artigiani in via d`estinzione: il lavoro c`e`, mancano i lavoratori

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ARTIGIANI IN VIA D’ESTINZIONE: IL LAVORO C’E’, MANCANO I LAVORATORI
Domenica 19 Febbraio 2012
Il paradosso italiano. Si parla di disoccupazione allarmante (la disoccupazione giovanile sfiora il
30%), di grave crisi economica, di cassa integrazione e poi i dati mettono in evidenza un
panorama inaspettato: le imprese artigiane lamentano l’emergenza manodopera, non trovano
lavoratori da assumere.
Il rapporto 2011 Excelsior di Unione Camere e Ministero del Lavoro dimostra che esistono 117
mila professioni (il 19.7%) quasi introvabili nell’industria e nei servizi, di cui 28540 riferiti al
settore artigiano. Le aziende impiegano quasi un anno per ricercare figure operaie qualificate. I
lavoratori più ambiti sono: falegnami, muratori, panettieri, tornitori, carpentieri, operai agricoli,
cucitori di macchine per abbigliamento, sarti, cuochi, marmisti, installatori di infissi, ascensoristi,
carpentieri, elettricisti, pavimentatori, parrucchieri, estetisti, personale per le pulizie, idraulici, in
particolare installatori di impianti termici, installatore di impianti idraulici e termoidraulico. La
carenza di personale riguarda anche le professioni high skill intellettuali-scientifiche-tecniche:
farmacisti, sviluppatori di software, infermieri, progettisti meccanici, metalmeccanici e le
professioni intermedie: addetti alla reception, operatori di mensa, autisti di pullman, addetti alle
vendite specializzate.
Il Centro studi della Confartigianato di Udine ha messo in luce la mancanza, nella provincia di
1500 artigiani, quali: elettricisti (150 posti vacanti), parrucchieri stagionali (120), falegnami (85),
pasticceri. In totale, a livello regionale, nel Friuli Venezia Giulia non si trovano 3 mila artigiani
(rif. Confartigianato FVG). Inoltre, la FederlegnoArredo ha lanciato un allarme per il settore dei
mobili-arredamenti, mettendo in risalto la carenza di risorse umane professionalizzate. Lo
scarto tra domanda e offerta di lavoro nell’industria del legno è stata del 34,9% rispetto al totale
annuo delle assunzioni.
La difficoltà delle imprese a reperire il personale riguarda anche i fornai. L’associazione
panificatori abruzzesi reclama molti posti vacanti che nessuno vuole ricoprire, nonostante il
buon stipendio percepito e l’immediato sbocco lavorativo. La penuria di fornai rischia di mettere
in ginocchio il settore. Rispetto ai Paesi dell’OCSE i giovani italiani risultano essere i meno
interessati ai lavori artigianali.
La mancanza di artigiani italiani spinge le aziende a rivolgersi agli stranieri immigrati -
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extracomunitari. Secondo il CENSIS tra il 2005-2010 vi è stato un netto calo dei lavoratori
italiani occupati nei lavori manuali (-847 mila) e una crescita dei lavoratori stranieri (+ 718 mila)
e sono stimati 238 mila nuovi posti di lavoro.
Secondo i dati prodotti dalla Confartigianato nazionale la criticità nel rintracciare la mano
d’opera è determinata per il 12,4% dalla mancanza di interesse dei lavoratori verso questa
tipologia di offerta e per il 4,3% dalla mancanza di qualificazione dei candidati.
Perché vengono snobbati questi mestieri?
Una grossa “debolezza” dell’attuale società è la sottovalutazione del lavoro artigianale, la
squalifica del lavoro pratico. Il nostro sistema sociale, basato in prevalenza sull’immagine,
sottovaluta le attività che “sporcano le mani”, che si svolgono in piedi e che non prevedono una
scrivania. E’ una retaggio culturale del dopoguerra. Oggi i genitori indirizzano i figli ai licei (a
discapito degli istituti tecnici-professionali) agli studi intellettuali (medico, ingegnere, avvocato)
verso lavori impiegatizi (meglio se nel settore pubblico) considerati adatti per ricoprire un buon
status sociale, per trarre un discreto reddito e trovare un’occupazione con il mito del posto fisso.
Il lavoro manuale è considerato quasi dequalificante, un’esecuzione meccanica. Un ripiego per
chi non ama studiare e non ha avuto successo scolastico, una diminuzione personale oltreché
di status.
Eppure i laureati spesso in possesso di lauree poco spendibili e gli studenti fuori corso che
hanno impiegato troppi anni per laurearsi con un risultato basso rischiano di essere tagliati fuori
dal mercato del lavoro e diventare dei disoccupati.
Alcuni sociologi spiegano che questa tipologia di fenomeno è necessaria all’evoluzione della
società. Essi parlano di “neoclassismo etico” e affermano che la crisi economica non riuscirà ad
abbassare il livello delle aspettative intellettuali di chi ha studiato. Portano come esempio il
caso dei tassisti a Londra: negli anni ‘50 erano tutti londinesi, dopo dieci anni erano in
prevalenza scozzesi e ora sono in maggioranza pakistani, indiani, neri.
Vi è un altro fattore da non trascurare: la scuola non prepara gli studenti ai lavori manuali. La
metodologia formativa è prevalentemente teorica e poco pratica, nonostante la legge Moratti
abbia introdotto nell’ordinamento scolastico l’alternanza scuola-lavoro. Le aziende cercano
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personale ma non trovano “braccia” in possesso dei requisiti richiesti. Esiste un gap tra
preparazione scolastica (sia pur universitaria) ed esigenze di mercato. Mancano figure
qualificate pronte ad affrontare il mondo del lavoro, che ambisce a persone capaci di cavalcare
l’innovazione, che “sappiano fare” per garantire la qualità del prodotto.
Ci vuole più specializzazione. Va incentivata la formazione professionale e vanno sostenute le
scuole/enti professionalizzanti che insegnano i “vecchi” mestieri artigianali ormai introvabili,
perché pochi li sanno fare. Ricordiamoci che il boom economico degli anni ‘60 è avvenuto
anche grazie alle aziende, agli operai, al lavoro pratico-manuale, che rappresentava un pilastro
del mercato del lavoro. Da sempre la forza dell’Italia è l’artigianato, non perdiamoci questa
partita. Siamo ancora in tempo. Nel contempo le Istituzioni devono essere più grintose, offrire
strutture e strumenti pubblici che agevolino le attività artigiane autonome. Vi sono grossi
ostacoli nel mettersi in proprio a cominciare dalla richiesta di finanziamenti alle banche e dalle
ingenti tasse da pagare.
La società deve prendere consapevolezza dell’emergenza artigiani e della sua gravità a lungo
termine. La carenza di figure professionali nell’ambito del settore artigiano è allarmante. Va al
più presto riproposto il valore educativo e culturale del lavoro manuale, introdurre nuove
politiche, una nuova metodologia didattica e scardinare i pregiudizi per rendere fede al principio
“dell’evoluzione professionale” ed al “pieno sviluppo della persona umana” previsti dalla
Costituzione. Tutti i lavori dignitosi consentono di crescere e raggiungere l’eccellenza.
Fondamentale, al di là degli studi, è il desiderio personale di affermare sé stessi, di migliorarsi,
di aggiornarsi in maniera costante e di sviluppare la propria idea imprenditoriale.
Da adesso al 2018 l’economia avrà sempre più necessità di giardinieri, badanti, camionisti,
operati qualificati, che non saprà dove andare a reperire. Bisognerà chiedere la laurea anche
per questi lavori manuali? Oppure è il caso di spalancare le porte ad un nuovo scenario
socio-culturale e riformare le strategie formative come quelle indicate nel documento Italia
2020, predisposto congiuntamente dai Ministri Sacconi e Gelmini. Occorre garantire una
qualifica professionale e rilanciare il valore formativo dell’apprendistato, dei tirocini,
abbandonando la spaccatura tra cultura teorica e pratica. In questo arduo compito possono
intervenire, in collaborazione con la scuola e l’università, gli enti di istruzione e di formazione
professionale eccellenti che da anni cavalcano questa nobile funzione.
E’ giunta l’ora di rivedere la nostra mentalità e di dare dignità e valore sociale al lavoro
artigianale.
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