cognizione e stili musicali (parte terza prof . maurizio piscitelli

“COGNIZIONE E STILI MUSICALI
(PARTE TERZA)”
PROF. MAURIZIO PISCITELLI
Università Telematica Pegaso
Cognizione e Stili Musicali
( parte terza)
Indice
1
IL GUSTO E LE PREFERENZE MUSICALI --------------------------------------------------------------------------- 3
2
LA CLASSIFICAZIONE MUSICALE ------------------------------------------------------------------------------------ 5
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Cognizione e Stili Musicali
( parte terza)
1 Il gusto e le preferenze musicali
Secondo due psicologi della musica, Patrik Juslin e Daniel Västfjäll, le preferenze musicali
sono fortemente influenzate dalle emozioni e dipendono maggiormente dal contesto, ossia dove ci
troviamo nel momento dell’ascolto, rispetto alla musica stessa. I sentimenti quotidiani
dell’individuo, relativi alla musica, si basano su associazioni inconsce e, inoltre, tali associazioni
possono consapevolmente tornare alla mente dell’uomo. Vedasi il tipico effetto “caro, stanno
suonando la nostra canzone”. A questo proposito, Ball afferma che la maggior parte delle persone
adulte dimostra una forte tendenza a ricordare l’età che va dai quindici ai venticinque anni. Per
quanto riguarda la musica, infatti, prendendo come esempio un individuo in età adulta, quando egli
ascolta la musica tenderà a preferire ed ad avere più reazioni emotive se essa è la stessa che
ascoltava in quel periodo (a 15-25 anni di età) rispetto alle epoche precedenti o successive1 .
Considerata l’abbondanza di stili e generi musicali da cui siamo sommersi, è naturale che ogni
individuo abbia le proprie preferenze. Nel suo ambiente si confronta ed esprime il proprio parere su
un cantante o su uno stile musicale. Non è sorprendente che i gusti dipendano molto spesso da
fattori non musicali. Ad esempio, attraverso alcuni esperimenti è stato rilevato che i giudizi
musicali sono talvolta arbitrari e prevenuti, influenzati più dalle pressioni esercitati dai rispettivi
ambienti che da giudizi obiettivi. In uno studio condotto dal sociologo Göran Nylöf, si è dimostrato
che le valutazioni della musica jazz (fornite da alcuni ascoltatori) dipendevano significativamente
da quello che veniva loro detto preliminarmente sul prestigio e la razza dei musicisti 2 . In altre
parole, gli ascoltatori valutavano le performance musicali sulla base di pregiudizi, anziché sulla
qualità delle esecuzioni.
Negli anni Sessanta, Daniel Berlyne, psicologo della Toronto University, ipotizzò di poter attribuire
i giudizi estetici
alle caratteristiche e al contenuto informativo di un brano: troppe poche
informazioni (come una composizione musicale di sole due note) suscitano giudizi negativi per la
sua monotonia, mentre troppe informazioni, come un brano pieno di microtoni o note cromatiche
scelte a caso, disgustano il pubblico con la loro incomprensibile complessità. Berlyne rappresentò
tali risultati attraverso un grafico delle preferenze a forma di U rovesciata, indicante. Che la
preferenza più alta va a oggetti con un moderato grado di complessità.
Successivamente, è stato lo psicologo americano Paul Vitz a sottoporre alcuni ascoltatori a stringhe
di note di altezza scelta a caso, e poté osservare che le loro preferenze erano in funzione della
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complessità delle sequenze: quando le sequenze cominciavano a diventare più casuali gli ascoltatori
le gradivano, mentre dopo il loro gradimento tendeva a diminuire.
In genere, afferma Ball, «si preferiscono melodie che presentano una complessità ottimale – non
troppo semplici, non troppo complesse»3 .
Riguardo al giudizio estetico di Berlyne, secondo Hasley il valore estetico si riferisce alle opere che
potevano reggere ascolti ripetuti senza perdere attrazione, mentre le opere “accessibili” erano più
adatte all’insegnamento musicale. Simonton, commentando i punteggi di Hasley relativi alla
significatività estetica, osserva che questa aumenta di pari passo con l’originalità,
mentre
parallelamente diminuiscono i valori di “accessibilità” di un brano. La popolarità raggiunge un
massimo quando l’aumento dell’interesse per la musica (misurato dalla sua significatività estetica)
viene controbilanciato dalla sua minore accessibilità. Questo è il punto in cui il pubblico comincia a
considerare la musica troppo difficile perché valga la pena di tentare di apprezzarla4 .
Tutti gli uomini generalmente hanno la capacità di classificare gli stili musicali e lo fanno con molta
facilità. È importante però prendere in considerazione che tale capacità, spesso, è ristretta alla
musica che conosciamo. In altre parole, l’uomo suddivide i generi musicali sulla base dei ritmi e dei
timbri musicali della propria cultura. Da uno studio di Gjerdingen e Perrott (2002) è emerso che gli
individui riescono a classificare i più comuni generi della musica occidentale, come il jazz, il blues,
il rock, la musica classica, dopo aver ascoltato appena un quarto di secondo di un frammento
musicale. Ball fa notare che è un tempo troppo breve per identificare il tipo di genere musicale con
riferimento al ritmo o al metro, ma necessita almeno di basarsi su singole note oppure sul timbro.
Inoltre questi dati confermano le ipotesi di Ball che ritiene il timbro un aspetto della cognizione
musicale molto più importante di quanto si è soliti riconoscere. Questo può mettere in dubbio il
modo abituale con cui i musicologi distinguono gli stili, ovvero in base a strutture più ampie, come
gli schemi melodici o armonici.
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La classificazione musicale
Un altro aspetto importante da considerare riguarda il modo in cui l’individuo classifica la
musica. Lo fa in base a ciò che gli piace di più e in base allo stile o al genere musicale. L’uomo ha
l’abilità di intuire differenze stilistiche in una musica nonostante non abbia alcuna esperienza
precedente. Lo dimostra uno studio condotto da due psicologi musicali, Isabelle Peretz e Simone
Dalla Bella. Dallo studio è emerso che ascoltatori privi di formazione musicale, occidentali e cinesi,
sono riusciti a classificare frammenti di musica classica occidentale come più simili tra loro quanto
più essi erano storicamente vicini, pur sapendo nulla o poco della musica in sé. Sembra che i
partecipanti abbiano usato degli indizi che riguardavano per lo più variazioni di ritmo e di tempo
per valutare le somiglianze, sulla base di regole ad hoc che hanno elaborato da sé5 .
La classificazione della musica per generi non è una comodità esclusivamente riservata ai negozi di
musica. Essa consente all’uomo di poter separare un tipo di musica dall’altro in modo che le diverse
aspettative che si nutrono per le strutture e le regole di ognuno di essi non interferiscano tra loro.
Ci sono prodotti che consentono, o aiutano, la ricerca di canzoni di un particolare genere musicale.
Per esempio, il ‘Music Genome Project’ pretende di individuare gli attributi musicali che nel
marketing catturano l’identità musicale di una canzone in ogni suo aspetto: dalla melodia,
all’armonia, dal ritmo alla strumentazione, dall’orchestrazione agli arrangiamenti, dai testi
all’armonia vocale. Altri due programmi esistenti sono la ‘Playola’ e il ‘Search Inside the Music’. Il
primo ricerca nelle canzoni gli schemi che possono farle rientrare in generi approssimativamente
non tradizionali. Dopo aver ascoltato una canzone, l’utente indica le sue preferenze in base al
genere. Il secondo programma, invece, ricerca le somiglianze acustiche tra le canzoni, in altre
parole cerca aspetti quali, melodie, tempo, ritmo, timbro e strumentazione. In questo modo gli
ascoltatori possono cercare canzoni che suonano come quelle che piacciono a loro. Ma, da uno
studio del 2006 è emerso che l’interazione con le scelte effettuate dagli utenti può alterare la
graduatoria di popolarità delle canzoni rispetto a chi effettua le sue scelte in maniera indipendente.
Ad esempio, commenti incontrollati possono assicurare a canzoni apparentemente mediocri una
fama gratuita. Se invece, come giustamente Ball afferma, i ‘sistemi di raccomandazione’
informatizzati si limitassero solo agli aspetti acustici, questi problemi non si presenterebbero.
Un ulteriore programma, o meglio prototipo, è l’AudioRadar: qui la musica è classificata secondo
quattro parametri (veloce/lenta, ritmica/melodica, calma/agitata e grossolana/netta). Per selezionare
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la musica all’interno di questo spazio, l’utente specifica uno dei quattro livelli su menzionati. Il
sistema attribuisce a ogni canzone una serie di coordinate in uno spazio quadridimensionale e la
distanza tra le canzoni rappresenta un indice della loro somiglianza. L’utente specifica i livelli
desiderati di ciascuna delle quattro caratteristiche, può decidere di spostarsi in una determinata
direzione a partire dalla canzone indicata, scegliendo ad esempio un tempo più veloce senza alterare
le altre caratteristiche. Ma anche questa impostazione presenta dei problemi: ad esempio il sistema
non distingue un plagio scadente da una grande canzone ed inoltre lo schema fatica quando deve
confrontarsi con due tipi di musica molto diversi.
Secondo Ball, sistemi del genere, in cui l’utente può definire un particolare ‘tipo di mood’ e lasciare
che il computer scelga la musica in base a dei parametri, sembrano ideali a questo scopo, anche se si
rischia di favorire un atteggiamento sostanzialmente passivo di “usare” la musica rinunciando ad
una più approfondita conoscenza e comprensione delle sue reali potenzialità.
1
Ivi, p. 389.
2
Ivi, p. 408.
3
Ivi, p. 409.
4
Ivi, p. 412.
5
Ivi, p. 414.
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