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Circuits
Martedì 21 Febbraio 2006
■ ■ Lo sceriffo del web Tutte le minacce che affliggono i computer della Mela
Primo virus per Mac?
No, c’è anche il secondo
Si chiama Leap-A il baco che si nasconde nelle immagini
Gli fa compagnia Inqtana-A, ma quest’ultimo scadrà presto
di Umberto Rapetto
È
crollata l’invulnerabilità
che i computer Apple, i
famosi Mac, vantavano a
dispetto dei normali pc
soggetti a frequenti infezioni da virus informatico. La mela, simbolo
dell’azienda californiana con sede
a Cupertino, morsicata per esigenze grafiche, adesso è anche bacata:
il worm (un verme, e mai la definizione è stata più appropriata), che
la percorre trapanandone la polpa,
si chiama Leap-A.
Il nome del primo virus che in
vent’anni di storia va a impensierire gli utenti Mac può avere diversi
significati: dal «saltato fuori» al
«cambiamento radicale», fino a indicare l’anno bisestile nel calendario gregoriano. Se l’imprevisto è
plateale, preoccupa l’aggettivo bisesto e il suo gemello funesto.
Molte realtà organizzative, pubbliche e private, caratterizzate da elevata criticità avevano scelto di
sfruttare prodotti hardware di quel
genere per sfuggire ai tanti inconvenienti, prima senza dubbio la sicurezza, che possono pregiudicare
l’indispensabile funzionalità.
Il virus Leap-A si diffonde attraverso il programma di messaggeria
iChat e il suo bacillo si insinua in
apparentemente innocue immagini
fotografiche che, se aperte in maniera improvvida da chi le riceve,
impestano il computer Mac.
Gli esperti non ritengono Leap-A
pericoloso di per sé, ma non esitano a sottolineare quanto sia strano
che qualcuno abbia preso a bersaglio una platea ristretta di appassionati dell’informatica d’élite.
Se da una parte non manca chi maligna pensando a una vendetta
commerciale, una sorta di fatwa
per maledire il troppo successo dell’iPod e lo stravolgimento che quell’aggeggio ha determinato nel mondo dell’intrattenimento, dall’altra c’è
chi interpreta l’accaduto come la
manifesta dimostrazione della possibilità di aggredire contesti delicati come quelli della ricerca, del
mondo universitario e di quello militare, che hanno sempre prediletto
i computer con la mela.
A fronte di una simile inattesa e imprevedibile sciagura, i tecnici della
Apple si sono precipitati a spiegare
che OSX/Leap-A (lo si conosce anche come Oomp-A) non è un virus
ma, piuttosto, un semplice malware. A questo punto si prospetterebbe d’obbligo una disquisizione sul
significato di virus, worm, malware
e così a seguire la pletora di neologismi clinico/informatici che in
questi anni hanno arricchito il nostro vocabolario d’uso comune. Volendo evitare dissertazioni fuori
luogo, si può sinteticamente dire
che le diverse razze di bacilli e
agenti patogeni hi-tech hanno tutte
la caratteristica di avviare iniziative
indesiderate a dispetto della volontà del legittimo utente. Cambiano le modalità di comportamento,
ma il risultato è spesso simile con
differente gravità delle conseguenze. Il malware è certo quello meno
aggressivo, ma comunque agisce al
di fuori del controllo di chi siede alla tastiera del proprio computer.
Sulle pagine del Wall Street journal, i produttori di Mac hanno voluto dichiarare che «Leap-A non è
un virus, ma un software maligno
che richiede che l’operatore esegua
il download dell’applicazione e avvii il relativo file». Niente di nuovo,
considerato che in tempi recenti è
sempre stato l’utente a compiere il
mefitico doppio clic con il mouse
sull’allegato velenose arrivato via
mail e a contaminare inesorabilmente la propria macchina.
La profanazione del tempio sembrerebbe non conclusa, perché
un’altra spettrale minaccia avrebbe
preso di mira il sistema operativo
Mac OS X. Si tratta di un ulteriore
malware, stavolta chiamato Inqtana-A, che sarebbe pronto a diffondersi sfruttando vulnerabilità relative al sistema di trasmissione wireless Bluetooth.
A voler chiudere con notizie positive, il sistema di diffusione lascia
escludere che si possa verificare
un’epidemia. Non bastasse il worm
in questione ha un contatore interno che lo condanna a scadere il 24
febbraio prossimo. A guardare bene il calendario si può fiduciosamente pensare che questa «influenza» non farà in tempo a far ammalare il nostro Mac.
RetroNet
di Carlo Alberto Carnevale Maffè
Ict, internazionalizzazione
e diplomazia economica
I
l dibattito aperto dai rapporti tra il governo della Repubblica Popolare Cinese e aziende come Yahoo! e Google è stato incentrato sull’opportunità che aziende occidentali siano coinvolte, loro
malgrado, in attività governative che comportino la possibile restrizione di alcuni diritti civili, in particolare relativamente al tema
della libertà d’espressione. La discussione tuttavia ha finora ampiamente tralasciato di analizzare le specificità economiche di tale fenomeno, le cui implicazioni sono fondamentali per comprendere le dinamiche di sviluppo internazionale non solo delle aziende interessate, ma di tutto il comparto Ict.
Il processo di internazionalizzazione accelerata tipico delle imprese operanti nell’Ict, in particolare in nazioni che condividono
gli standard tecnologici ma non necessariamente le prassi normative del mondo occidentale, ha alcune spiegazioni radicate nella
teoria economica e comporta conseguenze che meritano grande
attenzione.
Nei settori manifatturieri e nella produzione di beni fisici i
processi di internazionalizzazione sono stati storicamente lenti e
progressivi, e hanno richiesto complesse procedure di adattamento locale, sia sui processi sia sui prodotti. Il comparto dei
beni informativi digitali ha
invece profondamente
Le pressioni
innovato i tradizionali
modelli di espansione
su Google e Yahoo!
geografica delle imprese.
da parte della
L’affermarsi di standard
tecnologici e le esternalità
Cina mostrano
positive indotte dagli effetti
il potere che
di rete sul lato della domanda hanno creato un forte
le aziende
incentivo ad accelerare i
processi di espansione
hi-tech hanno
internazionale delle imprese.
I beni informativi digitali differiscono infatti dagli altri beni in
numerosi aspetti, e in particolare nelle loro dinamiche economiche, in quanto presentano enormi economie sui costi di trasporto, produzione e riproduzione, e significativi vantaggi nei costi di
adattamento del prodotto.
A essere rilevante per il dibattito sui rapporti tra aziende e governi è tuttavia la natura di «beni esperienza» caratteristica dei
servizi informativi digitali. Essi infatti presentano, come molti altri
beni di natura informativa (un film, una canzone, un libro) specifiche difficoltà nell’essere valutati e apprezzati da parte dei consumatori tramite valutazioni sensoriali prima della fase di consumo/fruizione del bene.
I beni informativi digitali richiedono all’azienda di indurre il
cliente ad acquisire informazioni prima della fruizione, in modo da
favorire la prima esperienza del bene stesso e ridurre le asimmetrie informative che ostacolano la valutazione da parte del cliente.
Le diverse strategie in questo senso includono la condivisione del
contenuto informativo, come per esempio versioni semplificate e
gratuite di applicazioni software, o la lista sintetica gratuita dei
beni offerti nei servizi di aste on-line. Questo tipi di sforzi di
marketing sono normalmente poco costosi grazie ai bassi costi
marginali nella riproduzione di beni digitali.
Una volta che i clienti hanno appreso come fruire di un bene
informativo digitale, e hanno investito in beni complementari come i propri dati o la propria rete di contatti personali, diventano
restii a passare a un altro servizio a causa dei costi e dei tempi
associati al processo di apprendimento, generando così un effetto
di fidelizzazione forzata (lock-in), in altri termini una speciale «cittadinanza» dell’utente nella nuova geografia virtuale dei servizi
gestiti dall’azienda.
La combinazione tra processo di internazionalizzazione accelerata, che spesso non offre né all’azienda né alla nazione il tempo
necessario per adeguare i rispettivi contesti normativi e legali, e
gli effetti di lock-in possono contribuire a spiegare come le aziende del comparto Ict siano strutturalmente esposte a possibili pressioni strumentali da parte di alcuni governi. Ma nel contempo sono la certificazione implicita del grande potere che esse hanno acquisito come attori a pieno titolo di una nuova forma di diplomazia economica: la molteplicità delle cittadinanze digitali diventa
sia patrimonio economico sia responsabilità civile.