Gruppo Interstizi & Intersezioni - Dipartimento di Sociologia UNIVERSITÀ CATTOLICA – MILANO N Neew wsslleetttteerr nn.. 1 13 3 Inverno 2008/2009 Cari destinatari, Oh-bama! Ha titolato un quotidiano americano il 5 novembre scorso. E’ difficile sottrarsi alla tentazione di tornare ancora su un fatto storico che ha portato incredibilmente al centro quelli che fino a ieri erano i margini della società americana (i neri, i meticci). Lascio la parola alla testimonianza dal vivo da Chicago di una Corrispondente della Newsletter, Margherita Pieracci Harwell, che così mi ha scritto il 5.11.2008: “Caro Gianni, la notte scorsa l'ho passata davvero 'unita al popolo di Chicago' e non solo idealmente. Sono stata fino alle 9 sulla terrazza della Roosevelt University (dove feci per qualche anno dei corsi serali), che è proprio di fronte all'entrata di Grant Park, così ho visto tutti arrivare. Poi sono scesa e così ho visto da vicino le facce della gente, ed era importante, perché non solo era incredibile il numero (si è parlato di un milione!), ma era straordinario il senso di fratellanza gioiosa, senza tracce di asprezza, che c'era in tutte quelle facce - un miracolo a cui non credo di poter assistere un'altra volta. Valeva proprio la pena di esser qui per questo. Ci è stato fatto un meraviglioso regalo, non solo la vittoria di Obama, ma il fervore con cui la gente l'ha voluta e vissuta”. Mi sembra uno straordinario commento in tempo reale ad una situazione di ‘stato nascente’ (Weber) o di ‘effervescenza’ creativa (Durkheim), che ha molto a che vedere con il pensiero interstiziale. Con viva cordialità. Giovanni Gasparini SSO OM MM MA AR RIIO O 1. Incontri - (P. Aroldi), I misteri dell’incarnazione 2 Libri & Scritti - (F. Rigotti), Un amore interstiziale - (E. Ferrari), Quando il silenzio è scritto - (M. Caselli), Peruviani e peruviane a Milano: radicamenti locali ed esperienze transnazionali - (F. Rigotti), L’interstizio alimentare o Il “frattempo in cucina” 3. Arte & Comunicazione - (F. Tedeschi), Duchamp, l’“infra-sottile” - (G. Gasparini), Film Tutta la vita davanti 4. Vita quotidiana - (G. Salvioni), Maschio e femmina = pienezza - (G. Corna Pellegrini), I confini geografici come interstizi - (G. Gasparini), Crisi e creatività Rubrica “Le città interstiziali” 1. (F. Mazzucotelli), İstanbul: ponti, torri, cupole, bracci di mare 2. (C. Pasqualini), Casablanca: una città, un film, un libro Pubblicazioni recenti 1. Incontri I misteri dell’incarnazione Mercoledì 10 dicembre 2008 i chiostri dell’Università Cattolica hanno ospitato un “itinerario corale di preghiera e riflessione sul Natale” – così recitava la locandina – tratto dalla sacra rappresentazione “I misteri dell’incarnazione” che Gianni Gasparini ha recentemente pubblicato presso Effatà Editrice. Queste righe non vogliono essere una recensione né al testo scritto né alla sua rappresentazione: entrambi meriterebbero una penna migliore e più attrezzata. Si accontenteranno, piuttosto, di testimoniare un’esperienza che, a tutti gli effetti e con particolare legittimità in queste pagine, credo si possa definire “interstiziale”, nel tempo (durante la pausa del pranzo, dalle 13.15 alle 14.15, in un giorno infrasettimanale del periodo d’Avvento, tempo per eccellenza dell’attesa) e nello spazio (chiostri, cortili, ambulacri, scale, passaggi più o meno frequentati dell’Università). Sotto una neve mista a pioggia, attori (l’intensa Lucilla Giagnoni) e coro, seguiti da una piccola folla di partecipanti/processionanti, ha dato vita ai quadri che scandiscono i Misteri del Natale, dall’Annunciazione alla Fuga in Egitto. Due sono i tratti che piace sottolineare in questa esperienza, entrambi reperibili in un’ideale “Dizionario degli interstizi” ancora da compilare; il primo è l’inciampo: difficile, per chi fosse in Cattolica quel giorno, non incappare nella piccola processione, non essere spiazzato da quella pacifica ma straniante occupazione degli spazi di tutti i giorni, non vedere la propria strada tagliata dai veli e dagli stendardi che tracciavano l’andare del corteo. Un sottile ma non innocuo terremoto del quotidiano che imponeva deviazioni improvvise, soste impreviste, incontri inattesi. E, dunque, almeno una domanda: “cosa sta accadendo?”. Forse altre domande hanno fatto seguito alla prima. Anzi, sicuramente, dato che – ed è questo il secondo tratto caratterizzante dell’esperienza dei Misteri – si è trattato di un andare contagioso: testo poetico e rappresentazione drammatica, da questo punto di vista, fanno tutt’uno nel sollecitare un incedere costante, di quadro in quadro e all’interno di ogni quadro, prima quasi solitario e poi, via via, sempre più corale, comunitario, universale. È l’invito gridato nei chiostri (“I Magi vanno!”) che forza a intraprendere lo stesso cammino insieme, invito raccolto strada facendo da un numero sempre più ampio di persone. Inciampare e andare insieme costituiscono così i due tempi del medesimo, sorprendente, movimento. Piermarco Aroldi, Università Cattolica - Milano 2. Libri & Scritti Un amore interstiziale (Marella Caracciolo Chia, Una parentesi luminosa. L'amore segreto tra Umberto Boccioni e Vittoria Colonna, Milano, Adelphi, 2008, pp. 177). Come definire altrimenti che nei termini di «amore interstiziale» la passione scoppiata nel breve tempo di poche settimane, nell'estate del 1916, tra due personaggi d'eccezione come Vittoria Colonna e Umberto Boccioni? La splendida principessa e l'affascinante pittore si incontrarono infatti nel luglio di quell'anno tragico, il secondo di guerra per l'Italia, in luoghi stupendi del Lago Maggiore; si amarono, in presenza e in assenza scrivendosi lunghe lettere, nel tempo di quella che l'autrice di questo tenero libro definisce, nel titolo, «una parentesi luminosa». In una delle lettere del loro ricco epistolario qui in gran parte riportato, Vittoria definisce i quindici giorni trascorsi insieme a Umberto un «intervallo luminoso», una «parentesi della nostra vita». L'amore tra di essi sbocciato sull'Isolino davanti a Pallanza e ai piedi della collinetta di Villa Taranto, impetuoso come la fioritura delle rigogliose ortensie piantate dalla principessa nel giardino della villa sul lago, era stato inaspettato, vivissimo, brevissimo, di imprevedibile gaiezza. Lei, Vittoria, era la moglie bella, ricca e annoiata quanto talentuosa, del nobiluomo Leone Caetani; lui, Umberto, era il giovane artista bello, prestante e anch'egli dotato di spiccato talento: l’interstizio in cui si svolse il loro incontro, sagacemente individuato e amabilmente narrato da Marella Caracciolo, ne moltiplicò ed esaltò le doti naturali individuali. Umberto Boccioni morì poco tempo dopo per una caduta da cavallo. «Aveva ragione la vecchia madre del pittore» a commentare l'accaduto con la lapidaria affermazione: «Dio non esiste», scrisse Vittoria Colonna al marito come tutto commento. Francesca Rigotti, Università della Svizzera Italiana - Lugano Quando il silenzio è scritto Parlare di silenzio è a tutti gli effetti un paradosso. Ci ha provato, con il gusto dell’avventura, la rivista Hope, quadrimestrale nato intorno all’Hospice Madonna dell’Uliveto di Reggio Emilia, nel secondo numero del 2 2008, uscito nel mese di settembre per le Edizioni San Lorenzo. Si tratta di un numero monografico dedicato a questa parola impossibile, un viaggio che indaga le ragioni e le regioni di questo “venir meno delle parole”. Scrivere sul silenzio è un gesto appena più silenzioso che non parlarne, afferma Giovanni Gasparini nell’ampio e denso saggio introduttivo. Il percorso che così si apre è infatti pensato come un intreccio tra diversi campi del sapere: dalla filosofia, alle religioni, dalla letteratura alle arti, per arrivare fino alla psicologia e all’economia. Ai giorni nostri occorre innanzitutto mettere l’accento sulla sostanziale differenza, in parte perduta nell’utilizzo della lingua, che ancora permane tra tacere come una sorta di privazione, e fare silenzio, come un’azione che apre alla dimensione dell’ascolto, della meditazione e del recupero significativo di quegli spazi che restano sepolti nel flusso incessante dei rumori nella comunicazione. La marginalità del silenzio mette in evidenza quanto sia difficile orientarsi nell’oceano di suoni che ci investe, dove le sirene del mito si sono trasformate in macchine, come scrive Valerio Magrelli, perdendo così la loro umanità e con questa il potere mitico del canto, del racconto. Occorre quindi “prendere il silenzio in parola”, per citare Stefano Bartezzaghi, e da qui cercare di tessere una rete di corrispondenze che possano rivelare paesaggi della conoscenza solo in apparenza distanti. Si va quindi dalle riflessioni sul monachesimo di Luciano Manicardi, a quelle teologiche sull’esperienza dello spirito di Vito Mancuso, fino al dialogo tra Dio e Israele nella Bibbia, in una sorta di mappa a cura di Luciano Meir Caro, rabbino della comunità di Ferrara. E ancora un’intervista a Ettore Scola, un tentativo di cogliere un suono che oltrepassi il “muro del silenzio”, come emerge anche nel breve saggio di musicologia di Lorenzo Parmiggiani. La parte di letteratura ospita un racconto inedito di Giorgio Messori che ci fa assaporare la lentezza e il vuoto attivo della tradizione orientale, mentre le poesie di Mariangela Gualtieri restano sulla pagina come tracce di un invisibile che si muove tra barlumi di parola. A tenere il filo ci pensano infine le immagini del fotografo inglese Martin Parr: nella loro scarna nudità ci mettono di fronte senza preamboli allo scorrere silenzioso del quotidiano nel nostro mondo: coppie che siedono vicine senza guardarsi, aristocratici che si annoiano ai party, una folla che aspetta sulla spiaggia il passare tremendo di una giornata piovosa. Emanuele Ferrari, direttore rivista Hope Peruviani e peruviane a Milano: radicamenti locali ed esperienze transnazionali Il volume Vite transnazionali? Peruviani e peruviane a Milano (M. Caselli, FrancoAngeli, Milano 2009, pp. 174) è il frutto di un progetto di ricerca, promosso dalla fondazione Ismu, realizzato mediante l’impiego di tecniche di indagine sia quantitative (questionario) sia qualitative (interviste semistrutturate). Obiettivo, insieme a quello di fornire una fotografia della comunità peruviana presente nel capoluogo lombardo, è stato l’andare a cogliere e descrivere l’eventuale presenza al suo interno di esperienze di tipo transnazionale, di verificare se e in che misura i migranti peruviani possano essere considerati dei transmigranti. Il concetto attorno a cui ruota lo studio è allora quello di transnazionalismo, da intendersi come un coinvolgimento simultaneo del migrante nella vita sia della comunità di origine sia di quella di accoglienza: se vogliamo, un doppio processo di integrazione, che porta a continuare a interagire sistematicamente – e non occasionalmente come poteva accadere in passato – con il proprio paese di origine senza per questo vivere da estranei la propria presenza in quello di destinazione. Un vivere dunque a cavallo fra due realtà fisiche e culturali differenti, di cui sono indicatori fra gli altri gli intensi flussi di comunicazione, il fenomeno delle rimesse, alcune esperienze imprenditoriali e, soprattutto, l’esistenza di famiglie transnazionali: nuclei famigliari che, malgrado la lacerante esperienza della separazione fisica, riescono, grazie soprattutto allo sviluppo delle nuove tecnologie della comunicazione, non solo a restare in contatto ma anche, seppure parzialmente, a funzionare e ad agire come vere e proprie unità sociali. Per esempio, al loro interno resta possibile una compartecipazione su alcune scelte importanti di interesse comune così come il confronto e il consiglio reciproco, pressoché costante, rispetto ai piccoli e grandi problemi della vita quotidiana. Nel concreto della realtà studiata, la ricerca ha mostrato come tuttavia, pur essendo presenti in misura significativa alcune esperienze di natura genuinamente transnazionale, soltanto pochi dei peruviani presenti a Milano possano essere considerati dei transmigranti. Nella maggior parte dei casi, infatti, pur non avvertendo come estranea la realtà del proprio paese di origine, essi tendono a collocare la propria esperienza di vita e a focalizzare la propria attenzione – a vivere con pienezza – nel contesto in cui oggi si trovano fisicamente a risiedere, vale a dire quello milanese. Questo malgrado il fatto che, nei loro progetti futuri vi sia sovente – ma non sempre – l’idea o il sogno di fare ritorno nel paese natio. Marco Caselli, Università Cattolica - Milano 3 L'interstizio alimentare o Il "frattempo in cucina" Scrive Enzo Bianchi a p. 30 di Il pane di ieri (Torino, Einaudi, 2008), parlando interstizialmente di cibo, di "mangiare a tavola", di cucina: "Sì, la cucina è il luogo che pone un salutare 'frattempo' tra i prodotti e il loro consumo". E' proprio così. Un "frattempo", un interstizio temporale cioè, intercorre sempre tra i prodotti della terra e il loro consumo, un frattempo che Bianchi definisce 'salutare', e in effetti lo è, quando a compierlo siamo noi stessi. Il 'frattempo' che intercorre tra l'acquistare e inserire nel forno a microonde il vassoietto di cibo prefabbricato e poi metterselo sulle ginocchia per cenare davanti alla televisione tanto salutare non è, come non lo è quello tra l'apertura con apriscatole della lattina e successivo ingollamento del contenuto. Il 'frattempo salutare' cui accenna Bianchi in questo testo nostalgico e moralista ma non privo di suggestioni, sta tra la raccolta dei prodotti dell'orto (o della pesca, o dell'allevamento) e la loro trasformazione, spesso oltremodo lunga e laboriosa, fino all'arrivo in tavola. Chi ha anche soltanto un piccolo orto sa quanta fatica costi quel 'frattempo' riempito dall'andare a raccogliere la verdura al mattino presto, portarla in casa, mondarla, lavarla, tagliarla, cucinarla o prepararla per essere servita cruda. Terra, bucce, scorze e altri rifiuti organici da inserire in apposito contenitore, magari qualche bruco rimasto tra le foglie: è questo il materiale che decora il frattempo e che presiede alla cerimonia culinario-filosofica che ho descritto nel mio La filosofia in cucina (Bologna, il Mulino, 1999 e 2004) del comporre e dello scomporre, del separare e dell'unire, concetti in filosofia, alimenti in cucina, strutturando il molteplice dalla prospettiva dell'unità e scomponendo l'unità dal punto di vista del molteplice... Francesca Rigotti 3. Arte & Comunicazione Duchamp, l’ “infra-sottile” Un’estetica del “sottile” o dell’“ultrasottile” è stata ampiamente valorizzata nell’arte visiva più recente, manifestandosi come esperienza delle minime percezioni o come attenzione a fenomeni infimi, ancorché essenziali, rispetto alle ambizioni a trattare e risolvere i “grandi discorsi”. Come per molti altri principî su cui si esercita, nelle più varie modalità espressive, l’arte contemporanea, se ne può trovare radice nell’opera e nella poetica di Marcel Duchamp, che sul retro della copertina della rivista surrealista “View” a lui richiesta, nel 1945, e in alcuni interventi successivi, fino alle note pubblicate postume nel 1980, introduce il termine “inframince” (infra-sottile, appunto) a indicare quelle infime sensazioni o intuizioni, che nascono dalle più banali esperienze della quotidianità, o il punto di intersezione fra due fluidi o due liquidi, o un impercettibile scarto spaziotemporale. Il riferimento di Duchamp resta, come molte sue asserzioni, sospeso alla sua enunciazione, prestandosi a diverse letture, e vale a spiegare il suo lavoro quanto l’enigma della Sfinge. Di certo può servire per valutare i suoi ready-made come minimo spostamento, da oggetto d’uso a oggetto d’arte, come si riconosce nel celebre orinatoio divenuto, dopo una rotazione di 45°, Fountain. O può essere usato per indicare il carattere meramente intellettuale di alcune sue proposte visive, o la sottile e imprendibile funzione rappresentativa e simbolica degli elementi meccanici protagonisti della sua opera maggiore, La Mariée mise à nue par ses cèlibataires, même o “Grande Vetro”. Il termine da lui introdotto, però, si spinge oltre gli specifici lavori di Duchamp, per riguardare un modo di concepire la comprensione del reale al di là della dimensione artistica. Tante ne possono essere le conseguenze, anche se non è certo solo il modello di Duchamp a informare i percorsi di operazioni artistiche che si concentrano sulla immaterialità, sull’evocazione di immagini e sensazioni nascoste, 4 sull’indagine nella memoria o nelle condizioni personali, o, attraverso azioni di stampo sociologico, sulla conoscenza dell’ambiente fisico e sociale di un determinato luogo. Inutile sarebbe qui farne la rassegna, che è fonte di molteplici spunti. Basti ricordare quanto spesso nell’arte e nella critica d’arte degli ultimi anni si sia fatto ricorso all’esempio di un altro autore, Georges Perec, che in un suo articolo del 1973, invitava a passare dall’“esotico” all’“endotico”, andando a scoprire cosa ci dicono gli aspetti più banali della nostra quotidianità: “Ciò che dobbiamo interrogare, sono i mattoni, il cemento, il vetro, le nostre maniere a tavola, i nostri strumenti, i nostri orari, i nostri ritmi. Interrogare ciò che sembra aver smesso per sempre di stupirci…” (G. Perec, Approcci di cosa?, in L’infra-ordinario, Bollati Boringhieri, Torino, 1994, p. 13). Da tali suggerimenti può scaturire uno sguardo originale su tante manifestazioni che si pongono ai limiti del “visibile” nell’“arte visiva” oggi. Francesco Tedeschi, Università Cattolica - Milano Film Tutta la vita davanti (Virzì, Italia 2008) Il call center in cui finisce per lavorare part-time Marta, brillante e pensosa laureata in filosofia che si interessa alla Arendt e a Heidegger, è “un universo parallelo”, come lei stesso lo definisce parlandone con Conforti, il sindacalista che con le sue logiche e la sua ingenuità un po’ sprovveduta cerca di sensibilizzare le ragazze, le giovani telefoniste precarie della Multiple: sotto il controllo psicologico inflessibile di una matura capo-telefonista, esse devono procurare ogni giorno un certo numero di appuntamenti ai venditori. Questi, tutti rigorosamente maschi, rappresentano l’altra parte dell’azienda: a loro spettano le visite a domicilio delle casalinghe romane a cui cercheranno di propinare un elettrodomestico universale di dubbia utilità. Che il mondo della Multiple sia un universo parallelo alla realtà normale lo dimostrano i riti che regolano la microsocietà delle telefoniste e dei venditori: canti e danze motivazionali all’inizio della giornata per migliorare il morale e aumentare la produttività, umilianti penitenze pubbliche, smodato e apparente cameratismo che maschera la minaccia del licenziamento immediato non appena un collaboratore si mostri poco produttivo o carente rispetto ai parametri assegnati: sono questi ultimi a imporre a telefoniste e venditori un mix di velocità e di applicazione snervante, che sfocia talvolta nel collasso e nel conseguente allontanamento dei più fragili. Tutto il film, etichettato come commedia all’italiana, è sospeso lievemente tra dimensione comica e drammatica, tra riso e pianto, tra realismo e surrealismo dei personaggi, i quali ad eccezione di Marta (Isabella Ragonese) sono presentati tutti in una versione macchiettistica. Film come questo (e come Giorni e nuvole, di Soldini 2007; v. Newsletter n 10) fanno capire che l’analisi e la ricerca sociologica su un tema-chiave come il precariato sono in grave, forse irrecuperabile ritardo. Giovanni Gasparini, Università Cattolica - Milano 4. Vita quotidiana Maschio e femmina = pienezza Tutto quello che riguarda il doppio a proposito della sfera sessuale, fino a non molto tempo fa, è stato nella nostra società oggetto di sconcerto, di tabù, peggio, di disprezzo e di persecuzione. E non sono certo scomparsi, se si ascoltano ancora oggi le voci della strada, i pregiudizi e l’aggressività a questo proposito. Una sessualità maschile in un corpo femminile o al contrario una sessualità femminile in un corpo maschile, o quell’esperienza che porta molte persone a cambiare aspetto e sessualità, accumulando dunque in qualche modo l’ uno e l’altro genere nell’arco di una sola vita, tutto ciò genera ancora incertezze e imbarazzi. Eppure, la sessualità è una sfera privatissima, e dunque non dovrebbe essere “l’unità di misura” (e l’unica!!) degli individui, che hanno ben altre componenti nella loro personalità. Che sollievo leggere che i Dogon del Mali, studiati dal grande Marcel Griaule, ritengono che ogni essere umano nasca doppio nella pienezza dell’essere, maschio e femmina, e che, se pur nelle cerimonie iniziatiche perde fisicamente la “parte” relativa al genere meno visibile, psicologicamente mantiene, la donna la sua mascolinità, l’uomo la sua femminilità. La donna sarà forte, coraggiosa, pronta a decidere. L’uomo sarà dolce con i deboli, affettuoso,comprensivo. E ancora:molte tribù indiane nordamericane ritenevano gli omosessuali doppiamente ricchi di qualità: nella comunità potevano vestire da donna e vivere con le donne o, a loro scelta, vestire da uomo e vivere con gli uomini; erano affidati loro tutti i compiti più delicati che richiedessero abili mediazioni. Dove noi abbiamo visto (e spesso ancora vediamo) “non normalità “ e mancanza, altri popoli hanno invece sempre visto la pienezza. Se alcuni pensano che le tradizioni dei popoli di livello etnologico siano ormai “passato”, ebbene, in molti momenti di questo passato è il nostro futuro. Giovanna Salvioni, Università Cattolica - Milano 5 I confini geografici come interstizi Poche realtà sono più interstiziali dei confini geografici. Essi stanno tra due territori diversi: li dividono e, al tempo stesso li uniscono. Talora sono una fascia di territorio; altre volte sono soltanto una linea. Certe volte sono ben visibili (come un fiume o una cresta montana). Altre volte sono soltanto disegnati sulla carta geografico o topografica. Comunque stanno tra due realtà diverse, che si vogliono distinguere. Nella storia di alcuni Paesi, i loro confini si sono spostati di continuo per lungo tempo. Per esempio negli Stati Uniti da Est verso Ovest. Essi separano talvolta realtà simili, ma altre volte realtà assai diverse, connotate da culture diverse. Does Culture appears in Satellite Images? Si domanda il geografo Giuliano Bellezza ([email protected]). E dimostra con evidenza che sì. Tra il Michigan statunitense e l’Ontario canadese lo documenta la fotografia satellitare di Google. Ugualmente tra Montana (USA) e Alberta (Canada). Ciò è già una risposta alla seconda domanda: Does Cultures influence land cover organization ? La terza domanda è però più intrigante: Does reciprocal Cultures influence economy and land cover organization? Sempre la fotografia spaziale conferma che tra Messico e USA la capacità di investimento americana e i bassi salari messicani hanno profondamente influenzato la localizzazione di empresas maquilladoras in territori messicani. Gli interstizi confinari possono dunque addirittura diventare dinamici. Per avere conferma di tutto ciò, basta cliccare su Google. Giacomo Corna Pellegrini, Università degli Studi di Milano Crisi e creatività Non c’è dubbio che la grave crisi finanziaria ed economica innescata in America nel settembre-ottobre 2008 e tuttora in atto a livello planetario sia un fenomeno strutturale, hard per così dire, che ha a che vedere più con le problematiche istituzionali che con i fenomeni da noi chiamati interstiziali. Ma la crisi, che non è solo economica ma di valori e di regole sociali, appella e mette in gioco la creatività dei singoli attori e dei gruppi per far fronte a ciò che è inaspettato e insieme minaccioso, gravido di pericoli che intaccano schemi di vita acquisiti da più generazioni. Per una singolare coincidenza verbale, le parole crisi e creatività hanno in comune – in italiano come in inglese, francese e altre lingue – l’inizio, le prime due lettere. La crisi, mentre destruttura situazioni e ridisegna appartenenze sociali consolidate, è come una frusta che invita ad escogitare nuove soluzioni che non siano un impossibile ritorno al passato (una società preindustriale, uno stato senza Welfare, un mercato privo di dinamiche libere) ma che facciano leva sulla creatività e l’invenzione sociale. Occorrerà inventare qualcosa di nuovo a livello economico, civile, dei valori e delle norme, delle forme di aggregazione sociale. Probabilmente sarà necessario unire come non mai competenze disciplinari diverse, esercitare sguardi alle intersezioni di diversi saperi scientifici, ciò che è nella stessa vocazione originaria (e in parte abbandonata) dell’istituzione universitaria. E sarà bene seguire dal basso i fenomeni interstiziali, soprattutto quelli che erano al margine e ora stanno acquistando visibilità e nuova significatività: come ad es. il fenomeno del dono in tutte le sue sfaccettature, o come le esperienze dello sbagliare e del perdere, che erano state quasi rimosse dall’orizzonte di un Occidente tutto teso alla meta del successo economico e della mobilità sociale verso l’alto. Giovanni Gasparini Rubrica “Le città interstiziali” @ İstanbul: ponti, torri, cupole, bracci di mare In un celebre racconto di Orhan Pamuk, le acque del Bosforo si prosciugano; colonne ioniche, navi da guerra, tesori bizantini incrostati di mitili, millenari barili di vino, scheletri crociati riappaiono sul fondo di questo stretto braccio di mare, convenzionalmente assunto come confine (ben più fittizio che “naturale”) tra Europa e Asia. Forse però converrebbe rovesciare gli assi di simmetria e vedere İstanbul come cerniera tra il Mar Nero, le steppe dell’Asia centrale, gli imperi nomadi, e il Mar Mediterraneo, le civiltà urbane, le economie mercantili. Bisanzio, Costantinopoli, İstanbul; impero romano d’Oriente, impero bizantino, impero ottomano. Capitale per diciassette secoli, uno dei fulcri del mondo musulmano, cuore spirituale (ancora oggi) del cristianesimo ortodosso. Al tramonto, dalla Torre di Galata (costruita nel Trecento dai mercanti genovesi), il richiamo alla preghiera islamica della sera giunge a cascata da ogni direzione dalle centinaia di minareti su entrambe le rive del Corno d’Oro. Ma İstanbul comprende anche decine di chiese e sinagoghe, parecchie delle quali ancora attive. Allo scoppio della prima guerra mondiale, la popolazione era costituita quasi per metà da greci, armeni, ebrei sfuggiti alle persecuzioni cattoliche in Spagna e Portogallo. Poi i 6 nazionalismi del Novecento hanno mutato tutto. Il rione armeno di Dolapdere è divenuto un’area malfamata, come certe parti vecchie di Genova e Napoli; a Fener e a Balat, le abitazioni signorili della borghesia greca e dei commercianti ebrei sono state ripopolate da ondate di nuovi immigrati turchi e curdi, provenienti dalle campagne più remote dell’Anatolia, che hanno portato con sé le proprie tradizioni, riproducendo nel cuore della città la più stridente contrapposizione tra cultura urbana e cultura rurale. Con una definizione probabilmente superficiale di “modernità”, queste divisioni vengono talora lette come una contrapposizione tra quartieri “laici” (“ovviamente” moderni) e quartieri “religiosi” in cui la geografia urbana è definita anche dai codici di abbigliamento, come la preponderanza di minigonne o al contrario di veli islamici, così come hanno scritto Anna Secor e Nilüfer Göle. Ma in questa grande città d’Europa soffia anche, così ben evocato da Ferzan Özpetek nel suo film “Il bagno turco”, quel vento lieve della sera che giunge a rimescolare le carte, le identità, i confini. Francesco Mazzucotelli, Università Cattolica - Milano @ Casablanca: una città, un film, un libro Casablanca (in arabo: ءاضيبلا رادلا, pronunciato ad-Dāru-l-Baydā, che significa appunto "la casa bianca") è una città del Marocco occidentale, situata sulla costa dell’Oceano Atlantico. Principale porto del Marocco, Casablanca ha rappresentato storicamente – soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale – un importante nodo nevralgico, una sorta di finis terrae da cui spiccare il volo o prendere il largo verso la libertà, verso gli Stati Uniti. Una città interstiziale in cui le persone sono sostanzialmente in transito, di passaggio, in attesa di ri-partire. Una sorta di non luogo, direbbe Marc Augé, in cui non c’è radicamento, ma solo flusso continuo di persone: il desiderio della partenza, che rende l’attesa trepidante, totalizza ogni momento presente, rendendo vano ogni tentativo di ancoraggio spaziale e sociale. Una città come Casablanca non poteva allora restare indifferente al mondo cinematografico e, nello specifico, al regista Michael Curtiz, che nel 1942, con questo nome, ha prodotto un film diventato a tutti gli effetti un vero cult. Ambientato nella Casablanca del 1941, il film racconta la storia di Rick (Humphrey Bogart) un americano piuttosto scaltro e cinico, che a Casablanca dirige un locale notturno - e di Ilsa (Ingrid Bergman), una affascinante donna sposata con Victor Laszlo, eroe cecoslovacco della Resistenza. Rick e Ilsa si erano amati alcuni anni prima a Parigi e la loro storia era finita per scelta di lei, senza spiegazioni. Quando nel 1941 si rincontrano a Casablanca, Ilsa prega Rick di aiutare lei e suo marito a raggiungere gli Stati Uniti. E per l’amore che ancora Rick sente di provare per Ilsa, deciderà alla fine di aiutarli. Questo film non parla solo di una città interstiziale, di un periodo storico interstiziale come la Seconda Guerra Mondiale (se ci pensiamo ogni guerra è per definizione interstiziale, è una sorta di sospensione temporale), ma anche delle vite interstiziali di migliaia di persone che, proprio in quegli anni, hanno fatto della loro esistenza un continuo errare, scappare da, nascondersi, sottrarsi. Tra coloro che hanno vissuto e visto le atrocità perpetrate durante la Seconda Guerra Mondiale, ma che soprattutto hanno ancora la fortuna di poterlo testimoniare, c’è Marc Augé, che nel suo ultimo libro Casablanca (Bollati Boringhieri, 2008), prendendo spunto dall’omonimo film, per la prima volta si racconta, racconta la sua infanzia, fatta di continui spostamenti familiari, di partenze, arrivi, attese e ripartenze. Nel suo libro, Augé intreccia i ricordi e le emozioni di un vecchio film con i ricordi, ormai lontani e a tratti sfumati, della sua vita di bambino. Ricordare è l’unico modo per non dimenticare. Cristina Pasqualini, Università Cattolica - Milano 7 Pubblicazioni recenti M. Augé, Casablanca, Bollati Boringhieri, Torino 2008. A. De Simone (a cura di), Paradigmi e fatti normativi. Tra etica, diritto e politica, Morlacchi, Perugia 2008. A. De Simone, Intersoggettività e norma. La società postdeontica e i suoi critici, Liguori, Napoli 2009. E. Paganini, La vaghezza, Carocci, Roma 2008. M. Minghetti & The Living Mutants Society, Le aziende in-visibili, Libri Scheiwiller, Milano 2008. S. Zanardo, Il legame del dono, Vita e Pensiero, Milano 2008. I nostri recapiti: Giovanni Gasparini (Il coordinatore) Dipartimento di Sociologia Università Cattolica del Sacro Cuore Largo A. Gemelli, 1 20123 Milano [email protected] Tel. 02.7234.2547 Cristina Pasqualini e Fabio Introini (La segreteria) Dipartimento di Sociologia Università Cattolica del Sacro Cuore Largo A. Gemelli, 1 20123 Milano [email protected] [email protected] Tel. 02.7234.3976/3764 Il Gruppo “Interstizi & Intersezioni”: Piermarco Aroldi, Paolo Corvo, Giovanni Gasparini, Fabio Introini, Cristina Pasqualini, Nicoletta Pavesi, Giovanna Salvioni, Paolo Volonté I corrispondenti: Maurizio Ambrosini, Università degli Studi di Milano (Relazioni interculturali); Marc Augé, École des Hautes Études en Sciences Sociales – Parigi (Antropologia); Maurice Aymard, Maison des Sciences de l’Homme – Parigi (Storia europea); Giampaolo Azzoni, Università di Pavia (Filosofia del Diritto); Laura Balbo, Università di Ferrara (Women studies); Enzo Balboni, Università Cattolica – Milano (Diritto e Istituzioni); Claudio Bernardi, Università Cattolica – Milano (Teatro); Gianantonio Borgonovo, Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – Milano (Bibbia); Laura Bosio, scrittrice (Fiction); Enrico Camanni, Torino (Montagna); François Cheng, Académie Française – Parigi; Giacomo Corna Pellegrini, Università degli Studi di Milano (Geografia); Cecilia De Carli, Università Cattolica – Milano (Arte); Roberto Diodato, Università Cattolica – Milano (Estetica); Duccio Demetrio, Università degli Studi – Bicocca, Milano (Educazione e formazione); Ugo Fabietti, Università di Milano-Bicocca (Antropologia); Maurizio Ferraris, Università di Torino (Ontologia); Enrica Galazzi, Università Cattolica – Milano (Linguistica); Hans Hoeger, Università Libera di Bolzano (Design); Philippe Jaccottet, Grignan (Poesia); Cesare Kaneklin, Università Cattolica – Milano (Psicologia); David Le Breton, Université de Strasbourg (Socio-Antropologia); Frédéric Lesemann, Université du Québec – Montréal (Culture delle Americhe); Francesca Marzotto Caotorta, Milano (Paesaggio); Elisabetta Matelli, Università Cattolica – Milano (Letterature antiche); Francesca Melzi d’Eril, Università di Bergamo (Letterature straniere); Giuseppe A. Micheli, Università di Milano-Bicocca (Demografia); Margherita Pieracci Harwell, University of Illinois – Chicago (Italian Studies); Edgar Morin, Cnrs – Parigi (Pensiero complesso); Salvatore Natoli, Università di Milano-Bicocca (Etica); Luigi L. Pasinetti, Accademia dei Lincei – Roma; Alberto Ricciuti, Milano (Medicina); Francesca Rigotti, Università della Svizzera Italiana – Lugano (Filosofia); Detlev Schild, University of Göttingen (Biologia); Cesare Segre, Accademia dei Lincei – Roma; Dan Vittorio Segre, Università della Svizzera Italiana, Lugano (Politologia); Pierangelo Sequeri, Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale – Milano (Religione); Antonio Strati, Università di Trento (Teoria dell’organizzazione); Pierpaolo Varri, Università Cattolica – Milano (Economia); Claudio Visentin, Università della Svizzera Italiana, Lugano (Viaggio); Serena Vitale (Letteratura russa). Le Newsletters precedenti sono consultabili sul sito dell’Associazione Italiana di Sociologia (www.aissociologia.it) e sul sito del Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano (http://www3.unicatt.it/pls/unicatt/consultazione.mostra_pagina?id_pagina=15524) Numero chiuso il: 2 febbraio 2009 8