1
La struttura del materiale genetico
1.1
Alcuni esperimenti hanno dimostrato
che il DNA è il materiale depositario
dell’informazione genetica
1.2
DNA e RNA sono polimeri di nucleotidi
1.3
Il DNA ha la struttura di un’elica
a doppio filamento
2
La duplicazione del DNA
1.4
La duplicazione del DNA dipende dallo specifico
appaiamento delle basi azotate
1.5
La duplicazione del DNA ha inizio
simultaneamente in molti punti e procede
grazie alla DNA polimerasi
3
La duplicazione del DNA procede in modo
discontinuo sul filamento antiparallelo
1.7
Gli errori di duplicazione vengono corretti
grazie alla DNA polimerasi e ad altri
meccanismi di riparazione
1.8
Le estremità 5⬘ dei filamenti di DNA
non vengono duplicate
1.9
L’informazione genetica codificata dal DNA
viene tradotta nella sequenza delle proteine
1.10
L’informazione genetica è codificata nel DNA
in triplette di nucleotidi, ciascuna delle quali
corrisponde a un amminoacido nella proteina
corrispondente
1.11
Il codice genetico è la “stele di Rosetta” della vita
1.12
La trascrizione produce messaggi genetici
sotto forma di RNA
1.13
Prima di uscire dal nucleo della cellula
eucariote l’RNA messaggero viene modificato
1.14
Le molecole di RNA di trasporto agiscono
da interpreti durante la traduzione
1.15
I ribosomi assemblano i polipeptidi
1.16
L’inizio del messaggio portato dall’mRNA
è indicato da uno speciale codone
1.17
Nella fase di allungamento la catena
polipeptidica si accresce finché il codone
di arresto termina la traduzione
1.18
In sintesi: il flusso dell’informazione
genetica procede dal DNA all’RNA
e dall’RNA alle proteine
1.19
Le mutazioni possono modificare
il significato dei geni
La genetica dei virus e dei batteri
1.20 Il DNA virale può diventare parte
del cromosoma dell’ospite
© Pearson Italia spa
1
La biologia molecolare
del gene
Il passaggio dell’informazione genetica
dal DNA all’RNA alle proteine
1.6
4
| LA BIOLOGIA MOLECOLARE E L’EVOLUZIONE
UNITÀ
PARTE C
salute Un’armata invisibile
1.21
evoluzione La salute delle popolazioni
umane è minacciata dalla comparsa
di nuovi virus
1.22
Il virus dell’AIDS sintetizza il DNA
utilizzando l’RNA come stampo
1.23
Viroidi e prioni sono agenti patogeni diffusi
nelle piante e negli animali
1.24
I batteri possono ricombinare i propri geni
in tre modi
1.25
I plasmidi batterici possono essere impiegati
per trasferire i geni
Prova di competenza
A scuola dai virus
Perché, per studiare
il funzionameno del DNA
a livello molecolare, i virus
sono stati preferiti ad altri
modelli come le drosofile
di Morgan?
Obiettivi
m conoscere la struttura delle molecole
del DNA e dell’RNA
m comprendere il meccanismo di duplicazione
del DNA
m comprendere come viene decodificata
l’informazione genetica contenuta nel DNA
m conoscere le funzioni dei diversi tipi di RNA
m comprendere come avviene la sintesi
delle proteine all’interno delle cellule
m conoscere i meccanismi con cui i virus
infettano le cellule
C3
LEZIONE
1
La struttura del materiale genetico
1.1 Alcuni esperimenti hanno
dimostrato che il DNA è il materiale
depositario dell’informazione
genetica
Figura 1.1A
L’esperimento
di Griffith.
© Pearson Italia spa
batteri patogeni
vivi
All’inizio del XX secolo l’identità precisa del materiale ereditario era ancora sconosciuta. I biologi
sapevano che i portatori dell’informazione ereditaria erano i cromosomi; il materiale genetico, di
conseguenza, doveva trovarsi in uno dei due componenti chimici dei cromosomi: nel DNA, oppure nelle proteine. Fino agli anni quaranta, la maggior parte degli studiosi propendeva per la seconda
ipotesi, dal momento che le proteine apparivano
più complesse dal punto di vista della struttura e
più specifiche nella funzione rispetto al DNA. I
peptidi, infatti, sono formati da 20 diversi amminoacidi, mentre il DNA è composto soltanto da
4 tipi di nucleotidi. Furono alcuni fondamentali
esperimenti condotti sui batteri e sui virus a svelare, alla fi ne, il ruolo del DNA nella trasmissione ereditaria.
I primi indizi del ruolo del DNA come depositario dell’informazione genetica risalgono al 1928.
Il biologo inglese Frederick Griffith stava studiando due ceppi di un batterio: uno era innocuo, l’altro provocava la polmonite nei topi. Griffith scoprì
che, quando mescolava batteri patogeni precedentemente uccisi con altri batteri innocui ma vivi,
alcuni di questi ultimi si trasformavano nella for-
batteri innocui
vivi
batteri patogeni
uccisi dal calore
il topo vive
il topo vive
batteri patogeni
uccisi dal calore
mescolati a batteri
innocui vivi
RISULTATI
il topo muore
il topo muore
i campioni di sangue
contengono batteri
patogeni vivi in grado
di riprodursi, dando origine
a nuovi batteri patogeni
C4
attività
L’esperimento
di Hershey e Chase
ma patogena in grado di causare la malattia ( Figututti i discendenti dei batteri modificati,
inoltre, ereditavano la capacità di indurre la malattia. Era chiaro che alcuni componenti chimici
presenti nei batteri morti dovevano agire da “fattore trasformante”, dando luogo a un cambiamento che poteva essere trasmesso ai discendenti.
Nel 1952 i biologi americani Alfred Hershey
e Martha Chase svolsero una serie di esperimenti molto convincenti dimostrando che proprio il
DNA è il materiale genetico di un virus denominato T2, che infetta il batterio Escherichia coli (E.
coli). I virus batterici sono chiamati batteriofagi o, più sinteticamente, fagi (dal greco phageîn
“mangiare”). Il fago T2 è costituito da una testa
formata da un rivestimento proteico, che racchiude DNA, e collegata a una coda cava, dalla quale
si dipartono sei fibre articolate, capaci di attaccarsi
alla superficie di un batterio sensibile. Hershey e
Chase avevano capito che il fago T2 era in grado
di riprogrammare la cellula ospite inducendola così
a produrre nuovi fagi, ma all’inizio non sapevano
quale componente, se il DNA o le proteine, venisse trasferita per svolgere questo compito.
I due biologi riuscirono a trovare la risposta
ideando un esperimento che utilizzava materiali
relativamente semplici: sostanze chimiche marcate con isotopi radioattivi (che agiscono da traccianti e possono essere monitorate in laboratorio
nei loro spostamenti), un rilevatore di radioattività, un frullatore da cucina e una centrifuga (uno
strumento grazie al quale si possono separare particelle di peso differente presenti in una sospensione).
Hershey e Chase usarono isotopi radioattivi diversi per marcare il DNA e le proteine del fago
T2. Per cominciare, allevarono il fago e le cellule di E. coli in una soluzione contenente zolfo radioattivo (in giallo nella Figura 1.1B ). Dato che le
proteine contengono zolfo, a differenza del DNA,
gli atomi di zolfo radioattivo potevano essere incorporati soltanto nelle proteine dei fagi di nuova
formazione. I ricercatori coltivarono poi un altro
gruppo di fagi in una soluzione contenente fosforo radioattivo (in verde nella figura). Poiché quasi
tutto il fosforo del fago si trova nel suo DNA, soltanto il DNA dei fagi coltivati in questa soluzione
risultava marcato.
ra 1.1A );
L’esperimento di Hershey e Chase. Una volta ottenuti i due ceppi di T2 marcati, Hershey e
Chase condussero l’esperimento descritto nella Figura 1.1B.
1. I due studiosi fecero infettare dai due gruppi
di virus, marcati diversamente, due differenti
gruppi di batteri;
attività
Phage T2
reproductive cycle
inquiry
Can a genetic trait be transferred
between different bacterial strains?
2. frullarono quindi le due colture in modo da
staccare meccanicamente le parti dei fagi rimaste fuori dalle cellule batteriche;
3. centrifugarono i campioni ottenuti in modo da
separare le cellule batteriche (più pesanti e accumulate sul fondo della provetta) dai fagi e dai
loro frammenti, più leggeri, che rimanevano in
sospensione nel liquido;
4. misurarono infine la radioattività nel precipitato
e nel liquido sovrastante.
Grazie a questo esperimento, Hershey e Chase
scoprirono che, quando i batteri erano infettati
dai fagi T2 con proteine marcate, la radioattività
si misurava principalmente nel liquido sovrastante, contenente fagi ma non batteri. Da questo risultato si poteva dedurre che le proteine del fago
non erano entrate nelle cellule batteriche. Quando
i batteri erano infettati dai fagi con DNA marcato,
al contrario, la maggior parte della radioattività si
trovava nel precipitato batterico. Se questi batteri venivano nuovamente inseriti in una coltura, le
loro cellule andavano rapidamente incontro a lisi
e liberavano nuovi fagi contenenti DNA con fo-
fago
La biologia molecolare del gene | UNITÀ 1
sforo radioattivo, ma privi di zolfo radioattivo nelle proteine.
I due ricercatori conclusero quindi che il fago
T2 inietta il proprio DNA nella cellula ospite, lasciando all’esterno tutte le sue proteine. Essi dimostrarono, inoltre, che erano proprio le molecole di
DNA iniettate a indurre un’ulteriore produzione
di DNA e proteine virali (in modo da generare
fagi completi). Tutte le istruzioni necessarie per
produrre nuovi fagi dovevano dunque essere contenute nel DNA. I risultati di Hershey e Chase,
insieme a dati ottenuti dalle ricerche precedenti,
convinsero la maggior parte degli scienziati che il
materiale ereditario è costituito da DNA. Questo esperimento, di fatto, ha dato il via alla grande
avventura scientifica che ha svelato la struttura del
DNA e il suo ruolo nell’archiviare e nel trasmettere l’informazione genetica da una generazione
all’altra.
STEP BY STEP Che cosa convinse Hershey e Chase
del fatto che il materiale genetico del fago T2
è rappresentato dal DNA e non dalle proteine?
proteine
radioattive
batterio
Figura 1.1B
L’esperimento
di Hershey e Chase.
involucro
proteico vuoto
radioattività
nel liquido
DNA
del fago
DNA
ceppo 1
proteine
radioattive
passaggio nella centrifuga
precipitato
© Pearson Italia spa
1 i fagi radioattivi vengono
mescolati con i batteri;
i fagi infettano le cellule
batteriche
2 i fagi che si trovano
all’esterno dei batteri
vengono separati dalle
cellule e dal loro contenuto
usando un frullatore
3 la miscela viene
centrifugata; i batteri
formano un precipitato
sul fondo della provetta
4 si misura la radioattività
nel precipitato e nel liquido
sovrastante
DNA radioattivo
ceppo 2
DNA radioattivo
passaggio nella centrifuga
precipitato
radioattività
nel precipitato
C5
LEZIONE
1 | La struttura del materiale genetico
1.2 DNA e RNA sono polimeri
di nucleotidi
Quando Hershey e Chase svolsero i loro esperimenti, si sapeva già molto sul DNA: gli scienziati
avevano identificato le molecole che lo costituivano e i legami covalenti che le univano. Non era
però ancora nota la configurazione tridimensionale del DNA, quella da cui dipendono le proprietà uniche di questa macromolecola: la capacità di
archiviare l’informazione genetica, di copiarla e
di trasmetterla da una generazione all’altra. Dopo un solo anno dalla pubblicazione dei risultati
di Hershey e Chase, altri studiosi riuscirono a ricostruire la struttura tridimensionale del DNA e
a spiegarne il funzionamento. Prima di esaminare
questa nuova scoperta (cui è dedicato il paragrafo
1.3), è utile rivedere la struttura chimica del DNA
e dell’RNA.
Figura 1.2A
La struttura
di un polinucleotide
di DNA.
La struttura degli acidi nucleici. Il DNA e
l’RNA sono acidi nucleici costituiti da lunghe
catene (o polimeri) di unità chimiche (monomeri) ripetute e legate tra loro, dette nucleotidi.
Nella parte sinistra della Figura 1.2A è rappresentato un semplice schema di questo polimero, detto anche polinucleotide. Al centro della figura
si può osservare che ogni nucleotide include tre
componenti: una base azotata (l’elemento più a
destra indicato con colori diversi), uno zucchero (in azzurro) e un gruppo fosfato (in giallo). Il
DNA è costituito da quattro diversi tipi di nucleotidi che differiscono tra loro solo per la base
azotata: adenina (A), citosina (C), timina (T) o
guanina (G).
I nucleotidi sono uniti da legami covalenti che
si formano tra lo zucchero di un nucleotide e il
gruppo fosfato del nucleotide successivo. La struttura risultante da questa disposizione, detta scheletro zucchero-fosfato, si ripete per tutta la lunghezza del polinucleotide; all’esterno di questo
scheletro sporgono le basi azotate. In un filamento
di acido nucleico, la posizione occupata dai singoli
nucleotidi è variabile, così come la lunghezza delle
catene polinucleotidiche. Le diverse combinazioni
dei quattro nucleotidi sono all’origine del grandissimo numero di polinucleotidi.
Se scendiamo ancor più nel dettaglio ed esaminiamo un singolo nucleotide di DNA (a destra nella Figura 1.2A), possiamo notare la particolare struttura chimica dei suoi tre componenti.
Il gruppo fosfato ha un atomo di fosforo (P)
al centro e determina il carattere acido di questi
polimeri. Lo zucchero ha cinque atomi di carbonio (evidenziati in rosso), quattro nell’anello
e uno posizionato esternamente rispetto al piano
dell’anello; al vertice della struttura si trova un
atomo di ossigeno. Nel DNA lo zucchero è chia-
scheletro zucchero-fosfato
gruppo fosfato
A
base azotata
A
zucchero
la posizione degli atomi di carbonio
nello zucchero del nucleotide è indicata
da numeri con apice; in posizione 2⬘
il desossiribosio del DNA ha un atomo di H
base azotata
(A, G, C, o T)
C
C
O
nucleotide di DNA
C
H 3C
N
C
H
O
T
T
O
P
O
5⬘
CH2
© Pearson Italia spa
G
G
C
N
O
timina (T)
O–
gruppo fosfato
C
H
O
4⬘ C H
H C
3⬘
O
H C 1⬘
C H
2⬘
H
zucchero
(desossiribosio)
T
T
nucleotide di DNA
polinucleotide di DNA
C6
La biologia molecolare del gene | UNITÀ 1
H
O
H3C
H
C
C
C
H
N
N
C
H
H
C
H
O
N
C
C
H
N
N
N
C
H
H
timina (T)
citosina (C)
H
O
pirimidine
N
C
N
N
C
N
O
C
C
N
Figura 1.2B Le basi
azotate del DNA.
H
C
H
C
N
H
H
C
C
C
N
N
C
H
adenina (A)
H
N
H
H
guanina (G)
purine
mato desossiribosio perché, rispetto allo zucchero ribosio dell’RNA, ha un atomo di ossigeno in
meno (nella figura, l’atomo di C in basso a destra
è legato a un atomo di H, invece che a un gruppo —OH, come nel ribosio; vedi Figura 1.2C).
Il nome per esteso del DNA è, dunque, acido
desossiribonucleico, dove il termine “nucleico” ricorda la localizzazione del DNA nel nucleo
delle cellule eucariote. La base azotata (nel nostro esempio una timina) ha un anello costituito
da atomi di azoto e carbonio, cui sono uniti vari
gruppi funzionali.
A differenza del gruppo fosfato, che è acido, le
basi azotate, come indica il nome, sono sostanze
basiche. La loro struttura chimica è illustrata nella
Figura 1.2B ed è riconducibile a due modelli: la timina (T) e la citosina (C ) sono strutture ad anello singolo, chiamate pirimidine ; l’adenina (A) e
la guanina (G ) sono strutture più grandi, con un
doppio anello, chiamate purine. (Notate che le
stesse abbreviazioni possono essere usate per indicare le singole basi oppure i nucleotidi che le contengono; è la base azotata, infatti, l’unico elemento
distintivo dei nucleotidi.)
Le differenze tra RNA e DNA. Come indicato
dal nome, l’acido ribonucleico (o RNA) è costituito dallo zucchero ribosio ( Figura 1.2C ) che,
abbiamo visto, contiene un atomo di ossigeno in
più rispetto al desossiribosio. Un’altra differenza
tra RNA e DNA è data dalla presenza nell’RNA,
al posto della timina, di una base azotata chiamata uracile ( U ), che ha una struttura molto simile
a quella della timina. La Figura 1.2D è una rappresentazione al computer di un segmento di RNA
lungo circa 20 nucleotidi. Gli atomi di fosforo,
colorati di giallo, al centro dei gruppi fosfato facilitano l’identificazione dello scheletro zucchero-fosfato.
STEP BY STEP Quali sono le analogie e le differenze
tra la struttura del DNA e quella dell’RNA?
Figura 1.2D Parte
di un polinucleotide
di RNA.
a differenza del DNA, la molecola
di RNA è, di solito, un singolo
filamento a forma di elica
uracile
adenina
citosina
guanina
© Pearson Italia spa
base azotata
(A, G, C, o U)
O
H
O–
O
P
O
5⬘
CH2
O–
gruppo
fosfato
H
C
C
C
N
H C
3⬘
OH
H
C
fosfato
O
uracile (U)
O
4⬘ C H
N
H C 1⬘
C H
2⬘
OH
il ribosio ha
un gruppo —OH
in posizione 2⬘
ribosio
zucchero
(ribosio)
Figura 1.2C Un nucleotide di RNA.
C7
LEZIONE
1 | La struttura del materiale genetico
1.3 Il DNA ha la struttura
di un’elica a doppio filamento
Partendo dall’ipotesi che l’informazione genetica fosse contenuta nel DNA, come suggerivano i
risultati degli esperimenti di Hershey e Chase del
1952, ricercatori di diversi laboratori ingaggiarono
una vera e propria gara per riuscire a determinare la
struttura tridimensionale di questa molecola e provare così il suo ruolo fondamentale nell’ereditarietà.
A quel tempo la disposizione dei legami covalenti
nella catena di un acido nucleico era già ben conosciuta. Perciò, gli sforzi dei biochimici si concentrarono principalmente sullo studio della struttura tridimensionale del DNA, anche perché si era scoperto
l’importante legame tra struttura e funzioni nelle
proteine. I primi a svelare il mistero furono l’americano James D. Watson e l’inglese Francis Crick.
Figura 1.3A
Rosalind Franklin
e l’immagine del
DNA che ottenne
con la cristallografia
a raggi X.
Il contributo della cristallografia a raggi X. La
collaborazione tra i due scienziati, breve ma famosa, ebbe inizio quando il ventitreenne Watson
visitò l’università di Cambridge, dove Crick stava studiando la struttura molecolare delle proteine
servendosi di una tecnica chiamata cristallografia
animazione
La struttura della doppia
elica del DNA
attività
DNA double helix
a raggi X. Ma la svolta avvenne al King’s College di Londra, dove il biologo Maurice Wilkins era
all’avanguardia in questi studi. Nel laboratorio di
Wilkins, Watson osservò un’immagine cristallografica del DNA ottenuta da una collega di Wilkins, Rosalind Franklin ( Figura 1.3A ). Uno studio
accurato di questa immagine permise a Watson e a
Crick di dedurre che la forma del DNA era un’elica
con un diametro costante di 2 nanometri (nm), nella quale le basi azotate erano distanziate di circa un
terzo di nanometro (per avere un termine di paragone, la membrana plasmatica della cellula è spessa
circa 8 nm). Il diametro dell’elica suggeriva che essa fosse costituita da due filamenti polinucleotidici,
uniti in una configurazione a doppia elica.
Watson e Crick, usando modelli molecolari in
fi lo metallico, tentarono quindi di costruire una
doppia elica che fosse conforme sia ai dati di Rosalind Franklin sia a ciò che si sapeva a quel tempo
della chimica del DNA ( Figura 1.3B ). In particolare, la ricercatrice aveva concluso che gli scheletri zucchero-fosfato dovessero trovarsi all’esterno
della doppia elica. Le basi azotate, di conseguenza,
dovevano essere spostate nel modello all’interno
della molecola. Ma in che modo?
© Pearson Italia spa
L’appaiamento delle basi azotate. All’inizio,
Watson e Crick immaginarono che le basi azotate
fossero appaiate secondo il criterio del “simile con
il simile”, per esempio A con A e C con C. Ma
questo tipo di appaiamento non corrispondeva ai
dati ottenuti ai raggi X, che suggerivano un diametro costante nella molecola del DNA; la coppia di
basi AA, infatti, avrebbe avuto un ingombro quasi doppio rispetto alla coppia CC, causando vistosi
rigonfiamenti nella molecola. Ben presto fu chiaro che una base a doppio anello (una purina) doveva sempre essere appaiata, sul fi lamento opposto,
con una base ad anello singolo (una pirimidina).
Watson e Crick, inoltre, capirono che le singole
strutture delle basi imponevano un accoppiamento ancora più specifico: ogni base ha infatti gruppi
chimici laterali che tendono a formare legami idrogeno con una molecola adatta. L’adenina forma legami idrogeno con la timina, e la guanina con la
citosina. Usando le abbreviazioni del linguaggio dei
biologi, A si appaia con T e G con C; le basi complementari del DNA sono dunque A-T e G-C.
Il modello di appaiamento di Watson e Crick
era perfettamente compatibile con quanto si sapeva sulle caratteristiche fisiche e i legami chimici
del DNA. Inoltre, giustificava alcuni dati che erano stati ottenuti diversi anni prima dal biochimico americano Erwin Chargaff. Chargaff aveva scoperto che, in tutte le specie, la quantità di adenina
presente nel DNA è sempre uguale alla quantità di
timina e la quantità di guanina è sempre uguale a
Figura 1.3B Watson e Crick nel 1953, con il loro modello
di DNA a doppia elica.
C8
La biologia molecolare del gene | UNITÀ 1
animazione
I legami idrogeno del DNA
quella di citosina. La regolarità rilevata da Chargaff
è spiegata dal fatto che ogni A presente su una delle
catene polinucleotidiche di DNA si appaia sempre
con una T sull’altra catena, proprio come ogni G
su una catena si appaia sempre con una C sull’altra.
Il modello a doppia elica. Il modello a doppia elica del DNA proposto da Watson e Crick può essere immaginato come una scala di corda, con rigidi
pioli di legno, avvolta su se stessa in senso orario
(Figura 1.3C). Le due corde laterali sono equivalenti
agli scheletri zucchero-fosfato, mentre i pioli rappresentano le coppie di basi azotate unite da legami idrogeno. La Figura 1.3D mostra tre rappresentazioni della doppia elica. La forma dei simboli delle
basi, nel modello a sinistra, sottolinea la loro complementarietà. Lo schema al centro illustra, in particolare, i legami idrogeno tra basi complementari
(indicati con linee punteggiate); si noti inoltre che
le catene sono antiparallele, cioè disposte in senso
opposto. Nel modello computerizzato a destra, gli
atomi delle molecole di desossiribosio sono colorati in azzurro, i gruppi fosfato in giallo e le basi
azotate in verde e arancione.
La regola dell’appaiamento complementare scoperta da Watson e Crick implica un preciso abbinamento delle basi azotate, ma non pone limitazioni
alla lunghezza della molecola e alla disposizione dei
singoli nucleotidi. La sequenza delle basi presenta
infinite variazioni e i nucleotidi di ogni gene hanno, di conseguenza, una sequenza di basi esclusiva.
Per il loro straordinario contributo alla biologia molecolare e alla genetica, illustrato con
un breve articolo apparso sulla rivista Nature nel
1953, Watson, Crick e Wilkins ricevettero il PreC
C
G
G
C
G
C
T
coppia
di basi
appaiate
A
A
T
C
G
A
© Pearson Italia spa
G
T
T
C
G
C
A
G
G
A
A
O
O
–O P
O
H2C
STEP BY STEP Se lungo un filamento della doppia
elica troviamo la sequenza nucleotidica GGCATAGGT,
qual è la sequenza complementare sull’altro filamento
di DNA?
O
O
O
–O P
O
H2C
O
O
C
T
mio Nobel per la Medicina nel 1962. (Rosalind
Franklin non poté riceverlo perché era morta di
cancro nel 1958.) È interessante notare che l’eccezionale riconoscimento ottenuto da questi ricercatori non sia dovuto alla produzione di nuovi dati
sperimentali, ma all’atto creativo di immaginare
un modello che corrispondesse a tutti i dati sperimentali già in possesso della comunità scientifica.
Grazie al loro modello, fu possibile conoscere l’organizzazione molecolare che consente alla sequenza
nucleotidica del DNA di codificare l’informazione
ereditaria contenuta nei geni di un cromosoma.
Figura 1.3C
La doppia elica
rappresentata
attraverso
il modello della scala
a pioli.
Figura 1.3D
Tre modi
di rappresentare
il DNA.
il legame idrogeno è un legame debole che si forma
tra un atomo di idrogeno, unito in modo covalente
estremità 5⬘
a una molecola, e un atomo molto elettronegativo,
O
come O oppure N, di una molecola diversa
OH
P
–O
estremità 3⬘
O
OH
H2C
O
C
T
A
O
O
–O P
O
H2C
C
avvolgimento
G
C
O
CH2
O
O–
P
O
O
O
CH2
O
O–
P
O
O
O
CH2
O
O–
P
O
O
C
G
A
T
O
CH2
O
O–
estremità 3⬘
P
HO
O
i due scheletri zucchero-fosfato sono orientati
estremità
5⬘
in direzioni opposte: ciascun filamento
ha un’estremità 3⬘ e un’estremità 5⬘
OH
T
T
A
modello a nastro
modello computerizzato
C9
2
La duplicazione del DNA
T
A
G
1.4 La duplicazione del DNA
A
A
dipende dallo specifico appaiamento
delle basi azotate
Figura 1.4B
Svolgimento
della molecola
originaria
e duplicazione
del DNA.
T
A
C
T
C
T
G
T
G
C
© Pearson Italia spa
T
A
T
molecola originaria di DNA
C10
nucleotidi
G
C
G
A
C
T
A
A
A
C
G
T
T
C
A
C
T
A
A
C
G
T
A
T
G
T
C
G
G
C
A
G
G
C
C
G
T
C
A
C
T
A
A
A
T
C
A
T
Figura 1.4A Modello
a stampo
della duplicazione
del DNA.
A
Il meccanismo di stampo nella duplicazione.
Secondo l’ipotesi di Watson e Crick, la cellula
applicava lo stesso principio di complementarietà
quando copiava i propri geni. Come si vede nella Figura 1.4A, i due fi lamenti di DNA originario
(in azzurro) si separano. A questo punto, ognuno
di essi diventa uno stampo per l’assemblaggio di
un fi lamento complementare a partire da una riserva di nucleotidi liberi disponibili nell’ambiente
(in grigio). I nucleotidi si allineano uno alla volta lungo il fi lamento stampo, seguendo la regola dell’appaiamento delle basi. Appositi enzimi
uniscono poi i nucleotidi formando il nuovo fi lamento di DNA. Le nuove molecole, identiche alla
molecola originaria, sono chiamate molecole “figlie”. Il meccanismo di copia è analogo a quello
impiegato per produrre da un negativo fotografico un’immagine positiva, la quale, a sua volta,
può essere usata per produrre un altro negativo,
e così via.
G
Uno dei temi più importanti e trasversali della biologia, il rapporto tra struttura e funzione, emerge
con grande evidenza nella doppia elica del DNA.
L’esistenza di un appaiamento specifico delle basi
nel DNA non solo orientò Watson e Crick verso la
scoperta della corretta struttura della doppia elica,
ma suggerì anche ai due scienziati un aspetto funzionale di enorme rilevanza legato a questa disposizione. Il loro famosissimo articolo del 1953 terminava con queste parole: «non è sfuggito alla nostra
attenzione che l’appaiamento specifico da noi proposto suggerisce direttamente un possibile meccanismo per la duplicazione del materiale genetico».
La logica alla base dell’ipotesi di Watson e Crick
sulle modalità di duplicazione del DNA – attraverso l’appaiamento specifico di basi complementari –
è molto semplice. Per rendersene conto, basta coprire uno dei fi lamenti della molecola originaria di
DNA nella Figura 1.4A : la sequenza di basi del fi lamento coperto può essere determinata applicando
la regola dell’appaiamento delle basi al fi lamento
rimasto visibile: A si appaia con T, G con C.
G
LEZIONE
Il modello di Watson e Crick prevede che, quando
una doppia elica si duplica, ognuna delle molecole figlie sia costituita da un vecchio fi lamento, appartenente alla molecola originaria, e da uno nuovo. Questo modello di duplicazione è noto come
modello semiconservativo, perché in ogni molecola figlia viene conservata metà della molecola
originaria. Il modello semiconservativo della duplicazione è stato confermato da alcuni esperimenti eseguiti negli anni cinquanta del Novecento.
Sebbene il meccanismo generale della duplicazione del DNA sia concettualmente semplice, il
processo reale implica una complessa attività biochimica. Parte di tale complessità deriva dal fatto
che, per duplicarsi, la molecola elicoidale di DNA
deve svolgersi e copiare quasi simultaneamente i
suoi due fi lamenti ( Figura 1.4B ). Un altro problema
è la velocità del processo. E. coli, che ha circa 4,6
milioni di coppie di basi, può copiare il suo genoma in meno di un’ora. Gli esseri umani, che hanno più di 6 miliardi di coppie di basi distribuite
in 46 cromosomi, impiegano qualche ora (in media vengono aggiunti 50 nucleotidi al secondo nei
mammiferi). Eppure, il processo è incredibilmente
accurato: di solito, soltanto un nucleotide su diversi miliardi si appaia in modo errato. Nel prossimo
paragrafo vedremo più in dettaglio il meccanismo
che consente alla duplicazione del DNA di procedere con tanta velocità e accuratezza.
STEP BY STEP In che modo l’appaiamento
complementare delle basi rende possibile
la duplicazione del DNA?
T
A
T
A
T
G
C
G
C
G
C
G
C
G
C
T
A
T
A
T
A
T
A
T
A
i due filamenti originari agiscono da stampo
due molecole figlie di DNA identiche
La biologia molecolare del gene | UNITÀ 1
attività
La duplicazione del DNA
1.5 La duplicazione del DNA
origine della duplicazione
filamento originario
filamento di nuova sintesi
ha inizio simultaneamente in molti
punti e procede grazie alla DNA
polimerasi
La duplicazione di una molecola di DNA richiede la cooperazione di numerosi enzimi e di altre
proteine speciali. Il processo ha inizio in particolari punti di origine della duplicazione, che
sono tratti di DNA con una caratteristica sequenza di nucleotidi, in corrispondenza dei quali gli
enzimi si attaccano all’acido nucleico e separano
i fi lamenti. Come mostra la Figura 1.5A , la duplicazione procede quindi in due direzioni, dando
origine a bolle di duplicazione. I fi lamenti del
DNA originario (in azzurro) si dividono a mano
a mano che i fi lamenti di nuova sintesi (in grigio)
si allungano su entrambi i lati di ogni bolla. Nelle
cellule eucariote, la molecola di DNA di un cromosoma ha molti punti di origine, da cui la duplicazione può partire simultaneamente; in tal modo,
il tempo complessivo necessario per completare il
processo si abbrevia. Nello stesso istante, possono
essere presenti migliaia di bolle, che fi niscono poi
per fondersi l’una con l’altra, generando due nuove
molecole complete di DNA.
L’azione delle DNA polimerasi. Gli enzimi DNA
polimerasi sono responsabili della sintesi dei nuovi fi lamenti di DNA, legando i nucleotidi che si
appaiano spontaneamente al fi lamento di DNA
stampo, ma hanno due importanti limiti. In primo
luogo, non sono in grado di cominciare la sintesi
di un filamento partendo dal primo nucleotide, ma
possono soltanto allungare un fi lamento esistente.
Per questo motivo un altro enzima, la primasi,
sintetizza una breve molecola di RNA complementare (un nucleotide alla volta), detta primer o
nuovo filamento
estremità 5⬘
zucchero
due molecole figlie di DNA
innesco. Il primer verrà eliminato e sostituito con
DNA al termine della duplicazione. Come secondo limite, le DNA polimerasi possono aggiungere
i nuovi nucleotidi soltanto all’estremità 3⬘ del filamento nascente e mai all’estremità 5⬘ (i numeri
con apice si riferiscono alla posizione degli atomi
di carbonio negli zuccheri del nucleotide). Un filamento di DNA di nuova sintesi, quindi, può crescere esclusivamente nella direzione 5⬘ → 3⬘. Si può
osservare l’azione della DNA polimerasi nella Figura 1.5B. I due scheletri zucchero-fosfato del DNA
sono orientati in direzioni opposte: ogni fi lamento ha un’estremità 3⬘ e un’estremità 5⬘. A una delle
estremità di ciascun fi lamento, l’atomo di carbonio 3⬘ dello zucchero è unito a un gruppo —OH,
mentre all’altra estremità l’atomo di carbonio 5⬘
dello zucchero è unito a un gruppo fosfato. La
DNA polimerasi aggiunge un nuovo nucleotide
catalizzando la formazione di un legame covalente
tra il gruppo fosfato del nuovo nucleotide e l’estremità 3⬘ del fi lamento preesistente.
della DNA polimerasi?
filamento stampo
estremità 3⬘
estremità 5⬘
estremità 3⬘
A
T
C
G
C
G
G
C
G
C
T
A
OH
Figura 1.5A Tre bolle
di duplicazione
del DNA.
STEP BY STEP Quali sono le caratteristiche
A
T
base
azotata
gruppo
fosfato
© Pearson Italia spa
bolla
Figura 1.5B
L’aggiunta di un
nucleotide al nuovo
filamento di DNA.
DNA polimerasi
estremità 3⬘
A
T
OH
C
estremità 3⬘
C
OH
nuovo nucleotide
estremità 5⬘
estremità 5⬘
C11
LEZIONE
3
Il passaggio dell’informazione genetica
dal DNA all’RNA alle proteine
1.6 La duplicazione del DNA
origine della duplicazione
procede in modo discontinuo
sul filamento antiparallelo
© Pearson Italia spa
La capacità della DNA polimerasi di allungare il fi lamento in una sola direzione fa sì che la sintesi proceda in modo
diverso sui due fi lamenti stampo. La Figura 1.6 rappresenta le strutture a forcella che si trovano alle estremità di una
bolla di duplicazione. Qui, uno dei filamenti di nuova sintesi (in colore azzurro) può essere assemblato in modo
continuo da una DNA polimerasi che
si sposta verso il punto di biforcazione del DNA originario. L’allungamento del secondo fi lamento, invece, procede in direzione opposta rispetto alla
forcella. Mano a mano che la polimerasi si allontana in direzione 3⬘, però, il
tratto non duplicato aumenterebbe, se
non fosse al lavoro un’altra polimerasi.
Per questo motivo il fi lamento antiparallelo viene sintetizzato un frammento
alla volta, via via che la forcella si apre.
Questi brevi segmenti di DNA, detti
frammenti di Okazaki, vengono poi
uniti l’uno all’altro da un altro enzima,
detto DNA ligasi, generando un’unica catena di DNA. Il fi lamento sintetizzato in modo continuo ha bisogno
di un solo innesco, dopodiché si allunga speditamente, perciò viene chiamato
fi lamento veloce. Il fi lamento antiparallelo, invece, procede più lentamente. La primasi, infatti, deve sintetizzare
un primer per ogni frammento di Okazaki, poi la sintesi procede fi no al primer del frammento successivo; alla fine i primer devono essere rimossi e gli
spazi vuoti vengono riempiti allungando i frammenti adiacenti, che una volta
vicini possono essere uniti tra loro dalla ligasi. Per questo motivo, il filamento
antiparallelo è detto fi lamento lento.
filamento veloce
filamento lento
filamento lento
2
1
filamento veloce
direzioni in cui
procede la duplicazione
1 la primasi sintetizza
un primer di RNA
3v
5⬘
5v
filamento
stampo
3v
2 la DNA polimerasi
aggiunge nucleotidi
al primer formando
un frammento di Okazaki
3v
primer di RNA
5v
3 quando raggiunge
il primer successivo
la DNA polimerasi
si stacca
3v
1
5v
3v
5v
frammento
di Okazaki
3v
1
5v
3v
4 quando è pronto il primer
del filamento 2 la DNA polimerasi
lo allunga fino al primer
del filamento 1
5v
2
3v
3v
5v
1
5 un’altra polimerasi sostituisce
i nucleotidi di RNA del primer
fino all’inizio del frammento 1
5v
3v
5v
1
2
STEP BY STEP Perché la duplicazione
del DNA non procede alla stessa velocità
sui due filamenti?
3v
5v
6 la DNA ligasi unisce
i frammenti 1 e 2
7 questa regione
del filamento lento
è completa
3v
1
5v
2
Figura 1.6 La sintesi di un segmento
del filamento lento mediante l’unione
di due frammenti di Okazaki.
C12
direzione in cui procede la duplicazione
La biologia molecolare del gene | UNITÀ 1
1.7 Gli errori di duplicazione
1 un dimero di timina
distorce la struttura regolare
della molecola
vengono corretti grazie alla DNA
polimerasi e ad altri meccanismi
di riparazione
La specificità dell’appaiamento delle basi non è
sufficiente a garantire la corretta duplicazione del
DNA; infatti, in media, un nucleotide su 100 000
non è complementare al fi lamento stampo. In
molti casi questo errore viene riconosciuto dalle DNA polimerasi, che compiono una sorta di
“correzione di bozze” in corso d’opera: rimuovono velocemente i nucleotidi appaiati in modo
errato e li sostituiscono con quelli corretti, prima
di procedere. In una piccola percentuale di casi, però, l’appaiamento sbagliato sfugge alla correzione di bozze e, allora, intervengono enzimi
specifici, tra cui altre DNA polimerasi e ligasi,
che riconoscono i nucleotidi fuori posto e li sostituiscono ( Figura 1.7). L’accuratezza del processo
di duplicazione del DNA garantisce che tutte le
cellule somatiche di un organismo pluricellulare
contengano la stessa informazione genetica e che
le istruzioni in essa custodite vengano trasmesse da una generazione alla successiva. Nonostante ciò, la sequenza del DNA può subire modifiche, dovute non solo a errori di duplicazione, ma
anche all’azione aggressiva di agenti fi sici (come
le radiazioni ad alta energia UV e X) o chimici
(per esempio, i composti contenuti nel fumo del
tabacco) a cui è continuamente sottoposta. Per
questo motivo sono costantemente attivi alcuni
sistemi di riparazione del DNA, sotto forma di
enzimi che eliminano e sostituiscono i nucleotidi danneggiati prima che possano provocare una
1.8 Le estremità 5ⴕ dei filamenti
© Pearson Italia spa
di DNA non vengono duplicate
Un’altra conseguenza del fatto che le DNA polimerasi sono in grado di aggiungere nucleotidi
solo all’estremità 3⬘ di un fi lamento preesistente è che le estremità 5⬘ dei fi lamenti stampo non
possono essere duplicate. Anche se una primasi
sintetizza un primer che si appaia perfettamente all’estremità 5⬘ di un fi lamento consentendo la
sintesi di un frammento di Okazaki, non è possibile sostituire il primer con DNA, una volta che
sia stato rimosso, perché non c’è alcuna estremità 3⬘ da cui la DNA polimerasi possa partire. Per
questo motivo, i fi lamenti di DNA diventano più
corti a ogni ciclo di duplicazione. Ciononostante, l’informazione contenuta nei geni non viene compromessa, grazie alla presenza, a ciascuna
estremità della molecola, di un ampio tratto di
DNA chiamato telomero. Si tratta di una bre-
2 un enzima detto nucleasi
taglia il DNA del filamento
non corretto e toglie
il frammento da sostituire
Figura 1.7
La riparazione
di un danno al DNA
(in questo caso la
formazione di un
dimero di timina,
spesso causata
dalle radiazioni
ultraviolette).
nucleasi
DNA
polimerasi
3 la DNA polimerasi
sintetizza i nucleotidi
mancanti
DNA
ligasi
4 la ligasi unisce
gli estremi del nuovo
frammento al resto
del filamento
mutazione, cioè prima che la cellula si replichi
nuovamente e trasmetta, così, l’errore alla generazione successiva.
STEP BY STEP Quali saranno le conseguenze
per una persona portatrice di una mutazione
che riduce la funzionalità di un enzima coinvolto
nella riparazione del DNA?
ve sequenza, ripetuta moltissime volte, che non
codifica per alcun gene, ma ha una funzione non
meno importante: a ogni ciclo di duplicazione
del DNA, i telomeri diventano un po’ più corti,
mentre l’informazione contenuta nei cromosomi
resta intatta. Alcune ricerche suggeriscono che
l’accorciamento progressivo dei telomeri sia connesso al processo di invecchiamento dei tessuti e,
in generale, degli organismi. Per impedire che i
telomeri si accorcino troppo passando da una generazione all’altra di individui, nelle cellule della
linea germinale è presente un enzima, la telomerasi, che ripristina la lunghezza dei telomeri fi no
al valore massimo.
STEP BY STEP Che cosa succederà in una coltura
cellulare nella quale le cellule presenti non esprimono
l’enzima telomerasi?
C13
LEZIONE
3 | Il passaggio dell’informazione genetica dal DNA all’RNA alle proteine
1.9 L’informazione genetica
Figura 1.9B Crescita
di Neurospora crassa
in una piastra
per colture.
codificata dal DNA viene tradotta
nella sequenza delle proteine
Con le conoscenze che abbiamo acquisito sul
DNA, possiamo fornire una definizione più precisa di genotipo e fenotipo di un organismo: il
genotipo è l’informazione ereditaria contenuta
nel suo DNA; il fenotipo corrisponde, invece, ai
suoi tratti specifici. A livello molecolare, il collegamento tra genotipo e fenotipo è rappresentato
dalle proteine. Il DNA che un organismo eredita
dai genitori, infatti, specifica quali proteine devono essere sintetizzate, e in quale momento. A loro
volta, le proteine strutturali ed enzimatiche da cui
dipende il fenotipo sono determinate dalla loro sequenza amminoacidica.
© Pearson Italia spa
Il dogma centrale della biologia molecolare.
Un gene non sintetizza direttamente una proteina; il suo compito infatti è quello di fornire le
istruzioni sotto forma di RNA, che a sua volta
programma la sintesi proteica. Questo concetto
fondamentale, che nel 1956 Francis Crick denominò dogma centrale della biologia molecolare, è riassunto nella Figura 1.9A. La serie di istruzioni parte dal DNA contenuto nel nucleo della
cellula (in colore viola), procede verso l’RNA e
da qui verso la sintesi della proteina nel citoplasma (in colore giallo). Le due fasi principali del
processo sono la trascrizione, ovvero il trasferimento dell’informazione genetica dal DNA a una
molecola di RNA, e la traduzione, cioè il trasferimento dell’informazione contenuta nell’RNA a
una proteina. Nei prossimi paragrafi esamineremo
tutti i passaggi di questo flusso di informazioni dal
gene alla proteina.
La relazione tra geni e proteine fu proposta per
la prima volta nel 1909 dal medico inglese Archibald Garrod, convinto che i geni determinassero
i fenotipi attraverso l’azione degli enzimi. Garrod
si era fatto questa idea studiando le malattie ereditarie e ipotizzando che esse rispecchiassero “errori
congeniti del metabolismo”, come l’incapacità di
sintetizzare un particolare enzima. Una di queFigura 1.9A Il flusso
dell’informazione
genetica in una
cellula eucariote.
DNA
trascrizione
RNA
nucleo
citoplasma
traduzione
proteina
ste malattie era l’alcaptonuria, nella quale le urine
sono di colore molto scuro per la presenza di una
sostanza chiamata alcaptone. Garrod pensava che
gli individui sani avessero un enzima in grado di
metabolizzare l’alcaptone, mentre quelli malati ne
fossero privi; un’ipotesi in anticipo sui tempi, ma
che a distanza di decenni si rivelò esatta. Negli
anni seguenti, i biochimici accumularono sempre
più prove del fatto che, attraverso i processi metabolici, le cellule sintetizzano e demoliscono importanti molecole biologiche, come nel caso della
sintesi di un amminoacido o della demolizione di
uno zucchero. In una via metabolica ogni passaggio è catalizzato da un enzima specifico; gli individui privi anche solo di uno di questi enzimi non
sono in grado di portare a termine il processo.
L’ipotesi “un gene-un polipeptide”. Il maggiore contributo nella dimostrazione della relazione
tra geni ed enzimi fu il lavoro di George Beadle
ed Edward Tatum, negli anni quaranta del Novecento, sulla muffa del pane Neurospora crassa ( Figura 1.9B ). I due scienziati studiarono fi lamenti della
muffa incapaci di crescere in un mezzo di coltura semplice. Scoprirono così che ognuno di questi
“mutanti nutrizionali”, come li chiamavano, era
privo di un enzima necessario a catalizzare la sintesi di un amminoacido indispensabile per la crescita della muffa. Beadle e Tatum dimostrarono
inoltre che ogni mutante era privo di un singolo
gene e formularono così la loro famosa ipotesi “un
gene-un enzima”, secondo cui il compito di un
gene è quello di prescrivere la produzione di uno
specifico enzima.
Questa ipotesi è stata ampiamente confermata,
ma con alcune importanti modifiche. Per prima
cosa, i biologi l’hanno estesa a tutti i tipi di proteine, ribattezzandola “un gene-una proteina”. Inoltre, molte proteine sono costituite da una o più
catene polipeptidiche, ciascuna delle quali risulta
codificata da un proprio gene. L’emoglobina, per
esempio, che trasporta l’ossigeno nel sangue, è costituita da due tipi di polipeptidi, codificati da due
geni diversi. L’ipotesi di Beadle e Tatum, perciò,
è diventata “un gene-un polipeptide”.
STEP BY STEP A che cosa servono la trascrizione
e la traduzione?
C14
mp3 tutor
DNA to RNA to protein
La biologia molecolare del gene | UNITÀ 1
1.10 L’informazione genetica
è codificata nel DNA in triplette
di nucleotidi, ciascuna delle quali
corrisponde a un amminoacido
nella proteina corrispondente
Come abbiamo visto, i geni forniscono le istruzioni
per sintetizzare proteine specifiche; tuttavia, un gene non sintetizza direttamente la proteina. Il DNA
viene trascritto nell’RNA, a sua volta tradotto nelle proteine. In altre parole, le cellule sono governate da quella che potremmo definire una “catena di
comando molecolare”: DNA → RNA → proteine.
© Pearson Italia spa
Il linguaggio chimico degli acidi nucleici. Per
comprendere con quali modalità l’informazione
genetica passa dal genotipo al fenotipo, dobbiamo capire in che modo il linguaggio chimico del
DNA viene tradotto nel linguaggio chimico delle proteine.
Che cos’è, esattamente, il linguaggio chimico
degli acidi nucleici? Tanto il DNA quanto l’RNA
sono polimeri costituiti da monomeri nucleotidici. Nel DNA troviamo quattro tipi di nucleotidi,
che differiscono tra loro per le basi azotate (A, T,
C e G); lo stesso vale per l’RNA, che però contiene l’uracile (U) al posto della timina (T).
La Figura 1.10 mostra ingrandita una piccola regione di un gene in una molecola di DNA. Ciascun gene consiste normalmente di centinaia o
migliaia di nucleotidi che compaiono in una precisa sequenza lineare, caratterizzata da un inizio e
da una fine.
Il fi lamento di colore rosa, posto sotto il particolare del DNA ingrandito, rappresenta il risultato
della trascrizione di una sequenza di DNA in una
sequenza di RNA, utilizzando lo stesso linguaggio degli acidi nucleici. Le basi nucleotidiche della molecola di RNA sono complementari a quelle
presenti sul fi lamento del DNA; come vedremo
nel paragrafo 1.12, questa caratteristica dipende
dal fatto che l’RNA è stato sintetizzato usando il
DNA come stampo.
La traduzione. La catena di colore viola in basso nella figura rappresenta il risultato della traduzione, ovvero la conversione del linguaggio degli
acidi nucleici nel linguaggio dei polipeptidi. Come gli acidi nucleici, anche i polipeptidi sono polimeri, ma i monomeri che li compongono sono i
20 amminoacidi comuni a tutti gli organismi. Anche in questo caso, l’informazione è scritta in una
sequenza lineare, e la sequenza nucleotidica della
molecola di RNA indica l’esatta sequenza amminoacidica del polipeptide. In questo modo, l’RNA
funge da messaggero che trasporta l’informazione
genetica proveniente dal DNA.
Durante la traduzione avviene dunque un cambiamento di linguaggio, dalla sequenza di nucleoti-
di dell’RNA alla sequenza di amminoacidi del polipeptide. Le parentesi graffe sotto la catena di RNA
indicano il modo in cui l’informazione genetica è
codificata negli acidi nucleici: ognuna racchiude tre
nucleotidi dell’RNA, perciò si dice che il codice
genetico è scritto e letto a triplette di basi (cioè sequenze di tre basi). Il DNA e l’RNA contengono
soltanto quattro tipi diversi di nucleotidi: rispettivamente A, G, C, T e A, G, C, U. Nella traduzione,
questi quattro nucleotidi devono in qualche modo
specificare 20 amminoacidi. Se ogni base nucleotidica specificasse un amminoacido, potrebbero essere codificati soltanto 4 amminoacidi. Se le basi di
un gene venissero lette due alla volta, la coppia AG
per esempio potrebbe specificare un amminoacido,
mentre AT potrebbe specificarne uno diverso. Ma
combinando le quattro basi a coppie, otterremmo
soltanto 16 (cioè 42 ) possibili combinazioni, un numero non sufficiente per specificare tutti i 20 amminoacidi che compongono le proteine.
Le triplette di basi sono dunque le “parole” più
brevi, di lunghezza uniforme, in grado di specificare tutti gli amminoacidi. Supponiamo che nel
DNA ogni parola in codice consista di una tripletta e che ogni combinazione di tre basi consecutive
codifichi per un amminoacido. Ci sarebbero allora
64 (cioè 43 ) possibili parole in codice, più che sufficienti per specificare i 20 amminoacidi. In realtà,
il numero di triplette è tale che a ogni amminoacido può corrisponderne più di una. Per esempio,
le triplette AAT e AAC codificano entrambe per
lo stesso amminoacido (leucina).
Alcuni esperimenti hanno confermato che
il flusso di informazioni dal gene alla proteina è
effettivamente basato su un codice a triplette: le
istruzioni genetiche per la sequenza amminoacidica di una catena polipeptidica sono scritte nel DNA
e nell’RNA come una serie di parole di tre lettere
(le basi) dette codoni. Come si vede nella Figura
1.10, i codoni del DNA sono trascritti nei codoni
complementari dell’RNA, i quali sono poi tradotti
negli amminoacidi che formano un polipeptide.
Figura 1.10
La trascrizione
e la traduzione
dei codoni.
molecola di DNA
gene 1
gene 2
gene 3
STEP BY STEP Una particolare proteina
ha una lunghezza pari a 100 amminoacidi.
Quanti nucleotidi sono necessari per codificarla?
filamento di DNA
A
A
A
C
C
G
G
C
A
A
A
A
U
U
U
G
G
C
C
G
U
U
U
U
trascrizione
RNA
codone
traduzione
polipeptide
amminoacido
C15
LEZIONE
3 | Il passaggio dell’informazione genetica dal DNA all’RNA alle proteine
filamento da trascrivere
1.11 Il codice genetico è la “stele
di Rosetta” della vita
Nel 1799 fu rinvenuta a Rosetta, in Egitto, una
grande lastra di pietra che riportava lo stesso testo
scritto in tre modi diversi: con i geroglifici, in demotico (una scrittura egizia semplificata rispetto
ai geroglifici) e in greco antico. Questa scoperta
fornì la chiave per decifrare i geroglifici, fi no ad
allora rimasti intraducibili.
Per decodificare il codice genetico, gli scienziati hanno scritto una loro “stele di Rosetta”. I
dati raccolti grazie a una serie di esperimenti hanno infatti permesso di tradurre ciascuna tripletta
di nucleotidi nell’amminoacido corrispondente. Il
primo codone fu decifrato nel 1961 dal biochimico
americano Marshall Nirenberg, che sintetizzò una
molecola di RNA artificiale costituita da una sequenza di un solo tipo di nucleotide, avente come
base l’uracile. Nirenberg introdusse questo RNA,
che esprimeva soltanto un tipo di codone, UUU,
in una provetta contenente una miscela di ribosomi e altre sostanze necessarie per la sintesi di un
polipeptide. La miscela tradusse il “poliU” in un
polipeptide contenente un unico amminoacido, la
fenilalanina. Nirenberg quindi ne dedusse che il
codone UUU dell’RNA specifica l’amminoacido
fenilalanina (Phe). In breve tempo, variando questo metodo, furono individuati gli amminoacidi
specificati da tutti gli altri codoni.
Le regole del codice genetico. Il codice genetico consiste di una serie di regole che stabiliscono la corrispondenza tra i codoni dell’RNA e gli
amminoacidi delle proteine. Come mostra la Figura 1.11A , soltanto 61 dei 64 codoni codificano per
amminoacidi. Gli altri 3 codoni (evidenziati in
UUU
U
UUC
© Pearson Italia spa
prima base azotata
UUA
C
G
Leu
UAU
UCC
UAC
UCA
Ser
Tyr
G
UGU
UGC
Cys
U
C
UAA stop
UGA stop
A
UCG
UAG stop
UGG Trp
G
CUU
CCU
CAU
CGU
U
CUC
CCC
CAC
CUA
A
Phe
UCU
UUG
Leu
CCA
Pro
CAA
CUG
CCG
CAG
AUU
ACU
AAU
AUC Ile
ACC
AUA
ACA
AUG
Met
o inizio
Thr
AAC
AAA
ACG
AAG
GUU
GCU
GAU
GUC
GCC
GAC
GUA
GUG
C16
seconda base azotata
C
A
U
Val
GCA
GCG
Ala
GAA
GAG
His
Gln
CGC
CGA
Arg
Lys
Asp
Glu
AGU
AGC
AGA
A
G
CGG
Asn
C
Ser
Arg
U
C
A
AGG
G
GGU
U
GGC
GGA
GGG
Gly
C
terza base azotata
Figura 1.11A
Il dizionario
del codice genetico
(codoni di RNA).
T
A
C
T
T
C
A
A
A A
T
A
T
G
A
A G
T
T
T
A G
C
DNA
T
trascrizione
A
RNA
U G
A
A G U U U U
codone di inizio
polipeptide
Met
A G
codone di arresto
traduzione
Lys
Phe
Figura 1.11B La decodifica dell’informazione genetica
contenuta nel DNA.
rosso nella figura) non specificano alcun amminoacido, ma sono i codoni di arresto (o di stop)
che segnalano la fi ne della traduzione. La tripletta
AUG (in verde) ha una doppia funzione: codifica
per l’amminoacido metionina (Met) e può anche
fornire il segnale che indica l’inizio di una catena
polipeptidica.
Osservando la Figura 1.11A, si può notare che
nel codice genetico c’è ridondanza, ma non ambiguità. Per esempio, sebbene i codoni UUU e
UUC specifichino entrambi la fenilalanina (ridondanza), nessuno dei due codifica mai per altri amminoacidi (nessuna ambiguità). Ciascuna tripletta
di RNA della figura ha una tripletta complementare sul DNA. I nucleotidi che costituiscono i codoni si trovano sul DNA e sull’RNA in sequenza
lineare, senza alcun intervallo o “punteggiatura”
che separi un codone dall’altro.
Come esercizio di traduzione del codice genetico, consideriamo il segmento di DNA costituito
da 12 nucleotidi della Figura 1.11B. Suddividendo la
sequenza di nucleotidi in triplette e usando le regole dell’appaiamento delle basi (con U al posto
di T nell’RNA), vediamo che il codone TAC del
DNA viene trascritto nel corrispondente codone
AUG dell’RNA. Come si può vedere nella Figura 1.11A, AUG contiene la seguente informazione: «inserire Met come primo amminoacido nel
polipeptide». La seconda tripletta del DNA, TTC,
prescrive di posizionare nell’RNA il codone AAG,
che codifica per il secondo amminoacido, la lisina
(Lys). Il processo può continuare in questo modo
finché non viene raggiunto un codone di arresto.
Il codice genetico è praticamente universale, in
quanto è condiviso da tutti gli organismi, dai più
semplici batteri fi no alle piante e agli animali più
complessi. Ciò suggerisce che esso si sia evoluto
in tempi molto antichi nella storia della vita ed è
un’ulteriore testimonianza dell’origine di tutti i viventi da un antenato comune.
A
STEP BY STEP Qual è la sequenza di amminoacidi
G
che corrisponde alla sequenza CCAUUUACG
di nucleotidi dell’RNA?
La biologia molecolare del gene | UNITÀ 1
animazione
La trascrizione
1.12 La trascrizione produce
messaggi genetici sotto forma
di RNA
Nelle cellule eucariote, la trascrizione, ovvero il
trasferimento dell’informazione genetica dal DNA
all’RNA, avviene nel nucleo, mentre nelle cellule
procariote si verifica direttamente nel citoplasma.
Una molecola di RNA viene trascritta a partire da
uno stampo di DNA, attraverso un processo simile a quello che ha luogo durante la duplicazione
del DNA (Figura 1.12A). Come nella duplicazione, i
due filamenti di DNA devono prima di tutto separarsi nel punto in cui il processo inizia. Nella trascrizione, tuttavia, solo uno dei fi lamenti di DNA
serve da stampo per la nuova molecola di RNA. I
nucleotidi che la costituiscono si posizionano uno
alla volta lungo il fi lamento stampo di DNA, formando legami idrogeno con le sue basi nucleotidiche. I ribonucleotidi dell’RNA seguono la stessa regola di appaiamento delle basi complementari
che vige nella duplicazione del DNA, salvo che ad
appaiarsi con A è U invece di T. L’enzima di trascrizione RNA polimerasi, rappresentato nella figura dalla sagoma grigia sullo sfondo, provvede
quindi a legare tra loro i ribonucleotidi.
La Figura 1.12B è uno schema riassuntivo del processo di trascrizione di un intero gene (l’esempio
si riferisce, in particolare, al gene di un procariote, perché il processo è leggermente più semplice
in questi organismi rispetto agli eucarioti). Lungo
il DNA, specifiche sequenze di nucleotidi segnano i punti di inizio e di arresto della trascrizione
di ciascun gene. Il segnale di “inizio trascrizione”
è una sequenza nucleotidica chiamata promotore. Un promotore è uno specifico sito cui si lega
l’RNA polimerasi e indica quale dei due fi lamenti
della doppia elica di DNA deve essere usato come
stampo nella trascrizione. Nella prima fase delallungamento
la trascrizione, chiamata inizio, l’RNA polimerasi si unisce al promotore sul DNA e incomincia
la sintesi dell’RNA. Nella seconda fase, l’RNA si
allunga; mentre la sintesi prosegue, il fi lamento di
RNA si separa dal DNA stampo, i cui fi lamenti
possono così appaiarsi nuovamente lungo il tratto già trascritto. Infine, nella terza fase, detta terminazione, l’RNA polimerasi raggiunge una sequenza di basi sul DNA stampo, detta sequenza
di terminazione, che segnala la fine del gene. Al
termine del processo l’RNA polimerasi si stacca
sia dall’RNA sia dal gene, e risulta libera per catalizzare un’altra trascrizione.
Oltre a produrre l’RNA che codifica per le sequenze amminoacidiche, la trascrizione determina
la sintesi di due altri tipi di RNA coinvolti nell’assemblaggio dei polipeptidi. Nei prossimi tre paragrafi esamineremo nel dettaglio questi tre tipi di
RNA.
STEP BY STEP Che cos’è un promotore?
Qual è la sua funzione?
promotore
5v
3v
unità di trascrizione
RNA polimerasi
1 inizio
dopo che l’RNA polimerasi si è legata
al promotore, i filamenti di DNA
si svolgono e la polimerasi comincia
la sintesi dell’RNA a partire dal punto
di inizio sul filamento stampo
5v
3v
3v
5v
DNA svolto
trascritto
di RNA
C
C
A
T
U
T
G
U
A
A
C A U
T
5v
DNA
riavvolto
estremità 3v
T
5v
A
G
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3v
C
A
C
G
C
A
G T
A
T
filamento stampo
del DNA
2 allungamento
la polimerasi si muove verso valle,
svolgendo la molecola di DNA
e allungando il trascritto di RNA
in direzione 5v¡3v; sulla scia
della trascrizione, i filamenti di DNA
riformano la doppia elica
RNA
polimerasi
T
3v
5v
DNA
punto di inizio
filamento del DNA
che non funge da stampo
nucleotidi dell’RNA
A
Figura 1.12B
La trascrizione
di un gene
(in questo caso
di un procariote).
5v
3v
3v
5v
3v
5v
C
C
trascritto
di RNA
A
direzione della trascrizione
(“a valle”)
filamento
stampo del DNA
RNA di nuova sintesi
Figura 1.12A Una rappresentazione schematica
del processo di trascrizione.
3 terminazione
alla fine, il trascritto di RNA
viene liberato e la polimerasi
si stacca dal DNA
5v
3v
3v
5v
5v
trascritto di RNA completato
3v
C17
LEZIONE
3 | Il passaggio dell’informazione genetica dal DNA all’RNA alle proteine
1.13 Prima di uscire dal nucleo
della cellula eucariote l’RNA
messaggero viene modificato
Figura 1.13
La costruzione
dell’mRNA in una
cellula eucariote.
L’RNA che codifica per le sequenze di amminoacidi delle proteine è chiamato RNA messaggero (mRNA), perché trasmette l’informazione genetica dal DNA al dispositivo di traduzione della
cellula. L’RNA messaggero viene trascritto a partire dal DNA stampo e il suo messaggio viene poi
tradotto, nel citoplasma, in catene polipeptidiche.
Nelle cellule procariote, che sono prive di nucleo,
trascrizione e traduzione avvengono entrambe nel
citoplasma. Nelle cellule eucariote, invece, le molecole di mRNA necessarie per la traduzione devono uscire dal nucleo attraverso i pori nucleari e
trasferirsi nel citoplasma, dove è situato l’apparato
per la biosintesi dei polipeptidi.
Negli eucarioti, prima di lasciare il nucleo, gli
mRNA vengono modificati, o elaborati, in vario
modo. Un tipo di elaborazione consiste nell’aggiunta di un breve “cappuccio” a un’estremità,
formato da un unico nucleotide G, e di una lunga coda all’altra estremità, che contiene da 50 a
250 nucleotidi di adenina ( Figura 1.13). Il cappucesone introne
esone
introne
esone
DNA
cappuccio
trascritto
di RNA con
cappuccio e coda
trascrizione
aggiunta del cappuccio e della coda
rimozione degli introni
coda
splicing degli esoni
animazione
Le funzioni dell’RNA
cio e la coda non vengono tradotti in una sequenza amminoacidica, ma facilitano l’esportazione
dell’mRNA dal nucleo, lo proteggono dall’attacco degli enzimi cellulari e promuovono il suo legame con i ribosomi.
Lo splicing dell’RNA. Gli eucarioti necessitano
anche di un altro tipo di elaborazione dell’RNA
perché, nella maggior parte dei geni, la sequenza
di DNA che codifica per i polipeptidi non è continua. Nelle piante e negli animali i geni includono
di solito regioni interne non codificanti, chiamate
introni. Le regioni codificanti, ossia le parti del
gene che saranno poi espresse come amminoacidi, sono chiamate invece esoni. Come mostra la
Figura 1.13, all’atto della trascrizione sia gli esoni
(in colore più scuro) sia gli introni (in colore più
chiaro) sono copiati dal DNA nell’RNA. Tuttavia,
prima che l’RNA lasci il nucleo, gli introni sono
rimossi mentre gli esoni si uniscono producendo
una molecola di mRNA con una sequenza codificante continua. (Le brevi regioni non codificanti adiacenti al cappuccio e alla coda sono considerate rispettivamente parti del primo e dell’ultimo
esone.) Questo processo di “taglia e cuci” è detto splicing. Nella maggior parte dei casi, lo splicing
dell’RNA è catalizzato da un complesso di proteine e di piccole molecole di RNA, ma a volte sono
gli stessi trascritti di RNA a catalizzare il processo. In altre parole, l’RNA può in alcuni casi funzionare come un enzima che rimuove i propri introni. Nella prossima unità vedremo che lo splicing
dell’RNA rappresenta anche un modo per produrre polipeptidi diversi a partire da un unico gene.
La sintesi dei polipeptidi prosegue a questo punto con il processo di traduzione, che coinvolge un
apparato molto più complicato rispetto alla trascrizione e costituito da vari componenti:
mRNA
䊏
sequenza codificante
nucleo
䊏
䊏
䊏
citoplasma
l’RNA di trasporto (tRNA), un altro tipo di
molecola di RNA;
i ribosomi, gli organuli nei quali avviene la traduzione;
enzimi e altri fattori proteici;
fonti di energia chimica, come l’ATP.
STEP BY STEP Perché molti geni degli eucarioti
© Pearson Italia spa
sono più lunghi del trascritto di mRNA che esce
dal nucleo?
1.14 Le molecole di RNA
di trasporto agiscono da interpreti
durante la traduzione
La traduzione di un messaggio da una lingua
all’altra richiede un interprete, ossia qualcuno
in grado di riconoscere le parole di una lingua
e convertirle in quelle di un’altra. Anche la tra-
C18
duzione del messaggio contenuto nell’mRNA
dal linguaggio dei nucleotidi a quello degli amminoacidi richiede un “interprete molecolare”,
uno speciale tipo di RNA chiamato RNA di
trasporto ( tRNA) che converte le parole di tre
lettere (i codoni) degli acidi nucleici nelle parole di una sola lettera (gli amminoacidi) delle
proteine.
La biologia molecolare del gene | UNITÀ 1
sito di legame
per l’amminoacido
legame
idrogeno
catena polinucleotidica
di RNA
anticodone
Figura 1.14A La struttura del tRNA.
Nel citoplasma di una cellula pronta a eseguire la
traduzione è presente una fornitura completa di
amminoacidi, ricavati dal cibo o prodotti a partire
da altre sostanze chimiche. Gli amminoacidi, però,
non sono in grado di riconoscere da soli i codoni
lungo l’RNA messaggero. È dunque compito degli interpreti molecolari della cellula, le molecole
di tRNA, abbinare gli amminoacidi giusti ai rispettivi codoni, così da sintetizzare il nuovo polipeptide. Per svolgere questo compito, le molecole
di tRNA devono:
1. unirsi ai giusti amminoacidi, tra quelli presenti
nel citoplasma;
2. riconoscere sull’mRNA i codoni corrispondenti
a ciascun amminoacido.
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La particolare struttura delle molecole di tRNA
permette loro di svolgere entrambe le funzioni.
La struttura del tRNA. Come mostra la Figura
1.14A , una molecola di tRNA è formata da un singolo fi lamento di RNA (una catena polinucleotidica) che consiste di circa 80 nucleotidi. Avvolgendosi e ripiegandosi su se stesso, il tRNA forma
alcune regioni a doppio fi lamento, nelle quali brevi segmenti di RNA appaiano le proprie basi azotate a quelle complementari di un altro segmento.
A un’estremità ripiegata della molecola, un’ansa a
singolo fi lamento contiene una tripletta di cruciale importanza, chiamata anticodone. Ogni anticodone del tRNA è infatti complementare a un
particolare codone dell’mRNA, al quale si appaia
durante la traduzione. All’altra estremità della molecola di tRNA si trova invece il sito di legame
per l’amminoacido.
Nei prossimi paragrafi, in cui approfondiremo
il processo della traduzione, rappresenteremo il
tRNA con la forma semplificata mostrata nella Figura 1.14A a destra. Questo simbolo mette in evidenza le due parti fondamentali della molecola di
tRNA, l’anticodone e il sito di legame per l’amminoacido, che consentono di associare uno specifico codone dell’acido nucleico a un particolare
amminoacido della proteina in formazione. Sebbene tutte le molecole di tRNA siano simili, ogni
amminoacido ha il proprio tRNA, leggermente
diverso dagli altri, al quale si lega grazie a un enzima specifico. Questo legame mediato dall’enzima richiede una molecola di ATP come fonte di
energia. Il complesso amminoacido-tRNA che ne
risulta può quindi aggiungere il proprio amminoacido alla catena polipeptidica in via di formazione, attraverso un processo che descriveremo nel
prossimo paragrafo.
L’immagine al computer della Figura 1.14B mostra una molecola di tRNA (in rosso e in giallo)
e una molecola di ATP (in viola) legate all’enzima (in blu). Notate le diverse proporzioni di
queste tre molecole; l’amminoacido che dovrebbe attaccarsi al tRNA non è illustrato, ma le sue
dimensioni sarebbero inferiori alla metà di quelle
dell’ATP.
Figura 1.14B
Una molecola
di tRNA legata
a una molecola
enzimatica (in blu).
STEP BY STEP Che cos’è un anticodone
e qual è la sua funzione?
C19
LEZIONE
3 | Il passaggio dell’informazione genetica dal DNA all’RNA alle proteine
1.15 I ribosomi assemblano
i polipeptidi
NN FLASH BACK
Rivedi le strutture
e le funzioni
della cellula.
Figura 1.15
A La vera forma
di un ribosoma
in funzione.
B I siti di legame
di un ribosoma.
C Un ribosoma
con i siti di legame
occupati.
Per tradurre l’informazione genetica, la cellula
utilizza diversi tipi di molecole: l’mRNA (che
trasporta le istruzioni contenute nel DNA), il
tRNA (che interpreta le istruzioni), gli amminoacidi (presenti nel citoplasma), vari enzimi (per
legare gli amminoacidi al tRNA) e l’ATP (che
fornisce energia). Per completare il processo occorrono i ribosomi, organuli situati nel citoplasma che coordinano il funzionamento di mRNA
e tRNA ed eseguono materialmente l’assemblaggio dei polipeptidi.
Un ribosoma consiste di due subunità, ciascuna formata da proteine e da un tipo di RNA detto
RNA ribosomiale (rRNA). La Figura 1.15A mostra
la forma e la grandezza relativa delle subunità ribosomiali, nonché la posizione relativa dell’mRNA,
del tRNA e del polipeptide in formazione durante
la traduzione.
molecole
di tRNA
polipeptide
in formazione
A
subunità
maggiore
flash back
Viaggio all’interno della cellula
I ribosomi sono componenti cellulari di tutti gli
organismi, ma, mentre nelle cellule procariote si
trovano soltanto liberi nel citoplasma, in quelle eucariote possono essere anche legati al reticolo endoplasmatico ruvido.
Gli schemi delle Figure 1.15B e 1.15C mostrano come gli anticodoni del tRNA e i codoni
dell’mRNA si legano ai ribosomi, ciascuno dei
quali ha un sito di legame per l’mRNA e due siti
di legame per il tRNA (Figura 1.15B). Nella Figura 1.15C vediamo invece come le molecole di
tRNA occupano questi due siti: le subunità del ribosoma agiscono come una morsa, tenendo vicine
le molecole di tRNA e di mRNA e permettendo
quindi agli amminoacidi legati alle molecole di
tRNA di unirsi e formare una catena polipeptidica. Nei prossimi due paragrafi esamineremo da
vicino i singoli passaggi della traduzione.
STEP BY STEP Qual è il compito del ribosoma
durante la sintesi proteica?
B
amminoacido
seguente da
aggiungere
al polipeptide
C
siti di legame per il tRNA
polipeptide
in formazione
subunità
maggiore
sito di
legame
per
l’mRNA
subunità
minore
mRNA
subunità
minore
1.16 L’inizio del messaggio portato
dall’mRNA è indicato da uno speciale
codone
© Pearson Italia spa
Come la trascrizione, anche il processo di traduzione può essere diviso in tre fasi: inizio, allungamento e terminazione. Nella fase di inizio, l’mRNA
inizio del messaggio
genetico
fine
Figura 1.16A Una molecola di mRNA.
C20
tRNA
mRNA
codoni
entra in contatto con un tRNA che porta il primo
amminoacido e avviene l’attacco delle due subunità del ribosoma.
La molecola di mRNA trascritta a partire dal
DNA stampo è più lunga rispetto al messaggio
genetico che contiene ( Figura 1.16A ). Le sequenze
di nucleotidi poste a entrambe le estremità della molecola (in rosa chiaro nella figura) non fanno parte del messaggio, ma facilitano il legame
dell’mRNA con il risoboma. Il processo di inizio
ha quindi la funzione di stabilire esattamente il
punto di inizio della traduzione, verificando che
i codoni dell’mRNA siano tradotti nella corretta
sequenza di amminoacidi.
La fase di inizio avviene in due tappe ( Figura
1.16B ). Una molecola di mRNA si unisce alla subunità ribosomiale più piccola, mentre uno speciale tRNA di partenza si lega al codone di inizio
AUG, a livello del quale incomincia la traduzione
dell’mRNA. Il tRNA di partenza possiede l’anticodone UAC, complementare al codone di inizio
attività
La traduzione
La biologia molecolare del gene | UNITÀ 1
animazione
La traduzione
Met
Met
subunità maggiore
del ribosoma
tRNA di partenza
sito P
UA C
AUG
sito A
UA C
AUG
codone di inizio
mRNA
subunità
minore del ribosoma
AUG, e trasporta l’amminoacido metionina (Met).
A questo punto, la subunità ribosomiale più grande si unisce a quella più piccola, formando un ribosoma funzionale. Il tRNA di partenza si colloca
in uno dei due siti di legame per il tRNA (detto
sito P, cioè sito peptidico), a cui in seguito sarà
ancorato il polipeptide nascente. L’altro sito del ri-
bosoma, chiamato sito A (sito amminoacidico),
ancora vuoto, è pronto per accogliere il successivo
tRNA, legato all’amminoacido corrispondente.
Figura 1.16B L’inizio
della traduzione.
STEP BY STEP Che cosa può accadere se,
per un errore, il codone di inizio viene sostituito
da un altro codone?
1.17 Nella fase di allungamento
amminoacido
la catena polipeptidica si accresce
finché il codone di arresto termina
la traduzione
polipeptide
sito P
sito A
anticodone
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Una volta completata la fase di inizio, nuovi amminoacidi sono aggiunti al primo amminoacido
della sequenza, uno alla volta, secondo un processo di allungamento che si svolge in tre tappe ( Figura 1.17).
1. Riconoscimento del codone. L’anticodone
di una molecola di tRNA, unita all’amminoacido corrispondente, si appaia con il codone
dell’mRNA nel sito A del ribosoma.
2. Formazione del legame peptidico. Il polipeptide si separa dal tRNA al quale era legato
(nel sito P) e si attacca, mediante un legame peptidico, all’amminoacido trasportato dal tRNA
nel sito A. Un ribosoma catalizza la formazione
del legame. In questo modo un altro amminoacido si è aggiunto alla catena.
3. Traslocazione. Il tRNA del sito P lascia il ribosoma e il tRNA che si trovava nel sito A viene spostato, insieme al polipeptide, dal sito A al
sito P. Codone e anticodone rimangono legati,
l’mRNA e il tRNA si muovono insieme. Questo movimento porta nel sito A il successivo codone di mRNA da tradurre, e il processo può
quindi ricominciare dalla tappa 1.
L’allungamento continua finché nel sito A del ribosoma giunge un codone di arresto (UAA, UAG
o UGA) che interrompe la traduzione. Questa è la
fase di terminazione della traduzione: il polipeptide
completo si stacca dall’ultimo tRNA e abbandona
il ribosoma, le cui subunità si separano di nuovo.
mRNA
codoni
1 riconoscimento
del codone
spostamento
dell’mRNA
codone
di arresto
2 formazione del
legame peptidico
3 traslocazione
nuovo legame
peptidico
Figura 1.17
L’allungamento
del polipeptide.
STEP BY STEP Che cosa accade al tRNA
nel sito A e nel sito P del ribosoma durante
la fase di allungamento?
C21
LEZIONE
3 | Il passaggio dell’informazione genetica dal DNA all’RNA alle proteine
DNA
1.18 In sintesi: il flusso
trascrizione
mRNA
RNA
polimerasi
amminoacido
dell’informazione genetica procede
dal DNA all’RNA e dall’RNA
alle proteine
1 l’mRNA è trascritto
a partire da un DNA
stampo
2 ogni amminoacido
si lega al rispettivo
tRNA grazie all’aiuto
di uno specifico enzima
e dell’ATP
traduzione
enzima
ATP
tRNA
anticodone
subunità
maggiore
del ribosoma
tRNA di
partenza
UA C
AUG
mRNA
codone di inizio
subunità
minore
del ribosoma
3 inizio della sintesi polipeptidica
l’mRNA, il primo tRNA e le subunità
ribosomiali si uniscono
si forma un nuovo
legame peptidico
polipeptide
in formazione
codoni
© Pearson Italia spa
mRNA
4 allungamento
molecole di tRNA aggiungono in successione
gli amminoacidi alla catena polipeptidica
mentre l’mRNA si sposta lungo il ribosoma,
un codone alla volta
La Figura 1.18 riassume i principali passaggi del flusso di informazione genetica dal DNA all’RNA alle proteine.
Tappa 1 Nella trascrizione (DNA → RNA),
l’RNA è sintetizzato a partire da un DNA stampo.
Nelle cellule eucariote, la trascrizione ha luogo nel
nucleo e quindi l’RNA messaggero deve spostarsi
da questa sede al citoplasma.
Tappe 2 - 5 La traduzione (RNA → proteine) può essere suddivisa in quattro tappe, che
avvengono tutte nel citoplasma. Alla fi ne dell’ultima tappa, quando il polipeptide è completo, le
due subunità del ribosoma si separano, liberando
il tRNA e l’mRNA (questo passaggio non è mostrato nella figura). La traduzione avviene rapidamente; un singolo risoboma può sintetizzare un
polipeptide di medie dimensioni in meno di un
minuto. Di solito, una molecola di mRNA viene
tradotta simultaneamente da più ribosomi. Quando il codone di inizio esce dal primo ribosoma, vi
si può attaccare un secondo ribosoma; in tal modo,
lungo la stessa molecola di mRNA possono inserirsi diversi ribosomi (che formano nel complesso
un poliribosoma).
Ogni polipeptide, poi, si avvolge e si ripiega assumendo una configurazione tridimensionale che
costituisce la sua struttura terziaria e che dipende
dalla sequenza degli amminoacidi; se si uniscono
diversi polipeptidi, la proteina assume anche una
caratteristica struttura quaternaria.
Al termine della sintesi, una sequenza specifica di amminoacidi della proteina, detta sequenza
segnale, indica la sua destinazione, che può essere uno degli organuli cellulari oppure il reticolo
endoplasmico, dove viene modificata. In generale, attraverso la trascrizione e la traduzione i geni controllano le strutture e le attività cellulari o,
per dirla in breve, il genotipo specifica il fenotipo.
L’informazione contenuta nei geni, infatti, si traduce in polipeptidi con la mediazione dell’RNA.
Le proteine che si formano a partire dai polipeptidi, alla fine, determinano l’aspetto e le proprietà
delle cellule e quindi dell’intero organismo.
STEP BY STEP Quale tra le molecole e le strutture
polipeptide
codone di arresto
C22
5 terminazione
il ribosoma riconosce
un codone di arresto;
il polipeptide è terminato
e viene liberato
elencate sotto non partecipa direttamente
alla traduzione?
ribosomi • tRNA • mRNA • DNA • ATP • enzimi
Figura 1.18 I processi di trascrizione e traduzione
in una cellula eucariote.