78 Circuits Martedì 21 Febbraio 2006 ■ ■ Lo sceriffo del web Tutte le minacce che affliggono i computer della Mela Primo virus per Mac? No, c’è anche il secondo Si chiama Leap-A il baco che si nasconde nelle immagini Gli fa compagnia Inqtana-A, ma quest’ultimo scadrà presto di Umberto Rapetto È crollata l’invulnerabilità che i computer Apple, i famosi Mac, vantavano a dispetto dei normali pc soggetti a frequenti infezioni da virus informatico. La mela, simbolo dell’azienda californiana con sede a Cupertino, morsicata per esigenze grafiche, adesso è anche bacata: il worm (un verme, e mai la definizione è stata più appropriata), che la percorre trapanandone la polpa, si chiama Leap-A. Il nome del primo virus che in vent’anni di storia va a impensierire gli utenti Mac può avere diversi significati: dal «saltato fuori» al «cambiamento radicale», fino a indicare l’anno bisestile nel calendario gregoriano. Se l’imprevisto è plateale, preoccupa l’aggettivo bisesto e il suo gemello funesto. Molte realtà organizzative, pubbliche e private, caratterizzate da elevata criticità avevano scelto di sfruttare prodotti hardware di quel genere per sfuggire ai tanti inconvenienti, prima senza dubbio la sicurezza, che possono pregiudicare l’indispensabile funzionalità. Il virus Leap-A si diffonde attraverso il programma di messaggeria iChat e il suo bacillo si insinua in apparentemente innocue immagini fotografiche che, se aperte in maniera improvvida da chi le riceve, impestano il computer Mac. Gli esperti non ritengono Leap-A pericoloso di per sé, ma non esitano a sottolineare quanto sia strano che qualcuno abbia preso a bersaglio una platea ristretta di appassionati dell’informatica d’élite. Se da una parte non manca chi maligna pensando a una vendetta commerciale, una sorta di fatwa per maledire il troppo successo dell’iPod e lo stravolgimento che quell’aggeggio ha determinato nel mondo dell’intrattenimento, dall’altra c’è chi interpreta l’accaduto come la manifesta dimostrazione della possibilità di aggredire contesti delicati come quelli della ricerca, del mondo universitario e di quello militare, che hanno sempre prediletto i computer con la mela. A fronte di una simile inattesa e imprevedibile sciagura, i tecnici della Apple si sono precipitati a spiegare che OSX/Leap-A (lo si conosce anche come Oomp-A) non è un virus ma, piuttosto, un semplice malware. A questo punto si prospetterebbe d’obbligo una disquisizione sul significato di virus, worm, malware e così a seguire la pletora di neologismi clinico/informatici che in questi anni hanno arricchito il nostro vocabolario d’uso comune. Volendo evitare dissertazioni fuori luogo, si può sinteticamente dire che le diverse razze di bacilli e agenti patogeni hi-tech hanno tutte la caratteristica di avviare iniziative indesiderate a dispetto della volontà del legittimo utente. Cambiano le modalità di comportamento, ma il risultato è spesso simile con differente gravità delle conseguenze. Il malware è certo quello meno aggressivo, ma comunque agisce al di fuori del controllo di chi siede alla tastiera del proprio computer. Sulle pagine del Wall Street journal, i produttori di Mac hanno voluto dichiarare che «Leap-A non è un virus, ma un software maligno che richiede che l’operatore esegua il download dell’applicazione e avvii il relativo file». Niente di nuovo, considerato che in tempi recenti è sempre stato l’utente a compiere il mefitico doppio clic con il mouse sull’allegato velenose arrivato via mail e a contaminare inesorabilmente la propria macchina. La profanazione del tempio sembrerebbe non conclusa, perché un’altra spettrale minaccia avrebbe preso di mira il sistema operativo Mac OS X. Si tratta di un ulteriore malware, stavolta chiamato Inqtana-A, che sarebbe pronto a diffondersi sfruttando vulnerabilità relative al sistema di trasmissione wireless Bluetooth. A voler chiudere con notizie positive, il sistema di diffusione lascia escludere che si possa verificare un’epidemia. Non bastasse il worm in questione ha un contatore interno che lo condanna a scadere il 24 febbraio prossimo. A guardare bene il calendario si può fiduciosamente pensare che questa «influenza» non farà in tempo a far ammalare il nostro Mac. RetroNet di Carlo Alberto Carnevale Maffè Ict, internazionalizzazione e diplomazia economica I l dibattito aperto dai rapporti tra il governo della Repubblica Popolare Cinese e aziende come Yahoo! e Google è stato incentrato sull’opportunità che aziende occidentali siano coinvolte, loro malgrado, in attività governative che comportino la possibile restrizione di alcuni diritti civili, in particolare relativamente al tema della libertà d’espressione. La discussione tuttavia ha finora ampiamente tralasciato di analizzare le specificità economiche di tale fenomeno, le cui implicazioni sono fondamentali per comprendere le dinamiche di sviluppo internazionale non solo delle aziende interessate, ma di tutto il comparto Ict. Il processo di internazionalizzazione accelerata tipico delle imprese operanti nell’Ict, in particolare in nazioni che condividono gli standard tecnologici ma non necessariamente le prassi normative del mondo occidentale, ha alcune spiegazioni radicate nella teoria economica e comporta conseguenze che meritano grande attenzione. Nei settori manifatturieri e nella produzione di beni fisici i processi di internazionalizzazione sono stati storicamente lenti e progressivi, e hanno richiesto complesse procedure di adattamento locale, sia sui processi sia sui prodotti. Il comparto dei beni informativi digitali ha invece profondamente Le pressioni innovato i tradizionali modelli di espansione su Google e Yahoo! geografica delle imprese. da parte della L’affermarsi di standard tecnologici e le esternalità Cina mostrano positive indotte dagli effetti il potere che di rete sul lato della domanda hanno creato un forte le aziende incentivo ad accelerare i processi di espansione hi-tech hanno internazionale delle imprese. I beni informativi digitali differiscono infatti dagli altri beni in numerosi aspetti, e in particolare nelle loro dinamiche economiche, in quanto presentano enormi economie sui costi di trasporto, produzione e riproduzione, e significativi vantaggi nei costi di adattamento del prodotto. A essere rilevante per il dibattito sui rapporti tra aziende e governi è tuttavia la natura di «beni esperienza» caratteristica dei servizi informativi digitali. Essi infatti presentano, come molti altri beni di natura informativa (un film, una canzone, un libro) specifiche difficoltà nell’essere valutati e apprezzati da parte dei consumatori tramite valutazioni sensoriali prima della fase di consumo/fruizione del bene. I beni informativi digitali richiedono all’azienda di indurre il cliente ad acquisire informazioni prima della fruizione, in modo da favorire la prima esperienza del bene stesso e ridurre le asimmetrie informative che ostacolano la valutazione da parte del cliente. Le diverse strategie in questo senso includono la condivisione del contenuto informativo, come per esempio versioni semplificate e gratuite di applicazioni software, o la lista sintetica gratuita dei beni offerti nei servizi di aste on-line. Questo tipi di sforzi di marketing sono normalmente poco costosi grazie ai bassi costi marginali nella riproduzione di beni digitali. Una volta che i clienti hanno appreso come fruire di un bene informativo digitale, e hanno investito in beni complementari come i propri dati o la propria rete di contatti personali, diventano restii a passare a un altro servizio a causa dei costi e dei tempi associati al processo di apprendimento, generando così un effetto di fidelizzazione forzata (lock-in), in altri termini una speciale «cittadinanza» dell’utente nella nuova geografia virtuale dei servizi gestiti dall’azienda. La combinazione tra processo di internazionalizzazione accelerata, che spesso non offre né all’azienda né alla nazione il tempo necessario per adeguare i rispettivi contesti normativi e legali, e gli effetti di lock-in possono contribuire a spiegare come le aziende del comparto Ict siano strutturalmente esposte a possibili pressioni strumentali da parte di alcuni governi. Ma nel contempo sono la certificazione implicita del grande potere che esse hanno acquisito come attori a pieno titolo di una nuova forma di diplomazia economica: la molteplicità delle cittadinanze digitali diventa sia patrimonio economico sia responsabilità civile.