MONTE SANT’ANGELO
Cenni Storici
Monte Sant'Angelo, il centro più elevato del Gargano (843 m.), è situato in mirabile posizione
panoramica su uno sperone meridionale del promontorio con la vista aperta a ovest sul Tavoliere e
a sud sul golfo di Manfredonia. Lo sperone su cui si distende è di natura calcarea e presenta perciò
caverne e grotte tra le quali più nota è quella in cui si trova l'altare di S. Michele Arcangelo.
L'intera suggestione della sua storia si fonde appunto con la consacrazione e le vicende di una
chiesa dedicata nel 493 - secondo la tradizione - all'arcangelo Michele.
Il primo nucleo della chiesa sarebbe stato realizzato da Lorenzo Maiorano, vescovo di Siponto, a
ricordo della resistenza opposta vittoriosamente dalla sua città ad un'incursione barbarica, grazie
alla apparizione dell'arcangelo Michele in una grotta del Monte.
Secondo una più recente tradizione la chiesa sorse nella seconda metà del sec. VI su una più
antica badia basiliana, nel quadro di una riorganizzazione politico-religiosa del ducato longobardo
di Benevento, che fece della chiesa di S. Michele il santuario nazionale dei Longobardi del
Mezzogiorno italiano. Da quest'epoca perciò esso diventa meta di una intensa tradizione di
pellegrinaggi che si è continuata fino ai nostri giorni.
Saccheggiato e distrutto dai Saraceni nell'869, ricostruito nell'871 da Ludovico II, nella seconda
metà del secolo X divenne avamposto della chiesa latina contro i domini bizantini, tappa obbligata
di crociati e più avanti frequente oggetto di omaggio da parte di illustri religiosi e sovrani.
Dominazioni successive hanno lasciato in Monte Sant'Angelo le tracce più significative che il
Gargano conservi: ciò ne fa il polo di maggior interesse storico, artistico e culturale fra i 14 centri
abitati del Gargano.
La consacrazione del santuario dell'Arcangelo fece nascere ben presto l'esigenza di ricoveri per
alloggiare i numerosi pellegrini: sorsero così a poco a poco le cosiddette «mansioni» che, divenute
in seguito vere e proprie abitazioni, formarono poi un agglomerato.
La prima notizia che descrive il centro abitato risale alla fine del X secolo. Probabilmente il borgo
era allora costruito dal solo quartiere Junno, nella zona tabulare che dalla cresta ove è l'ingresso al
Santuario declina leggermente verso mezzogiorno: un quartiere caratteristico oggi per le case
allineate a schiera lungo i vicoli, basse e a porta centinata, sormontate da un'unica finestra,
talvolta con balcone.
I resti del borgo originario più degni di nota sono le fortificazioni che risalgono ad epoca
normanna, nel primo nucleo del Castello.
Con gli Svevi si è avuto il primo allargamento della cinta muraria e il primo ingrandimento del
Castello. Quasi certamente risale a quest'epoca la strutturazione dei quartieri Junno e S. Francesco
con un assetto viario e una definizione dei nodi principali rimasti quasi inalterati fino ad oggi.
La cinta muraria del secolo XIII, ancora oggi in parte osservabili, si conservò in discrete condizioni
fino al secolo XVIII, quando era ancora ampia rispetto allo spazio effettivamente edificato.
Cosa visitare
C ASTELLO
Poco lontano dalla Basilica, si erge la mole gigantesca ed irregolare del Castello, dai cui spalti la
vista spazia dal Gargano sino al Golfo di Manfredonia, al Tavoliere, alle Murge.
Le più antiche testimonianze storiche sulla edificazione della fortezza, risalgono ai tempi di Orso I,
vescovo di Benevento e Siponto, il quale avrebbe fatto edificare ex novo, negli anni 837-838 d.C.,
il Castellum de Monte Gargano, il cui nucleo primitivo subì nel corso dei secoli continui ampliamenti
e rifacimenti.
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Con l’avvento dei Normanni, il Castello divenne la dimora dei principi della Signoria dell’Honor
Montis Sancti Angeli: fu, dapprima, di Rainulfo, conte di Aversa e poi di Roberto il Guiscardo, il
quale, nella seconda metà dell’XI secolo, dopo aver cinto di mura la città, fece riedificare la sua
parte più antica, la cosiddetta Torre dei Giganti, poderosa costruzione di forma pentagonale a alta
18 metri e con mura spesse 3 metri.
Con la denominazione sveva, il Castello assunse a grande importanza nel sistema di difesa del
Gargano, diventando, con Rocca Sant’Agata e Castel Pagano, uno dei tre castra exempta (ovvero
privilegiati). Infatti, affinché fosse degno di ospitare la prediletta dell’imperatore Federico II di
Svevia, la Contessa Bianca Lancia di Torino, il castello subì sostanziali restauri e ampliamenti.
Tali opere architettoniche furono certamente realizzate seguendo i dettami dello stile federiciano,
imponenti ma estremamente sobrie e raffinate, come testimonia ancora l’elegante sala
duecentesca (con grande pilastro centrale e volte ogivali) comunemente detta Sala del Tesoro.
Gli Angioini ebbero grande cura per il maniero ma, purtroppo, di esso si servirono prevalentemente
come prigione di Stato (famose sono rimaste le detenzioni di Filippa d’Antiochia, principessa sveva
che vi morì nel 1273, ed ancor di più quella della regina Giovanna che ivi, probabilmente, venne
assassinata nel 1382.
I principi durazzeschi ne fecero il loro quartier generale nella guerra contro i cugini Angioini, oltre
che la propria dimora abituale: qui, infatti, nel 1351, vide la luce Carlo III di Durazzo, che divenne
in seguito re di Napoli e d’Ungheria.
Dal 1463 al 1470, presumibilmente, il Castello e l’intero feudo di Monte Gargano vennero concessi
all’eroe albanese Giorgio Castrista Scanderberg, per i servigi resi a Ferrante I di Aragona. Toccò
tuttavia agli Aragonesi riportare il Castello all’antica magnificenza.
Nel XV secolo, tra il 1491 e il 1497, quando il pericolo incombente delle invasioni turche e
l’invenzione delle armi da fuoco, resero indispensabili interventi radicali di costruzione, affidati con
tutta probabilità a Francesco di Giorgio Martini (il più famoso ingegnere militare del XV secolo), il
Castello assunse l’aspetto che conserva tuttora.
Nel 1497 Federico, ultimo re aragonese, concesse il castello a Conservo di Cordova, detto il ‘gran
capitano’, che a sua volta lo trasmise alla sua figliola, la duchessa Elvira.
Dopo qualche vicenda di minore importanza, nel 1552 la Rocca fu venduta ai principi Grimaldi, i
quali assunsero anche il titolo di baroni di Monte Sant’Angelo e ne rimasero padroni e potenti
signori per circa due secoli e mezzo.
Nel 1802, per volere di Ferdinando IV di Borbone, il maniero pervenne nelle mani del Cardinale
Ruffo, principe di Sant’Antimo che, peraltro, lo trovò barbaramente smantellato a seguito delle
manifestazioni di odio contro il Feudalesimo, messe in atto dai liberali del tempo. Nel 1907, il
Castello è stato acquistato dal Comune di Monte Sant’Angelo che è così diventato suo legittimo
proprietario.
I più recenti studi e interventi di restauro hanno permesso, oltre al consolidamento e al rifacimento
di alcune sue parti, di far venire alla luce elementi e aspetti del Castello sinora sconosciuti, come le
tracce di sepolture rinvenute lungo il fossato della fortezza, databili intorno all’VIII-VII secolo a.C.,
che fanno ipotizzare la costruzione del Castello su di una preesistente necropoli dell’età del ferro.
C OMPLESSO M ONUMENTALE
DI SAN
P IETRO
Il complesso monumentale è costituito dai resti della chiesa di San Pietro, dall'enigmatico
battistero di San Giovanni in Tumba (Tomba di Rotari) e dalla duecentesca chiesa di Santa Maria
Maggiore. Affonda nell'Alto-medioevo le sue origini avvolte da suggestive leggende e tradizioni
agiografiche.
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Una breve rampa di scale, che dall'atrio superiore della Basilica micaelica scende nel cuore del
quartiere Junno, collega i due nuclei religiosi lambendo il portale della chiesa di San Pietro che si
apre nella superstite facciata seicentesca.
Varcando l'ingresso, si accede al grandioso complesso composto dalla connessione di tre edifici
interessati, nel tempo, da ripetuti rimaneggiamenti, trasformazioni e demolizioni, al punto che oggi
risulta poco agevole la lettura delle diverse fasi costruttive.
Resta evidente, tuttavia, la continuità di culto del sito, a partire dall'Alto-medioevo, fenomeno che
qualifica l'area come secondo polo religioso di Monte Sant'Angelo.
C HIESA
SI
S AN P IETRO
L'identificazione del primitivo nucleo altomedievale di S. Pietro è tuttora controversa. Dalla chiesa
medievale, ristrutturata nell'XI secolo e crollata tra fine '800 e primo '900, rimangono solo l'abside
e tracce dell'impianto basilicale a tre navate.
Dal complesso di S. Pietro provengono pochi frammenti di scultura oggi nel Museo Lapidario della
basilica.
Le due figure, una Madonna con Bambino e una Orante sono state rinvenute in S. Pietro, ma i
caratteri formali le fanno accostare piuttosto alle sculture - portale e capitelli - di S. Giovanni in
Tumba. Come quelle richiamano la cultura figurativa del XII secolo tra Borgogna e Francia
meridionale, diffusa lungo le vie di pellegrinaggio ma conosciuta forse anche attraverso la
importazione di avori e sculture lignee, con la mediazione dei monasteri abruzzesi.
S AN G IOVANNI
IN
T UMBA
La costruzione è nota come Tomba di Rotari, a causa della scorretta interpretazione di una
epigrafe letta all'interno, nella quale compaiono i nomi dei fondatori: un Rodelgrimo da Monte
Sant'Angelo e un Pagano, oriundo di Parma ma cittadino di Monte, citati anche in un documento
del 1109 come cognati.
Nato forse come battistero della vicina chiesa di S. Pietro, l'edificio, a pianta quadrata con abside
ad oriente, delimitato da arcate multiple a sesto acuto orientaleggiante, si è andato
progressivamente modificando, con la sovrapposizione di fasce concentriche in muratura a base
irregolare, ottagonale e poi cilindrica, aperte da finestre e concluse da una cupola elissoidale.
Chiuso all'esterno in una struttura a parallelepipedo nella quale è inglobata una galleria, avrebbe
assunto l'aspetto e forse le funzioni di una torre campanaria di impronta occidentale, se non fosse
rimasto incompiuto.
E' interessante che "un battistero ottagonale in forma di campanile" sia elencato tra i monumenti
in costruzione alla fine del XIV secolo nella città di Ragusa (Dubrovnich), legata per molti versi al
Gargano e alla Capitanata.
La porta di comunicazione con la chiesa di S. Pietro è sormontata da due blocchi scolpiti in
materiali diversi, che fungono da architrave e lunetta. La sistemazione attuale delle lastre sembra
diversa da quella originaria.
Sull'architrave, in marmo, è scolpita La cattura di Cristo nell'orto del Getzemani narrata con ritmo
concitato. Al centro la figura frontale, ieratica del Cristo col nimbo crociato e la stola sul braccio; ai
lati, due uomini armati di bastoni lo afferrano per un braccio e per una spalla; da sinistra
accorrono due apostoli mentre sulla destra due uomini portano la croce e i chiodi per la
crocifissione. E' possibile che la scena, in origine più lunga e contenente altre figure, sia stata
decurtata per adattarla alla piccola porta.
Sulla lastra in pietra, malamente tagliata e adattata, che funge da lunetta, sono raffigurati
simultaneamente tre momenti relativi alla Morte e Resurrezione di Cristo: lo Schiodamento della
croce, le Marie al sepolcro, il Cristo risorto.
Nella prima, oltre al Cristo crocifisso tra due angeli, sono riconoscibili Maria e Giovanni a sinistra,
Giuseppe di Arimatea e Nicodemo. Sulla destra, in basso, le tre mirrofore con i vasi degli unguenti
e l'angelo a guardia della tomba; chiude la composizione la figura trionfante del Cristo risorto.
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Le forti affinità con la scultura aquitanica possono indicare la presenza a Monte di uno scultore
tolosano o dipendente dalle esperienze fatte da scultori meridionali nei cantieri della Francia
meridionale.
E' anche probabile che nelle scene si rifletta il ricordo delle sacre rappresentazioni del dramma
della Passione, che venivano recitate all'esterno e all'interno delle chiese in occasione della Pasqua.
La scelta della particolare iconografia, più adatta ad un complesso funerario che ad un battistero,
può lasciare aperto qualche interrogativo sulla destinazione originaria della Tomba.
Una serie di capitelli figurati all'interno della Tumba illustrano scene di soggetto biblico ed
evangelico caratterizzate dall'intervento angelico: Balaam e l'asina, Abramo che si appresta a
sacrificare Isacco, l'Annuncio ai pastori, forse Loth sulla porta di Sodoma e una Figura femminile di
incerta identificazione.
Alle scene di soggetto biblico si affiancano rappresentazioni dei Vizi: all'Avarizia simbolicamente
raffigurata su un capitello, si aggiungono l'Accidia e la Lussuria sospese sulla cornice di imposta del
tamburo della cupola, affiancate da La donna dell'Apocalisse, che sottintende la presenza di una
immagine di S. Michele, forse perduta.
S ANTA M ARIA M AGGIORE
Ritenuta da alcuni la cattedrale di Monte Sant'Angelo, la chiesa viene tradizionalmente riferita alla
committenza di Leone, che vi avrebbe proiettato il ricordo della cattedrale sipontina. durante la
reggenza di Costanza di Altavilla (1198) la chiesa fu ristrutturata secondo il modello romanicosvevo di Capitanata. Nella lunetta del portale, occupata dalla Madonna col Bambino, si riconoscono
il committente, il sacerdote Benedetto II, e una figura femminile identificata da alcuni con
l'imperatrice Costanza.
L'immagine di San Francesco affrescata in S. Maria Maggiore è tra le più antiche non solo della
regione. Si ricollega alla leggendaria visita del Santo alla grotta, compiuta, secondo la tradizione
locale, nel 1216.
All'esterno e all'interno del prospetto sono stati di recente rilevati interessanti graffiti. Alcuni,
raffiguranti navi con vele e rematori, alludono chiaramente al pellegrinaggio e alla Crociata; altri,
fra i quali emerge la figura di un vescovo mitrato sullo sfondo di un dossale di trono, sarebbero
sempre riferibili alle aspirazioni autonomistiche dell'episcopio garganico, definitivamente stroncate
nel 1203 da una bolla di papa Innocenzo III, eletto proprio nel 1198.
A BBAZIA
DI
P ULSANO
Su un vasto altopiano, a circa 8 km da monte Sant’Angelo, si distinguono i ruderi di Santa Maria di
Pulsano, edificato nel 591 sui resti di un antico tempio pagano, dedicato a Calcante, dai monaci
dell’Ordine di Sant’Equizio.
Poche sono le vicende storiche note dell’Abbazia, sino al XII secolo, quando l’intervento di San
Giovanni da Matera e della sua Congregazione Pulsanense, la fece risorgere dal grave stato di
abbandono in cui versava. Sul finire del secolo successivo toccò, tuttavia, ai Celestini continuare a
prendersi cura del cenobio, sino a quando non venne affidato in commenda.
Nel 1500 il Cardinale commendatario Ginnasi provvide a far restaurare tutte le fabbriche
dell'Abbazia che vennero, poi, quasi totalmente distrutte, insieme con il ricco archivio, dal
terremoto del 1646.
In seguito furono i Celestini di Manfredonia a reggere Santa Maria di Pulsano, sino alla emanazione
delle leggi napoleoniche del 1806, eversive della feudalità; quindi la Chiesa ritornò al Patrimonio
Regolare.
Per molti anni l'intero complesso, di proprietà privata, versò in stato di abbandono e, sebbene
abbia subito numerose manomissioni e superfetazioni che hanno gravemente deturpato la sua
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tipologia originaria, ancora si distinguono le robuste mura e l'elegante ingresso del Convento. Esso
costituito da un portale finemente decorato con motivi vegetali, una volta oltrepassato, si
raggiunge un corridoio che conduce ad un secondo arco, ove la facciata della Chiesa è divisa da
una bella cornice trasversale sotto la quale si apre l'ampio portale a tutto sesto.
Nell'interno, a navata unica, sono degni di nota la copertura a botte, il preziosissimo architrave che
sormonta la porta di comunicazione con i locali del Monastero, la zona absidale nella roccia e
l'altare settecentesco, impreziosito (prima del furto sacrilego, avvenuto nel 1966) dalla tavola della
Vergine di Pulsano, opera di quella scuola bizantino-italiana, detta dei "Ritardati", fiorita in Puglia
nei secoli XII e XIII.
Dopo un lungo periodo di abbandono e spoliazioni, l'Abbazia di Pulsano è tornata a nuova vita. Nel
1991, grazie al movimento "Cristiani Pro Pulsano", costituito da volontari di Manfredonia e Monte
Sant'Angelo, che si prefiggevano di tenere viva la memoria storica dell'Abbazia, si è avviato il
recupero culturale e materiale del luogo, culminato, nel 1997, con l'insediamento di una comunità
monastica birituale (latina e bizantina), organicamente collegata alle diocesi di Manfredonia-Vieste
e di Piana degli Albanesi.
Attualmente, dopo numerosi interventi di recupero e consolidamento architettonico, il complesso
abbaziale è perfettamente fruibile; dotato di una foresteria che può ospitare piccoli gruppi,
organizza, tra le tante attività, corsi di iconografia.
E REMI
DI
P ULSANO
Nei dintorni della Abbazia sono sparse le celle o eremi, talvolta anche a una certa distanza e alcuni
anche su luoghi inaccessibili. Spesso gli eremiti non potevano accedere alla loro cella se non per
mezzo di scale o corde legate a carrucola.
Gli eremiti che abitavano queste celle erano senz’altro in comunicazione tra di loro, dal momento
che alcuni di questi eremitaggi erano dedicati alla vita comunitaria e al lavoro collettivo; inoltre i
vari eremi sono collegati da una rete viaria di sentieri e scalinate, nonché da una vera e propria
“rete idrica” di canali scavati nella roccia per convogliare le acque in cisterne, terrazzamenti e
singole celle.
Non sappiamo con esattezza, al livello attuale degli studi, in quale periodo gli eremi fossero abitati:
possiamo supporre che lo fossero presumibilmente già dai primi insediamenti daunici nella regione,
e affermare che furono abbandonati non prima dell’era moderna, considerati i deliziosi affreschi
che adornano alcune celle, ancora oggi visibili.
Questi eremi, proprio perché meno visibili, sono il cuore più intimo di Pulsano, e il silenzio e il
mistero che li avvolgono fanno da contrappunto alla trasbordante ricchezza di vicende storiche che
ha caratterizzato la vicina abbazia. Il monastero e gli eremi di Pulsano manifestano nel modo più
concreto, nei ricchi fregi dell'abbazia e nella nuda roccia degli eremi, la complementarietà che deve
sempre esserci fra vita attiva e vita contemplativa, secondo la più autentica tradizione monastica.
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