L`invasione giapponese

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GESTIONE LE NUOVE INFESTANTI D’OLTRE OCEANO
Particolare (a sinistra)
e visione d’insieme
della Reynoutria
japonica (a destra)
nelle prime fasi
vegetative primaverili
(marzo-aprile).
L’invasione
giapponese
Testo di Fulvio Caronni, forestale, Parco Lombardo della Valle del Ticino; foto di Giorgio Buizza
a globalizzazione, come noto, sta
portando un flusso ininterrotto di specie
animali e vegetali provenienti da altre
regioni del globo. A volte queste entità sembrano rimanere per decenni in uno stadio di adattamento intermedio, quasi difficoltoso, poi più
o meno improvvisamente cominciano a manifestare la loro invasività, divenendo via via una
vera e propria minaccia per gli ecosistemi
originari. Una di queste specie, che sta progressivamente aumentando la propria presenza nel
nostro Paese, è senza dubbio il poligono del
Giappone (Reynoutria japonica Houtt., sinonimi: Fallopia japonica (Houtt.) Ronse Decr. ;
Polygonum cuspidatum Siebold & Zucc.).
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Chi scrive ricorda di averla osservata negli
ultimi 10 anni, più o meno sporadicamente, in
tutte le regioni della Pianura Padana, ma sino
a questi ultimi anni non sembrava possedere
le spiccate doti di competizione proprie di
altre specie esotiche invadenti, quali il prugnolo tardivo (Prunus serotina Ehrh.) o la cosiddetta zucchina americana (Sicyos angulatus).
Entità queste ultime che, purtroppo, sono in
grado di sconvolgere completamente gli equilibri degli ecosistemi con i quali vengono a
contatto: rispettivamente i boschi, in quasi
tutte le formazioni dell’alta Pianura Padana,
per la prima specie, o la vegetazione ripariale, arbustiva o anche forestale, per la seconda.
Sempre più frequentemente però, anche il
poligono del Giappone sta evidenziando velocità di diffusione e capacità di imporsi, escludendo dalle aree invase la quasi totalità delle
altre specie vegetali. Poiché la sua presenza,
già nei decenni scorsi, si è dimostrata dannosa in altri stati dell’Europa, è giunto il
momento di conoscerla meglio e di contrastarne l’ulteriore espansione.
Caratteristiche del poligono
e di altre specie simili
Il poligono del Giappone (Reynoutria japonica Houtt.), è una pianta erbacea perenne
originaria dell’Asia orientale, importata in
Europa circa due secoli fa come foraggio e
come specie ornamentale.
La pianta appare in primavera con getti
che in poche settimane raggiungono l’altezza di 1-2 m e oltre; i fusti, cavi all’interno e
di 1-2 cm di diametro, sono dapprima rossastri, poi divengono verdi, punteggiati per la
presenza di sottili macchie di colore rosso. Le
foglie sono alterne, di forma ovale-lanceo-
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Reynoutria japonica, un’erbacea perenne originaria dell’Asia
orientale, in quasi dieci anni dal primo avvistamento nel nostro
Paese si è diffusa in gran parte del Nord Italia escludendo la quasi
totalità delle altre specie vegetali. Conoscerla equivale a contrastarla
GESTIONE
A sinistra, i tipici culmi vuoti
della pianta nel periodo invernale.
Un eventuale impiego a scopo
energetico di questi fusti leggeri
e fragili avrebbe risultati deludenti.
La sua diffusione
in Italia e in Europa
▼
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lata, a base troncata e con apice acuto,
larghe da 3 a 7 cm e lunghe da 5 a 15 cm. I
fiori, di piccole dimensioni e di colore bianco,
sono riuniti in spighe; appaiono da luglio a
settembre. Le piante formano macchie piuttosto estese e particolarmente fitte, che impediscono l’insediamento e lo sviluppo di altre
specie. Nel tardo autunno le parti aeree della
pianta muoiono, rimangono però ben visibili i
fusti di colore bruno e di aspetto legnoso. La
specie è dioica, quindi le piante possiedono
solamente fiori maschili o femminili; si ritiene
che gli individui presenti in Europa siano esclusivamente femminili, e i pochi casi nei quali
si è osservata la produzione di semi, si ritiene
siano dovuti a fenomeni di ibridazione. Tali
incroci possono verificarsi con specie del genere Fallopia, molto simili a Reynoutria, o con
Reynoutria sachalinensis (F. Schmidt) Nakai.
In Italia si ritrova, pur se molto più raramente del poligono del Giappone, anche il poligono di Sachalin (Reynoutria sachalinensis
(F.Schmidt) Nakai, sinonimi: Fallopia sachalinensis (F. Schmidt) Ronse Decr.; Polygonum sachalinense F. Schmidt). Questa specie è
però presente anche con piante maschili, che
possono incrociarsi con il poligono del Giappone dando origine a individui ibridi che
vengono ritenuti una terza e diversa entità
Reynoutria x bohemica Chrtek & Chrtkova,
chiamata così perché classificata per la prima
volta nella Repubblica Ceca. Il poligono di
Sachalin si distingue dal poligono del Giappone per le maggiori dimensioni dei fusti, alti fino
a 4 metri, e per le foglie lunghe anche 40 cm e
a base cordata. L’ibrido presenta caratteri intermedi tra le due specie, ma mentre il poligono
di Sachalin può essere considerato naturalizzato e non invasivo, Reynoutria x bohemica
presenta caratteristiche di maggiore invasività.
Il poligono del Giappone è piuttosto diffuso
in Piemonte e Lombardia, ma è presente anche
in Veneto, Friuli Venezia Giulia e Toscana, con
segnalazioni in Trentino, Valle d’Aosta, Emilia
e Liguria. È importante segnalare che, non
essendo presenti individui maschili, la riproduzione avviene per via vegetativa, tramite la
diffusione di rizomi o parti del fusto. Questi,
una volta a contatto col terreno, sono in grado
di radicare dagli internodi del fusto o dai rizomi, dando origine a nuovi soggetti. È possibile
anche l’espansione sotterranea dei rizomi.
La pianta predilige stazioni con molta luce
e suoli umidi, in particolare lungo le rive dei
corsi d’acqua, dai quali viene anche diffusa
con facilità, ma si ritrova spesso negli
ambienti più diversi (radure all’interno dei
boschi, ghiaioni, scarpate ferroviarie ecc.).
Nei luoghi ove la specie realizza la sua invasione, in poco tempo ricopre il suolo con un
fitto intrico di fusti e anche i primi strati del
sottosuolo vengono interessati da una maglia
inestricabile di rizomi che tendono tra l’altro ad
anastomizzare, cioè a fondersi al contatto gli
uni con gli altri. In queste situazioni, quasi tutte
le altre specie vengono “espulse” dalla comunità vegetale, la biodiversità decresce drasticamente (il numero di specie cala di circa il 7080%) e riescono a sopravvivere solo le altre
specie erbacee più resistenti, spesso altre esotiche. Oltre a impedire lo sviluppo delle specie
autoctone, questa esotica può arrecare altri
“Transitare in una zona in presenza
di Reynoutria japonica dà una sensazione
di disagio simile all’attraversamento
di un canneto: non si percepisce più nulla
né davanti, né dietro, né a fianco”.
iorgio Buizza, agronomo, presidente
dell’Ordine dei dottori agronomi e foG
restali di Como, Lecco e Sondrio, già direttore del Parco di Monza, nonchè membro
del comitato di redazione di ACER, illustra,
attraverso alcune domande, la sua pluriennale esperienza che l’ha portato a occuparsi
di questa infestante.
La sua attività professionale le ha fatto
conoscere da vicino il Parco di Monza e la
Valle del Lambro: è il caso di preoccuparsi
della Reynoutria japonica?
Se l’atteggiamento di fondo è di lasciar fare
liberamente alla natura non ci si dovrebbe
preoccupare in quanto anche questa specie
risponde ai criteri che oggi si potrebbero definire “bio”; la specie si sviluppa da sé, non
richiede concimazioni né altri interventi antropici, risponde solo a regole della natura. Se invece l’atteggiamento è di preservare e favorire la
biodiversità e di mantenere i caratteri ambientali e il paesaggio propri di un determinato
luogo allora la specie va considerata e contrastata proprio come un invasore, un despota
intollerante della diversità e della complessità.
Come e dove ha avuto la possibilità di
Le foglie della Reynoutria japonica:
a Reynoutria japonica appare in primavera emettendo
delle caratteristiche gemme rosse che nel giro di un
paio di mesi si trasformano in fusti lunghi anche 1 m. Questi
fusti, dapprima rossastri, poi divengono verdi punteggiati di
sottili macchie di colore rosso che portano delle foglie alterne, le quali di norma hanno una forma ovale-lanceolata. In
realtà a un occhio attento non può sfuggire la presenza di foglie caratterizzate da forme molto diverse tra loro pur appartenendo alla stessa specie. Reynoutria japonica, infatti, è
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GESTIONE
Un’esperienza diretta
riscontrare questi risultati?
Ho incontrato questa pianta già negli anni
’80 lungo le sponde del Lambro nel Parco di
Monza. In quel periodo la pianta attirò la mia
attenzione perché con il suo vigore vegetativo rendeva praticamente inaccessibili, durante la stagione estiva, alcuni tratti di sponda del
fiume e nascondeva completamente la vista
dell’acqua al visitatore. Allora si trattava di
presenza episodica che lasciava ancora sgombra gran parte della sponda del fiume.
L’alterazione paesaggistica è quindi
molto evidente?
Transitare nella zona ripariale in presenza
di Reynoutria japonica in vegetazione provoca una sensazione di disagio simile all’attraversamento di un canneto o di un campo di
mais a maturità: non si percepisce più nulla
né davanti, né dietro, né a fianco. Dato che
la pianta raggiunge facilmente l’altezza di 22,5 m di altezza e i fusti si addensano l’uno
all’altro, la trama è così densa e compatta da
rendere quasi impossibile il transito. È sufficiente una fascia ripariale di 2-3 m di larghezza per perdere qualunque contatto con il
fiume e con la vista dell’acqua.
Ha constatato un’espansione della Reynoutria japonica negli anni recenti?
In assenza di specifico monitoraggio è difficile fornire elementi esatti di valutazione; indicativamente si può affermare che tutte le sponde del Lambro, nella parte pianeggiante da
Merone a Monza, sono ormai invase dalla
Reynoutria japonica che conquista progressivamente spazio grazie alla sua autosufficienza
e alla sua aggressività e grazie al trasporto
verso valle di piccoli cespi da parte della
corrente del fiume.
Dato che questa specie cancella le altre
erbacee e arbustive, sia per il forte sviluppo
degli apparati radicali e le dimensioni dei
cespi, sia per l’ombra densa prodotta dal
fogliame, la situazione è preoccupante per la
monotonia del paesaggio che genera. Oltre
tutto questa pianta è in grado di colonizzare
anche le sponde protette dalle scogliere e dai
massi ciclopici perché riesce a insediarsi
nelle fughe tra i massi dove diviene praticamente impossibile da contenere e sradicare.
Un altro elemento di valutazione riguarda
la distanza dal fiume a cui ora è rilevabile la
Reynoutria japonica: mentre alcuni anni fa
l’infestante era rilevabile quasi esclusivamente lungo le sponde del fiume e sugli argini, oggi la specie si ritrova abbondantemente anche nei Giardini Reali e ai bordi del
parcheggio presso la porta di Monza, a
distanza di oltre 1500 m dal Lambro. Questo
significa che, se è vero che la Reynoutria
japonica predilige le sponde soleggiate e
sabbiose, è altrettanto adattabile alle zone
asciutte e con terreno compatto. Non viene
fermata neppure dall’ombra delle grandi
latifoglie arboree perché seppure con minore invadenza è presente anche sotto una
copertura densa di querce e di carpini.
tutte diverse ma tutte uguali
contraddistinta da una variabilità morfologica molto elevata
delle foglie: possono essere arrotondate, appuntite, a base
tronca, a base lobata, oppure con piccole macchie biancastre sulla pagina superiore. La pianta predilige stazioni con
molta luce e suoli umidi, in particolare è presente lungo le
rive dei corsi d’acqua. Dagli ultimi accertamenti, tuttavia, è
stato appurato che è in grado di colonizzare anche ambienti più asciutti: per esempio nel Parco di Monza è stata
rintracciata a una distanza di oltre 1500 m dal Lambro.
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Ci può dare qualche suggerimento
per la manutenzione?
Come spesso è accaduto e continua ad
accadere sono anche i giardinieri e i manutentori del verde la causa della diffusione
dell’infestante così come accade per i parassiti, per i funghi e per le patologie epidemiche. Nel caso della Reynoutria japonica è
necessario prestare molta attenzione nello
spostamento di materiale terroso per riempimenti, pareggiamenti o integrazioni del
substrato. Spostare zolle di terra contenenti
cespi o semplici frammenti verdi di questa
erbacea significa estendere la diffusione
dell’infestante anche in zone dove, da sola,
forse non sarebbe arrivata. Intervenire con
macchine trinciatrici per lo sfalcio del sottobosco o del prato, lasciando il trinciato a terra
equivale a disseminare la pianta grazie alla
sua capacità di sviluppare nuove radici dagli
internodi verdi. Sembrerebbe quindi più
opportuno lo sfalcio al piede dei fusti con
raccolta e distruzione delle risulte.
Altre possibili soluzioni “biologiche”?
È necessario scovare i competitori naturali (parassiti, funghi, insetti) con le dovute
cautele per evitare che le cure abbiano effetti deleteri anche su altre componenti dell’ambiente. Sarebbe auspicabile anche un uso
foraggero di questa pianta: non è però ancora noto quale possa essere la specie animale
che gradisce, come nutrimento, le foglie e i
fusti della Reynoutria. La brucatura dei
germogli sarebbe certamente auspicabile e
avrebbe sicuramente un effetto positivo.
L’uso della biomassa a scopo energetico
trova come limite l’alto contenuto di acqua
nei tessuti di questa specie. Allo stato secco,
nella stagione invernale, la pianta è costituita da fusti cavi, leggeri, fragili, la cui eventuale raccolta avrebbe un risultato deludente
sotto l’aspetto del valore energetico e della
complessità delle operazioni di raccolta.
Che fare dunque?
Credo che sia necessario approfondire
ricerca e sperimentazione sia sul versante
biologico sia su quello dell’intervento antropico. In attesa di scovare soluzioni totalmente
biologiche è auspicabile l’intervento di
contenimento anche basato sull’impiego di
modeste quantità di prodotti chimici a basso
impatto ambientale, pur riconoscendone i
limiti e i rischi. Lasciare però che questa
specie esotica invadente alteri il paesaggio e
impoverisca l’ambiente senza che si faccia
nulla per porvi rimedio mi sembra molto più
deleterio e criticabile.
F.C.
GESTIONE
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danni di un certo rilievo lungo i torrenti
giungendo, quando particolarmente abbondante, a occludere le luci di piccoli ponti. Casi
di questo fenomeno sono segnalati già da più
di un decennio nel Galles, dove è proprio la
NRA (National rivers authority), un po’ il
nostro Genio civile, che più si è impegnata,
assieme agli Enti parco e alla Environment
agency, nelle iniziative di contenimento.
A proposito della presenza della specie in
Europa, il poligono del Giappone si è diffuso,
secondo Flora Europea del 1993, in quasi tutti
i Paesi, dal Portogallo e dalle isole britanniche
sino alla Russia centrale e baltica, con la sola
esclusione della Grecia.
Possibilità e opportunità
di controllo o contenimento
Il contenimento e l’eliminazione di questa
specie risultano particolarmente difficili: i
rizomi si trovano sino a 2-3 metri di profondità, ed è peraltro da sconsigliare qualsiasi
tentativo di asportazione delle radici, poiché
frammenti anche di pochi centimetri possono dare origine a nuovi individui.
La lotta meccanica e chimica sarebbe da
attuarsi durante la stagione vegetativa: lo sfalcio ripetuto delle parti aeree indebolisce la pianta, ma sembra che siano necessari almeno
cinque anni di tagli prima della sua devitalizzazione. È inoltre assolutamente indispensabile la
distruzione del materiale di risulta (preferibilmente mediante abbruciamento), poiché come
detto anche i frammenti del fusto, una volta a
contatto col terreno, sono in grado di radicare
dando origine a nuovi individui. Anche i trattamenti con diserbanti vanno ripetuti più volte
e per diversi anni fino alla scomparsa della pianta. Se all’inizio dell’invasione la lotta meccanica può bastare (taglio ripetuto, pascolo…),
per i casi più complessi è proprio dall’esperienza gallese che derivano le linee guida di
contenimento risultate più efficaci: si propone
il taglio dei “macchioni” di poligono nella
stagione invernale, quando la parte aerea ormai
secca non può riprodursi dagli internodi, eliminando così il rischio di diffusione. Quindi, nei
seguenti mesi di aprile-maggio, quando la
nuova vegetazione ha raggiunto l’altezza di
Sopra, da sinistra, i germogli rossi
appaiono a febbraio con il risveglio
vegetativo; la pianta nel suo aspetto
estivo; la caratteristica coloritura a
macchioline rosse del fusto. Sotto,
pianticella di olmo con shelter destinata
a soccombere per la forte vigoria
vegetativa della Reynoutria japonica.
un singolo proprietario, un intervento una
tantum può fermare l’invasione. L’opportunità
della lotta al poligono del Giappone è suggerita dall’attuale fase ancora iniziale della sua
diffusione, ma in assenza di intervento in pochi
anni essa potrebbe diventare improba e certamente molto più costosa.
■
circa di 1 metro, così da essere ancora facilmente raggiungibile dagli operatori, ma da aver
raggiunto un sufficiente sviluppo fogliare, si
deve aspergere la parte aerea utilizzando disseccanti sistemici (glifosate, 2,4-D, triclopir), che
vengono assorbiti e traslocati fino all’apparato radicale: in alcuni casi due trattamenti
(maggio e settembre) sono stati sufficienti a
eliminare le pur fitte colonie della pianta; con
cinque interventi in tre anni il problema è certamente risolto. Tale tipo di trattamento è già
stato riprodotto con successo in alcuni nuclei
di poligono presenti nel Parco del Ticino, eliminando quasi totalmente l’invasione.
Se l’uso degli erbicidi non è mai auspicabile per la gestione di ambienti naturali o seminaturali, un uso attento, nel caso di tale specie
non può al momento essere escluso, in assenza di altri metodi efficaci. Inoltre se localmente organizzato per piccoli comprensori, non da
Riferimenti bibliografici
NATIONAL RIVERS AUTHORITY, 1994. Guidance for the control of invasive plants
near watercourses: Japanese Knotweed,
Giant Hogweed. Hymalayan Balsam.
PADULA M., LASTRUCCI L., FIORINI G., GALASSO G., Z OCCOLA A., Q UILGHINI G.,
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x bohemica Chrtek & Chrtková (Polygonaceae) per l’Italia e analisi della distribuzione del genere Reynoutria Houtt.
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WELSH DEVELOPMENT AGENCY, 1991. Guidelines for the control of Japanese
Knotweed.
Abstract
The Japanese Invasion
Reynoutria japonica, a perennial herbaceous species which originates from Eastern
Asia, almost ten years from the first time it
was seen in Italy, has spread across a large
part of Northern Italy, excluding nearly all
other plant species. Biodiversity dramatically plummets in its presence, so much that the
number of species can decrease even by 7080%. Actions for its containment and elimination must therefore be implemented,
although difficult since its rhizomes reach up
to 2-3 metres deep.
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