Uni3TriesteNews-FEBBRAIO-2017 - Università della Terza Età

Uni3triestenews - Anno III - febbraio 2017
Foto dalla
Mostra dei laboratori artistici
2015
In questo numero:
Pagina 1
La Giornata della Memoria all’Università
della Terza Età di Trieste
Pagina 7
Giovanna
di Neva Biondi
di Lino Schepis e Franco Cecotti
Pagina 2
Non ci son più le stagioni di una volta! O no?
Pagina 8
di Gianfranco Badina
Pagina 3
27 gennaio e 10 febbraio, tra memoria e ricordi
di Bruno Pizzamei
Pagina 9
di Eugenio Ambrosi
Pagina 4
I carnevali a Trieste nel Settecento
La storia di Fiorella
Pagina 10
"Se io fossi ..." - Poesie dal Corso di tedesco
Senilità
di Mariella Manzutto
Pagina 11
70 anni fa nasceva il Ginnasio Antonio Sema di Pirano
Pagina 12
di Aleksandra Rogić
Un uditore curioso di Umberto Centa
Novità in biblioteca
di Fiorella Varin
Pagina 6
Il solito viaggio
di Stefania Contini
di Luigi Milazzi
Pagina 5
Quando Trieste rischiò di diventare Teresiopoli
0
La Giornata della Memoria all'Università della Terza Età di Trieste
L’1 novembre 2005 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha istituito il “Giorno della Memoria”, affinché in ogni Paese membro possano
essere commemorate, nello stesso momento, le vittime delle deportazioni naziste, cioè perseguitati ebrei, deportati militari e politici, ed ogni
altro genere di vittime per motivi razziali. Si è scelta la data del 27 gennaio a ricordo del giorno in cui i cancelli di Auschwitz sono stati aperti
dalle truppe sovietiche, rivelando al mondo intero l’orrore dei campi di deportazione e di sterminio. In Italia questa ricorrenza è stata istituita
qualche anno prima, con legge del luglio 2000.
La nostra Università, in considerazione della sua funzione sociale e delle sue specifiche finalità, ha ritenuto eticamente giusto ed opportuno
condividere questa ricorrenza con il mondo della scuola e con le istituzioni preposte, organizzando un evento che il Comune di Trieste ha ritenuto
di includere nel calendario delle manifestazioni celebrative della città; l’evento, curato dai professori Franco Cecotti, Fabrizio Stefanini e Bruno
Pizzamei, è stato in larga parte incentrato sulla testimonianza di un sopravvissuto triestino, Riccardo Goruppi, presidente onorario
dell’Associazione Nazionale ex Deportati (ANeD).
Tra i ricordi, le paure, l’angoscia, le umiliazioni descritte, subite da un ragazzo di appena 17 anni, mi hanno particolarmente colpito alcune sue
affermazioni, che ritengo opportuno riportare qui di seguito, senza commenti, in quanto non necessari:
- Se io ho perdonato? C’è Qualcuno in alto che è più importante di me e che ha competenza specifica in termini di perdono; io mi accontento
del fatto che sono riuscito a non odiare i miei aguzzini;
- Quando, appena liberato e ricoverato in un ospedale nella zona, ho visto molti militari tedeschi mutilati in vario modo e sofferenti, ho
provato pena per loro ed ho capito che stavo ritornando ad essere un essere umano;
- un prete del posto, da me rivisto 10 anni dopo la liberazione in Germania, che mi aveva aiutato durante la prigionia, mi ha abbracciato e
mi ha detto: sono contento che tu abbia ricordato il poco di bene che ti abbiamo fatto, pur a fronte del tanto male che tu hai ricevuto;
non so se potrà esservi in futuro un’altra shoah, ma è certo, per quanto stiamo vedendo oggi, che l’umanità non ha perso la capacità
di compiere azioni altrettanto cattive, se non peggiori.
Lino Schepis
La liberazione del campo di concentramento di Auschwitz ad opera dei
soldati dell’Armata Rossa il 27 gennaio 1945 costituisce un’occasione
di riflessione su ciò che rappresenta la guerra in termini di oppressione
ideologica, di distruzioni materiali e di eliminazione fisica di intere
comunità.
La violenza fino allo sterminio programmato di milioni di persone, in
particolare di ebrei, ma anche di rom, testimoni di Geova e omosessuali
è l’esito ultimo di una politica razzista attuata dal nazismo tedesco, con
la collaborazione di altri regimi dittatoriali, tra cui il fascismo italiano,
nel corso della seconda guerra mondiale.
Altri milioni di vittime hanno subito la violenza nei campi di
concentramento tedeschi per la loro attiva opposizione all’espansione
del Terzo Reich e della sua inumana ideologia: militari, partigiani,
lavoratori coatti, tutti sfruttati nella produzione bellica, nel lavoro
minerario e nella coltivazione dei campi, fino allo sfinimento fisico e
alla morte.
La memoria di tali sofferenze viene indicata dalla legge n. 21, del 2000,
quale occasione culturale di informazione storica e di educazione ai
valori democratici di solidarietà e di rispetto reciproco, da attuarsi
attraverso conferenze, dibattiti, spettacoli e mostre rivolte agli
studenti delle scuole e ad un pubblico più vasto.
Nella sede dell’Università della Terza Età “Danilo Dobrina” di Trieste)
il 27 gennaio 2017 è stato ospitato un testimone della deportazione
triestina, il signor Riccardo Goruppi, arrestato nel novembre 1944 a
Prosecco per la sua attività di partigiano e rinchiuso nel carcere del
Coroneo, prima di venire trasportato a Dachau.
I treni carichi di deportati partiti da Trieste sono stati 70 (su 123 in
totale partiti dall’Italia) e su uno di questi è salito anche il
diciassettenne Riccardo Goruppi, assieme al padre, pure lui arrestato.
Il racconto di Riccardo Goruppi si è soffermato sulla trasformazione
del deportato da persona a “pezzo” (per usare la terminologia del
Lager), attraverso la sottrazione di ogni carattere individuale:
prima di tutto la rasatura dei capelli e la cancellazione del nome
sostituito da una cifra, poi la divisa a righe uniforme nei colori
(grigio e celeste), seguito dalla fame, dal freddo e dalle ristrettezze
della vita in baracche sovraffollate, sotto la minaccia della violenza,
delle malattie e delle epidemie.
Il pubblico ha ascoltato la storia personale di Riccardo Goruppi con
un rispettoso silenzio, carico di emozione quando veniva rievocato
il lavoro giornaliero di dodici ore continuate, sempre in piedi,
dentro un tunnel nel sottocampo di Leonberg, dove si predisponevano le ali e altre parti degli aerei tedeschi, e la difficoltà
nella spartizione e distribuzione dello scarso cibo disponibile.
La conclusione della guerra è stata rievocata in tutta la sua
drammaticità, quando i prigionieri, ormai ridotti a corpi debolissimi, sofferenti e colpiti da un’epidemia di tifo, sono stati utilizzati
come ostaggi su un ultimo treno in fuga da Dachau, nella speranza
di impedire il mitragliamento dell’aviazione alleata. Non fu così: il
treno colpito, abbandonato dai militari tedeschi, i deportati morti
per le bombe o per la fame e pochi superstiti, soccorsi dopo qualche
giorno dai primi soldati americani.
Riccardo Goruppi è stato tra i pochi sopravvissuti su quel treno,
raccolto da un soldato americano nero e gentile, che lo ha portato
fino ad un ospedale presso il convento di St. Ottilien, dove una lenta
convalescenza e le cure efficaci lo hanno risanato (per quanto
possibile) e restituito a se stesso.
Franco Cecotti
1
Franco Cecotti, già docente negli Istituti superiori; ricercatore e collaboratore dell’Irsml FVG di cui è stato presidente dal
2003 al 2007; attualmente ricopre la carica di vicepresidente dell’Aned (Associazione nazionale ex deportati).
Non ci sono più le stagioni di una volta!
O no?
Da sempre, quando una conversazione tocca l’argomento
“tempo meteorologico”, qualcuno ripropone la frase: non ci
sono più le stagioni di una volta! E’ un concetto che possiamo
trovare anche nei documenti pervenuti a noi dal passato
anche remoto. Ma è proprio cosi? Ai giorni d’oggi il
cambiamento delle caratteristiche stagionali è rafforzato dal
fenomeno universalmente conosciuto dei “cambiamenti climatici” che ci viene riproposto continuamente ed al quale
dedichiamo spazi notevoli. Anche sul nostro territorio le
temperature medie sono aumentate di circa un grado e mezzo
nel corso degli ultimi trent’anni.
La nostra terra è sempre stata interessata da cambiamenti
del clima con alternanza di periodi freddi (Glaciazioni) e di
periodi caldi che hanno determinato notevoli fenomeni
(aumento o sparizione dei ghiacciai, desertificazione di
porzioni della superfice terrestre, ecc.) e hanno anche inciso
profondamente sulla attività umana, determinando ad
esempio grandi migrazioni di popoli e la crescita o la caduta
di grandi civiltà. Le osservazioni strumentali indicano chiaramente un aumento delle temperature ma non c’è ancora
unicità di pareri sulla causa di questo fenomeno. Una parte
dei climatologi pensa che il periodo caldo attuale sia
determinato dai normali cicli da sempre presenti mentre la
maggioranza degli studiosi è propensa ad attribuire tale
andamento a influenze androgene e quindi causati dall’attività umana.
primavera
Per rafforzare tale teoria fanno notare che la temperatura
attualmente sta aumentando a ritmi più sostenuti di quanto è
avvenuto nel passato a causa dell’effetto serra causato dalle
emissioni in atmosfera di quelle sostanze gassose che
determinano il fenomeno. Ad ogni modo, anche se la
temperatura media dell’aria è aumentata nel corso degli
anni, seppur di poco (ma non servono cambiamenti sensibili
per determinare conseguenze importanti), l’andamento delle
stagioni non si è modificato.
Come tutti possiamo sperimentare le manifestazioni stagionali che caratterizzano le diverse regioni si ripresentano
puntualmente, giorno più giorno meno, settimana più settimana meno, ogni anno. Ci sono poi delle caratteristiche dei
climi locali che sono anch’esse ricorrenti e sono state ben
osservate anche in passato, determinando la formulazione di
detti popolari e di proverbi che hanno sempre rappresentato
la saggezza del popolo. Hanno infatti radici lontane i concetti
di “estate di San Martino, giorni della merla, santi de jazo”
ecc. Le caratteristiche stagionali possono presentarsi differenti da anno in anno, specialmente sullo scenario europeo a
causa delle sue caratteristiche orografiche, della conformazione delle coste e della presenza di mari interni. Quindi le
stagioni possono presentarsi più o meno piovose o siccitose,
più o meno ventose, più o meno fredde a seconda delle
caratteristiche delle masse d’aria che arrivano sulle diverse
regioni. I flussi sull’Europa sono governati da alcuni potenti
centri d’azione e precisamente: l’anticiclone dinamico delle
Azzorre, quello termico russo-siberiano, la depressione
d’Islanda e, meno frequentemente, l’anticiclone africano.
Gianfranco Badina
autunno
Gianfranco Badina già comandante di navi mercantili, è stato a lungo responsabile della Stazione metereologica
dell’Istituto Nautico. Per vent’anni è entrato nelle case dei triestini come curatore di una rubrica di previsioni meteo
per l’emittente televisiva Telequattro. Curatore di un sito di previsioni metereologiche in rete, da molti anni collabora
come docente dell’Università della terza Età.
2
27 gennaio e 10 febbraio,
tra memoria e ricordo
E’ mancato Tullio De Mauro, grande linguista, che cito sempre
ai miei studenti come paladino della lingua italiana, tra l’altro
autore nel 1980 della Guida all’uso delle parole, un libretto
rosso contenente le 2.500 parole più utilizzate nel nostro
parlare, strumento pensato per evidenziare l’analfabetismo
di ritorno in Italia. Una seconda citazione che debbo a lui è
quella di non prestare mai un libro: ho prestato quel libretto
rosso, ormai introvabile, ad uno studente per la sua tesi e ne
aspetto ancora la restituzione. Non posso rifarmi quindi alla
sua Guida per trovare come valutasse i termini memoria e
ricordo, sinonimi sul cui uso mi sto interrogando in questi
giorni.
Come noto, il Parlamento, nel 2000, ha istituito con legge il
"Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle
persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e
politici italiani nei campi nazisti” (5 anni dopo fatto proprio
anche dall’ONU); nel 2004 ha poi istituito il “Giorno del ricordo
in memoria delle vittime delle foibe, dell'esodo giulianodalmata, delle vicende del confine orientale”. Un colpo al
cerchio ed uno alla botte, per alcuni frutto di visioni ideologiche, portatrici di condanne politiche del regime nazifascista e della rivoluzione comunista jugoslava nelle nostre
terre. Evidentemente il legislatore si è posto nel 2004 il
problema di trovare un sinonimo del termine usato quattro
anni prima: ma la soluzione trovata, “il Giorno della memoria
in ricordo, il Giorno del ricordo in memoria”, rende giustizia?
Per affrontare il quesito, solo apparentemente lessicale, mi
torna utile la Treccani online:
memòria: il termine indica sia la capacità di ritenere traccia
di informazioni relative a eventi, immagini, sensazioni, idee,
ecc. di cui si sia avuto esperienza e di rievocarle…, sia i
contenuti stessi dell’esperienza in quanto sono rievocati.
ricòrdo: è in genere sinonimo di memoria, ma con accezioni
più limitate (solo memoria, infatti, indica la capacità di
ricordare)… La presenza di un fatto o di una persona nella
memoria e nel sentimento dei posteri.
La memoria è dunque un contenitore in cui conserviamo, tra
l’altro, i ricordi. Ho udito uno storico affermare che non è
possibile una memoria condivisa: ma se è un contenitore, al
suo interno i ricordi di ciascuno possono venire conservati a
prescindere da quelli altrui e dalle verità storiche. Così anche
i ricordi delle violenze dei vincitori sugli sconfitti alla fine del
conflitto che hanno caratterizzato molte terre e molti confini
possono alloggiare nel contenitore della memoria, vivere a
se stanti quand’anche tra loro in conflitto. Ne deriverebbe che
per il legislatore la memoria delle leggi razziali e dell’olocausto è qualcosa di comune all’intero paese; mentre le
violenze perpetrate in queste terre sono un qualcosa di
limitato territorialmente e appartenenti alla memoria dell’Italia solo come sub-memoria, un ricordo per l’appunto.
Ammesso e non concesso, i due Giorni voluti dal legislatore,
al di là dell’opportunità di ricordare vicende feroci e scomode
della nostra storia, sono un’occasione per coltivare la volontà
di togliere dalla nostra vita civile le cause all’origine di quelle
tragedie e cioè le ideologie totalitarie del Novecento fondate
sui miti della razza e della classe.
Almeno una volta all’anno, anzi due, possiamo interrogarci su
quanto abbiamo fatto per tenere in vita questi ricordi e
contribuire alla memoria nostra e delle future generazioni: le
persone dimenticano, soprattutto i giovani che non hanno
vissuto quegli anni se non nei racconti di interposte persone:
familiari e docenti in primis.
Eugenio Ambrosi
3
I carnevali a Trieste nel Settecento
Le danze, ricorda Silvio Rutteri (Trieste, spunti del suo
passato), caratterizzavano i carnevali triestini del Settecento.
Si ballava dappertutto: nelle case private, nelle locande e
nelle bettole, dal ballo più elegante al Ridotto del Teatro.
Dame e cicisbei, ma anche facchini e marinai, cuoche e
contadine, avevano il loro ballo in un giorno particolare della
settimana. Il più distinto era quello del lunedì che prendeva
il nome di Veglione, seguito il martedì da quello più popolaresco. Dal giovedì grasso e specialmente nei tre ultimi
giorni di carnevale la sala non era più sufficiente a contenere
le maschere che a frotte, come una marea, occupavano le
strade richiamando numerosi spettatori.
A dire la verità, l’apertura del ballo a tutte le classi sociali ha
una data ben precisa a Trieste: il 20 gennaio 1733, quando fu
introdotto il ballo a pagamento detto subito “Ballo dei bezi”.
L’iniziativa si deve a un francese stabilitosi in città, dove
gestiva una scuola di danze e un gioco del biliardo: ottenne il
permesso dalle autorità, a condizione che fosse aperta al
pubblico, in maschera, dietro pagamento di sei denari.
Dall’iniziativa, ma soprattutto dalle sale da gioco, aperte
accanto a quelle di danza, furono subito attratti nobili e ricchi
commercianti che fino a quel momento erano stati gli
animatori delle serate triestine con i lussuosi festini organizzati nelle loro dimore.
Da queste manifestazioni chiassose e spontanee si passò nel
1783, Governatore della città Pompeo de Brigido, ai corsi
carnevaleschi pomeridiani
C’erano naturalmente problemi di ordine pubblico, per cui le
danze potevano svolgersi mascherate soltanto nelle sale del
Ridotto dal sette gennaio al martedì grasso, e potevano
svolgersi per due, tre serate settimanali, con una maggior
frequenza solo dopo la domenica Settuagesima. Dopo tale
data si potevano pure prolungare di due ore, fino alle cinque
del mattino con inizio alle nove di sera. L’ultima sera di
carnevale cene e danze dovevano cessare alla mezzanotte,
pena una multa in contanti di cento ungheri.
Per quanto riguardava le maschere, non erano tollerate
quelle indecenti, in abiti ecclesiastici o tali da celare le
fattezze del corpo, “come pani di zucchero, armadi, macchine,
nani, giganti, ed erano pure proibite le maschere del teatro
veneto”. Prima di uscire dal ballo era necessario togliersi la
maschera, almeno la larva sul volto, e c’era una sala adibita
a tale scopo. Mentre per l’andata al ballo e il ritorno era
ammesso farlo in abiti mascherati, il volto doveva sempre
essere scoperto pena l’arresto. Per i balli sia pubblici sia
privati bisognava richiedere alla polizia di volta in volta la
concessione, sulla quale si pagava una tassa che andava a
favore dell’Istituto dei Poveri.
Per il rientro a casa nel buio della notte, scarseggiando
l’illuminazione nelle strade, era opportuno farsi accompagnare, come avvertiva con un manifesto l’impresa Bonaiuto
Calimani nel 1793 che, dietro un compenso volontario metteva, a disposizione quattro uomini “forniti di fanale acceso”; ma forse qualche mascherina e il suo compiaciuto ammiratore preferivano, come ammicca Rutteri, “l’ombra della
notte gelida, misteriosa e allettante”.
Luigi Milazzi
Veduta della Piazza grande in Trieste - Prospect des grossen Platzes in Triest
Disegnata e inc. dal C. R. Prof. di disegno Giuseppe Pollencig
4
La storia di Fiorella
La storia della propria famiglia è segnata da un
intreccio di ricordi lieti e tristi, che si uniscono alla
storia collettiva; già altre volte si è letto su queste
pagine racconti familiari di profughe dall’Istria.(vedi:
1955. Da quella mattina nulla fu più come prima
Mariella Manzutto Uni3triestenews - marzo 2016).
Questa è la storia di Fiorella.
Quando mi chiedono dove sono nata devo dire in Iugoslavia:
ciò mi turba, perché i miei genitori rispondevano: “In Istria”
e l’Istria era italiana; mio padre conservava le pagelle del
fascio, mia madre era giovane italiana, tutto in Istria allora
girava in simbiosi con l’Italia, perciò puntualizzavano la loro
italianità, perché l’unica lingua che parlavano era l’italiano.
Nel paese dove la mia famiglia da generazioni viveva,
Cittanova, ora Novigrad, l’ Emonia romana, abitava in una
casa del porto e le mura erano ancora quelle romane, tuttora
intatte. In questo paese di pescatori, per tre terzi bagnato
dal mare, tutto era tranquillo.
In poco tempo il paese prese un altro aspetto, i primi
licenziati furono gli insegnanti di lingua italiana, sostituiti
con quelli di lingua slovena; i cattolici erano perseguitati,
spinti ad andarsene.
Avevo 5 anni e mi resi conto di cosa stava succedendo. All’
asilo ci fu un cambiamento totale dall’anno precedente.
L’immagine di Gesù fu sostituita con la fotografia del capo di
stato, Tito. Ci obbligarono a imparare una poesia in lingua
slovena, perché l’insegnante italiana non c’era più:
“ʍ i vescovi, ʍ i preti e W TITO”. Fu l’ultimo giorno di asilo
per me.
Mio padre recitava nei teatri triestini, ma il guadagno era
misero, così decise, con tre figlie piccole, di gestire la
cooperativa del paese con onestà e umiltà.
La decisione di andarsene venne dai continui sopralluoghi
delle guardie druse a casa nostra, buttando tutto sottosopra;
io ero piccola, ma un giorno vennero a casa per i controlli
spaccando e rovistando tutto e io dissi: ”Perché fate questo
alla mia famiglia?” Per risposta ebbi un calcio fortissimo da
uno stivale, rotolai per la cucina con dolore senza capire
nulla, ricordo quello stivale: io ero alta come lui.
Mio padre era sempre più triste e intimorito dalle varie
oppressioni, l’estate del 1955 decise di lasciare tutto e venire
via. Ti dovevi iscrivere al partito per poter continuare a
vivere lì e seguire le loro leggi.
Ricordo il giorno della partenza, intere famiglie caricavano le
cose più utili sui camion, destinate al magazzino del silos di
Trieste: tutto ciò che potevamo portare, perché bisognava
pagare il trasporto e qualcuno non disponeva del denaro
necessario.
Partimmo io, la mia famiglia, e tutti i parenti con la corriera
di linea: era il 24 giugno 1955, faceva tanto caldo e al confine
della zona B mia madre chiese alle guardie slovene un bicchiere d’acqua per noi bambine, ma risposero che avremmo
bevuto in Italia.
Arrivammo a Opicina di notte; c’era un cinema per i militari e
fu allestito un grande dormitorio: ci sistemarono lì, tutti
assieme, non esisteva nessuna forma di privacy, restammo lì
fino all’assegnazione dei campi profughi.
Quell’esodo non è andato
mai a interessare la storia;
l’istriano fu sradicato da
una terra italiana per arrivare profugo in terra sempre italiana, ma non si capiva cos’era la sua italianità.
Siamo arrivati come stranieri, ma vogliamo capire
che l’Istriano è culturalmente italiano?
Ho viaggiato per lavoro in
Fiorella con le due sorelle e un'amica
al Campo profughi di Campo Marzio varie città d’Italia e posso
Trieste), 1956
dire che nessuno sa, o pochi sanno, che l’Istria era italiana.
Iniziò il primo anno scolastico. Mio padre si ammalò, mia
madre si alzava presto per cercare un lavoro, io portavo
all’asilo le mie sorelle, facendo a piedi una lunga salita, poi
andavo alla scuola de Amicis.
Le compagne erano piuttosto benestanti, non ci potevano
soffrire perché profughe; qualcuna veniva dall’Istituto dei
poveri e con quelle ci fu una grande amicizia; ciò mi fu
d’insegnamento nella vita, così imparai a essere umile.
Tutti gli anni seguenti a scuola ci fu questa divisione,
portando certe ragazze alla vergogna di essere istriane.
Io ne sono fiera, nella mia famiglia ci sono sempre state
persone oneste da generazioni e io penso di essere nata in
un paese non riconosciuto per i suoi valori e per il rispetto dei
suoi abitanti, che per me resterà sempre nei ricordi della mia
infanzia.
Fiorella Varin
Fiorella Varin è l'insegnante del Laboratorio associativo artistico di pittura e disegno.
Il laboratorio ha una storia antica, perché è iniziato sotto la guida della signora Elisabetta Broussard, che lo ha seguito
costantemente fino al giugno del 2014, quando si è ritirata per motivi di salute; ha preso il suo posto Fiorella Varin, che
continua la sua opera con professionalità e umanità. Con i suoi consigli si lavora piacevolmente, tanto è vero che si è costituito
un gruppo di persone, tutte interessate al campo artistico, legate da rapporti di stima ed amicizia.
5
"Se io fossi ..."
Gli studenti del corso di tedesco avanzato (livello B2, venerdì ore 9 - 10.40) si sono esercitati nell'Irrealis (qualcosa che
immaginiamo o che desideriamo ma che al momento non è possibile realizzare - e che in tedesco viene espresso con il
Konjunktiv II) e hanno creato poesie ricche di umorismo sulla base della canzone tedesca "Es ist nicht immer leicht" del gruppo
a capella ."Wise Guys".
Übersetzung von Cecco Angiolieri
Wäre ich Feuer, würde die Welt brennen
wäre ich Wind, würde ich einen Windsturm losketten
wäre ich Wasser, würde ich alle Menschen ertränken
wäre ich Unser Gott, würde die Welt in die Tiefe stürzen
wäre ich Papst, doch wär' ich zufrieden
weil ich alle Menschen betrügen könnte
wäre ich der Kaiser, weißt du was ich machen würde?
Ich würde den ganzen Menschen den Kopf abschneiden
Wäre ich der Tod, würde ich zum Vater gehen
Wäre ich das Leben, würde ich bei ihm nicht bleiben
Und das gleiche mit meiner Mutter würde ich machen,
Wäre ich Cecco, wie ich bin und war
Würde ich die jungen, schönen Mädchen verführen,
Würde die alten und schlechten für die anderen lassen.
Könnte ich das Deutsch beherrschen, würde ich zufrieden sein.
Hören und antworten fließend, das wäre wirklich fein.
Könnte ich begreifen, wenn Birgit so schnell spricht!
Ganz erschöpft bin ich am Ende und verstanden hab’ ich‘s fast nicht.
S'I FOSSE FUOCO DI CECCO ANGIOLIERI
S'i fosse fuoco, arderei 'l mondo;
s'i fosse vento, lo tempestarei;
s'i fosse acqua, i' l'annegherei;
s'i fosse Dio, mandereil' en profondo;
s'i fosse papa, allor serei giocondo,
ché tutti cristiani imbrigarei;
s'i fosse 'mperator, ben lo farei;
a tutti tagliarei lo capo a tondo.
S'i fosse morte, andarei a mi' padre;
s'i fosse vita, non starei con lui;
similemente faria da mi' madre.
Si fosse Cecco com'i' sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le zoppe e vecchie lasserei altrui.
Maura Bogoni
Se avessi una buona padronanza del tedesco, sarei
contenta.
Ascoltare e rispondere correntemente, sarebbe veramente
appagante.
Potessi comprendere, quando Birgit parla così veloce!
Invece alla fine sono esausta e ho capito ben poco.
Annamaria Camus
riferendosi alle chiamate con una cara amica in Germania
,
Mit dem Mountainbike durch den Wald
Ich würde durch den Wald mit dem Mountainbike fahren
Blumen, Bäume und Sträucher würden mich freuen
der Duft von frischem Gras würde mir in die Nase steigen
die Vögel würden mich mit ihrem Zwitschern begleiten
die Wärme der Sonnenstrahlen würde mich umhüllen
von diesem Naturwunder wäre ich so begeistert und verzaubert
dass all meine Sorgen zerronnen wären
ich wäre jung in Herz und Sinn
CON LA MOUNTAIN BIKE PER IL BOSCO
Se andassi con la mountain bike per il bosco
i fiori, gli alberi e gli arbusti mi rallegrerebbero,
al naso mi salirebbe il profumo dell'erba fresca,
gli uccelli mi accompagnerebbero con il loro cinguettio,
i raggi del sole mi avvolgerebbero con il loro calore.
Entusiasta ed incantata da codesta natura meravigliosa,
dimenticherei tutte le mie preoccupazioni.
Sarei ringiovanita nel cuore e nello spirito.
Marisa Gratton
DER TRAUM
IL SOGNO
Viele Male träumte ich,
dass ich gröβer und reicher wäre,
blaue Augen und blonde Haare
würde ich als Naturgeschenk kriegen,
Und dass ich ein Riesen-Haus am Strand besitzen würde,
vor dessen Tür würde Angelina
nach meiner Rückkehr als Retter von Menschenleben
mich erwarten.
Aber wenn ich aufwachen würde,
hätte ich immer entdeckt,
dass mein Leben hingegen ganz anders,
manchmal wie ein Alptraum, war.
Molte volte sognerei di essere più alto e più ricco,
e, come dono della natura,
di avere occhi azzurri e capelli biondi,
e di occupare (vivere in) una gigantesca casa sulla spiaggia,
dove, alla porta della quale, Angelina avrebbe atteso
il mio ritorno
dal salvataggio di vite umane.
Però, quando mi sveglierei,
avrei sempre trovato (constatato) che la mia vita,
invece sarebbe stata, talvolta,
molto simile a un incubo.
6
Giuseppe Piemonte
Giovanna
In ottobre Silvia Cassano ci ha raccontato, in un intervento
presso la nostra università, come ha ricostruito la storia della
sua famiglia, perché tutti sentiamo prima o poi, nella vita,
questa necessità e le memorie familiari non appartengono solo
a noi, ma a una storia collettiva che dobbiamo, con semplicità
ed onestà, tramandare; le sue indicazioni mi sono state
preziose!
Giovanna aveva conosciuto Albano da bambina, alla scuola
elementare del rione di San Giacomo.
Erano nati nello stesso anno, 1895, figli di due emigranti: il
papà di Giovanna arrivava da Linz, mentre quello di Albano
era italiano e proveniva da Cesena. Le madri erano austriache,
una di Lubiana e l’altra triestina.
Giovanna era diventata velocemente
adolescente, dopo la perdita della mamma. Alla domenica poteva incontrare Albano, operaio meccanico; ne era innamorata e il suo affetto fu ricambiato.
In una domenica di giugno del 1914
festeggiarono il loro fidanzamento.
Purtroppo la storia, quella con la "s"
maiuscola, entrò con violenza nelle loro
semplici vite.
Giovanna Neumüller
Pochi giorni dopo un avvenimento drammatico: Sarajevo! Era
il 28 giugno 1914!
Giovanna e Albano si preoccuparono, perché lui non aveva la cittadinanza austriaca, quindi come italiano avrebbe dovuto
lasciare la città, assieme a migliaia di altri
regnicoli.
Lui si sentiva invece triestino, legato a
quel luogo che aveva visto nascere lui, i
suoi due fratelli e la sorella. Sua madre,
poi, era una vera triestina e gli aveva
Albano Biondi e amico
insegnato la dolce parlata familiare. Non conosceva nulla
dell'Italia, ma una cosa sapeva con certezza: non avrebbe mai
Le fotografie sono tratte da
ArFF: Collezione Neva Biondi
combattuto contro i triestini che avevano accolto la sua
famiglia di emigranti con tanta cordialità.
Passarono i mesi, già cominciavano a progettare le nozze di
giugno, quando si cominciò a respirare in città un'aria nuova.
In una tiepida giornata di maggio il dramma scoppiò: alla
notizia della dichiarazione di guerra dell'Italia all'Austria la
gente di San Giacomo cominciò a scendere in piazza, piena di
rabbia contro gli Italiani, che venivano chiamati "Pigne, traditori"! Giovanna era disperata, piena d'ansia corse a casa di
Albano per convincerlo a partire, ma lui era deciso ad aspettare l'arrivo della polizia, perché si sentiva un vero triestino.
La mattina seguente due guardie salirono per la via del Bosco:
Albano tentò una fuga verso i tetti, ma fu facilmente raggiunto
ed arrestato.
Giovanna arrivò proprio mentre lo trascinavano via; cominciò
così per lei un terribile periodo di ansia, senza notizie del
fidanzato, mentre ogni giorno era arrestato qualche altro
regnicolo. Arrivò l'inverno, senza ricevere notizie. Non aveva
perso le speranze, conosceva l’intraprendenza di Albano ed
era sicura che avrebbe trovato il modo per sopravvivere.
Finalmente, nella primavera del 1916, arrivò una cartolina.
Albano si trovava a Leibnitz, in un campo per gli stranieri
rimasti in Austria ed era stato scelto per lavorare alla costruzione della centrale idroelettrica di Faal sul fiume Drava.
A maggio del 1917 un’altra lettera di Albano la rese felice: le
diceva di raggiungerlo, la vita per lui era diventata più sicura
e sarebbe stato in grado di mantenere anche lei, se era
d’accordo.
Dovette attendere un po’ per avere tutti i documenti, ma alla
fine di giugno tutto era pronto e poté comunicarlo al fidanzato.
Lui le rispose: “Verrò a prenderti alla stazione”.
Partì, su un treno che portava verso il fronte orientale giovani
ragazzi triestini. Dopo aver oltrepassato Lubiana, arrivarono
al nord della regione slovena, oltre Maribor. Quando il treno si
fermò, Albano era già lì.
La mattina dopo fu celebrato il loro matrimonio nella chiesa di
Selnica sulla Drava: Giovanna emozionata, Albano sicuro di sé;
da quel giorno vissero lì fino alla fine della guerra.
Neva Biondi
Neva Biondi, è stata insegnante di materie letterarie nelle scuole superiori di Trieste, si è occupata di storia dei confini
orientali e di profughi della prima guerra mondiale, in particolar modo regnicoli.
Da quattro anni frequenta i nostri corsi di lingue e di pittura, segue diverse lezioni di cultura generale.
.
7
Quando Trieste rischiò di divenire
Teresiopoli
Il 13 maggio 1717 nasceva a Vienna Maria Teresa d’Asburgo, figlia
di quel Carlo VI che di lì a due anni avrebbe deciso di concedere a
Trieste lo statuto di Porto Franco, ovvero di porto in cui le navi di
tutte le provenienze potevano caricare e scaricare merci, venderle
e comprarle, scaricare prodotti grezzi e caricare prodotti senza
pagare dogana.
Maria Teresa, divenuta a soli 23 anni Imperatrice d’Austria nel
novembre 1740, ebbe grande peso e significato per la nostra città.
Nonostante la giovanissima età, seppe affrontare con sano buon
senso i suoi compiti, aprendo all'istruzione e lavorando intensamente per creare la Trieste cosmopolita che i nostri nonni
rimpiangono esternando la ben nota affermazione “si stava
meglio sotto l’Austria”. Proprio sotto il governo di Maria Teresa (e
del successore, il figlio Giuseppe II), infatti, Trieste fu protagonista
di un veloce sviluppo, trasformandosi profondamente.
In attesa che il Comune di Trieste pubblichi gli Atti dell’importante
convegno scientifico tenutosi lo scorso autunno al Museo Sartorio,
e che la Regione dia seguito all’auspicio espresso in quella sede di
organizzare un'esposizione su Maria Teresa d'Asburgo, per ricordare il trecentesimo genetliaco dell’imperatrice tanto cara ai
triestini ed il suo “assolutismo illuminato” la Società di cultura
Maria Theresia e il Ctt (Club Touristi Triestini) hanno organizzato,
d’intesa con la Università della Terza Età di Trieste, un ciclo di tre
incontri nella sede di Uni3Trieste.
Nella prima delle conversazioni, “Maria Theresia, Landesmutter”,
Santin ha presentato un’analisi dell’opera riformatrice della
sovrana nell’Europa danubiana. Innumerevoli furono le modifiche
operate dalla Kaiserin nell’organizzazione statale, dalla fiscalità
(estesa a nobili e clero sulla base del Tavolare, tuttora in vigore in
alcuni Comuni della nostra regione, del Veneto, della Lombardia e
nel Trentino Alto Adige), al diritto (con la separazione dei poteri e
l’abolizione della tortura), all’istruzione (resa obbligatoria per
maschi e femmine sino all’età di dodici anni), alla sanità (con una
campagna di vaccinazioni in anticipo sugli studi di Jenner).
La seconda conversazione, sul tema “Tu ne fosti la prescelta”, ha
permesso al relatore di esaminare gli effetti degli interventi
teresiani su Trieste. Se molte regioni e città dell’Impero ne
trassero beneficio, nessuna lo fece più di Trieste, dove vennero
realizzate la città nuova, le prime infrastrutture portuali e stradali, l’ospedale, l’acquedotto. Decisivi furono anche gli editti a
garanzia delle “nazioni” di Trieste (greca, illirica, ebraica, elvetica...) che fecero fiorire la città al punto che nella seconda metà
del ’700 si propose di mutarne il nome in Teresiopoli. Proposta poi
rimasta sulla carta, chissà quale fine farà l’odierna proposta di
intitolarle il Canale di Ponterosso?
A conclusione del ciclo, il terzo appuntamento, “L’alba
dell’emporio”, martedì 7 febbraio alle ore 17.30 sempre in
via Corti 1/1, offrirà tra l’altro l’occasione per ammirare il
filmato “Trieste, nasce una città”, che illustra lo sviluppo demografico e urbanistico-architettonico del porto franco asburgico.
Un’occasione decisamente da non perdere, trattandosi di un
filmato sconosciuto al grande pubblico.
Bruno Pizzamei
Protagonista delle tre serate è Luciano Santin, giornalista, volto e
penna noto ai triestini, autore tra l’altro di numerosi saggi, libri e
reportage sulla storia di Trieste e della Venezia Giulia.
Il dott. Lino Schepis, presidente di Uni3 ha
presentato il dott. Luciano Santin
L’Imperatrice Maria Teresa
Il pubblico attento e numeroso
8
Il solito viaggio
Da sempre, ogni anno della mia vita, all’inizio di agosto mi
metto in viaggio verso Norcia, il paese nativo di mia madre.
Sì, avete capito bene, proprio quella Norcia che il trenta
ottobre scorso è balzata all’attenzione della cronaca con
immagini che non avremmo mai voluto vedere, quelle di un
gruppo di monaci e di alcune persone sgomente inginocchiati,
in preghiera, davanti alle rovine delle chiese devastate dal
terremoto. Della basilica di San Benedetto era rimasta in piedi
la sola splendida facciata, dai vetri colorati del rosone filtrava
un sole dorato. Della cattedrale di Santa Maria Argentea si
vedeva il tetto crollato e le bianche pietre strappate dalla
facciata, il rosone lasciava passare frammenti di cielo
azzurro. Tutti salvi, per fortuna, gli abitanti ma costretti ad
abbandonare le loro case. Di questo paese conosco ogni
pietra e su ogni pietra sono risuonati, nel tempo, i discorsi
scherzosi o filosofici, i segreti raccontati o accolti, gli
argomenti sviscerati o dibattuti con persone a me care. Ogni
anno ad un certo punto delle vacanze sento il bisogno di
allontanarmi dal vocio della Piazza e del Corso e percorrere
in solitudine i vicoli silenziosi, sentire i miei passi sul selciato,
infilarmi in una delle tante chiese e riguardarmela con calma,
respirando il suo profumo di legno antico.
Quest’anno il destino mi ha messo davanti una brochure del
Circuito Museale in cui ho letto di una visita guidata in giro
per il paese alla scoperta delle diverse chiese e, pur
conoscendole tutte, istintivamente ho deciso di far parte di
quella piccola schiera di turisti che una domenica mattina si è
radunata in piazza, attorno ad una giovane guida.
Non sapevo ancora che mi era stata concessa l’occasione di
rivedere le chiese di Norcia per l’ultima volta, così come le
avevo sempre conosciute o come erano state restaurate dopo
l’ultimo sisma del ’79.
Adesso invece le immagini che vengono diffuse sono
struggenti: la chiesa Auditorium di San Francesco, dal
bellissimo rosone miracolosamente intatto, è scoperchiata
sotto il cielo aperto, di fronte la deliziosa facciata della
chiesetta di Santa Rita è polverizzata, la chiesa di San
Giovanni mostra da uno squarcio, su una parete, il prezioso
soffitto ligneo, la chiesa del Monastero di Sant’Antonio ora si
può scorgere anche dall'esterno della cinta muraria, parzialmente crollata, l’alto campanile rosicchiato e pericolante,
la bianca chiesa del Crocefisso è ridotta a brandelli, la chiesa
dell’Addolorata è un cumulo di macerie, rimane solo una
statua di gesso nella nicchia laterale a guardia del portone
semi sommerso dalle rovine, l’antica chiesa di San Lorenzo è
lacerata da profonde crepe e spaccature.
Non riesco a trovare le immagini della mia preferita, la chiesa
di Sant'Agostino dal magnifico portale ma so che anch'essa è
gravemente ferita. I vigili del fuoco eroici e instancabili
preservano, recuperano, salvano statue, tele, arredi, pezzi di
storia e di memoria e così preservano, recuperano e salvano
anche i nostri cuori spezzati. Mia madre ripeteva il detto
popolare secondo cui Norcia era caduta sette volte a causa dei
terremoti e sette volte si era rialzata, è una guerriera la mia
Norcia e non dubito che ce la farà anche questa volta.
Stefania Contini
Norcia, piazza San Benedetto
Stefania Contini è stata insegnante di scuola primaria. Giunta alla pensione, si è iscritta alla nostra Uni3 dove frequenta
alcuni corsi. Appassionata lettrice, quest’anno ha voluto immergersi nei segreti della Scrittura Creativa frequentando il
corso della Prof.ssa Carloni Mocavero. Il testo nasce da un’esperienza personale.
9
Senilità
Un pomeriggio di inizio novembre, l'atmosfera è quella tipica
dell'autunno inoltrato: umidità calda e appiccicosa nell'aria, a
terra un tappeto di foglie giallastre degli ippocastani del Viale
e la luce solare un po' appannata lascerà presto il posto al buio
della sera.
Luisa entra nella grande casa - finestre illuminate e una
vetrata impreziosita da un decoro multicolore - e si dirige
verso l'ampio salone di soggiorno, come fa ormai da mesi.
"Buona sera, buona sera signore", e immediatamente cento
pupille convergono su di lei, la scrutano, l'avvolgono con
sguardo indagatore. Sono tutte donne, due uomini silenziosi e
grigi se ne stanno in disparte, lontani da quell'universo
femminile che sembra non attirare la loro attenzione e
curiosità. Alcune abbondanti nella loro consistenza ma per lo
più segaligne, i volti rugosi, gli occhi spenti e inespressivi,
corpi abbandonati sulle sedie e sulle poltroncine, vicini agli
indispensabili ausili per muoversi con meno difficoltà e più
dignità.
Pare quello spazio la sala d'attesa di una stazione ferroviaria
ove, aspettando il treno, ognuno dei viaggiatori è assorto nei
propri pensieri e reagisce solo all'annuncio dell'imminente
arrivo.
"Buona sera, signora!". Qualcuna risponde con la parola al
saluto di Luisa, altre solo con lo sguardo e un timido sorriso.
In mezzo a loro un volto a lei caro si esprime in maniera più
decisa e coinvolta. "Ciao mamma, come va oggi?". "Come al
solito. Il tempo non passa mai", e la sommerge di domande.
"Cosa hai fatto oggi? Come sta Gino? E Alessandro lavora?
Pino è a casa?". Luisa si siede accanto a lei e risponde alle
solite domande, sempre quelle ogni giorno, quasi a
giustificare un residuo interesse alla vita al di fuori di quella
"casa" che le dà sicurezza e protezione ma la estranea
sempre più dalla realtà della vita ... "fuori".
Accanto alla mamma di Luisa è seduta Lina, il suo viso si apre
verso di lei con un sorriso. "Come va oggi, signora Lina?". .
"Oggi non ho una buona giornata, sono pervasa da una grande
malinconia, faccio brutti pensieri, non mi sento neanche tanto
bene a causa della mia asma. Spero passi presto questa
giornata e domani sia migliore". "Ma certo - le sorride Luisa vedrà che domani sarà meglio di oggi".
Poi Luisa saluta Marcella, vicina di stanza di sua madre.
Vorrebbe fare un minimo di conversazione, ma lo sguardo
contrariato della mamma, che vorrebbe per sé tutte le
attenzioni, la fa desistere. "Come vuole che vada - si lamenta
Marcella - poveri noi vecchi, il tempo passa lento: ne abbiamo
molto alle spalle e quello che ci resta è duro e faticoso".
Entra nel salone Maria, una donna minuta dallo sguardo
dolcissimo, Luisa la saluta sorridendo. "Ho tanto freddo oggi,
non riesco a scaldarmi, i dolori di schiena si fanno sentire
sempre più. Spero arrivi il mio tempo e la Madonna venga a
prendermi, sono proprio stufa!". "Coraggio signora Maria" le
dice Luisa, appoggiando delicatamente una mano sulla sua
spalla.
Le altre donne presenti hanno ripreso il loro atteggiamento
muto e silenzioso, lo sguardo un po' perso nel vuoto. Peccato,
pensa Luisa, potrebbero comunicare tra loro, scambiarsi
avvenimenti ed esperienze del loro tempo trascorso, ma non
succede. Solo di tanto in tanto il loro torpore è interrotto da
qualcuno o qualcosa che irrompe nella stanza. Qualcuno, come
il pronipote della Luciana, un bel bimbo di tre anni che il papà
ha portato a salutare la nonna, accompagnato dal suo
cagnolino, un simpatico batuffolo bianco.
Anche oggi il pomeriggio è trascorso. Nella "casa" a molti è
sembrato lento, "fuori" qualcuno lo avrebbe desiderato più
dilatato e produttivo.
E' presto ora di cena per gli ospiti. Mario, che i suoi
novantanove li porta benissimo, guarda l'orologio appeso alla
parete principale del salone e si accinge a premere il
campanello per l'avviso. Signori, a cena!
"Ciao, buona cena e buona notte, a domani". Il tempo scorre,
anche se diversamente, dentro e fuori.
Mariella Manzutto
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Mariella Manzutto, già dipendente di Stock SpA e collaboratrice dell'IRCI, attiva nel volontariato culturale, è iscritta da
alcuni anni alla nostra Uni3, dove frequenta il corso di scrittura creativa della Prof. Carloni Mocavero. Ama la lettura e la
scrittura. Il testo prende forma da un'esperienza diretta familiare presso una dimora per anziani.
70 anni fa nasceva il Ginnasio
Antonio Sema di Pirano
A fine novembre una conferenza organizzata dalla sede di
Muggia dell’Università della terza età di Trieste ha ripercorso
la storia del Ginnasio Antonio Sema di Pirano.
Fu alla fine della seconda guerra mondiale che si realizzò il
desiderio dei piranesi di istituire una scuola superiore.
Nell’agosto del 1945 un’assemblea popolare decise di fondare
il Ginnasio e Liceo Scientifico, che in soli due mesi aprì i battenti
nella sede provvisoria del Palazzo comunale. Gli inizi furono
difficili, mancavano spazi adeguati, libri di testo, mezzi
didattici. Primo preside fu Paolo Sema, figlio del maestro
Antonio (1888-1945),insegnante e attivista politico che visse e
lavorò a Pirano e, per le sue idee socialiste, fu perseguitato e
privato del lavoro; al punto che, per mantenere la famiglia,
dovette dare lezioni private. Insegnante severo, pretendeva
dagli allievi disciplina e impegno, ma grazie a lui in tanti
riuscirono a superare gli esami e a continuare gli studi.
Il corpo insegnante del nuovo istituto si impegnò per dare agli
allievi la miglior preparazione possibile con i pur limitati
mezzi a disposizione. Nel 1948 il Ginnasio si trasferì nel più
idoneo palazzo Bartole-Fonda, ma l’esodo della popolazione
italiana, avvenuto in diverse ondate fino alla metà degli anni
Cinquanta, influì sull’attività: partirono molti insegnanti e
gran parte degli allievi, la scuola faceva difficoltà a trovare
docenti qualificati con una conoscenza adeguata dell’italiano.
Nell’anno scolastico 1963/64 il numero degli allievi toccò il
minimo storico e l’Istituto rischiò il trasferimento se non la
chiusura.
Grazie all’impegno di alcuni connazionali e di personalità
politiche il Ginnasio sopravvisse, nel tempo si ripopolò e negli
anni Ottanta, con l’introduzione dell’istruzione indirizzata,
mantenne l’indirizzo matematico-scientifico; le iscrizioni aumentarono al punto che si dovettero introdurre gli esami di
ammissione. La sede risultava però inadeguata e fu deciso di
costruirne una nuova a Portorose: inaugurata il 10 giugno 1992,
a settembre la Scuola media scientifico-matematica con lingua
d’insegnamento italiana venne rinominata Ginnasio Antonio
Sema di Pirano. Il Ginnasio disponeva ora di una sede moderna,
di spazi e laboratori all’avanguardia, di una palestra e di un
campo sportivo, migliorò la qualità del lavoro pedagogico e la
scuola si aprì in maniera innovativa alle collaborazioni
internazionali.
Oggi il Ginnasio dispone non solo di una sede adeguata, ma
anche di un valido corpo docenti e registra una certa stabilità
nelle iscrizioni. Nella realizzazione delle strategie educative è
impegnato a trasmettere una vasta cultura generale con
particolare attenzione verso la lingua e la cultura italiana.
Come pure verso i valori della convivenza, del rispetto
reciproco, della responsabilità e della solidarietà, in condivisione con le idee e lo spirito di Antonio Sema, i cui
insegnamenti sono stati per i suoi allievi un’importante lezione
di vita.
Il numeroso pubblico, al termine, ha tributato un caloroso
applauso ai protagonisti della serata: Kristjan Knez, autore
della pubblicazione sul 70° anniversario del Ginnasio,
Aleksandra Rogić e Daniela PaliagaJanković, rispettivamente
preside ed ex preside dell’Istituto, ed il moderatore della
serata, il docente di Uni3Trieste Franco Stener.
Aleksandra Rogić
Antonio Sema
Il ginnasio oggi
Aleksandra Rogić è la preside del Ginnasio Antonio Sema di Pirano. Laureata in ingegneria navale, insegna informatica.
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siche che però non riusciamo ad assimilare se non con molta
perplessità.
Un uditore curioso
La Prof. ci porta più in là; ci cita una frase di Einstein: ”Io non ho
Scorrendo la locandina dell'undicesima settimana di attività della
nostra Università si ravvisa che, alle ore 17.30, in aula A la
professoressa Princivalli Maria Luisa, la decana delle insegnanti,
discute una lezione dal titolo: “La realtà non è come ci appare –
Le onde gravitazionali”.
La Prof. porta il suo uditorio attraverso una rapida carrellata che
parte dalle onde gravitazionali, dall'interazione tra spazio e
tempo, dalla comparazione tra chi vive accanto ad una grande
massa e quindi invecchia più rapidamente e chi vive lontano da
queste e quindi con maggior gioventù.
Porta i corsisti sull'orizzonte degli eventi al limite del “buco nero”
per poter mostrar loro che cosa succederebbe se potessero vivere
a tale limite.
Emerge comunque sempre di più la figura di un uomo eccezionale
che ha avuto il merito di concepire tutto questo e di concepirlo
all'inizio del ventesimo secolo: Albert Einstein. Una serie di
concetti che, gran parte di noi deve accettare ancora oggi senza
discutere, perché sono stati provati da infinite dimostrazioni fi-
alcuna qualità particolare, sono soltanto curioso”.
Dalla curiosità di Einstein all'istituzione della Uni3 il passo è breve;
tener accesa la “curiosità” dell'anziano, ma non solo di questa
generazione, significa arricchire la vita intellettuale dell'uomo,
anche se questo comporta per taluni qualche piccolo sacrificio e la
nostra Prof. in tutti questi anni di insegnamento qualche sacrificio
lo ha sicuramente fatto.
Con questo abbraccio tra curiosità e cultura la lezione finisce; la
professoressa Princivalli distribuisce e fa accendere le candeline,
ognuno si arma di bicchiere per brindare alla conclusione delle
lezioni per il 2016 di Maria Luisa Princivalli e per scambiarsi gli
auguri per le prossime festività.
A compiacersi della lezione sicuramente il Presidente dell'Uni3
Lino Schepis, presente alla chiacchierata di Maria Luisa e
consapevole del valore della conclusione che ha correlato la Uni 3
con la curiosità e la cultura.
Umberto Centa
Umberto Centa, già direttore tecnico della SIOT di Trieste, da tempo apprezzato docente della Uni3 su problemi portuali ed
ambientali, è anche noto ai nostri soci per le sue frequenti collaborazioni nell'organizzazione di visite a musei e gallerie, gite
ed altre iniziative culturali e ricreative.
NOVITA’ IN BIBLIOTECA: gli ultimi arrivi
01
02
03
04
05
06
07
J. Dicker
I. Falcones
C. Augias
E. Zemmour
P. Mieli
S. King
H. Hubert
08
IL LIBRO DEI BALTIMORE
GLI EREDI DELLA TERRA
I SEGRETI DI ISTANBUL
IL SUICIDIO FRANCESE
IN GUERRA CON IL PASSATO
FINE TURNO
ITALIA 1866. STORIA DI
UNA GUERRA PERDUTA E VINTA
DIECI E LODE
09
10
11
TEUTOBURGO
LA FINE DELLA STORIA
RAIS
M. V. Manfredi
L. Sepulveda
S. Perotti
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14
15
16
17
18
S. C. Modigliani 19
20
21
LA SPIA
L’ESTATE FREDDA
VIVA PIU’ CHE MAI
I TRADITORI
IL DOMATORE DI LEONI
IL CONSOLATORE
ZERO K
P. Coelho
G. Carofiglio
A. Vitali
G. De Cataldo
C. Lackberg
J. Gaarder
D. Delillo
LE TRE PAROLE CHE
CAMBIARONO IL MONDO
CROCEVIA
BUSSOLA
M. Auge
M. Verga Llosa
M. Enard
“Uni3TriesteNews”
è una pubblicazione della Università della Terza Età “Danilo Dobrina” collegata al sito www.uni3trieste.it
.
Comitato di redazione: Eugenio Ambrosi (direttore), Mario Grillandini (vice direttore), Luigi Milazzi,
Nicola Archidiacono, Bruno Pizzamei.
AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE DI TRIESTE DD.- 10/07/2015 N° 12/2015 E N° 2039/2015 V.G. REGISTRO INFORMATICO.
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