Luciano Gallino, Il denaro, il debito e la doppia

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Luciano Gallino, Il denaro, il debito e la doppia crisi spiegati ai nostri nipoti
Il libro di Gallino per spiegare la crisi ai nipoti è un libro serio; richiede nipoti motivati,
seri; magari nati ieri, ma, come la nata ieri eponima, disposti a informarsi, a ragionare. Non
è pubblicità di una tesi dimostrata altrove. Liberi di scegliere, scritto con la moglie Rose da
Milton Friedman, l'autore emblematico delle tesi neoliberali al momento dominanti,
serissimo quando scriveva per gli economisti, era una favola per il pubblico. Questo libro
non è una favola. Non richiede competenze specialistiche, ma certo richiede voglia di
informarsi, magari di studiare. Se vi sembra un incubo, abbiate pazienza. Non ve ne
libererete svegliandovi. E' il mondo là fuori che è così.
“Dire ciò che è, rimane l'atto più rivoluzionario” è la citazione di Rosa Luxemburg che,
con la dedica ai nipoti, apre il volume.
La struttura e le tesi principali
L'introduzione ripercorre i modi della scomparsa del pensiero critico dalla cultura
dominante. Giustificazioni di comodo, qualche volta proprio insensate “distorcono la realtà
al fine di legittimare l'ordine esistente a favore delle élite”, il 10%, l'1% della popolazione
che possiede una percentuale fuori misura della ricchezza. Crisi economica e crisi
ecologica hanno la stessa origine nella enorme espansione della finanza, della creazione
di moneta da parte delle banche e di privati, anche fuori delle banche, senza alcuna base
materiale, mentre il lavoro viene pagato sempre meno ed esportato dove il meno diventa
quasi nulla. I gruppi finanziari sono più potenti degli Stati, regolano i loro rapporti tra loro
senza passare per i parlamenti, moltiplicano il denaro anche senza passare per la
produzione di beni e servizi, senza limiti, senza proteggere i beni comuni indispensabili,
come l'acqua, l'ambiente, il paesaggio. Non c'è stato un eccesso di spesa sociale. Il
controllo della finanza sugli Stati, la distruzione dei servizi pubblici, è un fine in sé della
classe dominante. In Italia la crisi è particolarmente grave per lo smantellamento
dell'industria pubblica manifatturiera, per la dipendenza dall'estero, in particolare dalla
Germania, di ciò che resta, per il basso livello e la corruzione della classe dirigente. Il
sistema ha debolezze intrinseche che lo condannano. La crisi ecologica colpisce tutti;
l'impoverimento dei senza lavoro e di molti lavoratori è in contrasto con il primato dei
consumi di massa. Non si può aspettare però che tutto venga giù; meno che mai che
migliori da sé. Bisogna porre limiti drastici al potere della finanza di creare denaro (il
riferimento dell'Autore è, come in lavori precedenti, ad Irving Fisher, che era un
economista liberale onesto, ed alla sua proposta, dopo la crisi del '29, di limitare i prestiti
bancari al valore dei depositi); bisogna investire nella protezione dell'ambiente e del
territorio, creando così lavoro. Bisogna rifare e aggiustare le scuole, gli ospedali, le strade,
i ponti; arginare le frane. Il libro ha convincenti elenchi di lavori che non si possono che
condividere e completare.
Rispetto ai libri che lo hanno preceduto, Coi soldi degli altri, Finanzcapitalismo, Il
colpo di Stato di banchi e governi, questo è altrettanto preciso ma più generale e più
esplicito. I riferimenti culturali sono gli stessi: la tradizione liberale e socialdemocratica,
Brandeis e Hilferding, e il marxismo critico. Il tono, il modo della presentazione, è
cambiato. Gallino, anche negli interventi in dibattiti, di solito non polemizza. Espone la sua
tesi per intero; pone qualche domanda a quelli di cui condivide le tesi; lascia che gli
ascoltatori traggano le conclusioni. Stavolta ha perso la pazienza. E' più diretto e polemico.
Tra un blocco e l'altro di dimostrazioni e proposte c'è anche qualche invettiva. Forse per
farsi capire dai nipoti; forse perché il contesto è saltato: si dice di tutto, senza sponde, e se
non si sottolineano i contrasti non si comunica più nulla.
La coerenza di una vita
Si sbaglierebbe a pensare che la critica dell'Autore allo stato di case presente sia
una svolta da vecchio, una rottura col passato, con la giovinezza. Gallino ha avuto la
fortuna, come quelli della sua generazione, anno più anno meno, di vivere da giovane in
una parentesi (la definizione è di Marcello De Cecco) del sistema capitalistico mondiale: il
periodo tra immediato anteguerra, guerra e dopoguerra, in cui i soldi sono stati usati per
produrre qualcosa anziché per arricchirsi e basta; l'unico periodo in un secolo e mezzo in
cui non c'è stata disoccupazione intellettuale in Italia (vedi Barbagli). Ha avuto la fortuna di
vivere in una città, Ivrea, e in un'azienda, la Olivetti, in cui si formavano, si rispettavano, i
lavoratori, i loro diritti, i loro bisogni, i loro paesi di origine, anche il loro senso estetico. E'
Gallino che ha raccontato, qualche anno fa, ad un incontro con sociologi e psicologi del
lavoro, alla commemorazione di uno di loro, Francesco Novara, che alla Olivetti
cromavano un perno interno di una macchina che nessuno avrebbe visto mai una volta
montato, salvo i manutentori, perché ossidato faceva brutto, senza nessun danno
funzionale. Sarà costato poco, non niente. Ma se uno fa un lavoro non lo vuole vedere
brutto. Basta aver visto una Divisumma smontata per rendersi conto che è quasi
impossibile da disegnare, che è stata progettata da uomini che lavoravano con le mani, sui
pezzi, non sui disegni. Non è il caso di mitizzare. Gallino stesso ha fatto parte di una
corrente critica di Comunità. Ma tra il lavoro lì, almeno per alcuni, con gli psicologi di
allora, i sociologi di allora, il padrone di allora, e il lavoro di oggi, magari in postazioni
ergonomiche, ma senza rappresentanza e diritti, c'è un abisso.
E' una vita che Luciano Gallino si occupa della libertà, del benessere, dei diritti delle
donne e degli uomini che lavorano, e dei loro figli e famiglie. Si dice lavoro, e sembra un
simbolo in una formula, ma si tratta di una classe sociale, di tutto il popolo che non non
campa di rendita o di profitti e si dà da fare, con la testa e con le mani, a tenere insieme la
propria vita e quella degli altri, che può diventare attore del mutamento, non servo di quelli
che si limitano a scegliere dove mettere i propri soldi. Ora i tempi non sono favorevoli, ma,
come si diceva una volta “la notte più lunga eterna non è”.
A quelli che vogliono, debbono, cambiare il mondo, ai giovani, ai nipoti, come dice il
titolo, il libro è rivolto.
Qualche nota aggiuntiva
Il libro finisce in calando. E' come se l'Autore fosse travolto dallo sconforto per la
scarsa eco della denuncia, l'insufficiente dettaglio della proposta. Da lettore, penso che lo
sconforto sia comprensibile ma non giustificato. Le spiegazioni, le costruzioni culturali
impiegano tempo, anche se sostenute dai fatti, per avere effetti sul mondo. Non sempre le
persone che formulano le proposte sono le stesse che le usano e le realizzano. Persino il
nostro compianto Statuto dei diritti dei lavoratori è stato pensato e proposto da persone
diverse da quelle che lo hanno realizzato, politicamente, giuridicamente e socialmente.
L'Autore il suo compito lo ha svolto; e non è così solo come può sembrare. Caso mai
manca nel libro di Gallino (forse non solo in questo) proprio l'analisi del sistema scolastico,
in particolare universitario, in cui ha lavorato tutta la vita, e di quello dei mezzi di
comunicazione, da cui dipende in gran parte la particolare sordità del sistema culturale di
questo paese. L'Università, a guardarla dall'esterno, sembra diventata una caricatura. I
giornali maggiori, chi più chi meno, sono discariche di pubblicità ingannevole. Se ospitano
contributi critici gli negano l'apertura in prima pagina. Insieme con le reti televisive
contribuiscono alla trasformazione dell'intero sistema culturale in un monopolio della
pubblicità. Non sono certo io ad avere l'analisi soddisfacente, ma anche lì c'è molto
dominio del denaro e molta rendita. Anche di scuola, università e giornali bisognerebbe
ragionare.
Anche se è troppo pessimista sul proprio lavoro, forse Gallino non è abbastanza
pessimista sul mondo. Il capitalismo, se non verrà radicalmente modificato, non morirà
d'inedia ma produrrà, come già produce, guerre e fame. Per ora non lo fa a casa nostra,
ma non più molto lontano. Van Reybrouck, alla fine di Congo, dopo aver raccontato i
macabri dettagli delle due ultime guerre, quella per vendicare il genocidio dei Tutsi, che
aggiunse 300.000 morti al milione di cui bisognava lavare il sangue, e quella per il
controllo delle risorse minerarie, che ne aggiunse cinque milioni, scrive: “Gli Stati nazionali
falliti sono il trionfo del neoliberismo fuori controllo ... Questo nuovo tipo di conflitto armato
rassomigliava più al mondo degli affari che alla guerra normalmente intesa … Il Congo
non è la retroguardia ma l'avanguardia della storia”. Si potrebbe dire che la Siria, l'Iraq,
l'Afghanistan, di cui si parla di più perché sono più vicini e i profughi di lì vengono a morirci
sulla porta di casa, sono anche loro all'avanguardia della storia.
Ma del futuro, di avanguardie e retroguardie, è meglio non presumere di sapere
troppo. Quello che è certo è che non è il caso di dormire tranquilli perché tanto la barca va.
Nipoti! Svegliatevi!
Francesco Ciafaloni
tratto da “Lo Straniero”
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