m come migrare

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M come “MIGRARE”
Migrare: verbo nomade, coniugato tra l’andare e il tornare.
Visto dal punto di partenza si legge e-migrare, dal punto d’arrivo im-migrare.
Participio presente: migrante, ma anche clandestino, extracomunitario, gastarbeiter,
meteco, dal greco metoikos, a metà strada tra il cittadino e lo schiavo.
Migrano le locuste, gli uccelli e gli elefanti.
E in questo caso sono specie migratorie.
E gli uomini, sono una specie migratoria?
Migratori erano certamente i miei bisnonni che partirono dall’Italia per il Brasile,
stipati su un bastimento perso nell’oceano tra Genova e Rio,
finiti a raccogliere caffè nelle piantagioni di Espírito Santo.
Migratori erano anche i miei genitori, saliti coi treni dal Sud, dalla Calabria a Torino,
incatenati per quarant’anni al montaggio di una Fiat
mentre ‘u figghiu’ studiava per primo all’università.
Migratore sarò anch’io,
il giorno che fuggirò dall’Italia con la mia laurea e il mio povero cervello,
in cerca di fortuna e d’uno stipendio.
Ma per il momento resto qua, a Porta Palazzo, che è un porto nel cuore di Torino,
luogo di derive e approdi, spiaggia mediterranea
su cui s’infrangono le ondate della migrazione.
Il mio medico, il panettiere, il benzinaio, il mio vicino di casa,
il muratore che ha costruito la casa, la badante di mio nonno,
i compagni di scuola dei miei figli, lo spacciatore all’angolo,
la prostituta e la suora, il mio collega, i miei amici.
Tutti sono voci del verbo migrare. Immigrati da dove?
Dal Marocco, dalla Cina, dalla Romania, dal Perù, dal Senegal,
dall’Albania, dalla Nigeria, dall’Ecuador, dal Bangladesh.
Insieme a loro altri quattro milioni. Perché?
Perché l’uomo ha piedi, non radici.
Migrare. Verbo coniugato al passato, al presente e al futuro,
senza eccezioni in ogni parte del globo.
Non c’è confine né frontiera, non c’è muraglia o barriera, non c’è mare,
non c’è deserto, non c’è espulsione né respingimento che li possa fermare:
i migranti r-esistono.
E noi con loro. Fianco a fianco, testa a testa, mano a mano.
Per fare insieme l’Italia che verrà, plurale e interculturale.
Francesco Vietti – Antropologo
Francesco Vietti ha condotto ricerche sul campo nei Balcani e nelle repubbliche ex sovietiche e
collabora con il Centro Interculturale della Città di Torino.
Attualmente svolge il dottorato di ricerca in “Migrazioni e processi interculturali” presso
l’Università degli Studi di Genova.
Tra le sue pubblicazioni:
Cecenia e Russia. Storia e mito del Caucaso ribelle (2005), Il Paese delle badanti.
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