La Chiesa nel contesto del socialismo africano, di

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LA CHIESA NEL CONTESTO DEL SOCIALISMO AFRICANO
di Julius K. Nyerere
Il regno documenti 9(1981) — Uno del più prestigiosi leaders africani, Mwalimu Julius K.
Nyerere, presidente della Tanzania, ha colto l’occasione dell’invito di aprire l’VIII assemblea
generale della Cooperazione internazionale per lo sviluppo socio-econornico (CIDSE, Dar es
Salaam, 10-15.11.1981), per esprimere il suo pensiero e la sua valutazione circa il ruolo della
chiesa in Africa. Che il Vangelo sia giunto in Africa vestito all’europea è un fatto inevitabile,
dice Nyerere, perché i missionari erano figli del loro tempo; ma ora i tempi sono cambiati e
deve cambiare anche la mentalità della chiesa e il tipo di rapporti con i nuovi stati africani.
Oggi la chiesa deve inserirsi nella realtà concreta di ogni singolo popolo e deve mettersi
insieme con tutte le altre forze per offrire un servizio alla promozione integrale dell’uomo. E
questo, rispettando l’autodeterminazione sia nella scelta che nell’attuazione del piani di
sviluppo. La parte più interessante della relazione è quella che Nyerere dedica al rapporto tra
chiesa e stati africani che hanno adottato il socialismo. Il socialismo africano non é ateo: tutti
gli stati che in Africa professano il socialismo accettano la libertà religiosa e di ogni religione.
È quindi strano, dice il relatore, che la chiesa abbia collaborato con gli stati capitalisti, mentre
trova difficoltà con quelli socialisti. Ciò dipende non dal cristianesimo in sé, ma dalla sfida che
questo comporta «al pensiero tradizionale (ed eurocentrico) della chiesa». (Documentation
service AMECEA, 2.III.1981. Traduzione dall’inglese della redazione di Il regno).
La fede cristiana fu introdotta in Africa come risposta alle parole di Gesù — «Andate per tutto il
mondo e predicate il Vangelo a tutte le creature». La responsabilità continua della chiesa nel contribuire allo
sviluppo dell’Africa deriva da quella stessa missione. Secondo il messaggio di Gesù, si tratta di servizio —
servizio a Dio attraverso il servizio all’uomo. «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi
miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me».
Fin dall’inizio i missionari cristiani unirono alle attività evangeliche un impegno nei settori
dell’educazione e della salute. Offrirono un servizio pratico alle popolazioni in mezzo alle quali stabilivano
le loro missioni. Portavano la parola di Dio, e portavano anche nuove idee, l’alfabetizzazione, la medicina
moderna in regioni che fino allora erano rimaste isolate dallo sviluppo umano in questi settori. Hanno
costruito missioni, chiese, scuole e ospedali — e al tempo stesso hanno insegnato alla popolazione locale
come si costruisce e altre tecniche.
Uomini del proprio tempo
Dobbiamo tuttavia riconoscere che quei primi operatori della chiesa in Africa avevano — spesso
coscientemente e deliberatamente — un atteggiamento paternalistico. Consideravano la cultura africana
primitiva, e quella europea, invece, civilizzata. Speravano, come servizio a Dio, di civilizzare l’Africa, cioè
di cambiare la cultura africana. A questo scopo ci portavano il meglio di quanto avevano — la chiesa come
la conoscevano loro e il loro stile di vita, per quanto ciò era possibile nella nostra situazione, molto diversa.
È assurdo criticare i primi missionari per questo atteggiamento o per le azioni che ne derivavano; loro
venivano nell’amore e in uno spirito di servizio al loro Dio, ma noi siamo tutti creature del nostro tempo e
del luogo in cui viviamo.
Lo sviluppo importato
Tuttavia, l’effetto fu che il cristianesimo, come anche i servizi educativi e sanitari, arrivarono in
Africa, e nelle altre parti del terzo mondo in una forma europea. Arrivarono insieme alle conquiste culturali
di duemila anni di sviluppo e di storia europea. La riforma e la controriforma dei secoli sedicesimo e
diciassettesimo in Europa; l’ostilità tra le varie sette cristiane; le relazioni sviluppatesi tra chiesa e stato nelle
diverse parti d’Europa, e prima ancora le pratiche feudali che risalivano all’impero romano: tutte queste cose
furono in un certo senso portate in Africa dai primi missionari che avevano contribuito a dare forma alla
chiesa che veniva dal loro continente. Tutte queste cose perciò ebbero un’influenza in Africa, come l’ebbero
le idee provenienti dall’Europa a proposito della proprietà, dei diritti e dei doveri, dell’organizzazione
economica e politica.
La chiesa missionaria aveva insite nel suo modo di operare tutte queste idee — e molte altre. Quando
impiantava una missione pensava nei termini delle pratiche di proprietà che aveva elaborato durante i secoli
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in Europa. Quando fondava una scuola, era una scuola della chiesa. Nelle missioni i lavoratori erano assunti
come individui e pagati quanto era loro dovuto come individui. E poiché le attività missionarie generalmente
cominciavano in un determinato posto contemporaneamente all’istaurarsi di un potere coloniale — e spesso
si diffondevano col diffondersi del potere coloniale — la chiesa come istituzione si legò alle strutture
coloniali. Talvolta — come conseguenza del ruolo dominante della chiesa e della natura stessa del governo
coloniale — la prima divenne quasi il braccio del secondo. La chiesa cattolica fu particolarmente soggetta a
questo rischio per via dei concordati tra il Vaticano e i vari governi europei.
Alcuni convertiti persero gli elementi essenziali
Anche gli africani erano — e sono — creature del loro tempo e della loro società. Facendo nostri gli
insegnamenti della chiesa, ne abbiamo ignorato altri. Né possiamo rivendicare il fatto di aver sempre
accettato emotivamente e razionalmente la sostanza dell’insegnamento cristiano ignorando quelle parti che
corrispondevano a un vero e proprio adattamento alle culture sociali d’Europa. Ancora quando ero giovane
costituiva un motivo di orgoglio l’essere chiamato «nero europeo»; i requisiti per esserlo potevano venir
appresi dalla chiesa e dall’insegnamento della chiesa senza Che fosse necessario praticare — e nemmeno
credere — nel messaggio di amore e di perdono. Diversi di noi che occupano posizioni di comando —
almeno in questa parte dell’Africa — sono ancora il prodotto di quei giorni e di quegli atteggiamenti.
I tempi sono cambiati
Ma da allora sia le società europee che quelle africane si sono evolute. L’Europa non ha più tanta
fiducia nella propria superiorità; i missionari oggi vengono in Africa, per esempio, con lo scopo di
identificarsi con l’Africa e lavorare con gli africani, non per gli africani. L’Africa è cambiata ancora più in
fretta dell’Europa — in parte come conseguenza del nostro rapporto con le idee e le tecniche straniere che
tanto il cristianesimo come il colonialismo ci avevano portato. Il modello economico dominante non è più
l’agricoltura di sussistenza autosufficiente; l’urbanizzazione si è diffusa e prevale l’economia di mercato.
Inoltre, quasi dappertutto nel continente il governo coloniale è stato sostituito da un governo locale; l’autorità
politica è ora nelle mani degli africani, ed è con i governi africani che le chiese e le istituzioni ecclesiali
debbono trattare, si siano esse indigenizzate o no.
I rapporti tra i nuovi governi africani e le chiese dipendono da molti fattori. Non ultimo, la capacità
della chiesa di adattarsi alle circostanze che cambiano e di sviluppare idee, negli ultimi venti o trenta anni.
Dove la chiesa ha continuato a oltranza ad identificarsi con il regime coloniale — come in Mozambico — si
trova adesso in difficoltà. Dove è stata capace di identificarsi con le aspirazioni politiche della maggioranza
dei suoi membri e della comunità, è anche riuscita di solito ad evitare i conflitti con le nuove autorità. Ma,
soprattutto, la posizione della chiesa dipende ora dalla sua capacità passata — e attuale — di abbandonare
forme e pratiche che avevano la loro origine nella storia europea, pur mantenendo e rafforzando l’essenza del
messaggio cristiano e la sua stessa missione.
Adattarsi all’Africa
Non si tratta di dipingere di nero la Madonna; storicamente non era nera e Gesù è nato ebreo. Non si
tratta nemmeno di abbandonare tutta la musica di origine europea, parte della quale è molto bella. La
questione è molto più complessa, L’adattamento all’Africa, rafforzando contemporaneamente la missione
cristiana, coinvolge tutto il complesso delle attività della chiesa e dei suoi membri.
Attualmente, in molte parti dell’Africa, abbiamo raggiunto un livello in cui la chiesa e i nuovi
governi africani possono, se vogliono, collaborare per il servizio del popolo. Suggerisco che anche la chiesa
voglia tale collaborazione. Perchè la chiesa non può isolarsi da ciò che sta succedendo attorno, se deve essere
fedele al suo impegno di diffondere in mezzo al genere umano il messaggio d’amore. E quanto accade
intorno a lei dipende in misura considerevole da ciò che stanno facendo lo stato o le forze del mondo
economico.
Sfere di azione scelte dai vari governi
C’era un tempo in cui lo stato considerava come uniche sue funzioni il mantenimento della legge e
dell’ordine, provvedere ad alcuni pubblici servizi nelle zone urbane, e mantenere il campo in cui le forze
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economiche potessero contendere. Pochissimi governi oggi in Africa sono così ingenui. Come minimo, i
governi africani considerano quali settori che interessano la loro sfera di azione, almeno l’educazione, la
salute, i servizi pubblici e lo sviluppo economico. I governi socialisti — o quelli che aspirano al socialismo
— vanno molto più avanti. Considerano tutti questi aspetti (ed altri ancora) di loro responsabilità, e pensano
di dover influire positivamente sullo sviluppo, cosi come avviare attività economiche di ogni genere.
Aspettano di sedere nei posti di comando per controllare la direzione e la velocità dello sviluppo.
Collaborazione tra chiesa e stato
Anche la chiesa considera le proprie responsabilità in termini più ampi di quanto facesse in passato.
Oggi riconosce che deve essere coinvolta nella società degli uomini, poiché si tratta propriamente di servire
l’uomo come un individuo che ha un’anima da salvare. Pertanto la chiesa oggi si impegna in tutti quegli
aspetti che riguardano la lotta dell’uomo per la libertà. Si interessa della libertà mentale e spirituale
dell’individuo. ma anche della giustizia sociale e attacca quei livelli di povertà che sminuiscono la dignità
degli esseri umani. Ed è a proposito di questi aspetti dell’impegno della chiesa che la cooperazione tra
organizzazioni ecclesiali e della società secolare può essere più fruttuosa.
Certo, io credo che la chiesa possa dare un contributo molto valido alla lotta dell’Africa contro la
povertà e che in questo modo contribuirà alla lotta per la pace, la giustizia e la libertà di cui papa Giovanni
Paolo ha parlato in modo tanto commovente nel messaggio di gennaio 1981.
Persone formate tra il personale che lavora
La chiesa può contare su un inestimabile gruppo di persone disponibili, disciplinate e impegnate —
suore, religiosi, preti, laici e donne che hanno scelto di servire Dio attraverso il loro servizio all’uomo.
Questi individui e gruppi sono spesso educati e formati molto meglio di coloro in mezzo ai quali dimorano e
lavorano; sono onesti, sinceri, altamente motivati e credono che il servizio sia la loro ricompensa. In
Tanzania abbiamo molte prove del grande valore del lavoro che fanno e dello spirito che si diffonde fuori
delle loro comunità religiose nella società più ampia.
Basi rurali
In secondo luogo la chiesa, nel suo lavoro per lo sviluppo, ha un grado di flessibilità che non è
sempre raggiunto dalle organizzazioni politiche e dalle istituzioni economiche pubbliche. Può più facilmente
adattare le proprie attività alle risorse umane, ai materiali disponibili in ogni tempo e luogo e ai sentimenti
delle popolazioni direttamente interessate. Perché la chiesa ha basi locali; posto che non cerchi un controllo
di parte, il suo luogo naturale per avviare attività e nelle zone rurali, nei villaggi e attorno alle chiese nelle
parrocchie urbane. Inoltre la chiesa ha un’influenza sui suoi membri, e sulla società di cui fanno parte, che lo
stato non può ignorare. Per via di questa influenza, può essere la base di una attiva partecipazione da parte
del popolo alle attività per lo sviluppo. D’altro lato, se l’influenza viene usata contro il braccio secolare può
talvolta condurre a una forma di non-collaborazione che assicura il fallimento di qualsiasi iniziativa o
politica, anche la meglio intenzionata. In effetti, è il potere dato da questa influenza che talvolta rende i
governi socialisti timorosi della chiesa, tanto quanto la chiesa è apparentemente timorosa dello stato
socialista. Essendo la paura cattiva consigliera, il conflitto, che né l’una né l’altro vogliono, risulta allora,
talvolta, quasi inutile.
Giudizio sul ruolo della chiesa nello sviluppo
Come vedo allora il ruolo della chiesa nello sviluppo socio-economico dell’Africa? Innanzitutto c’è
la duplice funzione che la chiesa può svolgere nel favorire lo sviluppo del popolo — popolo dov’è, com’è e
come aspira a diventare. Questo perché la chiesa è in primo luogo interessata agli individui, insegna l’etica
del cristianesimo e le responsabilità dei cristiani come persone singole, con una coscienza personale. Ciò
significa che cerca di sviluppare l’integrità personale. Ma l’integrità personale è vitale anche per il successo
delle attività di cooperazione per lo sviluppo. Questo è un aspetto. Il secondo consiste nell’incoraggiamento,
volutamente dato, allo sviluppo di attività comunitarie. Poiché l’uomo è un essere sociale, un individuo in
società. E attraverso le attività comunitarie che le persone si sviluppano. Lo sviluppo di sé nasce dallo
sviluppo della comunità e non nell’isolamento.
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Sentirsi coinvolti
Noto che i «principi di azione» della vostra organizzazione dicono che «le persone dovrebbero essere
gli agenti del loro sviluppo». Sono d’accordo. Lo sviluppo in cui il popolo non si sente direttamente
coinvolto non è sviluppo — è semplicemente un progetto che crolla quando gli agenti esterni vengono meno.
Ciò vale sia che l’agente esterno sia un fuoruscito, un governo ufficiale, o un prete. È vero anche, a
prescindere dall’oggettivo valore dello sviluppo che è in gioco: abbiamo visto andare in rovina in un
villaggio le riserve di acqua per la mancanza di manutenzione e di cura da parte della popolazione locale,
perché erano considerate di competenza del governo che le aveva portate. La popolazione deve essere agente
del proprio sviluppo, se deve essere uno sviluppo economico fruttuoso, e uno sviluppo economico fruttuoso
di questo genere porterà all’autosviluppo delle popolazioni coinvolte. Guadagneranno in autocoscienza,
come nel rispetto e fiducia in se stesse. Queste popolazioni sono allora i cittadini migliori di un’autentica
società socialista, poiché non è possibile sfruttarle tanto facilmente, e penso che siano anche migliori cristiani
(se sono cristiani) in seguito alla loro più ampia comprensione dell’amore di Dio e delle sue opere.
L’assistenza straniera unita all’autodeterminazione
Dicendo questo non sostengo che il ruolo di apporti stranieri allo sviluppo non sia importante.
Viviamo nel ventesimo secolo, e il mondo sviluppato, nel bene e nel male, incombe su di noi nel terzo
mondo. Ha distrutto da voi i rapporti tradizionali in campo produttivo e sociale — e talvolta anche le vostre
disposizioni etiche abituali. Ma a noi apre anche grandi possibilità, sempre che le competenze e i capitali
necessari a collegare le moderne conoscenze ai nostri bisogni possano essere prese da fuori in una forma
accettabile, che promuova cioè la libertà e la dignità. Lo sviluppo è più veloce, e talvolta si realizza soltanto
se i bisogni e le attività locali possono saldarsi a una assistenza straniera che funge da supporto. In linea
ideale il contributo straniero sarà chiaramente legato e dipendente dagli sforzi locali e sarà anche unito ai
piani per far fronte a livello locale alle spese ricorrenti e alla manutenzione. Questi legami possono
promuovere una vera e propria pianificazione, come pure il lavoro e le discipline necessarie per un impiego
ottimale delle tecniche moderne.
La pace e la giustizia dipendono dai valori immessi nella società
Ne parlo come di una doppia funzione della chiesa, perchè sta diventando quanto mai chiaro che
qualsiasi sistema sociale ed economico venga assunto dallo stato, la pace e la giustizia dipendono in ultima
istanza dall’integrità, dall’onestà, dalla disciplina e dall’impegno della popolazione interessata. Queste
qualità sono ancora più importanti quando la società cerca di costruire un sistema basato sulla cooperazione
tra gli uomini piuttosto che sul conflitto economico. Naturalmente non è solo la religione cristiana che
insegna questi valori personali e sociali, ma rientrano nel suo insegnamento, e sono perciò parte del
contributo che la chiesa può dare allo sviluppo, per quanto i credenti ne sono interessati. Il vostro Signore e
maestro volle che voi foste il sale della terra.
I leaders delle chiese cristiane possono dare un esempio di coscienza e responsabilità sociale; molti,
in base alla mia esperienza, lo fanno. Ma alcuni di loro cercano ancora di rimanere in disparte e agire come
se un buon cristiano dovesse isolarsi dalle attività sociali in senso più ampio, o come se il vero interesse di
un cristiano fosse solo la sua moralità personale e non quella prevalente nelle istituzioni secolari della sua
comunità. Questi atteggiamenti sono l’equivalente del «camminare dall’altro lato della strada».
La preghiera «non indurci in tentazione» non comporta il rifiuto della responsabilità sociale, o il
rifiuto di adempiere alle funzioni ad essa connesse, anche se è vero che le tentazioni aumentano con
l’aumentare della responsabilità. I presidenti possono essere corrotti con maggiore facilità dei missionari. I
presidenti hanno anche un maggiore potere — e una maggiore responsabilità rispetto ai missionari nel
debellare la corruzione — quantunque un presidente avrà successo in uno sforzo del genere se il missionario
e qualsiasi altro collaborerà con lui. I cristiani di tutte le denominazioni sono cittadini del loro paese;
l’impegno a tutti i livelli, in tutte le istituzioni, fa parte del loro dovere verso se stessi, la loro fede e il loro
paese.
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Necessità di impegnarsi
La necessità di impegnarsi esiste sia che la chiesa operi in uno stato capitalista, socialista,
dittatoriale, o in una democrazia. Ora, sembra che soprattutto la chiesa cattolica abbia del problemi
particolari negli stati socialisti. Ho il sospetto che questo sia un altro problema che deriva dallo sviluppo
della chiesa in Europa e in altre nazioni che si erano conformate al modo di vita europeo.
Tradizionalmente la chiesa ha incontrato poche difficoltà ad operare negli stati capitalisti, anche
quando erano molto autocratici e totalitari. Si adatta al modello di governo, opera al suo interno e compie
opere di assistenza tra coloro che restano indietro nella competizione economica. In anni recenti individui (e
anche vescovi) in alcuni paesi dell’America latina hanno cominciato a rendersi conto che questo non era
sufficiente, ma anche ora la chiesa come istituzione — per quanto ne so io — non può tenere incontri troppo
pericolosi sul suo ruolo in tali condizioni! Così continua ad essere nervosa verso gli stati che professano il
socialismo; a volta si fa persino coinvolgere nella politica, nello sforzo di evitare che i partiti che si
autodefiniscono socialisti raggiungano il potere. Trovo che questo e strano.
Il socialismo africano
Lo scopo e l’intenzione dichiarati della dottrina socialista consistono nel promuovere sulla terra
l’uguaglianza tra gli uomini e la giustizia sociale — che deve coinvolgere la giustizia tra e per gli individui.
Tutto ciò, per quanto ne capisco, rientra anche — con differente enfasi — nella dottrina cristiana. Il
problema infatti sorge a livello di istituzioni; molti cattolici sono socialisti e non trovano difficoltà a
conciliare le loro due fedi! Ne deduco che questo problema sorge perché per ragioni storiche la chiesa é
ancora governata a livello politico da leaders e membri che provengono dagli stati capitalisti dell’occidente
sviluppato.
Non ateistico
Dove lo stato fa dell’ateismo la sua politica dichiarata, e dove i credenti sono perseguitati e
l’insegnamento cristiano è reso difficile, se non impossibile, si creerà ovviamente un urto tra la chiesa e lo
stato. Non sono qualificato a commentare questi problemi; ma non credo che abbiano qualcosa a che fare con
il socialismo. E certamente in Africa il socialismo è accettato come una dottrina secolare, che non ha nulla da
dire sulle questioni metafisiche. Tutti gli stati che in Africa professano il socialismo accettano la libertà
religiosa e di ogni religione.
Gli stati socialisti in Africa sono tutti interessati a promuovere la crescita economica sulla base dello
sviluppo con una tendenza all’egualitarismo. In misura maggiore o minore tutti cercano di fare in modo che i
bisogni di base di tutto il popolo siano soddisfatti prima che le risorse siano impiegate in beni di lusso per la
minoranza. Con maggiore o minore successo, cercano di creare istituzioni e sistemi che diano al popolo il
controllo sul suo stesso destino. In altre parole, il socialismo in Africa ê impegnato nel tentativo di creare
condizioni per la dignità umana individuale sulla base della comune appartenenza dell’uomo alla società.
Mette l’accento sulla giustizia sociale, poiché riguarda la politica e l’economia — cioè le attività dell’uomo
nella società. Ma nella misura in cui questa giustizia sociale entra in urto con la giustizia individuale — e
nella pratica ci sono occasioni di urto — la causa è o nell’imperfezione della macchina, o negli errori da
parte di coloro che la usano. Io certamente non posso vedere nessuna ragione d’urto tra giustizia sociale e
individuale insita nel socialismo.
Pratiche secolari
La sfida che la chiesa deve apportare nel socialismo, e anche nel sistema democratico a partito unico
in Africa, è in realtà una sfida al pensiero tradizionale (ed eurocentrico) della chiesa, non al cristianesimo in
sé. Ciò che si chiede agli uomini di chiesa negli stati socialisti africani è di imparare una serie di pratiche e di
meccanismi secolari diversi in misura considerevole da quelli europei, ma nel contesto dei quali la chiesa ha
operato finora anche in Africa. Avendoli imparati la chiesa può svolgere i suoi compiti tradizionali senza
difficoltà create dall’uomo, e anche portare a termine nuovi compiti all’interno della struttura socialista
africana.
Certamente non c’è nessuna ragione perché nei nostri stati africani la chiesa non possa lavorare per
la giustizia e la libertà individuale allo stesso modo, se non di più, di quanto faccia negli stati capitalisti. Gli
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uomini di chiesa possono aiutare chi è ignorante e timoroso e valersi dell’apparato statale perché i suoi torti
siano riparati. Se l’apparato non esiste o non funziona adeguatamente, i cristiani possono e dovrebbero
prendere parte all’impegno di mettere in piedi i sistemi necessari o di sanarli. Non è questa materia per «una
campagna sponsorizzata dalla chiesa»; è materia per i cristiani, fortificati dal sostegno morale della chiesa,
che operano sia come individui, sia attraverso le istituzioni secolari esistenti.
Questa attività significa che la chiesa e i suoi membri lavoreranno in collaborazione con lo stato e
con il popolo, perché favoriranno gli scopi del socialismo ai quali sia lo stato che il popolo si sono dedicati.
Contemporaneamente servirà coloro che involontariamente saranno stati danneggiati dalla macchina dello
stato continuando così a svolgere la propria attività pastorale in mezzo ai propri membri e in mezzo agli altri.
Aggiungerei, forse, che se insorgono motivi di lagnanza semplicemente perché alla persona interessata è
stato impedito di sfruttare gli altri, o per l’uso adeguato di misure prese allo scopo di evitare l’espansione
personale, allora uno stato socialista è adatto ad essere insensibile alle petizioni! Ma non vedo la ragione per
cui fatti del genere dovrebbero creare problemi tra chiesa e stato; il Signore stesso ha detto che sarebbe stato
alquanto difficile per il ricco entrare nel regno dei cieli!
Progetti
Più direttamente importante per il vostro incontro di oggi è l’opportunità che in Africa — e negli
stati socialisti africani in particolare — è data alla chiesa di contribuire attivamente alla lotta per la giustizia
sociale mediante la sua partecipazione allo sviluppo economico e sociale. Può farlo avviando attività locali
per lo sviluppo in collaborazione con l’apparato statale. In Tanzania ogni villaggio e ogni distretto ha più
progetti nel suo programma di sviluppo di quanti ne potrebbe realizzare senza alcun aiuto. E le chiese locali
talvolta hanno bisogno di aiuto esterno per avviare piani che condurranno in futuro alla fiducia nelle proprie
attività. C’è moltissimo ancora da fare!
Le organizzazioni per lo sviluppo che fanno capo alla chiesa, in collaborazione con i cristiani del
luogo, possono anche aprire la strada in settori in cui i cristiani individuano un bisogno, cui lo stato non
vuole o non è in grado di dare una assoluta priorità. In Tanzania, per esempio, le chiese (sia cattolica che
protestante) hanno dato una spinta nell’impiantare e nel diffondere scuole per gli handicappati. Il governo
cerca di dare una mano, ma non riesce a realizzare tutto ciò di cui c’è bisogno. Ci sono probabilmente anche
altri settori in cui la chiesa come istituzione o i membri della chiesa come cittadini attivi e interessati possono
avviare un valido servizio agli individui e alla società, senza aspettare che le istituzioni dello stato prendano
l’iniziativa.
L’inestimabile assistenza del CIDSE
Mi rendo conto pienamente che,dicendo queste cose,parlo a dei convertiti. Le varie organizzazioni
che sono membri del CIDSE partecipano tutte, separatamente o in collaborazione, alle molteplici attività per
lo sviluppo sociale ed economico del terzo mondo. Una lista delle attività sostenute da voi sarebbe, credo,
una lettura incoraggiante per quanti sono interessati ad attività di sviluppo delle zone rurali e su piccola
scala. Certamente in Tanzania è stata data una inestimabile assistenza a progetti locali di grande importanza
per la vita delle popolazioni direttamente coinvolte. Inoltre, né le istituzioni tanzaniane, né del primo mondo
che li hanno sostenuti con denaro o personale sono state limitanti o settarie nella selezione del progetti.
Hanno partecipato a, o hanno condotto, progetti riguardanti l’educazione, la salute, le riserve d’acqua e la
creazione di attività produttive redditizie per villaggi e gruppi di villaggi. Ciò che ugualmente importante è
che queste organizzazioni-membri dei CIDSE sono rimaste flessibili. Quando la popolazione locale non
giocava il ruolo che ci si attendeva, l’assistenza promessa a favore di un progetto veniva ritirata. Quando si
scopriva che la popolazione locale stava progettando o facendo cose che erano incluse nel progetto iniziale
dell’istituzione, veniva data assistenza pratica senza badare al documento scritto. E si è verificata una
continua collaborazione tra la leadership locale della chiesa e la leadership del governo o del partito nei
villaggi e nei distretti.
Il sostegno da parte delle istituzioni ecclesiali dei paesi sviluppati è vitale per la capacità delle
istituzioni del terzo mondo di avviare attività economiche e sociali su piccola scala. Spero che quei delegati
fra voi che vengono dall’Europa e dall’America possano vedere alcuni risultati dell’assistenza da voi prestata
in Tanzania. Mi fa anche piacere che qualcosa come un «programma indicativo» venga steso alla fine di
questo vostro incontro. Ma bisogna ricordare che alcune delle più valide attività non figurano come tali. Non
consistono in grandi edifici — nemmeno di edifici in generale; i mulini di mais e i pozzi non sono
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entusiasmanti a vedersi. Eppure sono le cose come queste che possono creare le basi per una rivoluzione
nella qualità della vita del popolo — e specialmente quella delle nostre donne che lavorano duramente.
Creare una consapevolezza.
Osservo inoltre che le organizzazioni-membri rappresentate qui hanno accettato anche un altro
obiettivo: «L’educazione del loro rispettivi partecipanti in materia di sviluppo così da creare una
consapevolezza dei bisogni e dei problemi e da incoraggiare la comprensione delle loro cause ... ». Ciò è in
linea con il riconoscimento, definito altrove nello stesso documento, che «sono le cause del sotto-sviluppo a
dover essere considerate». E basta una breve analisi per mostrare che le cause sono internazionali come
nazionali, presenti come passate. Nei tempi lunghi infatti, l’impegno nei paesi sviluppati, anche l’attività
politica a sostegno della domanda di un nuovo ordine economico internazionale, può essere di uguale
importanza rispetto alla lotta per lo sviluppo che viene condotta nei paesi del terzo mondo. Questo aspetto
del vostro lavoro non dovrebbe essere sottovalutato o trascurato.
Il successo non è automatico
Signor presidente, signore e signori. La sfida dello sviluppo è emozionante e stimolante; comporta
anche un lavoro pesante, minuzioso, noioso. Può essere anche molto frustrante, perché il successo non è
automatico tanto quanto l’intenzione è buona; fattori esterni possono talvolta distruggere il lavoro di anni.
Inoltre, il lavoro viene assai complicato dall’alto grado di povertà che cerca di debellare, e dalle misure che
siamo talvolta costretti a prendere per spartire più equamente le carenze e la povertà di cui facciamo
esperienza. Vorrei solo ricordarvi ciò che già sapete: la disperazione è il peccato più grande per il
cristianesimo! Qualunque sia il problema, e per quanto siano molti i contrattempi e le delusioni, non
dobbiamo cedere. Lavorando insieme, organizzazioni religiose e non, cristiani, musulmani, indù e atei,
avanzeremo nel tempo che Dio vorrà verso il fine comune della dignità umana e della libertà, per tutti.
Vi auguro il successo di tutte le vostre decisioni. M. Julius K. Nyerere
(La relazione di Julius Nyerere, La chiesa nel contesto del socialismo africano, è stata pubblicata sulla rivista Il Regno
documenti 9(1981)292-296. L’abbiamo qui riprodotta grazie alla gentile autorizzazione del Centro Editoriale
Dehoniano. Questo documento è stato scaricato dalla pagina web http://www.canossianitanzania.org/Materiali.htm)
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