante nei quartieri difficili di Napoli, in giro per il mondo, poi di nuovo a Napoli. Ho fondato i maestri di strada e il progetto Chance - scuola di seconda occasione per chi abbandona la scuola. Mi occupo d’innovazione dei sistemi scolastici e di educazione inclusiva da anni. Dopo l’esperienza da sottosegretario al Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca nei governi Monti e Letta, sono tornato a lavorare con i ragazzi della mia città. Questa volta con quelli un po’ più grandi, giovani adulti italiani e migranti, che lavorano onestamente in condizioni drammatiche e che hanno il sogno di aprire un’attività propria, da soli o con i loro amici. Penso da tempo che queste persone siano una risorsa straordinaria dell’Italia perché possono portare a innovazioni vere, perché sono agenti di potenziale sviluppo locale nelle aree più difficili della nostra lunga crisi, perché vogliono aiutare se stessi e crescere come persone. imparare.fare. è il progetto che la nostra associazione sta costruendo insieme a questi ragazzi, davvero co-costruendo insieme a loro. Possiamo contare su un gruppo di persone dedicate allo sviluppo del progetto e della città in qualità di esperti di creazione e gestione d’impresa, sviluppo locale e innovazione sociale, formazione pensata per chi è fuori dai circuiti ordinari, mercato del lavoro, ecc. Stiamo già lavorando in modo serio e umile, determinato, creativo per dare senso credibile alle imprese dei ragazzi, rafforzarne le conoscenze indispensabili e accompagnarli ai crediti necessari per partire. Lo facciamo a partire dalla nostra città e dalla sua storia e guardando ai processi globali di ri-attivazione dei giovani esclusi. Il co-finanziamento per il progetto imparare.fare. da Chairman's Grant di Open Society Foundations e da Fondazione con il Sud - insieme alla scelta di un assessment attento delle nostre attività e di una valutazione esterna rigorosa - evidenzia il nostro indirizzo globale-locale e la nostra determinazione a sperimentare processi innovativi rigorosamente valutati. Il fatto che abbiamo costruito un’alleanza con il Pio Monte della Misericordia, una delle più antiche istituzioni della charity in Europa e che oggi è impegnata in un’azione di trasformazione di indirizzi e pratiche dell’aiuto a chi è escluso testimonia la nostra convinzione a volere tenere insieme tradizione e innovazione. Il contesto e lo sguardo dei ragazzi Nel Mezzogiorno vi è una strutturale assenza di opportunità di lavoro, legata all’assenza di efficaci e costanti politiche per il lavoro, a sua volta parte integrante del risorgere potente della Questione Meridionale. La lunga crisi degli ultimi anni ha accentuato questa situazione. I dati su povertà, dispersione scolastica e le caratteristiche delle fasce meno protette dei giovani NEET ci parlano di un’esclusione sociale precoce e cronica che coinvolge centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi. Il lungo periodo senza credibili prospettive di occupazione soprattutto per donne e giovani si è accompagnato alla sterilizzazione di troppe buone pratiche dedicate all’occupabilità dei ragazzi più deboli e a una riconosciuta crisi di proposte innovative nello sviluppo delle imprese nelle aree dell’esclusione. Le conseguenze si possono riassumere - dal punto di vista dei ragazzi e dei giovani del Mezzogiorno - in alcune “alternative di vita” o, spesso, nel combinato tra queste alternative: emigrare (il tasso di emigrazione verso il Nord Italia ed Europa dei giovani delle aree metropolitane del Mezzogiorno, in particolare la città di Napoli, sia non poveri che poveri, sia con che senza istruzione, è stato, in media del 5-6 per mille annuo durante il decennio 2003-2013), accettare non solo lavori precari a basso reddito ma anche lavori al nero, entrare a fare parte di circuiti illegali veri e propri (secondo le situazioni, contesti e circostanze di volta in volta attigui o limitrofi o controllati o interni a quelli criminali veri e propri), percorrere la via di costruire, da soli o con altri, forme, anche innovative, di impresa e auto-impiego, tra nuovi servizi e tecnologie e la riscoperta di antichi mestieri e artigianato. La prospettiva dell’auto-impiego È tempo di dedicare - attraverso la sperimentazione di nuovi modelli di intervento - una particolare attenzione a quest’ultima opzione: l’avventura dell’auto-impresa. Infatti questa opzione sta crescendo in molti ragazzi come alternativa a una intollerabile condizione di subalternità generazionale, sociale ed esistenziale. È una via di uscita oggi considerata e soprattutto praticata da una parte delle giovani generazioni del Sud e anche da giovani poveri con bassi livelli di scolarità e anche bassa alfabetizzazione funzionale. In generale, “l’invenzione del lavoro”, come è noto, è fenomeno globale, un prodotto della crisi e, al contempo, della rapidissima e radicale trasformazione nel flusso di conoscenze e informazioni e negli stessi modi di produzione diffusa e di scambio. Il fatto che questo fenomeno, che ha in sé promesse di innovazione tecnologica e sociale, prenda piede anche nel Mezzogiorno e anche tra segmenti di giovani socialmente esclusi è un fatto di potenziale, grande rilievo ai fini di una possibile, auspicata trasformazione delle e nelle esperienze di empowerment locale nelle aree di massima esclusione sociale d’Italia. Così, nonostante la crisi, nonostante la dispersione scolastica e il fallimento formativo di massa nei territori della povertà, nonostante i modelli rigidamente standardizzati e i format di avvio di impresa offerti in modo spesso più utile a chi li offre che ai destinatari, nonostante la manifesta incapacità da parte delle élite politiche di mettere in cantiere i fondi pubblici in modo partecipativo e efficace, vi sono segni di una autonoma e quasi eroica attivazione di ragazzi e ragazze, anche poveri e con poca istruzione, nella direzione della costruzione di imprese finalizzate in primo luogo all’auto-impiego e di riprendere gli apprendimenti indispensabili a farlo: imparare e fare. È a questa spinta - “e se facessimo un lavoro creato da noi stessi...”- che già vede fenomeni reali di attivazione, che il progetto intende rispondere : if imparare.fare. Vogliamo, insomma, creare un modello agile e vincente mettendolo alla prova adesso! Con chi Dunque, costruiamo un progetto insieme con chi si chiede, si dice e dice: “e se facessimo un lavoro creato da noi stessi”. E ci rivolgiamo a gruppi di giovani, potenziali agenti di effettivo sviluppo locale che, pur provenienti da aree di forte esclusione, stanno provando davvero a “farcela da soli”. Per la mia storia e per la storia professionale e umana di chi condivide questa avventura, noi conosciamo già molti di questi nostri giovani concittadini e sappiamo di potere contare sulla loro capacità di sognare e di lavorare sodo. Sono ragazzi e ragazze che, spesso dopo varie esperienze di lavoro dipendente e anche di emigrazione, si procurano reddito attraverso “l’invenzione” di un lavoro autonomo, anche con altri. Sono di famiglie povere. Sono spesso drop-out dalle scuole superiori ma con una qualche competenza negli alfabeti funzionali. Si sono saputi tenere lontani dalle tossicodipendenze, dai piccoli crimini e dalla malavita organizzata. Non hanno “perso il loro tempo” e si misurano presto con il mondo del lavoro, ottenendone reddito. È proprio da tali esperienze che nasce in loro la determinazione a far partire un proprio piccolo “business”, mostrando una notevole spinta verso l’imprenditorialità. Sono italiani, sono migranti, Rom. L’insieme di questi ragazzi, pur essendo, evidentemente, una minoranza, rappresenta forse il più importante potenziale fattore di sviluppo locale presente nei territori della crisi nel Mezzogiorno. Primi protagonisti Dunque, questi giovani sono davvero i primi stakeholders. Sono i protagonisti primi, a pieno titolo, di imparare.fare. E lo sono perché noi stessi stiamo innovando gli approcci teorico-pratici all’esclusione e alla creazione di lavoro e dunque i ragazzi sono parte decisiva del nostro imparare. imparare.fare. vale anche per noi. I ragazzi hanno una storia di esclusione comune e ogni volta diversa dalla quale ri-partiamo, ragionandone insieme e cercando le vie per dare nuove prospettive a questa storia. Le loro storie rivelano che hanno conseguito, a volte con 1-2 anni di ritardo, la licenza di “scuola media”, quasi sempre con voto “sufficiente” e con competenze di numeracy e literacy basse; più raramente hanno frequentato qualche anno di scuole professionali o anche tecniche, non completando il corso di studi; ancor più raramente hanno completato in ritardo le scuole professionali o corsi professionali riconosciuti. In alcuni casi, invece, sono stati studenti brillanti e sono arrivati alla laurea e ora lavorano al nero, deprezzando il proprio potenziale e, al contempo, cercando - al pari dei loro coetanei con poca scolarità - un giusto riscatto. L’alleanza tra coetanei appare, così, un’ulteriore occasione da sostenere. Se si ascoltano con rispetto e cura, tutti questi ragazzi nati poveri ma con voglia di conquistare una via di riscatto, mostrano come ai percorsi, più o meno lunghi a scuola sono seguite, in generale molto presto, altre esperienze, legate al lavoro: periodi significativi di tempo presso botteghe o servizi quasi sempre al nero, spesso con lunghe ore e bassi salari, “prove di emigrazione” nel Centro e Nord Italia ma anche in Francia, Inghilterra, Spagna e perfino Stati Uniti, ecc., stage e brevi periodi in progetti europei misti a tante prove di lavoro in proprio e infine prime prove di impresa. È da questi complessi “bacini comuni” di esperienze - dove ognuno ha imparato molte altre cose, raramente riconosciute dalle istituzioni - che emergono due gruppi con una evidente spinta positiva, tesa a un approccio che lega apprendimento e volontà di produrre beni e servizi. È una volontà che noi chiamiamo, appunto, imparare.fare. Un primo gruppo di giovani adulti (età: 22-32) sono già motivati e attivi nel perseguire una propria impresa, da soli o con altri. Un secondo gruppo, di poco più giovane (età 17 - 25), intende ancora esperire il passaggio da un lavoro dipendente ambito, all’opzione di creare impresa per sé. imparare.fare. si rivolge a entrambi questi gruppi, prospettando anche la co-costruzione di spazi comunitari comuni, pensati e attivati anche con altri agenti dello sviluppo locale e, poi, percorsi di continuità tra i due gruppi. I nostri alleati I nostri alleati - con i quali già lavoriamo ogni giorno a questa avventura e ci confrontiamo sono: le fondazioni che ci sostengono dall’inizio: Open Society Foundations, Fondazione con il Sud, il Pio Monte della Misericordia di Napoli che ci da uno spazio di lavoro, altre fondazioni e un numero di imprenditori locali e nazionali che sono mentor dei ragazzi e che sostengono la nostra azione attraverso la partecipazione in termini di corporate social responsability, il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca che vaglia questa esperienza come sperimentazione di nuovi approcci nell’apprendimento di giovani adulti e nella transizione scuola-lavoro, i famigliari dei ragazzi, gli operatori sul campo (educatori, tutor, guide esperte all’avvio d’impresa), gli esperti partecipi dei processi di assessment, comunicazione pubblica e valutazione degli esiti, i partner e gemellati delle reti locali, nazionali, europee dedite alla social innovation nel campo dell’avvio di imprese e del protagonismo civico e sociale, gli studiosi e gli operatori che nelle stesse istituzioni sono più disposti a innovare le politiche per il lavoro e l’innovazione del sistema formativo, le comunità dei quartieri interessati, i cittadini e gli esperti che animano gli spazi pubblici di Napoli e, in prospettiva, di altre città. Il cantiere è aperto Così, imparare.fare. è un progetto che già opera a Napoli ma ha l’ambizione di costruire un modello prototipale replicabile, anche grazie a un costante confronto con esperienze europee e internazionali. È concentrato proprio sull’azione di empowerment di queste differentissime “tipologie” di giovanissimi adulti che possono fare la differenza. imparare.fare. è costruito in forte continuità con una solida attività sul campo da parte di chi l’ha avviato nonché sulla base di un attento lavoro di esame delle biografie personali e delle proposte d’impresa dei ragazzi stessi. E ha una forte vocazione operativa. Cosa stiamo facendo Operiamo su due livelli: Livello 1 A un primo gruppo, per ora di 20-30 ragazzi/e (età 22 - 32) che già lavorano in proprio o stanno costituendo o avviando esperienze di auto-impiego (quasi sempre informali), selezionati con grande cura: proponiamo un percorso di "impegno per sé" che richiede tempo dedicato e programmato insieme per riprendere a imparare al fine di costruire una impresa, da soli o con altri, vagliamo le competenze in modo fortemente partecipativo con loro, mettiamo a disposizione singoli esperti di settore per costruire insieme a loro un rigoroso business plan davvero sostenibile che riguarda i più diversi ambiti scelti dai ragazzi come ambito della propria impresa: piccola manifattura anche tradizionale, making con nuove tecnologie, ristorazione, servizi alla persona, attività in edilizia, artigianato, trasporti, turismo, ecc. accompagniamo al micro-credito e al credito costruendo un sistema di garanzia che non avrebbero e di sostenibilità degli impegni assunti, proponiamo di seguire un percorso strutturato teso a consolidare e rendere sostenibili le loro imprese che saranno accompagnate anche dopo ma senza creare un sistema di dipendenza o fuori dal mercato, proponiamo di organizzare una esperienza associativa auto-organizzata e autogestita nella prospettiva di partecipare allo sviluppo locale e creare reti di mutuo aiuto che possano durare nel tempo, da sviluppare anche entro le grandi associazioni tra imprese ma mantenendo un proprio carattere. Livello 2 A un secondo gruppo di 20 ragazzi/e (età 17 - 25) - dopo un’attività di vaglio delle motivazioni e bilancio partecipativo di competenze: proponiamo prospettive di apprendimento intensivo in situazione con veri maestri e in imprese innovative, al contempo proponiamo la co-costruire un’attività di lavoro-scuola entro spazi di co-working e co-learning, dai caratteri fortemente comunitari, che stiamo costruendo insieme a altre associazioni e alleati, verifichiamo le capacità di lavoro e insieme di ritorno all’apprendimento anche ai fini di vagliare, insieme ai ragazzi, la possibilità di proporre autoimpiego secondo il modello del livello 1. Riprendere a imparare Per entrambi i livelli è stato progettato un accorto e differenziato - per gruppi e per singoli - percorso di 18 mesi di ripresa dell’apprendimento sia ai fini dei percorsi di co-costruzione della prospettiva realistica di auto-impiego sia di ricostruzione delle competenze funzionali di cittadinanza. Così imparare.fare. mette a punto, insieme ai ragazzi protagonisti, i moduli formativi funzionali ai loro progetti di auto-impiego e di vita. Tali moduli prevedono un tempo minimo settimanale - compatibile con il tempo di lavoro dei ragazzi ma che richiede un ulteriore impegno - dedicato ad personam per i singoli protagonisti dei progetti di auto-impiego al quale va aggiunto un percorso di 3 semestri di ripresa delle competenze che impararefare ritiene irrinunciabili. Così, i moduli sono i seguenti: competenza in cura del corpo e della persona e sicurezza sul lavoro, competenza linguistica di cittadinanza in italiano, competenza linguistica in inglese di base, competenza digitale, competenza di cittadinanza in logica e matematica, competenza di cittadinanza in metodo scientifico, geografia e antropologia funzionale a "guardare il mondo", competenza in funzionamento reale del mercato e della città, competenza minima funzionale in bilancio d’impresa, contabilità, fisco e contratti. Per ognuno di questi moduli saranno sviluppate esperienze di scambio tra i ragazzi stessi e sarà curato un sistema di flessibilità regolate, negoziato in modo da garantire - entro il periodo di 18 mesi - la effettiva riuscita dei percorsi. Entro tale impianto, mentre abbiamo già un luogo di co-costruzione dei concreti progetti di impresa dei ragazzi e di apprendimento necessario a renderli sostenibili, le azioni saranno progressivamente svolte anche in altri spazi organizzati e animati come open spaces, un insieme di laboratori co-costruiti con diversi partner, con forte impronta comunitaria, di co-working e co-learning, aperte alla città, nel tempo capace di sostenersi. Documentare e valutare un’avventura di innovazione imparare.fare. è stato pensato da un gruppo di persone che si batte contro la rendita e la conservazione in territori dove troppi guasti sono stati causati da finti progetti e progetti attuati più per i proponenti che per i destinatari dichiarati. È per questo che abbiamo scelto di partire con fondi privati, insieme con finanziatori quali Open Society Foundations e Fondazione con il Sud, noti per le rigorose procedure di assessment e valutazione. Per questo fin dall’inizio abbiamo un sistema esterno severo di audit e validazione. Per questo abbiamo voluto per un anno incontrare decine di ragazzi nei loro quartieri e raccogliere, prima ancora di iniziare, quel che ci dicono e che dicono di sapere e volere fare. Per questo abbiamo scelto di partire in piccolo e con un’organizzazione minima e snella, creando reti di confronto e alleanze molto larghe, anteponendo il fare al dichiarare, mettendo al centro del nostro sistema di relazioni il leale confronto tra pari su quel che si fa davvero. Abbiamo scelto di avviare, con umiltà e in modo costruttivo, una sfida culturale che sia anche operativa e politica in senso proprio - rivolta alla città. Noi vogliamo guardare e misurare, insieme ai ragazzi, i nostri risultati. Vogliamo imparare da ciò che accade e migliorare nel tempo. Siamo, ad un tempo, operatori capaci che hanno per decenni agito nelle situazioni di esclusione per costruire vie d’uscita e studiosi dei processi di empowerment. Intendiamo costruire un modello aperto, disponibile al confronto e metodologicamente serio che si fondi su quel che avviene davvero e lo sappia documentare in diversi modi. La pubblicità del nostro operare, dei risultati, delle storie è parte costitutiva della nostra avventura. Filmiamo in modo partecipativo i percorsi dei ragazzi e di imparare.fare. Stiamo costruendo un luogo digitale aperto che sarà operativo in autunno 2015 dopo una ulteriore raccolta di dati e esperienze. E continueremo a fare parte del dibattito della città e nazionale a partire dalla nostra nuova avventura.