Uni3triestenews - Anno III - febbraio 2017 Foto dalla Mostra dei laboratori artistici 2015 In questo numero: Pagina 1 La Giornata della Memoria all’Università della Terza Età di Trieste Pagina 7 Giovanna di Neva Biondi di Lino Schepis e Franco Cecotti Pagina 2 Non ci son più le stagioni di una volta! O no? Pagina 8 di Gianfranco Badina Pagina 3 27 gennaio e 10 febbraio, tra memoria e ricordi di Bruno Pizzamei Pagina 9 di Eugenio Ambrosi Pagina 4 I carnevali a Trieste nel Settecento La storia di Fiorella Pagina 10 "Se io fossi ..." - Poesie dal Corso di tedesco Senilità di Mariella Manzutto Pagina 11 70 anni fa nasceva il Ginnasio Antonio Sema di Pirano Pagina 12 di Aleksandra Rogić Un uditore curioso di Umberto Centa Novità in biblioteca di Fiorella Varin Pagina 6 Il solito viaggio di Stefania Contini di Luigi Milazzi Pagina 5 Quando Trieste rischiò di diventare Teresiopoli 0 La Giornata della Memoria all'Università della Terza Età di Trieste L’1 novembre 2005 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha istituito il “Giorno della Memoria”, affinché in ogni Paese membro possano essere commemorate, nello stesso momento, le vittime delle deportazioni naziste, cioè perseguitati ebrei, deportati militari e politici, ed ogni altro genere di vittime per motivi razziali. Si è scelta la data del 27 gennaio a ricordo del giorno in cui i cancelli di Auschwitz sono stati aperti dalle truppe sovietiche, rivelando al mondo intero l’orrore dei campi di deportazione e di sterminio. In Italia questa ricorrenza è stata istituita qualche anno prima, con legge del luglio 2000. La nostra Università, in considerazione della sua funzione sociale e delle sue specifiche finalità, ha ritenuto eticamente giusto ed opportuno condividere questa ricorrenza con il mondo della scuola e con le istituzioni preposte, organizzando un evento che il Comune di Trieste ha ritenuto di includere nel calendario delle manifestazioni celebrative della città; l’evento, curato dai professori Franco Cecotti, Fabrizio Stefanini e Bruno Pizzamei, è stato in larga parte incentrato sulla testimonianza di un sopravvissuto triestino, Riccardo Goruppi, presidente onorario dell’Associazione Nazionale ex Deportati (ANeD). Tra i ricordi, le paure, l’angoscia, le umiliazioni descritte, subite da un ragazzo di appena 17 anni, mi hanno particolarmente colpito alcune sue affermazioni, che ritengo opportuno riportare qui di seguito, senza commenti, in quanto non necessari: - Se io ho perdonato? C’è Qualcuno in alto che è più importante di me e che ha competenza specifica in termini di perdono; io mi accontento del fatto che sono riuscito a non odiare i miei aguzzini; - Quando, appena liberato e ricoverato in un ospedale nella zona, ho visto molti militari tedeschi mutilati in vario modo e sofferenti, ho provato pena per loro ed ho capito che stavo ritornando ad essere un essere umano; - un prete del posto, da me rivisto 10 anni dopo la liberazione in Germania, che mi aveva aiutato durante la prigionia, mi ha abbracciato e mi ha detto: sono contento che tu abbia ricordato il poco di bene che ti abbiamo fatto, pur a fronte del tanto male che tu hai ricevuto; non so se potrà esservi in futuro un’altra shoah, ma è certo, per quanto stiamo vedendo oggi, che l’umanità non ha perso la capacità di compiere azioni altrettanto cattive, se non peggiori. Lino Schepis La liberazione del campo di concentramento di Auschwitz ad opera dei soldati dell’Armata Rossa il 27 gennaio 1945 costituisce un’occasione di riflessione su ciò che rappresenta la guerra in termini di oppressione ideologica, di distruzioni materiali e di eliminazione fisica di intere comunità. La violenza fino allo sterminio programmato di milioni di persone, in particolare di ebrei, ma anche di rom, testimoni di Geova e omosessuali è l’esito ultimo di una politica razzista attuata dal nazismo tedesco, con la collaborazione di altri regimi dittatoriali, tra cui il fascismo italiano, nel corso della seconda guerra mondiale. Altri milioni di vittime hanno subito la violenza nei campi di concentramento tedeschi per la loro attiva opposizione all’espansione del Terzo Reich e della sua inumana ideologia: militari, partigiani, lavoratori coatti, tutti sfruttati nella produzione bellica, nel lavoro minerario e nella coltivazione dei campi, fino allo sfinimento fisico e alla morte. La memoria di tali sofferenze viene indicata dalla legge n. 21, del 2000, quale occasione culturale di informazione storica e di educazione ai valori democratici di solidarietà e di rispetto reciproco, da attuarsi attraverso conferenze, dibattiti, spettacoli e mostre rivolte agli studenti delle scuole e ad un pubblico più vasto. Nella sede dell’Università della Terza Età “Danilo Dobrina” di Trieste) il 27 gennaio 2017 è stato ospitato un testimone della deportazione triestina, il signor Riccardo Goruppi, arrestato nel novembre 1944 a Prosecco per la sua attività di partigiano e rinchiuso nel carcere del Coroneo, prima di venire trasportato a Dachau. I treni carichi di deportati partiti da Trieste sono stati 70 (su 123 in totale partiti dall’Italia) e su uno di questi è salito anche il diciassettenne Riccardo Goruppi, assieme al padre, pure lui arrestato. Il racconto di Riccardo Goruppi si è soffermato sulla trasformazione del deportato da persona a “pezzo” (per usare la terminologia del Lager), attraverso la sottrazione di ogni carattere individuale: prima di tutto la rasatura dei capelli e la cancellazione del nome sostituito da una cifra, poi la divisa a righe uniforme nei colori (grigio e celeste), seguito dalla fame, dal freddo e dalle ristrettezze della vita in baracche sovraffollate, sotto la minaccia della violenza, delle malattie e delle epidemie. Il pubblico ha ascoltato la storia personale di Riccardo Goruppi con un rispettoso silenzio, carico di emozione quando veniva rievocato il lavoro giornaliero di dodici ore continuate, sempre in piedi, dentro un tunnel nel sottocampo di Leonberg, dove si predisponevano le ali e altre parti degli aerei tedeschi, e la difficoltà nella spartizione e distribuzione dello scarso cibo disponibile. La conclusione della guerra è stata rievocata in tutta la sua drammaticità, quando i prigionieri, ormai ridotti a corpi debolissimi, sofferenti e colpiti da un’epidemia di tifo, sono stati utilizzati come ostaggi su un ultimo treno in fuga da Dachau, nella speranza di impedire il mitragliamento dell’aviazione alleata. Non fu così: il treno colpito, abbandonato dai militari tedeschi, i deportati morti per le bombe o per la fame e pochi superstiti, soccorsi dopo qualche giorno dai primi soldati americani. Riccardo Goruppi è stato tra i pochi sopravvissuti su quel treno, raccolto da un soldato americano nero e gentile, che lo ha portato fino ad un ospedale presso il convento di St. Ottilien, dove una lenta convalescenza e le cure efficaci lo hanno risanato (per quanto possibile) e restituito a se stesso. Franco Cecotti 1 Franco Cecotti, già docente negli Istituti superiori; ricercatore e collaboratore dell’Irsml FVG di cui è stato presidente dal 2003 al 2007; attualmente ricopre la carica di vicepresidente dell’Aned (Associazione nazionale ex deportati). Non ci sono più le stagioni di una volta! O no? Da sempre, quando una conversazione tocca l’argomento “tempo meteorologico”, qualcuno ripropone la frase: non ci sono più le stagioni di una volta! E’ un concetto che possiamo trovare anche nei documenti pervenuti a noi dal passato anche remoto. Ma è proprio cosi? Ai giorni d’oggi il cambiamento delle caratteristiche stagionali è rafforzato dal fenomeno universalmente conosciuto dei “cambiamenti climatici” che ci viene riproposto continuamente ed al quale dedichiamo spazi notevoli. Anche sul nostro territorio le temperature medie sono aumentate di circa un grado e mezzo nel corso degli ultimi trent’anni. La nostra terra è sempre stata interessata da cambiamenti del clima con alternanza di periodi freddi (Glaciazioni) e di periodi caldi che hanno determinato notevoli fenomeni (aumento o sparizione dei ghiacciai, desertificazione di porzioni della superfice terrestre, ecc.) e hanno anche inciso profondamente sulla attività umana, determinando ad esempio grandi migrazioni di popoli e la crescita o la caduta di grandi civiltà. Le osservazioni strumentali indicano chiaramente un aumento delle temperature ma non c’è ancora unicità di pareri sulla causa di questo fenomeno. Una parte dei climatologi pensa che il periodo caldo attuale sia determinato dai normali cicli da sempre presenti mentre la maggioranza degli studiosi è propensa ad attribuire tale andamento a influenze androgene e quindi causati dall’attività umana. primavera Per rafforzare tale teoria fanno notare che la temperatura attualmente sta aumentando a ritmi più sostenuti di quanto è avvenuto nel passato a causa dell’effetto serra causato dalle emissioni in atmosfera di quelle sostanze gassose che determinano il fenomeno. Ad ogni modo, anche se la temperatura media dell’aria è aumentata nel corso degli anni, seppur di poco (ma non servono cambiamenti sensibili per determinare conseguenze importanti), l’andamento delle stagioni non si è modificato. Come tutti possiamo sperimentare le manifestazioni stagionali che caratterizzano le diverse regioni si ripresentano puntualmente, giorno più giorno meno, settimana più settimana meno, ogni anno. Ci sono poi delle caratteristiche dei climi locali che sono anch’esse ricorrenti e sono state ben osservate anche in passato, determinando la formulazione di detti popolari e di proverbi che hanno sempre rappresentato la saggezza del popolo. Hanno infatti radici lontane i concetti di “estate di San Martino, giorni della merla, santi de jazo” ecc. Le caratteristiche stagionali possono presentarsi differenti da anno in anno, specialmente sullo scenario europeo a causa delle sue caratteristiche orografiche, della conformazione delle coste e della presenza di mari interni. Quindi le stagioni possono presentarsi più o meno piovose o siccitose, più o meno ventose, più o meno fredde a seconda delle caratteristiche delle masse d’aria che arrivano sulle diverse regioni. I flussi sull’Europa sono governati da alcuni potenti centri d’azione e precisamente: l’anticiclone dinamico delle Azzorre, quello termico russo-siberiano, la depressione d’Islanda e, meno frequentemente, l’anticiclone africano. Gianfranco Badina autunno Gianfranco Badina già comandante di navi mercantili, è stato a lungo responsabile della Stazione metereologica dell’Istituto Nautico. Per vent’anni è entrato nelle case dei triestini come curatore di una rubrica di previsioni meteo per l’emittente televisiva Telequattro. Curatore di un sito di previsioni metereologiche in rete, da molti anni collabora come docente dell’Università della terza Età. 2 27 gennaio e 10 febbraio, tra memoria e ricordo E’ mancato Tullio De Mauro, grande linguista, che cito sempre ai miei studenti come paladino della lingua italiana, tra l’altro autore nel 1980 della Guida all’uso delle parole, un libretto rosso contenente le 2.500 parole più utilizzate nel nostro parlare, strumento pensato per evidenziare l’analfabetismo di ritorno in Italia. Una seconda citazione che debbo a lui è quella di non prestare mai un libro: ho prestato quel libretto rosso, ormai introvabile, ad uno studente per la sua tesi e ne aspetto ancora la restituzione. Non posso rifarmi quindi alla sua Guida per trovare come valutasse i termini memoria e ricordo, sinonimi sul cui uso mi sto interrogando in questi giorni. Come noto, il Parlamento, nel 2000, ha istituito con legge il "Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti” (5 anni dopo fatto proprio anche dall’ONU); nel 2004 ha poi istituito il “Giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe, dell'esodo giulianodalmata, delle vicende del confine orientale”. Un colpo al cerchio ed uno alla botte, per alcuni frutto di visioni ideologiche, portatrici di condanne politiche del regime nazifascista e della rivoluzione comunista jugoslava nelle nostre terre. Evidentemente il legislatore si è posto nel 2004 il problema di trovare un sinonimo del termine usato quattro anni prima: ma la soluzione trovata, “il Giorno della memoria in ricordo, il Giorno del ricordo in memoria”, rende giustizia? Per affrontare il quesito, solo apparentemente lessicale, mi torna utile la Treccani online: memòria: il termine indica sia la capacità di ritenere traccia di informazioni relative a eventi, immagini, sensazioni, idee, ecc. di cui si sia avuto esperienza e di rievocarle…, sia i contenuti stessi dell’esperienza in quanto sono rievocati. ricòrdo: è in genere sinonimo di memoria, ma con accezioni più limitate (solo memoria, infatti, indica la capacità di ricordare)… La presenza di un fatto o di una persona nella memoria e nel sentimento dei posteri. La memoria è dunque un contenitore in cui conserviamo, tra l’altro, i ricordi. Ho udito uno storico affermare che non è possibile una memoria condivisa: ma se è un contenitore, al suo interno i ricordi di ciascuno possono venire conservati a prescindere da quelli altrui e dalle verità storiche. Così anche i ricordi delle violenze dei vincitori sugli sconfitti alla fine del conflitto che hanno caratterizzato molte terre e molti confini possono alloggiare nel contenitore della memoria, vivere a se stanti quand’anche tra loro in conflitto. Ne deriverebbe che per il legislatore la memoria delle leggi razziali e dell’olocausto è qualcosa di comune all’intero paese; mentre le violenze perpetrate in queste terre sono un qualcosa di limitato territorialmente e appartenenti alla memoria dell’Italia solo come sub-memoria, un ricordo per l’appunto. Ammesso e non concesso, i due Giorni voluti dal legislatore, al di là dell’opportunità di ricordare vicende feroci e scomode della nostra storia, sono un’occasione per coltivare la volontà di togliere dalla nostra vita civile le cause all’origine di quelle tragedie e cioè le ideologie totalitarie del Novecento fondate sui miti della razza e della classe. Almeno una volta all’anno, anzi due, possiamo interrogarci su quanto abbiamo fatto per tenere in vita questi ricordi e contribuire alla memoria nostra e delle future generazioni: le persone dimenticano, soprattutto i giovani che non hanno vissuto quegli anni se non nei racconti di interposte persone: familiari e docenti in primis. Eugenio Ambrosi 3 I carnevali a Trieste nel Settecento Le danze, ricorda Silvio Rutteri (Trieste, spunti del suo passato), caratterizzavano i carnevali triestini del Settecento. Si ballava dappertutto: nelle case private, nelle locande e nelle bettole, dal ballo più elegante al Ridotto del Teatro. Dame e cicisbei, ma anche facchini e marinai, cuoche e contadine, avevano il loro ballo in un giorno particolare della settimana. Il più distinto era quello del lunedì che prendeva il nome di Veglione, seguito il martedì da quello più popolaresco. Dal giovedì grasso e specialmente nei tre ultimi giorni di carnevale la sala non era più sufficiente a contenere le maschere che a frotte, come una marea, occupavano le strade richiamando numerosi spettatori. A dire la verità, l’apertura del ballo a tutte le classi sociali ha una data ben precisa a Trieste: il 20 gennaio 1733, quando fu introdotto il ballo a pagamento detto subito “Ballo dei bezi”. L’iniziativa si deve a un francese stabilitosi in città, dove gestiva una scuola di danze e un gioco del biliardo: ottenne il permesso dalle autorità, a condizione che fosse aperta al pubblico, in maschera, dietro pagamento di sei denari. Dall’iniziativa, ma soprattutto dalle sale da gioco, aperte accanto a quelle di danza, furono subito attratti nobili e ricchi commercianti che fino a quel momento erano stati gli animatori delle serate triestine con i lussuosi festini organizzati nelle loro dimore. Da queste manifestazioni chiassose e spontanee si passò nel 1783, Governatore della città Pompeo de Brigido, ai corsi carnevaleschi pomeridiani C’erano naturalmente problemi di ordine pubblico, per cui le danze potevano svolgersi mascherate soltanto nelle sale del Ridotto dal sette gennaio al martedì grasso, e potevano svolgersi per due, tre serate settimanali, con una maggior frequenza solo dopo la domenica Settuagesima. Dopo tale data si potevano pure prolungare di due ore, fino alle cinque del mattino con inizio alle nove di sera. L’ultima sera di carnevale cene e danze dovevano cessare alla mezzanotte, pena una multa in contanti di cento ungheri. Per quanto riguardava le maschere, non erano tollerate quelle indecenti, in abiti ecclesiastici o tali da celare le fattezze del corpo, “come pani di zucchero, armadi, macchine, nani, giganti, ed erano pure proibite le maschere del teatro veneto”. Prima di uscire dal ballo era necessario togliersi la maschera, almeno la larva sul volto, e c’era una sala adibita a tale scopo. Mentre per l’andata al ballo e il ritorno era ammesso farlo in abiti mascherati, il volto doveva sempre essere scoperto pena l’arresto. Per i balli sia pubblici sia privati bisognava richiedere alla polizia di volta in volta la concessione, sulla quale si pagava una tassa che andava a favore dell’Istituto dei Poveri. Per il rientro a casa nel buio della notte, scarseggiando l’illuminazione nelle strade, era opportuno farsi accompagnare, come avvertiva con un manifesto l’impresa Bonaiuto Calimani nel 1793 che, dietro un compenso volontario metteva, a disposizione quattro uomini “forniti di fanale acceso”; ma forse qualche mascherina e il suo compiaciuto ammiratore preferivano, come ammicca Rutteri, “l’ombra della notte gelida, misteriosa e allettante”. Luigi Milazzi Veduta della Piazza grande in Trieste - Prospect des grossen Platzes in Triest Disegnata e inc. dal C. R. Prof. di disegno Giuseppe Pollencig 4 La storia di Fiorella La storia della propria famiglia è segnata da un intreccio di ricordi lieti e tristi, che si uniscono alla storia collettiva; già altre volte si è letto su queste pagine racconti familiari di profughe dall’Istria.(vedi: 1955. Da quella mattina nulla fu più come prima Mariella Manzutto Uni3triestenews - marzo 2016). Questa è la storia di Fiorella. Quando mi chiedono dove sono nata devo dire in Iugoslavia: ciò mi turba, perché i miei genitori rispondevano: “In Istria” e l’Istria era italiana; mio padre conservava le pagelle del fascio, mia madre era giovane italiana, tutto in Istria allora girava in simbiosi con l’Italia, perciò puntualizzavano la loro italianità, perché l’unica lingua che parlavano era l’italiano. Nel paese dove la mia famiglia da generazioni viveva, Cittanova, ora Novigrad, l’ Emonia romana, abitava in una casa del porto e le mura erano ancora quelle romane, tuttora intatte. In questo paese di pescatori, per tre terzi bagnato dal mare, tutto era tranquillo. In poco tempo il paese prese un altro aspetto, i primi licenziati furono gli insegnanti di lingua italiana, sostituiti con quelli di lingua slovena; i cattolici erano perseguitati, spinti ad andarsene. Avevo 5 anni e mi resi conto di cosa stava succedendo. All’ asilo ci fu un cambiamento totale dall’anno precedente. L’immagine di Gesù fu sostituita con la fotografia del capo di stato, Tito. Ci obbligarono a imparare una poesia in lingua slovena, perché l’insegnante italiana non c’era più: “ʍ i vescovi, ʍ i preti e W TITO”. Fu l’ultimo giorno di asilo per me. Mio padre recitava nei teatri triestini, ma il guadagno era misero, così decise, con tre figlie piccole, di gestire la cooperativa del paese con onestà e umiltà. La decisione di andarsene venne dai continui sopralluoghi delle guardie druse a casa nostra, buttando tutto sottosopra; io ero piccola, ma un giorno vennero a casa per i controlli spaccando e rovistando tutto e io dissi: ”Perché fate questo alla mia famiglia?” Per risposta ebbi un calcio fortissimo da uno stivale, rotolai per la cucina con dolore senza capire nulla, ricordo quello stivale: io ero alta come lui. Mio padre era sempre più triste e intimorito dalle varie oppressioni, l’estate del 1955 decise di lasciare tutto e venire via. Ti dovevi iscrivere al partito per poter continuare a vivere lì e seguire le loro leggi. Ricordo il giorno della partenza, intere famiglie caricavano le cose più utili sui camion, destinate al magazzino del silos di Trieste: tutto ciò che potevamo portare, perché bisognava pagare il trasporto e qualcuno non disponeva del denaro necessario. Partimmo io, la mia famiglia, e tutti i parenti con la corriera di linea: era il 24 giugno 1955, faceva tanto caldo e al confine della zona B mia madre chiese alle guardie slovene un bicchiere d’acqua per noi bambine, ma risposero che avremmo bevuto in Italia. Arrivammo a Opicina di notte; c’era un cinema per i militari e fu allestito un grande dormitorio: ci sistemarono lì, tutti assieme, non esisteva nessuna forma di privacy, restammo lì fino all’assegnazione dei campi profughi. Quell’esodo non è andato mai a interessare la storia; l’istriano fu sradicato da una terra italiana per arrivare profugo in terra sempre italiana, ma non si capiva cos’era la sua italianità. Siamo arrivati come stranieri, ma vogliamo capire che l’Istriano è culturalmente italiano? Ho viaggiato per lavoro in Fiorella con le due sorelle e un'amica al Campo profughi di Campo Marzio varie città d’Italia e posso Trieste), 1956 dire che nessuno sa, o pochi sanno, che l’Istria era italiana. Iniziò il primo anno scolastico. Mio padre si ammalò, mia madre si alzava presto per cercare un lavoro, io portavo all’asilo le mie sorelle, facendo a piedi una lunga salita, poi andavo alla scuola de Amicis. Le compagne erano piuttosto benestanti, non ci potevano soffrire perché profughe; qualcuna veniva dall’Istituto dei poveri e con quelle ci fu una grande amicizia; ciò mi fu d’insegnamento nella vita, così imparai a essere umile. Tutti gli anni seguenti a scuola ci fu questa divisione, portando certe ragazze alla vergogna di essere istriane. Io ne sono fiera, nella mia famiglia ci sono sempre state persone oneste da generazioni e io penso di essere nata in un paese non riconosciuto per i suoi valori e per il rispetto dei suoi abitanti, che per me resterà sempre nei ricordi della mia infanzia. Fiorella Varin Fiorella Varin è l'insegnante del Laboratorio associativo artistico di pittura e disegno. Il laboratorio ha una storia antica, perché è iniziato sotto la guida della signora Elisabetta Broussard, che lo ha seguito costantemente fino al giugno del 2014, quando si è ritirata per motivi di salute; ha preso il suo posto Fiorella Varin, che continua la sua opera con professionalità e umanità. Con i suoi consigli si lavora piacevolmente, tanto è vero che si è costituito un gruppo di persone, tutte interessate al campo artistico, legate da rapporti di stima ed amicizia. 5 "Se io fossi ..." Gli studenti del corso di tedesco avanzato (livello B2, venerdì ore 9 - 10.40) si sono esercitati nell'Irrealis (qualcosa che immaginiamo o che desideriamo ma che al momento non è possibile realizzare - e che in tedesco viene espresso con il Konjunktiv II) e hanno creato poesie ricche di umorismo sulla base della canzone tedesca "Es ist nicht immer leicht" del gruppo a capella ."Wise Guys". Übersetzung von Cecco Angiolieri Wäre ich Feuer, würde die Welt brennen wäre ich Wind, würde ich einen Windsturm losketten wäre ich Wasser, würde ich alle Menschen ertränken wäre ich Unser Gott, würde die Welt in die Tiefe stürzen wäre ich Papst, doch wär' ich zufrieden weil ich alle Menschen betrügen könnte wäre ich der Kaiser, weißt du was ich machen würde? Ich würde den ganzen Menschen den Kopf abschneiden Wäre ich der Tod, würde ich zum Vater gehen Wäre ich das Leben, würde ich bei ihm nicht bleiben Und das gleiche mit meiner Mutter würde ich machen, Wäre ich Cecco, wie ich bin und war Würde ich die jungen, schönen Mädchen verführen, Würde die alten und schlechten für die anderen lassen. Könnte ich das Deutsch beherrschen, würde ich zufrieden sein. Hören und antworten fließend, das wäre wirklich fein. Könnte ich begreifen, wenn Birgit so schnell spricht! Ganz erschöpft bin ich am Ende und verstanden hab’ ich‘s fast nicht. S'I FOSSE FUOCO DI CECCO ANGIOLIERI S'i fosse fuoco, arderei 'l mondo; s'i fosse vento, lo tempestarei; s'i fosse acqua, i' l'annegherei; s'i fosse Dio, mandereil' en profondo; s'i fosse papa, allor serei giocondo, ché tutti cristiani imbrigarei; s'i fosse 'mperator, ben lo farei; a tutti tagliarei lo capo a tondo. S'i fosse morte, andarei a mi' padre; s'i fosse vita, non starei con lui; similemente faria da mi' madre. Si fosse Cecco com'i' sono e fui, torrei le donne giovani e leggiadre: le zoppe e vecchie lasserei altrui. Maura Bogoni Se avessi una buona padronanza del tedesco, sarei contenta. Ascoltare e rispondere correntemente, sarebbe veramente appagante. Potessi comprendere, quando Birgit parla così veloce! Invece alla fine sono esausta e ho capito ben poco. Annamaria Camus riferendosi alle chiamate con una cara amica in Germania , Mit dem Mountainbike durch den Wald Ich würde durch den Wald mit dem Mountainbike fahren Blumen, Bäume und Sträucher würden mich freuen der Duft von frischem Gras würde mir in die Nase steigen die Vögel würden mich mit ihrem Zwitschern begleiten die Wärme der Sonnenstrahlen würde mich umhüllen von diesem Naturwunder wäre ich so begeistert und verzaubert dass all meine Sorgen zerronnen wären ich wäre jung in Herz und Sinn CON LA MOUNTAIN BIKE PER IL BOSCO Se andassi con la mountain bike per il bosco i fiori, gli alberi e gli arbusti mi rallegrerebbero, al naso mi salirebbe il profumo dell'erba fresca, gli uccelli mi accompagnerebbero con il loro cinguettio, i raggi del sole mi avvolgerebbero con il loro calore. Entusiasta ed incantata da codesta natura meravigliosa, dimenticherei tutte le mie preoccupazioni. Sarei ringiovanita nel cuore e nello spirito. Marisa Gratton DER TRAUM IL SOGNO Viele Male träumte ich, dass ich gröβer und reicher wäre, blaue Augen und blonde Haare würde ich als Naturgeschenk kriegen, Und dass ich ein Riesen-Haus am Strand besitzen würde, vor dessen Tür würde Angelina nach meiner Rückkehr als Retter von Menschenleben mich erwarten. Aber wenn ich aufwachen würde, hätte ich immer entdeckt, dass mein Leben hingegen ganz anders, manchmal wie ein Alptraum, war. Molte volte sognerei di essere più alto e più ricco, e, come dono della natura, di avere occhi azzurri e capelli biondi, e di occupare (vivere in) una gigantesca casa sulla spiaggia, dove, alla porta della quale, Angelina avrebbe atteso il mio ritorno dal salvataggio di vite umane. Però, quando mi sveglierei, avrei sempre trovato (constatato) che la mia vita, invece sarebbe stata, talvolta, molto simile a un incubo. 6 Giuseppe Piemonte Giovanna In ottobre Silvia Cassano ci ha raccontato, in un intervento presso la nostra università, come ha ricostruito la storia della sua famiglia, perché tutti sentiamo prima o poi, nella vita, questa necessità e le memorie familiari non appartengono solo a noi, ma a una storia collettiva che dobbiamo, con semplicità ed onestà, tramandare; le sue indicazioni mi sono state preziose! Giovanna aveva conosciuto Albano da bambina, alla scuola elementare del rione di San Giacomo. Erano nati nello stesso anno, 1895, figli di due emigranti: il papà di Giovanna arrivava da Linz, mentre quello di Albano era italiano e proveniva da Cesena. Le madri erano austriache, una di Lubiana e l’altra triestina. Giovanna era diventata velocemente adolescente, dopo la perdita della mamma. Alla domenica poteva incontrare Albano, operaio meccanico; ne era innamorata e il suo affetto fu ricambiato. In una domenica di giugno del 1914 festeggiarono il loro fidanzamento. Purtroppo la storia, quella con la "s" maiuscola, entrò con violenza nelle loro semplici vite. Giovanna Neumüller Pochi giorni dopo un avvenimento drammatico: Sarajevo! Era il 28 giugno 1914! Giovanna e Albano si preoccuparono, perché lui non aveva la cittadinanza austriaca, quindi come italiano avrebbe dovuto lasciare la città, assieme a migliaia di altri regnicoli. Lui si sentiva invece triestino, legato a quel luogo che aveva visto nascere lui, i suoi due fratelli e la sorella. Sua madre, poi, era una vera triestina e gli aveva Albano Biondi e amico insegnato la dolce parlata familiare. Non conosceva nulla dell'Italia, ma una cosa sapeva con certezza: non avrebbe mai Le fotografie sono tratte da ArFF: Collezione Neva Biondi combattuto contro i triestini che avevano accolto la sua famiglia di emigranti con tanta cordialità. Passarono i mesi, già cominciavano a progettare le nozze di giugno, quando si cominciò a respirare in città un'aria nuova. In una tiepida giornata di maggio il dramma scoppiò: alla notizia della dichiarazione di guerra dell'Italia all'Austria la gente di San Giacomo cominciò a scendere in piazza, piena di rabbia contro gli Italiani, che venivano chiamati "Pigne, traditori"! Giovanna era disperata, piena d'ansia corse a casa di Albano per convincerlo a partire, ma lui era deciso ad aspettare l'arrivo della polizia, perché si sentiva un vero triestino. La mattina seguente due guardie salirono per la via del Bosco: Albano tentò una fuga verso i tetti, ma fu facilmente raggiunto ed arrestato. Giovanna arrivò proprio mentre lo trascinavano via; cominciò così per lei un terribile periodo di ansia, senza notizie del fidanzato, mentre ogni giorno era arrestato qualche altro regnicolo. Arrivò l'inverno, senza ricevere notizie. Non aveva perso le speranze, conosceva l’intraprendenza di Albano ed era sicura che avrebbe trovato il modo per sopravvivere. Finalmente, nella primavera del 1916, arrivò una cartolina. Albano si trovava a Leibnitz, in un campo per gli stranieri rimasti in Austria ed era stato scelto per lavorare alla costruzione della centrale idroelettrica di Faal sul fiume Drava. A maggio del 1917 un’altra lettera di Albano la rese felice: le diceva di raggiungerlo, la vita per lui era diventata più sicura e sarebbe stato in grado di mantenere anche lei, se era d’accordo. Dovette attendere un po’ per avere tutti i documenti, ma alla fine di giugno tutto era pronto e poté comunicarlo al fidanzato. Lui le rispose: “Verrò a prenderti alla stazione”. Partì, su un treno che portava verso il fronte orientale giovani ragazzi triestini. Dopo aver oltrepassato Lubiana, arrivarono al nord della regione slovena, oltre Maribor. Quando il treno si fermò, Albano era già lì. La mattina dopo fu celebrato il loro matrimonio nella chiesa di Selnica sulla Drava: Giovanna emozionata, Albano sicuro di sé; da quel giorno vissero lì fino alla fine della guerra. Neva Biondi Neva Biondi, è stata insegnante di materie letterarie nelle scuole superiori di Trieste, si è occupata di storia dei confini orientali e di profughi della prima guerra mondiale, in particolar modo regnicoli. Da quattro anni frequenta i nostri corsi di lingue e di pittura, segue diverse lezioni di cultura generale. . 7 Quando Trieste rischiò di divenire Teresiopoli Il 13 maggio 1717 nasceva a Vienna Maria Teresa d’Asburgo, figlia di quel Carlo VI che di lì a due anni avrebbe deciso di concedere a Trieste lo statuto di Porto Franco, ovvero di porto in cui le navi di tutte le provenienze potevano caricare e scaricare merci, venderle e comprarle, scaricare prodotti grezzi e caricare prodotti senza pagare dogana. Maria Teresa, divenuta a soli 23 anni Imperatrice d’Austria nel novembre 1740, ebbe grande peso e significato per la nostra città. Nonostante la giovanissima età, seppe affrontare con sano buon senso i suoi compiti, aprendo all'istruzione e lavorando intensamente per creare la Trieste cosmopolita che i nostri nonni rimpiangono esternando la ben nota affermazione “si stava meglio sotto l’Austria”. Proprio sotto il governo di Maria Teresa (e del successore, il figlio Giuseppe II), infatti, Trieste fu protagonista di un veloce sviluppo, trasformandosi profondamente. In attesa che il Comune di Trieste pubblichi gli Atti dell’importante convegno scientifico tenutosi lo scorso autunno al Museo Sartorio, e che la Regione dia seguito all’auspicio espresso in quella sede di organizzare un'esposizione su Maria Teresa d'Asburgo, per ricordare il trecentesimo genetliaco dell’imperatrice tanto cara ai triestini ed il suo “assolutismo illuminato” la Società di cultura Maria Theresia e il Ctt (Club Touristi Triestini) hanno organizzato, d’intesa con la Università della Terza Età di Trieste, un ciclo di tre incontri nella sede di Uni3Trieste. Nella prima delle conversazioni, “Maria Theresia, Landesmutter”, Santin ha presentato un’analisi dell’opera riformatrice della sovrana nell’Europa danubiana. Innumerevoli furono le modifiche operate dalla Kaiserin nell’organizzazione statale, dalla fiscalità (estesa a nobili e clero sulla base del Tavolare, tuttora in vigore in alcuni Comuni della nostra regione, del Veneto, della Lombardia e nel Trentino Alto Adige), al diritto (con la separazione dei poteri e l’abolizione della tortura), all’istruzione (resa obbligatoria per maschi e femmine sino all’età di dodici anni), alla sanità (con una campagna di vaccinazioni in anticipo sugli studi di Jenner). La seconda conversazione, sul tema “Tu ne fosti la prescelta”, ha permesso al relatore di esaminare gli effetti degli interventi teresiani su Trieste. Se molte regioni e città dell’Impero ne trassero beneficio, nessuna lo fece più di Trieste, dove vennero realizzate la città nuova, le prime infrastrutture portuali e stradali, l’ospedale, l’acquedotto. Decisivi furono anche gli editti a garanzia delle “nazioni” di Trieste (greca, illirica, ebraica, elvetica...) che fecero fiorire la città al punto che nella seconda metà del ’700 si propose di mutarne il nome in Teresiopoli. Proposta poi rimasta sulla carta, chissà quale fine farà l’odierna proposta di intitolarle il Canale di Ponterosso? A conclusione del ciclo, il terzo appuntamento, “L’alba dell’emporio”, martedì 7 febbraio alle ore 17.30 sempre in via Corti 1/1, offrirà tra l’altro l’occasione per ammirare il filmato “Trieste, nasce una città”, che illustra lo sviluppo demografico e urbanistico-architettonico del porto franco asburgico. Un’occasione decisamente da non perdere, trattandosi di un filmato sconosciuto al grande pubblico. Bruno Pizzamei Protagonista delle tre serate è Luciano Santin, giornalista, volto e penna noto ai triestini, autore tra l’altro di numerosi saggi, libri e reportage sulla storia di Trieste e della Venezia Giulia. Il dott. Lino Schepis, presidente di Uni3 ha presentato il dott. Luciano Santin L’Imperatrice Maria Teresa Il pubblico attento e numeroso 8 Il solito viaggio Da sempre, ogni anno della mia vita, all’inizio di agosto mi metto in viaggio verso Norcia, il paese nativo di mia madre. Sì, avete capito bene, proprio quella Norcia che il trenta ottobre scorso è balzata all’attenzione della cronaca con immagini che non avremmo mai voluto vedere, quelle di un gruppo di monaci e di alcune persone sgomente inginocchiati, in preghiera, davanti alle rovine delle chiese devastate dal terremoto. Della basilica di San Benedetto era rimasta in piedi la sola splendida facciata, dai vetri colorati del rosone filtrava un sole dorato. Della cattedrale di Santa Maria Argentea si vedeva il tetto crollato e le bianche pietre strappate dalla facciata, il rosone lasciava passare frammenti di cielo azzurro. Tutti salvi, per fortuna, gli abitanti ma costretti ad abbandonare le loro case. Di questo paese conosco ogni pietra e su ogni pietra sono risuonati, nel tempo, i discorsi scherzosi o filosofici, i segreti raccontati o accolti, gli argomenti sviscerati o dibattuti con persone a me care. Ogni anno ad un certo punto delle vacanze sento il bisogno di allontanarmi dal vocio della Piazza e del Corso e percorrere in solitudine i vicoli silenziosi, sentire i miei passi sul selciato, infilarmi in una delle tante chiese e riguardarmela con calma, respirando il suo profumo di legno antico. Quest’anno il destino mi ha messo davanti una brochure del Circuito Museale in cui ho letto di una visita guidata in giro per il paese alla scoperta delle diverse chiese e, pur conoscendole tutte, istintivamente ho deciso di far parte di quella piccola schiera di turisti che una domenica mattina si è radunata in piazza, attorno ad una giovane guida. Non sapevo ancora che mi era stata concessa l’occasione di rivedere le chiese di Norcia per l’ultima volta, così come le avevo sempre conosciute o come erano state restaurate dopo l’ultimo sisma del ’79. Adesso invece le immagini che vengono diffuse sono struggenti: la chiesa Auditorium di San Francesco, dal bellissimo rosone miracolosamente intatto, è scoperchiata sotto il cielo aperto, di fronte la deliziosa facciata della chiesetta di Santa Rita è polverizzata, la chiesa di San Giovanni mostra da uno squarcio, su una parete, il prezioso soffitto ligneo, la chiesa del Monastero di Sant’Antonio ora si può scorgere anche dall'esterno della cinta muraria, parzialmente crollata, l’alto campanile rosicchiato e pericolante, la bianca chiesa del Crocefisso è ridotta a brandelli, la chiesa dell’Addolorata è un cumulo di macerie, rimane solo una statua di gesso nella nicchia laterale a guardia del portone semi sommerso dalle rovine, l’antica chiesa di San Lorenzo è lacerata da profonde crepe e spaccature. Non riesco a trovare le immagini della mia preferita, la chiesa di Sant'Agostino dal magnifico portale ma so che anch'essa è gravemente ferita. I vigili del fuoco eroici e instancabili preservano, recuperano, salvano statue, tele, arredi, pezzi di storia e di memoria e così preservano, recuperano e salvano anche i nostri cuori spezzati. Mia madre ripeteva il detto popolare secondo cui Norcia era caduta sette volte a causa dei terremoti e sette volte si era rialzata, è una guerriera la mia Norcia e non dubito che ce la farà anche questa volta. Stefania Contini Norcia, piazza San Benedetto Stefania Contini è stata insegnante di scuola primaria. Giunta alla pensione, si è iscritta alla nostra Uni3 dove frequenta alcuni corsi. Appassionata lettrice, quest’anno ha voluto immergersi nei segreti della Scrittura Creativa frequentando il corso della Prof.ssa Carloni Mocavero. Il testo nasce da un’esperienza personale. 9 Senilità Un pomeriggio di inizio novembre, l'atmosfera è quella tipica dell'autunno inoltrato: umidità calda e appiccicosa nell'aria, a terra un tappeto di foglie giallastre degli ippocastani del Viale e la luce solare un po' appannata lascerà presto il posto al buio della sera. Luisa entra nella grande casa - finestre illuminate e una vetrata impreziosita da un decoro multicolore - e si dirige verso l'ampio salone di soggiorno, come fa ormai da mesi. "Buona sera, buona sera signore", e immediatamente cento pupille convergono su di lei, la scrutano, l'avvolgono con sguardo indagatore. Sono tutte donne, due uomini silenziosi e grigi se ne stanno in disparte, lontani da quell'universo femminile che sembra non attirare la loro attenzione e curiosità. Alcune abbondanti nella loro consistenza ma per lo più segaligne, i volti rugosi, gli occhi spenti e inespressivi, corpi abbandonati sulle sedie e sulle poltroncine, vicini agli indispensabili ausili per muoversi con meno difficoltà e più dignità. Pare quello spazio la sala d'attesa di una stazione ferroviaria ove, aspettando il treno, ognuno dei viaggiatori è assorto nei propri pensieri e reagisce solo all'annuncio dell'imminente arrivo. "Buona sera, signora!". Qualcuna risponde con la parola al saluto di Luisa, altre solo con lo sguardo e un timido sorriso. In mezzo a loro un volto a lei caro si esprime in maniera più decisa e coinvolta. "Ciao mamma, come va oggi?". "Come al solito. Il tempo non passa mai", e la sommerge di domande. "Cosa hai fatto oggi? Come sta Gino? E Alessandro lavora? Pino è a casa?". Luisa si siede accanto a lei e risponde alle solite domande, sempre quelle ogni giorno, quasi a giustificare un residuo interesse alla vita al di fuori di quella "casa" che le dà sicurezza e protezione ma la estranea sempre più dalla realtà della vita ... "fuori". Accanto alla mamma di Luisa è seduta Lina, il suo viso si apre verso di lei con un sorriso. "Come va oggi, signora Lina?". . "Oggi non ho una buona giornata, sono pervasa da una grande malinconia, faccio brutti pensieri, non mi sento neanche tanto bene a causa della mia asma. Spero passi presto questa giornata e domani sia migliore". "Ma certo - le sorride Luisa vedrà che domani sarà meglio di oggi". Poi Luisa saluta Marcella, vicina di stanza di sua madre. Vorrebbe fare un minimo di conversazione, ma lo sguardo contrariato della mamma, che vorrebbe per sé tutte le attenzioni, la fa desistere. "Come vuole che vada - si lamenta Marcella - poveri noi vecchi, il tempo passa lento: ne abbiamo molto alle spalle e quello che ci resta è duro e faticoso". Entra nel salone Maria, una donna minuta dallo sguardo dolcissimo, Luisa la saluta sorridendo. "Ho tanto freddo oggi, non riesco a scaldarmi, i dolori di schiena si fanno sentire sempre più. Spero arrivi il mio tempo e la Madonna venga a prendermi, sono proprio stufa!". "Coraggio signora Maria" le dice Luisa, appoggiando delicatamente una mano sulla sua spalla. Le altre donne presenti hanno ripreso il loro atteggiamento muto e silenzioso, lo sguardo un po' perso nel vuoto. Peccato, pensa Luisa, potrebbero comunicare tra loro, scambiarsi avvenimenti ed esperienze del loro tempo trascorso, ma non succede. Solo di tanto in tanto il loro torpore è interrotto da qualcuno o qualcosa che irrompe nella stanza. Qualcuno, come il pronipote della Luciana, un bel bimbo di tre anni che il papà ha portato a salutare la nonna, accompagnato dal suo cagnolino, un simpatico batuffolo bianco. Anche oggi il pomeriggio è trascorso. Nella "casa" a molti è sembrato lento, "fuori" qualcuno lo avrebbe desiderato più dilatato e produttivo. E' presto ora di cena per gli ospiti. Mario, che i suoi novantanove li porta benissimo, guarda l'orologio appeso alla parete principale del salone e si accinge a premere il campanello per l'avviso. Signori, a cena! "Ciao, buona cena e buona notte, a domani". Il tempo scorre, anche se diversamente, dentro e fuori. Mariella Manzutto 10 Mariella Manzutto, già dipendente di Stock SpA e collaboratrice dell'IRCI, attiva nel volontariato culturale, è iscritta da alcuni anni alla nostra Uni3, dove frequenta il corso di scrittura creativa della Prof. Carloni Mocavero. Ama la lettura e la scrittura. Il testo prende forma da un'esperienza diretta familiare presso una dimora per anziani. 70 anni fa nasceva il Ginnasio Antonio Sema di Pirano A fine novembre una conferenza organizzata dalla sede di Muggia dell’Università della terza età di Trieste ha ripercorso la storia del Ginnasio Antonio Sema di Pirano. Fu alla fine della seconda guerra mondiale che si realizzò il desiderio dei piranesi di istituire una scuola superiore. Nell’agosto del 1945 un’assemblea popolare decise di fondare il Ginnasio e Liceo Scientifico, che in soli due mesi aprì i battenti nella sede provvisoria del Palazzo comunale. Gli inizi furono difficili, mancavano spazi adeguati, libri di testo, mezzi didattici. Primo preside fu Paolo Sema, figlio del maestro Antonio (1888-1945),insegnante e attivista politico che visse e lavorò a Pirano e, per le sue idee socialiste, fu perseguitato e privato del lavoro; al punto che, per mantenere la famiglia, dovette dare lezioni private. Insegnante severo, pretendeva dagli allievi disciplina e impegno, ma grazie a lui in tanti riuscirono a superare gli esami e a continuare gli studi. Il corpo insegnante del nuovo istituto si impegnò per dare agli allievi la miglior preparazione possibile con i pur limitati mezzi a disposizione. Nel 1948 il Ginnasio si trasferì nel più idoneo palazzo Bartole-Fonda, ma l’esodo della popolazione italiana, avvenuto in diverse ondate fino alla metà degli anni Cinquanta, influì sull’attività: partirono molti insegnanti e gran parte degli allievi, la scuola faceva difficoltà a trovare docenti qualificati con una conoscenza adeguata dell’italiano. Nell’anno scolastico 1963/64 il numero degli allievi toccò il minimo storico e l’Istituto rischiò il trasferimento se non la chiusura. Grazie all’impegno di alcuni connazionali e di personalità politiche il Ginnasio sopravvisse, nel tempo si ripopolò e negli anni Ottanta, con l’introduzione dell’istruzione indirizzata, mantenne l’indirizzo matematico-scientifico; le iscrizioni aumentarono al punto che si dovettero introdurre gli esami di ammissione. La sede risultava però inadeguata e fu deciso di costruirne una nuova a Portorose: inaugurata il 10 giugno 1992, a settembre la Scuola media scientifico-matematica con lingua d’insegnamento italiana venne rinominata Ginnasio Antonio Sema di Pirano. Il Ginnasio disponeva ora di una sede moderna, di spazi e laboratori all’avanguardia, di una palestra e di un campo sportivo, migliorò la qualità del lavoro pedagogico e la scuola si aprì in maniera innovativa alle collaborazioni internazionali. Oggi il Ginnasio dispone non solo di una sede adeguata, ma anche di un valido corpo docenti e registra una certa stabilità nelle iscrizioni. Nella realizzazione delle strategie educative è impegnato a trasmettere una vasta cultura generale con particolare attenzione verso la lingua e la cultura italiana. Come pure verso i valori della convivenza, del rispetto reciproco, della responsabilità e della solidarietà, in condivisione con le idee e lo spirito di Antonio Sema, i cui insegnamenti sono stati per i suoi allievi un’importante lezione di vita. Il numeroso pubblico, al termine, ha tributato un caloroso applauso ai protagonisti della serata: Kristjan Knez, autore della pubblicazione sul 70° anniversario del Ginnasio, Aleksandra Rogić e Daniela PaliagaJanković, rispettivamente preside ed ex preside dell’Istituto, ed il moderatore della serata, il docente di Uni3Trieste Franco Stener. Aleksandra Rogić Antonio Sema Il ginnasio oggi Aleksandra Rogić è la preside del Ginnasio Antonio Sema di Pirano. Laureata in ingegneria navale, insegna informatica. 11 siche che però non riusciamo ad assimilare se non con molta perplessità. Un uditore curioso La Prof. ci porta più in là; ci cita una frase di Einstein: ”Io non ho Scorrendo la locandina dell'undicesima settimana di attività della nostra Università si ravvisa che, alle ore 17.30, in aula A la professoressa Princivalli Maria Luisa, la decana delle insegnanti, discute una lezione dal titolo: “La realtà non è come ci appare – Le onde gravitazionali”. La Prof. porta il suo uditorio attraverso una rapida carrellata che parte dalle onde gravitazionali, dall'interazione tra spazio e tempo, dalla comparazione tra chi vive accanto ad una grande massa e quindi invecchia più rapidamente e chi vive lontano da queste e quindi con maggior gioventù. Porta i corsisti sull'orizzonte degli eventi al limite del “buco nero” per poter mostrar loro che cosa succederebbe se potessero vivere a tale limite. Emerge comunque sempre di più la figura di un uomo eccezionale che ha avuto il merito di concepire tutto questo e di concepirlo all'inizio del ventesimo secolo: Albert Einstein. Una serie di concetti che, gran parte di noi deve accettare ancora oggi senza discutere, perché sono stati provati da infinite dimostrazioni fi- alcuna qualità particolare, sono soltanto curioso”. Dalla curiosità di Einstein all'istituzione della Uni3 il passo è breve; tener accesa la “curiosità” dell'anziano, ma non solo di questa generazione, significa arricchire la vita intellettuale dell'uomo, anche se questo comporta per taluni qualche piccolo sacrificio e la nostra Prof. in tutti questi anni di insegnamento qualche sacrificio lo ha sicuramente fatto. Con questo abbraccio tra curiosità e cultura la lezione finisce; la professoressa Princivalli distribuisce e fa accendere le candeline, ognuno si arma di bicchiere per brindare alla conclusione delle lezioni per il 2016 di Maria Luisa Princivalli e per scambiarsi gli auguri per le prossime festività. A compiacersi della lezione sicuramente il Presidente dell'Uni3 Lino Schepis, presente alla chiacchierata di Maria Luisa e consapevole del valore della conclusione che ha correlato la Uni 3 con la curiosità e la cultura. Umberto Centa Umberto Centa, già direttore tecnico della SIOT di Trieste, da tempo apprezzato docente della Uni3 su problemi portuali ed ambientali, è anche noto ai nostri soci per le sue frequenti collaborazioni nell'organizzazione di visite a musei e gallerie, gite ed altre iniziative culturali e ricreative. NOVITA’ IN BIBLIOTECA: gli ultimi arrivi 01 02 03 04 05 06 07 J. Dicker I. Falcones C. Augias E. Zemmour P. Mieli S. King H. Hubert 08 IL LIBRO DEI BALTIMORE GLI EREDI DELLA TERRA I SEGRETI DI ISTANBUL IL SUICIDIO FRANCESE IN GUERRA CON IL PASSATO FINE TURNO ITALIA 1866. STORIA DI UNA GUERRA PERDUTA E VINTA DIECI E LODE 09 10 11 TEUTOBURGO LA FINE DELLA STORIA RAIS M. V. Manfredi L. Sepulveda S. Perotti 12 13 14 15 16 17 18 S. C. Modigliani 19 20 21 LA SPIA L’ESTATE FREDDA VIVA PIU’ CHE MAI I TRADITORI IL DOMATORE DI LEONI IL CONSOLATORE ZERO K P. Coelho G. Carofiglio A. Vitali G. De Cataldo C. Lackberg J. Gaarder D. Delillo LE TRE PAROLE CHE CAMBIARONO IL MONDO CROCEVIA BUSSOLA M. Auge M. Verga Llosa M. Enard “Uni3TriesteNews” è una pubblicazione della Università della Terza Età “Danilo Dobrina” collegata al sito www.uni3trieste.it . Comitato di redazione: Eugenio Ambrosi (direttore), Mario Grillandini (vice direttore), Luigi Milazzi, Nicola Archidiacono, Bruno Pizzamei. AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE DI TRIESTE DD.- 10/07/2015 N° 12/2015 E N° 2039/2015 V.G. REGISTRO INFORMATICO. 12