Marco Pellin - Caratterizzazione elettro

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Facoltà di Ingegneria
Corso di Laurea in Ingegneria delle Telecomunicazioni
Caratterizzazione elettro-ottica
di rivelatori di radiazioni 3D-DDTC
Relatore
Prof. Gian-Franco Dalla Betta
Correlatore
Ing. Marco Povoli
Anno Accademico 2009/2010
Laureando
Marco Pellin
2
Indice
Indice delle illustrazioni......................................................................................5
Ringraziamenti....................................................................................................8
Introduzione.......................................................................................................10
Capitolo 1 - I rivelatori di radiazioni...............................................................12
1.1 La giunzione P-N.....................................................................................12
1.2 Polarizzazione..........................................................................................13
1.3 La radiazione luminosa............................................................................15
1.4 Rivelatori di radiazioni.............................................................................16
1.4.1 Rivelatori di radiazioni ad elettrodi planari.......................................16
1.4.2 Rivelatori 3D....................................................................................17
1.5 Rivelatori 3D-DDTC................................................................................19
1.6 Dispositivi in esame ed analisi teorica.....................................................22
1.6.1 Layout e package.............................................................................22
1.6.2 Obbiettivi del lavoro.........................................................................25
Capitolo 2 - Setup di misura ............................................................................27
2.1 Strumentazione........................................................................................27
2.2 Problematiche e considerazioni preliminari sul setup..............................32
Capitolo 3 - Misurazioni ed analisi dei dati.....................................................33
3.1 Impulso laser............................................................................................33
3.2 Configurazione “Texas”..........................................................................34
3.1.1 Risultati 3D – 100μm – connessione a striscia...................................35
3.1.2 Risultati 3D – 80μm – connessione a striscia.....................................37
3.1.3 Risultati 3D – 80μm – diffusione uniforme........................................38
3
3.2 Configurazione “Andreis”.......................................................................40
3.2.1 Risultati 3D – 100μm – connessione a striscia...................................40
3.2.2 Risultati 3D – 80μm – connessione a striscia.....................................42
3.2.3 Risultati 3D – 80μm – diffusione uniforme........................................44
3.3 Analisi del problema “ripple”...................................................................45
3.3.1 Prova con l'americio...........................................................................45
3.3.2 Analisi del package...........................................................................46
3.3.3 Simulazione SPICE............................................................................47
Conclusioni........................................................................................................50
Bibliografia........................................................................................................52
4
Indice delle illustrazioni
Figura 1.1: Distribuzione della carica elettrica in una giunzione p-n..................13
Figura 1.2: Spettro della radiazione elettromagnetica.........................................15
Figura 1.3: Schematico di raccolta di carica fotogenerata in un (a) rivelatore
di radiazioni ad elettrodi planari ed in un (b) detector 3D................18
Figura 1.4: Sezione della struttura di un rivelatore 3D-DDTC............................19
Figura 1.5: Simulazione della distribuzione del campo elettrico in una
sezione presa lungo la diagonale di un quarto di cella. La colonna
giunzione è posta ad x = 0 e la colonna ohmica a x = 40 μm............21
Figura 1.6: Segnale di transitorio in rivelatori 3D con differenti geometrie
realizzate in una simulazione ad una tensione di bias di 16 V in
risposta ad una particella MIP...........................................................22
Figura 1.7: Ingrandimenti dei differenti dispositivi in esame: (a) pitch-80
con connessione con diffusione uniforme; (b) pitch-80;
(c) pitch-100 con diffusione uniforme; (d) pitch-100 con
connessione a striscia.......................................................................23
Figura 1.8: (a) Layout del package e (b) fotografia del dispositivo
pitch-100 in analisi...........................................................................24
Figura 2.1: Generatore di tensione KEITHLEY 6487.........................................27
Figura 2.2: Generatore di tensione HP E3631A..................................................28
Figura 2.3: Generatore di forme d'onda Agilent 33220A....................................28
Figura 2.4: Oscilloscopio Tektronix TDS 3052B................................................29
5
Figura 2.5: Amplificatore Texas Instruments THS4303......................................29
Figura 2.6: Amplificatore “Andreis Franco”.......................................................30
Figura 2.7: Laser driver “Zeni”...........................................................................31
Figura 2.8: Schedina di supporto realizzata in laboratorio..................................31
Figura 3.1: Collimatore sopra al diodo connesso alla scheda di supporto...........33
Figura 3.2: Misurazione dell'impulso laser..........................................................34
Figura 3.3: Visione dall'alto della scatola contenente supporto per il diodo ed
amplificatore. Sono visibili i connettori di bias, alimentazione ed
uscita................................................................................................35
Figura 3.4: Transitorio del diodo pitch-100 connessione a striscia......................35
Figura 3.5: Grafico del valore di FWHM in funzione della tensione di bias.......36
Figura 3.6: Transitorio del diodo pitch-80 connessione a striscia........................37
Figura 3.7: Confronto tra diodi pitch-100 e pitch-80 connessione a striscia.......37
Figura 3.8: Transitorio del diodo pitch-80 diffusione uniforme..........................38
Figura 3.9: Confronto tra diodi pitch-80 con connessione a striscia o a
diffusione uniforme per valori di FWHM in funzione del bias.........39
Figura 3.10: Visione dall'alto della scatola contenente il supporto per il diodo
opportunamente riadattato e l'amplificatore “Andreis”.....................40
Figura 3.11: Transitorio del diodo pitch-100 connessione a striscia....................41
Figura 3.12: Confronto tra le misure dei tempi di risposta del diodo pitch-100
con connessione a striscia effettuate con i due amplificatori in
dotazione..........................................................................................41
Figura 3.13: Transitorio del diodo pitch-80 connessione a striscia......................42
6
Figura 3.14: Confronto tra le misure dei tempi di risposta del diodo pitch-80
con connessione a striscia effettuate con i due amplificatori in
dotazione..........................................................................................42
Figura 3.15: Confronto tra diodi pitch-80 con connessione a striscia e
colonne giunzione profonde 100 e 150 μm per valori di FWHM
in funzione della tensione di polarizzazione.....................................43
Figura 3.16: Transitorio del diodo pitch-80 con diffusione uniforme..................44
Figura 3.17: Confronto tra le misure dei tempi di risposta del diodo pitch-80
con diffusione uniforme effettuate con i due amplificatori in
dotazione..........................................................................................44
Figura 3.18: Sorgente di Americio-241...............................................................45
Figura 3.19: Transitorio di una particella alfa nel diodo pitch-80 con
connessione a striscia.......................................................................46
Figura 3.20: Schematico del circuito equivalente al sistema di test.....................48
Figura 3.21: Forma d'onda generata dalla simulazione SPICE all'uscita
dell'amplificatore..............................................................................48
Figura 3.22: Confronto tra il segnale reale e quello simulato con SPICE............49
7
Ringraziamenti
Ringrazio il Prof. Gian-Franco Dalla Betta per la grande disponibilità offerta
durante l'intera attività e per i preziosi consigli ed accorgimenti datimi per la
stesura dell'elaborato.
Ringrazio l'ing. Marco Povoli per avermi sempre concesso il suo aiuto per la
comprensione ed il corretto svolgimento delle attività pratiche.
Infine un ringraziamento particolare a Gaia e alla mia famiglia per avermi
sostenuto in ogni momento durante questi anni di studio.
8
9
Introduzione
Per ovviare alle limitazioni dei detector planari è stata proposta nel 1997 una
nuova tipologia di rivelatori di radiazioni, i detector 3D. Grazie ai vantaggi che
tali dispositivi comportano, le applicazioni possibili sono svariate:
•
la fisica delle alte energie, per la loro intrinseca resistenza al danno da
radiazione;
•
le applicazioni diagnostiche con raggi X in ambito medico (mammografia)
o industriale, grazie soprattutto alla velocità di risposta ed al forte
contrasto nelle immagini;
• applicazioni relative al monitoraggio di radiazioni per il controllo
ambientale;
•
esperimenti con luce di sincrotrone per ricostruzione di sequenze del DNA
(DNA sequencing) oppure utilizzando traccianti radioattivi;
• studio di strutture molecolari e cristallografia di proteine;
•
fotorivelatori veloci in comunicazioni ottiche a corto raggio e in sistemi di
imaging avanzati.
Questo elaborato descrive i principali risultati inerenti la caratterizzazione
elettro-ottica di rivelatori per radiazioni ad elettrodi tridimensionali. In
particolare l’attività svolta si è concentrata sulla caratterizzazione di una
particolare struttura di diodo 3D progettata dall’Università di Trento e fabbricata
presso FBK-irst con una tecnologia che si differenzia leggermente da quella
originariamente proposta, puntando all'individuazione di un dispositivo efficiente
ma di più facile e rapida fabbricazione rispetto al rivelatore standard.
L’obbiettivo principale della tesi è quello di valutare le caratteristiche principali
dei diodi 3D in esame, in particolare osservando la rapidità di risposta ad impulsi
laser appositamente generati per la stimolazione dei rivelatori.
10
Introduzione
La tesi è suddivisa in tre capitoli, brevemente riassunti di seguito.
Nel capitolo 1 verranno introdotte le principali proprietà fisiche dei
semiconduttori, la giunzione P-N, la struttura dei rivelatori tridimensionali e più
in particolare dei dispositivi in esame.
Nel capitolo 2 vengono illustrati i principali strumenti impiegati in laboratorio, e
le precauzioni utilizzate per ottenere una più corretta possibile raccolta dati.
Nel capitolo 3 verranno esposti i risultati sperimentali ottenuti ed analizzati
confrontandoli con le aspettative iniziali.
11
Capitolo 1
I rivelatori di radiazioni
Prima di passare all'analisi di quanto realizzato in laboratorio è necessario
conoscere la teoria che sta alla base dei rivelatori di radiazioni sotto esame.
Il seguente capitolo è focalizzato alla raccolta di alcuni elementi chiave,
evidenziando gli aspetti più significativi per l'interpretazione dei dati sperimentali
raccolti in laboratorio.
1.1 La giunzione P-N
I semiconduttori sono materiali molto utilizzati in campo microelettronico in
quanto essi si comportano come isolanti a temperature molto basse, mentre a
temperatura ambiente presentano una conducibilità elettrica non trascurabile.
Nella loro forma intrinseca, essi hanno però una resistività troppo elevata per
poter essere utilizzati come base dei dispositivi elettronici. Per aumentare il
numero di portatori di carica liberi presenti nel materiale si utilizza un
procedimento chiamato drogaggio, ossia si introduce nell'elemento una piccola
quantità di atomi con precise caratteristiche. Qualora si usino atomi donatori,
aventi nel loro orbitale
esterno un elettrone di valenza in più, il materiale
presenterà un eccesso di elettroni nella banda di conduzione e sarà indicato come
semiconduttore di tipo N; nel caso in cui vengano usati atomi accettori, aventi
cioè un elettrone in meno nel loro orbitale esterno, il tipo del semiconduttore
sarà P ed i portatori di carica presenti in maggioranza saranno le lacune.
Mediante l'accostamento dei due tipi di semiconduttore drogato appena
descritti si avrà, nella zona di separazione tra le due regioni, la cosiddetta
giunzione P-N. Si assisterà quindi ad un movimento degli elettroni dalla zona N,
12
1.1 La giunzione P-N
in cui sono in maggioranza, verso la zona P, in cui sono in minoranza. A questo
punto è molto probabile che elettroni e lacune si incontrino a metà strada e si
ricombinino nei pressi della giunzione. Intorno ad essa si avrà dunque una
regione priva di portatori di carica, nota come zona di svuotamento o regione di
carica spaziale, la quale si estenderà nelle due zone laterali in maniera
inversamente proporzionale alla concentrazione del loro drogaggio. Tale
processo, senza contributi esterni, si arresta molto rapidamente in quanto
elettroni e lacune durante lo spostamento lasciano dietro di loro gli ioni positivi
degli atomi donatori e gli ioni negativi degli atomi accettori, generando un campo
elettrostatico che si oppone al moto di diffusione dei portatori di carica.
La distribuzione delle cariche elettriche in una giunzione P-N è rappresentata
schematicamente in Figura 1.1.
Figura 1.1: Distribuzione della carica elettrica in una giunzione p-n.
1.2 Polarizzazione
Polarizzare “direttamente” una giunzione P-N significa alimentarla con un
generatore il cui polo positivo è collegato al semiconduttore di tipo P ed il polo
negativo è collegato al semiconduttore di tipo N. Così facendo le lacune nella
regione di tipo P e gli elettroni nella regione di tipo N sono spinti verso la
giunzione. Aumentando la tensione applicata, si riduce la barriera di potenziale
elettrico ed il moto diffusivo di elettroni e lacune può prevalere su quello ohmico,
13
1.2 Polarizzazione
permettendo alla corrente di scorrere nel dispositivo, in quanto, da un punto di
vista macroscopico, vi saranno elettroni che si muovono dalla regione N
attraversando la giunzione e lacune che dalla regione P attraversano la giunzione
in direzione opposta.
Polarizzare ”inversamente” una giunzione P-N corrisponde ad alimentarla
con un generatore il cui polo positivo è connesso alla regione N ed il cui polo
negativo è connesso alla regione P. In questo modo elettroni e lacune vengono
allontanati dalla giunzione. Si assiste dunque ad un allargamento della zona di
carica spaziale e questo effetto aumenta sensibilmente all’incrementare della
tensione di polarizzazione inversa. I rivelatori di radiazioni vengono solitamente
utilizzati in questa configurazione, in quanto l'allargamento della regione di
svuotamento determina un aumento del volume sensibile per la raccolta della
carica fotogenerata. Le cariche create fuori dalla regione di svuotamento possono
ricombinarsi con elettroni e lacune presenti nel materiale e questa parte del
segnale andrà persa. Inoltre, dato che in questa configurazione la corrente inversa
è molto bassa, il segnale generato dalla radiazione incidente è facilmente
osservabile, cosa che non succederebbe in polarizzazione diretta dato che le
cariche fotogenerate andrebbero a confondersi con quelle dell’elevata corrente
diretta. L’intensità del campo elettrico all’interno della regione svuotata aumenta
al crescere della tensione di polarizzazione inversa. Quando tale intensità supera
un livello critico, la giunzione P-N passa in uno stato chiamato breakdown in cui
la corrente inizia a scorrere attraverso di essa. Nel caso dei detector, questa
situazione, se non controllata opportunamente come ad esempio nel caso dei
diodi a valanga, può comportare l’impossibilità di rivelare il segnale utile poiché
sovrastato da tale corrente di breakdown.
14
1.3 La radiazione luminosa
In fisica con il termine radiazione si indica un qualsiasi processo in cui l'energia
emessa da un corpo, sotto forma di onda o di energia cinetica propria di alcune
particelle, si propaga attraverso lo spazio o un mezzo materiale per essere poi
assorbita da un altro corpo. Esistono diverse tipologie di radiazioni a seconda
della loro natura, ma quelle di maggior interesse nel nostro caso sono la
radiazione luminosa e la radiazione ionizzante.
La luce è una radiazione elettromagnetica avente lunghezza d'onda visibile
all'occhio umano1 e composta da fotoni, particelle portatrici di energia che
viaggiano alla velocità della luce2.
La radiazione ionizzante consiste di onde elettromagnetiche ad alta energia
emesse per radioattività naturale o artificiale. Nell'attraversare la materia essa
libera alcuni elettroni dagli atomi o dalle molecole della struttura fisica della
materia stessa, mediante il processo di ionizzazione. La frequenza di tale
fenomeno non dipende dal numero delle particelle incidenti, ma dalla loro
energia, e quindi, complessivamente, dall'energia dell'onda. Lo spettro della
radiazione elettromagnetica con la nomenclatura tipicamente utilizzata per le
diverse radiazioni è rappresentato in Figura 1.2.
Figura 1.2: Spettro della radiazione elettromagnetica
1. Nel range tra 390 nm e 770 nm
2. La velocità della luce nel vuoto è pari a 299.792.458 m/s
15
1.4 Rivelatori di radiazioni
I rivelatori di radiazioni a semiconduttore sfruttano la giunzione P-N, in
particolare la regione di svuotamento, per la trasformazione dell'energia rilasciata
dal passaggio di particelle in segnale elettrico.
Per avere generazione di carica all’interno del semiconduttore è necessario
che il fascio di fotoni abbia energia sufficiente per rompere il legame che tiene
uniti gli elettroni ai rispettivi atomi, andando a generare coppie elettrone-lacuna.
Tali cariche elementari vengono prontamente espulse dalla regione per effetto del
campo elettrico. Ponendo agli estremi della giunzione degli appositi elettrodi è
possibile acquisire così un segnale in corrente proporzionale all’energia di
ionizzazione rilasciata.
Sebbene la giunzione P-N possa essere utilizzata come rivelatore di particelle
anche in condizione di equilibrio, risulta normalmente vantaggioso polarizzare
inversamente la giunzione per aumentare la dimensione della regione di
svuotamento ed ottenere così un rivelatore con maggiore sensibilità, efficienza e
velocità.
1.4.1 Rivelatori di radiazioni ad elettrodi planari
Questa tipologia di rivelatori di radiazioni ha come struttura di base un diodo a
giunzione P-N con gli elettrodi posizionati in superficie, ovvero molto più estesi
lateralmente che in profondità.
Come visto in precedenza, la polarizzazione inversa applicata al diodo genera
all’interno del rivelatore un campo elettrico che aiuta la raccolta della carica
fotogenerata. La regione che più contribuisce a svolgere questo compito è il
substrato, in quanto negli elettrodi l’elevata percentuale di drogaggio fa sì che il
tempo di vita dei portatori sia notevolmente minore, accentuando i fenomeni di
ricombinazione.
Per questo tipo di rivelatori sono normalmente necessarie tensioni di alcune
decine di volt per svuotare completamente il substrato, il quale solitamente ha
16
1.4 Rivelatori di radiazioni
uno spessore nell’ordine delle centinaia di micron; inoltre la distanza che le
cariche fotogenerate devono percorrere per essere raccolte dagli elettrodi è
tipicamente elevata (di lunghezza pari allo spessore del substrato).
Se sottoposti ad elevate fluenze di radiazione, i rivelatori planari degradano
progressivamente le loro caratteristiche, a causa di tre principali effetti indotti
dalla radiazione stessa:
a) aumento della corrente di leakage (proporzionale alla fluenza);
b) aumento della concentrazione efficace del drogante (circa proporzionale
alla fluenza), che comporta maggiore difficoltà nello svuotamento del
substrato;
c) intrappolamento della carica, normalmente descritto in termini di
trapping times (inversamente proporzionali alla fluenza).
1.4.2 Rivelatori 3D
Per ovviare alle limitazioni dei detector planari è stata proposta nel 1997 una
nuova tipologia di rivelatori di radiazioni che ha destato molto interesse per
numerosi aspetti tra cui ridotta tensione di svuotamento, rapida raccolta di carica
e resistenza molto elevata al danno da radiazione. L’idea di base era quella per
cui, al posto degli elettrodi planari adagiati sulla superficie del materiale, se ne
proponevano altri che attraversando tutto il substrato disaccoppiassero il volume
attivo del rivelatore, dato dallo spessore della fetta utilizzata, dalla distanza che i
portatori di carica devono coprire per essere raccolti dagli elettrodi stessi,
determinata dal layout.
I rilevatori 3D consistono infatti in un array di elettrodi colonnari di entrambi
i tipi dopanti disposti in celle adiacenti di geometrie opportune ed orientati
perpendicolarmente alla superficie della fetta, penetrando interamente un
substrato di silicio ad alta resistività. La distanza tra gli elettrodi può essere così
ridotta a qualche decina di micron e disaccoppiata dallo spessore della fetta (si
veda ad esempio Figura 1.3).
17
1.4 Rivelatori di radiazioni
(a)
(b)
Figura 1.3: Schematico di raccolta di carica fotogenerata in un (a) rivelatore di
radiazioni ad elettrodi planari ed in un (b) detector 3D.
Con questo tipo di struttura la regione di svuotamento cresce lateralmente tra gli
elettrodi, la cui distanza è molto più piccola (circa un fattore 10) rispetto allo
spessore di substrato, così che il voltaggio di svuotamento totale può essere
ridotto drammaticamente (circa un fattore 100) rispetto ai rivelatori planari.
Le linee del campo elettrico iniziano da un tipo di elettrodo e finiscono
all'elettrodo di tipo opposto più vicino parallelamente alla superficie della fetta.
Similarmente ai rilevatori standard, la forza del campo elettrico è controllata
mediante la tensione di polarizzazione.
Nei rivelatori planari inoltre ogni portatore di carica è generato ad una
distanza differente dall'elettrodo di raccolta, inducendo l'impulso di segnale a
tempi differenti. Questo effetto può essere fortemente ridotto nei rivelatori 3D,
poiché tutte le cariche lungo il percorso di ionizzazione sono generate in una
distanza molto più breve tra gli elettrodi, generando un segnale più rapido.
18
1.5 Rivelatori 3D-DDTC
Cercando di mantenere alte prestazioni ma volendo ridurre la complessità del
processo di fabbricazione, in quanto una produzione di un gran numero di tali
dispositivi è critica e costosa, viene presentata una nuova tipologia di rivelatore
denominata “3D Double sided Double Type Column”.
Il nome indica il fatto che le colonne-elettrodo di un tipo di dopante sono incise
dal lato superiore del dispositivo, mentre quelle dell'altro tipo sono incise sul lato
inferiore. Gli elettrodi colonnari non passano però attraverso tutto lo spessore del
substrato, ma si fermano a pochi micrometri dal lato opposto. Questa struttura è
simile al convenzionale rivelatore 3D, ma ha un processo di fabbricazione più
semplice perché si evita la difficoltà di drogare i due differenti tipi di fori dallo
stesso lato, le colonne non vengono riempite di polisilicio come nel caso del 3D
convenzionale, ed inoltre non è necessario attaccare e poi rimuovere una fetta di
supporto per evitare rotture durante la fabbricazione.
Un esempio di struttura è riportato in Figura 1.4. In particolare questi
dispositivi hanno diametro dei fori pari a 10 μm e la distanza “d” è variabile in
fase di fabbricazione ma dovrebbe essere mantenuta il più piccola possibile per
far sì che le prestazioni si avvicinino molto a quelle del rivelatore 3D originale.
Il substrato è di tipo P, le colonne di giunzione (N+) sono scavate dal lato
superiore del wafer mentre quelle di contatto ohmico (P+) sono scavate da quello
inferiore. Il segnale è letto dagli elettrodi di tipo N+ mentre quelli di tipo P+ sono
tutti connessi insieme da un drogaggio superficiale e da una metallizzazione sul
lato inferiore del wafer.
Figura 1.4: Sezione della struttura di un rivelatore 3D-DDTC
19
1.5 Rivelatori 3D-DDTC
Questa tecnologia 3D alternativa ha però alcuni inconvenienti. Uno di questi è
relativo agli elettrodi che essendo vuoti sono a tutti gli effetti delle regioni morte.
Tale problema è parzialmente risolvibile inclinando il detector di qualche grado
rispetto alla direzione di incidenza della radiazione. È necessario prestare poi
particolare attenzione a due regioni del dispositivo che possono essere critiche
dal punto di vista del fenomeno di breakdown. La prima zona critica è presente
dove la colonna N+ raggiunge la massima profondità, punto in cui le linee di
campo sono concentrate attorno al bordo inferiore dell’elettrodo e fanno si che il
campo elettrico totale cresca notevolmente in tale regione. La seconda zona
critica è vicina alla superficie superiore del detector, dove è presente lo strato
superficiale di ossido che porta con sé una carica fissa positiva; per ridurre lo
strato di elettroni attratti da tale carica sono possibili due soluzioni:
•
p-spray: uno strato uniforme di semiconduttore di tipo p debolmente
drogato impiantato in superficie
•
p-stop: una regione di tipo p che circonda ogni elettrodo
La prima tecnica ha il vantaggio di essere di più semplice realizzazione, non
richiedendo litografie, ma comporta rischi di breakdown prematuro prima
dell’irraggiamento, in quanto il potenziale applicato cade in una regione di carica
spaziale molto ridotta tra lo strato N+ dell'elettrodo e lo strato p-spray, generando
un campo elettrico molto elevato. Utilizzando la seconda tecnica, invece, la zona
a carica spaziale si sviluppa tra gli elettroni attratti dalla carica fissa positiva
dell’ossido presente sulla superficie del dispositivo e lo strato P. Questa
situazione è meno critica della precedente prima dell’irraggiamento, dato che la
regione di svuotamento può espandersi maggiormente. Dopo l’irraggiamento,
però, la concentrazione di carica positiva nell’ossido aumenta, provocando
l’aumento della tensione di breakdown per il p-spray e la sua riduzione con il pstop. La scelta va quindi fatta in base allo scenario di irraggiamento previsto
dall’applicazione considerata.
I risultati relativi alla distribuzione del campo elettrico (pre-irraggiamento)
simulati per la porzione del rivelatore indicata con il tratteggio in Figura 1.4 sono
osservabili in Figura 1.5 per una tensione di polarizzazione pari a 10 V. Nel caso
20
1.5 Rivelatori 3D-DDTC
di elettrodi completamente passanti il campo elettrico è pressoché uniforme
anche se vicino alla superficie superiore il p-spray ne modifica il comportamento
in modo consistente e di fatto il picco di campo è osservabile proprio in questa
regione in presenza della giunzione tra elettrodo N+ e p-spray. Andando ad
aumentare gradualmente il valore di “d” si nota che la distribuzione del campo
elettrico è molto meno uniforme. Il picco rimane sempre sulla superficie
superiore e si possono notare delle regioni a campo elettrico più basso tra la
punta dell’elettrodo e la superficie opposta del wafer. In questa particolare
configurazione è possibile controllare l’intensità del campo elettrico nella regione
dove gli elettrodi sono sovrapposti aumentando la tensione di polarizzazione
inversa. Ovviamente la distanza “d” deve essere mantenuta più bassa possibile.
Per quanto riguarda le prestazioni delle diverse configurazioni possiamo
osservare nella Figura 1.6 i risultati relativi alla corrente indotta da una particella
al minimo di ionizzazione (MIP) raccolta dall'elettrodo giunzione ad una tensione
di polarizzazione pari a 16 V. Come previsto dalle ipotesi, più d è mantenuto
piccolo, maggiore è il picco di corrente e più breve è il tempo di raccolta di
carica.
Figura 1.5: Simulazione della distribuzione del campo elettrico in una sezione
presa lungo la diagonale di un quarto di cella. La colonna giunzione è posta ad
x = 0 e la colonna ohmica a x = 40 μm.
21
1.5 Rivelatori 3D-DDTC
Figura 1.6: Segnale di transitorio in rivelatori 3D con differenti geometrie
realizzate in una simulazione ad una tensione di bias di 16 V in risposta ad una
particella MIP.
1.6 Dispositivi in esame ed analisi teorica
Dopo aver osservato la teoria che sta alla base dei diodi 3D-DDTC, osserviamo i
componenti sotto esame e le loro caratteristiche.
1.6.1 Layout e package
I diodi 3D-DDTC analizzati in laboratorio sono stati realizzati con fette spesse
200 μm e hanno dimensioni superficiali pari a 2,6 x 2,6 mm (si vedano alcuni
esempi di fotografie in Figura 1.7). Le colonne, incise mediante una tecnica
denominata DRIE (Deep Reactive Ion Etching) hanno diametro di 10 μm e
diverse profondità: gli elettrodi P+ hanno profondità compresa tra 180 e 190 μm,
mentre le colonne giunzione (N+) sono profonde 150 μm. Gli elettrodi di tipo
differente si sovrappongono quindi per circa 130 μm.
22
1.6 Dispositivi in esame ed analisi teorica
(a)
(b)
(c)
(d)
Figura 1.7: Ingrandimenti dei differenti dispositivi in esame: (a) pitch-80 con
connessione con diffusione uniforme; (b) pitch-80; (c) pitch-100 con diffusione
uniforme; (d) pitch-100 con connessione a striscia.
I dispositivi analizzati si differenziano tra loro per alcuni particolari. La
prima distinzione è relativa al “pitch”, ossia alla distanza tra colonne dello stesso
tipo. In particolare abbiamo quattro dispositivi con pitch di 80 μm e quattro con
pitch di 100 μm. Avendo stessa area complessiva il diodo pitch-80 ha una matrice
di colonne 20x20, mentre quello con pitch-100 ne ha una 16x16. All'interno di
23
1.6 Dispositivi in esame ed analisi teorica
ogni gruppo di quattro elementi è presente un'ulteriore distinzione data dalla
tecnica con la quale le colonne giunzione sono connesse tra loro, ossia mediante
una diffusione uniforme N+ di metallo sulla superficie (immagini a e c in Figura
1.7), oppure attraverso delle strisce di diffusione N+ tra gli elettrodi (immagini b e
d in Figura 1.7). Le colonne P+ sono invece connesse assieme da una diffusione
superficiale P+ e da una metallizzazione uniforme sulla parte inferiore. Le due
superfici del detector sono quindi sostanzialmente due array di colonne connesse
tra loro e così formanti i terminali del diodo. E' attraverso la polarizzazione dei
due tipi di colonne che possiamo svuotare il volume del rivelatore aumentandone
la sensibilità.
L'area attiva del detector è poi circondata da un p-stop ed un guard ring, ossia
un anello di guardia atto ad intercettare eventuali correnti indesiderate prima che
esse raggiungano gli elettrodi; il tutto è ulteriormente limitato da una tripla serie
di p-stop.
Come ben visibile dalle fotografie in Figura 1.7, agli angoli della regione
attiva e nella zona dell'anello di guardia sono presenti delle aree metalliche
realizzate appositamente per effettuare il “bonding”, ossia la connessione tra
dispositivo e package su cui esso è posizionato.
(a)
(b)
Figura 1.8: (a) Layout del package e (b) fotografia del dispositivo pitch-100 in
analisi.
24
1.6 Dispositivi in esame ed analisi teorica
Sono stati quindi realizzati due diversi campioni differenziati secondo il valore di
pitch, all'interno dei quali sono presenti due coppie di diodi con le due differenti
modalità di connessione delle colonne giunzione e con tutte le caratteristiche
tecniche descritte in precedenza, come osservabile dal layout e dalla foto del
package in Figura 1.8.
1.6.2 Obiettivi del lavoro
Il nostro obiettivo è quello di misurare il tempo di raccolta della carica dei
rivelatori in esame. Per fare questo simuleremo la stimolazione da parte di
particelle cariche usando un diodo laser impulsato e con lunghezza d'onda
appropriata. Per effettuare questa scelta c'è da considerare come prima cosa che il
silicio assorbe i fotoni durante il loro passaggio, portando ad un decremento
dell’intensità di radiazione proporzionalmente alla profondità di penetrazione.
Per questo il numero di coppie elettrone-lacuna generate dalla radiazione è
solitamente inferiore al numero di fotoni presenti nel raggio incidente.
La massima lunghezza d’onda assorbibile dal silicio è pari a:3
max =h
c
=1.12  m
Eg
Il semiconduttore risulta essere quindi trasparente a radiazioni con lunghezza
d’onda maggiore di max .
Il secondo fattore coinvolto nella scelta è relativo alle caratteristiche
riguardanti la profondità delle colonne nei rivelatori. Conoscendo la struttura
interna del dispositivo abbiamo scelto una lunghezza d'onda che permetta la
massima stimolazione, decidendo di usare un laser da 980 nm, ossia nel vicino
all'infrarosso, poiché è in grado di penetrare nel substrato fino a circa 100 μm,
corrispondenti a metà spessore dei dispositivi in esame, zona in cui le colonne
sono perfettamente sovrapposte.
3.
E g=1,12 [ eV ] a temperatura ambiente; h = costante di Planck
25
1.6 Dispositivi in esame ed analisi teorica
In questo modo stimoliamo il detector inviando sulla sua superficie degli impulsi
luminosi appositamente generati. Il segnale uscente dal rivelatore ha però
un'ampiezza molto ridotta ed è quindi necessario usare un amplificatore. L’output
di quest'ultimo è poi connesso ad un canale dell’oscilloscopio mediante il quale è
possibile prelevare i dati relativi alle differenti misurazioni da effettuare.
Possiamo così osservare come varia il segnale uscente dal detector, in termini di
ampiezza e tempo di raccolta della carica al variare della tensione di
polarizzazione applicata al dispositivo, il tutto avendo note le diverse
caratteristiche del singolo rivelatore.
Conoscendo i risultati ottenuti in passato da simulazioni effettuate su
dispositivi con colonne giunzione profonde circa 120 μm, dovremmo essere in
grado di osservare dei tempi di raccolta di carica più rapidi o quantomeno
paragonabili ad essi. Inoltre dovremmo notare anche una differenza tra i segnali
generati da rivelatori con pitch differenti, in quanto più le colonne sono vicine tra
loro e più la raccolta di carica effettuata dagli elettrodi sarà rapida; un'ulteriore
distinzione sarà presumibilmente presente tra i due tipi di connessioni effettuate
per l'unione delle colonne N+, poiché la presenza della diffusione superficiale può
far variare sia la trasmissione dei fotoni attraverso gli strati che ricoprono il
silicio, sia la distribuzione del campo elettrico vicino alla superficie.
26
Capitolo 2
Setup di misura
2.1 Strumentazione
Nel seguito vengono elencati con breve descrizione gli strumenti utilizzati in
laboratorio per la fase di misurazione ed elaborazione dati.
1. KEITHLEY 6487 Picoammetter Voltage Source (Fig. 2.1)
Generatore di tensione continua che consente anche di realizzare
misurazioni come con un normale multimetro digitale. Questo modello è
uno strumento da 5 cifre e mezzo e può misurare correnti piccole fino a
20fA, effettuare misure di resistenza e fornire tensioni continue in uscita
fino a 500V.
Figura 2.1: Generatore di tensione KEITHLEY 6487
2. HP/Agilent E3631A Power Supply (Fig. 2.2)
Generatore di tensione continua da 80 W con tre uscite indipendenti con
valori da 0 a +6V/5A e da 0 a ±25V/1A. L'uscita da 6V è isolata
elettricamente dall'alimentazione ±25V per minimizzare le interferenze in
caso di uso simultaneo dei due differenti canali.
27
2.1 Strumentazione
Figura 2.2: Generatore di tensione HP E3631A
3. Agilent 33220A Function/Arbitrary Waveform Generator (Fig. 2.3)
Generatore di forme d'onda a seconda della scelta dell'operatore tra le
varie selezionabili mediante gli appositi pulsanti: seno, onda quadra,
rampa, impulso, rumore, e forme d'onda DC. Mediante la tastiera
numerica, le frecce direzionali e la manopola, è possibile modificare le
caratteristiche delle onde generate variando frequenza (massimo 20 Mhz),
periodo, ampiezza e durata. Il segnale può essere considerato stabile e
preciso. Il range di ampiezza del segnale d'uscita varia da 10mVpp a
10Vpp su 50Ω con risoluzione di 4 cifre.
Figura 2.3: Generatore di forme d'onda Agilent 33220A
28
2.1 Strumentazione
4. Tektronix TDS 3052B Digital Phosphor Oscilloscope (Fig. 2.4)
Oscilloscopio con due canali d'ingresso con campionamento a 5Gs/s per
canale e larghezza di banda pari a 500 Mhz, la quale permette quindi di
visualizzare segnali pari e/o maggiori di 2ns. Il sistema è dotato di
e*Scope® Web-based Remote Control, il quale permette di connettere lo
strumento via ethernet alla rete per accedere ad alcuni comandi tra i quali
la possibilità di salvare i dati delle misurazioni in atto.
Figura 2.4: Oscilloscopio Tektronix TDS 3052B
5. Texas Instruments THS4303 Wideband Fixed-Gain Amplifier
Amplificatore a banda larga (1.8 Ghz) con guadagno fisso (10V/V) e
basso rumore. Tale strumento permette di processare segnali ad alte
velocità nell'ordine di 1ns con tempi di salita e discesa estremamente
rapidi senza introdurre distorsioni eccessive.
Figura 2.5: Amplificatore Texas Instruments THS4303
29
2.1 Strumentazione
6. Amplificatore “Andreis Franco”
Amplificatore a banda molto larga realizzato “in house” utilizzando un
doppio stadio di amplificazione mediante l'uso di due Monolithic
Amplifier GALI-5+.
Output
Alimentazione
← Ground
← Input
Figura 2.6: Amplificatore “Andreis Franco”
7. Laser driver “Zeni”
Circuito di pilotaggio formato da una parte dedicata al mantenimento del
diodo laser in una regione in cui funziona come semplice LED, e da un
circuito relativo alla gestione dell'impulso con cui il diodo è pilotato. Tale
impulso fa uscire il componente dalla “zona LED” per entrare in quella
laser utilizzando un'ampiezza sufficientemente elevata e solo per un
periodo di tempo pari alla larghezza dell'impulso di pilotaggio utilizzato.
30
2.1 Strumentazione
Figura 2.7: Laser driver “Zeni”
8. Schedina di supporto
Per gestire al meglio le connessioni del diodo è stata realizzata una piccola
scheda composta da un set di tre connettori atti all'inserimento dei piedini
del dispositivo, connessi rispettivamente a bias, a massa e all'ingresso
dell'amplificatore. Qualora la terna di connettori inseriti non sia quella
comprensiva del bias, è possibile usare un connettore mobile per portare la
tensione di polarizzazione al piedino corretto.
Per rimuovere possibili disturbi a 50Hz provenienti dalla rete è stato
realizzato un filtro passa basso sulla tensione di polarizzazione utilizzando
dei componenti SMD (Surface Mount Device) poiché essi rispetto a quelli
TH (Through Hole) dovrebbero avere minor capacità ed induttanza
parassita riducendo eventuali disturbi sulla misura.
Figura 2.8: Schedina di supporto realizzata in laboratorio
31
2.2 Problematiche e considerazioni preliminari sul setup
Durante il lavoro svolto in laboratorio abbiamo riscontrato un'alta sensibilità del
sistema alle interferenze elettromagnetiche, che ha comportato la scelta di
adottare alcune contromisure indispensabili.
Per prima cosa è stato osservato che se il percorso del segnale utile avviene
attraverso connessioni eccessivamente lunghe, esse agiscono con un effetto
antenna andando a modificare considerevolmente il reale andamento dell'onda.
Un primo accorgimento necessario è quindi la minimizzazione delle connessioni
tra i vari componenti in cui è previsto il passaggio di segnale. La schedina di
supporto per il diodo realizzata in laboratorio (Fig. 2.8) è strutturata proprio per
questo fine; il connettore di input associato al piedino del diodo è infatti saldato
direttamente al connettore d'uscita verso l'amplificatore.
Qualora in alcune porzioni del setup non sia possibile effettuare tali riduzioni
è consigliabile, e nel nostro caso è stato necessario, l'uso di cavi coassiali per
minimizzare l'influenza di eventuali campi elettromagnetici esterni. Lo strato di
schermatura dei coassiali viene utilizzato per connettere tutti i componenti allo
stesso punto di massa in modo da stabilire un livello di potenziale di terra
comune. Senza questo accorgimento potrebbero generarsi correnti continue,
anche di entità elevata, tra punti del circuito di massa a potenziale differente.
Una fonte di interferenza di grande entità si è rivelata essere il driver “Zeni”
utilizzato per il pilotaggio del laser. Si è infatti riscontrata una forte sensibilità del
circuito di lettura alle oscillazioni del driver, in relazione alla vicinanza fisica tra
le parti. E' stato quindi necessario separare il più possibile la fonte di disturbo
dagli altri componenti per evitare di degradare eccessivamente il segnale.
Per schermare ulteriormente il diodo, il circuito d'ingresso e l'amplificatore
dai disturbi elettromagnetici abbiamo inserito i tre componenti all'interno di una
scatola metallica, sulla quale sono stati realizzati i fori per il passaggio delle
connessioni con il resto della strumentazione.
Infine c'è da aggiungere che tutte le misure sono state effettuate al buio in
quanto il rivelatore di radiazioni è sensibile anche alla luce ambientale.
32
Capitolo 3
Misurazioni ed analisi dei dati
Nota la teoria alla base dei diodi 3D-DDTC ed osservate le principali
caratteristiche degli strumenti utilizzati in laboratorio per la fase di test, questo
capitolo è volto a illustrare e giustificare i risultati raggiunti.
3.1 Impulso laser
Per tutte le seguenti misure effettuate sui diodi 3D in dotazione ci siamo serviti di
un impulso laser a 980nm pilotato dal driver “Zeni” alimentato a 15V mediante il
generatore di tensione Agilent E3631, ed utilizzando un'onda quadra di ampiezza
2Vpp, frequenza 100Hz e duty cycle del 50% generata dall'Agilent 33220A. Il
fascio luminoso è confinato all'interno di una fibra ottica al cui terminale di
uscita è applicato un collimatore che garantisce dispersione minima del fascio
incidente sul dispositivo di test.
Figura 3.1: Collimatore sopra al diodo connesso alla scheda di supporto
33
3.1 Impulso laser
Le
caratteristiche
dell’impulso
laser
utilizzato
sono
state
osservate
all'oscilloscopio mediante un fotosensore di riferimento veloce abbinato ad un
apposito circuito di lettura presente in laboratorio. Il risultato (Figura 3.2) ci
mostra un segnale molto rapido, nell'ordine di 1.5 ns.
Figura 3.2: Misurazione dell'impulso laser.
3.2 Configurazione “Texas”
La prima serie di misurazioni è stata realizzata utilizzando l'amplificatore
THS4303 alimentato a ±2.5 V dal generatore di tensione HP E3631A.
All'ingresso dell'amplificatore, attraverso il circuito di supporto, è stato connesso
il diodo la cui tensione di bias è generata dal Keithley 6487. L'uscita
dell'amplificatore viene portata all'oscilloscopio per la misura/visualizzazione
della forma d'onda e l'eventuale salvataggio dei dati. Il laser incidente sul diodo è
pilotato dal driver “Zeni” secondo le caratteristiche descritte precedentemente.
Tutte le connessioni e la disposizione dell'ambiente di lavoro è stata realizzata
utilizzando le contromisure a rumore ed interferenze descritte nel capitolo 2.2.
34
3.2 Configurazione “Texas”
Figura 3.3: Visione dall'alto della scatola contenente supporto per il diodo ed
amplificatore. Sono visibili i connettori di bias, alimentazione ed uscita.
3.1.1 Risultati 3D – 100μm – connessione a striscia
In figura 3.4 sono riportate le curve di risposta del dispositivo pitch-100μm con
connessione a striscia delle colonne giunzione, al variare della tensione di
polarizzazione utilizzata.
Figura 3.4: Transitorio del diodo pitch-100 connessione a striscia.
35
3.2 Configurazione “Texas”
Osserviamo che gli impulsi misurati sono negativi, dal momento che i dispositivi
hanno substrato P e le colonne giunzione N+ raccolgono gli elettroni generati dal
passaggio della stimolazione ionizzante.
Il valore di durata del picco misurato a metà della sua altezza (Full Width at
Half Maximum) diminuisce all'aumentare della tensione di polarizzazione (figura
3.5) fino a stabilizzarsi ad un valore di circa 3.8ns. Corrispondentemente, il picco
della tensione letta all’oscilloscopio aumenta all’aumentare della tensione di
polarizzazione. Questo dimostra che alzando la tensione di bias il diodo in esame
ha prestazioni migliori in quanto la regione di svuotamento si allarga,
aumentando sensibilità e rapidità di raccolta di carica del dispositivo. Come
osservabile dal grafico, la tensione massima usata è di 30 V, in quanto superando
questo limite il diodo andrebbe in breakdown rendendo impossibile la misura di
quantità di carica e rischiando il danneggiamento del componente.
Le oscillazioni di tipo “ripple” presenti in maniera evidente per una tensione
di bias superiore a 10 V non dovrebbero essere presenti nel sistema.
Riconducendole in un primo momento ad un problema di setup abbiamo cercato
di capire quale ne fosse la provenienza. Di fatto la spiegazione più ragionevole e
verosimile verrà illustrata nel capitolo 3.3.
Figura 3.5: Grafico del valore di FWHM in funzione della tensione di bias.
36
3.2 Configurazione “Texas”
3.1.2 Risultati 3D – 80μm – connessione a striscia
Osserviamo ora qual è il tipo di risposta generato dal diodo con pitch-80 avente
le colonne giunzione connesse a striscia come nel caso precedente.
Figura 3.6: Transitorio del diodo pitch-80 connessione a striscia.
Figura 3.7: Confronto tra diodi pitch-100 e pitch-80 connessione a striscia.
37
3.2 Configurazione “Texas”
L'andamento del segnale appare estremamente simile a quello del pitch-100,
sebbene vi sia un aumento di circa 2 mV di ampiezza del picco, giustificabile in
quanto avendo le colonne più vicine tra loro, si avrà una minore perdita di
cariche nel tragitto dal punto di generazione ai relativi elettrodi. I tempi di
raccolta sono comparabili, con variazioni dell'ordine di frazioni di nanosecondo.
3.1.3 Risultati 3D – 80μm – diffusione uniforme
Osserviamo ora il comportamento dei diodi con le colonne giunzione unite tra loro
tramite diffusione superficiale uniforme. Come visibile in figura 3.8, gli impulsi
generati con questo tipo di rivelatore hanno un'ampiezza minore. Per quanto riguarda i
tempi di raccolta di carica, li abbiamo confrontati con quelli del diodo 3D pitch-80
testato poco fa. Dal grafico 3.9 possiamo così notare che il dispositivo in esame è molto
più lento del precedente per tensioni di polarizzazione minori di 3 V; dopo tale valore le
prestazioni tendono ad equivalersi, inizialmente differenziandosi per qualche frazione di
nanosecondo e poi convergendo per valori di bias elevati. Tali riduzioni di ampiezza e
velocità sono dati dalla diffusione, la quale provoca nel diodo variazioni riguardanti sia
la trasmissione dei fotoni attraverso gli strati che ricoprono il silicio, sia la distribuzione
del campo elettrico vicino alla superficie.
Figura 3.8: Transitorio del diodo pitch-80 diffusione uniforme.
38
3.2 Configurazione “Texas”
Figura 3.9: Confronto tra diodi pitch-80 con connessione a striscia o a diffusione
uniforme per valori di FWHM in funzione del bias.
39
3.2 Configurazione “Andreis”
Per verificare che l'amplificatore non fosse responsabile di distorsioni del
segnale, tra cui le oscillazioni presenti nelle misure o tempi di risposta più lenti,
abbiamo effettuato tutta la serie di test utilizzando l'amplificatore “Andreis”
alimentato a 10 V dal generatore di tensione HP E3631A. Per il resto del sistema
sono state usate le stesse configurazioni precedenti adattando però l'uscita del
circuito di supporto al nuovo setup usando un cavo coassiale.
Figura 3.10: Visione dall'alto della scatola contenente il supporto per il diodo
opportunamente riadattato e l'amplificatore “Andreis”.
3.2.1 Risultati 3D – 100μm – connessione a striscia
Cambiando amplificatore osserviamo che in ogni caso il problema del ripple
post-impulso è sempre presente. Tuttavia commentiamo rapidamente anche le
misure effettuate con questo tipo di configurazione. Per prima cosa possiamo
valutare che tra i due setup, differenti valori di amplificazione a parte, abbiamo
un rapporto ampiezza ripple/picco differente; in particolare il disturbo sembra più
accentuato nel caso del sistema con l'amplificatore “Andreis”. Per quanto
riguarda i tempi di risposta essi sono però leggermente più rapidi (figura 3.12).
40
3.2 Configurazione “Andreis”
Figura 3.11: Transitorio del diodo pitch-100 connessione a striscia.
Figura 3.12: Confronto tra le misure dei tempi di risposta del diodo pitch-100 con
connessione a striscia effettuate con i due amplificatori in dotazione.
41
3.2 Configurazione “Andreis”
3.2.2 Risultati 3D – 80μm – connessione a striscia
Figura 3.13: Transitorio del diodo pitch-80 connessione a striscia.
Figura 3.14: Confronto tra le misure dei tempi di risposta del diodo pitch-80 con
connessione a striscia effettuate con i due amplificatori in dotazione.
42
3.2 Configurazione “Andreis”
Avendo a disposizione le misure effettuate con l'amplificatore “Andreis” per i
tempi di risposta di un diodo pitch-80 con connessione a striscia avente le
colonne N+ profonde 100 μm, ovvero 50 μm in meno rispetto ai diodi in esame,
possiamo confrontare i risultati ottenuti (figura 3.15). Analizzando il grafico
osserviamo che il nuovo dispositivo ha risposta decisamente più rapida per basse
tensioni di polarizzazione, mentre per valori maggiori di 10 V le prestazioni
appaiono comparabili o più lente di qualche frazione di nanosecondo. Nei dati
raccolti con il vecchio dispositivo [4] gli impulsi non erano affetti dalle
oscillazioni presenti nelle nostre misure; è quindi ipotizzabile che la causa di tali
distorsioni presenti in maniera evidente dopo i 10 V nei 3D attuali sia
responsabile anche di una certa perdita di rapidità del picco di segnale.
Figura 3.15: Confronto tra diodi pitch-80 con connessione a striscia e colonne
giunzione profonde 100 e 150 μm per valori di FWHM in funzione della tensione
di polarizzazione.
43
3.2 Configurazione “Andreis”
3.2.3 Risultati 3D – 80μm – diffusione uniforme
Figura 3.16: Transitorio del diodo pitch-80 con diffusione uniforme.
Figura 3.17: Confronto tra le misure dei tempi di risposta del diodo pitch-80 con
diffusione uniforme effettuate con i due amplificatori in dotazione.
44
3.2 Configurazione “Andreis”
Così come per le misurazioni effettuate con l'amplificatore THS4303, osserviamo
in questo caso una notevole riduzione nell'ampiezza degli impulsi rispetto ad i
dispositivi con connessione a striscia.
Valutando i tempi di raccolta di carica notiamo da Fig. 3.17 che
l'amplificatore “Andreis” non introduce miglioramenti rilevanti rispetto alla
configurazione precedente, nemmeno a basse tensioni di bias, cosa invece
osservabile negli altri due casi. E' ipotizzabile che il degrado del segnale
introdotto dalla diffusione uniforme (si veda Cap. 3.1.3) sia tale da rendere
estremamente lenta, con qualsiasi tipo di strumentazione utilizzata, la raccolta di
carica osservabile a tensioni di polarizzazione inferiori a 3 V.
3.3 Analisi del problema “ripple”
Valutata l'ininfluenza dell'amplificatore nella distorsione presente dopo il picco di
segnale abbiamo provato a cambiare circuito di supporto ottenendo la stessa
forma d'onda.
3.3.1 Prova con l'americio
Volendo valutare l'andamento del segnale con una fonte diversa dalla luce laser,
abbiamo sostituito quest'ultima con una sorgente di particelle alfa ( 241Am)
disponibile in laboratorio (si veda Fig. 3.18). Abbiamo effettuato una rapida
misurazione della risposta del diodo pitch-80 con connessione a striscia per una
tensione di polarizzazione di 30 V, ottenendo lo stesso tipo di forma (Fig. 3.19).
Figura 3.18: Sorgente di Americio-241
45
3.3 Analisi del problema “ripple”
Figura 3.19: Transitorio di una particella alfa nel diodo pitch-80 con connessione
a striscia.
3.3.2 Analisi del package
L'unica parte rimanente nella valutazione è il dispositivo stesso. E' necessario
quindi valutare eventuali contributi alle oscillazioni presenti nel sistema. Per
farlo dobbiamo osservare le caratteristiche principali del package per poter
realizzare un modello del setup sperimentale il più possibile verosimile ed
utilizzare tale modello in una simulazione per osservarne l'andamento.
Possiamo notare che la presenza della regione di carica spaziale all’interno
del diodo fa si che la giunzione presenti una capacità. Un dispositivo a giunzione
può essere infatti approssimato come un condensatore a capacità variabile,
considerando i bordi della zona di svuotamento come due armature mobili in
46
3.3 Analisi del problema “ripple”
funzione della tensione di polarizzazione. Altri contributi di tipo capacitivo
possono derivare dal package e dai collegamenti.
In serie al diodo sarà presente una piccola resistenza, in quanto ci sono zone
conduttive che contribuiscono alla sua presenza.
Sappiamo inoltre che il rivelatore è connesso al package mediante dei fili
conduttori di diversi millimetri di lunghezza aventi diametro di alcune decine di
micron. Tali giunzioni generano un'induttanza parassita del valore di poche
decine di nanoHenry in serie al diodo. Introducendo tale induttanza è ragionevole
pensare che si potranno avere oscillazioni sul segnale.
3.3.3 Simulazione SPICE
Abbiamo quindi realizzato il circuito equivalente al sistema in analisi in ambiente
SPICE (figura 3.20). L'amplificatore usato è il THS4303 in quanto è stato
possibile reperire il modello adatto per il nostro scopo.
L'ingresso all'amplificatore è formato da:
•
Un condensatore del valore di 10 pF comprensivo della capacità del diodo,
dei collegamenti e del package.
•
Un generatore d'impulsi per simulare il segnale uscente dal diodo.
•
Una resistenza di pochi Ω per le zone conduttive del package.
•
Un'induttanza di qualche decina di nH relativa al bonding.
Il risultato della simulazione visibile in figura 3.21 ci mostra un segnale con lo
stesso andamento riscontrato nelle misurazioni viste in precedenza.
Abbiamo quindi opportunamente variato i valori di resistenza ed induttanza
del circuito equivalente fino a determinare con R = 10 Ω ed L = 70 nH un
risultato il più possibile riconducibile a quanto valutato in tutta la fase di test. In
figura 3.22 possiamo osservare l'estrema somiglianza tra la simulazione ed il
reale comportamento del diodo.
47
3.3 Analisi del problema “ripple”
Figura 3.20: Schematico del circuito equivalente al sistema di test.
Figura 3.21: Forma d'onda generata dalla simulazione SPICE all'uscita
dell'amplificatore.
48
3.3 Analisi del problema “ripple”
Figura 3.22: Confronto tra il segnale reale e quello simulato con SPICE.
Si può pertanto concludere che il comportamento oscillatorio osservato è
effettivamente dovuto alle non idealità legate all’assemblaggio del campione, che
andrebbe progettato ad-hoc per non degradare le prestazioni del dispositivo.
49
Conclusioni
In questa tesi sono stati trattati argomenti attinenti rivelatori di radiazioni in
silicio con elettrodi tridimensionali. Obiettivo principale del lavoro svolto era
studiarne le caratteristiche dinamiche in termini di velocità ed efficienza di
raccolta della carica generata da impulsi laser.
Per svolgere l'attività di misura si è costruito un apposito sistema a basso rumore
ad alta velocità di risposta che ci ha consentito di osservare alcune caratteristiche
salienti dei dispositivi sotto esame.
I dati raccolti non risultano essere però completamente concordi alle aspettative
iniziali, sebbene alcune caratteristiche principali dei dispositivi siano state
confermate:
•
i rivelatori con colonne più vicine tra loro risultano raccogliere più carica,
ma le differenze nei tempi di risposta non sono marcate;
•
i diodi con colonne giunzione connesse con diffusione uniforme risentono
di variazioni significative riguardanti sia la trasmissione dei fotoni
attraverso gli strati che ricoprono il silicio, sia la distribuzione del campo
elettrico vicino alla superficie, ottenendo impulsi di minor ampiezza e
velocità;
•
rispetto alla tecnologia precedente sono stati osservati tempi di raccolta di
carica più brevi, soprattutto per tensioni di bias di bassa entità;
•
per alte tensioni di polarizzazione i diodi presentano velocità di raccolta
sufficientemente elevate, con durata della parte principale dell'impulso di
alcuni nanosecondi.
Le sovraelongazioni osservate nelle forme d'onda dei segnali possono costituire
un problema in fase di applicazione, in quanto prima di poter riapplicare un altro
segnale al dispositivo è necessario attendere l'esaurimento dell'intero transitorio.
Questi disturbi sono stati però attribuiti alla struttura del dispositivo nel package,
in particolare al filo di bonding che introduce un'induttanza parassita nel sistema.
50
Conclusioni
Tale ipotesi è stata confermata attraverso una simulazione nella quale è stato
osservato un andamento del segnale estremamente simile a quello dei diodi in
esame.
Quanto osservato suggerisce possibili modifiche, focalizzando l'attenzione e
futuri sforzi sulla riduzione dei disturbi introdotti dal package.
51
Bibliografia
[1] G.F. Dalla Betta, A. Zoboli, “Silicon Radiation Detectors with ThreeDimensional Electrodes (3D Detectors)”, in Semiconductor Radiation
Detector Systems, ISBN 9781439803851, Chapter 2, pp. 19-66, K. Iniewski
Editor, CRC Press, Boca Raton (USA), 21 Maggio 2010.
[2] M. Povoli, “Caratterizzazione elettro-ottica di rivelatori per radiazioni ad
elettrodi
tridimensionali”,
Tesi
di
Laurea
in
Ingegneria
delle
Telecomunicazioni, Anno Accademico 2005/2006, Relatore Prof. G.F. Dalla
Betta, Correlatore Ing. A. Zoboli.
[3] M. Povoli, “Analisi del breakdown superficiale in rivelatori 3D e planari a
bordo attivo tramite simulazioni TCAD”, Tesi di Laurea in Ingegneria delle
Telecomunicazioni, Anno Accademico 2007/2008, Relatore Prof. G.F. Dalla
Betta, Correlatore Ing. A. Zoboli.
[4] C. Carlevaro, R. Zarpellon, “Caratterizzazione sperimentale di rivelatori con
elettrodi
tridimensionali”,
Tesi
di
Laurea
in
Ingegneria
delle
Telecomunicazioni, Anno Accademico 2009/2010, Relatore Prof. G.F. Dalla
Betta, Correlatore Ing. M. Povoli.
[5] G. Pellegrini, “Technology Development of 3D Detectors for High Energy
Physics and Medical Imaging”, Thesis submitted for the degree of Doctor of
Philosophy in the subject of Electronics and Electrical Engineering, Chapter
2, pp. 41-65, University of Glasgow (UK), November 2002
52
Bibliografia
[6] M. Zeni, “Progetto, realizzazione e caratterizzazione di un circuito di
pilotaggio per laser ad alta velocità per applicazioni di misure di distanza”,
Tesi di Laurea in Ingegneria delle Telecomunicazioni, Anno Accademico
2005/2006, Relatore Prof. G.F. Dalla Betta
[7] http://www.keithley.com/
[8] http://www.home.agilent.com/
[9] http://www.tek.com/
[10] http://www.ti.com/
53
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