1 La struttura del materiale genetico 1.1 Alcuni esperimenti hanno dimostrato che il DNA è il materiale depositario dell’informazione genetica 1.2 DNA e RNA sono polimeri di nucleotidi 1.3 Il DNA ha la struttura di un’elica a doppio filamento 2 La duplicazione del DNA 1.4 La duplicazione del DNA dipende dallo specifico appaiamento delle basi azotate 1.5 La duplicazione del DNA ha inizio simultaneamente in molti punti e procede grazie alla DNA polimerasi 3 La duplicazione del DNA procede in modo discontinuo sul filamento antiparallelo 1.7 Gli errori di duplicazione vengono corretti grazie alla DNA polimerasi e ad altri meccanismi di riparazione 1.8 Le estremità 5⬘ dei filamenti di DNA non vengono duplicate 1.9 L’informazione genetica codificata dal DNA viene tradotta nella sequenza delle proteine 1.10 L’informazione genetica è codificata nel DNA in triplette di nucleotidi, ciascuna delle quali corrisponde a un amminoacido nella proteina corrispondente 1.11 Il codice genetico è la “stele di Rosetta” della vita 1.12 La trascrizione produce messaggi genetici sotto forma di RNA 1.13 Prima di uscire dal nucleo della cellula eucariote l’RNA messaggero viene modificato 1.14 Le molecole di RNA di trasporto agiscono da interpreti durante la traduzione 1.15 I ribosomi assemblano i polipeptidi 1.16 L’inizio del messaggio portato dall’mRNA è indicato da uno speciale codone 1.17 Nella fase di allungamento la catena polipeptidica si accresce finché il codone di arresto termina la traduzione 1.18 In sintesi: il flusso dell’informazione genetica procede dal DNA all’RNA e dall’RNA alle proteine 1.19 Le mutazioni possono modificare il significato dei geni La genetica dei virus e dei batteri 1.20 Il DNA virale può diventare parte del cromosoma dell’ospite © Pearson Italia spa 1 La biologia molecolare del gene Il passaggio dell’informazione genetica dal DNA all’RNA alle proteine 1.6 4 | LA BIOLOGIA MOLECOLARE E L’EVOLUZIONE UNITÀ PARTE C salute Un’armata invisibile 1.21 evoluzione La salute delle popolazioni umane è minacciata dalla comparsa di nuovi virus 1.22 Il virus dell’AIDS sintetizza il DNA utilizzando l’RNA come stampo 1.23 Viroidi e prioni sono agenti patogeni diffusi nelle piante e negli animali 1.24 I batteri possono ricombinare i propri geni in tre modi 1.25 I plasmidi batterici possono essere impiegati per trasferire i geni Prova di competenza A scuola dai virus Perché, per studiare il funzionameno del DNA a livello molecolare, i virus sono stati preferiti ad altri modelli come le drosofile di Morgan? Obiettivi m conoscere la struttura delle molecole del DNA e dell’RNA m comprendere il meccanismo di duplicazione del DNA m comprendere come viene decodificata l’informazione genetica contenuta nel DNA m conoscere le funzioni dei diversi tipi di RNA m comprendere come avviene la sintesi delle proteine all’interno delle cellule m conoscere i meccanismi con cui i virus infettano le cellule C3 LEZIONE 1 La struttura del materiale genetico 1.1 Alcuni esperimenti hanno dimostrato che il DNA è il materiale depositario dell’informazione genetica Figura 1.1A L’esperimento di Griffith. © Pearson Italia spa batteri patogeni vivi All’inizio del XX secolo l’identità precisa del materiale ereditario era ancora sconosciuta. I biologi sapevano che i portatori dell’informazione ereditaria erano i cromosomi; il materiale genetico, di conseguenza, doveva trovarsi in uno dei due componenti chimici dei cromosomi: nel DNA, oppure nelle proteine. Fino agli anni quaranta, la maggior parte degli studiosi propendeva per la seconda ipotesi, dal momento che le proteine apparivano più complesse dal punto di vista della struttura e più specifiche nella funzione rispetto al DNA. I peptidi, infatti, sono formati da 20 diversi amminoacidi, mentre il DNA è composto soltanto da 4 tipi di nucleotidi. Furono alcuni fondamentali esperimenti condotti sui batteri e sui virus a svelare, alla fi ne, il ruolo del DNA nella trasmissione ereditaria. I primi indizi del ruolo del DNA come depositario dell’informazione genetica risalgono al 1928. Il biologo inglese Frederick Griffith stava studiando due ceppi di un batterio: uno era innocuo, l’altro provocava la polmonite nei topi. Griffith scoprì che, quando mescolava batteri patogeni precedentemente uccisi con altri batteri innocui ma vivi, alcuni di questi ultimi si trasformavano nella for- batteri innocui vivi batteri patogeni uccisi dal calore il topo vive il topo vive batteri patogeni uccisi dal calore mescolati a batteri innocui vivi RISULTATI il topo muore il topo muore i campioni di sangue contengono batteri patogeni vivi in grado di riprodursi, dando origine a nuovi batteri patogeni C4 attività L’esperimento di Hershey e Chase ma patogena in grado di causare la malattia ( Figututti i discendenti dei batteri modificati, inoltre, ereditavano la capacità di indurre la malattia. Era chiaro che alcuni componenti chimici presenti nei batteri morti dovevano agire da “fattore trasformante”, dando luogo a un cambiamento che poteva essere trasmesso ai discendenti. Nel 1952 i biologi americani Alfred Hershey e Martha Chase svolsero una serie di esperimenti molto convincenti dimostrando che proprio il DNA è il materiale genetico di un virus denominato T2, che infetta il batterio Escherichia coli (E. coli). I virus batterici sono chiamati batteriofagi o, più sinteticamente, fagi (dal greco phageîn “mangiare”). Il fago T2 è costituito da una testa formata da un rivestimento proteico, che racchiude DNA, e collegata a una coda cava, dalla quale si dipartono sei fibre articolate, capaci di attaccarsi alla superficie di un batterio sensibile. Hershey e Chase avevano capito che il fago T2 era in grado di riprogrammare la cellula ospite inducendola così a produrre nuovi fagi, ma all’inizio non sapevano quale componente, se il DNA o le proteine, venisse trasferita per svolgere questo compito. I due biologi riuscirono a trovare la risposta ideando un esperimento che utilizzava materiali relativamente semplici: sostanze chimiche marcate con isotopi radioattivi (che agiscono da traccianti e possono essere monitorate in laboratorio nei loro spostamenti), un rilevatore di radioattività, un frullatore da cucina e una centrifuga (uno strumento grazie al quale si possono separare particelle di peso differente presenti in una sospensione). Hershey e Chase usarono isotopi radioattivi diversi per marcare il DNA e le proteine del fago T2. Per cominciare, allevarono il fago e le cellule di E. coli in una soluzione contenente zolfo radioattivo (in giallo nella Figura 1.1B ). Dato che le proteine contengono zolfo, a differenza del DNA, gli atomi di zolfo radioattivo potevano essere incorporati soltanto nelle proteine dei fagi di nuova formazione. I ricercatori coltivarono poi un altro gruppo di fagi in una soluzione contenente fosforo radioattivo (in verde nella figura). Poiché quasi tutto il fosforo del fago si trova nel suo DNA, soltanto il DNA dei fagi coltivati in questa soluzione risultava marcato. ra 1.1A ); L’esperimento di Hershey e Chase. Una volta ottenuti i due ceppi di T2 marcati, Hershey e Chase condussero l’esperimento descritto nella Figura 1.1B. 1. I due studiosi fecero infettare dai due gruppi di virus, marcati diversamente, due differenti gruppi di batteri; attività Phage T2 reproductive cycle inquiry Can a genetic trait be transferred between different bacterial strains? 2. frullarono quindi le due colture in modo da staccare meccanicamente le parti dei fagi rimaste fuori dalle cellule batteriche; 3. centrifugarono i campioni ottenuti in modo da separare le cellule batteriche (più pesanti e accumulate sul fondo della provetta) dai fagi e dai loro frammenti, più leggeri, che rimanevano in sospensione nel liquido; 4. misurarono infine la radioattività nel precipitato e nel liquido sovrastante. Grazie a questo esperimento, Hershey e Chase scoprirono che, quando i batteri erano infettati dai fagi T2 con proteine marcate, la radioattività si misurava principalmente nel liquido sovrastante, contenente fagi ma non batteri. Da questo risultato si poteva dedurre che le proteine del fago non erano entrate nelle cellule batteriche. Quando i batteri erano infettati dai fagi con DNA marcato, al contrario, la maggior parte della radioattività si trovava nel precipitato batterico. Se questi batteri venivano nuovamente inseriti in una coltura, le loro cellule andavano rapidamente incontro a lisi e liberavano nuovi fagi contenenti DNA con fo- fago La biologia molecolare del gene | UNITÀ 1 sforo radioattivo, ma privi di zolfo radioattivo nelle proteine. I due ricercatori conclusero quindi che il fago T2 inietta il proprio DNA nella cellula ospite, lasciando all’esterno tutte le sue proteine. Essi dimostrarono, inoltre, che erano proprio le molecole di DNA iniettate a indurre un’ulteriore produzione di DNA e proteine virali (in modo da generare fagi completi). Tutte le istruzioni necessarie per produrre nuovi fagi dovevano dunque essere contenute nel DNA. I risultati di Hershey e Chase, insieme a dati ottenuti dalle ricerche precedenti, convinsero la maggior parte degli scienziati che il materiale ereditario è costituito da DNA. Questo esperimento, di fatto, ha dato il via alla grande avventura scientifica che ha svelato la struttura del DNA e il suo ruolo nell’archiviare e nel trasmettere l’informazione genetica da una generazione all’altra. STEP BY STEP Che cosa convinse Hershey e Chase del fatto che il materiale genetico del fago T2 è rappresentato dal DNA e non dalle proteine? proteine radioattive batterio Figura 1.1B L’esperimento di Hershey e Chase. involucro proteico vuoto radioattività nel liquido DNA del fago DNA ceppo 1 proteine radioattive passaggio nella centrifuga precipitato © Pearson Italia spa 1 i fagi radioattivi vengono mescolati con i batteri; i fagi infettano le cellule batteriche 2 i fagi che si trovano all’esterno dei batteri vengono separati dalle cellule e dal loro contenuto usando un frullatore 3 la miscela viene centrifugata; i batteri formano un precipitato sul fondo della provetta 4 si misura la radioattività nel precipitato e nel liquido sovrastante DNA radioattivo ceppo 2 DNA radioattivo passaggio nella centrifuga precipitato radioattività nel precipitato C5 LEZIONE 1 | La struttura del materiale genetico 1.2 DNA e RNA sono polimeri di nucleotidi Quando Hershey e Chase svolsero i loro esperimenti, si sapeva già molto sul DNA: gli scienziati avevano identificato le molecole che lo costituivano e i legami covalenti che le univano. Non era però ancora nota la configurazione tridimensionale del DNA, quella da cui dipendono le proprietà uniche di questa macromolecola: la capacità di archiviare l’informazione genetica, di copiarla e di trasmetterla da una generazione all’altra. Dopo un solo anno dalla pubblicazione dei risultati di Hershey e Chase, altri studiosi riuscirono a ricostruire la struttura tridimensionale del DNA e a spiegarne il funzionamento. Prima di esaminare questa nuova scoperta (cui è dedicato il paragrafo 1.3), è utile rivedere la struttura chimica del DNA e dell’RNA. Figura 1.2A La struttura di un polinucleotide di DNA. La struttura degli acidi nucleici. Il DNA e l’RNA sono acidi nucleici costituiti da lunghe catene (o polimeri) di unità chimiche (monomeri) ripetute e legate tra loro, dette nucleotidi. Nella parte sinistra della Figura 1.2A è rappresentato un semplice schema di questo polimero, detto anche polinucleotide. Al centro della figura si può osservare che ogni nucleotide include tre componenti: una base azotata (l’elemento più a destra indicato con colori diversi), uno zucchero (in azzurro) e un gruppo fosfato (in giallo). Il DNA è costituito da quattro diversi tipi di nucleotidi che differiscono tra loro solo per la base azotata: adenina (A), citosina (C), timina (T) o guanina (G). I nucleotidi sono uniti da legami covalenti che si formano tra lo zucchero di un nucleotide e il gruppo fosfato del nucleotide successivo. La struttura risultante da questa disposizione, detta scheletro zucchero-fosfato, si ripete per tutta la lunghezza del polinucleotide; all’esterno di questo scheletro sporgono le basi azotate. In un filamento di acido nucleico, la posizione occupata dai singoli nucleotidi è variabile, così come la lunghezza delle catene polinucleotidiche. Le diverse combinazioni dei quattro nucleotidi sono all’origine del grandissimo numero di polinucleotidi. Se scendiamo ancor più nel dettaglio ed esaminiamo un singolo nucleotide di DNA (a destra nella Figura 1.2A), possiamo notare la particolare struttura chimica dei suoi tre componenti. Il gruppo fosfato ha un atomo di fosforo (P) al centro e determina il carattere acido di questi polimeri. Lo zucchero ha cinque atomi di carbonio (evidenziati in rosso), quattro nell’anello e uno posizionato esternamente rispetto al piano dell’anello; al vertice della struttura si trova un atomo di ossigeno. Nel DNA lo zucchero è chia- scheletro zucchero-fosfato gruppo fosfato A base azotata A zucchero la posizione degli atomi di carbonio nello zucchero del nucleotide è indicata da numeri con apice; in posizione 2⬘ il desossiribosio del DNA ha un atomo di H base azotata (A, G, C, o T) C C O nucleotide di DNA C H 3C N C H O T T O P O 5⬘ CH2 © Pearson Italia spa G G C N O timina (T) O– gruppo fosfato C H O 4⬘ C H H C 3⬘ O H C 1⬘ C H 2⬘ H zucchero (desossiribosio) T T nucleotide di DNA polinucleotide di DNA C6 La biologia molecolare del gene | UNITÀ 1 H O H3C H C C C H N N C H H C H O N C C H N N N C H H timina (T) citosina (C) H O pirimidine N C N N C N O C C N Figura 1.2B Le basi azotate del DNA. H C H C N H H C C C N N C H adenina (A) H N H H guanina (G) purine mato desossiribosio perché, rispetto allo zucchero ribosio dell’RNA, ha un atomo di ossigeno in meno (nella figura, l’atomo di C in basso a destra è legato a un atomo di H, invece che a un gruppo —OH, come nel ribosio; vedi Figura 1.2C). Il nome per esteso del DNA è, dunque, acido desossiribonucleico, dove il termine “nucleico” ricorda la localizzazione del DNA nel nucleo delle cellule eucariote. La base azotata (nel nostro esempio una timina) ha un anello costituito da atomi di azoto e carbonio, cui sono uniti vari gruppi funzionali. A differenza del gruppo fosfato, che è acido, le basi azotate, come indica il nome, sono sostanze basiche. La loro struttura chimica è illustrata nella Figura 1.2B ed è riconducibile a due modelli: la timina (T) e la citosina (C ) sono strutture ad anello singolo, chiamate pirimidine ; l’adenina (A) e la guanina (G ) sono strutture più grandi, con un doppio anello, chiamate purine. (Notate che le stesse abbreviazioni possono essere usate per indicare le singole basi oppure i nucleotidi che le contengono; è la base azotata, infatti, l’unico elemento distintivo dei nucleotidi.) Le differenze tra RNA e DNA. Come indicato dal nome, l’acido ribonucleico (o RNA) è costituito dallo zucchero ribosio ( Figura 1.2C ) che, abbiamo visto, contiene un atomo di ossigeno in più rispetto al desossiribosio. Un’altra differenza tra RNA e DNA è data dalla presenza nell’RNA, al posto della timina, di una base azotata chiamata uracile ( U ), che ha una struttura molto simile a quella della timina. La Figura 1.2D è una rappresentazione al computer di un segmento di RNA lungo circa 20 nucleotidi. Gli atomi di fosforo, colorati di giallo, al centro dei gruppi fosfato facilitano l’identificazione dello scheletro zucchero-fosfato. STEP BY STEP Quali sono le analogie e le differenze tra la struttura del DNA e quella dell’RNA? Figura 1.2D Parte di un polinucleotide di RNA. a differenza del DNA, la molecola di RNA è, di solito, un singolo filamento a forma di elica uracile adenina citosina guanina © Pearson Italia spa base azotata (A, G, C, o U) O H O– O P O 5⬘ CH2 O– gruppo fosfato H C C C N H C 3⬘ OH H C fosfato O uracile (U) O 4⬘ C H N H C 1⬘ C H 2⬘ OH il ribosio ha un gruppo —OH in posizione 2⬘ ribosio zucchero (ribosio) Figura 1.2C Un nucleotide di RNA. C7 LEZIONE 1 | La struttura del materiale genetico 1.3 Il DNA ha la struttura di un’elica a doppio filamento Partendo dall’ipotesi che l’informazione genetica fosse contenuta nel DNA, come suggerivano i risultati degli esperimenti di Hershey e Chase del 1952, ricercatori di diversi laboratori ingaggiarono una vera e propria gara per riuscire a determinare la struttura tridimensionale di questa molecola e provare così il suo ruolo fondamentale nell’ereditarietà. A quel tempo la disposizione dei legami covalenti nella catena di un acido nucleico era già ben conosciuta. Perciò, gli sforzi dei biochimici si concentrarono principalmente sullo studio della struttura tridimensionale del DNA, anche perché si era scoperto l’importante legame tra struttura e funzioni nelle proteine. I primi a svelare il mistero furono l’americano James D. Watson e l’inglese Francis Crick. Figura 1.3A Rosalind Franklin e l’immagine del DNA che ottenne con la cristallografia a raggi X. Il contributo della cristallografia a raggi X. La collaborazione tra i due scienziati, breve ma famosa, ebbe inizio quando il ventitreenne Watson visitò l’università di Cambridge, dove Crick stava studiando la struttura molecolare delle proteine servendosi di una tecnica chiamata cristallografia animazione La struttura della doppia elica del DNA attività DNA double helix a raggi X. Ma la svolta avvenne al King’s College di Londra, dove il biologo Maurice Wilkins era all’avanguardia in questi studi. Nel laboratorio di Wilkins, Watson osservò un’immagine cristallografica del DNA ottenuta da una collega di Wilkins, Rosalind Franklin ( Figura 1.3A ). Uno studio accurato di questa immagine permise a Watson e a Crick di dedurre che la forma del DNA era un’elica con un diametro costante di 2 nanometri (nm), nella quale le basi azotate erano distanziate di circa un terzo di nanometro (per avere un termine di paragone, la membrana plasmatica della cellula è spessa circa 8 nm). Il diametro dell’elica suggeriva che essa fosse costituita da due filamenti polinucleotidici, uniti in una configurazione a doppia elica. Watson e Crick, usando modelli molecolari in fi lo metallico, tentarono quindi di costruire una doppia elica che fosse conforme sia ai dati di Rosalind Franklin sia a ciò che si sapeva a quel tempo della chimica del DNA ( Figura 1.3B ). In particolare, la ricercatrice aveva concluso che gli scheletri zucchero-fosfato dovessero trovarsi all’esterno della doppia elica. Le basi azotate, di conseguenza, dovevano essere spostate nel modello all’interno della molecola. Ma in che modo? © Pearson Italia spa L’appaiamento delle basi azotate. All’inizio, Watson e Crick immaginarono che le basi azotate fossero appaiate secondo il criterio del “simile con il simile”, per esempio A con A e C con C. Ma questo tipo di appaiamento non corrispondeva ai dati ottenuti ai raggi X, che suggerivano un diametro costante nella molecola del DNA; la coppia di basi AA, infatti, avrebbe avuto un ingombro quasi doppio rispetto alla coppia CC, causando vistosi rigonfiamenti nella molecola. Ben presto fu chiaro che una base a doppio anello (una purina) doveva sempre essere appaiata, sul fi lamento opposto, con una base ad anello singolo (una pirimidina). Watson e Crick, inoltre, capirono che le singole strutture delle basi imponevano un accoppiamento ancora più specifico: ogni base ha infatti gruppi chimici laterali che tendono a formare legami idrogeno con una molecola adatta. L’adenina forma legami idrogeno con la timina, e la guanina con la citosina. Usando le abbreviazioni del linguaggio dei biologi, A si appaia con T e G con C; le basi complementari del DNA sono dunque A-T e G-C. Il modello di appaiamento di Watson e Crick era perfettamente compatibile con quanto si sapeva sulle caratteristiche fisiche e i legami chimici del DNA. Inoltre, giustificava alcuni dati che erano stati ottenuti diversi anni prima dal biochimico americano Erwin Chargaff. Chargaff aveva scoperto che, in tutte le specie, la quantità di adenina presente nel DNA è sempre uguale alla quantità di timina e la quantità di guanina è sempre uguale a Figura 1.3B Watson e Crick nel 1953, con il loro modello di DNA a doppia elica. C8 La biologia molecolare del gene | UNITÀ 1 animazione I legami idrogeno del DNA quella di citosina. La regolarità rilevata da Chargaff è spiegata dal fatto che ogni A presente su una delle catene polinucleotidiche di DNA si appaia sempre con una T sull’altra catena, proprio come ogni G su una catena si appaia sempre con una C sull’altra. Il modello a doppia elica. Il modello a doppia elica del DNA proposto da Watson e Crick può essere immaginato come una scala di corda, con rigidi pioli di legno, avvolta su se stessa in senso orario (Figura 1.3C). Le due corde laterali sono equivalenti agli scheletri zucchero-fosfato, mentre i pioli rappresentano le coppie di basi azotate unite da legami idrogeno. La Figura 1.3D mostra tre rappresentazioni della doppia elica. La forma dei simboli delle basi, nel modello a sinistra, sottolinea la loro complementarietà. Lo schema al centro illustra, in particolare, i legami idrogeno tra basi complementari (indicati con linee punteggiate); si noti inoltre che le catene sono antiparallele, cioè disposte in senso opposto. Nel modello computerizzato a destra, gli atomi delle molecole di desossiribosio sono colorati in azzurro, i gruppi fosfato in giallo e le basi azotate in verde e arancione. La regola dell’appaiamento complementare scoperta da Watson e Crick implica un preciso abbinamento delle basi azotate, ma non pone limitazioni alla lunghezza della molecola e alla disposizione dei singoli nucleotidi. La sequenza delle basi presenta infinite variazioni e i nucleotidi di ogni gene hanno, di conseguenza, una sequenza di basi esclusiva. Per il loro straordinario contributo alla biologia molecolare e alla genetica, illustrato con un breve articolo apparso sulla rivista Nature nel 1953, Watson, Crick e Wilkins ricevettero il PreC C G G C G C T coppia di basi appaiate A A T C G A © Pearson Italia spa G T T C G C A G G A A O O –O P O H2C STEP BY STEP Se lungo un filamento della doppia elica troviamo la sequenza nucleotidica GGCATAGGT, qual è la sequenza complementare sull’altro filamento di DNA? O O O –O P O H2C O O C T mio Nobel per la Medicina nel 1962. (Rosalind Franklin non poté riceverlo perché era morta di cancro nel 1958.) È interessante notare che l’eccezionale riconoscimento ottenuto da questi ricercatori non sia dovuto alla produzione di nuovi dati sperimentali, ma all’atto creativo di immaginare un modello che corrispondesse a tutti i dati sperimentali già in possesso della comunità scientifica. Grazie al loro modello, fu possibile conoscere l’organizzazione molecolare che consente alla sequenza nucleotidica del DNA di codificare l’informazione ereditaria contenuta nei geni di un cromosoma. Figura 1.3C La doppia elica rappresentata attraverso il modello della scala a pioli. Figura 1.3D Tre modi di rappresentare il DNA. il legame idrogeno è un legame debole che si forma tra un atomo di idrogeno, unito in modo covalente estremità 5⬘ a una molecola, e un atomo molto elettronegativo, O come O oppure N, di una molecola diversa OH P –O estremità 3⬘ O OH H2C O C T A O O –O P O H2C C avvolgimento G C O CH2 O O– P O O O CH2 O O– P O O O CH2 O O– P O O C G A T O CH2 O O– estremità 3⬘ P HO O i due scheletri zucchero-fosfato sono orientati estremità 5⬘ in direzioni opposte: ciascun filamento ha un’estremità 3⬘ e un’estremità 5⬘ OH T T A modello a nastro modello computerizzato C9 2 La duplicazione del DNA T A G 1.4 La duplicazione del DNA A A dipende dallo specifico appaiamento delle basi azotate Figura 1.4B Svolgimento della molecola originaria e duplicazione del DNA. T A C T C T G T G C © Pearson Italia spa T A T molecola originaria di DNA C10 nucleotidi G C G A C T A A A C G T T C A C T A A C G T A T G T C G G C A G G C C G T C A C T A A A T C A T Figura 1.4A Modello a stampo della duplicazione del DNA. A Il meccanismo di stampo nella duplicazione. Secondo l’ipotesi di Watson e Crick, la cellula applicava lo stesso principio di complementarietà quando copiava i propri geni. Come si vede nella Figura 1.4A, i due fi lamenti di DNA originario (in azzurro) si separano. A questo punto, ognuno di essi diventa uno stampo per l’assemblaggio di un fi lamento complementare a partire da una riserva di nucleotidi liberi disponibili nell’ambiente (in grigio). I nucleotidi si allineano uno alla volta lungo il fi lamento stampo, seguendo la regola dell’appaiamento delle basi. Appositi enzimi uniscono poi i nucleotidi formando il nuovo fi lamento di DNA. Le nuove molecole, identiche alla molecola originaria, sono chiamate molecole “figlie”. Il meccanismo di copia è analogo a quello impiegato per produrre da un negativo fotografico un’immagine positiva, la quale, a sua volta, può essere usata per produrre un altro negativo, e così via. G Uno dei temi più importanti e trasversali della biologia, il rapporto tra struttura e funzione, emerge con grande evidenza nella doppia elica del DNA. L’esistenza di un appaiamento specifico delle basi nel DNA non solo orientò Watson e Crick verso la scoperta della corretta struttura della doppia elica, ma suggerì anche ai due scienziati un aspetto funzionale di enorme rilevanza legato a questa disposizione. Il loro famosissimo articolo del 1953 terminava con queste parole: «non è sfuggito alla nostra attenzione che l’appaiamento specifico da noi proposto suggerisce direttamente un possibile meccanismo per la duplicazione del materiale genetico». La logica alla base dell’ipotesi di Watson e Crick sulle modalità di duplicazione del DNA – attraverso l’appaiamento specifico di basi complementari – è molto semplice. Per rendersene conto, basta coprire uno dei fi lamenti della molecola originaria di DNA nella Figura 1.4A : la sequenza di basi del fi lamento coperto può essere determinata applicando la regola dell’appaiamento delle basi al fi lamento rimasto visibile: A si appaia con T, G con C. G LEZIONE Il modello di Watson e Crick prevede che, quando una doppia elica si duplica, ognuna delle molecole figlie sia costituita da un vecchio fi lamento, appartenente alla molecola originaria, e da uno nuovo. Questo modello di duplicazione è noto come modello semiconservativo, perché in ogni molecola figlia viene conservata metà della molecola originaria. Il modello semiconservativo della duplicazione è stato confermato da alcuni esperimenti eseguiti negli anni cinquanta del Novecento. Sebbene il meccanismo generale della duplicazione del DNA sia concettualmente semplice, il processo reale implica una complessa attività biochimica. Parte di tale complessità deriva dal fatto che, per duplicarsi, la molecola elicoidale di DNA deve svolgersi e copiare quasi simultaneamente i suoi due fi lamenti ( Figura 1.4B ). Un altro problema è la velocità del processo. E. coli, che ha circa 4,6 milioni di coppie di basi, può copiare il suo genoma in meno di un’ora. Gli esseri umani, che hanno più di 6 miliardi di coppie di basi distribuite in 46 cromosomi, impiegano qualche ora (in media vengono aggiunti 50 nucleotidi al secondo nei mammiferi). Eppure, il processo è incredibilmente accurato: di solito, soltanto un nucleotide su diversi miliardi si appaia in modo errato. Nel prossimo paragrafo vedremo più in dettaglio il meccanismo che consente alla duplicazione del DNA di procedere con tanta velocità e accuratezza. STEP BY STEP In che modo l’appaiamento complementare delle basi rende possibile la duplicazione del DNA? T A T A T G C G C G C G C G C T A T A T A T A T A i due filamenti originari agiscono da stampo due molecole figlie di DNA identiche La biologia molecolare del gene | UNITÀ 1 attività La duplicazione del DNA 1.5 La duplicazione del DNA origine della duplicazione filamento originario filamento di nuova sintesi ha inizio simultaneamente in molti punti e procede grazie alla DNA polimerasi La duplicazione di una molecola di DNA richiede la cooperazione di numerosi enzimi e di altre proteine speciali. Il processo ha inizio in particolari punti di origine della duplicazione, che sono tratti di DNA con una caratteristica sequenza di nucleotidi, in corrispondenza dei quali gli enzimi si attaccano all’acido nucleico e separano i fi lamenti. Come mostra la Figura 1.5A , la duplicazione procede quindi in due direzioni, dando origine a bolle di duplicazione. I fi lamenti del DNA originario (in azzurro) si dividono a mano a mano che i fi lamenti di nuova sintesi (in grigio) si allungano su entrambi i lati di ogni bolla. Nelle cellule eucariote, la molecola di DNA di un cromosoma ha molti punti di origine, da cui la duplicazione può partire simultaneamente; in tal modo, il tempo complessivo necessario per completare il processo si abbrevia. Nello stesso istante, possono essere presenti migliaia di bolle, che fi niscono poi per fondersi l’una con l’altra, generando due nuove molecole complete di DNA. L’azione delle DNA polimerasi. Gli enzimi DNA polimerasi sono responsabili della sintesi dei nuovi fi lamenti di DNA, legando i nucleotidi che si appaiano spontaneamente al fi lamento di DNA stampo, ma hanno due importanti limiti. In primo luogo, non sono in grado di cominciare la sintesi di un filamento partendo dal primo nucleotide, ma possono soltanto allungare un fi lamento esistente. Per questo motivo un altro enzima, la primasi, sintetizza una breve molecola di RNA complementare (un nucleotide alla volta), detta primer o nuovo filamento estremità 5⬘ zucchero due molecole figlie di DNA innesco. Il primer verrà eliminato e sostituito con DNA al termine della duplicazione. Come secondo limite, le DNA polimerasi possono aggiungere i nuovi nucleotidi soltanto all’estremità 3⬘ del filamento nascente e mai all’estremità 5⬘ (i numeri con apice si riferiscono alla posizione degli atomi di carbonio negli zuccheri del nucleotide). Un filamento di DNA di nuova sintesi, quindi, può crescere esclusivamente nella direzione 5⬘ → 3⬘. Si può osservare l’azione della DNA polimerasi nella Figura 1.5B. I due scheletri zucchero-fosfato del DNA sono orientati in direzioni opposte: ogni fi lamento ha un’estremità 3⬘ e un’estremità 5⬘. A una delle estremità di ciascun fi lamento, l’atomo di carbonio 3⬘ dello zucchero è unito a un gruppo —OH, mentre all’altra estremità l’atomo di carbonio 5⬘ dello zucchero è unito a un gruppo fosfato. La DNA polimerasi aggiunge un nuovo nucleotide catalizzando la formazione di un legame covalente tra il gruppo fosfato del nuovo nucleotide e l’estremità 3⬘ del fi lamento preesistente. della DNA polimerasi? filamento stampo estremità 3⬘ estremità 5⬘ estremità 3⬘ A T C G C G G C G C T A OH Figura 1.5A Tre bolle di duplicazione del DNA. STEP BY STEP Quali sono le caratteristiche A T base azotata gruppo fosfato © Pearson Italia spa bolla Figura 1.5B L’aggiunta di un nucleotide al nuovo filamento di DNA. DNA polimerasi estremità 3⬘ A T OH C estremità 3⬘ C OH nuovo nucleotide estremità 5⬘ estremità 5⬘ C11 LEZIONE 3 Il passaggio dell’informazione genetica dal DNA all’RNA alle proteine 1.6 La duplicazione del DNA origine della duplicazione procede in modo discontinuo sul filamento antiparallelo © Pearson Italia spa La capacità della DNA polimerasi di allungare il fi lamento in una sola direzione fa sì che la sintesi proceda in modo diverso sui due fi lamenti stampo. La Figura 1.6 rappresenta le strutture a forcella che si trovano alle estremità di una bolla di duplicazione. Qui, uno dei filamenti di nuova sintesi (in colore azzurro) può essere assemblato in modo continuo da una DNA polimerasi che si sposta verso il punto di biforcazione del DNA originario. L’allungamento del secondo fi lamento, invece, procede in direzione opposta rispetto alla forcella. Mano a mano che la polimerasi si allontana in direzione 3⬘, però, il tratto non duplicato aumenterebbe, se non fosse al lavoro un’altra polimerasi. Per questo motivo il fi lamento antiparallelo viene sintetizzato un frammento alla volta, via via che la forcella si apre. Questi brevi segmenti di DNA, detti frammenti di Okazaki, vengono poi uniti l’uno all’altro da un altro enzima, detto DNA ligasi, generando un’unica catena di DNA. Il fi lamento sintetizzato in modo continuo ha bisogno di un solo innesco, dopodiché si allunga speditamente, perciò viene chiamato fi lamento veloce. Il fi lamento antiparallelo, invece, procede più lentamente. La primasi, infatti, deve sintetizzare un primer per ogni frammento di Okazaki, poi la sintesi procede fi no al primer del frammento successivo; alla fine i primer devono essere rimossi e gli spazi vuoti vengono riempiti allungando i frammenti adiacenti, che una volta vicini possono essere uniti tra loro dalla ligasi. Per questo motivo, il filamento antiparallelo è detto fi lamento lento. filamento veloce filamento lento filamento lento 2 1 filamento veloce direzioni in cui procede la duplicazione 1 la primasi sintetizza un primer di RNA 3v 5⬘ 5v filamento stampo 3v 2 la DNA polimerasi aggiunge nucleotidi al primer formando un frammento di Okazaki 3v primer di RNA 5v 3 quando raggiunge il primer successivo la DNA polimerasi si stacca 3v 1 5v 3v 5v frammento di Okazaki 3v 1 5v 3v 4 quando è pronto il primer del filamento 2 la DNA polimerasi lo allunga fino al primer del filamento 1 5v 2 3v 3v 5v 1 5 un’altra polimerasi sostituisce i nucleotidi di RNA del primer fino all’inizio del frammento 1 5v 3v 5v 1 2 STEP BY STEP Perché la duplicazione del DNA non procede alla stessa velocità sui due filamenti? 3v 5v 6 la DNA ligasi unisce i frammenti 1 e 2 7 questa regione del filamento lento è completa 3v 1 5v 2 Figura 1.6 La sintesi di un segmento del filamento lento mediante l’unione di due frammenti di Okazaki. C12 direzione in cui procede la duplicazione La biologia molecolare del gene | UNITÀ 1 1.7 Gli errori di duplicazione 1 un dimero di timina distorce la struttura regolare della molecola vengono corretti grazie alla DNA polimerasi e ad altri meccanismi di riparazione La specificità dell’appaiamento delle basi non è sufficiente a garantire la corretta duplicazione del DNA; infatti, in media, un nucleotide su 100 000 non è complementare al fi lamento stampo. In molti casi questo errore viene riconosciuto dalle DNA polimerasi, che compiono una sorta di “correzione di bozze” in corso d’opera: rimuovono velocemente i nucleotidi appaiati in modo errato e li sostituiscono con quelli corretti, prima di procedere. In una piccola percentuale di casi, però, l’appaiamento sbagliato sfugge alla correzione di bozze e, allora, intervengono enzimi specifici, tra cui altre DNA polimerasi e ligasi, che riconoscono i nucleotidi fuori posto e li sostituiscono ( Figura 1.7). L’accuratezza del processo di duplicazione del DNA garantisce che tutte le cellule somatiche di un organismo pluricellulare contengano la stessa informazione genetica e che le istruzioni in essa custodite vengano trasmesse da una generazione alla successiva. Nonostante ciò, la sequenza del DNA può subire modifiche, dovute non solo a errori di duplicazione, ma anche all’azione aggressiva di agenti fi sici (come le radiazioni ad alta energia UV e X) o chimici (per esempio, i composti contenuti nel fumo del tabacco) a cui è continuamente sottoposta. Per questo motivo sono costantemente attivi alcuni sistemi di riparazione del DNA, sotto forma di enzimi che eliminano e sostituiscono i nucleotidi danneggiati prima che possano provocare una 1.8 Le estremità 5ⴕ dei filamenti © Pearson Italia spa di DNA non vengono duplicate Un’altra conseguenza del fatto che le DNA polimerasi sono in grado di aggiungere nucleotidi solo all’estremità 3⬘ di un fi lamento preesistente è che le estremità 5⬘ dei fi lamenti stampo non possono essere duplicate. Anche se una primasi sintetizza un primer che si appaia perfettamente all’estremità 5⬘ di un fi lamento consentendo la sintesi di un frammento di Okazaki, non è possibile sostituire il primer con DNA, una volta che sia stato rimosso, perché non c’è alcuna estremità 3⬘ da cui la DNA polimerasi possa partire. Per questo motivo, i fi lamenti di DNA diventano più corti a ogni ciclo di duplicazione. Ciononostante, l’informazione contenuta nei geni non viene compromessa, grazie alla presenza, a ciascuna estremità della molecola, di un ampio tratto di DNA chiamato telomero. Si tratta di una bre- 2 un enzima detto nucleasi taglia il DNA del filamento non corretto e toglie il frammento da sostituire Figura 1.7 La riparazione di un danno al DNA (in questo caso la formazione di un dimero di timina, spesso causata dalle radiazioni ultraviolette). nucleasi DNA polimerasi 3 la DNA polimerasi sintetizza i nucleotidi mancanti DNA ligasi 4 la ligasi unisce gli estremi del nuovo frammento al resto del filamento mutazione, cioè prima che la cellula si replichi nuovamente e trasmetta, così, l’errore alla generazione successiva. STEP BY STEP Quali saranno le conseguenze per una persona portatrice di una mutazione che riduce la funzionalità di un enzima coinvolto nella riparazione del DNA? ve sequenza, ripetuta moltissime volte, che non codifica per alcun gene, ma ha una funzione non meno importante: a ogni ciclo di duplicazione del DNA, i telomeri diventano un po’ più corti, mentre l’informazione contenuta nei cromosomi resta intatta. Alcune ricerche suggeriscono che l’accorciamento progressivo dei telomeri sia connesso al processo di invecchiamento dei tessuti e, in generale, degli organismi. Per impedire che i telomeri si accorcino troppo passando da una generazione all’altra di individui, nelle cellule della linea germinale è presente un enzima, la telomerasi, che ripristina la lunghezza dei telomeri fi no al valore massimo. STEP BY STEP Che cosa succederà in una coltura cellulare nella quale le cellule presenti non esprimono l’enzima telomerasi? C13 LEZIONE 3 | Il passaggio dell’informazione genetica dal DNA all’RNA alle proteine 1.9 L’informazione genetica Figura 1.9B Crescita di Neurospora crassa in una piastra per colture. codificata dal DNA viene tradotta nella sequenza delle proteine Con le conoscenze che abbiamo acquisito sul DNA, possiamo fornire una definizione più precisa di genotipo e fenotipo di un organismo: il genotipo è l’informazione ereditaria contenuta nel suo DNA; il fenotipo corrisponde, invece, ai suoi tratti specifici. A livello molecolare, il collegamento tra genotipo e fenotipo è rappresentato dalle proteine. Il DNA che un organismo eredita dai genitori, infatti, specifica quali proteine devono essere sintetizzate, e in quale momento. A loro volta, le proteine strutturali ed enzimatiche da cui dipende il fenotipo sono determinate dalla loro sequenza amminoacidica. © Pearson Italia spa Il dogma centrale della biologia molecolare. Un gene non sintetizza direttamente una proteina; il suo compito infatti è quello di fornire le istruzioni sotto forma di RNA, che a sua volta programma la sintesi proteica. Questo concetto fondamentale, che nel 1956 Francis Crick denominò dogma centrale della biologia molecolare, è riassunto nella Figura 1.9A. La serie di istruzioni parte dal DNA contenuto nel nucleo della cellula (in colore viola), procede verso l’RNA e da qui verso la sintesi della proteina nel citoplasma (in colore giallo). Le due fasi principali del processo sono la trascrizione, ovvero il trasferimento dell’informazione genetica dal DNA a una molecola di RNA, e la traduzione, cioè il trasferimento dell’informazione contenuta nell’RNA a una proteina. Nei prossimi paragrafi esamineremo tutti i passaggi di questo flusso di informazioni dal gene alla proteina. La relazione tra geni e proteine fu proposta per la prima volta nel 1909 dal medico inglese Archibald Garrod, convinto che i geni determinassero i fenotipi attraverso l’azione degli enzimi. Garrod si era fatto questa idea studiando le malattie ereditarie e ipotizzando che esse rispecchiassero “errori congeniti del metabolismo”, come l’incapacità di sintetizzare un particolare enzima. Una di queFigura 1.9A Il flusso dell’informazione genetica in una cellula eucariote. DNA trascrizione RNA nucleo citoplasma traduzione proteina ste malattie era l’alcaptonuria, nella quale le urine sono di colore molto scuro per la presenza di una sostanza chiamata alcaptone. Garrod pensava che gli individui sani avessero un enzima in grado di metabolizzare l’alcaptone, mentre quelli malati ne fossero privi; un’ipotesi in anticipo sui tempi, ma che a distanza di decenni si rivelò esatta. Negli anni seguenti, i biochimici accumularono sempre più prove del fatto che, attraverso i processi metabolici, le cellule sintetizzano e demoliscono importanti molecole biologiche, come nel caso della sintesi di un amminoacido o della demolizione di uno zucchero. In una via metabolica ogni passaggio è catalizzato da un enzima specifico; gli individui privi anche solo di uno di questi enzimi non sono in grado di portare a termine il processo. L’ipotesi “un gene-un polipeptide”. Il maggiore contributo nella dimostrazione della relazione tra geni ed enzimi fu il lavoro di George Beadle ed Edward Tatum, negli anni quaranta del Novecento, sulla muffa del pane Neurospora crassa ( Figura 1.9B ). I due scienziati studiarono fi lamenti della muffa incapaci di crescere in un mezzo di coltura semplice. Scoprirono così che ognuno di questi “mutanti nutrizionali”, come li chiamavano, era privo di un enzima necessario a catalizzare la sintesi di un amminoacido indispensabile per la crescita della muffa. Beadle e Tatum dimostrarono inoltre che ogni mutante era privo di un singolo gene e formularono così la loro famosa ipotesi “un gene-un enzima”, secondo cui il compito di un gene è quello di prescrivere la produzione di uno specifico enzima. Questa ipotesi è stata ampiamente confermata, ma con alcune importanti modifiche. Per prima cosa, i biologi l’hanno estesa a tutti i tipi di proteine, ribattezzandola “un gene-una proteina”. Inoltre, molte proteine sono costituite da una o più catene polipeptidiche, ciascuna delle quali risulta codificata da un proprio gene. L’emoglobina, per esempio, che trasporta l’ossigeno nel sangue, è costituita da due tipi di polipeptidi, codificati da due geni diversi. L’ipotesi di Beadle e Tatum, perciò, è diventata “un gene-un polipeptide”. STEP BY STEP A che cosa servono la trascrizione e la traduzione? C14 mp3 tutor DNA to RNA to protein La biologia molecolare del gene | UNITÀ 1 1.10 L’informazione genetica è codificata nel DNA in triplette di nucleotidi, ciascuna delle quali corrisponde a un amminoacido nella proteina corrispondente Come abbiamo visto, i geni forniscono le istruzioni per sintetizzare proteine specifiche; tuttavia, un gene non sintetizza direttamente la proteina. Il DNA viene trascritto nell’RNA, a sua volta tradotto nelle proteine. In altre parole, le cellule sono governate da quella che potremmo definire una “catena di comando molecolare”: DNA → RNA → proteine. © Pearson Italia spa Il linguaggio chimico degli acidi nucleici. Per comprendere con quali modalità l’informazione genetica passa dal genotipo al fenotipo, dobbiamo capire in che modo il linguaggio chimico del DNA viene tradotto nel linguaggio chimico delle proteine. Che cos’è, esattamente, il linguaggio chimico degli acidi nucleici? Tanto il DNA quanto l’RNA sono polimeri costituiti da monomeri nucleotidici. Nel DNA troviamo quattro tipi di nucleotidi, che differiscono tra loro per le basi azotate (A, T, C e G); lo stesso vale per l’RNA, che però contiene l’uracile (U) al posto della timina (T). La Figura 1.10 mostra ingrandita una piccola regione di un gene in una molecola di DNA. Ciascun gene consiste normalmente di centinaia o migliaia di nucleotidi che compaiono in una precisa sequenza lineare, caratterizzata da un inizio e da una fine. Il fi lamento di colore rosa, posto sotto il particolare del DNA ingrandito, rappresenta il risultato della trascrizione di una sequenza di DNA in una sequenza di RNA, utilizzando lo stesso linguaggio degli acidi nucleici. Le basi nucleotidiche della molecola di RNA sono complementari a quelle presenti sul fi lamento del DNA; come vedremo nel paragrafo 1.12, questa caratteristica dipende dal fatto che l’RNA è stato sintetizzato usando il DNA come stampo. La traduzione. La catena di colore viola in basso nella figura rappresenta il risultato della traduzione, ovvero la conversione del linguaggio degli acidi nucleici nel linguaggio dei polipeptidi. Come gli acidi nucleici, anche i polipeptidi sono polimeri, ma i monomeri che li compongono sono i 20 amminoacidi comuni a tutti gli organismi. Anche in questo caso, l’informazione è scritta in una sequenza lineare, e la sequenza nucleotidica della molecola di RNA indica l’esatta sequenza amminoacidica del polipeptide. In questo modo, l’RNA funge da messaggero che trasporta l’informazione genetica proveniente dal DNA. Durante la traduzione avviene dunque un cambiamento di linguaggio, dalla sequenza di nucleoti- di dell’RNA alla sequenza di amminoacidi del polipeptide. Le parentesi graffe sotto la catena di RNA indicano il modo in cui l’informazione genetica è codificata negli acidi nucleici: ognuna racchiude tre nucleotidi dell’RNA, perciò si dice che il codice genetico è scritto e letto a triplette di basi (cioè sequenze di tre basi). Il DNA e l’RNA contengono soltanto quattro tipi diversi di nucleotidi: rispettivamente A, G, C, T e A, G, C, U. Nella traduzione, questi quattro nucleotidi devono in qualche modo specificare 20 amminoacidi. Se ogni base nucleotidica specificasse un amminoacido, potrebbero essere codificati soltanto 4 amminoacidi. Se le basi di un gene venissero lette due alla volta, la coppia AG per esempio potrebbe specificare un amminoacido, mentre AT potrebbe specificarne uno diverso. Ma combinando le quattro basi a coppie, otterremmo soltanto 16 (cioè 42 ) possibili combinazioni, un numero non sufficiente per specificare tutti i 20 amminoacidi che compongono le proteine. Le triplette di basi sono dunque le “parole” più brevi, di lunghezza uniforme, in grado di specificare tutti gli amminoacidi. Supponiamo che nel DNA ogni parola in codice consista di una tripletta e che ogni combinazione di tre basi consecutive codifichi per un amminoacido. Ci sarebbero allora 64 (cioè 43 ) possibili parole in codice, più che sufficienti per specificare i 20 amminoacidi. In realtà, il numero di triplette è tale che a ogni amminoacido può corrisponderne più di una. Per esempio, le triplette AAT e AAC codificano entrambe per lo stesso amminoacido (leucina). Alcuni esperimenti hanno confermato che il flusso di informazioni dal gene alla proteina è effettivamente basato su un codice a triplette: le istruzioni genetiche per la sequenza amminoacidica di una catena polipeptidica sono scritte nel DNA e nell’RNA come una serie di parole di tre lettere (le basi) dette codoni. Come si vede nella Figura 1.10, i codoni del DNA sono trascritti nei codoni complementari dell’RNA, i quali sono poi tradotti negli amminoacidi che formano un polipeptide. Figura 1.10 La trascrizione e la traduzione dei codoni. molecola di DNA gene 1 gene 2 gene 3 STEP BY STEP Una particolare proteina ha una lunghezza pari a 100 amminoacidi. Quanti nucleotidi sono necessari per codificarla? filamento di DNA A A A C C G G C A A A A U U U G G C C G U U U U trascrizione RNA codone traduzione polipeptide amminoacido C15 LEZIONE 3 | Il passaggio dell’informazione genetica dal DNA all’RNA alle proteine filamento da trascrivere 1.11 Il codice genetico è la “stele di Rosetta” della vita Nel 1799 fu rinvenuta a Rosetta, in Egitto, una grande lastra di pietra che riportava lo stesso testo scritto in tre modi diversi: con i geroglifici, in demotico (una scrittura egizia semplificata rispetto ai geroglifici) e in greco antico. Questa scoperta fornì la chiave per decifrare i geroglifici, fi no ad allora rimasti intraducibili. Per decodificare il codice genetico, gli scienziati hanno scritto una loro “stele di Rosetta”. I dati raccolti grazie a una serie di esperimenti hanno infatti permesso di tradurre ciascuna tripletta di nucleotidi nell’amminoacido corrispondente. Il primo codone fu decifrato nel 1961 dal biochimico americano Marshall Nirenberg, che sintetizzò una molecola di RNA artificiale costituita da una sequenza di un solo tipo di nucleotide, avente come base l’uracile. Nirenberg introdusse questo RNA, che esprimeva soltanto un tipo di codone, UUU, in una provetta contenente una miscela di ribosomi e altre sostanze necessarie per la sintesi di un polipeptide. La miscela tradusse il “poliU” in un polipeptide contenente un unico amminoacido, la fenilalanina. Nirenberg quindi ne dedusse che il codone UUU dell’RNA specifica l’amminoacido fenilalanina (Phe). In breve tempo, variando questo metodo, furono individuati gli amminoacidi specificati da tutti gli altri codoni. Le regole del codice genetico. Il codice genetico consiste di una serie di regole che stabiliscono la corrispondenza tra i codoni dell’RNA e gli amminoacidi delle proteine. Come mostra la Figura 1.11A , soltanto 61 dei 64 codoni codificano per amminoacidi. Gli altri 3 codoni (evidenziati in UUU U UUC © Pearson Italia spa prima base azotata UUA C G Leu UAU UCC UAC UCA Ser Tyr G UGU UGC Cys U C UAA stop UGA stop A UCG UAG stop UGG Trp G CUU CCU CAU CGU U CUC CCC CAC CUA A Phe UCU UUG Leu CCA Pro CAA CUG CCG CAG AUU ACU AAU AUC Ile ACC AUA ACA AUG Met o inizio Thr AAC AAA ACG AAG GUU GCU GAU GUC GCC GAC GUA GUG C16 seconda base azotata C A U Val GCA GCG Ala GAA GAG His Gln CGC CGA Arg Lys Asp Glu AGU AGC AGA A G CGG Asn C Ser Arg U C A AGG G GGU U GGC GGA GGG Gly C terza base azotata Figura 1.11A Il dizionario del codice genetico (codoni di RNA). T A C T T C A A A A T A T G A A G T T T A G C DNA T trascrizione A RNA U G A A G U U U U codone di inizio polipeptide Met A G codone di arresto traduzione Lys Phe Figura 1.11B La decodifica dell’informazione genetica contenuta nel DNA. rosso nella figura) non specificano alcun amminoacido, ma sono i codoni di arresto (o di stop) che segnalano la fi ne della traduzione. La tripletta AUG (in verde) ha una doppia funzione: codifica per l’amminoacido metionina (Met) e può anche fornire il segnale che indica l’inizio di una catena polipeptidica. Osservando la Figura 1.11A, si può notare che nel codice genetico c’è ridondanza, ma non ambiguità. Per esempio, sebbene i codoni UUU e UUC specifichino entrambi la fenilalanina (ridondanza), nessuno dei due codifica mai per altri amminoacidi (nessuna ambiguità). Ciascuna tripletta di RNA della figura ha una tripletta complementare sul DNA. I nucleotidi che costituiscono i codoni si trovano sul DNA e sull’RNA in sequenza lineare, senza alcun intervallo o “punteggiatura” che separi un codone dall’altro. Come esercizio di traduzione del codice genetico, consideriamo il segmento di DNA costituito da 12 nucleotidi della Figura 1.11B. Suddividendo la sequenza di nucleotidi in triplette e usando le regole dell’appaiamento delle basi (con U al posto di T nell’RNA), vediamo che il codone TAC del DNA viene trascritto nel corrispondente codone AUG dell’RNA. Come si può vedere nella Figura 1.11A, AUG contiene la seguente informazione: «inserire Met come primo amminoacido nel polipeptide». La seconda tripletta del DNA, TTC, prescrive di posizionare nell’RNA il codone AAG, che codifica per il secondo amminoacido, la lisina (Lys). Il processo può continuare in questo modo finché non viene raggiunto un codone di arresto. Il codice genetico è praticamente universale, in quanto è condiviso da tutti gli organismi, dai più semplici batteri fi no alle piante e agli animali più complessi. Ciò suggerisce che esso si sia evoluto in tempi molto antichi nella storia della vita ed è un’ulteriore testimonianza dell’origine di tutti i viventi da un antenato comune. A STEP BY STEP Qual è la sequenza di amminoacidi G che corrisponde alla sequenza CCAUUUACG di nucleotidi dell’RNA? La biologia molecolare del gene | UNITÀ 1 animazione La trascrizione 1.12 La trascrizione produce messaggi genetici sotto forma di RNA Nelle cellule eucariote, la trascrizione, ovvero il trasferimento dell’informazione genetica dal DNA all’RNA, avviene nel nucleo, mentre nelle cellule procariote si verifica direttamente nel citoplasma. Una molecola di RNA viene trascritta a partire da uno stampo di DNA, attraverso un processo simile a quello che ha luogo durante la duplicazione del DNA (Figura 1.12A). Come nella duplicazione, i due filamenti di DNA devono prima di tutto separarsi nel punto in cui il processo inizia. Nella trascrizione, tuttavia, solo uno dei fi lamenti di DNA serve da stampo per la nuova molecola di RNA. I nucleotidi che la costituiscono si posizionano uno alla volta lungo il fi lamento stampo di DNA, formando legami idrogeno con le sue basi nucleotidiche. I ribonucleotidi dell’RNA seguono la stessa regola di appaiamento delle basi complementari che vige nella duplicazione del DNA, salvo che ad appaiarsi con A è U invece di T. L’enzima di trascrizione RNA polimerasi, rappresentato nella figura dalla sagoma grigia sullo sfondo, provvede quindi a legare tra loro i ribonucleotidi. La Figura 1.12B è uno schema riassuntivo del processo di trascrizione di un intero gene (l’esempio si riferisce, in particolare, al gene di un procariote, perché il processo è leggermente più semplice in questi organismi rispetto agli eucarioti). Lungo il DNA, specifiche sequenze di nucleotidi segnano i punti di inizio e di arresto della trascrizione di ciascun gene. Il segnale di “inizio trascrizione” è una sequenza nucleotidica chiamata promotore. Un promotore è uno specifico sito cui si lega l’RNA polimerasi e indica quale dei due fi lamenti della doppia elica di DNA deve essere usato come stampo nella trascrizione. Nella prima fase delallungamento la trascrizione, chiamata inizio, l’RNA polimerasi si unisce al promotore sul DNA e incomincia la sintesi dell’RNA. Nella seconda fase, l’RNA si allunga; mentre la sintesi prosegue, il fi lamento di RNA si separa dal DNA stampo, i cui fi lamenti possono così appaiarsi nuovamente lungo il tratto già trascritto. Infine, nella terza fase, detta terminazione, l’RNA polimerasi raggiunge una sequenza di basi sul DNA stampo, detta sequenza di terminazione, che segnala la fine del gene. Al termine del processo l’RNA polimerasi si stacca sia dall’RNA sia dal gene, e risulta libera per catalizzare un’altra trascrizione. Oltre a produrre l’RNA che codifica per le sequenze amminoacidiche, la trascrizione determina la sintesi di due altri tipi di RNA coinvolti nell’assemblaggio dei polipeptidi. Nei prossimi tre paragrafi esamineremo nel dettaglio questi tre tipi di RNA. STEP BY STEP Che cos’è un promotore? Qual è la sua funzione? promotore 5v 3v unità di trascrizione RNA polimerasi 1 inizio dopo che l’RNA polimerasi si è legata al promotore, i filamenti di DNA si svolgono e la polimerasi comincia la sintesi dell’RNA a partire dal punto di inizio sul filamento stampo 5v 3v 3v 5v DNA svolto trascritto di RNA C C A T U T G U A A C A U T 5v DNA riavvolto estremità 3v T 5v A G © Pearson Italia spa 3v C A C G C A G T A T filamento stampo del DNA 2 allungamento la polimerasi si muove verso valle, svolgendo la molecola di DNA e allungando il trascritto di RNA in direzione 5v¡3v; sulla scia della trascrizione, i filamenti di DNA riformano la doppia elica RNA polimerasi T 3v 5v DNA punto di inizio filamento del DNA che non funge da stampo nucleotidi dell’RNA A Figura 1.12B La trascrizione di un gene (in questo caso di un procariote). 5v 3v 3v 5v 3v 5v C C trascritto di RNA A direzione della trascrizione (“a valle”) filamento stampo del DNA RNA di nuova sintesi Figura 1.12A Una rappresentazione schematica del processo di trascrizione. 3 terminazione alla fine, il trascritto di RNA viene liberato e la polimerasi si stacca dal DNA 5v 3v 3v 5v 5v trascritto di RNA completato 3v C17 LEZIONE 3 | Il passaggio dell’informazione genetica dal DNA all’RNA alle proteine 1.13 Prima di uscire dal nucleo della cellula eucariote l’RNA messaggero viene modificato Figura 1.13 La costruzione dell’mRNA in una cellula eucariote. L’RNA che codifica per le sequenze di amminoacidi delle proteine è chiamato RNA messaggero (mRNA), perché trasmette l’informazione genetica dal DNA al dispositivo di traduzione della cellula. L’RNA messaggero viene trascritto a partire dal DNA stampo e il suo messaggio viene poi tradotto, nel citoplasma, in catene polipeptidiche. Nelle cellule procariote, che sono prive di nucleo, trascrizione e traduzione avvengono entrambe nel citoplasma. Nelle cellule eucariote, invece, le molecole di mRNA necessarie per la traduzione devono uscire dal nucleo attraverso i pori nucleari e trasferirsi nel citoplasma, dove è situato l’apparato per la biosintesi dei polipeptidi. Negli eucarioti, prima di lasciare il nucleo, gli mRNA vengono modificati, o elaborati, in vario modo. Un tipo di elaborazione consiste nell’aggiunta di un breve “cappuccio” a un’estremità, formato da un unico nucleotide G, e di una lunga coda all’altra estremità, che contiene da 50 a 250 nucleotidi di adenina ( Figura 1.13). Il cappucesone introne esone introne esone DNA cappuccio trascritto di RNA con cappuccio e coda trascrizione aggiunta del cappuccio e della coda rimozione degli introni coda splicing degli esoni animazione Le funzioni dell’RNA cio e la coda non vengono tradotti in una sequenza amminoacidica, ma facilitano l’esportazione dell’mRNA dal nucleo, lo proteggono dall’attacco degli enzimi cellulari e promuovono il suo legame con i ribosomi. Lo splicing dell’RNA. Gli eucarioti necessitano anche di un altro tipo di elaborazione dell’RNA perché, nella maggior parte dei geni, la sequenza di DNA che codifica per i polipeptidi non è continua. Nelle piante e negli animali i geni includono di solito regioni interne non codificanti, chiamate introni. Le regioni codificanti, ossia le parti del gene che saranno poi espresse come amminoacidi, sono chiamate invece esoni. Come mostra la Figura 1.13, all’atto della trascrizione sia gli esoni (in colore più scuro) sia gli introni (in colore più chiaro) sono copiati dal DNA nell’RNA. Tuttavia, prima che l’RNA lasci il nucleo, gli introni sono rimossi mentre gli esoni si uniscono producendo una molecola di mRNA con una sequenza codificante continua. (Le brevi regioni non codificanti adiacenti al cappuccio e alla coda sono considerate rispettivamente parti del primo e dell’ultimo esone.) Questo processo di “taglia e cuci” è detto splicing. Nella maggior parte dei casi, lo splicing dell’RNA è catalizzato da un complesso di proteine e di piccole molecole di RNA, ma a volte sono gli stessi trascritti di RNA a catalizzare il processo. In altre parole, l’RNA può in alcuni casi funzionare come un enzima che rimuove i propri introni. Nella prossima unità vedremo che lo splicing dell’RNA rappresenta anche un modo per produrre polipeptidi diversi a partire da un unico gene. La sintesi dei polipeptidi prosegue a questo punto con il processo di traduzione, che coinvolge un apparato molto più complicato rispetto alla trascrizione e costituito da vari componenti: mRNA 䊏 sequenza codificante nucleo 䊏 䊏 䊏 citoplasma l’RNA di trasporto (tRNA), un altro tipo di molecola di RNA; i ribosomi, gli organuli nei quali avviene la traduzione; enzimi e altri fattori proteici; fonti di energia chimica, come l’ATP. STEP BY STEP Perché molti geni degli eucarioti © Pearson Italia spa sono più lunghi del trascritto di mRNA che esce dal nucleo? 1.14 Le molecole di RNA di trasporto agiscono da interpreti durante la traduzione La traduzione di un messaggio da una lingua all’altra richiede un interprete, ossia qualcuno in grado di riconoscere le parole di una lingua e convertirle in quelle di un’altra. Anche la tra- C18 duzione del messaggio contenuto nell’mRNA dal linguaggio dei nucleotidi a quello degli amminoacidi richiede un “interprete molecolare”, uno speciale tipo di RNA chiamato RNA di trasporto ( tRNA) che converte le parole di tre lettere (i codoni) degli acidi nucleici nelle parole di una sola lettera (gli amminoacidi) delle proteine. La biologia molecolare del gene | UNITÀ 1 sito di legame per l’amminoacido legame idrogeno catena polinucleotidica di RNA anticodone Figura 1.14A La struttura del tRNA. Nel citoplasma di una cellula pronta a eseguire la traduzione è presente una fornitura completa di amminoacidi, ricavati dal cibo o prodotti a partire da altre sostanze chimiche. Gli amminoacidi, però, non sono in grado di riconoscere da soli i codoni lungo l’RNA messaggero. È dunque compito degli interpreti molecolari della cellula, le molecole di tRNA, abbinare gli amminoacidi giusti ai rispettivi codoni, così da sintetizzare il nuovo polipeptide. Per svolgere questo compito, le molecole di tRNA devono: 1. unirsi ai giusti amminoacidi, tra quelli presenti nel citoplasma; 2. riconoscere sull’mRNA i codoni corrispondenti a ciascun amminoacido. © Pearson Italia spa La particolare struttura delle molecole di tRNA permette loro di svolgere entrambe le funzioni. La struttura del tRNA. Come mostra la Figura 1.14A , una molecola di tRNA è formata da un singolo fi lamento di RNA (una catena polinucleotidica) che consiste di circa 80 nucleotidi. Avvolgendosi e ripiegandosi su se stesso, il tRNA forma alcune regioni a doppio fi lamento, nelle quali brevi segmenti di RNA appaiano le proprie basi azotate a quelle complementari di un altro segmento. A un’estremità ripiegata della molecola, un’ansa a singolo fi lamento contiene una tripletta di cruciale importanza, chiamata anticodone. Ogni anticodone del tRNA è infatti complementare a un particolare codone dell’mRNA, al quale si appaia durante la traduzione. All’altra estremità della molecola di tRNA si trova invece il sito di legame per l’amminoacido. Nei prossimi paragrafi, in cui approfondiremo il processo della traduzione, rappresenteremo il tRNA con la forma semplificata mostrata nella Figura 1.14A a destra. Questo simbolo mette in evidenza le due parti fondamentali della molecola di tRNA, l’anticodone e il sito di legame per l’amminoacido, che consentono di associare uno specifico codone dell’acido nucleico a un particolare amminoacido della proteina in formazione. Sebbene tutte le molecole di tRNA siano simili, ogni amminoacido ha il proprio tRNA, leggermente diverso dagli altri, al quale si lega grazie a un enzima specifico. Questo legame mediato dall’enzima richiede una molecola di ATP come fonte di energia. Il complesso amminoacido-tRNA che ne risulta può quindi aggiungere il proprio amminoacido alla catena polipeptidica in via di formazione, attraverso un processo che descriveremo nel prossimo paragrafo. L’immagine al computer della Figura 1.14B mostra una molecola di tRNA (in rosso e in giallo) e una molecola di ATP (in viola) legate all’enzima (in blu). Notate le diverse proporzioni di queste tre molecole; l’amminoacido che dovrebbe attaccarsi al tRNA non è illustrato, ma le sue dimensioni sarebbero inferiori alla metà di quelle dell’ATP. Figura 1.14B Una molecola di tRNA legata a una molecola enzimatica (in blu). STEP BY STEP Che cos’è un anticodone e qual è la sua funzione? C19 LEZIONE 3 | Il passaggio dell’informazione genetica dal DNA all’RNA alle proteine 1.15 I ribosomi assemblano i polipeptidi NN FLASH BACK Rivedi le strutture e le funzioni della cellula. Figura 1.15 A La vera forma di un ribosoma in funzione. B I siti di legame di un ribosoma. C Un ribosoma con i siti di legame occupati. Per tradurre l’informazione genetica, la cellula utilizza diversi tipi di molecole: l’mRNA (che trasporta le istruzioni contenute nel DNA), il tRNA (che interpreta le istruzioni), gli amminoacidi (presenti nel citoplasma), vari enzimi (per legare gli amminoacidi al tRNA) e l’ATP (che fornisce energia). Per completare il processo occorrono i ribosomi, organuli situati nel citoplasma che coordinano il funzionamento di mRNA e tRNA ed eseguono materialmente l’assemblaggio dei polipeptidi. Un ribosoma consiste di due subunità, ciascuna formata da proteine e da un tipo di RNA detto RNA ribosomiale (rRNA). La Figura 1.15A mostra la forma e la grandezza relativa delle subunità ribosomiali, nonché la posizione relativa dell’mRNA, del tRNA e del polipeptide in formazione durante la traduzione. molecole di tRNA polipeptide in formazione A subunità maggiore flash back Viaggio all’interno della cellula I ribosomi sono componenti cellulari di tutti gli organismi, ma, mentre nelle cellule procariote si trovano soltanto liberi nel citoplasma, in quelle eucariote possono essere anche legati al reticolo endoplasmatico ruvido. Gli schemi delle Figure 1.15B e 1.15C mostrano come gli anticodoni del tRNA e i codoni dell’mRNA si legano ai ribosomi, ciascuno dei quali ha un sito di legame per l’mRNA e due siti di legame per il tRNA (Figura 1.15B). Nella Figura 1.15C vediamo invece come le molecole di tRNA occupano questi due siti: le subunità del ribosoma agiscono come una morsa, tenendo vicine le molecole di tRNA e di mRNA e permettendo quindi agli amminoacidi legati alle molecole di tRNA di unirsi e formare una catena polipeptidica. Nei prossimi due paragrafi esamineremo da vicino i singoli passaggi della traduzione. STEP BY STEP Qual è il compito del ribosoma durante la sintesi proteica? B amminoacido seguente da aggiungere al polipeptide C siti di legame per il tRNA polipeptide in formazione subunità maggiore sito di legame per l’mRNA subunità minore mRNA subunità minore 1.16 L’inizio del messaggio portato dall’mRNA è indicato da uno speciale codone © Pearson Italia spa Come la trascrizione, anche il processo di traduzione può essere diviso in tre fasi: inizio, allungamento e terminazione. Nella fase di inizio, l’mRNA inizio del messaggio genetico fine Figura 1.16A Una molecola di mRNA. C20 tRNA mRNA codoni entra in contatto con un tRNA che porta il primo amminoacido e avviene l’attacco delle due subunità del ribosoma. La molecola di mRNA trascritta a partire dal DNA stampo è più lunga rispetto al messaggio genetico che contiene ( Figura 1.16A ). Le sequenze di nucleotidi poste a entrambe le estremità della molecola (in rosa chiaro nella figura) non fanno parte del messaggio, ma facilitano il legame dell’mRNA con il risoboma. Il processo di inizio ha quindi la funzione di stabilire esattamente il punto di inizio della traduzione, verificando che i codoni dell’mRNA siano tradotti nella corretta sequenza di amminoacidi. La fase di inizio avviene in due tappe ( Figura 1.16B ). Una molecola di mRNA si unisce alla subunità ribosomiale più piccola, mentre uno speciale tRNA di partenza si lega al codone di inizio AUG, a livello del quale incomincia la traduzione dell’mRNA. Il tRNA di partenza possiede l’anticodone UAC, complementare al codone di inizio attività La traduzione La biologia molecolare del gene | UNITÀ 1 animazione La traduzione Met Met subunità maggiore del ribosoma tRNA di partenza sito P UA C AUG sito A UA C AUG codone di inizio mRNA subunità minore del ribosoma AUG, e trasporta l’amminoacido metionina (Met). A questo punto, la subunità ribosomiale più grande si unisce a quella più piccola, formando un ribosoma funzionale. Il tRNA di partenza si colloca in uno dei due siti di legame per il tRNA (detto sito P, cioè sito peptidico), a cui in seguito sarà ancorato il polipeptide nascente. L’altro sito del ri- bosoma, chiamato sito A (sito amminoacidico), ancora vuoto, è pronto per accogliere il successivo tRNA, legato all’amminoacido corrispondente. Figura 1.16B L’inizio della traduzione. STEP BY STEP Che cosa può accadere se, per un errore, il codone di inizio viene sostituito da un altro codone? 1.17 Nella fase di allungamento amminoacido la catena polipeptidica si accresce finché il codone di arresto termina la traduzione polipeptide sito P sito A anticodone © Pearson Italia spa Una volta completata la fase di inizio, nuovi amminoacidi sono aggiunti al primo amminoacido della sequenza, uno alla volta, secondo un processo di allungamento che si svolge in tre tappe ( Figura 1.17). 1. Riconoscimento del codone. L’anticodone di una molecola di tRNA, unita all’amminoacido corrispondente, si appaia con il codone dell’mRNA nel sito A del ribosoma. 2. Formazione del legame peptidico. Il polipeptide si separa dal tRNA al quale era legato (nel sito P) e si attacca, mediante un legame peptidico, all’amminoacido trasportato dal tRNA nel sito A. Un ribosoma catalizza la formazione del legame. In questo modo un altro amminoacido si è aggiunto alla catena. 3. Traslocazione. Il tRNA del sito P lascia il ribosoma e il tRNA che si trovava nel sito A viene spostato, insieme al polipeptide, dal sito A al sito P. Codone e anticodone rimangono legati, l’mRNA e il tRNA si muovono insieme. Questo movimento porta nel sito A il successivo codone di mRNA da tradurre, e il processo può quindi ricominciare dalla tappa 1. L’allungamento continua finché nel sito A del ribosoma giunge un codone di arresto (UAA, UAG o UGA) che interrompe la traduzione. Questa è la fase di terminazione della traduzione: il polipeptide completo si stacca dall’ultimo tRNA e abbandona il ribosoma, le cui subunità si separano di nuovo. mRNA codoni 1 riconoscimento del codone spostamento dell’mRNA codone di arresto 2 formazione del legame peptidico 3 traslocazione nuovo legame peptidico Figura 1.17 L’allungamento del polipeptide. STEP BY STEP Che cosa accade al tRNA nel sito A e nel sito P del ribosoma durante la fase di allungamento? C21 LEZIONE 3 | Il passaggio dell’informazione genetica dal DNA all’RNA alle proteine DNA 1.18 In sintesi: il flusso trascrizione mRNA RNA polimerasi amminoacido dell’informazione genetica procede dal DNA all’RNA e dall’RNA alle proteine 1 l’mRNA è trascritto a partire da un DNA stampo 2 ogni amminoacido si lega al rispettivo tRNA grazie all’aiuto di uno specifico enzima e dell’ATP traduzione enzima ATP tRNA anticodone subunità maggiore del ribosoma tRNA di partenza UA C AUG mRNA codone di inizio subunità minore del ribosoma 3 inizio della sintesi polipeptidica l’mRNA, il primo tRNA e le subunità ribosomiali si uniscono si forma un nuovo legame peptidico polipeptide in formazione codoni © Pearson Italia spa mRNA 4 allungamento molecole di tRNA aggiungono in successione gli amminoacidi alla catena polipeptidica mentre l’mRNA si sposta lungo il ribosoma, un codone alla volta La Figura 1.18 riassume i principali passaggi del flusso di informazione genetica dal DNA all’RNA alle proteine. Tappa 1 Nella trascrizione (DNA → RNA), l’RNA è sintetizzato a partire da un DNA stampo. Nelle cellule eucariote, la trascrizione ha luogo nel nucleo e quindi l’RNA messaggero deve spostarsi da questa sede al citoplasma. Tappe 2 - 5 La traduzione (RNA → proteine) può essere suddivisa in quattro tappe, che avvengono tutte nel citoplasma. Alla fi ne dell’ultima tappa, quando il polipeptide è completo, le due subunità del ribosoma si separano, liberando il tRNA e l’mRNA (questo passaggio non è mostrato nella figura). La traduzione avviene rapidamente; un singolo risoboma può sintetizzare un polipeptide di medie dimensioni in meno di un minuto. Di solito, una molecola di mRNA viene tradotta simultaneamente da più ribosomi. Quando il codone di inizio esce dal primo ribosoma, vi si può attaccare un secondo ribosoma; in tal modo, lungo la stessa molecola di mRNA possono inserirsi diversi ribosomi (che formano nel complesso un poliribosoma). Ogni polipeptide, poi, si avvolge e si ripiega assumendo una configurazione tridimensionale che costituisce la sua struttura terziaria e che dipende dalla sequenza degli amminoacidi; se si uniscono diversi polipeptidi, la proteina assume anche una caratteristica struttura quaternaria. Al termine della sintesi, una sequenza specifica di amminoacidi della proteina, detta sequenza segnale, indica la sua destinazione, che può essere uno degli organuli cellulari oppure il reticolo endoplasmico, dove viene modificata. In generale, attraverso la trascrizione e la traduzione i geni controllano le strutture e le attività cellulari o, per dirla in breve, il genotipo specifica il fenotipo. L’informazione contenuta nei geni, infatti, si traduce in polipeptidi con la mediazione dell’RNA. Le proteine che si formano a partire dai polipeptidi, alla fine, determinano l’aspetto e le proprietà delle cellule e quindi dell’intero organismo. STEP BY STEP Quale tra le molecole e le strutture polipeptide codone di arresto C22 5 terminazione il ribosoma riconosce un codone di arresto; il polipeptide è terminato e viene liberato elencate sotto non partecipa direttamente alla traduzione? ribosomi • tRNA • mRNA • DNA • ATP • enzimi Figura 1.18 I processi di trascrizione e traduzione in una cellula eucariote.