Intro
Redazione
Matteo Casari
Daniele Guasco
Simone Madrau
Matteo Marsano
Giulio Olivieri
Cesare Pezzoni
Anna Positano
Collaboratori
El Pelandro
Giacomo Bagni
Paolo Bollero
Davide Cedolin
Davide Chicco
Marco Giorcelli
Carlotta Queirazza
Emiliano Russo
Paolo Sala
Grafica e Impaginazione
Matteo Casari
Contatti
http://compost.disorderdrama.org
[email protected]
Compost
c/o Matteo Casari
C.P.1009
16121
Genova
Pubblicazione NON periodica, amatoriale,
destinata alla distribuzione gratuita, fotocopiata in proprio e senza alcuna pretesa di completezza. Questa pubblicazione è una produzione
Disorder Drama. Un sincero ringraziamento al
collettivo del Laboratorio Sociale Occupato
Autogestito Buridda, senza cui non saremmo
riusciti ad arrivare qui.
Se interessati a collaborare, con parole o disegni, contattateci
Arrivederci a CMPST #10 - [04.2009]
2 CMPST #9[02.2009]
Ci siamo rimessi in carreggiata. Finalmente. Possiamo ben dirci contenti di come si siano raddrizzate le cose. Abbiamo nuovi collaboratori che ci stanno dando una pluralità di
punti di vista da non sottovalutare e, soprattutto, abbiamo in cantiere grandi cose. Un
paio d’ore fa abbiamo firmato Statuto e Atto
Costitutivo dell’Associazione. Fra poco saremo riconosciuti e abili, pronti a diventare un
soggetto di riferimento per tutte le iniziative
che riguardino il tanto vituperato mondo underground della Superba. Siamo prossimi ad
entrare in doppia cifra con CMPST, stiamo
per chiudere il secondo anno, e non vogliamo sbilanciarci in bilanci. Abbiamo gettato,
negli ultimi anni, un gran numero di ami in
questo stagno; non volendo credere al leit
motiv di Big Fish, grandi pesci necessitano di
grandi spazi, abbiamo puntato ancora su
questa città. Un grande stagno che vive di
emergenze, in uno stato politico di costante
stasi dove, piuttosto che osare negli investimenti si preferisce acquisire luoghi di dubbio valore simbolico. Dove si fatica anche a
pensare di poter gestire un luogo che possa
al tempo stesso attirare e divertire un pubblico il più vario possibile, senza perdere di vista
gli obiettivi culturali. Uno stagno dove aprono costantemente nuovi spazi, alla stessa
velocità con cui i vecchi vengono messi da
parte. Una città che ti obbliga, non tanto a
mimetizzarti con la tecnica del camaleonte
quanto a mutare forma per seguire quella
dei contenitori. Una città in cui è impossibile pianificare, al massimo puoi rintuzzare e
scavarti la tua stessa fossa. Dura e difficile, lo
sappiamo, che ti esaspera fino alle soglie del
mugugno, ma che ti libera la mente nel portarti, sempre vivo e vigile a sviluppare quelle
bizzarre teorie ribadite da Bruce Lee e dai
suoi seguaci: Be Water, My Friend. Sii acqua,
suggerito in una città di mare, è come una
presa in giro, me ne rendo conto. Ma quella
capacità del liquido di prendere la forma
del contenitore, pur mantenendo forte la
propria individualità è una caratteristica eccezionale che deve farci accettare una tale
necessità. E l’acqua, quando la sommi ad
altra acqua, si mischia e diventa sempre di
più, sempre più potente. Rischiando pure la
deriva ripetitiva e qualunquista che ci attende dietro l’angolo, voglio cogliere ancora
l’occasione per ribadire: uniamoci e partecipiamo. Mettiamo da parte le pretese personali per arrivare a traguardi insperati. Crediamoci e diamoci speranza e forza insieme.
Non è poi possibile che sia tutto così negativo, no? Viviamo in tempi duri, affrontiamoli e
smussiamoli con la forza dell’acqua.
di Matteo Casari
News
News da http://cmpstr.tumblr.com
Le foto di copertina di questo numero sono
di Gabriele Mantero
Questo numero è stato reso possibile dai
contributi del Benefit del 31/01/09 al Laboratorio
Buridda con The Calorifer Is Very Hot, MangeTout, El Pelandro, June Miller e Protected By The
Local Mafia, oltrechè dalle offerte raccolte.
Disponibile anche un Pay Pal sul sito!
- Uscito a fine novembre il nuovo EP dei Japanese Gum. Without You I’m Napping si
compra in formato cd-r o si scarica a offerta libera da www.japanesegum.net. Già
linkati da umanuvem e recensiti su IndieEye.
- Fuori anche il nuovo EP dei Dresda, anch’esso in doppio formato, cd-r o download
gratuito dal sito di Marsiglia Records, www.
marsigliarecords.it . Nel secondo caso, donando 2e su paypal, ricevete la copertina
a casa. Nel giro di poche ore dalla pubblicazione arrivano già le prime positive recensioni su Italian Embassy e SeMiScrivi.
- Ritornano anche i Vanessa Van Basten
con il nuovo Psygnosis EP. Anche per loro
c’è già una recensione importante (Onda
Rock) e un’intervista su Rock.It.
- Igor Muroni ha presentato questo mese
a Roma e Parigi il suo nuovo progetto sonoro, Playtime. Per informazioni: www.igormuroni.com
- Ex-Otago per ben due volte su Pronti Al
Peggio. La nuova video-piattaforma di Vitaminic sbircia prima nella everyday life di
Simone per poi riprendere tutto il gruppo
in una serie di stravaganti performance in
giro per Genova, dal Porto Antico ai vicoli,
E ci scappa anche l’anteprima di un nuovo brano intitolato Costa Rica. Cercateli su
prontialpeggio.vitaminic.com
- Marti in studio. Dallo scorso 25 gennaio
e per i prossimi due mesi Andrea & Co, se
ne staranno in quel dei Wisselord Studios di
Amsterdam per le registrazioni del nuovo
album. Il disco sarà prodotto da Bob Rose
della FOD Records e conterrà un paio di
featuring oltre ad un’orchestra d’archi.
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con recensioni, commenti, forum e iniziative!
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quant’altro. Più che farvi trovare, pronti o meno,
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Disorder Drama
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3 CMPST #9[02.2009]
Cronache Vere
“C’è stato un
momento in
cui la scena indie genovese
era
veramente
fantastica.“
Age / Salinas / Superdope / Loretta
Intervista con Gianluca Morando
di Giulio Olivieri
RUMORE IN MUSICA
Per chi, come il sottoscritto, si affacciava al rock indipendente nell’immediato dopo-Nevermind gli Age erano il punto di riferimento
cittadino per un certo tipo di suoni, quelli che arrivavano dalle varie scene e sottoscene americane e -in misura minore- britanniche
e che si ritrovava sulle pagine dell’allora appena nato “Rumore” e
sulle frequenze di StereoRai. C’è stato un periodo in cui li beccavi facilmente su un palco: il Circolo Matteotti e I Giustiniani, il Nessundorma e il Teatro Albatros, e naturalmente il Palace. E avevano
pure un discreto seguito (non composto solamente da amici!) che
li seguiva ad ogni concerto: c’era un perchè, gli Age dal vivo non
perdonavano, aggressivi e melodici al tempo stesso. In una città
dove si stavano appena sviluppano altre due corpose scene (quella reggae/ska e quella punk rock/h.c.) la (nemmeno tanto) piccola scena indie genovese seppe produrre un buon numero di valide band la cui eredità ancora persiste nei tanti progetti nati dallo
scioglimento delle band che ne facevano parte: dagli Enroco ai
Numero6 passando per Tarik1, Q, Senpai e gli appena ritornati Protected By the Local Mafia. Mi rendo conto che molta della musica
cittadina di cui si parla in questa intervista sia oggi praticamente introvabile, e che quindi chi per motivi anagrafici non ha vissuto direttamente quel periodo non riuscirà sentire le band di cui
si parla: è un peccato, molti di quei gruppi erano dannatamente
validi... Beh, provate a frugare tra le cassette dei vostri fratelli maggiori, può essere che possa saltar fuori qualcosa di interessante...
4 CMPST #9[02.2009]
Allora, direi che è il caso di partire dall’inizio,
cioè dagli Age. Mi sembra di aver capito che
all’inizio eravate tu e Andrea Calcagno, vero?
Come si è evoluta poi la formazione? E cosa
ascoltavi all’epoca?
Esattamente, tutto è iniziato nel lontano 1988:
gli Age, nome che deriva dalle iniziali dei componenti, cioè Andrea/Gianluca/Enrico, sono nati in
una giornata di primavera di ormai 21 anni fa. Da
quel giorno, anzi, dal preciso istante in cui si sono
formati gli Age, io e Andrea Calcagno (ora Tarick1) abbiamo iniziato a vivere solo e unicamente per la musica, mentre il terzo fondatore della
band ha smesso quel giorno stesso di farne parte.
Nel corso dei 14 anni di attività, gli Age
hanno cambiato spesso formazione, ma
la colonna portante del gruppo, quella
che io e Andrea avevamo costruito, quella no, è riuscita a resistere fino alla fine.
Ad esempio, dei musicisti che hanno fatto parte della storia degli Age non posso non citare
Hole Francis (alias Francesco Fossa), chitarrista
di singolare talento, decisamente portato per
il noise. I suoi strumenti? Cacciaviti, bacchette,
pezzi di ferro… Usava qualsiasi cosa pur di generare “rumore in musica”, per questo per molti
anni è stato più che un componente, è stato
un vero Age, come me e Andrea. E poi Fab
J Morrey (cioè mio fratello Fabrizio Morando)
che voglio citare non solo come ottimo batte-
Cronache Vere
mi hai fatto, si è evoluta con la musica che ascoltavo, ma credo che l’elenco sarebbe un po’
lungo. Penso che, per farti capire come sono
maturati gli Age nel tempo, bastino tre nomi, tre
gruppi “magici” che mi accompagnano sempre: The Smiths, Pavement e Dinosaur Jr!
Com’era la “scena” cittadina all’epoca?
C’erano altre band con cui vi sentivate vicini o
vi sentivate isolati? Se non erro tu hai suonato la
batteria nel demo degli Husband, vero?
C’è stato un momento in cui la scena indie
genovese era veramente fantastica. A memoria
mi ricordo gli straordinari Noisext, i Noo Squad!, i
Codice Metropolitano, i Lo Fi Sucks! e i Laghisecchi. Senza dimenticare i giovanissimi Husband,
per i quali, come hai giustamente sottolineato nella domanda, ho suonato la batteria nel
demo. Mi è sempre piaciuto prestarmi come
batterista agli altri gruppi, l’ho fatto anche per
i Codice Metropolitano e, per un certo periodo,
per i Noisext. Più tardi, forte di questa mia passione, ho fondato e suonato nel gruppo stoner
Superdope.
Gianluca - ph:Baristo
rista, ma come compositore di splendidi pezzi
finiti in Cybercow e Mousefucker; in un certo
senso è merito suo se gli Age sono maturati.
Grazie a Paolo Sala (ora Senpai), il batterista metronomico che ha inciso con
noi l’album EP Son of a big mistake, il salto di qualità è stato un gioco da ragazzi.
E infine Marzio, l’ultimo batterista degli Age,
è stato il più “underground” di tutti, e ci è
capitato proprio nel momento più “underground americano” nella storia degli Age.
La formazione, per tornare alla domanda che
Cybercow è stato uno dei primi demo cittadini che mi è passato tra le mani... All’epoca avere
il demo su cassetta era il primo fondamentale
passo, come vi sentivate? E ti capita mai di riascoltarlo?
Lo ascolto spessissimo! Eccome! Adoro Cybercow, lo ricordo come un vero successo
personale. Senza un demo in cassetta non si
andava da nessuna parte, e Cybercow ha
venduto ben 100 pezzi… Noi Age eravamo
così fieri che abbiamo appeso in sala prove il premio come “Cassetta di platino”! Che
tempi, altro che masterizzatore cd… Era tutto
meno tecnico, più passionale, se vogliamo.
Anche se, a livello musicale, il progresso tecnologica va considerato un immenso vantaggio,
qualcosa di cui non si può più fare a meno.
Cybercow contiene alcuni pezzi degli Age che
amo alla follia, come And you talk e Conjuring
Trick n.°1.
A quel punto dovrebbe già cominciare a delinearsi la Fottitopo, ti ricordi come iniziarono le
cose?
Certo. Tutto è iniziato con l’urlo Mousefucker
di Wiz (alias Renzo Sala, ossia il produttore di
Mousefucker) alla fine della traccia fantasma
dell’omonimo cd (già, in Mousefucker c’è una
traccia fantasma). Da lì la traduzione letterale
all’italiano Fottitopo il passo è stato breve. Poi è
partita l’idea delle serate musicali underground
con concerti. Un’idea che, se mi è concesso
esprimermi così, ha davvero spaccato! Ricordo,
ai tempi degli esordi di Fottitopo, un tentativo di
serata in un postaccio veramente nascosto dalle parti di Marassi. I gruppi sul palco dovevano
essere Age e Laghisecchi. In teoria non avrebbe
dovuto esserci anima viva, e invece la gente
spingeva per entrare, c’era la coda all’ingresso.
Si respirava nell’aria una voglia di cambiamento
elettrizzante!
Mousefucker fu una botta incredibile, e anche
adesso a riascoltarlo lascia il segno: come arrivaste ad inciderlo? E -curiosità- quante copie ne
avevate venduto?
Mousefucker è stato la naturale conseguenza
del successo ottenuto da Cybercow, e, musicalmente, la sua più potente e istintiva evoluzione.
Credo che fosse innovativo, nel genere, se paragonato a quello che usciva in Italia. L’idea di
fare un cd anziché un demo in cassetta è nata
dalla felice constatazione che in molti cercavano la nostra musica, e la apprezzavano sul serio.
Avevamo solo 20 anni, ed è stato complicato
organizzare l’incisione, ma alla fine i risultati si
sono visti, eccome! Abbiamo venduto tutte le
500 copie stampate. Il cd costava 15 mila lire. Il
corriere che portava i cd dall’Austria ha suonato
a casa mia alle 7 di mattina… Lo so che è un
particolare irrilevante, ma non scorderò mai la
gioia di spacchettare e aprire il primo cd degli
Age, e soprattutto spararlo nello stereo all’alba.
Fu un’emozione incredibile.
Sempre su Fottitopo c’erano anche i Lo-Fi
5 CMPST #9[02.2009]
Cronache Vere
“Era tutto meno tecnico, più passionale, se vogliamo. Anche se, a
livello musicale, il progresso tecnologica va considerato un immenso vantaggio, qualcosa di
cui non si può più fare a meno.”
Sucks!, nei cui primi dischi avete suonate un pò
tutti: come nacque la collaborazione?
In maniera fortuita. Noi Age ci stavamo esibendo in un locale di Genova. Durante la cover
di Two States dei Pavement, ecco che Pierpaolo
Rizzo, il leader dei Lo-Fi Sucks!, si precipita incredulo in sala per ascoltarci: “possibile che a Genova circoli un gruppo che suona i Pavement?!”,
deve aver pensato. Credo che all’epoca - o
forse era solo una mia impressione - fossimo in
cinque a conoscerli! Da quell’occasione è nata
una serie di collaborazioni molto interessanti.
Dal vivo ai tempi vi lasciavate andare spesso
a improvvisazioni e sperimentazioni, e avevate
una forte carica: c’è qualche concerto che ti è
rimasto particolarmente memorabile?
A dire il vero ce ne sono tanti. Un concerto
che ricordo con grande emozione è stato quello al Palace di Nervi. Saltare addosso ad Andrew
H (alias Andrea Calcagno) con la chitarra, a
fine concerto, è stato incredibile! Conservo dei
ricordi bellissimi anche dei concerti al Pop 2000
di Imperia e all’Italo Calvino di Varazze.
Se non erro in quel periodo post-Mousefucker
stavate lavorando a un altro disco in quartetto,
poi mai realizzato: cosa è accaduto? Di quel
disco doveva far parte anche la cover di The
Passion Of Lovers dei Bauhaus che facevate dal
vivo?
Doveva uscire il nuovo cd per l’etichetta Lollipop di Catania, che - ovviamente - è fallita 10
giorni prima di mandare il cd in stampa… Fu una
sfortuna tremenda! Ecco perché abbiamo deciso di produrre il cd solo per i nostri amici o chi lo
richiedesse, in sostanza masterizzando le copie
a chi le volesse, e chiamarlo Son of a big mistake
6 CMPST #9[02.2009]
Salinas dal vivo alla compianta Madeleine - ph: Giulio Olivieri
E.P. (ovvero “E.P. figlio di un grande errore). A mio
voluti anni per riprenderci, non scherzo. Ma alla
avviso contiene due pezzi incredibili, cioè Whi- fine, ancora una volta, io e Andrea abbiamo
te gray cat e Mind the grass. L’apporto di Paolo
avuto le forze per ricominciare: l’elettronica e
Sala alla batteria è stato fondamentale. In ogni
l’idea che mi è venuta di usate il flanger alla
caso The Passion of Lovers dei Bauhaus era pre- voce ci hanno dato nuovi stimoli. In generale i
vista solo per le esibizioni live.
fan non hanno apprezzato il nuovo sound degli
Age, alcuni pezzi erano incredibilmente “acidi”.
Lentamente avete cominciato ad inserire ele- Abbiamo tratto ispirazione da cose nuove. Ralph
menti elettronici nel vostro suono, come è nata
Macchio, l’ultimo cd degli Age, è stato concepila cosa?
to quasi completamente in treno, l’ho compoLa delusione della casa discografica fallita è
sto nella mia testa senza neanche abbracciare
pesata tantissimo sull’umore del gruppo, ci sono una chitarra… Questo per darti un’idea di come
Cronache Vere
siamo cambiati nel tempo.
Sbaglio o è nello stesso periodo che parte la
breve avventura dei Superdope, a conti fatti il
primo gruppo stoner cittadino...
Sì, come ti dicevo prima i Superdope erano un
gruppo stoner davvero potente. Per dirla come
l’ho vissuta, picchiavo sulla batteria come un
forsennato! Dalle mie risposte si può pensare
che io sia un batterista, ma in realtà, come ben
sai, la batteria è il mio secondo strumento, al
primo posto resta la chitarra e, ovviamente, la
voce. Ai Superdope è toccata la stessa sorte
degli Age, ovvero a un passo dalla produzione
per un’etichetta… Puff, tutto svanito. Però ricordo con assoluto piacere il concerto di supporto
agli americani Nebula e la nostra apparizione al
Bloom di Mezzago.
Nel frattempo con gli Age avevi finalmente inciso Ralph Macchio ed avevi dato vita alla Loretta: come nacque l’etichetta?
La Loretta Record è stata un tentativo di smuovere le acque del mercato discografico indie.
Ti posso assicurare che ho investito tutte le mie
energie e i miei risparmi per far andare bene
l’etichetta discografica, ma in Italia - è questa
la conclusione cui mio malgrado sono dovuto
approdare - pare che senza gli agganci giusti
proprio non si riesca a farcela. Quello della Loretta, e la disillusione che ne è conseguita, è un
capitolo che ho rimosso definitivamente.
Dopo lo scioglimento degli Age hai messo su i
Salinas, ad oggi il tuo ultimo progetto...
Sì, dopo 14 anni di Age e un periodo di meritato riposo, ecco nascere i Salinas, un gruppo
fondato con Renzo Sala, che considero, per
affinità, il mio fratello di sangue. I Salinas sono
nati quasi per gioco dalla volontà di suonare
per divertimento, lasciando alle spalle tutte le
delusioni di cui vi ho parlato prima che - volente
o nolente - hanno profondamente inciso sulla
mia vita musicale. Mi sono reso conto che suono
innanzitutto per me, che in fondo l’ho sempre
La cover di Cybercow - Grazie a PittaSk8
fatto, e che l’approvazione del grande pubblico può passare anche in secondo piano se
riesco a salvaguardare la mia coerenza musicale, il rispetto per quello che reputo - lo definisco
così senza finta umiltà - il mio talento. È stata una
scelta condivisa da Renzo, per questo abbiamo
imbracciato la chitarra, ci siamo regalati due
soprannomi divertenti per ispirarci ad atmosfere
nuove, e abbiamo ricominciato. In modo nuovo, senza rancore. Semplicemente i Salinas sono
tuttora la mia vita. Adoro il loro sound, la maniera naturale di comporre e arrangiare i pezzi, la
semplicità con cui curiamo le melodie. Poi, un
paio d’anni fa, è entrato il batterista Fabrizio
(Fab degli Husband, ora Protected By the Local
Mafia e Ex-Otago), un elemento essenziale per
la spinta live, nonché mio grandissimo e stimato
amico.
Siamo al terzo cd. E andremo ancora avanti.
Proprio in questi giorni stiamo lavorando al nuovo album, e non posso anticipare nulla, ma se
ne avete voglia, potete ascoltare e scaricare
gratuitamente ad alta qualità tutti i nostri brani
su myspace. Sempre su myspace alcuni nostri
fan hanno aperto uno spazio di tributo agli Age:
voglio ringraziarli di cuore, così come voglio ringraziare tutti voi.
mys pa ce.co m /Ag etri b ute
mys pa ce.co m /ba nd s a l i na s
7 CMPST #9[02.2009]
Export
“ Il Porto è sempre stato un gran contenitore di idee e un magazzino virtuale
di contenuti, le navi che arrivavano
da tutto il mondo portavano non
solo merci ma anche uomini e donne con i loro gusti e le loro musiche.“
Blindosbarra
Intervista con Vittorio Della Casa
di Simone Madrau
RITMATO E PROFONDO
Una generazione nata e cresciuta nell’ambiente portuale che negli anni
‘60 tra gru, navi e container, accoglieva musica: quella che veniva dal
mare, da altre sponde e altre culture. Vittorio Dellacasa c’era, e aveva le
orecchie ben tese. Se così non fosse stato, Genova non avrebbe avuto i
Blindosbarra: cinque dischi per dieci anni di ‘Funk e ContaminAzioni’; ritmi e grooves ‘pensati’, così come è ‘pensata’ la visione presente di Vittorio. Che vive di musica a 360° ed è rimasto un lavoratore instancabile: lo
dice una lista di esperienze in giro per il mondo che, a dispetto degli inevitabili legami con il business, sembra averne accentuato l’essere propositivo. Anche nei confronti di una Genova che non ha mai dimenticato.
A costo di sembrare ripetitivo, anche con te come già per Michele e Filippo negli scorsi numeri
- parto dall’inizio e dunque dai Blindosbarra. Vi
formate nel 1992, in un contesto particolare come
quello delle posse. Il fenomeno black music in Italia
è da sempre più legato ai centri sociali che ai locali
veri e propri. Quali erano i posti-chiave per proporre questo genere di cose? Come era percepita la
black music?
Mah, non è stato facile per noi fare musica, quella musica, nel contesto che tu descrivi. I centri sociali
sono stati parte del nostro crescere a livello live ma
non sono d’accordo che fossero più legati ad un
certo tipo di musica black di altri posti. Qui a Genova ad esempio lo ska e il reggae l’hanno fatta da
padroni e hanno lasciato pochissimo spazio al re8 CMPST #9[02.2009]
sto. Non c’erano posti-chiave perché la cultura della black come la intendevano molti era percepita
a livello di intrattenimento e non di impegno sociale.
In Europa la black music è arrivata così, sotto forma
di puro entertainment; e i valori del sudore, della lotta e della solidarietà si sono persi con il ballo. I Ridillo,
ad esempio, suonavano un funkettino pop che li
portava in giro per Festivalbar e feste di piazza mentre noi eravamo esattamente all’opposto. Ricordo
che quando suonammo insieme ad un festival
nel 1995 diventammo una specie di caso perché
avevamo l’energia del rock con i groove del funk
e finimmo per non parlarci per tutta la sera. Certo,
erano altri tempi.
Funk, ma poi perchè funk. Come e grazie a chi
hai avvicinato il genere? Quali dischi sono stati fondamentali per farti venire voglia di suonare? E come
li hai reperiti?
Il funk è uno stato della mente. E’ molto più di un
genere musicale, è qualcosa che hai nel DNA e
non ci puoi fare niente: ti sceglie, e quando cominci
ad imbracciare uno strumento o a cantare ti viene
quella roba li. Io, quando i miei amici andavano da
Disco Club a comprare i Pink Floyd, compravo gli
War. Li trovavo diversi: più vicini a come ero io, ritmati
e profondi nelle loro parole. Come ti accennavo, il
funk in Europa e poi in Italia non ha mai avuto un riferimento preciso: i dj radiofonici per la maggior parte
andavano alla ricerca del consenso e quindi non
passavano mai cose che non fossero ultratritate dai
network americani o inglesi. Internet non era sicuramente quello che è oggi, e i soldi per comprare
i dischi di importazione erano decisamente pochi.
I dischi si ‘scoprivano’ quando qualcuno andava
in Inghilterra e, al suo ritorno, gli amici copiavano su
musicassette. Se dovessi citarti i dischi che mi hanno
impressionato non basterebbe lo spazio di questa
intervista. Mi limito a dirne uno su tutti, ovvero There’s
A Riot Goin’ On di Sly & The Family Stone.
Apprendo sbirciando qua e là che tutti i componenti della formazione originale dei Blindosbarra
sono figli di portuali. Questo dettaglio spiega anche
il modo in cui vi siete incontrati o è tutta una coinci-
denza?
Non è affatto una coincidenza, e anzi è una
cosa piuttosto normale nel contesto della Genova
degli anni ‘60: uno scenario in cui più del 60% delle
persone lavoratrici erano impegnate nel Porto. Allo
stesso modo quindi non è una coincidenza che ragazzi che avevano respirato la stessa aria dei loro
genitori avessero gli stessi interessi. Il Porto è sempre
stato un gran contenitore di idee e un magazzino
virtuale di contenuti, le navi che arrivavano da tutto
il mondo portavano non solo merci ma anche uomini e donne con i loro gusti e le loro musiche. Molte
di queste sonorità (soprattutto quelle africane e
americane, quindi afroamericane) ci hanno influenzato. Poi c’era l’aspetto politico e sociale a cui
tutti tenevamo molto: il Porto che lavora, quello di
chi suda e non quello degli imprenditori, è sempre
stato contraddistinto da valori sociali molto forti. Noi
eravamo insieme anche per questo motivo.
Qualche anno dopo la prima line-up avete assoldato il buon Alberto ‘Bobby Soul’ De Benedetti.
Considerando il curriculum che già allora il ragazzo aveva alle spalle, immagino che non abbiate
dovuto fare troppi casting prima di sceglierlo. Ed è
altrettanto facile supporre che vi conosceste personalmente già da prima.
Bobby è come mio fratello, forse anche di più.
Ci conoscevamo gia da prima dei Blindo, naturalmente, e tra me e lui c’è sempre stato un grandissimo rispetto e una grandissima stima sia da un punto
di vista artistico che personale. Bobby secondo me
Export
“La scelta di cantare in dialetto è
nata più per caso che per scelta
decisa anche se cantare in genovese, in quel momento, significava sicuramente molte cose.“
è l’unico che in Italia può rappresentare il funk nella
sua immensa struttura, soprattutto non-musicale.
Siamo molto diversi e qualche volta abbiamo discusso, anche animatamente, sulle scelte da fare:
ma sempre con la consapevolezza che il fine ultimo
fosse il bene. Ho imparato moltissimo da lui e credo
che lui abbia fatto altrettanto: ci siamo sempre
scambiati idee e abbracci quando era il caso. Ci
sentiamo, lo seguo nelle sue cose; e non è mai detto che un giorno non ci si possa ritrovare per farne
altre.
Parte dei testi dei Blindosbarra è in dialetto genovese. Questa scelta è solamente connessa ad un
discorso di appartenenza / estrazione sociale, o è
almeno in minima parte il frutto di qualche contingenza? In fondo nello scenario nazionale di allora
non erano pochi i gruppi che provavano ad inserire il dialetto in un contesto sonoro del tutto inedito
in Italia. Forse il modo tutto italiano per sottolineare
il connubio tra una musica dalle origini fortemente
spirituali e le radici di un popolo?
Trovo che il dialetto genovese suoni benissimo:
è come l’inglese musicale, ha parole tronche ed è
facile trovare frasi che da sole stanno in piedi e spiegano un concetto. La scelta di cantare in dialetto è
nata più per caso che per scelta decisa anche se
cantare in genovese, in quel momento, significava
sicuramente molte cose: da noi c’erano i Sensasciou, ma la contemporanea esistenza di molti altri
gruppi in altre zone d’Italia ci faceva sentire parte di
un movimento, di un qualcosa che stava nascendo. Aggiungi che noi siamo nati con la New Tone,
che è sempre stata un’etichetta world. Quanto alle
radici, sai, io sono mezzo russo da parte di madre e
quindi non so quanto valga.
Blindosbarra - La Memoria
A proposito della New Tone. Precedentemente
su Compost abbiamo ragionato sul discorso ‘co9 CMPST #9[02.2009]
Export
“La qualità media dei video musicali in Italia è molto cheap, più che
le macchine mancano le idee“
municazione’ in quegli anni: oggi dispersiva perchè molto facilitata, ieri molto seria poichè difficile
da concretizzare. Voi nel giro di un paio di anni siete passati dal nulla a New Tone e da lì alla BMG.
Come ha funzionato, passo per passo, questa scalata al ‘potere’? Buste coi cd spedite in giro per l’Italia? Scambi di contatti con altri gruppi più esposti?
Incontri fortunati ai concerti?
Guarda, noi alla New Tone siamo arrivati grazie a
Davide Ferrari di Echo Art, il quale lavorava con loro
già da un po’. A loro l’idea nostra piaceva, e suppongo che il fatto, come dicevo, di essere un’etichetta world e non rock non sia stato casuale ai fini
di questa scelta. Alla BMG invece siamo approdati
dopo aver fatto centinaia di concerti e credo (ancora oggi non posso dirlo con certezza) perchè
avevamo all’attivo due o tre brani ‘forti’. C’è anche
da dire che il momento era effettivamente propizio
anche a livello di industria musicale, oltre che per
il fermento creativo di cui sopra: c’era la Black Out
che stampava a nastro, e la BMG cercava cose
nuove per affrontare il mercato alternative. Siamo
stati contattati ad un concerto a Roma e da li siamo
andati avanti.
Siete stati una realtà importante. Per certo tra le
realtà ‘alternative’ genovesi più emerse degli anni
90. Conseguentemente ne avete viste di grosse.
Parliamo di produttori. In particolare due nomi che
non sembrano scelti a caso, se è vero come è vero
che nel curriculum di Ben Young figura la sacra triade del trip-hop (Portishead / Massive Attack/ Tricky) e in quello di Carlo Rossi il meticciato dei vari
Africa Unite, Mau Mau e 99 Posse. Cosa ricordi di
uno e dell’altro?
Ben Young è stato illuminante per il suono e il
mixing. Aveva (e ha ancora adesso che sta producendo robe soul in Inghilterra) una capacità tecnica incredibile nel saper tirare fuori la ritmica. Ha fatto
una scuola importante con Massive Attack, con i
quali anche noi abbiamo collaborato grazie a lui
10 CMPST #9[02.2009]
Blindosbarra live @ GoaBoa / Campi - ph.Matteo Casari
e agli Almamegretta. Carlo invece è tutto un altro
tipo di persona, più ‘produttore’: forse perché cura
molto la parte vocale e quella melodica. Dovessi
esprimere una preferenza sceglierei Ben, perché il
suo suono è raro e non overproduced come a volte
quello di Carlo.
Anche i live vi gratificano. Il Primo Maggio del
1996 festeggiate i lavoratori in quel di Roma. Parliamo di una manifestazione spesso oggetto di
critiche, non solo da parte della destra ma anche
di certa sinistra pura e dura. Voi che ne conoscete i
retroscena, come vi ponete sulla questione col senno di poi?
Se c’è ancora una sinistra pura e dura, ti prego,
presentamela. Ne ho bisogno.
A conoscerla! Mi riferivo semplicemente a una
(micro)fetta di audience. Anche MTV Italia si è
accorta di voi: avete suonato al primo MTV Day
ufficiale del ‘98 e l’anno prima avete aperto per IL
nome grosso, ovvero gli U2. Cosa mi dici in merito?
Sono state esperienze ovviamente importanti e
decisive per farsi conoscere. Il palcoscenico degli
U2 era davvero di prim’ordine e noi non potevamo
fare niente di meglio che esserci. Che altro dire?
Ogni tanto un po’ di culo ha toccato anche noi.
Perchè ho la sensazione che il vostro ultimo disco,
Blue Monday People, autoprodotto, sia quello di cui
andate più fieri? Sarà mica che lontani dalle labels
si vive meglio?
te per avere una vita dignitosa e la musica intesa
come produzione di dischi non mi interessava più.
Non credo più nella produzione fine a se stessa. Un
cd oggi possono farlo tutti, e se non c’è un progetto vero dietro le cose vanno a bagasce, per dirla
alla genovese. Vivendo in questa città avara di solidarietà e supporto nei confronti di chi fa arte per
sopravvivere, ho avvertito il bisogno di mettere in
pausa la mia parte creativa.Un altro motivo ancora
è da ricercare nella difficoltà di trovare una stabilità
nel rapporto con il mercato. Esiste e bisogna tenerne conto, ma non a tutti i costi.
Dopo tante domande sui Blindosbarra, parliamo un po’ anche di Vittorio. A cercare bene, in rete si
trovano un po’ di cose. Tra le tante, salta anche fuori
che sei collaboratore per la suddetta MTV e per All
Music. Ohibò. Di cosa ti occupi di preciso?
Sì, collaboro da quasi 10 anni con MTV per la
quale gestisco lo stage dei live che vengono mandati in onda dall’emittente; e ho anche collaborato
un po’ con All Music per una serie di concerti, anche questi poi trasmessi sul canale.
Blindosbarra - Blue Monday People
Hai ragione: è quello di cui andiamo più fieri, e
proprio perché è quello che abbiamo fatto lontano da gente che non ha niente a che fare con noi.
Prima di Blue Monday People ci siamo domandati
tante volte cosa avremmo fatto e dove lo avremmo fatto. La risposta è stata quel disco lì. Ne vado
particolarmente fiero perché non ci siamo posti alcun problema, nemmeno su quante copie stamparne.
Ultimo disco, ma poi perchè vi siete sciolti?
I motivi sono tanti, uno tra tutti la sopravvivenza.
Proprio ieri parlavo con alcuni musicisti da tour e
dicevamo che in Italia se vuoi e puoi permetterti
di fare il rock’n’roll devi avere il culo parato. I dati lo
confermano, e anzi ti basta guardare il pedigree
dei vari gruppi che sono ancora oggi in giro dopo
tanti anni. Ma come ti dicevo non è stato l’unico
motivo: io ho cominciato a lavorare dietro le quin-
Già che parliamo di emittenti televisive: quello
del videoclip mi sembra fosse un media caro anche ai Blindosbarra. VideoMusic se ne accorse,
ed altronde erano tempi più ricettivi verso progetti di
questo tipo. Ma tu cosa ne pensi della qualità media dei videoclip in circolazione al momento, paragonata a quella del decennio scorso?
E’ come per la musica registrata: mancano le
idee. Oggi si registra il video in digitale, le produzioni costano meno e se si hanno le persone giuste
(direttore della fotografia, cameraman e regista)
si ottengono risultati eccellenti. Quando facevamo i clip noi si facevano in pellicola, tutta un’altra
storia, parliamo di professionisti che arrivavano dal
cinema con una solida esperienza di shooting. La
qualità media dei video musicali in Italia è molto
cheap, più che le macchine mancano le idee: e
quando mancano queste, nessuno strumento può
sostituirle.
Export
“Vorrei ricreare quel giro che negli anni 90 ci ha fatto sognare,
insieme a tante persone, che
qualcosa
potesse
veramente succedere in questa città.”
guarda l’Italia. C’è qualcos’altro di cui ti occupi che
Internet non segnala? Non ho cercato bene?
Si, mi occupo di tante altre cose. Faccio il production manager nei concerti. Ho fatto lo stage
manager per tanti anni facendo festival in giro per
tutta Europa dove ho acquisito un’esperienza notevole. Produco dvd musicali e quello di cui vado piu’
orgoglioso è Immagine In Cornice dei Pearl Jam,
un vero capolavoro di mix tra cinema e musica.
Poi Red Hot Chili Peppers, Foo Fighters, Jamiroquai,
Muse, Elton John per quanto riguarda l’estero. In Italia Pausini a San Siro, Ligabue, Elisa e quel che c’è.
Lavoro moltissimo all’estero, soprattutto negli Stati
Uniti e in Asia. Organizzo una serie di festival di visuals
in giro per il mondo con diverse realtà, mi occupo di
sociale con progetti tra musica e disagio, continuo
a scrivere musica e la metto lì per un giorno che non
so. E poi studio, studio, studio in continuazione le modalità per sviluppare un’etica attività all’interno del
business della musica. Non so se ci riuscirò mai.
Visto che l’anno è appena iniziato: quali sono i sogni nel cassetto di Vittorio Dellacasa per il 2009?
Mi piacerebbe lavorare di più nella mia città, dal momento che il 90% della mia attività si
svolge al di fuori e non certo per colpa mia. :(
Vorrei ricreare quel giro che negli anni 90 ci ha fatto sognare, insieme a tante persone, che qualcosa potesse veramente succedere in questa città.
Ho un curriculum davvero importante e sulla base
di esso vorrei poter dare il mio contributo, senza la
politica, a qualcosa che in questa città manca. Un
sogno per tanti giovani artisti.
Più info sulle attività di Vittorio su
myspace.com/blindosbarra
Totalmente d’accordo, e non solo per quanto ri11 CMPST #9[02.2009]
import
“L’arte deve essere fastidiosa ti deve
attirare, talvolta è più intrigante se
non ti affascina immediatamente.“
Anna Daneri
Intervista con Anna Daneri
di Paolo Bollero
OFFICINA DELLE ARTI
E’ il mio primo pezzo per compost. Non ho mai intervistato nessuno prima d’ora ma il fatto di conoscere già Anna Daneri mi facilita il compito.
Con Anna abbiamo amici in comune e durante la chiacchierata scopro
di lei molte cose: dai suoi trascorsi in gioventù al ruolo decisamente stimolante di curatrice di gallerie d’arte, dalle esperienze con artisti come
Felix Gonzaez Torres, Hamish Fulton, Marina Abramovic all‘attività di prima
curatrice della Fondazione Antonio Ratti di Como che ricopre dal 1995.
Prima di parlare della tua attività presente
parlaci de L’Officina, una storica esperienza
di occupazione che suscita molta curiosità
nella redazione di Cmpst. Si narra che tu abbia avuto un ruolo in questo progetto?
In effetti si. Negli seconda metà degli anni
80 avevo già preso parte ad alcune esperienze di collettivi politici. Essendo nata a
Bergamo durante il liceo ho partecipato alle
Tribù Liberate, un collettivo che nella mia
città radunava Anarchici, ex sessantottini,
fricchettoni e organizzava concerti che davano voce alla musica punk dell’epoca tra
cui Kina, CCCP, Wretched essendo collegati
anche all’esperienza del Virus (Centro Sociale di Milano).
Come sei arrivata all’Officina
12 CMPST #9[02.2009]
Sono venuta a Genova per frequentare
l’Università di Lettere e ho partecipato con
entusiasmo a quest’ iniziativa di autogestione
senza mai arrivare al passo dell’appartenenza e del coinvolgimento politico. Da questo
punto di vista vi erano molte diverse correnti
che alla fine si sono sempre più separate per
poi dividersi.
Quale era l’obiettivo dell’occupazione dell’Officina.
Il motore dell’occupazione era quello di
attirare l’attenzione sul Centro Storico poiché
in quel periodo erano in ballo i progetti dell’expo e che avrebbero determinato la speculazione immobiliare del quartiere. La chiesa dei Salesiani in via Madre di Dio era vuota
e nei progetti sarebbe dovuta diventare una
Biblioteca inoltre si trovava nel Centro Storico
ai confini con un precedente e lacerante intervento nel cuore della città storica: l’orrido
Centro Dei Liguri.
Ma mi ricordo che in quel periodo (seconda
metà anni 80) il Centro Storico era considerato una sorta di buco nero in mano ai tossici
dove chi vi entrava lasciava ogni speranza.
Così era ed in fatti e il secondo obiettivo
era anche di sottrarre il Centro Storico dalle
mani dei drogati e via Madre di Dio era l’epicentro dello spaccio.
In effetti il posto non era per nulla felice,
parlaci dei concerti.
Ahimé non ti posso aiutare sui concerti,
la mia memoria è selettiva, portammo a
Genova molti gruppi tra cui un gruppo Basco (Negu Gorriak ndr forse?) e le Officine
Schwartz, penso per l’inaugurazione .
Si me le ricordo sono un gruppo industriale
italiano.
Si tra l’altro essendo anch’essi di Bergamo
“suonai” con loro per un periodo. Le virgolette sono d’obbligo perchè percuotevo bidoni
Import
e cantavo/urlavo. Per un disco/spettacolo
messo in scena nel 1988 presso un capannone della provincia di Milano Osvaldo Arioldi,
la mente del gruppo, voleva mettere in scena i turni della produzione industriale, soltanto che ad alternarsi non erano gli operai ma
musicisti.
E tu che ruolo avevi?
Suonavo il sassofono che scandiva i turni.
Lo spettacolo si chiamava Re Magnum Dentaurum (salvo errori miei di trascrizione ndr); in
seguito suonammo in cima al tetto del Leoncavallo nei periodi di sgombero. La musica
del gruppo univa l’approccio industriale a
cori di lotta infatti musicammo l’inno del Sudafrica in versione industriale.
Torniamo all’Officina, che altro organizzavate? E che fine ha fatto?
Il programma di autogestione dello spazio
prevedeva rassegne di cinema, musica, produzione culturale. Gli spettacoli avvenivano
nella navata centrale, sopra vi erano delle
stanze dove alcuni vivevano soprattutto nei
periodi di numerosi tentativi di sgombero.
Verso la fine lo sgombero avvenne definitivamente probabilmente in un periodo di
stanca quando ormai i sostenitori e i progetti
erano sfilacciati e divisi in varie correnti contrastanti.
Vi sono differenze con le attuali forme di
occupazione?
Direi di no: i presupposti sono gli stessi, forse
“Viviamo in un mondo di immagini che spesso non sappiamo
leggere, presumiamo di saperlo fare ma sovente non abbiamo le conoscenze adeguate
per comprendere quello che
vogliono comunicarci. Questo
paradosso si ripete nell’arte.”
è differente il contesto politico. Comunque
anche allora se non venivi toccato era perchè non vi era volontà politica.
Per te esistono affinità tra musica e arte? Io
penso che i percorsi siano gli stessi anche se
si manifestano in maniera differente.
Spesso vi è un incontro e una contaminazione; ad esempio quando sono stata per un
periodo a Berlino (87-88) e ho conosciuto gli
Einsturzende Neubauten ho saputo che alcuni di loro (il nome non lo ricordo) erano compromessi con altre forme d’arte e uno di loro
aveva una galleria d’arte. A Berlino in quel
periodo tutto sembrava possibile e loro sono
stati l’esempio più riuscito.
Sì. Infatti sono stati uno dei gruppi più radicali e scomodi della musica rock e i titoli
delle loro retrospettive - Strategies Against
Architecture - sottolineano legame che loro
sentivano fra musica ed altre forme di espressione artistica, elemento che si concretizzava anche suonando piloni delle autostrade
o strumenti da loro costruiti. Ora che musica
ascolti?
Ultimamente non seguo molto la musica
per mancanza di tempo e quindi non riesco
ad aggiornarmi come vorrei. In questo periodo mi incuriosiscono gli Animal Collective.
Cosa deve aver una opera d’arte per attirare il tuo interesse?
L’arte deve essere fastidiosa ti deve attirare, talvolta è più intrigante se non ti affascina immediatamente. Spesso le opere d’arte
con tutte le cose al loro posto, formalmente
perfette e ben studiate ti affascinano inizialmente ma sul lungo periodo ti annoiano e
comunicano poco.
Il rischio dell’arte contemporanea talvolta
sembra quello di essere un esercizio di stile
senza un vera anima. Non ti sembra?
Talvolta sì, è importante tener conto co-
Officine Schwartz a Bergamo nel 1990
munque che viviamo in un mondo di immagini che spesso non sappiamo leggere,
presumiamo di saperlo fare ma sovente non
abbiamo le conoscenze adeguate per comprendere quello che vogliono comunicarci.
Questo paradosso si ripete nell’arte soprattutto ora che l’arte si manifesta in diverse forme
talvolta immateriali (come le passeggiate /
performance di Hamish Fulton), happenings,
installazioni, video.
Ma il mercato apprezza le nuove forme immateriali dell’arte?
Sì. La questione principale è che, soprattutto in Italia, dove non ci sono strutture pubbliche super partes (come il British Council
in Inghilterra) che ricercano e fanno crescere i giovani artisti, è il mercato ad avere
un ruolo prevalente nella promozione degli
artisti emergenti. Questo inevitabilmente si
ripercuote sul formalismo che pervade l’arte
giovane in Italia che, per avere visibilità, deve
rispettare i canoni dettati dal mercato.
Quindi il mercato si è adeguato alle nuove forme d’arte ma ne detta anche le linee
guida?
Sì e infatti l’obiettivo del corso superiore di arti visive della F.a.r. di cui sono curatrice è proprio invitare come ospiti artisti
importanti che però sono indipendenti
13 CMPST #9[02.2009]
Import
dia esponevano a Genova che risultava un
punto di riferimento e laboratorio per nuove
idee, ora la situazione è difficile perché il museo di Villa Croce ha buoni progetti ma poche risorse, mentre tra le gallerie Pinksummer
è quella più spregiudicata e con una visione
internazionale. Dal punto di vista musicale
sembra più viva e dinamica.
Da curatrice la mostra di Fontana Come ti
è sembrata?
Ritengo che l’allestimento abbia tradito la
visone dell’artista sminuendo la potenza visiva delle opere disponendo i quadri su più
livelli in una stessa parete. Inoltre ha relegato
in secondo piano le installazioni spaziali che
sono molto significative nel percorso artistico
di Fontana.
Come ti trovi A Genova?
Bene, i miei famigliari lavorano e studiano
qui, ma io sono spesso fuori per lavoro: è faticoso ma ti aiuta a evitare che la città ti risucchi nelle sue sabbie mobili.
Anna Daneri (dx) con Marjetica Potrc (sin) nel 2006
dalle regole del mercato, di creare un in- curatrice di molte mostre in Italia. Qual’è il tuo
terazione con gli artisti emergenti parteci- approccio nel curare gli eventi.
Oltre ad essere curatrice dei workshop
panti al workshop e innescare un dialogo.
della Fondazione Antonio Ratti curo diverse
L’arte non può essere insegnata, l’unica
mostre sia in Italia che all’estero. L’ultima è
cosa che si può fare è innescare il dubbio
attraverso il confronto con altri artisti guida. stata in Brasile, si intitolava Collateral e ricercava una connessione tra arte e cinema.
Dalle esperienze e dai lavori nati dal
workshop di tre settimane presso la fonda- Comunque il mio approccio come curatrice
zione ricaviamo il materiale per le mostre è differente da quello del critico/curatore
(cfr. Achille Bonito Oliva): io tendo ad avere
dell’artista guida e degli artisti emergenti.
una visione meno impositiva e quindi ad esQuesto è il principio base dei nostri corsi che
sere un accompagnamento e un supporto a
si rifanno alle esperienze della scuola di John
Cage in cui c’è un dialogo fra il docente arti- quello che l’artista vuole dire.
sta e gli allievi.
Come è lo stato dell’arte a Genova?
Negli anni Settanta molti artisti d’avanguarCuriosando su internet si apprende che sei
14 CMPST #9[02.2009]
In effetti è così. A Genova ogni cosa è faticosa, le iniziative spesso esistono ma si fatica
a farle conoscerle: l’obbiettivo di Compost
e disvelare i tesori e le potenzialità nascoste
della nostra città. Congedandosi Anna mi
lascia un nome che detiene molti particolari
su L’Officina. Non lo rivelo, così mi rimane un
asso nella manica. Forse un altro spazio su
Compost è garantito poi si vedrà.
F.A.R. non è un organizzazione militare antigoveranativa bensi l’acronimo Di Fondazione Antonio Ratti per
maggiori info visitate
www.fondazioneratti.org
E su exibart troverete varie mostre
di Anna Daneri
Altri memorabili scritti dell autore/intervistatore poterete trovarli su
www.blugenoa.net
Produzioni
“Questo e non solo questo ci
ha portato a lavorare diversamente. Per cui il titolo Spigoli si
riferisce anche alla musica, è
un disco più difficile rispetto agli
album precedenti dove la melodia era sopra a tutto il resto.“
En Roco - Messymale - Headcreeps
Intervista con Rocco Spigno e Francesco Conelli
di Simone Madrau
SMUSSARE GLI SPIGOLI
Dopo una faticosa gestazione del loro terzo disco, gli En Roco sono
finalmente pronti per il loro ritorno. E pronti è dire poco: c’è entusiasmo, c’è voglia di dire e di fare. Lo si percepisce dai continui rimandi di Rocco e Francesco al loro presente, anche quando si prova a
riassumerne i trascorsi. Tra cambiamenti ed evoluzioni, però, una
cosa è rimasta immutata: la sincera passione verso la propria città.
Partirei da quello che tutti vogliono sapere, ovvero il nuovo album degli En Roco.
R: Il titolo dell’album è Spigoli, maturato
una sera in sala prove a disco ormai registrato. E’ così intitolato perchè il processo
di realizzazione è stato segnato da tanti
problemi: difficoltà, spigoli appunto, che
siamo riusciti ad affrontare. Forse in tutti
questi ostacoli c’entra anche il fatto che
siamo cresciuti a livello anagrafico e ci siamo scontrati con problematiche che non
hai a vent’anni: hai un lavoro, hai altri tipi
di responsabilità. Questo credo si sia andato a rispecchiare anche nella creazione vera e propria del disco: nella compo-
sizione, nell’arrangiamento, in studio ma
soprattutto in sala.
Il processo creativo, dunque, più che le
fasi successive.
R: Bè no, il processo creativo è sempre
lo stesso nei fatti: Enrico o Francesco si occupano della composizione dei brani, dei
testi, dell’idea di fondo e poi tutti e quattro
ci si occupa di come il pezzo deve uscire.
Casomai l’approccio è stato diverso, nel
senso che prima c’era un discorso legato a
una certa semplicità: la scelta dell’essere
acustici, il violino quasi sempre presente in
tutti i pezzi, un suono riconoscibile per chi
ci conosceva, il suono degli En Roco. Poi
tutta una serie di circostanze ci ha portato
ad avere dei cambi di formazione. La stessa Cecilia, il violino di cui sopra, ha smesso
di suonare con noi anche se ha partecipato alle registrazioni, sia a livello di amicizia
che fattivamente: ha lavorato a quasi tutti
i pezzi insieme a noi. Nel momento stesso in
cui lei ha deciso di ‘andarsene’, abbiamo
stabilito che non avevamo più la necessità del violino sul piano compositivo quindi
non abbiamo più preso nessuno. Questo
e non solo questo ci ha portato a lavorare
diversamente. Per cui il titolo Spigoli si riferisce anche alla musica, è un disco più difficile rispetto agli album precedenti dove la
melodia era sopra a tutto il resto.
F: E’ un disco in cui è più difficile arrivare ‘direttamente’ al pezzo. La scansione di
ogni singola canzone è più ricercata. Non
è una cosa consapevole, è venuta da sè.
Aggiungi che non suoniamo più solamen15 CMPST #9[02.2009]
Produzioni
non è uscita come l’avevamo in testa. Probabilmente la riprenderemo in futuro. E’ un
disco cui siamo affezionati anche perchè
abbiamo condiviso la registrazione delle
canzoni con molte persone con cui non
eravamo riusciti a fare cose prima. Ci sono
tanti ospiti, tanti amici. A partire dallo stesso Matteo Casari, synth in Rompicapo. Ma
anche Mario Pigozzo dei Valentina Dorme,
Max Morales dei Numero6 al pianoforte, la
suddetta Cecilia al violino, gli Aparecidos
alle chitarre in Pelle E Ossa, TigerMilk (una
ragazza cilena bravissima che fa i cori in
un pezzo) e Richard Colburn dei Belle And
Sebastian alla batteria in un altro pezzo.
En Roco - ph. Anna Positano
te in acustico.
L’influenza Headcreeps?
F: In effetti in quest’ultimo cambiamento avverto un certo grado di colpevolezza.
Sono l’elemento di ‘disturbo’ del gruppo.
Bè l’elemento ‘fastidioso’ in un gruppo è
quasi sempre una cosa positiva.
R: Assolutamente. In realtà se vai a vedere quello che abbiamo fatto negli anni
tutti veniamo da un giro rock. Sia io che
Fra veniamo dal punk-rock.
F: Il punk della LookOut ha mietuto vittime.
16 CMPST #9[02.2009]
R: Eh cavolo, sì, eravamo tra quelli, erano gli anni 90, eravamo dei bei ragazzi.
F: Comunque, anche se alcune persone
che hanno ascoltato il disco ci hanno già
riconosciuto grosse differenze, io faccio
fatica ad avvertirle. Ci sono, sì, ma per me
non c’è stato uno stacco netto: è stata casomai una logica prosecuzione avvenuta
giorno per giorno.
Parliamo delle singole canzoni.
R: Le canzoni sul disco sono 11. Eravamo
partiti con l’idea di farne 12 o 13, alla fine
ne abbiamo registrate 12 ma una l’abbiamo scartata perchè non ci convinceva,
Ricordo che Richard Colburn aveva
messo i dischi al Milk qualche tempo fa. E’
stato lì che lo avete incontrato?
R: Esattamente. C’era un progetto legato a questi nomi grossi che dovevano
venire al Milk nel corso dell’anno che consisteva nel far loro registrare un brano insieme a un gruppo genovese musicalmente
affine a loro. In realtà i nomi coinvolti alla
fine sono stati solo due o tre, ma tra questi
c’era appunto lui e noi eravamo i predestinati.
F: E’ andata così: noi sapevamo che doveva venire e Sticca ci aveva detto che
c’era la possibilità di incontrarsi e fare questa registrazione. Però poi non ne abbiamo più saputo niente. Poi, la notte prima
dell’arrivo di Richard in città, mi arriva una
chiamata di Sticca mentre tornavo a casa
in macchina che mi dice: ‘domani vi vedete con Richard Colburn, fate quello che
dovete fare’.
R: E’ stata una giornata molto piacevole. Nelle due orette che abbiamo passato
Produzioni
in studio abbiamo tirato fuori un brano su
cui stavamo già lavorando per fatti nostri.
Lui ascoltandoci si è messo a suonare con
noi e se ne è uscito con un’idea di batteria
che era totalmente diversa da quella che
avevamo pensato ma al tempo stesso era
così semplice, così bella, che alla fine è diventata la linea di batteria di quel pezzo.
Sul momento abbiamo registrato una presa diretta e subito dopo le tracce di batteria suonate da Richard che abbiamo poi
inserito nel disco. A parte questo siamo
stati tutto il giorno con lui, siamo andati a
mangiare insieme, lo abbiamo portato in
giro per Genova in una splendida giornata di marzo.
F: Richard è una persona molto gentile,
cortese, semplice. Ancora adesso ci scriviamo regolarmente, ci risponde sempre.
R: E’ nato un bel rapporto, chissà mai che
non si riesca a combinare qualcos’altro insieme qualora ripassasse(ro?) di qua.
F: Nel disco dovevano suonare anche i
Father Murphy poi purtroppo per una serie
di motivi non è stato possibile.
R: Il fatto è che quando hai lo studio fissato per giorni o sei perfettamente organizzato o è dura, tanto più se si abita a 500
km di distanza. Sono sicuro che prima o poi
riusciremo a farci qualcosa. I rapporti sono
buoni, c’è molto rispetto e ammirazione.
Vi siete conosciuti bazzicando la Fosbury, suppongo?
R: No, il fatto è che abbiamo suonato al
Mi Ami insieme. Poi sono andato a vederli
una sera a Marghera. Suonavano insieme
ai Grimoon, altro gruppo della Madcap
che secondo me è una delle migliori realtà indipendenti in Italia. Poi ci siamo rein-
contrati più volte, anche qui a Genova
e pian piano abbiamo parlato di questa
cosa che come ti dicevamo non siamo
riusciti a fare.
Parlando di etichette?
R: Il disco uscirà per la Fosbury in contemporanea con i Norman, gruppo di Treviso
capitanato da Max Bredariol (Valentina
Dorme, Artemoltobuffa). La distribuzione è
Audioglobe quindi usciremo anche nelle
varie Fnac ecc.. Siamo affezionati all’oggetto cd, ci tenevamo che uscisse in questo formato. Ma usciremo anche in digitale tramite Tomobiki Digital, costola digitale
della Eclectic Circus. A livello di booking
ancora non sappiamo, sicuramente da
parte nostra faremo valere i contatti che
ci siamo fatti negli anni.
Eventuali videoclip?
R: E’ ardua, per una questione meramente economica: siamo tutta gente normale che non può permettersi di investire
in grossi budget. L’idea che ho io del videoclip in questo momento comunque è
svincolata dal contesto televisivo. Se proponi un video a una rete televisiva non è
detto che lo passino, anzi probabilmente
non ti passano. Se mai decideremo di fare
un video sarà quindi realizzato tra noi oppure sarà un video realizzato da qualcuno
che abbia piacere di lavorare con noi senza velleità di finire in televisione.
Influenze varie a livello creativo per questo disco? Ascolti che vi hanno portato in
una direzione piuttosto che verso un’altra?
F: La realizzazione del disco è stata molto dilatata nel tempo, quindi sono cam-
Enrico @ Fitz - ph. Matteo Casari
biati anche gli ascolti e le influenze. Musicalmente posso dirti che il fatto di suonare
più ‘rock’ rispetto al passato è probabilmente derivato dal mio interesse (tardivo,
lo ammetto) per i Joy Division. Anche se il
disco poi non suona affatto come un disco dei Joy Division: le idee rimangono le
17 CMPST #9[02.2009]
Produzioni
“Mi rendo conto che avrei voglia di fare per conto mio tante
cose. Ma come faccio? O faccio dieci gruppi diversi o faccio El Pelandro che fa quello
che gli pare senza prepararlo.”
nostre. Altro esempio: un pezzo in particolare suona ‘pesante’ però viene fuori da
un momento in cui ascoltavo Revolver dei
Beatles. Che non è certo qualcosa che
definirei pesante.
R: Credo che ognuno di noi quattro abbia un modo diverso di suonare, ciascuno
influenzato dai propri ascolti che sono tutti molto diversi. Il bello sta nel cercare di
metterli insieme.
E’ una formula che poi dà vita alle cose
più interessanti, un po’ lo dicevamo anche
prima.
F: Nella prima fase compositiva dei brani
io ed Enrico siamo andati a vedere i Girls
Against Boys a Torino, che non sono esattamente il primo gruppo che accosteresti
a noi.
R: A me piace molto la collaborazione
tra Kieran Hebden e Steve Reid, ma anche
Villalobos: tutte cose che non c’entrano
un cazzo con noi. Mi rendo conto che
avrei voglia di fare per conto mio tante
cose. Ma come faccio? O faccio dieci
gruppi diversi o faccio El Pelandro che fa
quello che gli pare senza prepararlo.
Comunque bene o male adesso avete
le idee chiare su chi siete e dove andate.
Ma all’inizio di tutto, quando sono nati gli
En Roco, cosa avevate in mente di fare?
R: Bè ognuno ha la sua storia musicale,
come ti dicevamo prima: chi veniva dal
18 CMPST #9[02.2009]
punk-rock, chi dal grunge, chi dalla musica d’autore, ecc.. Enrico però si registrava
i suoi provini su un quattro tracce, rigorosamente in acustico. A noi che all’epoca
ancora eravamo gli Istmo, i provini arrivavano quindi così: acustici. Quando ci
siamo ritrovati a ricominciare abbiamo
optato per fare tutto in acustico perchè ci
piaceva come suonavano quelle cose lì.
Abbiamo inserito un violino perchè ci piaceva il violino ma non è che avessimo in
mente qualche gruppo particolare, non è
che conoscessimo per dire i Fairport Convention. Eravamo piccoli, non facevamo
ragionamenti particolarmente ‘evoluti’:
erano pezzi che nascevano con la chitarra acustica e ci piaceva che suonassero
così. C’era anche una voglia di staccarci
da quello che avevamo fatto fino a quel
momento, dai vari Nirvana ecc.. Caso ha
voluto poi che la nostra nascita coincidesse con questa esplosione del New Acoustic Movement: una bufala? Forse, ma tant’è: quello è stato l’inizio.
Io in effetti non avrei mai pensato ai vostri
dischi precedenti come figli di Nevermind
o che altro. Vi ho sempre pensato come un
gruppo a metà tra quella che può essere
la scena cantautorale genovese e un indie-pop di scuola Belle And Sebastian.
R: E infatti ci prendi in pieno: Enrico è
sempre stato vicino alla scuola d’autore,
anzi Enrico è un cantautore. A Genova
l’aria che respiri ti riconduce alla canzone
d’autore, o almeno a una certa canzone
d’autore, quella che non si è svenduta
negli anni. Anche se poi all’interno della
scuola genovese ci sarebbero da fare dei
grandi distinguo.
Q un paio di numeri fa disse che continuare a vedere i maestri del genere come
un punto di arrivo anzichè un punto di partenza per fare qualcosa che suoni come
l’’oggi’ è sbagliato, e meglio sarebbe fare
il contrario per far capire che da 40 anni a
questa parte a Genova è successo qualcosa.
R: Ecco spiegato cosa intendevo. Sono
totalmente d’accordo. A Genova poi ci
sono state realtà di qualsiasi tipo, non solo
cantautorale, che non possono essere
ignorate perchè hanno segnato riferimenti importanti anche per il tipo di scena cui
facevano capo. Ci sono stati i Detestor, ci
sono stati i Sadist, ci sono stati i Blindosbarra, ci sono stati i Blown Paper Bags, ci sono
stati i Kafka... Genova in sè è una città molto portata per la creatività, e lo è per tante
ragioni: ragioni storiche, non nel senso di
storia contemporanea, anche rinascimentale quando non medievale; ragioni geografiche perchè il fatto che sia una città
di mare implica che abbia tante culture
diverse e sfumature diverse; il fatto che sia
una città chiusa, non tanto nel senso delle
persone (una cosa a cui non ho mai creduto più di tanto) ma nel senso di una città
difficile da scoprire in cui però ti addentri
e quando giri l’angolo, senza aspettartelo,
ci trovi delle cose stupende. Tutto questo
concorre a sviluppare la necessità di fare
delle cose: e non solo a livello musicale,
perchè abbiamo moltissimo in tutti i campi
della cultura. Molto di più forse rispetto ad
altre città.
Che Genova vi piaccia è evidente. La
citate, esplicitamente e implicitamente,
Produzioni
“Il fatto che (Genova) sia una
città chiusa, non tanto nel senso
delle persone (...) ma nel senso
di una città difficile da scoprire
in cui però ti addentri e quando
giri l’angolo, senza aspettartelo, ci trovi delle cose stupende.“
in varie canzoni. In Niente Di Peggio campionavate addirittura un annuncio della
stazione.
R: Bè amiamo Genova in tutte le sue forme. Soprattutto nell’Unione Calcio Sampdoria che è comunque qualcosa che...
Un atto d’amore fondamentale, capisco.
Il calcio comunque è una cosa particolarmente sentita a Genova, molto più che in
altri luoghi.
R: E’ una città che sente fortemente la
rivalità e che ha due maniere di seguire e
tifare molto differenti.
Come è diviso il tifo all’interno degli En
Roco?
R: Siamo un Ultras della sampdoria, un
Quasiultras della Sampdoria, un milanista
e uno a cui non gliene frega un cazzo.
Scherzo, nessuno di noi è un Ultras.
Progetti paralleli: Enrico ha i Bosio, Francesco gli Headcreeps. Rocco... è El Pelandro. Ma cos’è El Pelandro?
R: El Pelandro, al di là delle cose che
scrivo su Compost, è una presa in giro di
se stessi, non esclusivamente legata al
sottoscritto. El Pelandro è ‘chiunque vuol
fare qualcosa lo fa’. In realtà ho in testa un
bello split con le She Said What? che a settembre potrebbe essere fuori, o quantomeno l’idea c’è - poi vedremo. Ma a parte
En Roco live @ Rural Indie Camp - ph. Anna Positano
questo musicalmente El Pelandro nasce
da una prima idea chiamata 30 seconds
take-away songs, ovvero: El Pelandro si
presenta di fronte al pubblico e improvvisa delle canzoni sul momento. Il succo di El
Pelandro è di non prepararsi le cose ma di
farle. Punto.
Il 2009 degli En Roco.
R: Spigoli uscirà a marzo. Non avendo
possibilità di concentrare la promozione in
un unico periodo, i tempi dedicati a quest’ultima saranno dilatati. Gli En Roco hanno le loro vite e la loro passione: le portano
avanti cercando di fare quello che riescono a fare al meglio. Più date possibili, senza la foga di doverne farne 200.
F: L’unica cosa importante, quella che
abbiamo tutti in testa, è che abbiamo una
gran voglia di suonare dal vivo.
Più
info
sugli
Enroco
myspace.com/enroco
su
19 CMPST #9[02.2009]
Oltre il Palco
“Il mondo della musica underground
(che va tra l’altro sempre più riducendosi) non è poi (ovviamente) in grado di fare investimenti pubblicitari e,
spesso, comunica male con i media.“
Altera - PrecariArte - Carmine
Intervista con Stefano Bruzzone
di Giacomo Bagni
NIENTE STAND-BY
Colgo l’occasione della loro recente premiazione al M.E.I. e della pubblicazione di un nuovo indedito degli Altera nella compilation Arci Libertà e Musica, per intervistare Stefano Bruzzone, voce del gruppo e
mente di un’altra miriade di progetti di cui cercherò di rendere conto
in queste (poche per la mole delle iniziative in cui è coinvolto) righe.
Iniziamo dalla base di qualunque intervista. Dovrei essere io a presentarti, ma la
mole di cose in cui sei impegnato mi rende difficile chiuderti sinteticamente in un
quadretto esplicativo. Mi facilito la vita e
lo chiedo a te. Chi è e cosa fa Stefano
Bruzzone?
Mi vien da dire che è un “cane sciolto”... Dopo due lavori “normali” in ufficio
e supermercato terminati (guarda caso)
con due cause in Tribunale (finite bene
– e non è un caso), si ritrova disoccupato e si mette di conseguenza a fare ciò
che gli riesce naturale: suonare, scrivere,
creare o organizzare situazioni o eventi.
Da lì l’associazione Cantiere di Idee del
Carmine. Mi sono poi reinventato come
giornalista free lance: curo una rubrica
di mia ideazione sulle iniziative gratui20 CMPST #9[02.2009]
te in città e dintorni per il sito e la radio
del maggior quotidiano ligure, collaboro
con un free press, un altro quotidiano ed
un professionista della Comunicazione
d’Impresa. Pensandoci su ci deve essere
anche qualcosa di “insano”: se aggiungo a tutto ciò il cortometraggio su Don
Gallo al Carmine nel 1970, la questione
di Vico Testadoro in riferimento alla Maria della trattoria omonima, gli incontri di
PrecariArte tra artisti e mondo del lavoro, il “ritorno” degli Altera, ecc. mi rendo
conto che non son stato molto “fermo”
negli ultimi mesi. In altre parole... un cervello che purtroppo non ha il pulsante
“stand by”.
Partiamo dal versante musicale: gli
Altera. A fine 2008 siete stati premiati al
M.E.I per il vostro Canto di Spine, un disco
datato 2001. Cosa è successo in questi
sette anni? Come mai un disco presentatosi con una sfilza impressionate di patrocini, collaborazioni importanti e buone
recensioni, è praticamente scomparso
per tutto questo tempo dal panorama discografico nazionale?
E’ stato chiaro già ad inizio 2002 che
il disco non sarebbe stato minimamente
supportato come si deve dal punto di
vista promozionale. Ciò accade abitualmente per lavori “ordinari”, figuriamoci
per un album di poesie rock… Abbiamo
tentato con il produttore (Franz Di Cioccio – PFM ndr) un colpo di coda, con un
remix curiosissimo ad opera dei Datura,
ma non è stato possibile pubblicarlo. A
quel punto, almeno per quel che mi riguarda è calata la notte. Tre anni di lavoro feroce e continuo… Con conseguenze
(dal punto di vista della vita privata e del
lavoro – abbastanza andati a rotoli) immaginabili. D’altronde dopo aver ideato
e realizzato un mastodonte del genere,
non puoi metterti pure a vendere tu i dischi. La fine che ha fatto Canto di Spine
nel suo “piccolo” è emblematica rispetto
all’industria discografica nostrana. Ora,
anche grazie al Premio del MEI, forse si è
Oltre il Palco
Versi
in
Italiani
forma
del
‘900
canzone
Questo è il sottotitolo di Canto di
Spine, album del 2001, recentemente riscoperto e premiato al
M.E.I. di Faenza con la targa Premio Speciale Suona la Poesia, “per
essersi distinto come esempio di
contaminazione artistica e per
aver avuto il merito di avvicinare
sempre più persone alla poesia”.
In effetti mai prima di allora si era visto
in Italia un tentativo cosi ambizioso
come quello di trasporre in musica i
versi dei grandi poeti del ‘900 (Pasolini, Montale e Ungaretti tra gli altri)
Riprova di ciò sono la sfilza infinita
di patrocini che questo progetto
si era guadagnato e le numerose
collaborazioni con musicisti importanti come Manuel Agnelli e Paolo Fresu, alle quali si aggiungono
quelle con gli stessi poeti che hanno prestato i loro testi all’operazione. Tra questi merita sicuramente di
essere nominata Alda Merini, coinvolta con entusiasmo nel progetto
e pronta a prestare, oltre a voce e
pianoforte, anche il suo corpo seminudo per la copertina dell’album.
Purtroppo, nonostante la validità
del progetto e la grande attenzione riscossa nei primi tempi, l’interesse verso questa piccola gemma
della musica italiana è andato
scemando, fino a chiudere il disco
in qualche polverosa soffitta. Ora,
anche grazie ai riflettori puntatisi sugli Altera dopo il M.E.I., qualcosa si sta muovendo e si aprono
interessanti possibilità per il recupero di Canto di Spine. Questa volta non potete farvelo sfuggire.
aperto uno spiraglio per “salvare” il cd.
Osservando più da vicino il disco mi
viene da chiedere come vi sia venuto in
mente di mettervi a cantare (e non recitare) i versi di alcuni dei più grandi poeti italiani (Montale e Pasolini tanto per
fare due nomi). E’ un lavoro immane che,
personalmente, mi spaventerebbe tantissimo.
Ci venne molto naturale… Iniziammo
da Shemà (Se questo è un uomo ndr) di
Primo Levi, cantata in un concerto per il
25 Aprile alla Sala “Chiamata” del Porto
e da lì, al ritmo di quasi un pezzo a prova andammo avanti. Qualcuno scrisse di
“angelica spregiudicatezza”, forse non a
torto. Allora eravamo molto incoscienti…
Più che la parte artistica, di quel disco
(peraltro non trascurabile, visto che si
cantano testi di tutti i più noti poeti autori) fu un lavoro colossale la parte burocratico – organizzativa. Per qualsiasi partecipazione ed a qualsiasi titolo (autore,
erede, casa editrice, immagine, ospiti,
studenti, patrocini, ecc.) occorreva una
liberatoria… c’è un raccoglitore pieno.
Mi viene in mente il ritornello di Retrattile
dei Marlene Kuntz… “Probabilmente… io
meritavo di più”…
1998: gli Altera, in seguito all’esclusione del brano Merda d’Artista da una
compilation della Fridge, mandano una
lettera a Rumore (e a tutti i giornali musicali italiani?) denunciando le dinamiche
malate della discografia indipendente
italiana e scatenando un vespaio a livello nazionale. Di fronte a quali problemi vi
eravate trovati? Negli ultimi anni è cam-
biato qualcosa?
Guarda, dovevamo partecipare ad
una raccolta con un brano che parlava
di zrom e sinti (Santa gitana)… Tra l’altro
noto che sono passati dieci anni e l’argomento integrazione è ancora tristemente
d’attualità… Anzi, c’è stato un peggioramento evidente. Tornando alle beghe
discografiche i tizi dell’etichetta, che si
definivano “compagni”, appresero da
me medesimo in una chiacchierata telefonica che stavamo preparando un nuovo pezzo per il nostro demo, che parlava
della mercificazione dell’immagine di
Guevara, affiancandola all’opera d’arte
Merda d’artista di Piero Manzoni. Apriti
cielo… Dissero che vendevano molto nei
centri sociali e che temevano un altro effetto Disciplinatha… E quindi ci tolsero su
due piedi dalla compilation. Oltretutto
ovviamente dovevi dar loro denaro (acquisto copie “obbligato”). Pensa che paranoia… Per un demo… Per il resto negli
ultimi anni eravamo… In esilio…
Lavorando al Secolo XIX e a Radio 19
sei riuscito a farti un’idea del perché questi media, che pure dovrebbero essere
locali, snobbino cosi tanto l’undeground
genovese? In fondo aiutare la scena per
loro potrebbe rivelarsi un grande investimento a costi veramente risibili.
Tieni conto che si tratta di “collaborazioni esterne” e che quindi vivo e vedo
tutto da un’ottica differente. Concordo
sull’investimento; sospetto però che nelle redazioni si ritenga che i musicanti e il
loro pubblico comprino poco i giornali. E
il mondo della musica underground (che
va tra l’altro sempre più riducendosi) non
21 CMPST #9[02.2009]
Oltre il Palco
è poi (ovviamente) in grado di fare investimenti pubblicitari e spesso comunica
male con i media. Finito di far l’avvocato del diavolo credo che occorrerebbe
mettere intorno ad un tavolo un gruppetto di persone intelligenti e con qualche
idea e ragionare anche su questo punto.
Perché ad es. non creare una piccola
struttura “leggera” che si occupi a costi
minimi di rapportarsi con i media per tutto il “giro underground genovese”?
Altra domanda, altro argomento. Ho
scoperto con colpevole ritardo degli incontri PrecariArte da te ideati, che si proponevano di analizzare la vita degli artisti genovesi e i loro rapporti con il mondo
del lavoro. Uno dei tre incontri previsti era
dedicato alla musica e, se non ho capito
male, si proponeva di affrontare il cronico problema della mancanza di spazi
dedicati alla musica a Genova. Com’è
andato? Si è riusciti a tirare su un dialogo
costruttivo o è stato il solito mugugnare
indistinto in cui spesso ci si perde in questa città? Avete trovato qualche soluzione nuova e praticabile?
In realtà gli incontri partono dalla
considerazione un poco surreale che
“nessuno è più precario di un’artista”…
si tratta in realtà di confronti tra artisti
e controparte (es. musicisti e discografici) ad uso e consumo dei più giovani.
Gli spazi erano una piccola fettina tra i
temi trattati. A parte la scarsa presenza
di giovani (c’è stato qualche problema
Altera - ph.Fenu&Reale
organizzativo che ha impedito stampa
e affissione delle locandine) a me l’incontro è parso interessante. Non capita
spesso di ascoltare l’esperienza di Freak
Antoni degli Skiantos o di Stefano Senardi
(uno dei più importanti discografici italiani – ex presidente Polygram) per non
parlare degli altri ospiti… Andrea Bruschi
dei Marti, Monica Melissano di Suiteside
records, Roberto Giannini di Metrodora.
“Qualcuno scrisse di “angelica
spregiudicatezza”,
forse non a torto. Allora eravamo
molto
incoscienti…“
Sempre leggendo il comunicato stampa di PrecariArte ho trovato un accenno
a una stagione di concerti in preparazio-
22 CMPST #9[02.2009]
ne all’Utri Beach di Voltri. Quando contate di partire? Qualche anticipazione di
carattere generale su quello che si sta
pensando di organizzare?
L’idea è quella di preparare uno spazio live adeguato sotto tutti punti di vista (palco, impianto luci, fonici, ecc.),
fornendo ai gruppi più giovani una serie
di consulenze e servizi gratuiti molto utili
(dall’indirizzario completo di etichette,
manager, agenzie, ecc.) all’inoltro di
demo ad etichette partner con risposta
in tempi ragionevoli, dalle riprese audio
video, ecc. Ti assicuro che si tratta di una
Oltre il Palco
“Gli incontri partono dalla considerazione un poco surreale che “nessuno
è più precario di un’artista”… Si tratta
in realtà di confronti tra artisti e controparte (es. musicisti e discografici)
ad uso e consumo dei più giovani.“
roba totalmente inedita. Proprio per questo voglio esser certo che tutto fili prima
di mettere in moto il pachiderma. L’avvio
potrebbe essere a inizio marzo. Ma solo
se ci saranno le condizioni.
Passiamo a tutt’altro argomento: Il Cantiere di Idee del Carmine. Come nasce
questa (ottima) iniziativa mirata a ridare vita al quartiere del Carmine? Come
rispondono gli abitanti ai numerosi progetti che siete riusciti a mettere in piedi?
Iniziative e ambizioni future?
Tutto è nato da una frase di Manu
Chao letta in un’intervista… Alla domanda “ritiene ancora valida la frase un altro
mondo è possibile? ” lui rispose qualcosa
tipo ”L’unico vero cambiamento oggi comincia dal tuo barrio, dal tuo quartiere,
da ciò che ti è vicino”. Detto e fatto. Circa 25 eventi in poco più di un anno. Se
a febbraio finalmente partirà la riqualificazione del Mercato comunale, semidismesso da anni, probabilmente non è un
caso... Gli abitanti? Il Carmine è un luogo
particolarissimo, che non ha una coesione sociale uniforme. C’è di tutto: molti lavorano fuori Genova, la chiesa conserva
una certa influenza, ci abitano molti artisti (Bob Callero, Sergio Alemanno, ecc.),
molti anziani e molti che comunque sembrano disinteressati a ciò che accade
intorno. Da qui partì la storia “pubblica”
di Don Gallo, qui c’era qualche sede di
Autonomia Operaia. E’ un luogo difficilmente decifrabile… Per il futuro l’idea è
provare a dare.. Un futuro al borgo, in direzione delle arti figurative.
Con il Cantiere avete esordito con
l’evento Mi hanno rubato il prete, dedicata alle manifestazioni organizzate nel
1970 dagli abitanti del Carmine per sostenere Don Gallo, che ai tempi era stato
allontanato dalla Curia. Come mai avete
deciso di partire proprio da questo fatto?
Beh, sicuramente è stato il fatto più importante accaduto nella zona nell’ ultimo
mezzo secolo. Per giunta… Dimenticato.
La vicenda finì su Le Monde, Panorama,
Gente, sui quotidiani nazionali. Eppure il
Carmine aveva dimenticato quei fatti.
Ridare ad un quartiere un gran bel pezzo
della sua memoria storica ci parve il miglior modo di cominciare.
E già che siamo in tema da dove parte questa attenzione per Don Gallo? Ho
notato che tra musiche, cortometraggi e
la seconda edizione dell’evento citato al
Carmine sembri avere una grande fascinazione per il suo personaggio.
Ne ho un grande rispetto e stima. Non
condivido tutte le sue posizioni e nemmeno il suo egocentrismo… È un uomo
che ha lasciato e lascia tuttora semi importanti ed ha aiutato migliaia di persone, nonché salvato la pelle a un sacco di
gente… Se fossi cattolico direi che è stato una benedizione per la città. E molti se
ne accorgeranno tardi, come sempre.
che sulla web-tv PandoraTV è in cantiere un progetto incentrato sui videoclip
musicali di cui tu sei parte attiva. Come
ci sei finito dentro? Di cosa si tratta esattamente?
Per caso, me ne parlò un amico giornalista. Il progetto PandoraTV libera la
musica è un tentativo di riportare alla
luce videoclip censurati o oscurati dalla
tv... Prima sul sito di Pandora, poi sul satellite e se andrà bene anche su un pò di
tv locali... I gruppi dovranno contattare
la redazione genovese di Pandora (si sta
definendo, io ne faccio parte) e fornire
un link per mostrare il proprio lavoro...
Torniamo a parlare degli Altera. Nonostante non abbiate più fatto uscire un
disco vero dai tempi di Canto di Spine,
tra un mini-tour in Romania con il poeta
Bruno Rombi e la realizzazione delle musiche per il corto dedicato a Don Gallo
siete sempre in movimento. Quali sono i
prossimi progetti?
Un disco di brani originali, aggressivo,
provocatorio e… un po’ divertente. C’è
un’idea di titolo: Cavallo di Troia… E poi
rimettere in circolo Canto di spine. Quel
disco ha ancora un sacco di strada da
fare e di cose da dire.
Capita l’antifona? Preparatevi a sentir
parlare ancora degli Altera...
Più info sulle loro attività su
gruppoaltera.com
Parlando di musica e video, ho visto
23 CMPST #9[02.2009]
Ospiti
“ Via
di
qui.
Dove
vuoi.
Una
dimensione
di
fuga,
comunque tu la voglia vivere.“
Madrigali Magri / Bachi Da Pietra
Intervista con Giovanni Succi
di Daniele Guasco
BRILL ANTI ANNI ‘80
Quando mi sono trovato a sentire nel nuovo album dei Bachi da
pietra I Suoi Brillanti Anni ‘80, canzone ambientata in una Genova oscura e minacciosa, mi è venuto naturale pensare di scrivere un’intervista per Compost con il cantante Giovanni Succi, che già con il suo vecchio gruppi, i Madrigali Magri, rientra
tra i miei ascolti da molti anni. Ecco dunque una lunga chiacchierata su Genova, musica, parole, arte, azione e tutto il resto.
Direi di iniziare questa intervista partendo
da “I suoi brillanti anni ‘80”, uno degli splendidi brani contenuti in “Tarlo terzo”, terzo disco dei Bachi da pietra, in cui racconti una
“Genova per noi” livida e malata, ma allo
stesso tempo avvolgente per il protagonista
della canzone. Come è nato questo brano?
Cosa puoi raccontarci del tuo rapporto con
Genova?
Per gli abitanti del basso Piemonte (province di Asti e Alessandria) Genova è sempre
stata il punto di fuga, l’altro da tutto fatto a
forma di città sul mare. Punto di partenza
per l’ipotesi di andare a far fortuna oltremare fino alla prima metà Novecento. Meta di
gite trasognate in automobile negli anni del
boom del dopoguerra e nella tradizione dei
cantautori. Infine porto a tiro di fuga per andare a comprare la roba fresca di sbarco per
le generazioni dell’entroterra tra la fine degli anni Settanta e la prima metà degli anni
Novanta. Oggi non so: Genova e basta. Ri24 CMPST #9[02.2009]
mane un simbolo forte dell’altro, che per un
piemontese è “quel mare scuro che si muove
anche di notte non sta fermo mai” (volevo risuonasse chiaramente Genova per noi nella
canzone) e porta al mediterraneo, alle isole,
all’Africa... Via di qui. Dove vuoi. Una dimensione di fuga, comunque tu la voglia vivere. Il
protagonista della canzone la vive nel modo
peggiore, consumandosi in storie di merda
sui ritmi patinati della musica da fighetti. Ma
forse si rende conto che tutto potrebbe essere diverso oltre quel nero notturno. Genova
per noi apre e chiude. Quando passi l’Appennino e ti lasci tutto quel torpore e la nebbia alle spalle ti accorgi che avevi proprio dimenticato che potesse esistere qualcosa di
così limpido, tutta quell’aria sottile e odorosa,
quella chiarità è un tonfo nel petto. Sei sulla
soprelevata (nome evocativo e già esotico
per noi foresti): un limpido transito in un sogno promettente. Tutto aperto il fuori, il mare,
l’orizzonte e poi tutto chiuso il dentro: la città
che ti inghiotte, ti racchiude, ti nasconde, ti
disperde in vicoli infiniti. E’ avara, non ti regala niente, tranne i sogni. Fondamentalmente
oggi Genova rimane per me la città dei miei
poeti preferiti del Novecento italiano, la città di Caproni su tutti... Ci ho abitato quattro
anni, fino al 1996.
Si può quindi dire che hai passato a Genova gli anni appena precedenti alla nascita
dei Madrigali magri. Quanto la città ha influenzato il tuo modo di fare musica?
I MM nascono nel 1994, io stavo a Genova
dal ‘92 e ci rimasi fino al ‘96. Suonammo un
paio di volte in città. Alle Cappe Rosse, vicoli
di zona Carignano: un posto talmente piccolo che la macchina del caffè rientrava nel
microfono. E poi più tardi, verso il 2000, periodo Negarville, in quel locale a Caricamento
di cui non ricordo il nome... Possibile fosse il
Fitzcarraldo? Davanti al porto antico. Quello
fu un bel concerto. Se non sbaglio aprirono
per noi i Port Royal. Potrei sbagliarmi. Se erano
loro, li preferisco adesso.
Già nelle mail in cui progettavamo questa
intervista sono usciti alcuni ricordi di gruppi
genovesi del passato. Io in quegli anni ero
poco più di un ragazzino. Cosa puoi raccontarci del panorama musicale e artistico genovese degli anni in cui ci hai vissuto?
Abbiamo parlato dei Live, glorioso trio mo-
Ospiti
torheadiano, che però risale almeno alla prima metà degli anni Ottanta, quando avevo
circa sedici anni ero un metallaro incallito e
stavo a Nizza Monferrato, quindi un decennio
prima rispetto al mio periodo genovese. I Live
per come me li ricordo erano davvero grandi, e cantavano in italiano (come agli Strana
Officina: più unici che rari). Della scena metal
ligure dei primi anni Ottanta indimenticabili
anche i Vanexa: si dice che il riff di Princess Of
The Night dei Saxon fosse stato barbato senza
tanti scrupoli da un loro demo. Del periodo
tra il ‘92 e il ‘96 quando stavo in città, ricordo
invece i Laghisecchi che erano veri eroi locali. Nelle aule studio e nelle bacheche delle
università le loro locandine non mancavano
mai. Andavano fortissimo i Sensasciou in ambito raggamuffin in dialetto genovese; e poi
ovviamente i mitici Lo-Fi Sucks! di Pierpaolo
Rizzo, un talento che da anni tace. Ricordo Max Manfredi, che ho visto rispuntare di
questi tempi e, a proposito di cantautori, un
mio compagno di università che si chiamava Giorgio Marrapodi, suonatore di organi
a canne, scriveva canzoni strampalate con
una vena tutta sua... Chissà che fine ha fatto. Giorgio, se ci sei batti un colpo. Poi c’era
Silvano (il cognome sfugge) della fanzine
Psiche Out, molto diffusa nel giro internazionale punk hardcore, noise, no-wave o che
altro dell’epoca: un mondo fatto di fanzines
di carta, francobolli, flyer, fotocopie... Senza
nostalgia, sembra una vita fa. Il web in dieci
anni ha cambiato tutto.
La rete però ha dato la possibilità di parlare a chiunque, se per certi versi questo rappresenta un bene, un privilegio che ci viene
concesso e che è giusto sfruttare, da un altro
lato abbiamo una saturazione sconclusionata dalla comunicazione secondo me. La
musica stessa ha guadagnato molta visibilità
grazie a internet, ma allo stesso tempo sta,
sempre secondo me, correndo il rischio di diventare un prodotto usa e getta. Qual è il tuo
rapporto con il web?
Un rapporto di saturazione dal momento
che ci lavoro. Quindi dedico poco tempo
al lato web del gruppo, giusto il minimo indispensabile… Quando stacco dal monitor
preferisco fare altro. Il web in generale rende
oggi più facile ai gruppi fittizi crearsi un minimo di popolarità fittizia. Questo fa si che tutti
la vogliano, dal momento che è apparentemente facile, e quindi nascono gruppetti
come i funghi. Ma è comprensibile, non è
certo un male. Non lo è per loro, non lo è per
noi suonatori ormai attempati. Non lo è per
voi che scrivete di musica: anzi dovrebbe
rendere più evidente la differenza tra l’acqua
e il vino. Tra vino e vino.
I mezzi non cambiano la sostanza dell’essere,
i sentimenti primari e le paure che ci agiscono: questa sostanza è immutata da svariate
decine di migliaia di anni. Non la cambi con
dieci anni di internet e cinquant’anni di televisione. La spina dorsale, il rettile interno e il
buco del culo sono esattamente gli stessi e
portano sempre gli stessi messaggi alle stesse
aree cerebrali. Sullo scenario tragicomico del
teatrino del mondo i comportamenti umani
sono di una banalità e di una prevedibilità disarmante. Siamo macchine da quattro soldi
che si credono prototipi di pregio.
Restando su Tarlo terzo, la cosa che più mi
conquista di questo nuovo album è l’irruenza
dei ritmi che muovono i brani senza andare
a toccare l’intensità viscerale che mi fa apprezzare le canzoni dei Bachi da pietra. Quali
altri obiettivi speri di raggiungere in futuro con
questo progetto?
L’obiettivo è il percorso. Nessun compromesso. Si vedrà dove arriveremo. Di certo
tutti avremo fine. Di certo avremo lasciato un
segno.
Nei testi del disco nuovo si nota una maggior presenza di tematiche sociali e politiche,
mi basta pensare a Fbd (fosforo bianco democratico). Quanto ti spaventa in mondo di
oggi?
Né più e né meno del mondo di ieri.
Quindi siamo destinati a continuare a cadere negli stessi sbagli assistendo a una continua ripetizione orrori del passato? Oppure
vedi una possibilità anche minima di miglioramento della situazione che ci circonda?
Certo, vivere nel secondo dopoguerra del
Novecento è assai più comodo che vivere anche solo all’inizio del secolo scorso; ma questo non cambia nulla dell’umanità dell’uomo.
Bachi Da Pietra live @ Brescia
25 CMPST #9[02.2009]
Ospiti
Prima dei Bachi da pietra c’erano i Madrigali magri. “Malacarne” è uno degli album
italiani che più frequentemente entra nel mio
stereo, eppure non mi sono mai curato, a voler essere sincero, di cosa si muoveva il gruppo al di fuori della musica. Come vedi oggi
quella esperienza? Quanto ha influito sulla
tua musica attuale?
Dopo dieci anni di madrigali magri sei rodato a sufficienza per lavorare con i bachi da
pietra. Ai MM devo molto del mio presente,
dal momento che sono una larga fetta del
mio passato, dal 1994 al 2004. Nel bene e nel
male, sono stati la mia prima esperienza musicale che possa dirsi adulta. Il fatto che non ti
interessassero al di là della musica che facevano lo trovo anche sano. Del resto a parte la
musica, non facevamo niente di speciale.
A partire dai Madrigali magri la tua esperienza musicale è stata legata con quella
della Wallace records. Sul sito dell’etichetta
Mirko la descrive come “controcultura e antagonismo”, ti chiedo quindi una cosa che ho
chiesto anche a lui: è ancora possibile oggi
in Italia fare cultura di alto livello al di fuori dei
canali istituzionali? Quanto della tua musica
può rientrare in queste due parole?
Si, è possibile e noi lo facciamo. Se sia ad
alto livello non lo so ma di certo è cultura, dal
momento che diamo voce a visioni del mondo. Due parole quali?
Controcultura e antagonismo.
Due considerazioni. Per fare controcultura in Italia un tempo occorreva la profondità
di un Pasolini. Oggi è sufficiente non avere la
faccia come il culo. Io e te che ne parliamo
argomentando, aperti l’uno a comprendere
l’altro, senza un vaffanculo, stiamo già facendo controcultura. Come vedi non è un grosso
sforzo, non c’è da andarne fieri. Ma prima di
capire il contro, bisognerebbe accordarsi sulla cultura. Quale cultura, non ce n’è una sola.
La più diffusa? Allora possiamo individuarla
26 CMPST #9[02.2009]
facilmente. In Italia vige effettivamente un
regime culturale forte unanimemente condiviso dalla stragrande maggioranza dei cittadini (cittadini si fa per dire, siamo un popolo di
sudditi), un sentire comune profondamente
nostro, scolpito nel DNA. La cultura dominante italiana credo sia riassumibile in alcuni capisaldi, provo ad abbozzarne un decalogo,
nord sud isole comprese:
1. io sono più furbo, le regole sono per
glia altri;
2. sarà sempre colpa di qualcun altro;
3. saranno sempre cazzi di chi viene
dopo;
4. voglio il privilegio non il merito;
5. se non rubi sei un fesso;
6. se fai fatica sei un fesso;
7. se ti impegni sei un fesso;
8. basta avere i soldi non importa come;
9. non c’è futuro;
10. vaffanculo.
Da questi punti si evince tra le altre cose
quanto i valori più profondamente cristiani
abbiano attecchito e siano radicati nel tessuto sociale. Oggi ragionano intimamente
così i rappresentati del popolo e i boss di
quartiere, i bambini dell’asilo e i rettori universitari, il manovale e il capitano d’industria, la
signora del piano di sopra e l’impiegato del
piano sotto, e lo dimostrano nel loro agire.
Controcultura potrebbe essere fare il contrario? Prendendo atto del fatto che non
siamo innocenti, cominciare a mettere in
discussione noi stessi, ognuno su di sé, come
agiamo, quali conseguenze provocano le
nostre azioni, come pensiamo, come parliamo, cosa riserviamo a chi ci sta di fianco,
cosa lasciamo al nostro passaggio, forse staremo facendo controcultura. Farsi delle domande e non essere un faccia di culo oggi
è già più che sufficiente. Quindi se facciamo
controcultura non andiamone troppo fieri.
Facciamolo e basta, sperando arrivi un tempo in cui occorra un impegno più profondo.
Mirko Spino è uno che, oltre a farsi delle domande, oltre a non essere un faccia di culo,
si impegna e paga di tasca propria per le
cose in cui crede, traducendole in fatti. Dovrebbe essere una cosa normale. Nel nostro Paese è sicuramente contro-cultura.
Altro nodo. L’arte, quando non è ideologica
o utile, è antagonista in quanto arte. Diversamente è patetica e i posteri ne ridono. Nel
termine ‘antagonista’ c’è la radice agone,
disputa, lotta. Per come la vedo io, la lotta
c’è, ma l’atre è una strategia difensiva, mai di
aggressione. Una cosa a cui si è costretti dagli eventi e non ci si può tirare indietro. Come
mio nonno diciottenne quando gli toccò di
Ospiti
“Sullo scenario tragicomico del
teatrino del mondo i comportamenti umani sono di una banalità
e di una prevedibilità disarmante.
Siamo macchine da quattro soldi
che si credono prototipi di pregio.“
fare la prima guerra mondiale. Magari toccherà anche a noi un bel giorno una bella
guerra inevitabile, giusta e sbagliata come
tutte le guerre. Per me è già qui, è in atto: è
l’arte, l’atto mentale che va oltre me stesso
nel quotidiano, la cosa che tento ostinatamente senza fine utile, senza scopo pratico,
senza Credo. Un logorio senza senso. Roba
da fessi. Un arrovellarsi su cose inutili, che non
ci paghi l’affitto e l’intervento di un idraulico.
Non è obbligatorio, in questa guerra non c’è
coscrizione. Dunque è una cosa che chi si
sente ha il dovere di fare. Io mi sento. Non me
ne compiaccio. Ne ho pudore. Ma sento il
dovere.
Mi è sempre piaciuto molto il tuo modo di
cantare che sfugge all’ascoltatore alternando sussurri, normalità e grida, andando però
a lasciare il segno con le parole dei tuoi testi.
Che origini ha questo tuo approccio al canto?
Canto. Con modalità che derivano ed
esprimono la mia visione del mondo. Da qui
forse la complessità nel definirlo. Io non me
ne curo, di definirlo: lo faccio e lo giudico, lo
gioco, lo rimetto in gioco, continuamente.
Come la scrittura. Quando canto cerco di
essere autentico, di non atteggiarmi, di non
sfringuellare. Forse questa in fin dei conti è
l’origine alla radice del mio approccio.
I tuoi testi sono spesso molto letterari, particolarmente con i Bachi da pietra riescono a
raccontare spesso delle storie coinvolgendo
l’ascoltatore nel loro sviluppo, canzoni come
veri e propri racconti. Dai importanza a una
veste narrativa dei brani? Come si è sviluppata questa anima letteraria?
Definire letterari dei testi è come definire
musicale della musica o cinematografico
un film. Tu cosa intendi esattamente? Per
qual che penso anche i testi di San Remo
sono letterari, anche la tua lista della spesa
è letteratura. Quindi lo sono a buon ragione
anche i miei testi. Io inseguo a dire il vero sempre un risultato anti-letterario (quindi un tono
che abbia il sapore dell’autenticità schietta,
anti-lirico, in apparenza spontaneo, veloce e
duro, medio-basso, evitando arcaismi di lessico e forma ecc.). Il lavorio per ottenere un
simile risultato è letterario. Ma se sentissi puzza di letteratura stantia e dozzinale nei miei
testi mi farebbero vomitare. Quindi li controllo molto, li analizzo, scompongo, rimugino
a lungo. C’è un sacco di robaccia vetusta
nell’italiano medio che te la ritrovi tra i piedi
come niente. I miei testi cerco di tenerli puliti.
Spesso mi viene attribuita, in positivo o in negato, la qualità dell’astrazione o cose come
la “poesia dell’anima”. E’ buffo. Per assurdo se
io ficcassi nelle canzoni frasi tipo “Amore mio
mi sei nell’anima immensamente”, nessuno
farebbe domande circa l’astrazione di questi
versi: eppure in quel caso davvero io sarei fumoso, vago, vacuo, astratto e letterario, dozzinalmente letterario. (…Amore in che senso,
mio in che senso, nell’anima dove, ecc.). Non
è affatto scontato che chi scrive colga la differenza tra i termini astratto e concreto, o semplicemente, pur facendo un mestiere di parola, non dà troppa importanza ai termini che
usa. Nel parlato questo accade meno meno
ancora. Puoi avere la certezza del fraintendimento come parte fondante dell’atto comunicativo. Ci parliamo come se ci capissimo.
Per tornare alla tua domanda (scusa se mi dilungo ma tu scuoti il vespaio..). Mi piace costruire per immagini. Il fatto che queste immagini lascino un margine all’immaginazione di
chi le riceve fa parte del gioco della poesia.
Ma non sono pigro al punto da lasciar fare
tutto agli altri. E per funzionare il gioco richiede comunque precisione. Non trovi “poesia
dell’anima”, nel senso che non ti darò mai il
bollettino dei miei stati d’animo, non trovi voli
pindarici nei miei testi. Scritti alla mano ci trovi
magari accostamenti inusuali o ambiguità
grammaticali (con le quali mi piace giocare)
ma se prendi gli oggetti sono oggetti umili,
concreti, quotidiani, comuni, trovi personaggi concreti che fanno cose o vedono cose,
in luoghi precisi, spesso nominati (luoghi non
altisonanti), trovi immagini, visioni, sequenze.
Cerco di essere chirurgico, preciso. Come si
è sviluppata quest’anima letteraria? (Nota:
tu chiami anima – termine vacuo - una cosa
che per me è una prassi). Vivendo la vita.
Cosa ti ha portato ad esprimerti come cantante/chitarrista e non in altre forme artistiche?
Non ne ho idea. O forse ne ho troppe, troppo vaghe e non te lo so dire. Come non ho
idea precisa del fatto per cui mi ostini anche
a ricercare anche altre forme, come la fotografia. In passato il teatro. Spesso sono stufo
di me e cerco diversivi. Provo a tradirmi. Lo
faccio come posso.
Forse troppa gente (a volte succede anche a me) perde l’abitudine a parlare delle
cose, musica compresa, con semplicità e immediatezza, pacchi dorati per ogni oggetto,
anche per quelli per cui sarebbe sufficiente
un foglio di carta del giornale. Per me questo
è un difetto che si può riscontrare fin troppo
spesso anche nella musica e non solo nelle
parole che provano a descriverla. Cosa ne
pensi dell’attuale panorama musicale indipendente italiano?
Non penso. Agisco.
Più info sui Bachi da Pietra su
myspace.com/bachidapietra
27 CMPST #9[02.2009]
Glocals
“D’altro canto, almeno dal mio
punto di vista, Genova è una città in cui bisogna un po’ scavare
per trovare qualcosa, ma che comunque ha quella attitudine da
“paesone” che a me piace molto.“
The Big White Rabbit
Intervista con Max Sobrero
di Cesare Pezzoni
SOLTANTO UN TECNICO?
Musicalmente Max The Big White Rabbit Sobrero sta all’intersezione di
tante diverse storie genovesi e non solo, e per questo è una voce privilegiata da ascoltare per raccogliere un po’ il senso di quello che è
successo, di cosa è andato storto, di cosa bisognerebbe ripetere. La
prima volta che ho conosciuto (meglio: intravisto) Max Sobrero, è stato in occasione di un concerto del mio gruppo in quella serata, che a
suo modo a Genova ha fatto epoca, chiamata Borderline: una delle
prime esperienze locali di rockteca con successo di popolo, giunta al
culmine di quegli anni 90 in cui, bene o male, sembrava che, buoni o
cattivi, i palchi in cui esibirsi sarebbero stati in ogni caso sempre di più:
tesi rapidamente smentita da questa prima decade 2000 che, a fronte di un aumento complessivo della qualità dei prodotti musicali che
escono da Genova, e di un complessivo infighettamento della città,
ha visto in realtà contrarsi a dismisura il numero di luoghi dove esibirsi. Allora Max era un tecnico del suono. Tecnico di sala come si dice.
Aveva un look vagamente darkeggiante e un fare polemico verso certi
gruppi, non a torto spessissimo, che fecero sì che me ne ricordassi.
L’ho rincontrato un paio di anni fa, a sei o
sette di distanza da quella volta, divenuto
da tempo ingegnere del suono per uno studio di produzione di musica, principalmente
elettronica, seduti alla vecchia Madeleine,
bevendo una birra con un amico comune.
28 CMPST #9[02.2009]
Allora aveva un fare dolcemente farneticante ai miei occhi, visto che continuava
a parlare male o malissimo di tastiere ed
elettronica, benché si trattasse al 90% di
ciò che gli dava da mangiare. Sputare nel
piatto in cui si mangia, si dice. Fino a che,
coerentemente, ha deciso di non mangiarci
nemmeno più in quel piatto. Ed è così che si
è liberata la sua anima da folkster: “io amo
l’acustico veloce”, diceva. Ma anche lento,
a giudicare dagli assaggi che abbiamo del
materiale che sta producendo. Penso che
questa piccola ricchezza biografica, segnata non tanto dagli eventi memorabili, quanto
dalle esperienze autentiche e molto diverse
nel mondo della musica, sia il motivo per cui
abbiamo motivo di pubblicare questa intervista. Max è una figura di raccordo di tante
cose, forse di diverse generazioni di musicisti, ma non solo: di locali, di vita notturna
genovese, di scene.
Quale è il percorso di Max Sobrero nella
musica? Come hai iniziato?
Il mio primo contatto con la musica è
stato da bambino: mio zio era batterista e
possedeva una splendida Sonor degli anni
60 (la batteria che attualmente utilizzo nelle
registrazioni). Non arrivavo ancora ai pedali,
perciò mi prendeva in braccio e suonava la
cassa mentre io con le braccia facevo il re-
Glocals
sto. Successivamente ho avuto un percorso
simile a quello che hanno avuto tutti, gruppetti di cover, gruppi con materiale proprio
e le solite cose. Ci ho messo qualche anno
a capire che io non ero proprio tagliato per
suonare con un gruppo in pianta stabile ed
ho iniziato a lavorare da solo. Ho imparato
a suonare chitarra, basso e piano (lo stretto
necessario per fare quello che mi serve). In
quest’ottica ho anche inizato a registrarmi
da solo, un po’ per esigenze economiche,
un po’ per il fatto, come ho detto prima, di
non riuscire molto ad interfacciarmi con gli
altri in fase creativa.
In un certo periodo hai privilegiato l’aspetto tecnico e professionale della cosa, cosa
ti ha spinto a questo approccio e cosa poi ti
ha allontanato?
Il fatto di essermi avvicinato alla registrazione domestica in tempi in cui il concetto
di home studio a basso costo praticamente
non esisteva mi ha costretto ad essere molto “creativo” riguardo ai metodi di lavoro.
Inizialmente comprai (ovviamente usato)
un Tascam PortalOne, 4 tracce a cassetta,
sostituto poi da un Fostex R8 (li possiedo ancora entrambi) e decisi di utilizzare un pc
per arrangiare le basi da riversare poi su
cassetta aggiungendo chitarra e voce successivamente. Il mio pc era un 486 DX4 con
su windows 3.1. per le basi usavo Protracker
e Cakewalk Pro (che non aveva ancora le
tracce audio). I risultati erano parecchio
approssimativi ma ciò mi ha portato, negli
anni a cercare sempre nuove soluzioni per
ottenere un risultato credibile a “basso costo”. Successivamente studiando sintesi e fisica del suono mi sono sempre più dedicato
al lato “tecnico” della musica tralasciando
la composizione. L’idea iniziale era quella
di ricavarne un lavoro ma poi col tempo ho
nuovamente sentito la necessità di comporre musica (occupazione notoriamente poco
remunerativa) e sono di nuovo passato dall’altra parte... ma non del tutto.
Chi ti conosce sa che nonostante una vita
trascorsa tra le tastiere, hai in te un’anima da
folkster. Addirittura direi da pre-war folkster.
Come si spiega? Saturazione?
Come accennavo prima, per un certo
periodo ho cercato di trasformare le mie
conoscenze in un lavoro, inizialmente come
fonico da live, anche se non è proprio la mia
attività preferita. Successivamente ho collaborato con un negozio di strumenti musicali,
ed in seguito mi sono dato alla produzione
vera e propria. Il problema è che ero finito
a produrre house o comunque musica con
pesanti influenze elettroniche.. devi sapere
che a me i synth piacciono tantissimo a livello tecnico e di “smanettamento” in realtà la musica che ho sempre ascoltato di
sintetico ha ben poco e non ho mai amato
particolarmente l’elettronica, anzi…tutto il
contrario. Per me la creazione di musica è
strettamente legata al fatto di avere una
chitarra al collo, quindi dovermi forzare a
creare qualcosa con strumenti con cui non
mi sento a mio agio (a livello compositivo)
mi ha portato ad una sorta di saturazione.
Quindi un bel giorno ho dato via tutte le
macchine elettroniche che possedevo, e mi
sono trovato un lavoro “normale”, in modo
da poter scindere totalmente il mio lato
creativo da quello lavorativo. E per ora direi
che sta andando bene..
Anche se conoscendoti può sembrare pa-
radossale il tuo nome è legato alla produzione e soprattutto ad un certo tipo di elettronica. Come è Genova in questo senso?
Se intendi l’elettronica pura (House, Thecno, Minimal eccetera) posso dirti davvero
poco, nel senso che non la seguo molto,
anzi, diciamo che ne ignoro quasi l’esistenza, so che a Genova ci sono diversi team
di produzione che lavorano in quel settore
e so che alcuni hanno anche un discreto
feedback a livello internazionale. Ci sono
senz’altro degli ottimi DJ che spesso sono
coinvolti in questi team di produzione e che
quindi lavorano molto nell’ottica di ciò che
fa tendenza a livello mondiale, affidandosi
poi a compositori molto validi, producono
materiale ad un buon livello professionale. Ci sono poi diverse band che hanno un
approccio dal mio punto di vista molto più
interessante all’elettronica, nel senso che si
affidano ad una struttura ed ad un line-up
più tradizionale ma con un massiccio utilizzo di sintetizzatori e produzione elettronica:
mi vengono in mente Tarick1, gli Ex-Otago
e Rocktone Rebel/Eat The Rabbit, Kramers.
Da quel punto di vista secondo me Genova
può tranquillamente dire la sua nel panorama italiano e oltre. Sono Band che hanno
un sound molto fresco e risultano molto piacevoli a livello di ascolto. Inoltre, integrando
strumenti tradizionali riescono ad avere anche un notevole impatto quando si tratta di
performance dal vivo.
Che ti pare di Zenatron e di questo tipo di
approccio? è produttivo?
Ero nel team produttivo della prima compilation un paio di anni fa. Ed ha coinciso
col mio allontanamento dalla “professione”
anche se le due cose non sono strettamen29 CMPST #9[02.2009]
Glocals
volume quindi non so dirti se l’esperimento
abbia avuto successo o meno.
Max da myspace
te legate…o forse si?? Comunque non ho
ascoltato il secondo volume. Per quello che
ricordo c’era dell’ottimo materiale su quella
compilation. Il problema è che secondo me
il formato “compilation” ha senso soltanto se
lo si propone in un contesto che è ricettivo
a questo genere di produzione. Ad esempio le compilation del Buridda nascono da
tutta una serie di cose, i concerti, la gente
che segue questi concerti e tutta una rete di
persone che bene o male si sentono parte
integrante della cosa. E’ un po’ come un album di fotografie di momenti condivisi da un
gruppo di persone. Nel caso di Zenatron invece si tende ad utilizzare canali di distribuzione tradizionali che quindi rendono la cosa
un po’ fine a se stessa. Poi, come ti ripeto, ho
abbandonato il progetto prima che uscisse
e non ho seguito lo sviluppo del secondo
30 CMPST #9[02.2009]
Il tuo nuovo progetto si chiama The Big
White Rabbit. So che c’è anche qualcosa in
uscita. Ci vuoi dire di più?
The Big White Rabbit è un progetto nato diversi anni fa.. in realtà avevo iniziato a comporre materiale sin da prima di iniziare a produrre musica elettronica. Successivamente
il progetto si era arenato, forse anche per i
motivi di cui ti ho parlato prima ed è rimasto
in stand-by per qualche anno. L’anno scorso,
più o meno di questi tempi ho sentito di nuovo l’esigenza di scrivere musica ed ho avuto
l’ispirazione a comporre nuovo materiale.
Da ciò è nato Slaughterhouse, il primo album pubblicato a nome The Big White Rabbit ed il primo album che pubblico da solo.
E quando dico da solo intendo che li dentro
non ci ha messo le mani veramente nessuno
all’infuori di me. E’ stato registrato in maniera
piuttosto radicale, utilizzando soltanto strumenti reali, senza editing e suonando tutte
le parti dall’inizio alla fine. Il risultato mi soddisfa parecchio anche se, come ha detto
un mio amico sentendolo, si capisce che gli
strumenti sono stati suonati tutti dalla stessa
persona perché tutte le parti condividono lo
stesso tipo di approccio. Quindi sembra che
ci sia solo io, ripetuto per cinque volte, chiuso
in una stanza con le mie idee. Effettivamente è così.. è un disco molto personale, forse
troppo, ma è senz’altro venuto esattamente
come lo volevo. Inizialmente il disco doveva
essere disponibile gratuitamente su internet,
più per mia pigrizia nel trovarmi un etichetta
che per altro, successivamente però, tramite un amico che ha creduto nel progetto
(Diego Banchero) sono entrato in contatto
con una piccola etichetta di Andria, in Puglia, che ha deciso di stampare un’edizione
limitata del lavoro. Il disco dovrebbe uscire
entro la fine dell’anno o nei primi mesi dell’anno prossimo. Non mi ispiro a qualcuno
in particolare anche se in slaughterhouse si
possono trovare riferimenti a tutta la musica
che ho amato di più in questi anni: Pixies,
Tom Waits, Nick Cave, David Bowie, Violent
Femmes, Talking Heads.
Vedremo mai The Big White Rabbit dal
vivo?
Probabilmente no, sto lavorando con
amici di altre band Genovesi ad un live di
presentazione del cd ma oltre a quello non
penso di fare altri concerti nell’immediato. Il
motivo principale è che non amo molto suonare dal vivo. Sono abituato alle tempistiche
dello studio, dove generalmente si ha tutto il
tempo di riflettere sulle cose che si stanno facendo e di prendersela con calma. Dal vivo
le cose sono molto più frenetiche e ci sono
dei ritmi che non mi si addicono moltissimo.
Magari dopo il concerto di presentazione
cambierò idea… Chissà.
Tutta questa tua dualità elettronica-folk
ha un corrispettivo nella classica dicotomia
digitale-analogico. Tu che sei stato uno di
quelli che a Genova ha cavalcato il digitale
ora ti trovi a percuotere cordofoni. Pensi sia
un percorso personale o sia legato più ad
una controtendenza generale? Dopo tutto
anche negli stati uniti un certo tipo di folk ha
visto una rinascita recente…
Per quanto mi riguarda è un percorso puramente personale.. ho notato anch’io però
che non sono stato il solo ad averlo. Penso
stia accadendo un po’ quello che è suc-
cesso negli anni 80. Inizialmente c’era grande entusiasmo per tutto ciò che le nuove
tecnologie potevano fare per la musica; in
quegli anni erano usciti I primi sintetizzatori
a basso costo (DX7, Juno e simili) e le prime
Drum Machine (TR808, 909, Lynn Drum) e ciò
consentiva di esplorare nuovi percorsi creativi. Successivamente però ci si è stancati di
quei suoni e si è tornati agli strumenti tradizionali. Generando poi negli anni 90 correnti
musicali che hanno pesantemente influenzato tutta la musica a venire. Dalla Fine degli anni 90 con l’abbattimento dei costi per
la registrazione domestica e l’avvento di
computer sempre più potenti e di software
sempre più creativi, molta gente ha scoperto un nuovo approccio alla musica basato
sugli strumenti e sull’effettistica virtuale. Ora
probabilmente attraverseremo una nuova
fase di ritorno alle radici che però porterà in
dote la nostra esperienza con le nuove possibilità date dall’era digitale. E’ più o meno il
concetto di ciclicità della storia che si riflette
anche nell’evoluzione della musica.
Da quando sei passato dall’altro lato del
mixer ti si vede molto più spesso ai concerti,
che ti pare della situazione genovese a livello musicale-qualitativo?
Si, è vero ho riscoperto il gusto di andare
ad un concerto senza dover necessariamente preoccuparmi dei suoi aspetti tecnici. A Genova, e a quanto ho capito non
lo penso solo io, c’è una delle migliori scene musicali d’Italia. Il livello qualitativo è in
genere piuttosto alto e ci sono delle realtà
musicali che meritano decisamente di essere ascoltate. Mi vengono in mente (in ordine
sparso) 2 Novembre, Vanessa Van Basten,
Stalker, Temple of Deimos, Cartavetro (non
perché mi stai intervistando), Blown Paper
Bags.
Per motivi tuoi sei spesso anche a Milano,
la situazione è davvero così diversa? Cosa
ci manca?
Si, sono a Milano tutti i fine settimana ma
non sono un gran frequentatore della scena
musicale milanese. Per quello che ho visto
la differenza sostanziale tra Milano e Genova sta nel fatto che loro hanno davvero
molta scelta in termini di locali. Secondo me
dipendere principalmente dalle dimensioni
e dalla conformazione della città, decisamente diversa da Genova. Lì puoi avere un
locale per ogni tipologia di pubblico e questo secondo me fa tanto. In più c’è il fatto
che da noi si tende, a livello imprenditoriale,
a preferire soluzioni aggregative più generaliste, come le discoteche e i disco pub, piuttosto che cercare di creare qualcosa in cui
si possano esibire delle band. Capita spesso
infatti che i nostri gruppi vadano ad esibirsi
in locali dell’entroterra o della riviera piuttosto che in centro. Nasce così un problema di
frequentazione: solo chi è realmente interessato si muove sino a Murta o Ronco Scrivia e
quindi manca tutto il pubblico occasionale
che secondo me in una città come Milano è quello che fa la differenza. Non è da
trascurare il fatto che l’amministrazione comunale non ci ha sicuramente aiutati con le
muove leggi sulla sicurezza che impongono
la chiusura dei locali all’una ed in generale
sembrano voler scoraggiare le persone dall’uscire la sera.
Qual è la percezione di Genova che si ha
fuori?
Anche se essendo spesso a Milano mi
Glocals
“A Genova, e a quanto ho capito
non lo penso solo io, c’è una delle migliori scene musicali d’Italia.
Il livello qualitativo è in genere
piuttosto alto e ci sono delle realtà musicali che meritano decisamente di essere ascoltate.“
capita di vedere la ma città “da fuori” è
difficile per me essere obbiettivo. Mi è capitato parlando con persone di altre città, di
raccogliere le loro impressioni. Generalmente viene vista come una città molto bella
geograficamente ed architettonicamente
ma “pericolosa”.. conosco gente di Milano
terrorizzata all’idea di ritrovarsi di notte nei
vicoli. Inoltre lamentano tutti il fatto che ci
sia poca vita notturna e in generale poche
cose da fare. Da un lato può essere vero,
soprattutto negli ultimi anni da quando locali simbolo della città hanno chiuso (Fitz,
Panteka) o hanno cambiato target verso
una clientela più “selezionata” (Madeleine). D’altro canto, almeno dal mio punto di
vista, Genova è una città in cui bisogna un
po’ scavare per trovare qualcosa, ma che
comunque ha quella attitudine da “paesone” che a me piace molto. Da un punto
di vista più romantico, a me non dispiace il
fatto che alla fine siamo sempre gli stessi e
che ad un concerto di solito ci si conosce
tutti per nome e cognome. Capisco però
che da un lato economico ciò possa essere
poco incoraggiante.
Più info s ulle at tività di Max s u
w w w. m y s p a c e . c o m /
s l a u g hte r h o u 5 e
31 CMPST #9[02.2009]
Esperimenti
“Devi farti delle domande, come
potro’ far “vedere” quello che sta
nella mia testa a chi ascolta?“
Vic Larsen / Dietotezeit / Rosas y Tulipanes
Intervista con Luca Pagani
di Davide Cedolin
GIUSTO E SVEGLIO
Ciao Luca come stai?
Molto bene, sto vivendo uno strano momento di pace, che non vuol dire per forza di tranquillità o non sofferenza. Ma, mi sento giusto, e
sveglio.
Ti conosco da una decina di anni più o
meno, è la cosa che mi ha sempre intrigato
di te è la capacità a metterti in discussione su più fronti: artisticamente parlando hai
sempre seguito un certo percorso musicale che ti ha portato ad avere esperienze
in band come Dietotezeit (ho ancora una
vecchia cassetta che mi avevi dato!) e
Viclarsen, ma in parallelo hai comunque
sviluppato progettualità legate a matrici
sonore meno convenzionali, dal field recording contemporaneo, all’impro radicale,
oltre che ad un’attenzione particolare per
le contaminazioni tra arte sonora ed arte
visiva, senza trascurare quella letteraria... Ti
va di parlarci di quanto ed in che modo queste
attività creative si muovono nella tua vita?
32 CMPST #9[02.2009]
Non mi è mai interessata la specializzazione.
Forse in questo hanno avuto molto peso l’ascolto e la lettura biografica di musicisti come Miles
Davis o Charles Mingus o Velvet Underground,
persone interessate a moltissime cose della
vita. Persone che si dedicavano allo stesso
modo alla musica, alla pittura, alle donne, al
cinema, alla droga. Mi piacciono le sorprese,
le invenzioni, piu’ che le cose che risultano al
primo impatto perfette. Certo, non posso sicuramente dire che il mio percorso sia stato facile,
parli con il gallerista, e non sa niente di musica,
parli con l’organizzatore di concerti e ti chiede
cos’è il field recording, parli con il professore
universitario e non capisce come mai suonavi
punk. Comunque, sono riuscito ad incontrare
in questo modo grandi persone con le quali ho
parlato di idee, suggestioni, progetti. Ho camminato su un filo teso con sotto il vuoto, ma tutto
questo confronto con tutti continua a lasciarmi
ispirazioni e metodi per quello che voglio fare.
Non ti capita di suonare e di pensare alle immagini di un libro? Credo che in moltissimi ab-
biamo questo tipo di suggestioni.
Ti ho sempre dato il grande merito di
avermi introdotto al post-rock in un momento ben differente da ora, c’erano ancora i
GYBE!, i June of ‘44, The For Carnation...
Al tempo ero veramente plasmabile e molti gusti sono cambiati nella mia vita, ma il
legame con questo tipo di sonorità sentivo
che non si sarebbe esaurito nè tanto meno
affievolito e così è stato, anzi, se qualcuno
oggi mi chiedesse quale panorama musicale degli anni ‘90 ti ha maggiormente
influenzato, non avrei dubbi a parlare di
post-rock o comunque di scene/situazioni affini/vicine, come quella di Chicago o
Louisville. Che opinione hai nel 2009 a riguardo di come si sono evolute le cose?
Eravamo alla ricerca di un nuovo modo di
ascoltare e suonare il rock. Eravamo tutti molto
interessati alla musica americana di quel periodo, che sembrava fresca, sincera, dai toni
molto vari, malinconica, allegra, assurda, iperrazionale. Mi piaceva perché era data grande importanza alla composizione dei brani,
sembrava musica studiata ma sensibile, e ogni
strumento diceva davvero la sua. C’era spazio
per ogni tipo di stile. Nello stesso disco ascoltavi,
funk, free jazz, punk o musica da camera. Pote-
Esperimenti
vi ascoltare un solo di batteria senza romperti i
coglioni. Fu questo il cambiamento. Inoltre ero
affascinato da alcune registrazioni, tipo June of
44, dove dove il suono aveva qualcosa di mistico e reale insieme, dove si “ascolta” davvero
una stanza. E poi quelle storie di navi e marinai..
Oggi, in effetti, sembra che molti suonino con
quelle influenze, specie a Genova e in Liguria.
Lo trovo molto bello, infatti c’è davvero musica
bella, come i Dresda, o - perdonami - Japanese
Gum. Siete molto piu’ efficenti di come eravamo noi, con le idee piu’ chiare. Quando iniziai
col primo cd di Viclarsen, c’era grande interesse e facilità di suonare in giro per l’Italia, forse,
nonostante tutto è una cosa che non si è mai
spenta. Siete solo capitati nel gran casino della
quasi scomparsa del cd, della sua vendita.
Restringendo il campo alla Liguria ed
in particolar modo alle province di Savona e Genova, in questi anni hai mai avuto
l’impressione che le cose si sarebbero potute muovere in maniera netta verso postrockismi vari? Band che hai visto nascere,
crescere, morire, rinascere? A me oggi fa
colpo trovare ancora, tipo nelle bacheche
in università, annunci del tipo “gruppo postrock cerca batterista. gruppi di riferimento
Mogwai, Tortoise, etc... Forse vuol dire che
anche se a scoppio ritardato, certe band
hanno lasciato il segno davvero...
Penso proprio di si, il resto delle band (metal, rock classico, reggae) mi sembrano quasi
in minoranza. Ho visto tanti ragazzi interessati
alla musica, all’espressione, iniziare a suonare,
impaurirsi, e andare avanti. Alcuni di loro, mi
chiedevano, secondo te come si fa a fare quel
brano o suonare in quel modo. Avevo sempre
voglia di dirgli, ma fai quello che vuoi! Infatti,
putroppo ci sono anche molte band con ottima strumentazione, che tecnicamente suona-
“Non vedo sinceramente anche molto rispetto generale per
l’espressione e la cultura, anzi.“
Luca - ph.Seby Rossi
no bene, ma poi? Non capisco davvero come
mai tutte le volte che imparano un po’ di tecnica in piu’, devono mettersi a suonare delle cagate. La tecnica e lo studio devono avere degli
obiettivi di massima, riuscire a rappresentare
qualcosa che abbia senso, in un determinato
momento o spazio (cd, live). Devi farti delle domande, come potro’ far “vedere” quello che
sta nella mia testa a chi ascolta?
Restando sempre in ambito locale, come
pensi si stiano muovendo le file oggi? Dimmi una cosa che ti piace ed una che non
puoi sopportare della situazione musicale
ligure...
Ah, opss, associo questa risposta a quella
sopra.
In giro si narra di Genova come fulcro di
un qualcosa che bolle e ribolle ma che non
prende mai forma a livello [inter]nazionale.
Come dire un eterno bruco in fase di metamorfosi...
Molte volte, suonando soprattutto ai festivals, mi viene da pensare se le persone abbiano davvero voglia di incontrarsi. Nel senso,
voglia di combinare qualcosa, ci scambiamo
le liste dei locali, delle etichette, etc. E’ ancora
così? Non credo. Non vedo sinceramente anche molto rispetto generale per l’espressione
33 CMPST #9[02.2009]
Esperimenti
“Avevo sempre voglia di dirgli, ma fai quello che vuoi!“
e la cultura, anzi. L’altro giorno mi guardavano
storto perché leggevo un libro, secondo loro,
strano. Col tempo ti si affina la vista e la mente sui particolari delle cose. Non capisco piu’
questo modo di vivere con l’equivalenza sincerita’/maleducazione. Questa voglia di rompere
i coglioni sempre, questo menefreghismo, tutto
alla ricerca di una falsa sincerità, la sincerità
della maleducazione.
Al momento a cosa ti stai dedicando?
Al momento ho quasi finito i montaggi di
L’empire des signes.
A proposito: mi hai accennato alla tua recente esperienza in Giappone, passandomi
il tuo diario video-sonoro... Ti va di raccontarci qualcosa nel dettaglio?
L’empire des signes è il risultato del mio viaggio in Giappone. Un progetto che volevo realizzare da tanto tempo, storie minimali di field
recordings, immagini statiche, ispirandomi a
L’impero dei segni di Roland Barthes e Ore giapponesi di Fosco Maraini, due libri sul Giappone.
A Tokyo, Kyoto e Nara, si sono materializzate
le immagini e i suoni di un paese dove la tua
attenzione per le cose dovrebbe sempre essere massima. C’è una bellezza sconvolgente.
Pieno di scenari misteriosi, apocalittici, comici,
e niente sembra a caso. Camminando, ad un
certo punto, si fa scoprire davanti a te la storia
di un animale, di un luogo e, se ti volti, tutto è
improvvisamente cambiato da quando ci
sei arrivato, la luce, il paesaggio, i suoni, l’aria.
Neisecoli,lanaturael’uomo,hannopartecipato
con attenzione e studio continuo alla costruzione di un mondo di segni. Un mondo da leggere
continuamente, con divertimento e costanza.
Un mondo sempre asimmetrico, e quasi senza
dio, o almeno con un dio di cui è facile ridere.
Non è mai facile capire, in Giappone, se tutto avviene per caso, oppure è il risultato di un
34 CMPST #9[02.2009]
grande impegno. Forse non esiste veramente
distinzione tra le due cose. Il suono di un treno
che sembra riprendere il canto di un bambino,
i corvi che all’improvviso sembrano parlare, il
suono dei semafori è quello di uccellini, un sutra
buddista incontra il suono di un aereo, lontano,
chissadove, inizia una musica gagaku. Bikkirishita.
Quanto pensi sia importante un link tra le
varie espressioni artistiche a livello progettuale e performativo?
Per me ovviamente è fondamentale, lavorare a teatro, con la musica o fare una mostra.
Penso che sia una grande risorsa, poter parlare
di Samuel Beckett, Marcel Duchamp o Bartok.
Spesso ti viene in mente, ma se in quella pièce
teatrale c’è quello spunto, quella tensione,
quell’idea, quell’improvviso cambiamento
di stanza, vuoi vedere che posso renderlo in
musica? Molte volte, incredibilmente, a teatro
si parla di musica, ad un concerto di teatro.
Come adesso che ho scoperto L’ultimo nastro
di Krapp di Samuel Beckett, del 1958, dove un
tizio registra tutta la sua vita su nastro. Spesso
parlando con chi fa teatro, ad esempio, mi è
capitato che mi facesse delle domande sul
suono e la musica, che mi hanno fatto riflettere
e capire. Domande e risposte che prima davo
per scontate.
Che rapporto hai con la politica?
Mi interessa la politica. Leggo e ascolto di politica. Dovrebbe essere l’ambito dove nascono
le idee sul nostro futuro, sul futuro della nostra
vita insieme. Invece, no. Ad esempio, ascoltando il parlamento, si nota subito che è una fabbrica di leggi. Non di idee. L’Italia è mal messa,
perché niente è assolutamente certo e, quindi,
la furbizia è sempre in qualche modo auspicata e premiata. Non si tratta di coerenza, si tratta
di un minimo di certezza delle cose, che serve
a noi sfigati di non prendercela sempre in quel
posto. Quello che si dice, il diritto. Questa melma italiana viene spesso giustificata perché
l’Italia sia il paese della libertà. Questa è una
grande stronzata. Io non sono libero di studiare,
sacrificarmi, spendere soldi, se davanti a me
non c’è futuro, ad esempio. In Italia tutti i tuoi
diritti cambiano e anzi si riducono continuamente, così il piu’ forte economicamente e/o
mafiosamente, sarà sempre davanti a te. Vorrei
vivere un mondo molto diverso, dove ognuno
è attento a piccole cose, a non distruggere la
natura, gli animali, gli altri. Mi piace chi si impegna per qualcosa, chi continuamente cambia
strada per capire e capirsi.
Ti ringrazio per l’intervista, concludi come
preferisci....
Sono alla ricerca di spazi per L’empire des signes, luoghi d’arte, gallerie, etc.
l i s te nto c y.c o m / e m p i re d e s s i gnes.htm (per ascolti e immagini
“L’empire des signes”)
listentocy.com
myspace.com/paganiluca
Columns
Indie Maphia For Dummies
di Daniele Guasco
Dal punto di vista discografico
il 2009 sta iniziano che è una meraviglia,
qualitativamente
parlando, alla facciaccia della crisi.
*che palle questo, di nuovo con la crisi*
Diamine, se lo ripetono ogni cinque minuti i telegiornali nazionali non posso ripeterlo anch’io ogni due mesi che c’è
la crisi? Sapete cosa farà finire la crisi
almeno per una settimana? Sanremo!
Non ditemi che vi siete dimenticati che
fra meno di un mese inizierà il festival che
tutti odiano ma che poi si finisce sempre
per sapere cosa è successo sopra e dietro al palco, un po’ come sapete che al
Grande fratello quest’anno ci sono una tizia con delle tette enormi, uno slavo e un
cieco, proprio come nella migliore tradizione della barzelletta italiana. Sanremo
va ad aggiungersi a quella che è oggi la
musica sulla televisione italiana (correggetemi pure nella seguente elencazione
e fatevi i conti da voi sull’esito finale, mio
malgrado non dispenso verità assolute):
1- X-factor, ossia dei tizi che cantano,
lo guarda il mio coinquilino ma io non
ho idea di cosa succeda a parte delle
voci strazianti e un gruppo di mariachi che però non canta “Cielito lindo”.
2- Scalo qualcosa, visto cinque minuti questo sabato, parlavano di Gianni Morandi, ho cambiato canale.
3- Un programma “meraviglioso” che ho
scoperto grazie a “Blob” in cui han girato
il video di “Anima mia”, canzone che rispunta fuori ogni volta che in Rai non hanno un’idea. I Cugini di campagna devono
tenerli ibernati da qualche parte in sede.
4- MTV, che è come pestare uno che caga.
5- Fabio Fazio che saccheggia De Andrè
con un po’ di cantanti (e non solo) complici realizzando uno show in prima serata per una persona che gli show in prima serata li odiava e anche parecchio.
Sinceramente non mi vengono in mente
altri programmi musicali, o presunti tali,
ma il fatto è che almeno in seconda serata fino a qualche anno fa davano speciali sui cantautori, sui gruppi anni ’70,
concerti jazz quando a Rai2 era permesse bere copiosamente sul posto di lavoro. Ora abbiamo questo, e sinceramente
Sanremo potrebbe solo alzare il livello, o
aumentare il macabro divertimento.
Myspace Voyager
di Paolo Sala
F. Lunaire (The Disappearers)
Not There - United Kingdom
http://www.myspace.com/rathersurreal
Fra i top friends del mio Myspace c’è
un’icona che si sta dissolvendo. Fino a
qualche mese fa quello spazio era occupato di volta in volta da diversi ritratti in
bianco e nero di un giovane artista, calato in un mondo surreale e decisamente sinistro, popolato di fantasmi e strana
vegetazione; ora al posto di questi ritratti
c’è una sorta di nebbia lattiginosa, dalla
quale si distinguono appena i sembianti
di una persona, che urla nell’atto di scomparire nel nulla: questa persona, si intuisce, è l’artista di cui sopra. Il suo nome è,
o meglio, era F. Lunaire; ora infatti non è
altro che uno dei disappearers, coloro
che scompaiono. Cliccando sull’icona si
capisce come il processo di sparizione sia
in realtà a uno stadio già molto avanzato.
Sulla pagina si legge infatti: “Hi everyone,
F. Lunaire is dead, Long live F. Lunaire.” Florian Tanant, pianista, cantante e incredibile songwriter dalle origini che non sono
riuscito a indagare, forse francesi, ma vivente a Londra e operante in quel circuito, dopo un EP a dir poco strepitoso uscito
per la Stiff Records, “The Mondestrunken
EP”, facilmente recuperabile su I-Tunes,
ha deciso di non voler essere più F. Lunaire, per una serie di ragioni che spiega nel
suo blog disappearers.com; però a me
questo fatto proprio non va giù. Tutte le
mattine mi collego a Myspace e controllo
quell’icona, nel timore di trovarla un po’
più sbiadita, o di non trovarla più del tutto.
Ma fintanto che resta, il mio invito e di precipitarvi ad ascoltare i pochi upload che
“il fu F.Lunaire” ci ha lasciato sul suo player.
Anche se a dire la verità il mio consiglio è
di acquistare l’EP, per meno di 5 �, su I-Tunes. Verrete a contatto con un pop d’autore tagliente e abrasivo, impregnato di
umor nero, lunare e lunatico, solidamente sorretto da riverberanti progressioni di
accordi di pianoforte a coda, prodotto in
modo asciutto ed essenziale, con basso
e batteria che pulsano a pochi centimetri dell’orecchio e una chitarra che stride
e frigge, ridotta quasi a ronzio disturbante. Ascolterete una voce rauca, quasi un
rantolo malvagio, che interpreta melodie
ostinatamente orizzontali (Tarantella for
Your Tarantism) con testi feroci (The System of Objects) e onirici (Quantum Physics in the Sink), sempre pervasi da uno
spleen apocalittico da fine del mondo.
Infine, se il personaggio vi appassiona (a
me appassiona moltissimo, l’avrete capito), vi consiglio di digitare “F. Lunaire” sul
motore di ricerca di Youtube e di visionare
i seguenti clip live: Josephine, La Lune, e
le ICA Quiet Nights Sessions. Dopodiché
ne riparliamo, e vediamo se sono solo io
a essere dispiaciuto per il suo prematuro,
spero temporaneo, ritiro dalla scene.
35 CMPST #9[02.2009]
Columns
Sempre Combatte Con Le Ciabatte
di Giacomo Bagni
Lupo era un piccolo cane isterico che, nonostante la sua insolita amizia con il placido
Hippo(potamo), passava le giornate ad abbaiare solitario, lamentandosi e insultando
tutto e tutti. Si lamentava degli animali con
troppe zampe e di quelli che non avevano
abbastanza, inveiva in ugual modo contro
ricchi, poveri e medioborghesi (era, a suo tempo, stato un fervente comunista, di quelli che
odiano i padroni perché ontologicamente
cattivi, i poveri cristi perché non si ribellano e i
compagni perché non hanno capito niente
di Marx: uno scissionista solitario insomma).
Un bel giorno, dopo essersi ben riscaldato con
una facile invettiva contro i giovani, decise di
mettere a punto il mugugno ultimo, quello che
gli avrebbe garantito di sbaragliare definitivamente la concorrenza al prossimo raduno dei
L.I. (Lamentatori Insultanti), diventando cosi il
più grande di tutti i tempi in questa difficile arte.
Era un’operazione pericolosissima, che nemmeno Cornuto il triceratopo era riuscito, qualche
era geologica prima, a portare a compimento,
finendo addirittura per perdere la vita. E Cornuto
era stato l’inventore del lamento professionistico.
Lupo fece i gargarismi di rito e, deciso a farcela, diede inizio alla sua impresa più difficile: il
M.I.O. (Massimo Insulto Onanistico), consistente nel piazzarsi davanti ad uno specchio ed
‘insultarsi violemente gesticolando con una
mano, mentre l’altra deve rimanere impegnata nel massimo atto di amore verso se stessi.
Amarsi e odiarsi contemporaneamente.
Quasi impossibile anche per un consumato
campione
come
Lupo.
Tanto più che il M.I.O richiede anche un
certo tempismo, potendosi considerare
riuscito solo quando, al terminare dell’invettiva gesticolante (della durata minima
di 15 minuti), corrisponde esattamente il
“momento finale” dell’amore autoinflitto.
Dieci minuti dopo averlo abbandonato nei pre36 CMPST #9[02.2009]
parati del tentativo Hippo(potamo), che era rimasto in zona per precauzione, senti un latrato
angoscianteproveniredallacasadelsuoamico.
Trovò Lupo riverso a terra e tremante, non si è mai
capito se di piacere o di dolore. Lo aiutò a mangiare qualcosa per riprendersi e se ne andò, straziata dalla vista del suo ormai apatico amico.
Ripresosi fisicamente Lupo non parlò mai
più e si fece assumere come cameriere
alla mensa dei Poveri Animali. Ad oggi nessuno sa cosa sia successo in quel bagno.
Morale: meno pippe e mugugni, fanno male.
This Ain’t No BBQ
di Anna Positano
Eccomi arrivata a Londra. Ho una bella casa,
ancora non un lavoro ma ci sto provando, il
College è qualcosa di INCREDIBILE, il quartiere
in cui vivo, Hackney E5, è old school e mi piace
tantissimo.
A dicembre 2008 sono venuti a suonare i
Cleckhuddersfax (o Clecky, come dicono qui)
ed è stato un altro bel regalo firmato dall’ass.
Disorder Drama: la casa in cui vivo appartiene
al loro batterista e ai suoi fratelli. Non avendo
idea di come funzionasse qui, temevo che le
mie serate sarebbero state solitarie e con la
pancia piena di tristi noodles precotti in monoporzione. E che nel giro di una settimana, a furia di cibo di merda, sarei diventata una mucca
bulimica. Invece. I coinquilini e i loro amici, tutti
vegetariani/vegani, mangiano super-sano.
Anzi: mangiAMO supersano, insieme. Si prepara insieme. Non avrei potuto sperare di meglio.
Il coinquilino giovane, che ha una band metallara chiamata Monkey Dungeon, stasera mi
ha consigliato una colazione (presumibilmente
domenicale) del tutto distruttiva per il fegato.
Noi-casaParkin non mangiamo così, ma volevo rispettare lo stereotipo con cui leggiamo la
cucina inglese. Per cui via col FRY-UP nella versione vegetariana (1 porzione)
2 uova
1 pomodoro
un po’ di funghi (non chiedete quali, qui
hanno solo quelli piccoli bianchi che sembrano uova sode)
1/2 scatola di baked beans (si trovano al supermercato, son fagioli in salsa di pomodoro)
1 patata
1 cipolla
Vi ricordo che è una colazione. Tutti gli ingredienti vanno fritti (a senso friggerei per ultime
le uova, perché fredde non sono il massimo)
a parte i fagioli, che vanno scaldati in un pentolino senza bollire. Il pomodoro va tagliato a
metà e fritto da entrambi i lati. I funghi affettati
passati nella stessa padella. La patata e la cipolla vanno grattuggiate crude tipo julienne
per fare una cosa chiamata hash browns:
bisogna asciugare molto bene tutta l’acqua
prima di mettere nella padella tipo frittata (solo
cipolla e patata). Le uova fritte, all’occhio di
bue, sapete come si fanno. Mettete tutto nello
stesso piatto e servite con un po’ di “HB brown
sauce” (così mi hanno detto di scrivere. Mi sa
che è una roba tipo mostarda di frutta ma orrenda come il marmite).
Parte della comunità italiana da me frequentata è composta da Guglielmo (KC Milian), Saretti, Marco (To the Ansaphone) e la Fotografa
Filippina. Con Saretti, il coinquilino giovane e
alcuni Clecky lunedì 26.01 siamo andati a sentire i GI Joe e gli Hiroshima Rocks Around. Ci ho
sballato.
Al Cinema
con Hipurforderai
Il cinema è e deve essere prima di tutto intrattenimento, e il cinema d’intrattenimento per definizione (mia) è quello
d’azione, genere cinematografico che s’è
modificato più volte nel corso degli anni. Hipurforderai non pensa di dover stare a spiegare quanto fosse bello il cinema d’azione
tra gli anni ’80 e ’90, l’età dell’oro per sparatorie, battute da duri, sbarbe in pericolo ed esplosioni. Diciamo che quella che
segue è una riflessione sui contenuti delle
Columns
pellicole attuali. Qualche mese fa è uscito
il remake di “Death race”, e data la presenza di Jason Statham (“Crank!”, a proposito,
è il miglior film d’azione degli ultimi anni,
quindi garanzia di qualità) come protagonista sono corso a vederlo. Sono rimasto
interdetto, non solo per l’affetto che provo
per l’originale, ma per come il remake sia
molto meno coraggioso, un’accozzaglia
tra il maranza e il politicamente corretto. In
“Death race 2000” del 1975, al di la della
presenza di attori come David Corradine e
un giovanissimo Stallonz Stallone, si raccontava di questa gara che si svolgeva senza
nessun apprezzabile motivo in cui dei carri
da carnevale (hanno un che di patetico effettivamente le “macchine della morte” a
guardarle oggi) attraversavano gli stati uniti massacrando qualsiasi civile trovassero
sul loro percorso. Le figure femminili del film,
non solo erano delle gran sgnacchere, ma
stavano sempre mezze nude, se non completamente nude per tutta la pellicola. Il
tutto si muoveva in un’ottica totalmente immorale, ultraviolenta e incredibilmente divertente. Nel 1975. Nel nuovo “Death race”
la corsa si svolge in un carcere, il premio in
palio è la possibilità di uscire dalla galera, a
crepare in modi assurdi (ma neanche troppo) sono solo i carcerati, di sbarbe non se
ne vedono, o meglio quelle che si vedono
sono più vestite di un esquimese e la trama è
la solita stronzata col direttore (o meglio direttrice) del carcere cattivo. Confrontando
le due pellicole ci si rende quindi conto che
il cinema d’azione attuale si è trasformato
in un’accozzaglia tamarra senza capo ne
coda, privo di coraggio e ancora di più di
fantasia - mannaggia agli effetti speciali (il
già citato “Crank!” è una delle rare eccezioni). Ahimè non resta che accontentarsi,
e magari andarsi a ripescare i vecchi classici. Detto questo vi sconsiglio caldamente
di andare a vedere “The strangers”, perché
è uno pseudo-horror talmente cagoso che
dopo un minuto è lo stesso regista a rivelare il finale, nel caso a qualcuno venisse il
dubbio se alzarsi o meno e andarsene. Tra
i film in sala l’unica decente che m’è capitato di guardare ultimamente è lo svedese
“Lasciami entrare”, non un capolavoro ma
un bel film, sempre se avete voglia di vedere un film sui vampiri talmente lento che al
confronto una puntata di “Protestantesimo”
sembra “Point break”.
Non Sono Un Poeta
di El Pelandro
Ieri era guardarsi in faccia.
Pugni o sorrisi.
A d e s s o c ’è i l 2 . 0 .
Oggi è una figata di merda.
Screamazenica
di Simone Madrau
Screamazenica a sto giro non è di parola:
niente Faccialibro. In compenso, oltre all’ormai
consueto spazio Gonzo Dresda, ecco la rivincita di MySpace per bocca del suo paladino Tristan (un grazie al nostro Giulio ‘Intortetor’ Olivieri
per la segnalazione).
GONZO DRESDA
Certo che un hamburger senza cipolle è
come scopare... (pausa di evidente incertezza,
pochi secondi che sembrano eterni) ...senza
scopare! (Marco Dresda aka Naso, in quel del
Checkmate, cercando di far notare la differenza tra il suo hamburger e quello del nostro
Hipurforderai)
Quando la gente muore io rido a stecca.
(Daniel Dresda)
SPECIALE TRISTAN ° X(FACTOR)-FILES
(seguite i resoconti di Tristan sulla nuova edizione di X-Factor ogni lunedì sera sulla bacheca di MySpace - dopo ovviamente averlo ag-
giunto: www.myspace.com/ninodangerous)
Ma cosa sono i Bastard Sons Of Dioniso??? Li
avevo sottovalutati, lo ammetto. I QOTSA della
valsugana! I Bastard fuori gara. Sono dei cani,
perciò li amo. Ma fuori gara. Però li amo. Morgan non è più antipatico??? Che è successo??
Gioca col suo personaggio con più confidenza, e comunque fosse ancora fastidioso come
lui solo sa, nel confronto con una cocainomane e una mestierante per forza ne deve uscire
bene: lui è un musico, canta di merda e non ha
mai scritto niente di memorabile, ma suona da
dio e ha una sensibilità musicale vera. Peccato
fosse insopportabile. Non so cosa sia successo
ma, per ora, son d’accordo con tutto ciò che
ha detto. Chi l’avrebbe mai detto che quel figliodipooh di Digeifrancesco sapeva fare qualcosa? Certo, a leggere da un gobbo quattro
cazzate non ci vuole molto, ma è bravo: è nato
il Pippobaudo dei 2000. Lei si gioca Roxanne, e
si vede che sono anni di pub di provincia ma
convince, lui i Negramaro. Li massacrerebbe,
non fosse che forse massacrare i Negramaro
è una litote, e vorrei mai ne uscisse un complimento. Poi acappella lei convince con Skunk
Anansie, dev’essere la sua canzone del quore,
si vede che c’è cresciuta, lui.. Biagio Antonacci??? Dev’essere la sua canzone del cuore e
devono morire sia lui che Biagio. E ora quella
nota espertona di musica di Simona ‘bonza’
Ventura sta eliminando Elisa: vergogna!!! Da
segnalare l’ammutinamento del pubblico, che
già aveva fischiato la nomination di Elisa alla
fine della prima manche e ora per poco non
uccideva la maledetta deficiente. Peccato
(per l’eliminazione ma anche e sopratutto perchè non l’hanno uccisa, la bonzainomane).
Questa recita dell’idea di rock deve finire, chi
è rock lo sia, e chi lo fa come fosse un genere e
non modo di essere e vivere si fotta.
Ah, podio finale:
1) Bastard Sons Of Dioniso
2) Noemi
3) Daniele per essere obiettivi - ma Matteo
perchè si fotta, l’obiettività.
37 CMPST #9[02.2009]
Comics
38 CMPST #9[02.2009]
Woolverine
Un debutto per Guido e le sue avventure.
Arte
Alberto Valgimigli
Di sè dice:“Non mi conosco affatto......Propendo per visualizzare i miei stati d’animo....Fisso Atmosfere.” E tra dipinti, illustrazioni e collage,
il nostro ci mette del suo per creare un mondo
psichedelicamente attivo, visionario e unico.
Già citato nell’intervista con Glasnost, nonchè pubblicato da Grrrzetic in “Reperto 24”, è
anche musicista, oggi in forze ai Contesti Scomodi. Dice niente “La Teoria Del Frigo Vuoto?”
w w w.a l b e r tova l g i m i g l i . i t
w w w. m y s p a c e.c o m / a l b e r t ova l g i
w w w.f l i c k r.c o m / p h oto s a l b e r tova l g y
w w w. my s p a c e.c o m / m i koto l a n d
w w w.mys pace.com/contesti scomodii
39 CMPST #9[02.2009]