GLI APPROFONDIMENTI DEL SABATO POMERIGGIO Prima, durante e dopo Bartolomeo Cesi Bartolomeo Cesi e il classicismo reniano È Malvasia a sottolineare la grande ammirazione che Reni, appena adolescente, quando ancora frequentava la scuola del Calvaert, nutriva nei confronti della pala di Bartolomeo Cesi raffigurante la Madonna, S. Benedetto, S. Giovanni Battista e S. Francesco, commissionata al pittore dal vescovo di Bologna, Gabriele Paleotti e dal fratello di lui, il senatore Camillo, per la cappella di famiglia in San Giacomo intorno al 1590: “che si dichiarò lo stesso Guido, aver molto lume dalle sue cose cavato, per la sua nuova maniera; che ben può credersi quando, puttello ancora, fu veduto star l’ore intere contemplando talvolta la sua bella tavolina in San Giacomo all’Altare Paleotti e tutti li freschi, insiem col quadro a olio nella cappella di S. Pietro Toma in San Martino”. La formazione di Guido Reni affonda le sue radici nella lezione del naturalismo caraccesco che Reni sperimenterà negli anni tra il 1594 e il 1598, quando si trasferirà dalla scuola del Calvaert all’accademia dei Desiderosi e poi degli Incamminati, fondata fin dagli inizi degli anni Ottanta dai Carracci; ma questa componente culturale, come ci riferisce Malvasia, fin dall’adolescenza si accompagnava in lui ad una profonda ammirazione nei confronti del perfetto controllo formale e compositivo e del rigore liturgico legato al purismo dello stile di Bartolomeo Cesi. E il suo esordio pubblico avverrà proprio in competizione con Bartolomeo Cesi e Ludovico Carracci, i due massimi protagonisti delle commissioni pubbliche di destinazione ecclesiastica della scena artistica bolognese degli ultimi due decenni del ‘500, allorquando riuscirà ad aggiudicarsi la prestigiosa commissione della decorazione pittorica della Memoria che celebrava l’ingresso, in Bologna, del Papa Clemente VIII, di ritorno da Ferrara, dopo la devoluzione della città allo stato pontificio. Ludovico, che, secondo il giudizio del Malvasia, si doveva ritenere il pittore più meritevole, aspirava ad ottenere quella commissione, ardentemente, per dimostrare di poter essere all’altezza di Bartolomeo Cesi che aveva fama di grande esperto nella pittura ad affresco avendo licenziato nell’arco dell’ultimo decennio del ’500 numerose imprese pittoriche: dagli affreschi dedicati alla vita della Vergine nell’abside della chiesa della Certosa di Maggiano (1594) presso Siena, alle storie di Maria per la chiesa di S. Maria dei Bulgari (1594) annessa allo Studio bolognese, alla decorazione dell’abside della chiesa di S. Girolamo della Certosa, eseguita tra il 1595 e il 1597 e che è stata oggetto del recente intervento di restauro eseguito dalla ditta di Ottorino Nonfarmale, all’origine di questa serie di incontri. Questa commissione fornì a Reni l’opportunità di entrare in contatto con personalità come il Cardinal Sfondrato che unitamente al cardinal Baronio erudito e personalità di spicco del seguito di Clemente VIII, avranno un ruolo importante nell’introduzione di Reni negli ambienti curiali romani, dopo il trasferimento a Roma del pittore a partire dal 1601. A Roma Reni metterà a fuoco il “suo rifiuto del soggettivismo pittorico settentrionale” (Emiliani 1988) fondando la sua ricerca di un’ideale bellezza sulla poetica dell’ideale classico espressa da Giovan Battista Agucchi, segretario del cardinale Pietro Aldobrandini, nel suo Trattato della Pittura; questa teoria lo indirizzerà verso l’approfondimento dello studio della statuaria classica e verso il programmatico richiamo al classicismo raffaellesco. Nella città papale Reni a differenza di Albani e Domenichino che dopo il loro trasferimento a Roma, entreranno nella cerchia di Annibale Carracci, si legherà al Cavalier d’Arpino, soprintendente dei Papi Clemente VIII e Paolo V e pittore interprete del gusto ufficiale dell’arte sacra pontificia. È in questo contesto che Reni maturerà la sua prevalente inclinazione quale pittore votato al genere della pittura sacra ed è durante il suo soggiorno romano, che si protrarrà con diverse interruzioni fino al 1614, che riceverà la commissione di due opere emblematiche della sua poetica classicista: la Strage degli innocenti e la Pala dei Mendicanti; in esse si evidenzia, come ha sottolineato Gnudi dopo il definitivo rientro a Bologna nel 1614, il maturare di un dualismo tra “grande sogno pagano” e “rigore liturgico”, dualismo che si ricompone nell’assunzione di modelli pagani nell’espressione di significati cristiani. Ma accanto alla sua formazione classicista maturata nel lungo soggiorno romano, Reni, rientrato a Bologna, nella Pala dei Mendicanti recupera “bipartizioni liturgiche” di gusto purista (Arcangeli) dalla Visione di Sant’Anna della Pinacoteca di Bologna di Bartolomeo Cesi, e quei valori di decoro liturgico che accompagnano il consolidarsi, a Bologna, della pietistica di Controriforma e con la limpida razionalità della sua concezione compositiva, la raffinata elezione formale delle sue figure e la controllata perfezione formale della sua condotta pittorica si propone di affermare la concezione classicista della pala d’altare, in opposizione dialettica alla visione barocca del suo antico maestro Ludovico Carracci. Armanda Pellicciari Immagini: fig. 1: Bartolomeo Cesi, La Vergine in gloria e i SS. Benedetto, Giovanni Battista e Francesco, Bologna Chiesa di San Giacomo Maggiore fig. 2: Guido Reni, Strage degli innocenti, Bologna Pinacoteca Nazionale (1611), part. figg. 3/4: Guido Reni, Pala dei Mendicanti, Bologna Pinacoteca Nazionale (1616)