Dalla simbologia giuridica a una filosofia giuridica

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From the SelectedWorks of Paulo Ferreira da Cunha
1998
Dalla simbologia giuridica a una filosofia giuridica
e politica simbolica ? ovvero Il Diritto e i sensi
Paulo Ferreira da Cunha, Universidade do Porto
Available at: http://works.bepress.com/pfc/61/
DALLA SIMBOLOGIA GIURIDICA A UNA
FILOSOFIA GIURIDICA E POLITICA SIMBOLICA?
ovvero
Il Diritto e i Sensi
A Cinzia Russo e Claudio Bonvecchio, in vera amicizia
I. Il Diritto e la Cultura dell'Ascolto e della Parola
Vi confiderò, oggi, due segreti cosa che i giuristi, per prudenza o per discrezione,
raramente fanno. Non commetterò nessun reato, né mancanza deontologica: non svelerò
segreti di giustizia, ma segreti sulla Giustizia. E' più grave ma non è punibile: i segreti sono
due e l'uno è legato all'altro come in ogni simbolo che si apprezzi.
Chiedo la Vostra attenzione perché se il primo lo conoscete già, tuttavia lo
comprenderete pienamente solo alla fine, quando Vi rivelerò il secondo che a questo è
collegato.
Il primo: il Diritto, apparentemente insensibile e statico, muta di significato e ne
accoglie di nuovi a seconda dei differenti sensi che simbolicamente utilizza.
I Romani, illustri giuristi ed emeriti politici, promossero una cultura giuridica
dell'ascolto. Forse per questo noi, suoi eredi soprattutto giuridicamente, continuiamo ad
associare il Diritto e la Giustizia all'audizione. Entrare in un tribunale è assistere ad
un'udienza, ci sono giudici e esperti legali che sono chiamati uditori, già ci furono
magistrati detti uditori, ecc..
2
Per noi far giustizia è in primo luogo ascoltare quello che ognuno "dice della sua
giustizia". Dire della sua giustizia affinché si dica la Giustizia. Dire la giustizia,
pronunciare la soluzione in jure, è fare il diritto come un fiat lux. La parola è magica,
pronunciata ritualmente e ascoltata.
Le stesse teorie moderne di legittimazione politica e giuridica, come quella di
Niklas Luhmann con la sua Legitimation durch Verfahren1 (legittimazione attraverso il
procedimento), nonostante lo scetticismo del suo autore sulla comunicazione che considera
"improbabile"2, si risolvono, nella maggior parte dei casi, nell'ascolto degli interessati. E
cos'è la macchina della legittimazione in Juerguen Habermas se non l'ideale di un consenso
comunicativo, di un adesso relativamente concorde, dopo un'escussione?3
Una regola resta al Diritto, nella tradizione come nella cosiddetta post-modernità:
ascoltare. Audiatur et altera pars. Ascoltare entrambe le parti.
II. Il Diritto e i sensi atrofizzati
Tuttavia questa esagerazione dell'udito nel Diritto, come succede con l'uso di
qualunque senso nella vita dei singoli, si ripercuote necessariamente sugli altri.
La prima conseguenza di questa cultura dell'audizione che è anche cultura
dell'oralità, del discorso e della scrittura (di tutto ciò che serve per parlare e fissare quello
che può essere detto) è la volontaria atrofia degli altri sensi: il tatto, il gusto, l'olfatto e la
vista.
Il Diritto quasi non tocca le cose. Le concepisce mentalmente, le dice, però, anche
se con i guanti deve toccare il corpo del delitto. Fermiamoci per un innocente esempio sul
graduale allontanamento del contatto fisico con le persone e le cose nel Diritto. La Fides,
1N. LUHMANN, Legitimation durch Verfarhen, (2a), Neuwid, 1975; Francoforte, Suhrkamp, 1989.
2N. LUHMANN, A improbabilidade da comunicação, trad. port., con selezione e introduzione di João
Pissarra, Lisbona, Vega, 1992.
3
dea che risiede nel palmo della mano dei contraenti4, serviva anticamente a suggellare i
contratti. Pacta sunt servanda. Ma con il suo non compimento (o con tale pretesto) Fides
dette luogo alla riduzione per iscritto della maggioranza dei patti e delle altre transazioni di
rilievo5.
Il Diritto diventò insipido e il fiuto, proprio della virtù della prudenza, finì per
essere affidato (lo testimonia il linguaggio corrente) alla sagacità dei politici.
Il Diritto diventò, così, anche inodoro.
Cosa successe alla vista?
III. Vista e Teoria del Diritto: un senso alternativo
E' interessante vedere come la vista, potentissimo mezzo di captazione della realtà,
tanto o più inglobante e mobile dell'udito e già suo coadiuvante nella fissazione per iscritto
della parola6, sia stato e sia il senso espressamente o inconsciamente più usato dalla cultura
dell'ascoltare e dell'ascoltare dire.
Quando la civilizzazione classica sprofonda nella penombra medievale si ergono le
bibbie di pietra, con la loro perenne eloquenza, cattedrali che lasciano la loro testimonianza
agli occhi.
3Cfr. per tutti J. HABERMAS, Theorie des kommunikativen Handels, (3a), Francoforte, Suhrkamp, 1985.
4CICERONE, De Off., 1, 7, 23; Tito LIVIO, Historia, 1, 21, 4; 23 ,9 ,3. In generale cfr. il nostro Peccata
Iuris. Do Direito nos livros ao Direito em acção, Lisbona, Edições Universitárias Lusófonas, 1996, p. 67 ss..
5J. IMBERT, De la Sociologie au Droit: la "Fides" romaine, in Mélanges H. Lévy-Bruhl, Parigi, 1959, p.
307 ss.; S. CRUZ, Direito Romano, I. Introdução. Fontes, (3a), Coimbra, Autor, 1980, p. 241, n. 289;
D'ORS, Derecho Privado Romano, (7a), Rivista, Pamplona, EUNSA, 1989, p. 150 (dove risulta l'analogia tra
simbolo, anello e fides); M. BRETTONNE, Storia del diritto romano, trad.port., História do Direito
Romano, Lisbona, Estampa, 1988, p. 103 et sq..
6Cfr. A. PAGLIARO, Il segno vivente. Saggi sulla lingua e altri simboli, Napoli, Edizioni Scientifiche
Italiane, 1952.
4
Ma a Roma, nella Roma del Diritto, la dea Iustitia alzava gli occhi bendati come il
lupo di Cappuccetto Rosso aveva orecchie grandi: per sentire meglio. Non fu per caso che
Walt Disney scelse la cantante che avrebbe dato la voce al personaggio di Biancaneve
appostato dietro lo scenario senza poterla vedere per ascoltarla meglio: ciechi gli occhi del
corpo per aprire quelli dell'anima, nello specifico per non fare preferenze, per non vedere il
ricco e il povero, il bello e il brutto, solo per ascoltare gli argomenti e scegliere i buoni
argomenti.
Il processo scritto, prima dell'inquisitorio e soprattutto prima dell'ordinamento
processuale austriaco di Klein e dell'incentivo decisivo che dette all'oralità e
all'immediatezza, portò al parossismo questa idea di una giustizia "cieca". In qualche modo
questa cecità della giustizia si potrebbe associare, nei suoi aspetti più perversi, al brocardo
mille volte ripetuto dai burocrati di tutto il mondo, a quello che sembra il frutto del rantolo
del Diritto Romano: dura lex, sed lex. La legge dura e cieca ma per compiere. Non
meraviglia che sia insipida e inodora. Continua, allora, colorata tra il rosso e il nero, tra il
rosso e il nero del sangue della morte, della servitù, della trasgressione e della punizione7.
Per quanto la cultura dell'ascolto, della dialettica, dell'argomentazione, della parola,
del Logos, poi, della razionalità, abbia voluto allontanare la vista, l'immagine, il
movimento (che deve essere visto), il gesto e la sua ritualizzazione e poi la sua fissazione
(soprattutto plastica) in simbolo8 (che unisce ciò che per natura è movimento perché è il
gettare o lanciare qualcosa: sun-ballein) è esistita sempre una parallela tradizione di un
diritto dello sguardo, visto, visibile.
Le statuette del caldeo Gudea e dell'egiziano Kay, testimoni delle due principali
civilizzazioni agli albori della storia, rappresentanti rispettivamente il signore e il
funzionario (lo scriba) investiti di poteri giuridici mentre guardano attenti, mentre scrutano,
bene potevano essere elevate a simboli del Diritto.
7Cfr. F. PUY, Tópica Jurídica, Santiago de Compostela, Imprenta Paredes, 1984, p. 261 et sq. e il nostro
Arqueologias Jurídicas. Ensaios Jurídico-Políticos, Oporto, Lello, 1996, p. 50 et sq..
8L. BENOIST, Signes, Symboles et Mythes, (7a), Parigi, P.U.F., 1994, p. 11 et sq..
5
Jonathan Swift, nella sua utopia di Lilliput, concepisce una giustizia come uno
sguardo di multipli occhi (intorno alla testa) a denotare una comprensione totale di ciò che
lo circonda9.
La stessa origine epistemologica autonoma del Diritto che un filosofo e storico
delle scienze come Michel Serres vede sorgere prima o contemporaneamente alla
geometria, agli harpedonaptas che misurano i terreni rubati alle piene del Nilo10, secondo
il racconto di Erodoto (Historia), non sarebbe derivata se non da una necessità di riattribuzione delle terre ai suoi proprietari originari; imporre la misurazione delle stesse
implica un guardare, non un guardare profano, ma di confronto del dato, del visto con un
altro visibile elemento di riferimento: lo strumento di misura.
IV. Vedere o non vedere: questo è il problema
Il grande problema del Diritto e della Giustizia diventa, sembra adesso evidente, un
problema di vista.
Non meraviglia, allora, che sia stata la benda sul viso delle rappresentazioni della
Giustizia a dare più problemi e a far nascere le spiegazioni più interessanti, apparentemente
definitive e sempre irrimediabilmente provvisorie perché parziali.
La stessa storia delle ricerche sulla benda e i tipi di risposta incontrati per essa
esemplificano perfettamente le vicissitudini, il dramma interno e intrinseco della
giuridicità11.
Realmente il Diritto è un manto diafano che copre il nostro quotidiano.
Onnipresente nella sua protezione che si lascia captare solo quando c'è una violazione;
9J. SWIFT, Gulliver's Travels, Londra, Chancellor Press, 1985, p. 44. Cfr. il nostro commento in Problemas
Fundamentais de Direito, Oporto, Rés, 1988, pp. 148-149.
10M. SERRES, Le contrat naturel, Parigi, François Bourin, 1990, p. 85 et sq.; M. SERRES, Les origines de
la géométrie, Parigi, Flammarion, 1993.
11Cfr. il nostro Arqueologias Jurídicas, op. cit., p. 170 et sq..
6
onnipresente nella sua apparente naturalezza, attaccato inscindibilmente ai fatti quotidiani
delle nostre vite, incastonato nei mille e un contratti che tutti i giorni facciamo o
rinnoviamo, ecc.. Ora questa presenza normalmente invisibile del Diritto, invisibile perché
non percepita, è, come succede con i simboli, tanto più forte quanto meno si vede. Perché
l'invisibilità, come nell'Anello di Giges di Platone nella sua Repubblica (o nell'Uomo
Invisibile di Wells) è soprattutto vedere e non essere visto.
Nonostante la sua presenza discreta che la maggioranza delle persone ancora
identifica con le imposte e le multe di transito (Carbonnier12), il Diritto è troppo presente
per essere così poco visto. Visto, pensato e teorizzato perché theoria è visione, come ben
sappiamo.
Saint-Exupéry in Il Piccolo Principe afferma che l'essenziale è invisibile agli occhi
e Pascal (Pensées) che Dio avrebbe coperto la verità con un manto per renderla invisibile a
quelli che non ascoltassero la sua voce.
Pascal è un esempio finito della cultura della parola: fa dipendere la visione della
verità dalla recezione della parola, dall'ascolto. La volpe, animale fiutatore, non si fida
delle apparenze. Per questo per il filosofo di Port Royal la giustizia è divertente perché
muta con le rive di un fiume o il limes di una montagna quando dovrebbe essere una cosa
sola con la verità. Anche la giustizia ha un ruolo poco importante in questa epitome di una
cosmovisione quale è il celebre racconto del pilota letterato: Il Piccolo Principe è in primo
luogo una storia di politica e poi una storia di principe e volpe.
Non resistiamo alla tentazione di far intervenire in questo dialogo così eterodosso
Oliveira Salazar che governò il Portogallo come Presidente del Consiglio per quarant'anni,
il quale affermava: "In politica quello che sembra è"13.
12J. CARBONNIER, Communication à l'Académie des sciences morales et politiques, 23 0tt. 1967, Rev.
Trav. Acad. Sc. morales et politiques, 2. e sem., p. 91, apud F. TERRÉ, Introduction générale au droit,
Parigi, Dalloz, 1991, p. 1.
13Corroborando il carattere quasi proverbiale di un'affermazione di un politico che segnò per tanto tempo la
vita pubblica di un Paese A. BOTELHO, Como o Sr. Jacob enganou o Socialismo, Lisbona, Edições do
Templo, 1978, pp. 33-34.
7
Per la volpe sarebbe il contrario. Normalmente è il contrario di quello che succede,
ma la politica è un gioco di rituali e azioni simboliche in cui vale la regola d'oro del non
occultamento attraverso l'occultamento e viceversa. Per questo in politica il superficiale
risulta essere il reale solo nella misura in cui ciò che è non sembra esserlo.
V. Trompe-l'oeil. Platone e Raffaello nella Stanza della Segnatura
Non sarà per di qui che incontreremo la nostra pista ma in Platone dove
l'opposizione chiarità e mezza luce della penombra tanto ci ricorda le condizioni del
vedere. Si vede qualcosa solo quando questo qualcosa esiste, quando c'è luce e si possiede
un apparecchio ottico adeguato alla funzione. Per vedere ci vuole attenzione proveniente
da una motivazione. Si può entrare in contatto visivo con qualcosa migliaia di volte e non
avere coscienza e ricordo di ciò che si è visto.
Ora Platone è molto eloquente quando drammatizza nel suo dialogo della
Repubblica questa ricerca della Giustizia. Lei stava là fusa con i suoi attributi o le sue
manifestazioni, ripartita da tutti, adattata ad ogni cosa e a ogni caso e dal tanto essere
onnipresente, non era rilevata perché non si isolava dal resto sufficientemente. Dobbiamo
dare la parola al filosofo, anche se un po' lungamente:
"Ma, dissi, c'era occorso un caso veramente da sciocchi!
-Quale?
-E' un pezzo, benedett'uomo, che sin da principio quella ci si rivoltolava tra i piedi,
e noi non la vedevamo, ma eravamo quanto mai degni di risa; come quelli che hanno una
cosa tra mano e talvolta van cercando quello che hanno, così anche noi non ci guardavamo
ma andavamo cercando lontano, per cui forse ci sfuggiva.
-Come dici?, fece egli.
8
-Così, che parlando ed udendo da un pezzo di quella cosa, mi pare non ci siam noi
stessi capiti che in certo qual modo era di essa che parlavamo.
-Lungo preludio è questo per chi è bramoso di udire.
-Ma ascolta davvero se dico giusto. Quello che sin da principio stabilimmo si
dovesse fare su tutta la linea, allorché fondavamo la città, questo appunto mi pare, o un
aspetto di questo, è la giustizia. Stabilimmo certo e spesso dicemmo, se rammenti, che
ognuno dovesse curare delle cose della città quell'una cui fosse più propriamente consona
la sua natura.
-Lo dicemmo sì.
-Ora, che la giustizia sia il fare il proprio ufficio e non impicciarsi di molte
faccende, è cosa che abbiamo udita da altri molti, e spesso detta noi stessi.
-Certo l'abbiam detta.
-Questo dunque, diss'io, o amico, è probabile sia in un certo qual modo la giustizia,
il fare l'ufficio proprio. Sai tu da che cosa lo induco?
-No, ma dillo, fece egli.
-Mi pare, diss'io, che il restante elemento nella città, fra quelli che abbiamo
esaminato, temperanza cioè e coraggio e saggezza, sia appunto questo che dette a tutti
quegli altri la capacità di nascere, e che una volta nati li conserva, sinché vi sia dentro
presente. Dicevamo peraltro che la giustizia sarebbe stata l'elemento residuo tra quelli,
quando ne avessimo trovati i primi tre.
-Per forza, disse.
-Ma, feci io, se si dovesse giudicare quale soprattutto di questi elementi, presente
entro la nostra città, la renderà buona, sarebbe difficile a giudicare se sia il concorde parere
9
dei governanti e governati, o la preservazione nei guerrieri della legittima opinione su quali
sian le cose temibili e quali no, o la saggezza o sorveglianza insita nei capi; o se non questo
piuttosto la renda buona, insito in fanciulli e donne, servi e liberi, artigiani e governanti e
governati, il principio cioè che ognuno faccia l'ufficio proprio e non si impicci di molte
altre faccende?
-Difficile è certo a giudicarsi, disse egli. Come no?
-Dunque, a quel che sembra, per la virtù della città viene in gara, con la sua
saggezza, la temperanza e il coraggio, anche la capacità a che ognuno in essa attenda al
proprio ufficio"14.
Dovremmo prolungare la citazione fino al suo epilogo, ma ciò che abbiamo citato
già è sufficiente. Manca di segnalare che le traduzioni dal greco circa le virtù invocate da
Platone non sono concordi: la traduzione italiana che citiamo, riporta la temperanza, il
coraggio e la saggezza, quella francese della Biblioteca della Pléiade di cui è autore Léon
Robin ugualmente considera la "tempérance", la "courage" e la "sagesse"15. Ma già nella
traduzione spagnola del saggio di Edgar Wind sulla giustizia platonica in Raffaello16
(essenziale, a nostro parere, per questo argomento) le virtù sopra citate assumono una
colorazione palesemente cristiana diventando la "Prudencia", la "Fortaleza" e la
"Templanza".
Sembra di conseguenza che la Giustizia, come dice Wind "non sia una virtù
concreta che si contrappone alla Prudenza, alla Forza e alla Temperanza, ma in primo
luogo una potenza fondamentale dell'anima che determina in ciascuna di esse la sua
funzione specifica"17.
14PLATONE, La Repubblica, (2a), introd. di Francesco Adorno, trad. it. di Francesco Gabrieli, Milano,
Rizzoli, 1984, pp. 140-141 (432d-433d).
15PLATON, Oeuvres complètes, I, trad. e note di Léon Robin con la collaborazione di M.-J. Moreau, Parigi,
Gallimard, 1950 (ristampa 1981), p. 999.
16E. WIND, La Justicia platónica representada por Rafael, in La elocuencia de los símbolos. Estudios sobre
arte humanista, trad. spa. di Luis Millán, p. 101 et sq.
17Ibidem, p. 101.
10
In che modo questo passaggio di Platone può avere a che fare con la visione, la
visione della Giustizia? Se accettiamo la teoria di Wind secondo la quale Raffaello quando
decorava la Stanza della Segnatura in Vaticano si lasciò guidare soprattutto da ispirazione
platonica (in questo caso persino concorde con il pensiero aristotelico in una vera
concordia Platonis et Aristotelis), concluderemo che l'affresco destinato alla Scienza
Giuridica, alla Giurisprudenza paradossalmente non include nessuna figura della stessa
Giurisprudenza. Ma non sono là il Diritto e la Giustizia? Sì, ma non si vedono. Non si
vedono direttamente, ma indirettamente, simbolicamente. Come accade con i simboli più
complessi e densi.
Già incominciamo a intravedere quello che succede: come Platone non vedeva nel
suo dialogo la Giustizia parlando delle virtù in cui si incarnava anche il citato affresco ci dà
l'immagine prismatica delle tre facce della Giustizia incarnate nelle figure femminili
rappresentanti la Forza, la Prudenza e la Temperanza. La prima armata di elmo e corazza,
salda in un albero e come se stesse accarezzando un leone; la seconda come se stesse
consultando introspettivamente lo specchio; la terza come se stesse esibendo le redini di un
destriero, del cavallo nero dell'anima.
Non vedendosi la Giustizia, si vede la Giustizia.
In realtà ciò che succede nella Stanza della Segnatura è un po' più complesso perché
nel tetto abbiamo il Diritto in una rappresentazione greca quasi tipica: bilancia e spada
impugnati dalla dea (qui in posizione seduta contrariamente al modello ellenico) oltre a tre
altre figure che rappresentano la Teologia, la Filosofia e la Poesia. Nel tetto, nel cielo degli
archetipi intellegibili, se vogliamo essere platonici, ci sono le idee pure o le pure epistemai;
nelle pareti le sue incarnazioni fenomeniche. Così la Teologia incontra, scendendo,
l'affresco della Disputa del Sacramento, la Filosofia quello della Scuola di Atene, la Poesia
quello del Parnaso. Il Diritto così convenzionalmente rappresentato (alla greca-senza
ombra di benda) trova nel reale una realtà molto più complessa: a lui corrispondono, nella
parete, il timpano con le tre virtù (la Prudenza al centro), più in basso i pannelli
dell'istituzione del diritto civile e del diritto canonico e tra questi una finestra. La soluzione
della tripartizione degli spazi dipinti in questa parete non ha niente a che vedere con la
11
determinazione architettonica della finestra; dall'altro lato un'altra finestra resta
incorniciata da un solo affresco, quello del Parnaso.
La Giustizia non si vede personificata in terra, solo nel cielo (o nel tetto). Lo stesso
succede alla Teologia, alla Filosofia e alla Poesia. Questa è, vedendo bene le cose, la
principale correzione che la complessità della composizione pittorico-spaziale totale
impone allo schema di Wind che sembra disprezzare un po' il tetto18.
VI. Giustizia virtù e Giustizia Giuridica:
lettura dell'Etica Nicomachea di Aristotele
Bisognerà sfumare il pensiero di Wind a nostro parere eccessivamente entusiasmato
dall'impeccabile geometria delle coincidenze.
E' vero che i dipinti della Stanza della Segnatura rappresentano un grande tentativo
di coincidentia oppositorum, di sintesi e riconciliazione universali: classicismo e
cristianesimo, ragione e fede, Papato e Impero, ecc.. Lì si incontrano, come sappiamo, da
un lato l'affresco della Scuola di Atene, allusivo alla filosofia, quello in cui l'Imperatore
accetta il Digesto e dall'altro quello della Disputa, relativo alla teologia, quello dove il Papa
benedice le Decretali. Entrambi i testi citati sono giuridici.
Tuttavia è con troppa rapidità che si segnala la concordanza tra Platone e Aristotele
e si identifica la Giustizia platonica con la Giurisprudenza giuridica.
Infatti il libro V dell'Etica Nicomachea di Aristotele sembra concordare con Platone
circa l'idea di Giustizia quale disposizione degli uomini a compiere azioni giuste19. Non
volendo, però Aristotele, bloccarsi davanti alla molteplicità di significati della parola
Giustizia, né vedersi imprigionato nelle complessità dell'omonimia20 distingue la giustizia
18E. WIND, op. cit., p. 101.
19ARISTOTELE, Etica Nicomachea, V, 1, 1129 a).
20Ibidem, V, 2, 1129 a) in fine.
12
universale da quella particolare e si concentra su quest'ultima21. Cita Teognis nella sua
identificazione della giustizia universale con tutte le virtù o con la totalità delle virtù (e qui
senza dubbio è platonico)22 per poi affermare che il suo proposito è quello di ricercare
l'altra Giustizia che è solo una parte della virtù, la giustizia particolare23. E' questa giustizia
particolare che interessa soprattutto il Diritto, essendo il suo fine o principio.
Ancora una volta si può dire, con apparente paradosso prima facie, che Raffaello
dipinse la Giustizia, adesso Giustizia giuridica, senza averlo fatto. Stiamo attenti che
l'assenza-presenza della Giustizia giuridica non sta tanto nell'affresco delle tre virtù (le
quali possono ancora rappresentare la Fede, la Speranza e la Carità) quanto nella
decorazione nel suo insieme della sala e in particolare nel dialogo che si stabilisce tra la
virtù Giustizia, al centro, e la Filosofia e la Teologia dalle quali sembra nascere il Diritto
Civile e quello Canonico. Insomma è da questa visione multipla, da questo caleidoscopio
di rappresentazioni che risulta questa realtà virtuale, costante e perpetua volontà, come dice
Ulpiano, e per questo meglio rappresentata dalle sue manifestazioni e ispirazioni che non
da una sua personificazione sempre più impoverita.
Non vedere qui equivale a vedere meglio. Ma non un non vedere qualunque, in
fondo è il non vedere di S. Paolo: Videmos nunc per speculum in aenigmate24. E' un vedere
caleidoscopicamente, come in specchi...
Solo nel cielo (o nel tetto) si vede l'essenza.
VII. Il Libro dei Simboli. Diritto e vista e visione del Diritto nel Libro di Tobia
Il legame del Diritto con la vista è già stato evidenziato in termini mitici nel libro
biblico di Tobia, considerato apocrifo dagli Evangelici e nemmeno menzionato dalla
Bibbia ebraica.
21Ibidem, V, 2 et sq..
22Ibidem, V, 3, 1129 b) in fine.
23Ibidem, V, 4, 1130 a).
13
Il vecchio Tobia è un credente fedele, un cittadino esemplare25 nella realtà ebraica
di allora. Osserva scrupolosamente la legge; il testo riferisce aspetti esteriori, potremmo
dire giuridici: il pagamento della decima, l'offerta delle primizie ai sacerdoti e ai leviti, le
elemosine alle vedove e agli orfani, i matrimoni endogamici, ecc.. Anche in occasione
della deportazione continua a seguire la dieta ebraica, ad essere elemosiniere, a inumare i
morti con evidenti pregiudizi per sé che lo porteranno alla fuga. Antigone, simbolo
supremo del diritto supremo-vigente o supremo-volontario-attuale26, ha qui un analogo:
non si tratta di seppellire un fratello, ma, in senso lato, gli insepolti della sua nazione.
Questa storia consta di racconti paralleli che si uniscono come un simbolo: le
fortune e sfortune di Tobia (il vecchio e il giovane), di Raguel e sua figlia Sara, del
demonio Asmodeo che le assassina sette mariti prima della consumazione del matrimonio.
La soluzione verrà dall'unione delle multiple metà dei simboli.
Il vecchio Tobia cieco perché dei passeri hanno fatto cadere su di lui escrementi
caldi (si noti l'assenza di vista), aveva lasciato in deposito a Gabael una considerevole
somma di denaro che il giovane Tobia andrà, poi, a ritirare.
In questo viaggio Tobia (figlio), accompagnato da un giovane che si rivelerà essere
l'angelo Rafael, uccide un pesce enorme sulle sponde del fiume Tigri. Le sue viscere
serviranno per mettere in fuga il terribile Asmodeo e per sanare gli occhi di Tobia (padre).
Il giovane si sposerà con Sara; anch'essa è un'unione simbolica.
Non possiamo analizzare a fondo le innumerevoli implicazioni simboliche di questo
testo che sembrano avvicinarlo ad alcune funzioni socio-simboliche di alcuni racconti
infantili, nello specifico al ciclo dello sposo-animale27, legato al rito di passaggio per
l'emancipazione. Ci preme, piuttosto, sottolineare come l'intreccio "separare per meglio
24I Cor. 13:12.
25Cfr. A. NOLLAN, Jesus before Christianity, Darton, Longman and Todd, 1977.
26Cfr. J. HERVADA, Derecho. Guia de Estudios Universitarios, Pamplona, EUNSA, 1984; G. STEINER,
Antigones, trad. port. di Miguel Serras Pereira; Antígonas, Lisbona, Relógio d'Água, 1995; S. TZITZIS, La
Philosophie Pénale, Parigi, P.U.F., 1966, p. 69 et sq...
27Cfr. B. BETTELHEIM, Il mondo incantato. Uso importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, trad. it.
di Andrea D'anna, Milano, Feltrinelli, 1993, pp. 266-297.
14
unire" abbia un valore simbolico suscettibile di essere interpretato giuridicamente perché al
di là della giustizia legale, dell'osservanza della norma, è un racconto di contro-prestazioni,
contratto e compensazione. Non si dimentichi il contratto di deposito tra Tobia (padre) e
Gamael, né il patto prematrimoniale firmato da Raguel e Tobia (figlio). Il giuridismo
(questa febbre o constans et perpetua voluntas, del suum cuique tribuere28) raggiunge
livelli esasperanti: si pensi che si vuole pagare, con la metà degli averi del giovane Tobia,
il suo compagno di viaggio, un angelo. Tutto ci illumina sul carattere eminentemente
dualista e di reciprocità del Diritto che, in fondo, si può dire soprattutto simbolico.
Solo un'altra precisazione che si riferisce ai sensi: i suffumigi del cuore e del fegato
di pesce mettono in fuga il demonio per l'Alto Egitto. Il fiele versato sugli occhi del
vecchio Tobia gli snebbia la vista. Possiamo vedere, così, come i diversi sensi si
relazionano, completano, equilibrano...
VIII. Purezza e Isolamento giuridici: da Platone e Aristotele ai Diritti Umani e alle
visioni post-moderne del Diritto
Riprendiamo la lezione o preoccupazione di Platone, curiosamente corroborata da
Aristotele nell'Etica Nicomachea29, ma con altri occhi..
Il problema che emerge da questi passi è uno dei più importanti e profondi della
filosofia del diritto ed è noto con il nome di "purificazione" o "isolamento" del Diritto30.
Riguarda l'origine del diritto, nonché il suo dialogo con altre realtà e proposte della cultura,
dello spirito e della praxis, nello specifico con il fenomeno e lo studio del fenomeno
politico.
28ULPIANO, Libro primo regularum (D. 1, 1, 10, pr.).
29ARISTOTELE, Etica Nicomachea, V, 1, 1129 a) et sq..
30Cfr., v.g., J. VALLET DE GOYTISOLLO, A Encruzilhada metodológica jurídica no Renascimento, a
Reforma, a Contra-Reforma, trad. port., Lisbona, Cosmos, 1993.
15
I Kelseniani e alcuni giusnaturalisti, chi in misura maggiore, chi in misura minore,
cercarono di isolare o purificare il diritto dalle sue dipendenze religiose, morali, sociali,
economiche e/o politiche.
Hans Kelsen, contemporaneo e conterraneo di Freud e Gombrich, deve aver
provato un serio complesso di inferiorità nel vedere che la scienza giuridica tanti secoli
dopo il taglio del nodo gordiano che la univa all'albero sincretico dei saperi non
epistemologicamente separati, ancora non aveva trovato una definizione totale di Diritto,
non era stata capace di delimitare con rigore il suo oggetto. L'ironia di Kant (Noch suchen
die Juristen eine Definition zu ihren Begriffe vom Recht 31) e di Flaubert (Le Droit: on ne
sait pas ce que c'est32) dovevano riecheggiare continuamente nella sua mente assetata di
ordine.
Se persino i recessi della psiche e i sussulti della sensibilità estetica incontravano
scienze per esprimersi in forma ordinata, come poteva il Diritto restare nell'eterna
impurezza?
Sappiamo che l'impresa kelseniana: passione mentale e metodo (la piramide
normativa e la Grundnorm continuano ad essere categorie logiche di cui neanche il più
ribelle degli anti-positivisti potrà facilmente liberarsi) naufragò, prigioniera delle sue stesse
contraddizioni.
Anche quando soffiarono fortissimo i venti dei diritti dell'uomo, qualcosa a
outrance, qualcosa di inaspettato e per alcuni contra natura, diverse voci si alzarono per
chiedere un diritto libero dalle imposizioni politiche. Si affermò, allora, la totale politicità
di un diritto del lavoro, spesso giocattolo nelle mani del lavoro e del capitale, e si vide
come un parnaso edenico il "puro" diritto civile, vecchio e romano, asettico e duraturo che
sembrava collocarsi fuori del gioco ventoso del foro33.
31I. KANT, Kritik der reinen Vernunft, B 759, A 731, FN.
32G. FLAUBERT, Dictionnaire des idées reçues, articolo "Droit".
33M. VILLEY, Philosophie du Droit, (3a), Parigi, Dalloz, 1982, p. 84.
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Attaccata dai difensori del taking rights seriously, alle volte troppo serio e contro i
fatti34, abbandonata da quelli che all'inizio dovevano essere i suoi più acerrimi proceri, la
bandiera della purificazione del diritto, delle reticenze davanti alla giuridicità incontestata
degli human rights, soprattutto nella loro versione
o dimensione di diritti sociali,
economici e culturali, cadde in mani nemiche. Si verificò un vero fenomeno di recupero
dei diritti umani, un "soave miracolo" dei diritti umani in cui il problema della
purificazione del Diritto restò inevitabilmente coinvolto.
In una parola, si arrivò ad ammettere che la natura umana o la dignità umano o il
semplice fatto di essere uomini è un titolo giuridico che garantisce, a chi lo possiede, il
diritto ad una rendita minima di sussistenza. Ecco rientrare attraverso la finestra della
dignità umana o della semplice umanità, la dimensione turbolenta, libera, querelante della
politica perché mai saremo d'accordo su ciò che è la dignità umana e il minimo di esistenza
degna. Una volta rotta la logica ferrea del sistema titolarista si ammetteranno sempre nuove
eccezioni, tanto più adatte a far entrare di nuovo la decisione politica nel Diritto quanto più
saranno mosse da buone intenzioni.
Insomma il Diritto o non ha niente a che vedere con la politica, il che sembra
impossibile, o ha molto a che vedere con lei, nel qual caso non è puro.
Soprattutto quando vediamo sbandierata la regola dell'impurità del Diritto, come
una bandiera, la nuova bandiera del pluralismo e del post-modernismo giuridico,
ricordiamo che la Giustizia deve essere bendata e non ostentare quello sguardo faceto,
malizioso e parziale di una giustizia che spia da una parte della benda.
Il pluralismo giuridico sembra, allora, diventare un tutt'uno con gli oggetti che
tocca, sembra dissolversi nella molteplicità degli attori e degli interlocutori. E' in questo
senso che si realizza l'anatema giuridico dell'impurità che Kelsen raccoglierà nella sua
Reine Rechtslehre: il Diritto, come il mitologico re Mida, trasforma non in oro, ma in
34Cfr. R. DWORKIN, Taking rights seriously, Londra, Duckworth, 1977; J. J. Gomes CANOTILHO,
Tomemos a sério os direitos económicos, sociais e culturais, Separata da O Boletim da Faculdade de Direito,
Coimbra, 1988; J. CALVO GONZÁLEZ, El Discurso de los Hechos, Madrid, Tecnos, 1993.
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Diritto tutto quello che tocca35. Il più grande problema, allora, non è la giuridificazione ma
l'abdicazione della giuridicità per l'assunzione dell'identità estranea.
Senza negare la relazione con la politica di tutto il Diritto, una giustizia politica,
come finisce per essere in gran misura la giustizia di fattezze post-moderne, solo può
sfociare in ingiustizia: fu quello che accadde in tutte le grandi sentenze della storia.
IX. Il secondo segreto del Diritto
Il problema della politica e del diritto incontrerà una possibile risposta nell'analisi
simbolica della giuridicità con fondamento nel pensiero simbolico e nei simboli giuridici
più classici.
Partendo dal generale per arrivare al particolare, in modo da avere la sensazione di
approssimarci sempre più al nostro oggetto, incontreremo: primo la bilancia che ci elucida
sulla questione generale dei simboli; poi la benda, il simbolo più intellettualizzato (per
questo più tardo) indispensabile per dialogare con la realtà proteiforme del potere e della
giustizia, che ci rivela la polisemia e ambiguità dei simboli in una filosofia giuridica e
politica; e finalmente la spada che indicherà un'uscita possibile alle nostre aporie. Uscita
certamente per nuove aporie visto che ci propone una filosofia giuridica e politica
simbolica.
La bilancia e la benda non hanno in politica grande fortuna. Nell'antica Cina
sembra che la bilancia fosse il simbolo del ministro, dovuto più al non conoscimento della
separazione dei poteri, riferendosi certamente ancora alla funzione giudiziale. La benda,
nella stessa iconografia romana più conosciuta, è principalmente attributo della fortuna o
della morte. In qualche modo entrambe possono essere simboli giuridici. La bilancia e la
benda, senza spada, nelle mani di Iustitia sono il simbolo romano completo del Diritto36.
35H. KELSEN, Reine Rechtslehre, trad. port. di João Baptista Machado, Teoria Pura do Direito, (4a),
Coimbra, Arménio Amado, 1976, p. 376.
36S. CRUZ, Direito Romano, op. cit., p. 28 et sq.; S. CRUZ, Ius. Derectum (Directum), Coimbra, 1974.
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La spada sembra avere una dimensione politica (persino guerriera) più evidente. Il
rifiuto della spada nel simbolo romano può voler dire ciò che simbolizza l'introduzione, in
questo simbolo, del fedele: la giustizia giuridica dopo lo ius redigere in artem ha un fedele,
il pretore il quale non agisce come un giustiziere, né come un poliziotto, ma sotto la cui
auctoritas le armi cedono il passo alla toga - cedant arma togae (De Off.). Quello che non
succede con la giustizia eccessivamente politicizzata (si veda l'ostracismo) dei greci.
La spada è, intanto, tradizionalmente considerata un'arma della Giustizia insieme
con lo scudo. Antonio Vieira nel XVII, interpreta S. Paolo spiegando che la spada è
un'arma d'attacco e lo scudo di difesa e entrambi servono per lottare contro gli altri e
contro sé stessi, nel caso in cui la giustizia stesse dal lato contrario37. Ai nostri giorni,
all'inizio del suo Law's Empire Ronald Dworkin identifica il diritto con la spada e con lo
scudo38.
Il racconto della Bella addormentata fu più volte applicato al Diritto nel nostro
tempo: alcuni nostri maestri lo utilizzarono - Rogério Ehrhardt Soares, François Vallançon,
Gomes Canotilho, ecc.39. In fondo può simbolizzare il trauma della crescita del Diritto,
insanguinato nel suo confronto con la politica (basti pensare alla giustizia rivoluzionaria di
tutte le rivoluzioni moderne) a cui fa seguito un tentativo di assopimento e di incistamento
in barriere purificatrici che ricordano una foresta di rovi. Ma questa barriera è vinta (o sarà
vinta) non da una politica machiavellica e malevola (come quella della regina-strega), ma
da una politica amabile che lotta con le armi della giustizia. Nel film di Walt Disney su
questo tema40 l'happy ending (il citato superamento) si realizza attraverso il bacio del
Principe con la Principessa dopo la vittoria sul drago (in realtà un'incarnazione della
regina-strega, la cattiva politica, la politica perfida, anti-giuridica) con la spada della verità.
Il drago, come Asmodeo nella storia di Tobia, non esiste. Così come l'assopimento
e la foresta di rovi sono opera del complesso isolazionista della principessa del Diritto.
37Padre A. VIEIRA, Sermão de Santo Agostinho, in Obras completas do..., Sermões, Oporto, Lello, 1953,
vol. III e vol. VIII, p. 213; 2 Cor. 6:7.
38R. DWORKIN, Law's Empire, Belknap, Cambridge, Mass., 1986, p. VII.
39R. E. SOARES, Direito Público e Sociedade Técnica, Coimbra, Atlântida, 1969, p. 5; F. VALLANÇON,
Domaine et Propriété, Parigi, Università di Parigi II, 1995, vol. III, p. 1055; J. J. Gomes CANOTILHO,
Direito Constitucional, (5a), Coimbra, Almedina, 1991, p. 11 (citando Ehrhardt Soares).
40Sleeping Beauty, USA, 1959, technirama, 75 m., adattamento di Charles Perrault.
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Uccidere il drago significa abbattere la foresta e aprire il cammino al bacio che ricompone
l'unità perduta tra diritto e politica, nel simbolo. Unità nella diversità, nell'alterità,
nell'identità di ogni membro della coppia. Politica e Diritto, così come il Principe e la
Principessa separati, ma promessi dalla culla, sono, alla fine, le due metà dell'Androgino.
Ognuno deve essere profondamente ciò che è per poter meritare l'altro: per questo i
tentativi di autonomia dalla politica e dalle sue scienze e epistemai sono lodevoli, come
corrette sono le preoccupazioni di purificazione del Diritto.
Quando comprenderemo questo simbolismo intenderemo profondamente il dramma
dell'attuale Diritto e dell'attuale Politica.
Un consiglio speciale viene dal sapere della strega cattiva del film: l'unica garanzia
di vincere il complesso isolazionista e di centrare il cuore del drago è l'amore vero (true
love - e questo ci rimanda ad un altro film La Principessa Promessa, dove tale amore
resuscita perfino i morti). La stessa preoccupazione sembra incontrarsi nella storia di Tobia
e Sara. "E ora non per il piacere io prendo, questa mia cugina, ma con sincerità" dice Tobia
quasi a concludere la sua orazione41.
Antonio
Rosmini
e Cicerone,
vostri
compatrioti, facevano
derivare la
preoccupazione del Diritto dall'inclinazione per l'Amore42.
Sfortunatamente pochi studiano la filosofia del diritto o la filosofia politica per
imparare questo.
Adesso sappiamo qual è il secondo segreto, il segreto completo. Un segreto, alla
fine, molto semplice, così semplice che è sotto gli occhi di tutti: il vero amore . Del resto
c'è in Portogallo una canzone (certamente ce n'è una anche in Italia) che dice: l'amore è
cieco e vede, non so perché.... E contro tutte le aspettative l'Amore come il Diritto è
contraddittorio con i sensi:
"L'Amore è fuoco che arde senza che si veda
41TOBIA 8: 4-9.
42A. ROSMINI, Filosofia del Diritto, vol. I, Intra, 1865, n° 227 et sq.; CICERONE, De Leg.,I, 15.
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E' ferita che duole e non si sente
E' contentezza scontenta
E' dolore che fa perdere il senno senza dolere"43
Parliamo dell'Amore o parliamo del Diritto?
Svelando il segreto, altri segreti si profilano.
Paulo Ferreira da Cunha
43L. de CAMÕES, "Amor é fogo que arde sem se ver", Lírica, Lisbona, Círculo de Leitores, 1984, p. 188
(cf. ed. Estevão Lopes, 1598).
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